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Sommario del 27/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Improvvisa indisposizione, Francesco annulla visita al Gemelli

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Un'improvvisa indisposizione ha impedito a Papa Francesco di recarsi nel pomeriggio al Policlinico Gemelli di Roma per l'annunciata visita nel 50.mo di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica.

Nel dare l'annuncio, la Sala Stampa vaticana ha precisato che il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, "celebrerà la Messa e pronuncerà l’omelia preparata dal Santo Padre".

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Il Papa: Dio, Papà tenero che ci ama e ci tiene per mano

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Per comunicare il suo tenero amore di Padre all’uomo, Dio ha bisogno che l’uomo si faccia piccolo. È il pensiero che Papa Francesco ha sviluppato all’omelia della Messa del mattino presieduta a Casa S. Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra il Sacro Cuore di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Non aspetta ma dà, non parla ma agisce. Non c’è ombra di passività nel modo che il Creatore ha di intendere l’amore verso le sue creature. Papa Francesco lo spiega all’inizio di un'omelia nella quale si sofferma sul “cuore” di Gesù, celebrato dalla liturgia. Dio, ha affermato, “ci dà la grazia, la gioia, di celebrare nel cuore di suo Figlio le grandi opere del suo amore. Si può dire che oggi è la festa dell’amore di Dio in Gesù Cristo, dell’amore di Dio per noi, dell’amore di Dio in noi”:

“Ci sono due tratti dell’amore. Primo, l’amore è più nel dare che nel ricevere. Il secondo tratto: l’amore è più nelle opere che nelle parole. Quando diciamo che è più nel dare che nel ricevere, è che l’amore si comunica: sempre, comunica. E viene ricevuto dall’amato. E quando diciamo che è più nelle opere che nelle parole, l’amore sempre dà vita, fa crescere”.

Ma per “capire l’amore di Dio”, l’uomo ha bisogno di ricercare una dimensione inversamente proporzionale all’immensità: è la piccolezza, dice il Papa, “la piccolezza di cuore”. Mosè, ricorda, spiega al popolo ebreo di essere stato eletto da Dio perché era “il più piccolo di tutti i popoli”. Mentre Gesù nel Vangelo loda il Padre “perché ha nascosto le cose divine ai dotti e le ha rivelate ai piccoli”. Dunque, osserva Papa Francesco, quel che Dio cerca con l’uomo è un “rapporto di papà-bambino”, lo “accarezza”, gli dice: “Io sono con te”:

“Questa è la tenerezza del Signore, nel suo amore; questo è quello che Lui ci comunica e ci dà la forza alla nostra tenerezza. Ma se noi ci sentiamo forti, mai avremo l’esperienza della carezza del Signore, le carezze del Signore, tanto belle… tanto belle. ‘Non temere, io sono con te, io ti prendo per mano…’. Sono tutte parole del Signore che ci fanno capire quel misterioso amore che Lui ha per noi. E quando Gesù parla di sé stesso, dice: ‘Io sono mite e umile di cuore’. Anche Lui, il Figlio di Dio, si abbassa per ricevere l’amore del Padre”.

Altro segno particolare dell’amore di Dio è che ci ha amati per “primo”. Lui è sempre “prima di noi”, “Lui ci aspetta”, assicura Papa Francesco, che termina chiedendo a Dio la grazia “di entrare in questo mondo così misterioso, di stupirci e di avere pace con questo amore che si comunica, ci dà la gioia e ci porta nella strada della vita come un bambino, per mano”:

“Quando noi arriviamo, Lui c’è. Quando noi lo cerchiamo, Lui ci ha cercato prima. Lui è sempre avanti a noi, ci aspetta per riceverci nel suo cuore, nel suo amore. E queste due cose possono aiutarci a capire questo mistero dell’amore di Dio con noi. Per esprimersi ha bisogno della nostra piccolezza, del nostro abbassarci. E, anche, ha bisogno del nostro stupore quando lo cerchiamo e lo troviamo lì, aspettandoci”.

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Sinodo. Coniugi Friso: sofferenza di tante famiglie può essere sanata

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Interpellare le famiglie con il questionario preparatorio al Sinodo ha coinvolto e fatto emergere le problematiche più sentite. I coniugi Anna e Alberto Friso, consultori del dicastero della Famiglia, commentano la presentazione ai media, avvenuta ieri, dell’Instrumentum laboris dell’assise episcopale di ottobre. Le loro voci al microfono di Fabio Colagrande

R. – La famiglia è diventata ormai il simbolo delle difficoltà e della sofferenza, cioè è il contenitore di quello che società porta. Per cui, sapere che la Chiesa ha questo atteggiamento di accoglienza, di volere essere vicina lì dove c’è bisogno, questo è veramente magnifico.

D. – Come avete considerato questa novità, cioè che l’Instrumentum Laboris è stato redatto soprattutto, per la maggior parte proprio sulla base delle risposte pervenute al questionario diffuso nel novembre scorso?

R. – Tutto è partito da Papa Francesco che ha detto: “Voglio sapere cosa pensa la gente”, per cui la gente si è sentita interpellata. Io credo che sia il metodo giusto, quello di partire dalla gente, di partire dal dato concreto di come si vive. Ecco che allora, anche le risposte che verranno date, tutte le riflessioni che ne conseguono sono proprio inerenti e coerenti con quello che la gente si aspetta.

D. – Signor Alberto, un suo parere su questa novità… Anche perché c’è chi dice: ma così si rischia di adeguare la dottrina della Chiesa alla realtà, invece di portare avanti la verità del Vangelo…

R. – Direi che c’è stato uno scatto di consapevolezza da parte del popolo cristiano che ha visto anche in questa attenzione da parte della Chiesa alle situazioni così diverse e così complesse di tante famiglie in difficoltà, una valorizzazione di queste sofferenze e l’offerta di un primo spunto per trarre luce da queste sofferenze. E’ anche questa la circostanza in cui non solo si illumineranno tante situazioni difficili, ma sarà anche tutto il contesto generale della famiglia che acquisterà luce. Infatti, la famiglia praticamente nasce dall’immenso amore che Dio ha avuto per l’umanità e in questo amore di Dio possiamo veramente trovare un nuovo senso che spiega al mondo che oggi ci sfida su tanti fronti, il senso della famiglia.

D. – Signora Anna, secondo la vostra esperienza ci sono dunque molte situazioni di irregolarità, situazioni difficili, di sofferenza verso cui la Chiesa dovrebbe mostrare una maggiore vicinanza?

R. – Le situazioni ci sono e sono sotto gli occhi di tutti, e non solo qui, nel nostro contesto occidentale, ma in giro per il mondo e il nostro osservatorio può testimoniarlo. Intanto, ci è piaciuto sentire parlare di questa sofferenza, che è un valore e se questa sofferenza viene illuminata, se viene capito anche dalla Chiesa che siamo in sofferenza, certamente le famiglie trovano anche una risorsa interiore per trovare pure una strada di riconciliazione. E noi dobbiamo guardare a tutte queste situazioni con questa visione ampia che ci dà Papa Francesco. Ecco che allora si tratta subito di incominciare con l’accoglienza: è semplicemente aiutare a crescere nel credere all’annuncio che Dio ti ama immensamente.

