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Sommario del 23/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: chi giudica gli altri è un ipocrita, si mette al posto di Dio

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Chi giudica un fratello sbaglia e finirà per essere giudicato allo stesso modo. Dio è “l’unico giudice” e chi è giudicato potrà contare sempre sulla difesa di Gesù, il suo primo difensore, e sullo Spirito Santo. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa S. Marta, il servizio di Alessandro De Carolis

Usurpartore di un posto e di un ruolo che non gli compete e, insieme, anche uno sconfitto, perché finirà vittima della sua stessa mancanza di misericordia. È questo ciò che accade a chi giudica un fratello. Papa Francesco ha appena letto la pagina del Vangelo sulla pagliuzza e la trave nell’occhio ed è subito chiaro nel distinguere: “La persona che giudica – dice – sbaglia, si confonde e diventa sconfitta”, perché “prende il posto di Dio, che è l’unico giudice”. Quell’appellativo, “ipocriti”, che Gesù lancia più volte all’indirizzo dei dottori della legge è in realtà rivolto a chiunque. Anche perché, osserva il Papa, chi giudica lo fa “subito”, mentre “Dio per giudicare si prende tempo”:

“Per questo chi giudica sbaglia, semplicemente perché prende un posto che non è per lui. Ma non solo sbaglia, anche si confonde. E’ tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona – tanto, tanto ossessionato! - che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!'… E non si accorge della trave che lui ha. Confonde: crede che la trave sia quella pagliuzza. Confonde la realtà. E’ un fantasioso. E chi giudica diventa uno sconfitto, finisce male, perché la stessa misura sarà usata per giudicare lui. Il giudice che sbaglia posto perché prende il posto di Dio – superbo, sufficiente – scommette su una sconfitta. E qual è la sconfitta? Quella di essere giudicato con la misura con la quale lui giudica”.

“L’unico che giudica è Dio e quelli ai quali Dio dà la potestà di farlo”, soggiunge Papa Francesco, che indica nell’atteggiamento di Gesù l’esempio da imitare, rispetto a chi non si fa scrupoli nel trinciare giudizi sugli altri:

“Gesù, davanti al Padre, mai accusa! E’ il contrario: difende! E’ il primo Paraclito. Poi ci invia il secondo, che è lo Spirito. Lui è il difensore: è davanti al Padre per difenderci dalle accuse. E chi è l’accusatore? Nella Bibbia, si chiama “accusatore” il demonio, satana. Gesù giudicherà, sì: alla fine del mondo, ma nel frattempo intercede, difende..

In definitiva, chi giudica – afferma Papa Francesco, “è un imitatore del principe di questo mondo, che va sempre dietro le persone per accusarle davanti al Padre”. Che il Signore, conclude, “ci dia la grazia di imitare Gesù intercessore, difensore, avvocato, nostro e degli altri”. E di “non imitare l’altro, che alla fine ci distruggerà”:

“Se noi vogliamo andare sulla strada di Gesù, più che accusatori dobbiamo essere difensori degli altri davanti al Padre. Io vedo una cosa brutta a un altro, vado a difenderlo? No! Ma stai zitto! Vai a pregare e difendilo davanti al Padre, come fa Gesù. Prega per lui, ma non giudicare! Perché se lo fai, quando tu farai una cosa brutta, sarai giudicato. Ricordiamo questo bene, ci farà bene nella vita di tutti i giorni, quando ci viene la voglia di giudicare gli altri, di sparlare degli altri, che è una forma di giudicare”.

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Tweet del Papa: preghiamo per i cristiani del Medio Oriente

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“Preghiamo per le comunità cristiane del Medio Oriente, perché continuino a vivere là dove il cristianesimo ha le sue origini”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account twitter @Pontifex seguito da oltre 14 milioni di follower.

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Plenaria Roaco. Confronto sulle Chiese in Ucraina e crisi in Siria

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Inizierà nel pomeriggio di oggi l’87.ma Assemblea plenaria la Congregazione per le Chiese Orientali (Roaco). Domattina, alle 8.30, presso l’Altare di San Giovanni Paolo II della Basilica Vaticana, il cardinale prefetto Leonardo Sandri presiederà la Messa per affidare i lavori all’intercessione del Pontefice, “che a più riprese – si legge in un comunicato – manifestò la sua attenzione all’Oriente Cristiano e pregare per i benefattori vivi e defunti delle Chiese Orientali Cattoliche”.

I lavori – che si concentreranno sulla situazione delle Chiese greco-cattoliche in Romania e in Ucraina – si svolgeranno alla presenza dell’Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyc, S.B. Sviatoslav Shevchuk, del Nunzio Apostolico a Kiev, S.Ecc. Mons. Thomas Gullickson, e dei Vescovi Romeni greco-cattolici S.Ecc. Mons. Claudiu Lucian Pop, Vescovo della Curia Arcivescovile Maggiore di Făgăraş e Alba Iulia, e S.Ecc. Mons. Florentin Crihălmeanu, dell’Eparchia di Cluj-Gherla.

Proseguirà anche quest’anno l’aggiornamento sulla grave situazione della Siria, con la relazione del Nunzio Apostolico a Damasco, S.E. Mons. Mario Zenari e della Ms. Rosette Héchaime, responsabile di area della Caritas del Medio Oriente-Nord Africa.

Come di consueto si esaminerà la situazione ecclesiale della Terra Santa, specie alla luce dell’indimenticabile pellegrinaggio di Papa Francesco, verificando nel contempo gli interventi operati grazie ai proventi della Colletta del Venerdì Santo, le cui norme autorevoli sono state proposte alla Chiesa Universale quarant’anni fa, il 25 marzo 1974, dal Servo di Dio e prossimo Beato Papa Paolo VI (cfr. Esort. Apost. Nobis in animo). Saranno presenti il Delegato Apostolico a Gerusalemme, S. Ecc. Mons. Giuseppe Lazzarotto, il Padre Custode fr. Pierbattista Pizzaballa ofm, il Vice Cancelliere della Bethlehem University, fr. Peter Bray FSC.

