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Sommario del 25/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il cristiano appartiene alla Chiesa. Nessuno è battitore libero

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Essere cristiano significa appartenere alla Chiesa, “una grande famiglia” nella quale “grazie ai fratelli e insieme ai fratelli incontriamo Cristo”. E’ una tentazione pericolosa pensare di salvarci da soli, di essere “cristiani di laboratorio”. Questo il cuore della seconda catechesi che il Papa, in questo mercoledì piovoso a Roma, ha dedicato alla Chiesa all’udienza generale. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Oltre trentamila fedeli sotto un cielo plumbeo e improvvisi scrosci di pioggia hanno assistito all’udienza del Papa in Piazza San Pietro. Altri, gli ammalati, l’hanno seguita dall’aula Paolo VI. E’ l’ultima, prima della pausa di luglio, ed è incentrata sull’importanza per il cristiano di appartenere ad un popolo, la Chiesa. Un concetto che il Papa fissa subito con un immagine incisiva, su cui torna più volte:

“Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio, no: la nostra identità cristiana è appartenenza! Siamo cristiani perché noi apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa”.

Un’appartenenza che, “è bello notare”, prosegue Francesco è espressa nel nome stesso di Dio, che a Mosè, si definisce come Dio dei Padri - di Abramo, Isacco, Giacobbe - e ci chiama a entrare in questa relazione, che, dunque, ci precede e che ci viene trasmessa:

“Nessuno diventa cristiano da sé. Non si fanno cristiani in laboratorio. Il cristiano è parte di un popolo che viene da lontano”.

E questo popolo, si chiama Chiesa:

“Se noi crediamo, se sappiamo pregare, se conosciamo il Signore e possiamo ascoltare la sua Parola, se lo sentiamo vicino e lo riconosciamo nei fratelli, è perché altri, prima di noi, hanno vissuto la fede e poi ce l’hanno trasmessa, la fede l’abbiamo ricevuta dai nostri padri, dai nostri antenati, e loro ce l’hanno insegnata”.

Possono essere i genitori che chiedono per noi il Battesimo, i nonni che ci insegnano a fare il segno della croce, un parroco o una suora che ci trasmette le fede. Questa è la Chiesa, "una famiglia nella quale si viene accolti”, “grazie e insieme alla quale”, sottolinea il Papa, ”si impara a vivere da credenti”. Non esiste quindi il “fai da te nella Chiesa” come non esistono, aggiunge Francesco, “battitori liberi”:

“Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”.  Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde”

 E’ vero che "camminare insieme è impegnativo" e a volte faticoso, osserva Francesco, ma “è nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, con i loro doni e i loro limiti, che il Signore ci viene incontro e si fa riconoscere. E questo significa appartenere alla Chiesa”. Da qui l’invocazione finale alla piazza:

“Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo con nella Chiesa e non possiamo essere buoni cristiani se non insieme a tutti coloro che cercano di seguire il Signore Gesù, come un unico popolo, un unico corpo e questo è la Chiesa. Grazie”.

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Chiesa Brasile. Papa ristruttura Provincia di Cuiabá

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In Ucraina, Papa Francesco ha concesso il suo assenso all'elezione canonicamente fatta dal Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina del Reverendo Sac. Hryhoriy Komar, al presente Protosincello dell'Eparchia di Sambir-Drohobych degli Ucraini, all'ufficio di ausiliare della medesima circoscrizione, assegnandogli la sede titolare di Acci. Il Rev.do Hryhoriy Komar è nato 11 19 giugno 1976 a Letnya, nella provincia di Drohobych della regione di Lviv (Ucraina). Ha ricevuto la formazione sacerdotale presso ii Seminario Maggiore di Ivano-Frankivsk ed è stato ordinato presbitero nell'Eparchia di Sambir-Drohobych il 22 aprile 2001. Per alcuni mesi, è stato collaboratore del Seminario Maggiore di Drohobych e della Parrocchia della Santissima Trinità nella medesima città. In seguito ha proseguito gli studi presso il Pontificio Istituto Orientali a Roma, dove nel 2003 ha conseguito la Licenza in Teologia orientale.

Da allora, ricopre gli incarichi di Vicerettore e di Economo del Seminario Maggiore di Drohobych, dove è anche docente. Allo stesso tempo, è collaboratore di alcune parrocchie a Stebnyk e a Drohobych. Dal marzo 2012 è Protosincello eparchiale. Oltre all'ucraino, parla il russo, il polacco, l'inglese e l'italiano.

 

In Brasile, il Papa ha ristrutturato la Provincia ecclesiastica di Cuiabá sopprimendo la diocesi di Guiratinga e spartendo il suo territorio tra le circoscrizioni ecclesiastiche di Rondonópolis, Barra do Garças e Paranatinga; erigendo canonicamente la diocesi di Primavera do Leste – Paranatinga e modificando la denominazione della diocesi di Rondonópolis in Rondonópolis – Guiratinga  Dati statistici della diocesi di Primavera do Leste – Paranatinga: Superficie: 98.056 km² Popolazione: 170.000 abitanti Cattolici: 127.500 Parrocchie: 17 Sacerdoti diocesani: 15 Sacerdoti religiosi: Seminaristi Maggiori: 9 10 Suore: 22 I municipi della nuova circoscrizione ecclesiastica sono 12: Campinápolis, Campo Verde, Chapada dos Guimarães, Gaúcha do Norte, Jarudoré, Nova Brasilândia, Novo São Joaquim, Paranatinga, Planalto da Serra, Poxoréu, Primavera do Leste e Santo Antônio do Leste. Dati statistici della diocesi di Rondonópolis – Guiratinga: Superficie: 53.406 km² Popolazione: 327.000 abitanti Cattolici: 255.500 Parrocchie: 19 (+ 1 Quasi Parrocchia) Sacerdoti diocesani: 25 Sacerdoti religiosi: Seminaristi Maggiori: 7, 9 Suore: 47 I municipi della nuova circoscrizione ecclesiastica sono 13: Alto Araguaia, Alto Garças, Alto Taquari, Dom Aquino, Guiratinga, Itiquira, Jaciara, Juscimeira, Pedra Preta, Rondonópolis, São José do Povo, São Pedro da Cipa e Tesouro. Dati statistici della diocesi di Barra do Garças: Superficie: 64.236 km² Popolazione: 155.000 abitanti Cattolici: 124.000 Parrocchie: 18 Sacerdoti diocesani: 23 Sacerdoti religiosi: Seminaristi Maggiori: 7 3 Suore: 12 I municipi della nuova circoscrizione ecclesiastica sono 13: Água Boa, Araguaiana, Araguainha, Barra do Garças, Canarana, Cocalinho, General Carneiro, Nova Nazaré, Nova Xavantina, Pontal do Araguaia, Ponte Branca, Ribeirãozinho e Torixoréu.

