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Sommario del 22/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: amiamo gli altri senza misura. La tortura è peccato mortale

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L’Eucaristia è la dimostrazione che “la misura dell’amore di Dio è amare senza misura”. Lo ha affermato Papa Francesco all’Angelus recitato in Piazza San Pietro, davanti a migliaia di persone. Il Papa ha incentrato la riflessione sulla solennità odierna del Corpus Domini, quindi ha levato tra gli applausi una “ferma condanna” contro la tortura, ricordandone le vittime che saranno al centro della Giornata Onu del 26 giugno. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un corpo “spezzato” per amore degli altri, come fu il Corpus Domini, il Corpo di Gesù, il quale all’umanità non donò “qualcosa” ma “sé stesso”. È questa la vocazione più autentica di un cristiano che nasce dall’Eucaristia. La comunione al Corpo di Gesù, afferma Papa Francesco, innesca un cambiamento radicale, un’imitazione di Gesù, il quale spezzò nel pane la sua stessa carne, mentre per noi, indica il Papa, si traduce in "comportamenti generosi verso il prossimo, che dimostrano l’atteggiamento di spezzare la vita per gli altri”:

“Ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa e ci nutriamo del Corpo di Cristo, la presenza di Gesù e dello Spirito Santo in noi agisce, plasma il nostro cuore, ci comunica atteggiamenti interiori che si traducono in comportamenti secondo il Vangelo. Anzitutto la docilità alla Parola di Dio, poi la fraternità tra di noi, il coraggio della testimonianza cristiana, la fantasia della carità, la capacità di dare speranza agli sfiduciati, di accogliere gli esclusi”.

Lo “stile di vita cristiano” matura così. L’Eucaristia, dice Papa Francesco, nutre il cuore che diventa “aperto”, è un cibo che “rende capaci di amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la misura di Dio”:

“E qual è la misura di Dio?  cioè Senza misura! La misura di Dio è senza misura. Tutto! Tutto! Tutto! Non si può misurare l’amore di Dio: è senza misura!  E allora diventiamo capaci di amare anche chi non ci ama: e questo non è facile, eh? Amare chi non ci ama… Non è facile! Perché se noi sappiamo che una persona non ci vuole bene, anche noi abbiamo la voglia di non volerle bene. E no! Dobbiamo amare anche chi non ci ama!”.

Un pane spezzato per amore, prosegue Papa Francesco, si oppone al male con il bene, e perdona, condivide, accoglie. E scopre la “vera gioia”, quella di “farsi dono” per ricambiare il “grande dono che per primi” si è ricevuto, “senza nostro merito”:

E’ bello questo: la nostra vita si fa dono! Questo è imitare Gesù. Io vorrei ricordare queste due cose. Primo: la misura dell’amore di Dio è amare senza misura. E’ chiaro questo? E la nostra vita, con l’amore di Gesù, ricevendo l’Eucaristia, si fa dono. Com’è stata la vita di Gesù. Non dimenticare queste due cose: la misura dell’amore di Dio e amare senza misura. E seguendo Gesù, noi – con l’Eucaristia – facciamo della nostra vita un dono”.

E di corpi spezzati – non per amore ma per una delle più orribili violenze umane – Papa Francesco parla dopo la recita dell’Angelus, ricordando le vittime della tortura e la Giornata loro dedicata dall’Onu il 26 giugno prossimo. Quello che il Papa leva dalla sua finestra è un grido che vibra di sdegno:

“In questa circostanza ribadisco la ferma condanna di ogni forma di tortura e invito i cristiani ad impegnarsi per collaborare alla sua abolizione e sostenere le vittime e i loro familiari. Torturare le persone è un peccato mortale! Un peccato molto grave!”.

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Il Papa in Calabria: "No alla 'ndrangheta. Mafiosi scomunicati"

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Si è conclusa con una solenne Messa celebrata sulla Piana di Sibari davanti a oltre 250 mila persone, la visita del Papa alla Diocesi di Cassano allo Jonio, in Calabria. Appena nove ore, che hanno permesso al Pontefice  di incontrare e conoscere diverse realtà del territorio, a partire dagli ultimi: i carcerati, gli anziani, i poveri e i malati. Più volte la voce di Francesco si è levata contro il crimine, i mafiosi ha detto "sono scomunicati". Il servizio di uno dei nostri inviati, Fausta Speranza:

 
Adorazione del male e disprezzo del bene comune: questo è l’Ndrangheta! Il Papa non usa mezzi termini per denunciare mafia, violenza e falsi idoli.

Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi, ce lo domando i nostri giovani bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”.

Un messaggio chiarissimo e fortissimo, che il Papa lancia alla Messa, che conclude la sua giornata in Calabria. Messaggio su peccato, violenza, mafia:

“Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato! L’Ndrangheta è questo! Adorazione del male e disprezzo del bene comune”.

Francesco sottolinea il significato della sua visita, quale incoraggiamento - spiega - alla fede e alla carità, perché - afferma - la carità è la testimonianza concreta della fede. E il Papa è molto chiaro: “il popolo che adora Dio nell’Eucaristia - ricorda - è il popolo che cammina nella carità”. Richiamandosi alla solennità del Corpus Domini, spiega che cristiano è chi adora Gesù Eucaristia e cammina con Lui e rinuncia, appunto, ad adorare falsi idoli.