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Udienze del Papa e nomina episcopale negli Stati Uniti

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; il card. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici; il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

Negli Usa, Papa Francesco ha nominato vescovo di Gaylord mons. Steven John Raica, del clero della diocesi di Lansing, finora Cancelliere della medesima sede.

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Papa, tweet: nelle difficoltà della vita testimoniamo con gioia la fede

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Tweet di Papa Francesco, lanciato dal suo account @Pontifex. “Davanti alle difficoltà della vita, chiediamo al Signore di rimanere saldi nella testimonianza gioiosa della nostra fede”.

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In Vaticano il coro sinodale del Patriarcato di Mosca

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La solennità dei Santi Pietro e Paolo rinnova anche quest’anno il suo tratto ecumenico, ospitando il Coro Sinodale del Patriarcato di Mosca che, insieme alla Cappella Musicale Pontificia, terrà domani un concerto nella Sistina dal titolo “Ut unum sint” e domenica animerà la celebrazione liturgica in San Pietro. I due cori canteranno insieme, con l’alternanza di direzione dei due maestri, repertori emblematici delle due Chiese . “Quanto separato dalla storia ritrova dunque la sua unità nell’arte”, spiega al microfono di Gabriella Ceraso il direttore della Cappella Sistina, don Massimo Palombella: 

R. – Credo che fare esperienze da questo punto di vista prima di tutto sia rispondere ad un mandato ecclesiale profondo: cioè attraverso l’arte, lanciare ponti di dialogo e di incontro, usando le fonti comuni, usando quel linguaggio che va oltre la teologia e oltre la diplomazia. La seconda cosa è che non possiamo che guadagnare in professionalità, perché il servizio ecclesiale ci obbliga alla verità di noi stessi.

D. – “Ut unum sint” è il titolo di questo concerto. Le chiedo: voi avete anche suonato a Mosca e quindi questo coro lo conoscete, ha un repertorio che è quello della musica della Chiesa latina. La risposta a fare musica insieme, qual è stata, finora?

R. – Il Coro di Mosca è quello che io "temevo di più", proprio perché lavorare con Westminster Abbey o San Tommaso di Lipsia – quindi anglicani e luterani – bene o male, siamo in un contesto europeo, per cui è facile rintracciare fonti comuni. Qui ci trovavamo, invece, davanti ad una realtà più lontana, culturalmente. La risposta è stata eccellente, nel senso che abbiamo fatto un duplice movimento. Noi abbiamo cantato in russo, traslitterando tutto e loro hanno cantato in latino. Non abbiamo chiesto di adeguarci: abbiamo fatto entrambi un movimento verso punti comuni. La cosa interessante, poi, è che anche nel concerto ci alterneremo alla direzione con il Maestro del Coro sinodale, e nella Basilica di San Pietro il 29 giugno la celebrazione iniziierà con il “Tu es Petrus” di Palestrina – nella festa dei Santi Pietro e Paolo – e lo dirigerà il maestro del Coro ortodosso di Mosca. Questi sono segni grossi dal punto di vista ecumenico e culturale.

D – Una parola per dire cosa i due repertori esprimono di profondo nella tradizione ecclesiale …

R. – Esprimono la comprensione della fede in un preciso momento storico. La Chiesa latina ha avuto dei momenti storici in cui la fede ha dialogato profondamente con la cultura e si è resa plastica attraverso l’arte. La stessa cosa è avvenuta nella Chiesa ortodossa, con parametri culturali differenti, ma è lo stesso processo.

D. – Quindi, quanto separato dalla storia rivive invece la sua unità nell’arte …

R. – Necessariamente, perché l’arte è destinata alla liturgia è il frutto del tormentato dialogo che la fede deve avere con la cultura. Se questo non avviene, è una fede sterile. E la fede che dialoga con la cultura è un processo profondo che dobbiamo fare ed è attraverso questo processo che noi possiamo ricostruire unità.

D. – Dal Papa le è mai arrivato un commento, una sollecitazione?

R. – Noi abbiamo incominciato questo lavoro con Papa Benedetto, e abbiamo realizzato il dialogo con gli anglicani. Poi è cambiato Papa e c’era in cantiere il dialogo con i luterani, e quindi abbiamo scritto chiedendo se il progetto poteva continuare e la risposta è stata: “Assolutamente sì!”. E tutto il discorso del dialogo con la Chiesa ortodossa è stato portato avanti con forza, da lui; nel senso che è un progetto nel quale lui ha investito personalmente. Quindi, in questo senso troviamo una assoluta continuità operativa tra i due Papi.

D. – E quindi diciamo che le divergenze non devono mai spaventarci, messaggio anche della Chiesa, voi lo incarnate?

R. – Ovviamente. Ma perché poi, nel campo artistico, le divergenze davvero si superano, come è successo quando abbiamo fatto la preghiera per la pace nei Giardini Vaticani: anche lì è stato molto interessante vedere musicisti ebrei, musulmani e cristiani che suonavano insieme. Volendo suonare insieme, volendo dare dei segni che ci sono delle cose e delle realtà che superano le nostre comprensioni culturali, e alle quali dobbiamo guardare per essere più umani di quello che ci ritroviamo ad essere.

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Accordo S. Sede-Serbia sull'istruzione di grado superiore

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Un accordo riguardante la collaborazione bilaterale nel campo dell’insegnamento superiore. È quello che è stato formato ieri, a Belgrado, dalla Santa Sede e dalla Repubblica di Serbia. Con tale accordo, precisa un comunicato ufficiale, “vengono confermati principi e definite disposizioni circa la collaborazione fra le due Parti nel settore dell’insegnamento superiore”.

Nel dettaglio, l’Accordo prevede che le Parti, precisa la nota, “si impegnino di favorire la collaborazione nel settore dell'insegnamento superiore e di promuovere i contatti diretti tra le istituzioni di tale tipo. Inoltre, esse si impegneranno ad uniformare le questioni riguardanti il riconoscimento reciproco dei titoli accademici e degli atti pubblici attestanti il conseguimento dell'istruzione superiore”.

Per l’applicazione dell’Accordo, le parti stipuleranno successivamente i relativi protocolli addizionali, “con i quali – si legge nella nota – saranno definite le attività concrete, nonché le condizioni organizzative e finanziarie dell'applicazione. L’Accordo riconosce anche il diritto della Chiesa cattolica in Serbia di fondare e dirigere Istituzioni di studi superiori sia per le discipline ecclesiastiche sia per le altre materie di studi superiori”.

Il presente Accordo, termina il comunicato, “entrerà in vigore alla data in cui viene ricevuta l'ultima informazione, giunta per via diplomatica e relativa all'adempimento di tutti i requisiti, che sono previsti dalle normative interne delle due Parti per l'entrata in vigore del presente Accordo”.

Alla cerimonia avvenuta nel Palazzo di Serbia, ha firmato per la Santa Sede l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, mentre per la Serbia è stato il primo vicepresidente del governo e ministro degli Affari Esteri, Ivica Dačić.

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Concluso primo grado di giudizio canonico a carico di mons. Wesolowski

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Il primo grado di giudizio del processo canonico a carico dell’ex nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana, Józef Wesolowski, si è concluso in questi giorni presso la Congregazione per la Dottrina della Fede con una sentenza di condanna alla dimissione dallo stato clericale. Circa un anno fa, mons. Wesolowski era stato richiamato e sospeso dal suo servizio in veste di nunzio nella Repubblica Dominicana in seguito alle gravi accuse che gli erano state mosse.