Come primo vescovo, il Papa ha nominato mons. Derek John Christopher Byrne, della Società di S. Patrizio, finora vescovo di Guiratinga. Il presule è irlandese, nato a Dublino, il 17 gennaio 1948. Il 1º ottobre 1969 ha emesso la professione religiosa nella Società di San Patrizio per le Missioni Estere ed è stato ordinato sacerdote il 9 giugno 1973. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici in Irlanda ed ha seguito corsi di perfezionamento in Teologia ed in diversi settori della cultura sia prima che dopo l’ordinazione sacerdotale. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale (1974-1976) e poi Parroco nella Parrocchia “Nossa Senhora do Monte Serrate” a Cotia, diocesi di Osasco, Brasile (1977-1980); Decano Foraneo della Forania “São Roque” nella diocesi di Osasco (1977-1980); Membro del Promotion Team a Cliffside Park, New Jersey, U.S.A. (1980-1982); Superiore della Society House, Cliffside Park, New Jersey (1982-1990); Assistente del Superiore Provinciale per gli Stati Uniti d’America (1982-1987); Superiore Provinciale in U.S.A. (1987-1990); Membro del Consiglio Generale, Kiltegan, Co. Wicklow, Irlanda (1990-2002); Parroco della Parrocchia “Santo Antônio” a Castanheira, diocesi di Juína, Brasile (2004-2008); Membro del Collegio dei Consultori della diocesi di Juína (2004-2008). Il 24 dicembre 2008 è stato nominato Vescovo di Guiratinga, ricevendo l’ordinazione episcopale il 22 marzo 2009.

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P. Lombardi: chiarimenti su Legionari e Francescani dell'Immacolata

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Un chiarimento sulla situazione di due Istituti, i Francescani dell’Immacolata e i Legionari di Cristo. È quello fornito dal direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in seguito ad alcune domande rivoltegli dai giornalisti.

Per quanto riguarda i Francescani dell’Immacolata, padre Lombardi – su informazioni pervenutegli dal segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di vita apostolica – ha riferito che sia “il Commissario, P. Volpi, che tutti i seminaristi dei Francescani dell’Immacolata sono stati ricevuti dal Santo Padre lo scorso 10 giugno, presso la Casa Santa Marta”. Un gesto, sottolinea padre Lombardi, “che dimostra l’interesse con il quale il Papa Francesco segue la situazione dei Francescani dell’Immacolata e la sua vicinanza al lavoro che il Commissario sta svolgendo a nome della Congregazione per la Vita consacrata e le Società di Vita apostolica”.

Papa Francesco, ha precisato ancora padre Lombardi, “viene informato puntualmente di tutti i passi che si compiono. In questo momento si cerca una casa a Roma, dove possano abitare i frati studenti di detto Istituto che frequenteranno una Università Pontificia di Roma per proseguire i loro studi”.

Sulla situazione dei Legionari di Cristo, padre Lombardi ha detto che come previsto, con la celebrazione del Capitolo generale l’Istituto “è ritornato alla competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Con questo passaggio – ha aggiunto – è terminato il lavoro del Delegato Apostolico”.

Inoltre, “come gesto di vicinanza fraterna, il Prefetto e il Segretario del Dicastero il giorno 3 luglio si recheranno alla Sede centrale dei Legionari per commentare personalmente alcune correzioni che dovranno essere apportate al testo delle Costituzioni presentato al Dicastero e per comunicare il nome dell’Assistente Pontificio”. Le correzioni al testo delle Costituzioni, ha spiegato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, “sono veramente poche”, mentre riguardo alla figura dell’Assistente, “sarà – come era già previsto – un religioso, che conosce i Legionari e potrà essere di aiuto al Consiglio generale su temi giuridici ed altri, a seconda delle necessità. Si noti – ha sottolineato padre Lombardi – che si tratta di un Assistente, non di un Visitatore o di un Commissario o Delegato. L’Assistente non ha voce né voto; è soltanto un assessore. La sua figura era già prevista prima del Capitolo generale”.

Il Governo generale dei Legionari, ha poi concluso padre Lombardi, “si era recato in Congregazione dopo il Capitolo per incontrare il Prefetto e il Segretario. In quella occasione il Direttore generale aveva manifestato il desiderio di ricevere presso la loro sede il Prefetto e il Segretario del Dicastero. Ecco il motivo per il quale il giorno 3 luglio il Cardinale João Braz de Aviz e l’Arcivescovo Mons. José Rodríguez Carballo si recheranno dai Legionari”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il nome e il cognome del cristiano: la catechesi di Papa Francesco durante l’udienza generale.

Emergenza umanitaria in Iraq: più di un milione gli sfollati mentre il premier Al Maliki esclude il piano per un Governo di unità nazionale.

Ferdinando Cancelli sull’autonomia a senso unico, nelle riflessioni su inizio e fine vita.

Il segreto del barrio Flores: in un'intervista di Silvia Guidi, Omar Abboud, presidente delll’Istituto del Dialogo interreligioso di Buenos Aires, racconta la sua amicizia con Jorge Mario Bergoglio.

Dov’è tuo fratello schiavo e scartato?: Su abusi, violenze e sfruttamento, anticipazione dell’intervento di Guzmán Carriquiry Lecour, segretario incaricato della vicepresidenza della Commissione Pontificia per l’America Latina, all’annuale convegno del Dignitatis Humanae Institute.

Tremila testimoni nel castello di Haemi: da Daejeon, Cristian Martini Grimaldi sulle persecuzioni dei cattolici nella regione coreana di Chungchong.

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Oggi in Primo Piano



Alleanza qaedista tra i gruppi ribelli di Iraq e Siria

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Preoccupa la comunità internazionale l’alleanza tra i miliziani qaedisti siriani del Fronte Al Nusra con i guerriglieri jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante. Un’intesa che arriva in un momento di grande instabilità per i due Paesi. Il premier iracheno, Al Malik,i ha inoltre escluso la creazione di un governo di unità nazionale come richiesto dagli Stati Uniti. Sul patto raggiunto tra i due gruppi, Benedetta Capelli ha chiesto un commento ad Alessandro Corneli, già docente di Storia delle relazioni internazionali alla Luiss di Roma: 

R. – A me pare che questo conflitto locale che si sta svolgendo ai confini tra l’Iraq e la Siria faccia parte di uno scenario più ampio, che ha visto il fallimento del tentativo dell’Arabia Saudita di far cadere il regime siriano di Assad e questo ha quindi ridato spazio alle organizzazioni sciite, che si appoggiano non soltanto sulla Siria ma soprattutto sull’Iran. Questo è il grande scenario che mi pare si stia delineando in Medio Oriente: fallimento della politica dell’Arabia Saudita di egemonizzare, di creare una "cortina sanitaria" – come si dice tradizionalmente – intorno all’Iran, per isolarlo, e viceversa, non essendo riuscito questo tentativo, l’Iran sta uscendo in forza come potenza, dalla quale non si può prescindere.