Martedì 24 i partecipanti saranno accolti per il pranzo al Pontificio Istituto Orientale per visitare una delle Istituzioni Formative, che, insieme ai nove Collegi Orientali sono sostenuti anche grazie ai contributi delle Agenzie della ROACO. E’ stato invitato un rappresentante della Segreteria per l’Economia per consentire al nuovo organismo di conoscere le modalità secondo le quali la Congregazione per le Chiese Orientali svolge la propria opera di coordinamento delle erogazioni, la cui titolarità rimane di ogni singola Agenzia. L’udienza con Papa Francesco, in programma per la tarda mattinata del 26 giugno, chiuderà la Plenaria.

Nel pomeriggio della medesima giornata, il Cardinale Prefetto presiederà la Celebrazione Eucaristica con i Membri del Boards of Regents della Bethlehem University. L’Istituzione, fondata dal Servo di Dio Paolo VI quest’anno celebra i quarant’anni della sua attività.

L’intenso programma, purtroppo, non consentirà ai partecipanti di rilasciare interviste durante i lavori della ROACO. Si ringrazia vivamente per la comprensione, come per la sempre apprezzata attenzione alle Chiese Orientali.

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Lo storico Ciconte: le parole del Papa come un macigno sui mafiosi

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La ’Ndrangheta è “adorazione del male e disprezzo del bene comune”. Le parole del Papa contro la mafia sono risuonate con forza, sabato scorso, alla Messa nella piana di Sibari, in Calabria, una delle tappe della sua visita alla diocesi di Cassano allo Jonio. Papa Francesco ha detto chiaramente che coloro che nella loro vita fanno questa "strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”. Fabio Colagrande ha chiesto un commento a Enzo Ciconte, scrittore e studioso della criminalità organizzata: 

R. – Ho una mia particolare convinzione: non credo che la religiosità dei mafiosi sia la religiosità dei cattolici; credo che sia più una forma di paganesimo, anche se loro hanno utilizzato la religione per andare avanti. Da quando i mafiosi hanno iniziato a muovere i primi passi, hanno sempre guardato alla religione come a un patto di consenso sociale. Ci saranno invece anche mafiosi che pensano di essere dei cattolici praticanti ... Quindi probabilmente qualcuno di loro verrà turbato nella coscienza.

D. - Questa scomunica che Papa Francesco ha pronunciato può rendere sempre più difficile il consenso sociale che la criminalità organizzata cerca di creare intorno a sé?

R. - Sì, perché c’è attorno al suo Pontificato - se pur ancora breve - un consenso molto ampio. Quindi credo che queste parole incideranno moltissimo; pensi che in Calabria c’è l’iniziativa per fare studiare nei seminari la storia della ‘Ndrangheta, cosa che non era mai avvenuta prima. Il fatto di fare conoscere al seminarista il male che la ‘Ndrangheta fa, non soltanto sul piano sociale ed economico ma sull’anima dei calabresi e degli italiani, credo che sia un fatto di straordinaria importanza.

D. - Il fatto che il Papa, incontrando i parenti del piccolo Cocò, il bambino di tre anni ucciso in un agguato mafioso nel gennaio scorso, abbia detto: “Mai più bambini vittime della ‘Ndrangheta!”, culturalmente, socialmente in quella terra che significato può assumere?

R. - È importante! Sono gesti molto forti e molto significativi, anche perché c’era un’idea che veniva tramandata dalla ‘Ndrangheta, e dalla mafia più in generale, che la mafia non toccava né le donne, né i bambini. Era una sciocchezza clamorosa, basta pensare al caso di Cocò. La mafia ha sempre ucciso bambini e donne quando è servito loro. Io distinguo le due questioni: un conto sono gli associati e gli affiliati e non so misurare l’incidenza anche se immagino che una qualche incidenza ci sarà ... spero di sbagliarmi, ma non sarà quella determinante. Loro avranno però una difficoltà in più a rapportarsi con la Chiesa e con i cittadini semplici, con i cattolici in buona fede, quelli che pensavano che era possibile avere un rapporto con la mafia. Da questo punto di vista non c’è dubbio che le parole del Papa siano un macigno che difficilmente riusciranno a superare.

 

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Il Papa riceve il ministro presidente della Baviera

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Papa Francesco ha ricevuto stamani Horst Seehofer, ministro presidente dello Stato Libero di Baviera, e seguito; mons. Fortunatus Nwachukwu, arcivescovo tit. di Acquaviva, nunzio apostolico in Nicaragua; mons. Ricardo Blázquez Pérez, arcivescovo di Valladolid, presidente della Conferenza episcopale spagnola con il vice presidente mons. Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Valencia, e con il segretario generale rev. José Maria Gil Tamayo. Ancora il Papa ha ricevuto Fratel Enzo Bianchi, priore del Monastero di Bose e mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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No a chi adora il male: a Marina di Sibari il Pontefice ribadisce che i mafiosi suono fuori dalla comunione con Dio.

Barbarie in Iraq: il Papa invita alla preghiera per le comunità cristiane del Medio Oriente mentre continuano a giungere notizie di efferate violenze.

Quotidiani medievali: Gianpaolo Romanato sulla cultura prima della stampa.

Saper dire grazie: Giulia Galeotti recensisce la mostra - alle Scuderie del Quirinale - dedicata alla pittrice Frida Kahlo.

Cattolici e politica: intervista a Nunzio Galantino su "Il Regno".

Secondo Ossola, arriva dalla Francia il vero Cinquecento italiano.