Carità significa giustizia, speranza, tenerezza. E a queste parole Francesco contrappone denaro, vanità, orgoglio, potere, violenza. Dunque l’incoraggiamento del Papa alla Chiesa in Calabria, di cui cita anche l’Eparchia di Lungo, ricca della sua tradizione greco-bizantina, e un richiamo alla politica:

“Ma lo estendo a tutti, a tutti i Pastori e fedeli della Chiesa in Calabria, impegnata coraggiosamente nell’evangelizzazione e nel favorire stili di vita e iniziative che pongano al centro le necessità dei poveri e degli ultimi. E lo estendo anche alle Autorità civili che cercano di vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune”.

Francesco poi, in particolare si rivolge ai giovani e ribadisce il suo invito alla speranza. A proposito di speranza cita il Progetto Policoro, che si occupata di creare opportunità di lavoro, ma poi indica la via principale da non perdere: rimanere uniti a Dio - raccomanda - per rilanciare su male e violenza:

“Voi, cari giovani, non lasciatevi rubare la speranza! Lo ho detto tante volte e lo ripeto una volta in più: ‘Non lasciatevi rubare la speranza!’. Adorando Gesù nei vostri cuori e rimanendo uniti a Lui saprete opporvi al male, alle ingiustizie, alla violenza con la forza del bene, del vero e del bello”.

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Mons. Galantino: per il Papa Chiese locali contano quanto quella universale

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La netta presa di posizione di Papa Francesco contro la ‘ndrangheta alla Messa di Sibari ha trovato eco, poco prima, nelle parole di saluto rivoltegli dal vescovo di Cassano all’Jonio, mons. Nunzio Galantino, che ha detto che in Calabria la malavita organizzata “si nutre di soldi e malaffare, ma anche di coscienze addormentate”. Il presule traccia un bilancio della visita del Papa al microfono della nostra inviata, Fausta Speranza

R. – Penso che questo invito a risvegliare le coscienze, a tener deste le coscienze, sia un invito sostanzialmente radicato nel Vangelo. Alla fine, essere cristiani vuol dire essere delle persone che consapevolmente dicono di “sì” a una proposta di amore, a una proposta di vita vissuta bene. E questo poi va coniugato giorno per giorno. E’ chiaro che, quando il Vangelo resta ai margini, quando il Vangelo resta sullo sfondo, uno sfondo molto molto lontano, quando il Vangelo diventa frasi fatte e slogan, le coscienze in quel momento non si nutrono del Vangelo, si nutrono di parole al vento.

D. – Papa Francesco è venuto in questa terra e ha dato un nome e cognome alla mafia, alla ‘ndrangheta: l’ha definita “adorazione del male”. Un messaggio fortissimo. Ora che il Papa ha lasciato questa terra, cosa rimane?

R. – Innanzitutto, a me è sembrato molto bello questo fatto, che il Papa abbia legato questa affermazione della ‘ndrangheta, o comunque la malavita, all’adorazione del male come contrapposizione all’adorazione del Cristo, del Signore, perché oggi è la festa del Corpus Domini e abbiamo utilizzato quel tipo di letture. Per cui, c’è la capacità del Santo Padre di aiutarci a leggere anche la Liturgia in maniera molto esistenziale: c’è veramente da imparare a dare carne, a dare ossa, a dare nervi alla Parola di Dio.

D. – Al cristiano, Papa Francesco ha detto: non puoi adorare Cristo e adorare il male. Alla Chiesa ha detto: dovete risvegliare la fede, che sia solidarietà, che sia carità. E alla politica ha detto: ricordatevi che l’impegno politico è servizio al bene comune…

R. – E’ chiaro che il politico, se è il politico cristiano, non può trarre ispirazioni da altro se non dal Vangelo. La Chiesa, in genere, non può trarre ispirazioni se non dal Vangelo, quando si tratta di decidere come e dove spendere le sue energie.

D. - Che dire però, mons. Galantino, della resistenza che si avverte sul territorio?

R. – Io penso che la resistenza purtroppo faccia parte della nostra natura: noi non amiamo essere scomodati, né come uomini né come credenti. Abbiamo le nostre carte da giocarci, se ce l’abbiamo, e questo basta… Invece, quando si prende sul serio il Vangelo – e il Papa ci sta invitando a fare questo – il Vangelo spariglia un po’ le carte della nostra vita. E quindi, dobbiamo muoverci diversamente.

D. - Qual è stata la risposta alla visita inaspettata del Papa?

R. – A me intanto piace dire una cosa, proprio guardando a quello che è successo – la mia venuta qui a Cassano, oppure la chiamata adesso a essere segretario della Cei e il modo in cui il Santo Padre mi ha chiamato e ha voluto, come ha detto lui stesso, venire qui per chiedere scusa. Questo dice una cosa molto importante e cioè che per il Santo Padre non vale soltanto la Chiesa universale, la Chiesa italiana, perché la Chiesa universale e quella italiana si nutrono delle Chiese particolari, si nutrono della chiesa diocesana. E qui, il Papa ci ha anche dimostrato come non bisogna cedere a una concezione anche ideologica e burocratizzata della Chiesa. Diciamocelo con franchezza: il Papa poteva tranquillamente dire: “Tu mi servi da un’altra parte e domani mattina vai da un’altra parte”. Invece, me lo ha chiesto e abbiamo insieme continuato a pensare che si potesse fare l’una e l’altra cosa. Lui, pur riconoscendo la fatica che questo comporta, ha detto: voglio ugualmente dire qualcosa a questa piccola comunità, perché inevitabilmente dovrà affrontare delle difficoltà, dovrà affrontare dei disagi. Quindi, anche lì io ci vedo un modo di concepire la Chiesa, una ecclesiologia precisa: la Chiesa non è una grande organizzazione dove bisogna sacrificare tutto. No, non si può sacrificare tutto! Non si può sacrificare l’affetto, la relazione, le presenze… Non si sacrificano queste cose. E il Papa questo ci ha insegnato.