D. – Questi due gruppi esprimono un’ideologia qaedista, ma per mesi si sono combattuti. Allora, che cosa è cambiato in questi giorni?

R. – Difficile, dirlo. Probabilmente, c’è da una parte una volontà di affermarsi come struttura bene organizzata nei confronti di tutti gli altri tentativi organizzati, sia in Siria che in Iraq, di gruppi che invece hanno dimostrato di non avere questa capacità. Dall’altro, c’è la volontà di dare una svolta abbastanza ideologica – ideologico-religiosa – forte, che corrisponde del resto a questo scontro che sta avvenendo, comunque sia non ancora risolutivo, tra il gruppo sunnita e il gruppo sciita che fa capo all’Iran.

D. – Si parla anche di un reclutamento in Kurdistan da parte dell’Isil, una zona che però fino adesso è stata sempre al riparo dai combattimenti. Qual è secondo lei la strategia dello Stato islamico dell’Iraq del Levante?

R. – A parte gli aspetti ideologici, poi c’è il petrolio, cioè ci sono interessi molto concreti. E nel Kurdistan il petrolio è abbondante e costituisce la ricchezza principale del Paese. Ritengo che l’obiettivo, quindi, sia una suddivisione, una spaccatura, una frammentazione dell’Iraq. Non meravigliamoci: vent’anni fa è successa la stessa cosa con la Jugoslavia…

D. – Invece, per quanto riguarda la Siria? Questo è uno scenario che ormai da anni è quasi immutabile nella sua tragicità… C’è un evento, secondo lei, che potrebbe dare una svolta al conflitto siriano?

R. – No. Per il momento, no. Io credo che non essendo riusciti con i gruppi e anche con gli Stati che si erano impegnati a far cadere il regime di Assad, nel loro intento, per parecchio tempo credo che non ci riproveranno.

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Ucraina. Mosca revoca possibilità di intervento armato

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Non regge la tregua in Ucraina, violata dai separatisti filorussi, che ieri hanno abbattuto un elicottero delle forze di Kiev. E il presidente Poroshenko minaccia di interrompere il cessate-il-fuoco annunciato venerdì unilateralmente. Intanto, a Mosca il Senato, su sollecitazione di Putin, ha stabilito la revoca dell’autorizzazione a un eventuale intervento delle Forze armate russe in Ucraina. Una notizia positiva, alla quale però segue la richiesta della comunità internazionale al presidente russo perché eserciti pressioni sui separatisti inducendoli a ridurre la violenza. Francesca Sabatinelli ha chiesto un commento a Serena Giusti, ricercatrice della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, ricercatrice dell’Istituto studi di politica internazionale ed esperta di Europa orientale: 

R. - Precisamente, un fattore positivo è che ci sia un piano di pace, che le parti si stiano consultando, stiano negoziando e ci siano le diplomazie a lavoro, perché questo piano di pace viene fuori anche attraverso pressioni o contributi della Nato, dell’Osce e dell’Unione Europea e della stessa Russia. Quindi, il fatto positivo, al di là di chi rispetta o meno, è che la strada intrapresa sia quella del dialogo. Sul cessate-il-fuoco, è un cessate-il-fuoco molto difficile, perché i separatisti non fanno capo ad un unico leader, ma sono tra di loro anche molto diversi, spesso non comunicano… Quindi, sarà comunque difficile poter arrivare a un cessate-il-fuoco e convincere i separatisti a intraprendere questa via della pacificazione che implica sostanzialmente poi non aderire alla Russia.

D. - Questo, quindi, in qualche modo chiude alla possibilità di qualsiasi previsione di pace…

R. - La pace è più difficile. Poi, ci sono vari fattori: uno è capire quante divisioni ci siano all’interno dei separatisti e quale posizione essi abbiano. Un altro fattore è capire l’influenza che può esercitare la Russia sui separatisti, quanto controllo abbia o meno… Mi pare che nell’ultimo periodo, forse questo controllo non sia stato così forte da parte della Russia proprio perché non riesce a esercitarlo. Questo potrebbe essere un fattore di debolezza, perché se la Russia ritiene che debba andare per un accordo di pace, e non riesce a farlo rispettare dai separatisti, chiaramente l’applicazione sarà molto difficile. Altri fattori riguardano le prospettive che Poroshenko sarà in grado di offrire: si parla di un piano per la crescita economica della regione… Quindi, c’è una serie di incognite. Però, direi che ci sono dei segnali positivi che sono quelli del “mettiamoci intorno ad un tavolo e discutiamo”.

D. - Il fatto che il Senato russo, su indicazione di Putin, abbia revocato oggi l’autorizzazione a un eventuale intervento delle Forze armate di Mosca in Ucraina in che modo va letto? Quanto è positivo questo segnale?

R. - È positivo. Sono tutte mosse simboliche. Ciò non toglie che la Russia possa successivamente decidere un intervento. Poi, il fatto che non ci sia stato è sicuramente un atto simbolico, un atto di apertura della Russia, che mostra che non ha intenzione di ricorre alle armi per facilitare la secessione della regione. E' chiaro che la Russia in questo momento non abbia interesse a incamerare queste aree, ma abbia tutto l’interesse a porre sul tavolo dei negoziati il proprio peso e arrivare a un compromesso, a una situazione di pacificazione, anche perché l’obiettivo primario la Russia lo ha già raggiunto attraverso l’annessione della Crimea.

D. - Poroshenko secondo lei dovrebbe fare altri passi?

R. - Poroshenko dovrebbe cercare di avere il sostegno delle altre organizzazioni internazionali sia in termini politici che economici, perché la questione dell’Ucraina è anche una questione economica. Queste regioni hanno un’economia particolare, con tassi di disoccupazione molto alti, e una popolazione che credeva anche di poter aderire alla Russia sperando di avere dei benefici sostanzialmente economici. Quindi, diciamo che questo aspetto economico non va sottovalutato. Poroshenko deve anche trattare con la Russia e cercare di avere il suo consenso sul piano di sviluppo successivo a questa parte della Russia, soprattutto attraverso un decentramento del potere e maggiore autonomia. Diciamo che forse il maggior elemento di indeterminatezza e di criticità è proprio quello dello scarso controllo che gli altri hanno su queste forze e la frammentazione.