Fede e baseball: Douglas Brinkley e Julie M. Fenster su Michael McGivney e il cattolicesimo americano.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: Kerry incontra al-Maliki per governo unità. Jihadisti si rafforzano nell’Ovest

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Visita a sorpresa a Baghdad del segretario di Stato Usa, John Kerry, dove ha incontrato il premier iracheno, al-Maliki, allo scopo di promuovere la formazione di un governo di unità nazionale che includa la comunità sunnita, come chiesto anche da molte autorità religiose e politiche del paese. Intanto, sembra inarrestabile l’offensiva nell’ovest delle milizie dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) che, nelle ultime 48 ore, hanno espugnato altre tre località e due valichi di frontiera. Le autorità militari riferiscono di “centinaia i soldati decapitati e impiccati” nelle zone controllate dai jihadisti sunniti. Ma in questa fase quale ruolo possono giocare gli Stati Uniti? Marco Guerra lo ha chiesto ha Dennis Redmont, responsabile della comunicazione del Comitato Italia-Usa:

 

R. – Per adesso, l’atteggiamento degli Stati Uniti è stato abbastanza prudente. Però, ci sono stati contatti che questa settimana continueranno con l’Iran. Ricordiamo che l’Iran, che ha abbastanza leve sul governo di Maliki, ha già cooperato con gli Stati Uniti nel 2001 per il problema dei talebani in Afghanistan, perciò si potrebbero trovare degli interessi che coincidano tra l’Iran e gli Stati Uniti. L’unico problema, naturalmente, è che gli Stati Uniti devono mettere d’accordo tutti i Paesi della zona che in un certo modo sono coinvolti. Quindi, la Turchia dovrebbe chiudere le frontiere, per impedire che dei rinforzi vadano ad aiutare l’Isil, e poi l’Arabia Saudita il Kuwait e alcuni Stati del Golfo dovrebbero fermare i finanziamenti all’Isil. Le scelte di Obama non sono delle scelte facili, popolari e operative. Alcune soluzioni sono brutte e alcune molto brutte.

D. – Siria, questione palestinese, Iraq, Egitto... Quale di queste situazioni al momento è la più critica e la più importante per gli Stati Uniti in Medio Oriente?

R. – Certamente, quella dell’Iraq è la più drammatica. Per questo Kerry è finito in Iraq. Ma dobbiamo vedere quanto potere di contrattazione ha con al-Maliki. Lo stesso Maliki è un presidente abbastanza debole, che si appoggia alla componente sciita con abbastanza enfasi.

D. – L’avanzata dei fondamentalisti sunniti sta ridisegnando diversi equilibri regionali. Poi, ci sono gli sciiti, i qaedisti, le monarchie arabe .. Insomma, il Medio Oriente sembra un "tutti contro tutti". Che leve hanno gli Stati Uniti per intervenire in questo scacchiere e che leve hanno i partner degli Stati Uniti?

R. – Gli Stati Uniti potrebbero considerare un intervento in Iraq attraverso un’azione congiunta per dare appoggio ai moderati sunniti in Siria, perché questo potrebbe mettere pressione sull’Isil e darebbe l’impressione al mondo esterno che non stiano intervenendo per appoggiare i sunniti. Però, naturalmente, Obama potrebbe adottare una posizione ancora più prudente: lasciare che l’Iraq si frammenti nei famosi tre pezzi, cioè sunniti, sciiti e curdi, del quale si è parlato durante molti anni e che sembra prendere forma.

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Israele, ragazzi rapiti: cinque vittime tra i palestinesi

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Il caso dei tre ragazzi israeliani rapiti sta facendo salire la tensione in Medio Oriente: si contano già cinque morti palestinesi nei vari scontri legati alle ricerche dei prigionieri. L’episodio sta creando delle spaccature anche all’interno della stessa popolazione palestinese. Una parte è scontenta dell’operato del presidente Abu Mazen, l’altra cerca di scongiurare nuove violenze. Gianmichele Laino ne ha parlato con Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del quotidiano “Il Messaggero”: 

R. - Le spaccature avvengono perché da un lato, a prescindere dal discorso Hamas-non Hamas, la popolazione palestinese - una parte - pensa che il presidente Abbas non stia facendo abbastanza per costringere gli israeliani a rilasciare i prigionieri palestinesi (nelle carceri c’è uno sciopero della fame da più di un mese), mentre l’altra parte della popolazione sostiene che questa sia l’unica maniera di andare avanti e di aspettare gli eventi. Una parte sicuramente non vuole tornare a un’altra Intifada: sanno che cosa hanno perso negli anni scorsi…

D. - Cosa rappresenta il rapimento dei ragazzi nel delicato equilibrio tra israeliani e palestinesi?

R. - Intanto, bisogna capire da chi sono stati rapiti. Anche se il premier Netanyahu sostiene che sono stati rapiti da Hamas, sembra più probabile che siano stati rapiti da un gruppo, un gruppo anche piccolo, o da gente che non ha agito sulla base di ordini ricevuti ultimamente dalla leadership del movimento islamico. Dall’altra parte, anche la popolazione israeliana è però divisa, perché vuole indietro, ovviamente, questi giovani e sta cercando di capire quale sia il mezzo. Anche l’esercito sta cambiando indirizzo in questo momento e dopo più di 300 arresti dei giorni scorsi sta pensando a delle operazioni più mirate a livello di intelligence per cercare di capire se sono ancora vivi questi ragazzi e dove possono essere eventualmente nascosti.

D. - Il rapimento e le sue conseguenze, con cinque morti palestinesi nei vari scontri legati proprio alle ricerche dei ragazzi: perché ci sono reazioni diverse da parte di autorità israeliane e palestinesi nella lettura di questi episodi?

R. - Ovviamente son due popoli in guerra, due dirigenze in guerra fra di loro. Gli israeliani sostengono che sono stati aggrediti dai palestinesi che protestano per questi rastrellamenti, rastrellamenti - e questo lo ammettono anche gli israeliani - soltanto per premere sulla popolazione, per spaventare la popolazione palestinese e non perché stiano cercando delle persone precise, scomparse e che possano avere informazioni riguardo al rapimento. In Israele, purtroppo, il discorso è che una parte della popolazione guarda al conflitto con i palestinesi con estremo disinteresse.