L’accusato, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, ha ora due mesi di tempo per proporre eventuale appello. Il procedimento penale presso gli organi giudiziari vaticani proseguirà non appena sarà definitiva la sentenza canonica. Inoltre, con riferimento ad alcune notizie apparse recentemente sui mass media, si precisa che finora mons. Wesolowski ha usufruito di una relativa libertà di movimento in attesa che la Congregazione per la Dottrina della Fede procedesse a verificare il fondamento delle accuse mosse a suo carico.

Tenuto conto della sentenza ora pronunciata dal summenzionato dicastero, saranno adottati nei confronti dell’ex nunzio tutti i provvedimenti adeguati alla gravità del caso.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Chi costruisce il futuro: in prima pagina, Omar Aboud su Papa Francesco e la preghiera per il Medio Oriente.

La ninna nanna di Dio: messa del Pontefice a Santa Marta.

Avanti oltre gli ostacoli: conclusa la plenaria della Roaco.

Firma di accordo tra Santa Sede e Repubblica di Serbia.

Il sogno di un medico francescano: i cinquant'anni del Policlinico Gemelli, dove oggi pomeriggio Papa Francesco si reca in visita. Il messaggio inviato da Paolo VI (10 luglio 1964) per l'apertura ufficiale della struttura, il suo discorso in qualità di patrono dell'università (5 novembre 1961) e l'omelia pronunciata (17 giugno 1976) in occasione della visita all'ospedale.

Un articolo di Andrea Possieri dal titolo "Quei dilettanti che mandarono il mondo allo sbaraglio": il 28 giugno 1914 l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando.

Nulla da dichiarare?: Carlo Petrini su Helsinki cinquant'anni dopo la storica assemblea della World Medical Association.

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Oggi in Primo Piano



Centrafrica: emergenza umanitaria a Bambara. Appello del vicario generale

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"Occorre subito l’intervento della comunità internazionale, la popolazione ha bisogno di tutto”. E’ il grido d’aiuto lanciato da padre Firmin Gbagoua, vicario generale di Bambari, a 400 chilometri circa da Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Da giorni, nella città divisa in due dal fiume Ouaka, si fronteggiano i ribelli ex Seleka - movimento del leader Djotodia, protagonista a marzo del 2013 di un colpo di Stato - e i miliziani Anti Balaka. Inutile per ora la mediazione dei soldati francesi. La testimonianza di padre Gbagoua raccolta da Gabriella Ceraso

R. – Da lunedì a martedì scorsi, la situazione è molto peggiorata. I ribelli della ex Seleka sono entrati nei quartieri e hanno ucciso circa 100 persone. Da mercoledì la situazione si sta calmando.

D. – E’ possibile mediare tra questi gruppi, secondo lei?

R. – Sì. Abiamo fatto qualcosa, noi religiosi, cioè il vescovo con i suoi sacerdoti, e i musulmani con il loro imam. Il problema è che la Seleka voleva mettere i comandanti a Bambari e il governo non voleva. Purtroppo, la Seleka ha tante armi e continuano a fare tante cose brutte contro la popolazione civile e questo è il problema. Abbiamo provato a parlare con loro, il responsabile dell’amministrazione sta arrivando: siamo venuti all’aeroporto per incontrarlo, a breve ci sarà una riunione…

D. – E’ vero che ci sono non solo morti, ma anche persone che sono scappate e che si sono rifugiate alla cattedrale di Saint Joseph? Qual è la situazione di questa gente?

R. – Da lunedì fino adesso, abbiamo 12 mila persone fuggite per rifugiarsi in cattedrale. La situazione umanitaria è molto difficile…

D. –  Di che cosa avete bisogno?

R. – Mancano i medicinali, manca cibo e poi c’è il problema igienico…

D. – Vuole lanciare un appello attraverso i nostri microfoni?

R. –  Sì! Qui c’è una situazione d’emergenza: vogliamo lanciare questo grido alla comunità internazionale perché tenga conto di questa crisi dimenticata. Da quasi due anni, la situazione non va nel senso positivo, e dunque chiediamo che la comunità internazionale faccia pressione sui ribelli affinché abbandonino le armi. E questo appello è anche in funzione di un aiuto a questa popolazione desolata …

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Sudan: Meriam trova rifugio nell’ambasciata Usa a Khartoum

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È libera, ma non può lasciare il Sudan. È Meriam, la donna cristiana sudanese, condannata alla pena di morte per apostasia, poi annullata, ma in seguito fermata all’aeroporto di Khartoum per irregolarità riscontrate nei documenti dalle autorità locali e infine rilasciata. Al momento la donna, il marito e i loro due figli hanno trovato rifugio nell’ambasciata statunitense della capitale sudanese, in attesa del nulla osta della Corte d'appello che ratifichi l'annullamento della sentenza di condanna. Giada Aquilino ne ha parlato con padre Matthew Remijo, missionario comboniano e vicario generale dell’arcidiocesi di Khartoum: 

R. – Meriam ora si trova nell’ambasciata Usa a Khartoum, con l’idea poi di partire per gli Stati Uniti.

D. – Quali problemi ci sono al momento? Non può ancora lasciare il Paese. Deve aspettare il nulla osta della Corte d’appello che ratifichi l’annullamento della sentenza di condanna...

R. – Credo che questo sia stato uno dei problemi; un altro è che Meriam voleva uscire dal Sudan per andare negli Stati Uniti con un documento del Sud Sudan, mentre lei è sudanese. Quindi, i servizi di sicurezza l’hanno trattenuta all’aeroporto per poi lasciarla libera ieri. Comunque, suo marito è sud sudanese e ha anche la cittadinanza degli Stati Uniti.

D. – Come può essere letta tutta la vicenda di Meriam, che era stata condannata per apostasia, mentre lei si è sempre dichiara cristiana?

R. – Sì, lei è cristiana da sempre. Si chiama Maria. Suo papà era musulmano, ma lasciò la mamma quando Meriam aveva cinque anni, quindi è cresciuta con sua madre nella Chiesa ortodossa. Lei è diventata cattolica quando nel 2011 si è sposata con il marito, che si chiama Daniel Wani.

D. – I cristiani in Sudan che realtà sono?

R. – I cristiani sono la minoranza, soprattutto a Khartoum. La vita per loro è difficile. Finché la religione rimane una questione personale, non c’è problema. Ma nel rapporto con le autorità, per esempio se si richiedono dei documenti, se si ha bisogno di qualcosa a livello ufficiale da parte dello Stato, c’è qualcosa che non si capisce: se tu chiedi qualcosa a nome della Chiesa, non lo ottieni. Sono quasi due anni che i missionari che vengono da fuori non ricevono il permesso di soggiorno: siamo pochi nella Chiesa e c’è tanto da fare.