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Accordo sulle miniere in Sudafrica chiude sciopero di mesi

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Riaprono le miniere di platino in Sudafrica. Si è concluso ufficialmente, con la firma ieri dell'intesa tra il sindacato radicale Amcu e le associazioni padronali, lo sciopero che ha paralizzato, a partire dallo scorso gennaio, le attività estrattive. Sembra non sia stata accolta la richiesta di un salario minimo di 12.400 rand (circa 800 euro), ma sembra siano stati assicurati buoni meccanismi di incentivazione. La regione più toccata è quella di Rustenburg, dove lavorano circa 70 mila persone per alcune tra le maggiori società mondiali di produzione del platino. Dell’intesa e delle problematiche legate al settore minerario, Fausta Speranza ha parlato con l’africanista Aldo Pigoli, docente all’Università Cattolica: 

R. - Ha costituito un brutto colpo per l’economia sudafricana, facendo perdere quasi un punto percentuale di pil al Paese, proprio per la rilevanza del settore minerario, di quello del’estrazione ed esportazione del platino in particolare. Sicuramente, c’è un aspetto macroeconomico rilevante. C’è poi un aspetto più di natura socioeconomica, ossia di come i diritti dei lavoratori sudafricani negli ultimi anni siano più volte emersi come un elemento di tensione a livello politico. Questo non è il primo, e molto probabilmente non sarà l’unico, episodio di scioperi, di crisi, legati appunto ad un settore - quello minerario - così delicato per quanto riguarda i diritti dei lavoratori. Ci sono già stati degli episodi nel 2012, anche molto più importanti proprio per le violenze e purtroppo le morti che hanno provocato. Emergono alcune dinamiche e la complessità del contesto sudafricano, dove, se da un lato possiamo vedere un Paese che nel panorama africano e subsahariano in generale, è tra i più democratici e dove il processo di democratizzazione procede e evolve - soprattutto dal 1994 in poi - dall’altro lato vediamo che la grande frammentazione etnica e socioeconomica del Paese è un elemento di tensione politica, non solo tra il partito principale l’Anc, il partito al potere - l’ex partito Mandela - e le altre forze politiche, ma anche all’interno della stessa Anc.

D. - In questo contesto, che peso ha - anche simbolico - il lavoro e le battaglie sindacali nelle miniere nella sfera sociale?

R. - Sicuramente, ha una grande valenza sia per il Sudafrica che per il contesto africano in generale. Negli ultimi anni, anche in altri Paesi dell’Africa subsahariana ci sono state numerose situazioni di tensione. Pensiamo, ad esempio, al vicino Zambia, dove i lavoratori nelle miniere hanno voluto rivendicare in maniera molto forte i loro diritti, soprattutto da un punto di vista di migliori condizioni di lavoro e un aumento dei salari. Il Sudafrica è un esempio. Quello che viene definito e verrà definito in Sudafrica potrà essere poi un punto di riferimento anche per gli altri Paesi. Sicuramente, possiamo vedere come un piccolo successo quello che è emerso con l’accorso che è stato recentemente stipulato, anche se è un primo passo. Ricordiamoci che l’accordo ha soddisfatto solo il 10% delle richieste in termine di aumento salariale che erano state inizialmente avanzate.

D. - In questo momento in cui il mondo è globalizzato - e pensando anche che il platino ovviamente è un materiale che viene venduto sul mercato mondiale - che domande bisogna farsi a livello di comunità internazionale in relazione alla questione platino? Quello delle condizioni nelle miniere non può essere un problema soltanto nel Sudafrica…

R. - No, è un problema sicuramente a livello internazionale. Noi ci stiamo muovendo in un panorama globale sempre più rapido e in evoluzione, dove gli scenari, che sono stati denunciati anche a livello di organizzazioni internazionali, sono quelli di uno sviluppo sempre più sperequato. Secondo me, non spetta alle industrie che hanno come punto di riferimento la massimizzazione dei profitti al di là dei discorsi di corporate responsability e tutto quello che è stato fatto negli ultimi anni; spetta alla politica definire delle regole a livello internazionale, ma soprattutto all’interno dei Paesi. Le istituzioni hanno in mano le regole del gioco sulle quali poi le aziende si adattano.

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Sudan: bombardamenti per affamare la popolazione

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Grave situazione umanitaria in Sudan. Le ultime notizie che giungono dalla regione del Kordofan del sud parlano di bombardamenti, risalenti alla metà di maggio, da parte dell’aviazione del governo nelle zone agricole dell’area per tentare di affamare la popolazione controllata dai ribelli. L’azione delle forze armate ha provocato un massiccio esodo di civili verso il Sud Sudan. Gianmichele Laino ha raggiunto telefonicamente Anna Sambo, responsabile dei progetti della Fondazione AVSI in Sud Sudan: 

R. – La situazione, a livello politico, al momento, è una situazione di stallo, nel senso che ad Addis Abeba sono stati organizzati degli accordi per negoziare, stabilendo un periodo di 60 giorni per formare un governo di transizione. Sembrava che Machar e Salva Kir fossero d’accordo su questo accordo e invece dalle notizie degli ultimi giorni non si procede in questa direzione. Una notizia, che ho letto proprio oggi, diceva che i ribelli hanno boicottato questi negoziati. Dal punto di vista della popolazione, il numero degli sfollati interni al Paese sta aumentando e sta aumentando anche il numero di persone a rischio di carestia. C’è quindi un gran bisogno e anche una grande attenzione sulla fornitura di cibo per le popolazioni che stanno nelle zone del nord e del Sud Sudan, dove il conflitto è tuttora in corso.

D. – I bombardamenti hanno provocato un massiccio esodo di civili verso il Sud Sudan. Quali sono i rischi che, specialmente anziani e bambini, corrono nel corso di questa sorta di viaggio della speranza?

R. – I bambini rischiano di vedere aggravata la situazione di malnutrizione, che è assolutamente alta. Per quanto riguarda gli anziani, è chiaro che essendo più difficile lo spostamento rischiano di dover rimanere nelle zone colpite e di non poter essere aiutati. Nelle zone, infatti, dove continuano i combattimenti sono davvero difficilmente raggiungibili sia dalle organizzazioni non governative, come Avsi - per cui lavoro - sia da organizzazioni internazionali, come il World Food Programme.

D. – E cosa si può fare allora per offrire un concreto aiuto alle popolazioni di quest’area?

R. – Sostenere sia le organizzazioni internazionali che le organizzazioni non governative, che sono quelle che dispongono, nei limiti del possibile, della capacità di muoversi nel territorio e di accedere alle zone, lì dove c’è bisogno. Allo stesso tempo, credo ci sia bisogno di far conoscere quale sia la situazione e di continuare a dare informazioni su come stia evolvendo il conflitto.