D. - Quale potrebbe essere la chiave per trovare una soluzione a questa nuova crisi?

R. - L’unica chiave è che, in qualche modo, si venga a capo del rapimento, se di rapimento si tratta, come sostengono e come è probabile che sia. Bisogna capire se ci sarà una credibile chiamata in causa da parte di qualcuno, se dalla popolazione palestinese verrà fuori il nome o il gruppo che ha rapito i ragazzi, se sono stati rapiti. L’altro discorso, ovviamente, è se uno di questi giorni si dovesse scoprire che sono stati uccisi, buttati da qualche parte e saranno ritrovati i loro corpi.

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Crisi ucraina: Parigi e Berlino rilanciano i negoziati

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La Nato rinnova il suo appello alla Russia perchè smetta di destabilizzare l'Ucraina e chiede a Mosca "di sostenere il piano di pace presentato da Poroshenko" venerdì scorso. Il portavoce del segretario generale della Nato, Rasmussen, ha parlato alla vigilia della riunione ministeriale Nato che si aprirà domani sera. In particolare il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel chiedono a Putin di "promuovere la ripresa dei negoziati" in Ucraina e invitano le parti coinvolte a cessare le ostilità. Il servizio di Fausta Speranza: 

Il presidente Putin lancia il suo appello alle parti in conflitto chiedendo un “dialogo concreto”. Intervenendo in televisione, Putin chiede “un dialogo approfondito e sostanziale", e ribadisce l’appoggio di Mosca al piano di pace ucraino. Ma Putin insiste anche sul fatto che Kiev debba fermare le operazioni militari e garantire i diritti dei russofoni. Da qualche ora non si ha notizia di combattimenti nell’Est, combattimenti che erano proseguiti nonostante l’annuncio venerdì del cessate il fuoco unilaterale di Kiev e del piano di pace da parte di Poroshenko. Intanto, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, è intervenuto sostenendo il piano di pace presentato da Poroshenko, con l'offerta di dialogo coi filorussi. Ha espresso "la speranza che il piano riduca la violenza e le tensioni nell'Est del Paese". E, sollevando la questione della situazione umanitaria in Ucraina, ha promesso l’aiuto delle Nazioni Unite a Kiev in particolare nell’assistenza agli sfollati. 

Delle possibile mosse diplomatiche in questa fase, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Salento: 

R. - Serve innanzitutto che sia il presidente ucraino che il presidente russo, o meglio, i loro emissari, si siedano a un tavolo delle trattative. Mi sembra abbastanza azzardato lanciare un piano un giorno sì e l’altro pure senza che le parti in causa dialoghino. In più, bisogna vedere qual è il controllo delle due parti, ma soprattutto di una, cioè la Russia, sulle milizie che combattono contro i governativi.

D. – Infatti, Putin raccomanda a Kiev di tutelare i diritti dei filorussi e anche di interrompere qualsiasi azione militare…

R. – Sì, qui poi bisogna capire… E’ vero, bisogna salvaguardare le popolazioni filorusse, bisogna vedere però la Russia fin dove si vuole spingere: cioè vuole creare un nuovo "sistema Crimea" o vuole soltanto che in quelle aree ci siano forti autonomie e non ci siano vendette dopo il conflitto in corso? Sono domande che bisogna porsi, per capire chiaramente quali sono le intenzioni delle aree a forte presenza russa e qual è il loro futuro.

D. – Ban Ki-moon da parte sua appoggia il piano, promuove qualunque tentativo di dialogo e raccomanda la soluzione della questione umanitaria...

R. – Che forse, come al solito, l’Onu dovrebbe muoversi molto di più e in ogni caso in maniera assolutamente più decisa. Sul terreno si spara e non è di molto tempo fa l’abbattimento di un aereo ucraino. Ma anche ci sono immagini foto e prove della violenza delle risposte ucraine nei confronti delle popolazioni, e non soltanto dei miliziani, ma soprattutto delle popolazioni filorusse, e quindi a questo punto è inutile che Ban Ki-moon parli da New York. E’ necessario che si trovi un accordo all’interno del Consiglio di Sicurezza, per trovare una soluzione e affinché faccia una proposta senza aspettare che vengano fatte proposte dalle parti in causa che, in quanto tali, non sono in grado di fare una proposta oggettiva.

D. – Che dire dell’appello del presidente francese Hollande, e della cancelliera tedesca Merkel, a Putin, perché contribuisca al dialogo?

R. – Sono richieste assolutamente apprezzabili, ma che dimostrano anche una certa debolezza. Sembra strano, ma probabilmente la debolezza maggiore ce l’ha la Germania, per tutta una serie di legami che negli anni si sono sviluppati con la Russia, che sono naturalmente legami economici, energetici, e che portano i due Paesi, la Germania da una parte e la Francia dall’altra, a fare proposte, ma, poi, bisogna vedere quanta pressione possono fare questi due Paesi nel caso della Russia.

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Malaysia. Ai cristiani vietato l'uso di "Allah". P. Andrew: è iniquo

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Divieto di usare la parola “Allah”. Una sentenza della Corte federale della Malaysia ha definitivamente imposto al locale settimanale cattolico Herald di non utilizzare questo termine nelle sue pubblicazioni. Il tribunale supremo ha così chiuso il caso, aperto nel 2009 e diventato negli anni emblema di una battaglia per il rispetto delle minoranze religiose. Ma la Chiesa locale pensa a un ulteriore ricorso, come spiega al microfono di Charles Collins il direttore dell’Herald, padre Lawrence Andrew

R. – At this point, obviously thanks God, it’s the Supreme Court, in other words, …
Ovviamente, a questo punto, la Corte Suprema è l’ultima istanza. Per questo si potrebbe dire che il caso si chiude qui. Ma esiste la prospettiva che questa sentenza possa essere rivista, e questo è quello che andremo a verificare quando avremo la sentenza scritta dei giudici. Quindi, esiste una possibilità che la Corte riveda la sentenza dei giudici. Questa sentenza riflette una crescente intolleranza nei riguardi dei non musulmani, non soltanto in Malaysia. Ci sono segni anche in Indonesia, in Iraq e in altre parti del Medio Oriente… Noi soffriamo di questa sorta di emarginazione da molto tempo. Abbiamo perso tutte le nostre scuole, è difficile costruire chiese… E ora è anche difficile importare qualsiasi libro o qualsiasi materiale che contenga la parola ‘Allah’.