D. – La popolazione di cosa ha bisogno?

R. – Al momento, c’è bisogno di tutto. C’è tanta gente che torna dal Sud Sudan a causa della guerra. Tante famiglie vengono e si ritrovano senza casa, senza lavoro e soprattutto senza scuola per i loro figli. Questo è uno dei problemi che la Chiesa sta affrontando: cerca di capire come aiutare. Stiamo parlando con le famiglie per mandare i figli a scuola, sia pure alle scuole del governo, dove però non ci sono insegnanti per la religione cristiana.

D. – Ci sono scuole cattoliche in Sudan?

R. – Stiamo cercando di aprire una, due scuole parrocchiali, che siano per tutti: non soltanto per i cristiani, perché la nostra scuola – la scuola della Chiesa – è per tutti, perché tutti hanno bisogno. Crediamo che testimoniare la carità o fare qualcosa di buono risponda alla necessità di tutti, non soltanto di un gruppo, che sia cristiano o no.

D. – Invece, per Meriam, la speranza qual è?

R. – La richiesta della Chiesa alle autorità è sempre stata di guardare questo caso con criteri di giustizia e quindi lasciarla libera. Quando lei è stata in prigione, le hanno chiesto di rinunciare alla propria fede, ma lei ha detto: “Io sono sempre stata cristiana, mai sono stata musulmana. Quindi, non posso rinunciare alla mia fede in Cristo”. Credo che lei sia stata per noi un esempio di fede, una fede straordinaria.

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I cristiani in fuga dalle zone di guerra dell'Iraq

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L'Iraq è ormai invivibile per i civili, soprattutto i cristiani, obiettivo delle violenze dei miliziani islamici. Cristiano Tinazzi ha raccolto la testimonianza di Assan che con la sua famiglia ha lasciato Mosul: 

Assan è uno dei tanti profughi fuggiti da Mosul dopo che l’Isil, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, ha conquistato la città. In molti sono scappati verso zone ritenute più sicure come Bashiqa, una cittadina a maggioranza cristiana nel Governatorato di Ninive. Quanti siete in famiglia?

R. – In this home, we are three families coming from Mosul…
In questa casa vivono tre famiglie provenienti da Mosul: ci sono mio padre e mia madre, mio fratello con la sua famiglia, e la mia. Siamo circa 11 persone in questa casa; con le mie zie arriviamo a 13.

D. - Che lavoro facevi a Mosul?

R. – I am a doctor and also my wife…
Mia moglie ed io siamo dottori. Mio padre, mia madre, mio fratello e sua moglie sono insegnanti.

D. - Perché siete fuggiti?

R. – It is not only for the...
Non fuggono solo gli sciiti, anche i cristiani; perché i cristiani sono i primi in cima alla lista dei perseguitati.

D. - Avete ancora contatti a Mosul? Che cosa vi raccontano?

R. – They tell us that some Christian statues have been destroyed…
Ci hanno detto che sono state distrutte alcune statue cristiane. Abbiamo sentito che alcune case sono state occupate dagli attivisti dell’Isil.

D. – In quali città sono fuggiti i cristiani?

R. – A lot of people go to Karakosh…
Molte persone sono fuggite verso Karakosh, il centro a maggioranza cristiana in Iraq. Alcuni di loro vengono qui. Sa, in questo momento è una città sicura. Non so se gli attivisti dell’Isil arriveranno anche qui, ma ci hanno detto che oggi è stata attaccata anche Karakosh...

D. – Pensate di andare all’estero?

R. – It is difficult for us to leave Iraq…
Per noi è difficile lasciare l’Iraq: io ho un figlio piccolo, anche mio fratello. Noi tutti abbiamo paura per loro e per questo per noi è molto difficile. Gli anziani, come mio padre e mia madre, non vogliono lasciare l’Iraq. Ma i figli hanno un futuro e noi non vogliamo rimanere rischiando di distruggere il loro futuro.

D. – Cosa chiedete alle organizzazioni internazionali?

R. – We don’t know if we have food here, but we need food…
Non so se qui ci sia cibo, ma non è quello di cui abbiamo bisogno: abbiamo soltanto bisogno di un posto sicuro.

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Il gesuita padre Valletti: la morte di Ciro è un fallimento

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All’Auditorium di Scampia continua l’omaggio alla salma di Ciro Esposito, il giovane tifoso del Napoli rimasto ferito a Roma negli scontri tra tifoserie lo scorso 3 maggio, in occasione della finale della Coppia Italia, e morto due giorni fa. I funerali si svolgeranno oggi pomeriggio, e nel frattempo risuonano incessanti gli appelli, soprattutto della famiglia, a evitare qualsiasi atto di vendetta.  L’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, in un messaggio, ha invitato a bandire la violenza dallo sport, mentre pochi giorni fa i vescovi italiani avevano definito la morte di Ciro “il vero fallimento per il calcio italiano”. E’ questo ci dice anche padre Fabrizio Valletti, gesuita di Scampia al microfono di Francesca Sabatinelli: 

R. – E’ un fallimento di educazione e di spirito sportivo. Il calcio italiano è una delle miniere d’affari più grandi e sappiamo che dietro agli affari c’è poi la corruzione, il calcio scommesse e anche tutto un giro di malavita non evidente, ma che negli anni passati molte volte è emerso. E’ uno sport, quindi, malato, ma non per chi lo vuol praticare, perché per esempio, qui a Scampia, noi abbiamo squadre di ragazzi per i quali è sano giocare, è sano divertirsi ed è sano fare sport. Viene però contaminato sia dall’aspetto commerciale, sia dall’aspetto dello spettacolo e della pubblicità, ma soprattutto poi dalla sottolineatura che gli viene data dagli sportivi stessi durante gli eventi, quando ciascuno sfoga forse le sue ansie represse e diventa un po’ come un gladiatore. Assistere oggi ad una partita di calcio è come assistere ad una lotta greco-romana: i calciatori si aggrediscono, cascano per terra, e questo alimenta negli sportivi e negli spettatori un clima di violenza, un clima di aggressione. Non c’è più lo sport per il divertimento. Quello che si sta verificando, quindi, sono queste espressioni dei cosiddetti “Ultras”, espressioni di sub-cultura, che poi danno adito a contaminazioni di tipo politico e ideologico, perché in genere questi gruppi appartengono a varie volontà politiche.

D. – Lei ci diceva come la squadra di calcio a Scampia sia un fenomeno sano, sappiamo che il calcio ha spesso tolto i ragazzi dalle strade delle periferie italiane. Quando, però, poi si ripetono i fenomeni, come purtroppo la morte, e in questo caso quella di Ciro Esposito, questi giovani che ritorno hanno? Quanto li condiziona e quanto li rovina?

R. – Diciamo che lo spirito dei ragazzi è sereno, ed è giusto. Già il modo in cui, però, loro affrontano il calcio è contaminato, perché per molti rappresenta il divismo, l’affermazione, il mito, e per molte famiglie rappresenta pure la possibilità che questi ragazzi diventino dei grandi calciatori e procurino molti soldi. Ma questo è insito anche nei ragazzi: a 13, 14 anni hanno già il loro procuratore. Il presidente di queste scuole calcio è il padrone di questi ragazzi. Addirittura, c’è un fenomeno molto grave, che riguarda la formazione dei piccoli calciatori: molte volte le squadre più grandi organizzano dei gruppi famiglia, dove questi ragazzi studiano e giocano a calcio, con un allenatore, un mister, un tutor che li sorveglia e che li guida. E questo avviene lontano chilometri dalla famiglia. Questi ragazzi, quindi, tornano una volta al mese in famiglia, e sono ragazzi di 14, 15 anni. Questo è un fenomeno gravissimo, provoca una selezione feroce, perché forse uno su diecimila poi arriverà a diventare un professionista. Questa logica è perversa. Quando nello stadio si balla, si canta, si urla e fuori dello stadio ci si mena e ci si picchia, è segno che qualcosa non funziona. E’ un fenomeno, cioè, che sfugge al controllo, anche se poi non è il controllo repressivo che può sanare questa malattia. Bisogna ripensare a come organizzare lo sport a livello di società.