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Papa in Calabria: "Da Francesco la scossa che ci serviva"

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Cassano e le altre località toccate da Francesco durante la sua visita di ieri in Calabria vibrano ancora delle parole e dei gesti del Papa. Generale il sentimento di un prima e soprattutto di un dopo per il quale il Papa ha indicato una direzione di marcia e di impegno, non solo a livello ecclesiale. Ma intanto è la Chiesa locale che si interroga, dopo il lungo colloquio avuto ieri con Papa Francesco nella Cattedrale di Cassano all’Jonio. Federico Piana ha raccolto la voce di don Pierino Di Salvo, parroco del Cuore Immacolato di Maria di Trebisacce: 

R. – Dal punto di vista emotivo, è stato un grande momento. Non finiremo mai di ringraziare il Signore per questo evento così straordinario, penso unico nella storia della nostra diocesi. A me, quello che ha colpito personalmente è il fatto che il Papa come è entrato abbia voluto abbracciarci, uno a uno. E’ stato il gesto proprio di un padre che abbraccia i figli. Sono rimasto molto emozionato da questo fatto. E poi, ho avuto la fortuna di parlare un po’ più a lungo con lui, perché avevo portato i saluti di una sua amica argentina. Io ho conosciuto questa donna perché è una persona che qui si occupa della carità, dei poveri, e quindi viviamo in grande sintonia. Ringraziamo il Signore per tutto quello che il Santo Padre ci ha detto. Ci ha anche incoraggiato a fare meglio, a fare di più, perché la nostra chiesa ha bisogno di fare di più.

D. – Secondo lei, la visita del Papa cambierà qualcosa?

R. – Sì, certamente sì. Abbiamo avuto tutti uno scossone forte e non solo nella giornata di oggi, ma già nei giorni precedenti. Quanta gente si è mobilitata, anche gente che partecipa poco e che era poco interessata… Ma questo Papa riesce a coinvolgere, riesce veramente a scuotere le coscienze. E noi abbiamo bisogno proprio di questo.

D. – L’essere parroco in una realtà come quella della Calabria – con i suoi problemi di criminalità, di povertà – com’è vissuto?

R. – Non le nascondo che è una grande e bella missione quella di essere parroco in questa terra. Certo i problemi, le difficoltà, le amarezze che tante volte incontriamo sono tante. Però, si lavora bene con l’aiuto di Dio. C’è tanta gente che è veramente assetata della Parola di Dio. C’è questo segno di speranza che stiamo cercando di portare avanti, anche se ci sono le difficoltà. Ringraziamo lo stesso il Signore, perché nella difficoltà si costruisce meglio, penso.

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A Seul, la lunga attesa del Papa che avvicina alla pace

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Sale l’attesa per il viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea del Sud. Il Pontefice partirà alla volta di Seul il prossimo 13 agosto per la sesta Giornata della gioventù asiatica. Tra gli eventi più attesi, la Messa per la pace e la riconciliazione tra le due Coree. Il servizio di Davide Dionisi: 

Una striscia di terra larga quattro chilometri che corre lungo il 38.mo parallelo divide le due Coree. Un’area cuscinetto demilitarizzata, creata con la firma dell’armistizio del 1953 che ancora oggi rappresenta una ferita aperta. Un muro, non solo fisico, che ingigantisce le diversità e trasforma il fratello in nemico.

Se ne è parlato nei giorni scorsi durante il forum sulla situazione della penisola coreana e i rapporti con la Nord Corea, organizzato dall’Istituto affari internazionali e dall’Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia. Presenti, tra gli altri, Antonio Fiori docente di Politica e istituzioni della Corea e dell'Asia Orientale presso l'Università di Bologna. L’esponente della Korean Foundation ha spiegato ai nostri microfoni il motivo dell’entusiasmo dei coreani per la visita di Papa Francesco:

R. – I coreani stanno aspettando Papa Francesco, anche perché la società, la religiosità dei coreani è molto cambiata soprattutto nell’ultimo decennio. È un Paese sicuramente molto eccitato – tra virgolette – dal possibile incontro con il Papa. Si è sentito perfino investito della responsabilità di essere il Paese che il Papa ha scelto in Asia per recarvicisi.

D. – Nella Cattedrale di Myeongdong di Seul, il Santo Padre celebrerà la Messa per la pace e la riconciliazione, uno dei momenti più attesi del popolo coreano...

R. – Credo che questa visita possa essere il momento opportuno per riconfermare l’inutilità di questa divisione che percorre la penisola coreana ancora nel 2014. La visita del Pontefice potrebbe essere sicuramente un “ponte” atto a lenire le differenze che ci sono in atto tra i due Paesi.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina. Poroshenko apre a dialogo con gli autogoverni locali

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Continua in Ucraina il cessate-il-fuoco ordinato venerdì scorso dal presidente ucraino, Petro Poroshenko. Nell’occasione, il presidente russo, Vladimir Putin, ha invitato i separatisti russi ad avviare negoziati, trovando il consenso del presidente ucraino, che si è detto disposto ad aprire un dialogo politico con i rappresentanti eletti degli auto-governi locali. Il servizio di Marina Tomarro

"Bisogna avviare un dialogo approfondito e sostanziale che sia basato sul piano di pace ucraino che Mosca sostiene": così ha detto Vladimir Putin in un intervento alla tv "Russia 24". Ma il presidente russo ha anche insistito che sul fatto che Kiev deve fermare le operazioni militari e garantire i diritti dei russofoni, accusando le forze armate ucraine di aver usato l'artiglieria durante la battaglia in corso la scorsa notte.