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100 città italiane per riconoscere il diritto alla pace

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100 delegazioni di amministratori locali italiani oggi all’Onu di Ginevra per chiedere il riconoscimento della pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli. Già inserito da anni negli statuti e nelle leggi di migliaia di comuni, province e regioni italiane, tale diritto, a cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, merita oggi l’attenzione internazionale secondo Flavo Lotti, coordinatore  del  Comitato promotore della Marcia Perugia-Assisi. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Bisogna che le Nazioni Unite, gli Stati, riconoscano finalmente questo diritto: il diritto alla pace. E’ un diritto che ancora oggi è scritto su tanti documenti ma mai realmente riconosciuto e rispettato. E non è un caso, appunto, che viviamo in un mondo in cui le guerre, la conflittualità, la violenza, le armi continuano a circolare e a mietere vittime in maniera sempre più lacerante e devastante.

D. – Quindi, chiedere la tutela e il riconoscimento del diritto alla pace, che cosa va a significare, pensando agli scenari in cui la pace è un obiettivo ancora da raggiungere?

R. – Il riconoscimento di questo diritto impegnerebbe gli Stati ad attuare politiche coerenti. Ancora oggi non c’è un serio impegno per il disarmo, contro la proliferazione delle armi e ancora oggi troppo spesso si scinde il rifiuto della guerra dalla necessità di costruire la pace positivamente. Che cosa significa la pace? Significa riconoscere che le persone hanno diritto ad avere una vita dignitosa, a poter vivere in un ambiente sano, a potersi guadagnare la vita … significa sostanzialmente coniugare il ‘no’ alla guerra con il rispetto di tutti i diritti fondamentali della persona. Ecco: non è un caso che ancora oggi questo diritto alla pace non sia riconosciuto, perché ci sono degli Stati che si oppongono fortemente perché questo limiterebbe il loro potere di fare la guerra.

D. – Pace tra gli Stati: ma potremmo dire anche pace all’interno degli Stati se pensiamo anche ai tanti conflitti interetnici, ad esempio,  che scoppiano dentro il singolo Paese …

R. – Sì: la pace che noi vogliamo vedere riconosciuta è un diritto delle persone, innanzitutto, e dei popoli. Questa è la definizione che noi vogliamo sia iscritta nelle Carte delle Nazioni Unite. Quando si decide che la pace è un diritto, chi poi viola quel diritto deve incorrere in una sanzione, in una condanna. Se uno decide di fare la guerra, dev’essere condannato dall’intera comunità internazionale. Quando pensiamo alle guerre, non pensiamo soltanto ai conflitti armati, ma anche a quelle che Papa Francesco ha voluto ricordare il primo gennaio di quest’anno, cioè quelle guerre più invisibili, ma che vengono condotte nel campo dell’economia e della finanza e che spesso producono più vittime di persone, famiglie e imprese che non le guerre e i conflitti armati. La pace che noi vogliamo che venga riconosciuta ed attuata è una pace che c’è solo e quando vengono riconosciuti e rispettati i diritti fondamentali delle persone.

D. – E se l’Italia – parlando, ad esempio, di economia – non sempre è ai primi posti nelle classifiche internazionali, va però detto che in questo ambito ha molto da insegnare: se pensiamo che in questi ultimi 20 anni, migliaia di comuni ed enti locali hanno esplicitamente inserito nei loro statuti il riconoscimento della pace come diritto fondamentale …

R. – Esatto. L’Italia soprattutto sono gli italiani e le nostre città, le nostre comunità locali, dove spesso nel silenzio sono maturate delle convinzioni molto più avanzate di quelle che la diplomazia internazionale ha raggiunto. Ed oggi, le città sono venute qui, a Ginevra, e presto – mi auguro – verremo anche ad incontrare Papa Francesco affinché 100 anni dopo la Prima Guerra Mondiale si imbocchi davvero una strada nuova e si dica chiaramente: quello che vogliamo è costruire concretamente, non solo con le belle parole, un po’ più di pace per tutti.

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Mondiali: app dell'Unicef per denunciare abusi su minori

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In occasione dei Mondiali di Calcio, l’Unicef ha lanciato la campagna "It's in your hands to protect", che invita a denunciare casi di violenza o abuso sessuale sui minori attraverso una App. In poco tempo sono già 3.800 le segnalazioni raccolte. Maria Gabriella Lanza ne ha parlato con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: 

R. – Esiste un problema che per l’Unicef è stato centrale, ed è quello di rafforzare tutti gli strumenti a disposizione oggi, nella nostra società, per arrivare il più possibile a risolvere i problemi come lo sfruttamento del lavoro minorile e quello sessuale. Sulla base di questo si è pensato che le tecnologie oggi, in particolar modo in un Paese come il Brasile che, non dimentichiamolo, è il quarto per utilizzo – ad esempio – di smartphone e telefonini, fossero fondamentali proprio per cercare di aiutare i bambini ad arrivare ad un numero più alto possibile di segnalazione di casi che riguardassero proprio la violenza contro i bambini e gli adolescenti. Ecco perché, sulla base di questo, nasce questa campagna: attraverso l’applicazione "Proteja Brasil", segnalare, riuscire ad avere queste denunce di maltrattamenti, di violenza contro i bambini e gli adolescenti.