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Sudan: Meriam interrogata dopo il fermo in aeroporto a Khartoum

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E' ancora sotto interrogatorio da parte della polizia sudanese Meriam Yahya Ibrahim, la donna cristiana rilasciata lunedì dopo l'annullamento della condanna a morte per apostasia e nuovamente fermata ieri, all’aeroporto di Khartoum, mentre stava per imbarcarsi per gli Stati Uniti assieme al marito e ai due figli. L’avvocato della giovane, Mohanad Mustafa, ha spiegato che Meriam non è in stato di arresto dopo il fermo, ma viene interrogata per verificare l'autenticità del documento rilasciatole dalle autorità del Sud Sudan, sul quale - secondo fonti di Khartoum - sarebbe presente un visto americano. L’ambasciata di Juba nella capitale sudanese ha fatto intanto sapere che Meriam aveva diritto al documento concessole, perché il marito e i figli hanno cittadinanza sudsudanese. Sulla vicenda, Giada Aquilino ha intervistato padre Efrem Tresoldi, direttore della rivista comboniana Nigrizia: 

R. – Al momento Meriam è ferma all’aeroporto di Khartoum, dove le contestano di aver prodotto documenti falsi per poter partire con la famiglia verso gli Stati Uniti. Secondo quanto è stato dichiarato, era in possesso di documenti del Sud Sudan, con permesso di entrata negli Stati Uniti. Secondo le leggi sudanesi, potrebbe incorrere in una pena di cinque anni di carcere per avere forgiato questi documenti.

D. – Perché questa accusa?

R. – E’ tutto da vedere. Il ministro degli Esteri sudanese ha convocato l’ambasciatore sud sudanese e quello statunitense per cercare di fare chiarezza su questo caso. Sembra, effettivamente, una cosa abbastanza pretestuosa. Quello che pare piuttosto certo è l’accanimento nei confronti di una persona innocente, colpevole - nelle accuse - di avere tradito la fede islamica. La libertà religiosa non è solo un diritto, ma riguarda la coscienza di una persona, quindi la cosa più intima, interiore, di una persona. E direi che la reazione internazionale, con 3 milioni di firme contro la sentenza di morte emessa in primo grado contro Meriam, è proprio un’indicazione di una coscienza internazionale che dice ‘no’ a questo abuso di potere.

D. – Cosa significa oggi essere cristiani in Sudan?

R. – Essere cristiani in Sudan oggi significa veramente correre sul filo di un rasoio, perché da quando, nel 2011, c’è stata la secessione, l’indipendenza del Sud Sudan, i sud sudanesi - che erano scappati dal Sud Sudan durante la guerra civile e che da tanti anni risiedevano in Sudan - sono accusati o guardati da tanti nella popolazione del Sudan come traditori, come se i cristiani fossero colpevoli di avere causato la secessione. E questo riguarda anche i nostri missionari, che ancora resistono ma con tanta difficoltà, perché molto spesso i permessi di lavoro non vengono rinnovati e, una volta scaduti, devono per forza lasciare il Paese. Alcune Congregazioni hanno già lasciato il Sudan, per queste condizioni sempre più restrittive nei confronti del personale missionario.

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Fine vita. Corte Ue diritti: no a sentenza francese su caso Lambert

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In Francia, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiesto di mantenere in vita Vincent Lambert, l'uomo in stato vegetativo dal 2008 per il quale ieri il Consiglio di Stato francese aveva stabilito invece, su richiesta della moglie, l'interruzione dell’alimentazione e idratazione artificiali. Una decisione che ripropone il delicato dibattito sul fine vita, come commenta, al microfono di Jean-Baptiste Cocagne, il segretario generale della Commissione etica e politica della Diocesi di Versailles, padre Pierre-Hervé Grosjean

R. – C’est une décision très grave qui a été prise pour la première fois…
Questa decisione che per la prima volta dopo molto tempo è stata presa in Francia è una decisione molto grave: la legge ha dunque stabilito la morte di un uomo. Bisogna infatti essere onesti e se non altro rispettare la verità delle parole: dietro alla sospensione delle cure c’è la decisione della morte, della morte per fame, di un uomo. E’ una decisione molto grave, considerando che in Francia ci sono 1.500 pazienti nella stessa situazione di Vincent Lambert, e la decisione del Consiglio di Stato avrà un grande peso sul loro futuro. Inoltre, questa decisione ripropone la questione del fine vita, perché bisogna ricordare che Vincent Lambert potrebbe continuare a vivere: respira da solo, solo che essendo tetraplegico, essendo in una condizione in cui ha bisogno di aiuto, non riesce a idratarsi né ad alimentarsi da solo. Il fatto di alimentare e idratare una persona gravemente disabile che non sia in fin di vita può essere allora considerato un “trattamento abusivo”, sproporzionato o semplicemente un’assistenza dovuta ad ogni persona? Il Consiglio di Stato ha tagliato corto, affermando che si trattava di “accanimento terapeutico” e di un “trattamento sproporzionato”. E’ sicuramente un caso doloroso, delicato, complicato… Immagino che i giudici abbiano preso la loro decisione secondo coscienza e non con leggerezza, ma io credo che questa decisione sia molto, molto grave. Perché non è niente di meno che la decisione sulla morte di un uomo.

D. – Esiste il rischio per la giurisprudenza, considerando che il Consiglio di Stato è la più alta istanza legislativa in Francia?

R. – Bien sûr. Et certaines associations de malades l’ont exprimé…
Certamente. E alcune associazioni di malati hanno espresso le loro perplessità per il rischio che questo giudizio possa fare giurisprudenza. Trovo che in tutto questo ci sia qualcosa di sconvolgente, addirittura per ciascuno di noi: e cioè che una legge umana possa decidere se la vita di un uomo valga la pena di essere vissuta.