"Noi abbiamo bisogno di assicurarci che tutti gli scontri si fermino – ha continuato Putin – per far partire subito un "dialogo sostanziale" tra le parti per trovare un compromesso "accettabile per tutti".  

 E dopo questo invito, oggi il presidente ucraino, Petro Poroshenko, si è detto disposto ad "aprire un dialogo politico con i rappresentanti eletti degli auto-governi locali". In una nota sul sito web della presidenza Poroshenko ha per la prima volta annunciato di essere pronto a parlare "con chi, ha fatto proprie le posizioni separatiste, eccetto, ovviamente, gli individui coinvolti in atti di terrorismo, omicidio e tortura". Il presidente ucraino, però, ha chiarito alcuni punti esclusi da qualsiasi ipotesi di trattativa. Primo tra tutti, l'integrità territoriale dell'Ucraina: "Terremo in considerazione i punti di vista e le opinioni dei residenti del Donbas – ha spiegato – ma non possiamo e né vogliamo rimodellare l'intera Ucraina secondo i loro voleri".

Tutto questo mentre continuano ancora gli scontri nelle regioni orientali ucraine e mentre Mosca ha dato il via a grandi esercitazioni militari.

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I tanti Brasile del Mondiale. P. Chiera racconta "cracolandia"

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In un Brasile i riflettori illuminano ancora il Mondiale, in un altro Brasile, quello più nascosto, si soffre e si muore. Due giorni fa, un proiettile vagante ha ucciso un dodicenne in una delle più povere baraccopoli della periferia di Rio de Janeiro. Il giovane Lucas Canuto è morto durante una sparatoria tra polizia e narcotrafficanti, probabilmente vittima degli stessi agenti, ciò che in quelle zone è all’ordine del giorno. Secondo la polizia, in sette anni i morti causati da operazioni di polizia a Rio sono stati oltre 5.500, ma secondo le ong sono addirittura il triplo. Intanto, l’Unicef avverte che nell’ultimo mese sono state circa 3.800 le segnalazioni di violenza su bambini e adolescenti e che in Brasile sono circa tre milioni i ragazzi e le ragazze di età tra i 10 e i 17 anni coinvolti nel lavoro minorile. Padre Renato Chiera, fondatore della “Casa do Menor”, a Rio dei Janeiro, da 36 anni è al fianco dei ragazzi di strada, i "meninos de rua". Luca Collodi lo ha intervistato: 

R. - Io vivo nel Brasile dimenticato, escluso: le periferie, le "cracolandie", i rifiuti. Il Brasile in questo momento è in una situazione di esplosione economica, ma soprattutto di consumismo. Chi è stato miserabile, che non aveva da mangiare, quando poi ha, butta. I Mondiali avvengono in un clima di non gioia, di non festa. Si dice: “Il calcio va bene”, ma prima degli stadi Fifa, abbiamo bisogno di ospedali “modello Fifa”, di scuole “modello Fifa”, e questo lo hanno detto i giovani e che siano i giovani a contestare per me è un fenomeno nuovo.

D. - Qual è il male che affligge il Brasile? Cosa è cambiato da Lula all’attuale governo?

R. - Dobbiamo dire che Lula ha aiutato il Brasile ad avere degli sviluppi nuovi, ha dato speranza. Anche a livello economico, ha portato a una certa distribuzione del reddito attraverso "Bolsa família", un’azione assistenziale, un po’ discutibile, ma che è servita a far uscire 40 mila persone dalla miseria, che ora hanno da mangiare. Adesso cosa è successo? Il Brasile ha avuto un boom economico fondato principalmente sul consumismo, perché il governo ha dato appoggi per consumare. Adess,o c’è una corsa al consumo che non esisteva una volta, una corsa all’avere. Chi non ha, ha rabbia. La classe media che ha di più, vuole di più. La classe alta ha sempre di più. Abbiamo 65 ricchi che hanno più di metà del tesoro nazionale. Hanno provato l’ebbrezza dell’avere e adesso c’è un vuoto: ed ecco la droga, "cracolandia" col narcotraffico... Ecco queste situazioni di disperazione che sono degli inferni. Le "cracolandie" sono cimiteri di vivi che si consolano usando droga fino a morire. Un cimitero composto da bambini, ragazzi, papà, mamme, ragazze incinta, nonni e nonne.

D. - Qui si supera il confine della povertà così come noi la intendiamo. Quindi, c’è qualcosa di più della povertà...

R. - La grande tragedia non è essere poveri, che è quello che pensavo quando sono arrivato in Brasile. Stando a contatto con i non amati, con gli esclusi, con coloro che non hanno nessuno, ho capito che la più grande tragedia è il non essere figli! C’è un vuoto dentro, un vuoto spirituale. Non sentirsi amato dal papà, dalla mamma, dalla famiglia, dalla società e da Dio, è un vuoto spirituale, morale. Sono le conseguenze di un degrado morale e sociale.

D. - La parte istituzionale del Brasile si rende conto di questo? Ha consapevolezza che c’è una società che rischia di essere drogata?