D. – Quasi 4 mila segnalazioni da metà maggio: una cifra elevata …

R. – Sì, sono numeri importanti. Non dimentichiamo che dallo scorso 18 maggio ci sono state 3.800 – quasi 4.000 – chiamate, con questa applicazione: ecco perché l’Unicef ha come obiettivo proprio quello di aiutare a prevenire i casi di violenza e di discriminazione contro i bambini, durante un evento così fondamentale, così importante ma che soprattutto ha una portata globale, come quello dei Mondiali di calcio. Ha avuto oltre 30 mila download ed è tarato per raggiungere oltre 50 mila download entro la fine del torneo, quindi vuol dire che questa strategia va implementata, perché noi, naturalmente, riteniamo che la prevenzione sia lo strumento migliore per affrontare la violenza contro i bambini. E noi possiamo farlo soltanto se non solo il governo, ma l’intera società – attraverso applicazioni come queste – ci possono aiutare a sconfiggere questo male.

D. – Il Mondiale ha acceso un riflettore importante sulla condizione dei minori in Brasile; ma dopo, come si può continuare a tenere alta l’attenzione?

R. – Questo Mondiale non soltanto tiene alta l’attenzione, ma abbiamo avuto davvero dei testimonial d’eccezione: per esempio, Alessandro Del Piero; però, il futuro è quello di implementare sempre di più le tecnologie, di farle entrar sempre di più all’interno della società civile, di lavorare a stretto contatto tra il governo – in questo caso brasiliano, ma queste applicazioni sono davvero un modello che può essere esportato in tutto il mondo. La società civile, per proteggere il maggior numero possibile di bambini, non deve spegnere i riflettori: grazie a questi eventi ci si può dare appuntamento non al prossimo evento, ma davvero al quotidiano.

D. – Lavoro minorile e sfruttamento sessuale sono i fenomeni dei quali sono maggiormente vittime i minori in Brasile?

R. – Certo: proprio in questo momento, in cui parliamo di Mondiali, in Brasile ci sono tre milioni di ragazzi e ragazze brasiliani tra i 10 e i 17 anni che risultano vittime di sfruttamento del lavoro minorile; anche perché lo sfruttamento del lavoro minorile è la forma di violazione maggiormente segnalata, peraltro, proprio al segretariato dei diritti umani del governo brasiliano durante i grandi eventi sportivi che nel 2013 hanno preceduto i Mondiali. Non dimentichiamo che, a proposito di queste segnalazioni, in particolar modo sullo sfruttamento sessuale, nel 2013 ci sono state oltre 10 mila segnalazioni sui casi di sfruttamento sessuale ed un recente rapporto mostra che proprio nelle 12 città che in questo momento ospitano i Mondiali di calcio, in sette anni – cioè tra il 2003 e il 2011/2012 – sono state registrate 27.600 segnalazioni che riguardano episodi di sfruttamento sessuale: cioè, parliamo davvero di cifre incredibili. E quindi, ecco perché è veramente importante proteggere bambini e giovani del Brasile da queste forme di sfruttamento, in particolar modo durante i Mondiali di calcio.

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Arte e fede: un libro “riscopre” il pittore Biagio Biagetti

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“Verità e Bellezza. La via pulchritudinis in Biagio Biagetti”. E’ il titolo del libro del nostro collega Paolo Ondarza, pubblicato dalla Aracne Editrice. Il volume si sofferma sul pittore marchigiano d’arte sacra vissuto a cavallo tra il XIX e XX secolo che fu anche direttore dei Musei Vaticani,  dello Studio Vaticano del Mosaico e fondatore del Laboratorio Vaticano del Restauro. Al microfono di Alessandro Gisotti, Paolo Ondarza racconta come è nata l'idea di questo libro e perché è importante “riscoprire” Biagio Biagetti:

 

R. – E’ nata da uno studio che ho condotto al termine del mio percorso universitario, è stata argomento di tesi di laurea, che poi ho avuto modo di rielaborare negli anni successivi cambiando il linguaggio, rendendolo quindi accessibile ad un pubblico più vasto. Inoltre, è nata da un mio interesse verso le tematiche dell’arte e in particolare per l’arte sacra nel ‘900, che proprio in questo periodo subisce un percorso di crisi. Biagio Biagetti è un protagonista, a pieno titolo, dell’arte sacra e contemporanea che tenta un riscatto di queste tematiche.

D. - Il connubio arte-fede è proprio il motore, l’ispirazione dell’opera di Biagetti ...

R. - Va detto che Biagetti è un artista religioso, un pittore religioso a pieno titolo: lo è nella vita, nel mestiere. Cerca di riportare fedelmente il Magistero della Chiesa, il catechismo della Chiesa cattolica nella sua arte. E lo fa, senza essere ingessato dietro canoni, regole, ma dando vita – davvero – ad un’arte spontanea, ma profondamente rispettosa della Liturgia, della bellezza della catechesi. E questo fino ad arrivare all’adozione della tecnica divisionista, fortemente innovativa, che vede tra i suoi protagonisti nell’800 l’italiano Segantini, Previati, Pellizza da Volpedo: la figura rappresentata emerge attraverso  piccole pennellate di colore. Biagetti svolge tematiche sacre attraverso questa tecnica.

D. - Biagetti è stato direttore dei Musei Vaticani ed ha avuto anche un ruolo importante, fondamentale, nel restauro della Pinacoteca Vaticana ...

R. - Assolutamente. Lui è stato davvero un protagonista tra gli Anni ‘20 e ‘30 in Vaticano, perché è stato direttore dei Musei Vaticani, è stato incaricato di riallestire la Pinacoteca Vaticana. Per fare questo ha visitato le principali capitali europee; i suoi taccuini sono veramente ricchissimi di annotazioni, attraverso le quali poi - visitando i grandi musei europei - riesce a definire uno schema per l’attuale Pinacoteca Vaticana nell’allestimento che oggi conosciamo. Ma oltre a questo, è stato anche restauratore: si è confrontato con il restauro, ad esempio, della Cappella Sistina, le Stanze di Raffaello, è stato fondatore dello Studio Vaticano del Restauro, ed è stato direttore dello Studio Vaticano del Mosaico. Quindi importanti riconoscimenti, incarichi ... Anche in questo è un protagonista a pieno titolo del ‘900, anche perché la sua teoria del restauro è fortemente innovativa, potremmo dire moderna, se pensiamo che le sue scoperte sono alla base dei restauri che negli Anni ’90 ci hanno restituito gli affreschi della Cappella Sistina nella loro cromia originale, quella brillantezza dei colori che tanto ci ha meravigliato nel momento in cui ci è stata svelata.