D. – Il Consiglio di Stato parla di “ostinazione irragionevole a mantenere in vita Vincent Lambert”, secondo i termini precisi usati…

R. – C’est là ou il y a un vrai désaccord de fond…
Ed è proprio là che c’è un disaccordo di fondo. Perché, in realtà, Vincent Lambert non riceve alcun trattamento che lo mantiene in vita. Si parla unicamente e semplicemente di alimentazione e di idratazione. Molte altre persone gravemente disabili non possono alimentarsi da sole. Molti dicono che alimentazione e idratazione non possono essere considerati trattamenti sproporzionati in una sorta di accanimento terapeutico: sono cure dovute a tutti. Vincent Lambert non è in fin di vita. Vincent Lambert è gravemente disabile. Ed è per questo che è sorprendente reclamare per questo caso la legge Leonetti sul fine vita: nel dubbio, bisogna scegliere la vita. Vincent Lambert non ha espresso il desiderio di morire. Se vogliamo far dipendere il valore di una vita dalla sua capacità di relazioni, allora questo significherebbe condannare molte persone…

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Giornata del Marittimo: i diritti dei lavoratori di un settore cruciale

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Si celebra oggi la quarta Giornata del Marittimo promossa dall’Imo, l'Organizzazione marittima internazionale. In un messaggio, il segretario generale dell’agenzia Onu, Koji Sekimizu, sottolinea l’importanza del commercio via mare che rappresenta “il motore dell’economia mondiale”. Grande attenzione però va posta, scrive, sui marittimi e sulle loro condizioni di vita particolarmente dure. Un milione e mezzo le persone che lavorano in questo settore, esposte a difficoltà e a rischi come naufragi e attacchi della pirateria. Da qui, in occasione di questa Giornata, l’invito dell’Organizzazione a un gesto di gratitudine verso i marittimi. Adriana Masotti ha intervistato Enrico Maria Pujia, direttore generale per il Trasporto marittimo italiano: 

R. – Sì, ciò che si dice nel messaggio dell’Imo è la realtà. In questo momento di crisi economica, tra l’altro, uno dei settori che a livello internazionale ha tenuto di più – anche se con una leggera flessione – è sicuramente il settore marittimo-portuale. In questo contesto, però, paradossalmente, avviene che spesso le potenzialità dell’economia marittima non sono conosciute né si ha, da parte della politica e degli stessi cittadini, la percezione dell’importanza che può rivestire lanciare un settore strategico come quello marittimo-portuale.

D. – Nel messaggio del segretario dell’Imo, si dice quanto la vita di questo milione e mezzo di marittimi sia difficile. Che cosa si fa per migliorare la loro sicurezza, la loro condizione di vita?

R. – E’ sicuramente una vita difficile la loro, che li porta fuori casa diversi mesi a bordo delle navi, spesso anche senza poter scendere a terra, quindi con tutti i disagi che può comportare una vita di questo tipo. Ma è anche, però, una vita affascinant,e perché dà la possibilità di girare il mondo, di conoscere tanta gente… E poi, loro hanno questa passione per il mare… In questi ultimi anni, devo dire che la vita a bordo è migliorata. C’è una serie di disposizioni normative introdotte a livello internazionale, anche a livello comunitario, soprattutto dai singoli Paesi, per cui si è data molta attenzione alle esigenze dei marittimi. Non da ultimo, con l’approvazione della Convenzione Mlc 2006, proprio improntata su una rivoluzione della vita di bordo, soprattutto dal punto di vista dei diritti dei marittimi che in passato erano stati penalizzati. Adesso, per esempio, si guarda anche alla qualità della vita di bordo, agli spazi per i marittimi che sono in pausa, alle tipologie delle cabine che devono essere più confortevoli… Quindi, una serie di misure che sicuramente va nella direzione di migliorare la qualità di vita a bordo delle navi.

D. – La pirateria quanto è un rischio oggi concreto e frequente?

R. – E’ un rischio frequente soprattutto in alcune aree specifiche del pianeta. Si sa benissimo che ci sono delle aree dove, nonostante l’intervento anche delle forze militari che lavorano in modo congiunto, continuano a verificarsi fenomeni di pirateria. Questo forse anche perché andrebbe avviata – e il nostro Ministero degli esteri lo sta facendo – un’attività anche di supporto a popolazioni che vivono momenti di forte crisi. Penso, per esempio, al settore della pesca che è andato in crisi in molti Paesi per cui molti di questi ex-pescatori magari oggi si sono trasformati in pirati. Noi siamo impegnati a riservare grande attenzione al fenomeno: il nostro Paese è molto attento, sia con una combinazione di attività per la protezione e la prevenzione, siaanche per l’assistenza. Noi abbiamo sviluppato un progetto con il Centro internazionale radio-medico che assiste i marittimi a livello internazionale a bordo delle navi, in telemedicina.

D. – E’ assicurata, sulle navi, anche l’assistenza spirituale, religiosa dei marittimi?

R. – C’è una serie di organizzazioni, tra cui la “Stella Maris” che fa capo alla Chiesa Cattolica, che assiste i marittimi sia a bordo delle navi, sia nei porti e soprattutto dà assistenza ai marittimi che vengono abbandonati. Non tutti sanno, per esempio, che ogni anno molte navi vengono abbandonate nei porti di Paesi stranieri diversi da quelli dell’armatore, e quindi l’equipaggio, spesso non avendo il visto per poter scendere a terra non ha la possibilità nemmeno di andare a comprare da mangiare. Quindi, per fortuna c’è questa associazione, la “Stella Maris” che, anche con l’aiuto del Ministero dei trasporti assieme alle Capitanerie di porto, svolge quest’attività di assistenza e di supporto a questi marittimi, non solo dal punto di vista materiale – vorrei sottolineare, anche rispetto alla sua domanda – ma soprattutto dal punto di vista spirituale.

D. – In occasione di questa Giornata, l’Organizzazione marittima internazionale ha avviato una campagna invitando le persone a inserire nei social media un grazie per i marittimi, grazie, in particolare, per un oggetto che si possiede e che viene dal mare. Perché è importante questa sensibilizzazione e questo grazie?

R. – Perché intanto è importante capire che bisogna investire nella formazione e nell’attenzione ai diritti dei marittimi, perché è una categoria che – come dicevamo – in passato è stata un po’ poco seguita e che invece è strategica per lo sviluppo del commercio internazionale. Dobbiamo ricordare sempre che il 90% delle merci, a livello mondiale, viaggia via mare. Questo significa anche riportare l’attenzione a opportunità lavorative: oggi che c’è una crisi economica, registriamo un forte ritorno di richieste di imbarco da parte di giovani e di meno giovani.

D. – Quindi, gratitudine e anche…

R. - …e anche riconoscimento di grandi opportunità che il settore può offrire.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: Sinodo della Chiesa caldea chiede il dono della pace

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E' iniziato ieri, con la celebrazione della Messa presieduta dal patriarca Louis Raphael I Sako, il Sinodo annuale della Chiesa caldea, ospitato nella cittadina di Ankawa, a pochi chilometri da Erbil, nel Kurdistan iracheno. Durante la celebrazione eucaristica i vescovi caldei e tutti i presenti hanno invocato il dono della pace per tutto il Medio Oriente, a partire dall' l'Iraq, che sta precipitando verso una guerra civile su larga scala, innescata dall'offensiva dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil).

All'incontro prendono parte vescovi caldei provenienti oltre che dall'Iraq, dal Libano e dalla Siria, anche dall'Iran, dal Canada, dagli Usa e dall'Australia. Ai lavori – che si tengono nella locale sede patriarcale intitolata ai santi Addai e Mari e che si concluderanno sabato 28 giugno con la pubblicazione di una dichiarazione finale – ha partecipato anche il nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua.