R. – Io dico che la "cracolandia" è lo specchio di una società drogata. Ma il governo non capisce questo, purtroppo. Ha una visione molto materialista: è un problema sociale, economico, ma lo affrontiamo come problema di polizia... Il governo lo vede come un problema di sicurezza pubblica. Noi cerchiamo di far capire al governo che il problema è molto più serio. Ma il governo non ha la condizione di arrivare all’anima, non ha questi strumenti per captare questo grido che io capto stando con loro. Non ce li ha. A Rio, il governo vede il problema della "cracolandia" come un problema di polizia: è un cammino errato, perché queste persone che sono in queste periferie della società sono già state buttate via, hanno ricevuto molta violenza, e noi vogliamo salvarli facendo loro altra violenza? Il governo sta occupando le favelas per cacciare il narcotraffico e sta facendo retate contro i suoi figli, perché ne ha paura. È un approccio poliziesco di sicurezza. Le favelas e le "cracolandie" sono zone di guerra, piene di poliziotti permanenti che stanno in queste aree da cui hanno cacciato i trafficanti, ma loro sono rimasti. Adesso, è un momento di tumulto perché i trafficanti stanno ritornando e stanno aggredendo i poliziotti, più di cento poliziotti sono stati uccisi.

D. - Cosa succede ora con la fine dei Mondiali in Brasile?

R. - Francamente sono preoccupato. C’era un malcontento sui Mondiali, perché sono state fatte delle spese enormi, anche con la corruzione. Il popolo sente che i Mondiali non sono per sé, che sono per i ricchi. Non hanno accesso nemmeno agli stadi, le cifre sono altissime. Io sono preoccupato se il Brasile non guadagna. Sembra che anche la nostra Nazionale abbia un po’ questo malcontento, che è generale, e sembra che non giochi bene, e se perde io non so cosa accadrà. La gente farà esplodere la propria rabbia. Abbiamo investito tanti soldi e noi non volevamo, perché noi abbiamo bisogno di cose più essenziali e adesso il risultato è nessuno, e il Brasile non ha vinto. Per il Brasile non vincere una coppa, non vincere nel calcio, può portare a quello stato di bassa autostima tipico del passato.

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Mali. Un milione e mezzo di persone a rischio fame

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In Mali, circa 500 mila bambini al di sotto dei cinque anni soffrono di malnutrizione acuta, mentre 1,5 milioni di persone non ha di che mangiare. L’allarme è stato lanciato dalle Nazioni Unite, che riferiscono di situazione umanitaria “molto grave”, sia a causa delle discontinue attività agricole, sia anche per gli effetti della guerra che ha duramente colpito il Paese. “Dipendiamo dai raccolti, dalle piogge, dal costo delle derrate alimentari e dagli aiuti”, dichiara mons. Georges Fonghoro, vescovo di Mopti. Finora, è la denuncia dell’Onu, è stato raccolto solo il 24% dei 568 milioni di dollari di fondi richiesti per il Mali. A Kati, non lontano dalla capitale Bamako, si trova la missione delle Suore pianzoline. Francesca Sabatinelli ha intervistato suor Miriam Bovino

R. – La situazione è abbastanza drammatica. In casa nostra, arrivano tutti i giorni domande di cibo e di aiuti a livello sanitario. E questo avviene tutti i giorni. L’altro giorno, ho ricevuto la lettera di un sindaco di un Comune vicino a Kati, il quale mi presentava una lista di famiglie che sono al limite delle loro possibilità per nutrirsi, chiedendo se noi possiamo aiutarle. Abbiamo situazioni in cui alcune persone mangiano anche solo una volta ogni tre giorni… Sono situazioni abbastanza gravi. Stiamo uscendo dal periodo caldo, dove c’è siccità, e stiamo entrando nella stagione delle piogge: una stagione, quindi, a cavallo della quale il cibo manca…

D. – Ma questo, suor Miriam, accadeva anche negli altri anni o quest’anno lei ha visto un peggioramento?

R. – Questo accade tutti gli anni, soprattutto nei villaggi che si trovano nella Savana. Certo è che quest’anno ci sono alcune zone più colpite per mancanza di pioggia e in più c’è questo risvolto della guerra. In Mali, non siamo usciti da una situazione di guerra: è una situazione di pace nel sud del Paese, ma sempre con quest’aria di non sicurezza… Questo costa molto al Paese, perché il turismo, ad esempio, che era un’attività che per il Paese voleva dire economia e lavoro, adesso non c’è. Per cui, le famiglie sono colpite anche da questa mancanza di lavoro a livello turistico.

D. – Voi, come missione, come fate ad aiutare le persone? Avete la possibilità di farlo?

R. – Noi facciamo quel che possiamo. Possiamo però dire che ci sono degli amici – posso segnalare un gruppo di Vigevano – che hanno mandato un container di riso e lo stiamo distribuendo gratuitamente alle persone in difficoltà, alle persone che hanno dovuto lasciare la loro terra a causa della guerra e che sono quindi dei rifugiati… Sì, purtroppo ci sono anche dei morti, in alcuni casi non si arriva a dare un aiuto risolutivo. Anche se possiamo dire che a Kati c’è l’Unicef che sta aiutando molto: fa base vicino all’ospedale… Quindi, anche noi quando abbiamo qualche bambino grave, lo mandiamo a questo centro dell’Unicef, dove si prendono cura dei bambini. Gli altri bambini che non sono arrivati alla malnutrizione grave, li sosteniamo con quello che possiamo. Degli amici ci inviano qualche offerta proprio per aiutare a dare il latte o le pappe necessarie a questi bambini. Gli amici che erano passati nei tempi migliori sanno e quindi ci sostengono. Se ce ne sono altri che vogliono aggiungersi, sono aiuti umanitari che servono ad alleviare un po’ di sofferenza per chi si trova nel bisogno. Dobbiamo dire che c’è anche solidarietà tra i maliani: i maliani si aiutano molto fra famiglie, ma quando ci sono i periodi difficili è chiaro che fanno fatica anche loro. Quindi, l’appello che lancio a tutti coloro che hanno buona volontà, se vogliono dare una mano, noi possiamo fare anche da tramite.