D. - Secondo lei, quindi, tutti i provvedimenti che, regolarmente, vengono presi o minacciati dopo le guerriglie urbane, che ci sono attorno alle partite, Daspo e così via, possono avere una funzione limitata?

R. – Ma certamente, perché il “calcio spettacolo” diventa un gioco d’affari di una proporzione impressionante: gli ingaggi, le vendite, i prestiti, i contratti. Un tempo erano gli attori ad essere il modello di questa grande espansione economica, oggi sono i calciatori. E’ un fenomeno che ha una ragione di filosofia economica. Quindi, penso, veramente, che il fenomeno sia talmente avanti, che nessuno lo fermerà mai. Questo è doloroso. Tra l’altro, quando si riunisce tanta folla, viene la tentazione di sfruttare la folla anche a fini pubblicitari, non solo di stampo commerciale, ma anche politica e ideologica. Cosa che sta succedendo ora, per esempio, per il funerale di questo povero ragazzo.

D. - Le ricadute per Scampia, ora, quali rischiano di essere?

R. – Non c’è alcun rischio. E’ l’evidenziazione di un’emotività, che non ha altro modo di potersi sviluppare ed esprimere, perché non c’è speranza di lavoro, non c’è modo di divertirsi, e si trova appagamento con queste partite. Se poi c’è un atto di violenza come questo, l’esaltazione diventa ancora maggiore. E però anche il dolore può diventare spettacolo. E quando esplode la violenza e si dice che i giovani sono malati, allora si piange. Ma chi li fa essere malati? Chi è che provoca questa esaltazione e questa violenza? Non nasce da sola.

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Omicidio stradale, a che punto è la legge?

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Ravenna, Jesolo, Reggio Emilia, Bologna: 4 bambini in 5 giorni sono stati investiti e uccisi sulle strade italiane. Sono eventi drammatici che fanno tornare d’attualità la possibilità di introdurre il reato di omicidio stradale. Le associazioni che, attraverso un lavoro comune, hanno elaborato una proposta di legge in materia si aspettano una risposta rapida dalle istituzioni. Gianmichele Laino ha intervistato Stefania Guarnieri, presidente dell’Associazione Lorenzo Guarnieri: 

R. - Siamo al punto di attendere che lo Stato italiano faccia qualcosa. Noi chiediamo l’introduzione di questo reato da tre anni: abbiamo raccolto quasi 80 mila firme in pochissimo tempo. Crediamo che forse ancora non si riesca a percepire, nonostante i numeri - e gli ultimi giorni lo dimostrano - la gravità di questo problema. Noi come Associazione “Lorenzo Guarnieri”, insieme a tante altre associazioni, ci occupiamo di sicurezza: occuparsi di sicurezza vuol dire fare tante cose e fra queste anche modificare la legge attuale. Ma bisogna fare anche tante altre cose, perché i casi degli ultimi giorni dimostrano che in molti parti d'Italia abbiamo ancora attraversamenti pedonali realmente poco visibili e quindi bisogna lavorare anche molto sulla prevenzione e su questi aspetti. La nostra proposta si è concentrata su dei casi che sono molto importanti e molto numerosi: quelli cioè di persone che si mettono alla guida in stato di alterazione.

D. - Perché, pur essendo previsto per casi del genere il reato di omicidio colposo, i giudici difficilmente arrivano a infliggere una pena che si avvicini al massimo previsto?

R. - Attualmente, l’aggravante dell’alcool e della droga prevede condanne da 3 a 10 anni. Queste però sono pene teoriche. Sono solo quelle scritte sul Codice penale. Poi, la realtà è diversa: primo perché effettivamente il giudice non parte mai dalla pena massima e poi, in secondo luogo, agiscono tutta una serie di sconti: lo sconto maggiore è quello del rito abbreviato. In questo modo - via via con gli sconti e poi mettiamoci le condizionali - si arriva a delle pene che sono sempre inferiori ai tre anni. Con una pena inferiore ai 3 anni nel nostro Paese non si entra in carcere, perché abbiamo il problema del sovraffollamento delle carceri.

D. - Quali sono i punti salienti della proposta di legge che introdurrebbe nel Codice penale italiano il reato di omicidio stradale?

R. - Ci sono più proposte. La nostra si basa su quattro punti. Il primo è di introdurre proprio una fattispecie nuova che si chiama “omicidio stradale”. Chiediamo - seconda cosa - un aumento delle pene e quindi che si passi dagli attuali 3-10 anni a 8 (la pena minima) a 18 anni (la pena massima). Terzo punto, chiediamo l’arresto in fragranza di reato, che oggi non è previsto, e - quarto punto - l’ergastolo della patente e cioè se la persona o ubriaca o drogata uccide guidando, non deve più guidare. Oggi, invece, perché la patente sia ritirata in modo definitivo una persona deve uccidere due volte in due episodi distinti.

D. - Il primo firmatario della proposta di legge è il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Siete fiduciosi che questa vostra battaglia riesca ad andare in porto?

R. - Matteo Renzi ha firmato quando era sindaco di Firenze: la proposta è partita qui, da Firenze. E’ stata lanciata da noi, dall’Asaps (Associazione amici e sostenitori della polizia stradale)  e dall’Associazione Gabriele Borgogni. Poi, il caso ha voluto che Matteo Renzi diventasse presidente del Consiglio e quindi ci sono le condizioni migliori. Ecco perché questa proposta possa andare avanti. Quest’anno qualche cosa ci aspettiamo. Noi vogliamo credere che una legge ci sarà…

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Convegno Pax romana: portare lo spirito cristiano nei luoghi di lavoro

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“Per una Chiesa in uscita – Prospettive laiche nel futuro della Chiesa”. E’ stato il tema dell’ incontro promosso da "Pax Romana", che si è svolto ieri a Roma. All'incontro hanno partecipato i delegati  internazionali di questo movimento che vuole riunire tutti quegli intellettuali cattolici, sia del mondo universitario sia dell’ imprenditoria, che mettono Cristo al centro della loro vita lavorativa. Ma quanto è importante un lavoro di rete tra di loro? Marina Tomarro lo ha chiesto a Roberto Cipriani, tra i rappresentanti italiani di "Pax Romana": 

R. – E’ fondamentale, perché io riesco a capire quello che succede in Canada, quello che succede negli Stati Uniti o in Asia. E’ una sorta di osservatorio: avere una osservazione comparativa di tutta la realtà universale della Chiesa.