Nei programmi iniziali, il Sinodo della Chiesa caldea si sarebbe dovuto svolgere a Baghdad, e avrebbe dovuto trattare argomenti in buona parte connessi alla vita interna della Chiesa, come la scelta di nuovi vescovi per le sedi vacanti e la beatificazione degli arcivescovi martiri del XX secolo. Nell'ordine del giorno, su impulso del patriarca Sako, erano stati inseriti anche la crisi delle vocazioni sacerdotali, la valorizzazione dei laici e la creazione di una Lega caldea sul modello delle già esistenti Leghe maronita, siriaca e greca.

I drammatici sviluppi della situazione irachena hanno portato a spostare la sede dell'incontro nella città del Kurdistan iracheno, in una regione non coinvolta dal conflitto, anche per facilitare la partecipazione dei vescovi del nord dell'Iraq. “Ovviamente” ha spiegato nei giorni scorsi all'agenzia Fides padre Albert Hisham, portavoce del patriarcato, “la nuova situazione creatasi in Iraq comporta un cambiamento dell'agenda. I vescovi valuteranno insieme le nuove emergenze che segnano la condizione delle comunità cristiane e di tutto il Paese”. (R.P.)

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Africa occidentale: è emergenza ebola

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L’ebola continua a diffondersi in Guinea, Sierra Leone e Liberia. Pazienti affetti da questa malattia infettiva sono stati identificati in più di 60 località dei tre Paesi coinvolti e questo complica gli sforzi per trattare i pazienti e limitare l’epidemia. Occorre un massiccio dispiegamento di risorse da parte dei governi dell’Africa occidentale e delle organizzazioni umanitarie per tenerla sotto controllo. La portata attuale dell’epidemia - riferisce l'agenzia Fides - non ha precedenti in termini di distribuzione geografica, persone colpite e decessi.

Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ci sono stati 528 casi e 337 decessi dall’inizio dell’epidemia. È la prima volta che in questa regione si diffonde l’ebola: le comunità locali hanno ancora paura della malattia e guardano le strutture sanitarie con sospetto. Nel frattempo, per una scarsa conoscenza sulla diffusione della malattia, le persone continuano a partecipare a funerali dove non vengono attuate misure di controllo dell’infezione.
Nonostante la presenza di una serie di organizzazioni che lavorano per sensibilizzare sulla malattia, le loro attività non sono ancora riuscite a ridurre l’ansia diffusa rispetto all’ebola. “L’epidemia è fuori controllo. Con la comparsa di nuovi focolai c’è il reale rischio che l’epidemia si diffonda in altre aree,” dichiara il direttore delle operazioni per Medici senza frontiere (Msf). “Siamo arrivati a più di 500 casi confermati e più di 300 vittime. La situazione epidemica non ha precedenti” ha detto un epidemiologo Msf appena rientrato dalla Guinea.

“In alcune zone del Paese siamo riusciti a contenere l’epidemia, ma in altre abbiamo ancora un tasso di mortalità dell’80%. Di certo l’epidemia andrà ancora avanti per alcuni mesi”. Occorre personale medico qualificato, formazione su come trattare l’ebola, incrementare l’attività di sensibilizzazione della popolazione e di monitoraggio dei contatti con persone infette. In Guinea, Msf supporta le autorità sanitarie nella fornitura di cure mediche ai pazienti di Conakry, Télimélé e Guéckédou. Sono state allestite unità di trattamento a Macenta, Kissidougou e Dabola. Le équipe stanno rispondendo alle allerte nei villaggi, aumentando le conoscenze sulla malattia nelle comunità e offrendo supporto psicologico ai pazienti e alle loro famiglie.

In Sierra Leone, in collaborazione con il Ministero della Salute, un’équipe di Msf sta costruendo un Centro per il trattamento dell’ebola di 50 posti letto a Kailahun. Piccole unità di cure sono state già installate a Koidu e Daru, e una terza aprirà presto a Buedu. In Liberia, un’équipe di Msf ha installato un’unità per il trattamento a Foya (nel nord) e un’altra al JFK Hospital a Monrovia nelle ultime settimane; ha organizzato corsi di formazione e donato attrezzature. Attualmente Msf lavora con 300 operatori internazionali e locali in Guinea, Sierra Leone e Liberia, e ha inviato più di 40 tonnellate di attrezzature e risorse per aiutare a combattere l’epidemia. (R.P.)

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Centrafrica: migliaia di sfollati per violenze a Bambari

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Migliaia di persone sono rifugiate nei pressi della sede dell’arcivescovado e di una base utilizzata da peacekeeper africani e militari francesi a seguito di nuove violenze che si sono verificate nella città di Bambari, nel cuore geografico della Repubblica Centrafricana.

La crisi - riferisce l'agenzia Misna - si è aggravata lunedì, con l’irruzione di un commando armato nel villaggio di Liwa, situato a una decina di chilometri da Bambari. Nell’assalto sono stati uccisi diversi abitanti, perlopiù di etnia peul e religione musulmana.

All’episodio sono seguite violenze ed esecuzioni sommarie in diversi quartieri di Bambari, roccaforte dei ribelli della Seleka, al potere a Bangui dal marzo 2013 fino all’inizio di quest’anno. Da lunedì, riferiscono fonti di stampa locali, sono state uccise tra le 30 e le 60 persone. (R.P.)

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Pakistan. Alta Corte: fissare la data del processo Asia Bibi

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Fissare immediatamente la prima udienza per il processo di appello ad Asia Bibi: è quanto chiede una istanza depositata all’Alta Corte di Lahore dagli avvocati S. K. Chaudry e Sardar Mustaq Gill. Il testo dell’istanza, inviato all’agenzia Fides, invita i giudici a procedere con urgenza, spiegando che “la richiedente non è in buone condizioni di salute, fisica e psicologica; inoltre va considerato il bisogno impellente di prendersi cura dei suoi figli; la richiedente auspica un appello in tempi brevi perché, essendo innocente, spera in una assoluzione”. L’istanza depositata prosegue: “Data l’urgenza del caso, chiediamo che una sezione del tribunale possa funzionare durante il tempo delle vacanze e che l'udienza del processo possa essere fissata durante questo tempo, per tenere fede alla giustizia”.

Il processo di appello per la donna cristiana condannata a morte per blasfemia è stato rinviato nel 2014 almeno cinque volte, per i motivi più disparati. Nell’ultimo episodio, il 27 maggio scorso, il caso è inspiegabilmente sparito dalla lista delle udienze in cui era stato in precedenza inserito. Le altre udienze erano state rinviate per la mancanza di uno dei giudici. Fonti locali affermano che i giudici stessi sentono la pressione da parte di gruppi integralisti islamici che non vogliono che il processo vada avanti.