 

Per qualsiasi info rivolgersi alle suore missionarie di Kati: smirpkoko@orangemail.net 

 

 

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Afghanistan. L'emancipazione della donna parte dalla bicicletta

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Per le donne afghane anche andare in bicicletta può rappresentare una forma di emancipazione. Parte da qui l’ultima iniziativa di Shannon Galpin, attivista statunitense impegnata nel migliorare la condizione femminile nel Paese asiatico. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, ha costituito una squadra di cicliste locali, con l’obiettivo di farle partecipare alle Olimpiadi del 2020. Ma l’iniziativa potrà avere ricadute positive anche sul piano dei diritti, come ha spiegato, al microfono di Davide Maggiore, la stessa Shannon Galpin

R. – The bike is very interesting, in that the bike is quite …
Il concetto stesso della bicicletta è interessante, perché la bicicletta è simbolo di movimento e di indipendenza. In termini pratici, però, in Afghanistan come in altri Paesi in cui alle donne non è permesso andare in bicicletta, questa diventa strumento di giustizia sociale: è un veicolo che consente il trasporto a costi bassissimi, un movimento indipendente che permetterebbe un migliore accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria nelle comunità rurali… Ecco che, in senso letterale, la bicicletta può cambiare le comunità, specialmente in zone di conflitto come l’Afghanistan.

D. – Qual è stata la reazione degli uomini a questo progetto?

R. – The reaction in most situations is very positive…
Nella maggior parte delle situazioni, la reazione è molto positiva, per quanto riguarda le famiglie delle ragazze che vanno in bicicletta: le famiglie le sostengono, danno loro tutte le possibilità di continuare ad andare in bicicletta. Invece, la comunità più ampia, quindi oltre la famiglia stretta, ancora non riesce ad accettare le ragazze che vanno in bicicletta, al punto che uomini e ragazzi lanciano loro sassi… Per fortuna, nessuna ha subito troppi danni, si sono riprese presto. E’ evidente che quello che fanno rappresenta una sfida alle consuetudini e questo incontrerà resistenze.

D. – Quale la resistenza maggiore che ha trovato al suo progetto?

R. – The most important resistance is fear: it is the fear of the unknown…
La resistenza maggiore è la paura. È la paura dell’ignoto, è la paura che hanno le ragazze di intraprendere un nuovo sport o di andare a scuola o di trovare un lavoro, nella consapevolezza che ci sono persone che non rispettano questa scelta o non la approvano. E anche questo fonda sulla paura: la paura di cambiare… E’ necessario quindi superare le paure intanto nei singoli individui e poi comprendere perché gli uomini siano così fortemente contrari a questi programmi. Anche la maggior parte di questi atteggiamenti sono radicati nella paura.

D. – Come avete affrontato questi temi culturali e le resistenze culturali che avete trovato?

R. – It’s typical of those resistances to a particular programme…
E’ tipico trovare queste resistenze a un programma particolare, che si tratti di biciclette o di istruzione… L’idea è trovare una strada per richiamare l’attenzione della comunità, affinché questa comprenda in quale misura questo specifico programma possa tornare a suo vantaggio e quindi a beneficio dell’intera società. Quindi, se si riesce a trovare la chiave d’accesso dimostrando loro – per esempio – che l’istruzione delle ragazze porta vantaggio alla famiglia e alla comunità, allora, in genere, daranno supporto su tutta la linea.

D. – Cosa lei, da occidentale, ha imparato da queste donne e cosa possiamo imparare noi tutti?

R. – I think courage. Courage and a kind of deep seeded feeling…
Penso sia il coraggio. Il coraggio e una sorta di senso profondamente radicato in noi stessi di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, e quindi il coraggio di impegnarsi per quello che è giusto. A dispetto di quello che alcuni potrebbero dire, queste donne incarnano questi valori più di chiunque altro io abbia mai incontrato.

D. – Lei considera il suo progetto come limitato all’Afghanistan o pensa che questo tipo di progetto possa essere esteso anche ad altri contesti?

R. – Yes. I am planning to do it, because I do believe that this issue…
Sì, e ho intenzione di farlo, perché credo che questo tema – i diritti delle donne – sia un tema che riguarda tutti: già una sola donna può fare la differenza. La nostra forza però è nei numeri, per questo la mia idea è di prendere quello che abbiamo imparato in Afghanistan e trasporlo in altri Paesi, in altre culture, e così costruire una rete di donne che – letteralmente – portano la rivoluzione pedalando sulle loro biciclette…

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Terra Santa: Magdala nuovo sito di pellegrinaggio sul lago di Tiberiade

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Con la scoperta di importanti reperti archeologici risalenti al tempo della predicazione di Gesù sulle rive del lago di Tiberiade, Magdala – il paese di Maria Maddalena, oggi Migdal – si avvia a diventare un altro sito di pellegrinaggio in Terra Santa. Qui, ai piedi del Monte delle Beatitudini e poco distante da Cafarnao, i Legionari di Cristo hanno eretto una chiesa e vogliono costruire anche un Centro di accoglienza per i pellegrini. A Gerusalemme, Roberto Piermarini ha intervistato il fondatore del “Magdala Center”, padre Juan Maria Solana, il quale spiega l’importanza delle scoperte archeologiche di Migdal: 

R. – Abbiamo trovato innanzitutto, credo, il pezzo più importante: la sinagoga. Una sinagoga del primo secolo, molto ben conservata, una sinagoga ricchissima e, secondo gli archeologi israeliani, eccezionale, che ha l’intera struttura con mosaici ed affreschi. Soprattutto, lì abbiamo trovato l’altare della sinagoga ed è la prima volta che si trova un altare in una sinagoga di quel periodo. È una delle sette sinagoghe più antiche al mondo. Questo altare, una pietra scolpita su tutti i lati, rappresenterebbe – secondo gli specialisti e gli studiosi – il Tempio di Gerusalemme: questa è una novità archeologica assoluta, perché non si era mai trovata una descrizione fisica di com’era il Tempio di Gerusalemme ai tempi di Gesù.