D. - L’arte per Biagetti era preghiera. Quindi innovazione nella tradizione...

R. - Esattamente, proprio così. Anche per questo è stato a torto dimenticato, “cancellato”, perché una prevalente critica d’arte ha preferito favorire quegli artisti che andavano in rotta con la tradizione. Tutto ciò che era arte sacra è stato bollato come passatista, scaduto ... Mentre effettivamente attraverso la propria produzione artistica, attraverso l’elaborazione di una moderna teoria e tecnica artistica Biagetti si rende protagonista, fautore appunto di una nuova proposta di arte sacra ancora valida per i nostri giorni.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq. La Chiesa caldea: unità nazionale e dialogo politico

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Il patriarcato caldeo lancia un appello a "tutte le persone di buona volontà", perché sia raggiunta una "soluzione politica" al conflitto irakeno. In un comunicato ufficiale inviato all'agenzia AsiaNews la leadership cattolica locale sprona le parti in causa "all'uso della ragione", per arrivare alla formazione "di un governo di unità nazionale che rappresenti tutti" i cittadini. "Serve una soluzione politica alla crisi attuale - aggiungono dal patriarcato - una crisi che costituisce un grave rischio" per l'unità della nazione e rendendo sempre più alto e probabile "il rischio concreto di una guerra civile".

Con il perdurare "dell'attuale situazione", avvertono, "non ci sarebbero infine né vinti, ne vincitori, perché a perdere saranno tutti, in primis l'unità nazionale irakena e le diverse etnie andranno perdute per sempre". Pur osteggiata da sempre dalla Chiesa cattolica irakena, la possibile divisione in tre parti (sciita, sunnita e curda) della nazione annunciata dal premier curdo nei giorni scorsi è una possibilità che si fa sempre più concreta.

Nel suo appello, il Patriarcato caldeo avverte che "le potenze straniere" perseguono solo "i propri interessi", non quelli "del nostro Paese". In questa fase critica, aggiungono i vertici cattolici, "tutti devono essere incoraggiati ad ascoltare la voce della ragione"; se continuiamo a "perseguire i nostri interessi, resteremo divisi" e "se la politica fallisce, allora i diritti del popolo saranno perduti". La leadership caldea invita a nutrire "maggiore fiducia nei nostri politici" che devono ascoltare "la voce della ragione e promuovere il dialogo", al fine di formare "rapidamente" un "governo di unità nazionale", che sia autorevole e rispettato da tutti gli irakeni. (R.P.)

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Iraq: a Mosul statua della Madonna distrutta dagli islamisti

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L'arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Amel Shamon Nona, conferma all'agenzia Fides la distruzione di una statua della Vergine Maria da parte degli insorti sunniti che hanno preso il controllo della città, ma aggiunge che per il momento non esistono riscontri alle voci di una “tassa islamica” che sarebbe stata imposta ai cristiani di Mosul dagli islamisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante. “Una statua della Vergine Maria” riferisce a Fides l'arcivescovo Nona “è stata distrutta da elementi islamisti che l'avevano tirata giù da una torre della chiesa caldea dell'Immacolata.

Il santuario mariano è un luogo di culto molto frequentato dai fedeli” aggiunge mons. Nona, “e nel corso della rimozione e della distruzione della statua di Maria, l'interno della chiesa non è stato violato. La stessa sorte è stata riservata ad altre statue della città”. Della campagna iconoclasta condotta dagli insorti islamisti a Mosul e nel nord dell'Iraq hanno fatto le spese anche statue come quella dedicata al mullah Osman Musli e quella dedicata al poeta Abu Tammam.

L'arcivescovo caldeo di Mosul per ora non conferma le voci fatte circolare su una presunta “tassa personale” imposta ai cristiani di Mosul dai miliziani islamisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil). Fonti diverse ribadiscono che i cristiani rimasti in città sono pochissimi, perlopiù anziani. “Finora” riferisce mons. Nona, anche lui trasferitosi nel villaggio di Tilkif, “solo ad alcuni dipendenti pubblici cristiani è stato detto di non tornare al proprio posto di lavoro, facendo riferimento esplicito al loro status di membri di una minoranza. Di certo la situazione sta peggiorando, e siamo tutti preoccupati. Ma vedo anche che la condizione dei cristiani a volte diviene oggetto di operazioni di propaganda. Si tratta di una strumentalizzazione pericolosa anche per gli stessi cristiani: parlano di noi, ma in realtà mirano a qualche altro scopo”. 

In un'intervista televisiva, il ministro iracheno per i diritti umani Mohammed Shia al Sudani ha accusato i miliziani sunniti dell'Isil di aver commesso atrocità tra la popolazione della Piana di Ninive, incendiando chiese, imponendo tasse alle comunità cristiane e stuprando donne cristiane, cinque delle quali, a detta del ministro, si sarebbero suicidate dopo aver subito violenza. (R.P.)

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Episcopati europei: la politica deve basarsi sul bene comune

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“Senza entrare nell’ambito politico propriamente detto, e senza mai dimenticare che la sua missione è quella di portare la luce di Cristo e la salvezza a tutti gli uomini”, la Chiesa “è convinta che solo una politica basata sui principi della persona umana, del bene comune, della solidarietà e della sussidiarietà potrà essere creatrice di una società giusta, pacifica e feconda”. È quanto è stato ribadito durante l’incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali d’Europa al termine del loro incontro, svoltosi a Strasburgo dal 19 al 22 giugno.