D. – Quanto oggi può essere complicato portare proprio il Vangelo nelle aule universitarie per lei, ma anche negli altri luoghi di lavoro per quanto riguarda gli imprenditori…

R. – Certo, è difficile. Un esponente di "Pax Romana" a livello irlandese ha ricordato che è stato al parlamento a parlare ai parlamentari finalmente dichiaratisi cattolici, senza vergognarsi. Dunque, un fatto nuovo rispetto al passato. Un fatto nuovo che è possibile realizzare nelle misure in cui si assume coraggio e si sottolinea la propria identità, chiarendo dei proprio punti di vista e dei proprio valori di riferimento.

E il valore di riferimento più grande per ogni cristiano è proprio quello di essere fedeli a Cristo. Ascoltiamo a questo proposito la riflessione del segretario generale di "Pax Romana", Philippe Ledouble:

“Essere cristiano non è solo annunciare il Vangelo, ma essere fedele a Cristo. Ma per essere fedeli a Cristo non si può essere soli: il nostro modo di fare è dire che quando c’è una decisione da prendere - da un punto di vista professionale - di avere un luogo dove si può parlare di queste decisioni, ascoltare il Vangelo e tentare di essere trasformati dal Vangelo per prendere la decisione che siano più nello spirito dell’essere cristiano".

All’incontro era anche presente Rita Pilotti, presidente nazionale della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana. Ascoltiamo il suo commento:

“Questa è una tappa intermedia di un cammino di dialogo, di confronto che va avanti e che trova linfa vitale, tanto più adesso con l’Evangelii Guadium e con la ricorrenza anche del 50.mo del Concilio Vaticano II. Però, è un cammino che va avanti e che forse si proietta ancora di più verso il futuro: ci chiede proprio di guardare al futuro con lungimiranza e quindi di avere uno sguardo lungo e anche la capacità di investire su quei progetti coraggiosi di dialogo, di vita comune, di guardare una Chiesa che sia sempre più in grado di mettere in connessione le persone”.

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Rome in progress, il campo estivo per giovani volontari

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Per fare volontariato, non c’è bisogno di andare lontano. Nasce con questo spirito il campo estivo di solidarietà “Rome in progress”, organizzato dall’Associazione "Nuove Vie per il Mondo Unito", in collaborazione con "Teens for Unity". Il progetto è rivolto a ragazzi dai 14 ai 18 anni che svolgeranno attività di volontariato e seguiranno dei workshop tenuti da esperti. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Franco Magno, uno degli organizzatori: 

R. – Abbiamo voluto mettere in pratica quello che ha detto il Papa a proposito delle periferie. E quindi, abbiamo tutte le mattine un’attività sociale: andiamo alla Caritas, andiamo in una casa famiglia e puliamo dei locali che verranno adibiti a doposcuola per i ragazzi. La peculiarità, dunque, è questa: la mattina facciamo attività e il pomeriggio facciamo workshop, gare e altro.

D. – L’obiettivo è quello di sviluppare nei ragazzi un senso di cittadinanza attiva...

R. – Assolutamente sì. Noi, infatti, il pomeriggio avremo workshop tenuti da specialisti e, in particolare, verrà un autore, Franz Coriasco, che ci presenterà la figura di Chiara Luce, che è stata recentemente proclamata Beata.

D. – La caratteristica di questo campo estivo è quella della residenzialità. Sono, quindi, ragazzi di Roma, che offrono il loro aiuto nella propria città...

R. – Sì, noi abbiamo voluto farlo a Roma, in città, anche se ovviamente sarebbe stato preferibile un posto più fresco, proprio perché volevamo incidere nella nostra città. I ragazzi infatti vengono – tranne piccole eccezioni – da Roma e sono ragazzi che sono stati invitati tramite amicizie, scuole e professori. Ovviamente, è la rete di Ragazzi per l’unità che noi, come movimento, abbiamo.

D. – Alla fine di questo campo estivo, qual è il bagaglio umano, culturale che si porteranno dietro questi ragazzi?

R. – Noi abbiamo cercato di dare vari messaggi. Per esempio, domenica, il campo estivo si trasferirà a Colleferro, dove dedicheremo la giornata alla legalità, in collaborazione con l’Associazione Libera e con il Movimento dei Focolari, che si occupa della legalità. Noi vorremmo dare ai ragazzi dei messaggi positivi, ma soprattutto non darli parlando, ma darli facendoglieli vivere, cioè vivendo con loro tutto quello che di positivo ci può essere: si gioca insieme, quindi, si fa volontariato insieme, si mangia insieme. Dovremo trasmettere i messaggi positivi più con la vita e meno con le parole.

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Giornata di santificazione sacerdotale: prima essere, poi fare

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In occasione della Festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, si celebra da molti anni la Giornata di santificazione sacerdotale, occasione preziosa per ravvivare nei sacerdoti la consapevolezza del dono ricevuto. La Congregazione per il Clero esorta con una lettera i vescovi a promuovere nelle diocesi un momento di preghiera per i presbiteri, ricordando quanto ha detto Papa Francesco: “Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze”. Sulla Giornata di oggi, Adriana Masotti ha sentito don Hubertus  Blaumeiser, responsabile del Centro sacerdotale del Movimento dei Focolari: 

R. – E' una Giornata che sottolinea qualcosa di molto importante nel sacerdozio ministeriale. Sappiamo che il ministero è il servizio al Popolo di Dio attraverso i Sacramenti, l’annuncio della Parola, è il servizio alla comunione dalla comunità. Quindi tutta un’azione, però prima di questa azione, prima del fare, ci deve essere la vita: prima del ministero dei servizi da svolgere, ci deve essere l’essere del sacerdote. La Giornata di santificazione sottolinea appunto questo: il sacerdote deve essere intero, solo così è credibile.

D. – Che cosa si intende per questo essere, per questa interezza?

R. – Essere vuol dire, innanzi tutto, essere una persona che vive il Vangelo, un testimone. Essere discepolo, prima di essere ministro. In questo modo Gesù aveva pensato fin dall’inizio i suoi sacerdoti, quando affida a Pietro il suo popolo gli chiede: “Mi ami più di costoro?”. Quando invia gli Apostoli, prima di lasciarli nell’ultima cena, dice: “Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri”. Essere vuol dire vivere il Vangelo della carità, vivere il Vangelo della donazione reciproca. C’è un’espressione molto bella del Curato d’Ars che dice: “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”. Allora, qui si capisce come mai questa Giornata si sia legata proprio alla solennità del Sacro Cuore di Gesù.

D. – Papa Francesco ha in mente proprio una Chiesa rinnovata e più vicina al Vangelo. Spesso sollecita i sacerdoti, i vescovi ad una profonda conversione… Continui sono i suoi richiami alla coerenza, alla semplicità, alla prossimità con la gente. Come accoglie lei, insieme ai sacerdoti con cui vive, queste sollecitazioni?

R . – Noi siamo molto grati al Papa di questo richiamo che ci porta continuamente all’essenziale, che ci porta a donarci veramente a tutte le persone, a non rischiare mai di essere funzionari, a non cercare il proprio bene, il proprio interesse, il carrierismo, ma essere veramente dei pastori, persone con una grande dedizione, una grande donazione appassionata. E il bello del Papa è che lui non solo parla di questo, ma innanzi tutto lo testimonia con i fatti. Un altro aspetto è quello che il sacerdote – il Papa ne ha parlato recentemente a Cassano – è chiamato a vivere una grande fraternità, a essere unito con gli altri ministri, con il vescovo, con i laici. Il Papa a Cassano ricordava appunto la Parola di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli”, una parola che Gesù ha detto a tutti, ma prima di tutto per i Dodici, prima di tutto per i suoi ministri.