D. – In questa zona, è stata trovata anche quella che definiscono la "barca di Gesù", che si trova in un kibbutz proprio a Magdala…

R. – Effettivamente. Nel 1986, ci fu un anno di siccità ed il lago si ritirò. Sui fondali del lago trovarono questa barca del primo secolo che adesso si conserva e quasi direi che “si venera”, anche se non è accertato che sia di Gesù al 100%. Però, è un richiamo molto forte alla vita di Gesù, ai pescatori, alla vita del lago che è così eccezionale per noi credenti, per coloro che leggono il Vangelo.

D. – In questa zona è stata eretta una chiesa. A chi è dedicata?

R. – Questa chiesa è ispirata a un brevissimo passo del Vangelo di Luca, capitolo 8. Il primo versetto dice: “Gesù predicava”. Questa predicazione noi l’abbiamo “fotografata” nell’altare di questa chiesa che è appunto una barca fatta ispirandosi a quella barca trovata prima e anche a un mosaico molto bello trovato nella proprietà dei francescani a Magdala. Quindi, l’altare è a forma di barca e dietro c’è il lago: è uno spettacolo bellissimo. Luca 8, continua dicendo: “Lo seguivano i Dodici e un gruppo di donne che lo servivano”. Quindi, la Chiesa principale – a parte l’altare a forma di barca – ha 12 colonne con altrettante icone, quindi i Dodici. Poi, ha un atrio antistante dedicato alle donne del Vangelo, molto suggestivo perché l’insieme, oltre a essere molto armonioso, molto bello, è anche molto espressivo di queste donne. Tra l’altro, ha otto colonne e su sette di esse abbiamo scolpito i nomi delle donne che seguivano e servivano Gesù, volendo significare che erano colonne della Chiesa. Non è detto che fossero di seconda classe perché non erano Apostoli: io non lo so, dovremmo approfondire cosa facevano le donne che seguivano Gesù. Ma, secondo me, non solo cucinavano e lavavano i vestiti, ma sicuramente appoggiavano il ministero di Gesù, gli avvicinavano la gente, spiegavano le sue parabole. Erano persone che facevano parte di tutto il collegio che Gesù aveva creato per edificare la sua Chiesa. Quindi, prime pietre vive di questa Chiesa edificata da Gesù, colonne, donne che seguivano Gesù.

D. Quindi, adesso nei pellegrinaggi in Galilea ci sarà un’altra sosta anche a Magdala che invece prima non veniva considerata?

R. – Infatti, prima si passava solo lungo la strada indicando Magdala, ma si diceva che non c’era niente. Adesso, ci sarà una nuova tappa nei pellegrinaggi dei fedeli che vengono in Terra Santa anche perché è vicinissima a Cafarnao, al Monte delle Beatitudini. Quindi, non bisogna trascorrerci mezza giornata ma si passa di lì per una sosta per ricordare la predicazione di Gesù e per ricordare queste donne, figure bellissime di donne che accompagnavano e appoggiavano il ministero di Gesù.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: raid aereo su Tikrit, almeno 7 morti

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Continuano i combattimenti in Iraq. Nel tentativo di arrestare l'avanzata degli jihadisti sunniti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante su Baghdad e strappare loro le città che controllano, jet iracheni hanno effettuato un raid aereo su Tikrit, la citta' natale di Saddam Hussein, uccidendo almeno sette persone.

Lo riferiscono testimoni locali mentre la tv irachena sostiene che nel bombardamento sarebbero stati uccisi almeno 40 membri di Isis. Tikrit è il capoluogo della provincia di Salaheddin a nord di Baghdad ed è, dopo Mosul, una delle prime grandi città irachene cadute nelle mani di Isis dall'inizio, il 9 giugno, della grande offensiva verso sud.

Intanto, gli jihadisti sunniti sono riusciti nella loro avanzata a conquistare tre città nella provincia di Anbar nell'Iraq occidentale. Un agente dei servizi segreti ha riferito che le truppe dell'esercito si sono ritirati da Rawa, Ana e Rutba stamane e le forze di Isis hanno rapidamente assunto il controllo di queste citta. Rutba, si trova a circa 150 chilometri ad est del confine con la Giordania ed è la quarta città a cadere sotto il controllo dei ribelli nel giro degli ultimi due giorni.

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Siria. Croce rossa e Mezzaluna rossa: dateci corridoi umanitari

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Un'esplosione avvenuta al confine tra Israele e la Siria ha colpito un  veicolo civile, sulle alture del Golan, uccidendo un ragazzo israeliano di 15 anni e ferendo altre due persone, tra le quali il padre della vittima. Lo riferiscono fonti militari israeliane. Secondo le prime notizie, riportate dal  quotidiano  Haaretz, non risulta ancora chiaro se l'esplosione sia stata provocata da un ordigno piantato nel terreno o da un colpo di mortaio. L'esercito israeliano ha  risposto all'attacco facendo aprire il fuoco ai carri armati piazzati lungo il confine. I feriti sono stati evacuati in elicottero e condotti all'ospedale di Safed.