L’intento dell’appuntamento annuale - riferisce l'agenzia Sir - era questa volta, di approfondire la conoscenza del Consiglio d’Europa, discutere e condividere insieme ad alcuni responsabili delle istituzioni di Strasburgo la “comune preoccupazione per il vero bene, spirituale, politico e sociale delle persone del continente”. L’incontro, promosso dal Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), in collaborazione con la Missione permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, ha visto la partecipazione di una trentina di segretari provenienti da tutto il continente. L’incontro ha permesso ai segretari generali di conoscere dall’interno - come si legge in una nota Ccee - il Consiglio d’Europa e i principali organismi ad esso associati attraverso la voce diretta dei suoi responsabili”. 

A Strasburgo sono state fra l’altro sottolineate le iniziative che da anni il Consiglio d’Europa “promuove sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale”. In questo modo “è riconosciuta non solo l’importanza della religione, ma anche la sua dimensione pubblica”. I partecipanti “hanno tuttavia espresso alcune riserve e preoccupazioni perché questi incontri siano sempre rispettosi dell’identità delle religioni, intese non soltanto come un fatto storico, ma soprattutto come un’esperienza che determina tutto il vivere della persona, dalla sua coscienza alla sua vita sociale”.

Il fatto che la religione “stia assumendo - puntualizza il Ccee - una rilevanza pubblica sempre maggiore nella vita e nella coscienza dei cittadini europei e sia un elemento fondamentale per la coesione sociale, è ampiamente dimostrato dall’aumento considerevole dei ricorsi che giungono alla Corte europea dei diritti dell’uomo” di Strasburgo, che dipende dal Consiglio d'Europa, e che “riguardano temi legati alla dimensione religiosa”. I presenti sono stati informati del lavoro futuro del Ccee e della seconda edizione delle Giornate sociali europee che si svolgeranno a Madrid dal 18 al 21 settembre. (R.P.)

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Pakistan: nel Waziristan oltre 350mila sfollati

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Un gruppo di leader religiosi ha definito “jihad” l’operazione militare in corso in Pakistan contro i gruppi talebani nella regione del Nord Waziristan. La fatwa è stata emessa ieri in un incontro organizzato dal Consiglio degli Ulema sunniti ad Islamabad. Firmata da oltre 100 leader religiosi in rappresentanza di diverse scuole di pensiero - riferisce l'agenzia Misna - la dichiarazione si basa su una citazione del Corano (No.33, Sura-e-Almaidah): “La repressione di attacchi che minacciano la tranquillità di uno Stato musulmano è jihad”.

L’esercito pachistano ha lanciato l’operazione ‘Zarb-i-azb’ nel Nord Waziristan una settimana dopo l’attacco dei militanti all’aeroporto internazionale di Karachi, inviando truppe, carri armati e aerei per reprimere i talebani e altri gruppi armati nella zona di confine con l’Afghanistan. Dall’inizio dell’operazione, secondo fonti della stampa locale, circa 250 militanti sono stati uccisi, molti nascondigli distrutti mentre centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni ed attività. Un funzionario dell’ Autorità che gestisce i disastri nei territori tribali del Pakistan (Fdma) ha detto che le persone fuggite dalla provincia di Khyber Pakhtunkhwa e che hanno cercato rifugio in altre zone del Pakistan o in Afghanistan sono oltre 350.000, di cui oltre 150.000 bambini e minori.

Un deputato del Waziristan settentrionale, Muhammad Nazir Khan, ha detto: “La situazione è di estrema emergenza, il governo aveva promesso che avrebbe fornito mezzi di trasporto per l’evacuazione, medicine e cibo, ma in realtà ha fatto molto poco”.

Finora l’offensiva terrestre e aerea dell’esercito ha colpito soltanto nascondigli e basi dei militanti pachistani, soprattutto il Tehrek-e-Taliban Pakistan (Ttp), e gruppi stranieri, come il Movimento islamico dell’Uzbekistan (Imu), che da tempo si sono stabiliti in aree inaccessibili e disabitate.

La settimana scorsa, il Pakistan ha chiesto l’estradizione del capo dei Tehreek-e-Taliban Pakistan, Mullah Fazlullah, da tempo nascosto in Afghanistan, diventato capo del Ttp nel novembre dello scorso anno dopo l’uccisione del suo predecessore, Hakimullah Mehsud, in un attacco con drone statunitense. (R.P.)

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Sudafrica: uccisa missionaria statunitense al servizio degli orfani

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 La polizia sudafricana ha arrestato due uomini sospettati di aver ucciso una religiosa statunitense di 82 anni, suor Mary Paule Tacke, della Congregazione delle Suore missionarie del Preziosissimo Sangue (Cps), conosciute anche come Missionarie di Mariannhill, nel corso di un tentativo di rapina, anche se le indagini sono ancora in corso.

Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, la vettura di suor Mary era stata fermata da alcuni banditi domenica 15 giugno nei pressi di Mthatha, mentre la religiosa stava recandosi a visitare uno degli orfanotrofi da lei fondato. La vettura, con i banditi a bordo, era stata successivamente inseguita dalla polizia. L’inseguimento era terminato quando l’auto, guidata dai banditi, si era ribaltata nei pressi di Qokolweni. I malviventi erano riusciti a fuggire. A bordo dell’auto era stata ritrovata una pistola ma non c’era nessuna traccia della religiosa.

Dopo giorni di ricerche il corpo di suor Mary è stato ritrovato il 20 giugno, in un ruscello nei pressi del villaggio di Tyara, a 60 km da Mthatha. La salma non presentava segni di colpi di armi da fuoco o inferti con un’arma bianca. La polizia ritiene che la religiosa sia stata strangolata. Nelle sue tasche c’era il portafoglio con del denaro, la patente e le chiavi di casa. 

Suor Mary era originaria di Cottonwood, nell’Idaho, e operava in Sudafrica fin dagli anni ’50. Aveva fondato il Bethany Place of Safety (un orfanotrofio per bambini abbandonati) nel 1955 dopo che alcuni poliziotti le avevano affidato degli orfani. In seguito aveva fondato un altro orfanotrofio, il Thembelihle Home, per bambini più grandi, molti dei quali sono sieropositivi. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 174

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.