La donna è in carcere dal 2009. “Nonostante tutto, abbiamo fiducia nella nostra magistratura e siamo speranzosi per la liberazione di Asia, perché è innocente” spiega a Fides l'avvocato Sardar Mushtaq Gill. L’avvocato sottolinea che lui e altri colleghi, che si adoperano per difendere casi di cristiani accusati ingiustamente di blasfemia, continuano a ricevere minacce di morte. (R.P.)

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Malaysia: critiche alla sentenza sul caso del nome “Allah”

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E’ un passo indietro per la libertà religiosa, una “decisione regressiva” quella adottata dalla Corte Suprema sull’uso del nome “Allah” per i cristiani. Così il Consiglio delle Chiese della Malaysia (Ccm), che unisce le comunità cristiane di diverse confessioni, ha definito la sentenza della Corte che ha confermato il divieto imposto al settimanale cattolico “Herald” di usare il nome “Allah”. 

Il segretario generale del Ccm, Hermen Shastri - riferisce l'agenzia Fides - afferma che “il governo dovrebbe rendersi conto che i cittadini malaysiani hanno sempre utilizzato Bibbie in Bahasa Malaysia (la lingua locale) contenenti il nome Allah”. Secondo il segretario, si tratta di un verdetto che palesemente “si allontana dalla verità”.

Anche l’Ong “Human Rights Watch” (Hrw) nota che “la tolleranza religiosa della società multireligiosa della Malaysia è in calo”, affermando che “il governo malese dovrebbe lavorare sui modi per promuovere la libertà di religione” piuttosto che dare spazio a gruppi islamici radicali e conservatori.

La Corte Suprema (il terzo grado di giudizio) ha emesso il verdetto tramite un collegio di sette giudici, con un solo voto di scarto (4 a 3). Come appreso da Fides, i tre giudici, tutti musulmani, che hanno votato a favore dei cristiani hanno notato che “esiste un pregiudizio, in quanto la parola Allah circola liberamente nella Bibbia o nei libri sacri Sikh”. Inoltre hanno affermato che la Corte di appello (il secondo grado), imponendo il divieto, “ha oltrepassato i suoi poteri e le sue competenze giurisdizionali, senza basarsi su fatti concreti né su precise disposizioni di diritto”.

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Argentina: i vescovi preoccupati per la situazione economica

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“Abbiamo seguito con attenzione e preoccupazione pastorale, la situazione creatasi per il debito estero e le sue possibili conseguenze per il nostro Paese e la vita della nostra gente, specialmente dei nostri fratelli più vulnerabili, dopo il recente verdetto della Corte Suprema di Giustizia degli Stati Uniti. Tale fatto richiede con urgenza da tutta la leadership un atteggiamento maturo di unità e di responsabilità per rispondere, in una giusta negoziazione, alla situazione generatasi”. Così si esprime il Comitato esecutivo della Conferenza episcopale argentina, presieduto da mons. Jorge Eduardo Lozano, vescovo di Gualeguaychú, in un comunicato ripreso dall’agenzia Fides.

Secondo i dati raccolti, in seguito al crack del 2001-2002 il debito estero del Paese sudamericano è finito in mano ad alcuni cosiddetti “fondi avvoltoi”, e da allora l'Argentina è impegnata in una battaglia legale con i creditori che si sono rifiutati di partecipare alle riformulazioni del debito. Il 16 giugno scorso la Corte Suprema statunitense ha respinto l'appello dell'Argentina e così è rimasta valida la decisione del giudice Usa Thomas Griesa di New York che ha ordinato al Paese di pagare il debito agli “avvoltoi” entro il 30 giugno. Il ministero dell’economia argentino ha avvertito che non sarà in grado di farlo in quanto richiederebbe una nuova bancarotta.

Nel loro comunicato, i vescovi citano Papa Francesco: "L'economia centrata solo sulla speculazione finanziaria debilita le relazioni, ritarda lo sviluppo dei popoli e compromette l’equità dell'ordine internazionale". Ricordano inoltre che “la questione economica è un tema centrale nella vita dei popoli, che però deve essere sempre al servizio del bene comune, della crescita integrale della persona e nel solco della giustizia”. Infine confidano nella disponibilità e nella competenza professionale di coloro che guidano la nazione, delle forze politiche, degli economisti, degli impresari, al fine di lavorare insieme ad una soluzione del problema. (R.P.)

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Spose in vendita: traffico forzato verso la Cina

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Molte giovani donne dei paesi vicini alla Cina, non solo dal Vietnam ma anche dalla Corea del Nord, Laos, Cambogia e Myanmar, sono costrette, secondo gli esperti, a matrimoni forzati nella terra dove per anni ha dominato la politica del figlio unico causando uno dei più grandi squilibri nel mondo.

Il Centro di accoglienza di Lao Cai, in Vietnam, aperto nel 2010 - riferisce l'agenzia Misna - ospita regolarmente un gruppo di ragazze provenienti da diversi gruppi etnici. Tutte dicono di essere state ingannate da parenti, amici o fidanzati e vendute a degli uomini cinesi come spose. “ Questo problema è stato ignorato dalle autorità cinesi “, ha detto Phil Robertson, vice direttore per l’Asia dell’Organizzazione dei diritti umani (Hrw) che da tempo ha iniziato a seguire il traffico ormai – sistematico – dei matrimoni forzati verso la Cina.

Le ragazze vietnamite sono vendute come spose per un massimo di 5.000 dollari, ha detto Michael Brosowski, fondatore del Centro Figli del Drago Blu che, dal 2007, ha salvato 71 donne trafficate dalla Cina .

Vietnam e Cina condividono una linea di confine montagnoso, attraversato dal fiume Nam Thi, che si estende per 1.350 km. L’intera area è ricca di contrabbando di merci di ogni tipo: frutta, pollame e donne. Sono soprattutto le donne che vivono in zone isolate e montagnose, dicono gli esperti, che vengono trafficate attraverso il confine. Nel nord del Vietnam, dove molti gruppi vivono ancora in povertà estrema, il traffico è diventato così acuto che le comunità dicono che stanno vivendo nella paura.

Il governo dice che ha avviato programmi di istruzione nelle zone rurali, vicino al confine, avvertendo le ragazze di non fidarsi di estranei anche se, spesso, a trarle in inganno sono proprio i parenti o gli amici . Gli esperti dicono che ci dovrebbero essere pene più severe per i trafficanti e allo stesso tempo programmi per sensibilizzare la gente dei villaggi che questo traffico è un crimine punibile con il carcere. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 176

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.