D. – Sappiamo quanto male fa alla Chiesa il comportamento sbagliato di alcuni sacerdoti, ad esempio i casi di pedofilia, o a volte di truffe… Che cosa dire quando avvengono questi fatti e che cosa possono fare i fedeli perché i sacerdoti siano di più quello che devono essere?

R. – Innanzi tutto, penso che dobbiamo esser molto umili. Quando si verificano questi fatti, non dobbiamo nasconderli, ma riconoscerli, metterci in un atteggiamento di conversione, e il Papa ci richiama a questo. La prima cosa da fare è una grande preghiera. Questa Giornata non è infatti solo di santificazione dei sacerdoti, ma è una giornata di preghiera per la santificazione. Noi sacerdoti abbiamo bisogno che il popolo preghi per noi, perché ciascuno faccia la propria parte, perché ci impegniamo ma perché anche Dio ci doni la grazia della fedeltà e dell’autenticità. La migliore risposta a queste situazioni molto tristi e molto dolorose è una conversione ed una vita autentica.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. Appello di mons. Moshe alla comunità internazionale: Salvateci!

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Qaraqosh è quasi una città fantasma. Più del 90% degli oltre 40mila abitanti, quasi tutti cristiani appartenenti alla Chiesa siro-cattolica - riferisce l'agenzia Fides - sono fuggiti negli ultimi due giorni davanti all'offensiva degli insorti sunniti guidati dai jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil), che sottopongono l'area urbana al lancio di missili e granate.

Tra i pochi rimasti in città ci sono l'arcivescovo di Mosul dei Siri, Yohanna Petros Moshe, alcuni sacerdoti e alcuni giovani della sua Chiesa, che hanno deciso di non fuggire. Nel centro abitato, nelle ultime due giornate, sono arrivate armi e nuovi contingenti a rafforzare le milizie curde dei Peshmerga che oppongono resistenza all'avanzata degli insorti sunniti. L'impressione è che si stia preparando il terreno per lo scontro frontale.

Nella giornata di ieri, l'arcivescovo Moshe ha tentato una mediazione tra le forze contrapposte con l'intento di preservare la città di Qaraqosh dalla distruzione. Per il momento, il tentativo non ha avuto esito. Gli insorti sunniti chiedono alle milizie curde di ritirarsi. I Peshmerga curdi non hanno alcuna intenzione di consentire agli insorti di avvicinarsi ai confini del Kurdistan iracheno.

In questa situazione drammatica, da Qaraqosh l'arcivescovo Moshe attraverso l'agenzia Fides vuole lanciare un pressante appello umanitario a tutta la comunità internazionale: “Davanti al dramma vissuto dal nostro popolo” dice l'arcivescovo, “mi rivolgo alle coscienze dei leader politici di tutto il mondo, agli organismi internazionali e a tutti gli uomini di buona volontà: occorre intervenire subito per porre un argine al precipitare della situazione, operando non solo sul piano del soccorso umanitario, ma anche su quello politico e diplomatico. Ogni ora, ogni giorno perduto, rischia di rendere tutto irrecuperabile. Non si possono lasciar passare giorni e settimane intere nella passività. L'immobilismo diventa complicità con il crimine e la sopraffazione. Il mondo non può chiudere gli occhi davanti al dramma di un popolo intero fuggito dalle proprie case in poche ore, portando con sé solo i vestiti che aveva addosso”.

L'arcivescovo siro cattolico di Mosul delinea con poche vibranti parole la condizione particolare vissuta dai cristiani nel riesplodere dei conflitti settari che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell'Iraq: “ Qaraqosh e le altre città della Piana di Ninive sono state per lungo tempo luoghi di pace e di convivenza. Noi cristiani siamo disarmati, e in quanto cristiani non abbiamo alimentato nessun conflitto e nessun problema con i sunniti, gli sciiti, i curdi e con le altre realtà che formano la Nazione irachena. Vogliamo solo vivere in pace, collaborando con tutti e rispettando tutti”. (R.P.) 

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Andrea Riccardi: "Salviamo i cristiani dell'Iraq"

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“Fare tutto il possibile e in fretta per porre fine alla spirale di violenza che sembra perseguire l’obiettivo di spaccare l’Iraq in diverse parti e di cancellare la millenaria presenza dei cristiani nel Paese mediorientale”. E’ il drammatico allarme lanciato dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi in seguito al precipitare della situazione in Iraq dove, dopo la presa di Mosul, all’inizio di giugno, le milizie dell’Isis (il cosiddetto Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), appoggiate da altri gruppi, hanno iniziato il bombardamento della città di Karakosh.

Nelle prossime ore si teme inoltre l’invasione da parte degli estremisti non solo della città di Karakosh, ma dell’intera piana di Ninive, regione fino a poco tempo fa relativamente tranquilla, dove vive circa la metà dei cristiani che sono rimasti in Iraq. L’esplosione di violenza estremista rischia non solo di mettere fine definitivamente ad un progetto di integrazione religiosa e di sviluppo sociale, basato sulla convivenza e la collaborazione fra cristiani e musulmani, che era un modello per tutto il Paese, ma anche di far sparire definitivamente i cristiani dalla carta geografica irachena.

Di qui l’allarme lanciato ancora una volta dal prof. Andrea Riccardi, che chiede un soprassalto di responsabilità alla comunità internazionale e al governo iracheno. Riccardi si rivolge anche alle agenzie umanitarie perché “intervengano sollecitamente in soccorso delle popolazioni in fuga, che si trovano nel Kurdistan: la situazione umanitaria sta diventando drammatica. Occorre agire subito!”.

Sono in corso combattimenti tra le milizie curde peshmerga, poste a difesa della città e dei villaggi della piana di Ninive e gruppi estremisti sunniti; numerose sono le vittime. La popolazione di Karakosh è in fuga dalla città devastata dai colpi di mortaio. Fonti locali riferiscono che 40.000 persone (quasi l’intera popolazione della città, che conta 50.000 abitanti, per lo più cristiani siri) sono entrate in queste ore in Kurdistan e si trovano ad Ankawa e nella capitale Erbil. Le immagini che giungono sono drammatiche. Migliaia di persone, famiglie, bambini, sono accampate nelle strade e negli edifici pubblici. Gli sfollati da Karakosh si sono aggiunti alle centinaia di migliaia di profughi degli ultimi mesi dalla Siria (circa 250.000 persone) e ai profughi più recenti dalla città e dalla zona di Mosul (circa 500.000 persone). La situazione umanitaria nel Kurdistan iracheno (che conta circa sei milioni di abitanti) è sempre più difficile. E’ una vera emergenza. (R.P.)

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Colombia: appello della Chiesa ai colloqui di pace

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Alla conclusione di una riunione della Commissione di Conciliazione Nazionale (Ccn), che è guidata dalla Chiesa cattolica, mons. José Daniel Falla Robles, vescovo ausiliare di Cali e segretario generale della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), ha lanciato un appello perché i colloqui di pace in corso a L'Avana, Cuba, tengano conto di tutte le vittime assicurando un indennizzo equo.

"E' facile decidere politiche e accordi senza guardare la persona, ma la chiave è il dolore della persona. Chi ha compiuto qualche atto di terrorismo deve capire il dolore che ha causato, ogni atto riveste una grande responsabilità sociale" ha detto mons. Falla, secondo la nota inviata all'agenzia Fides. "Faccio un appello perché si tengano in considerazione tutti coloro che soffrono e anelano ad una nazione riconciliata" ha detto il presule. "Ci piacerebbe che sul tavolo delle trattative a Cuba ci fosse sincerità per tutto ciò che riguarda un veloce negoziato di pace. La cosa migliore per il nostro Paese è deporre le armi e cominciare a costruire la pace, e ci deve essere una grande trasparenza".

Il vice Presidente dell’attuale governo colombiano, Angelino Garzon, che ha partecipato a questo incontro invitato dalla Ccn, parlando alla stampa ha dichiarato: "Noi tutti dobbiamo ascoltare questa terza voce così autorevole, come è la voce della Chiesa cattolica e del Ccn, in quanto il Paese ha bisogno di proposte di dialogo e di riconciliazione nazionale".

La Chiesa cattolica non partecipa al tavolo dei colloqui di pace a Cuba, ma è diventata la voce di riferimento della comunità nazionale per ciò che riguarda la difesa dei sofferenti e delle vittime di questa guerra fratricida. (R.P.)

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Argentina, aperta la Settimana sociale incentrata su Papa Francesco

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Con uno spazio dedicato ai giovani, si è aperta oggi nella città argentina di Mar del Plata la “Settimana sociale”. Evento di grande prestigio e diffusione che organizza da oltre vent’anni la Commissione episcopale di pastorale sociale, ha suscitato in questa occasione particolare interesse perché incentrato su “Papa Francesco e la questione sociale”. Partecipano vescovi e sacerdoti impegnati nel settore, dirigenti politici di diverse estrazioni, operatori sociali, sindacalisti ed altri esponenti. La Commissione è da tempo impegnata nella formazione dei giovani e a loro sono stati affidati i due primi argomenti dell’incontro: l’opportunità di evangelizzazione attraverso la partecipazione e il Papa e la questione sociale latinomericana. Sul tema centrale è previsto l’intervento del presidente della Commissione, mons. Jorge Lozano, del capo di gabinetto del governo, Jorge Capitanich, e del governatore della provincia di Buenos Aires, Daniel Scioli, uno dei candidati per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Gli oltre 40 espositori affronteranno argomenti di scottante attualità in Argentina e anche in altri Paesi latinoamericani, quali il rischio di tossicodipendenza per i giovani dei settori più emarginati, la ludopatia, il lavoro nero, il traffico di persone e l’anzianità abbandonata. L’esame, con lo sguardo di Papa Francesco, delle principali sfide per lo sviluppo integrale, è uno dei temi in agenda di particolare interesse sul quale sono previsti importanti interventi. I dibattiti nell’ambito dei diversi gruppi di lavoro proseguiranno fino a domenica prossima, quando la “Settimana” concluderà con una Messa e con la lettura delle conclusioni e del messaggio finale. Quando era arcivescovo di Buenos Aires e nel periodo in cui ha presieduto la Conferenza episcopale argentina, Jorge Mario Bergoglio ha sempre seguito da vicino e con grande attenzione l’impegno della Commissione di pastorale sociale. (A cura di Francesca Ambrogetti)

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Vescovi francesi sul caso Lambert: "Atto grave procurare la morte"

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“Vincent Lambert non è in fin di vita” e “fintanto che la persona non è in fin di vita e che la sua alimentazione e la sua idratazione sono più utili che dannosi per lui, il fatto di fermarli diventa un atto grave in quanto condurrà inevitabilmente e deliberatamente alla sua morte”. Importante presa di posizione quella ribadita da mons. Michel Aupetit, vescovo di Nanterre, medico e membro del Consiglio famiglia e società della Conferenza episcopale francese, in merito alla decisione del Consiglio di Stato di fermare il trattamento di alimentazione e idratazione su Vincent Lambert. Decisione che per il momento è stata sospesa dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo.

In una riflessione pubblicata sul sito della Conferenza episcopale francese, il vescovo Aupetit afferma: “Bisogna tenere conto che il caso di Vincent Lambert è un caso particolare sul quale è difficile legiferare. Ci sono 1.500 persone nel suo stesso stato. Ciò che si deciderà per lui, potrà avere un impatto anche su questi altri pazienti? Si è voluto lasciare ai giudici la decisione finale. Ora se ai giudici spetta il compito di dire ciò che afferma il diritto, essi però non hanno autorità per definire ciò che è bene o male”.

“La Chiesa - prosegue il vescovo - portatrice di vita e di dignità, ritiene che un paziente in stato vegetativo permanente sia una persona, con la sua dignità fondamentale alla quale si devono procurare cure ordinarie e proporzionate che comprendono, in linea generale, anche la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali”.

Si esprime sul caso anche mons. Marc Aillet, vescovo di Bayonne, Lescar et Oloron: “È la nostra società - scrive in un comunicato - ad essere in uno stato semi-relazionale e non le persone come Vincent Lambert che attendono al contrario un sussulto di amore. Mi rivolgo ai medici, agli operatori sanitari e a tutti coloro che fanno parte di questa catena di solidarietà che ci lega gli uni agli altri, soprattutto alla fine della nostra esistenza. Siate testimoni della vita, considerate attentamente i limiti dell’accanimento terapeutico e procedete alla somministrazione delle cure palliative. La questione della morte non si risolve con la morte, ma con la vita!”. (R.P.)

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International Catholic Film Festival a "Un Dios prohibido"

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È andato a “Un Dios prohibido”, nel quale lo spagnolo Pablo Moreno racconta il martirio di 51 religiosi claretiani all’inizio della guerra civile spagnola (1936), uccisi solo perché rifiutano di rinunciare a Dio e al loro abito sacerdotale, il titolo di miglior film dell’International Catholic Film Festival-Mirabile Dictu. La manifestazione, ideata dalla cineasta Liana Marabini per dare spazio a produttori e registi di opere che promuovono valori morali universali e modelli positivi, si è conclusa ieri sera a Roma con la proclamazione dei vincitori.

Le riprese nel 1896 di Papa Leone XIII che passeggiava nei Giardini Vaticani e, l’anno successivo, dello stesso Pontefice che impartiva la benedizione segnano “l’inizio quasi assoluto del legame tra la Chiesa e il cinema”, ha osservato il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura che fin dalla nascita del premio nel 2010 gli ha accordato l’Alto patronato. Un legame “sempre continuato in maniera implicita, per mezzo di grandi registi, con i loro film simbolici, che senza essere necessariamente legati alla fede” si interessavano “dei temi religiosi, come Bresson, Tarkovskij, Dreyer, Bergman e persino quelli che ne erano lontani, come Buñuel”.

Tra i “protagonisti” delle opere premiate anche Madre Teresa di Calcutta e Celestino V. A presiedere la giuria è stato quest’anno il produttore austriaco Norbert Blecha. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 178

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.