E ieri, durante l’Assemblea nazionale della Croce rossa italiana, è stata approvata una mozione per la protezione e il rispetto degli operatori umanitari in Siria. In particolare, la Croce Rossa Italiana ha sollecitato il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, a sostenere l'appello del Movimento internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa siriana e palestinese, che chiedono a tutte le parti in conflitto di rispettare la loro missione umanitaria e di permettere ai soccorritori un accesso sicuro alle persone che hanno più bisogno. Ci sono almeno 10 milioni di siriani, la metà dei quali sono minori, che continuano a soffrire le conseguenze devastanti di un conflitto armato che sta colpendo tutto il Paese da oltre di tre anni.

La vita quotidiana in Siria è stata distrutta dalla tragedia umanitaria che ha raggiunto livelli inaccettabili. In particolare, di più deve essere fatto per assicurare che l'aiuto raggiunga i più vulnerabili. A oggi, 37 volontari della Mezzaluna Rossa siriana e sette della Mezzaluna Rossa palestinese sono stati uccisi mentre portavano la loro opera di soccorso e molti altri feriti, rapiti o detenuti. Per rispondere efficacemente agli immensi bisogni umanitari, alle squadre di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa deve essere garantito un accesso più sicuro, più veloce e senza impedimenti a coloro i quali hanno bisogno in tutto il Paese e in ogni circostanza.

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Roma. il card. Vegliò presiede la Veglia "Morire di speranza"

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Questa sera alle  18,30, nella Basilica romana di Santa Maria in Trastevere, viene organizzata per il settimo anno consecutivo la Veglia di preghiera in memoria di quanti hanno perso la vita nei viaggi verso l’Europa. La celebrazione, che ha come tema  “Morire di speranza”, viene promossa tra gli altri dalla Comunità di Sant’Egidio, dall’Associazione Centro Astalli, dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes, e sarà presieduta dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Parteciperanno comunità e associazioni di immigrati, rifugiati, organizzazioni di volontariato. Nella Basilica sarà esposta la Croce di Lampedusa, costruita con il legno dei barconi arrivati nell’isola del Mediterraneo, e ai suoi piedi saranno deposti i nomi di quanti hanno perso la vita nella traversata dalla sponda Sud verso l’Europa.  

A un anno dalla visita di Papa Francesco all’isola dell’arcipelago siciliano, e dalla sua drammatica denuncia della “globalizzazione dell’indifferenza”, la Veglia si propone di continuare a risvegliare le coscienze di fronte a un’emergenza umanitaria che si sta aggravando seriamente. In questo ultimo anno, sono aumentati i flussi dei profughi in fuga da guerre e persecuzioni verso la frontiera meridionale dell’Europa.

Secondo il Rapporto dell'Acnur, nel mondo ci sono oltre cinquanta milioni di rifugiati e negli ultimi 15 anni 25 mila persone, di cui molte donne e bambini, sono morte per naufragio o per stenti durante la traversata. Ad affrontare i pericoli del viaggio sono spesso profughi che avrebbero diritto a chiedere misure di protezione previste dal diritto internazionale e disciplinate dal sistema giuridico dell’asilo. Nel 2013, sono stati 42.215 profughi approdati vivi in Italia: oltre 40 mila nei primi cinque mesi del 2014, dei quali il maggior numero provenienti da Siria, Eritrea, Somalia, Afghanistan, Nigeria, Mali, Sudan. In questi giorni, Veglie di preghiera in memoria delle vittime dei viaggi della speranza si svolgeranno anche in molte città italiane ed europee

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Mons. Becciu tra i vincitori del Premio di giornalismo Biagio Agnes

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Monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, è stato ieri sera a Capri tra i vincitori della VI edizione del Premio internazionale di giornalismo "Biagio Agnes". L’arcivescovo ha ricevuto il Premio "Nuove Frontiere del Giornalismo". Monsignor Becciu e la Segreteria di Stato Vaticana - si legge nella motivazione della giuria - vengono premiati per il loro "utilizzo efficace e innovativo dei social network, dimostrazione di modernità e attenzione ai mutamenti del mondo della comunicazione". In questa scelta comunicativa, sottolinea Simona Agnes, presidente della Fondazione intitolata al padre, si evidenzia "un perfetto incrocio tra tradizione e innovazione".

E l’attenzione delle istituzioni vaticane ai nuovi mezzi di comunicazione è stata premiata soprattutto dal riscontro di chi naviga in rete: i nove account Twitter di Papa Francesco hanno infatti appena superato i 14 milioni di followers. A fare da traino è sempre l’account in lingua spagnola @pontifex_es, con più di 5, 94 milioni di iscritti, seguito dall’account in lingua inglese @pontifex, con oltre 4,15 milioni. L’account in lingua italiana (pontifex_it) è al terzo posto, con più di 1,75 milioni di follower. Ma non ci sono solo i seguaci diretti: c’è anche una moltitudine di utenti che riceve i messaggi di Papa Francesco grazie al fenomeno del re-tweetting. Anche i media vaticani da tempo sono sbarcati sui social network e hanno reso più efficienti i loro siti Internet, dal Centro Ttelevisivo Vaticano alla Radio Vaticana, oltre al portale curato dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali "News.va", che ha anche un suo canale YouTube in varie lingue. E anche L’Osservatore Romano è presente su Facebook e su Twitter: @oss_romano è uno degli account più seguiti, con oltre 30.500 follower.

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Maria Grazia Vergari e Giuseppe Notarstefano nuovi vicepresidenti di Ac

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Maria Grazia Vergari, dell’arcidiocesi di Otranto, e Giuseppe Notarstefano, dell’arcidiocesi di Palermo, sono da ieri i nuovi vicepresidenti nazionali dell’Azione cattolica italiana. Altre nomine fatte dal consiglio nazionale riunito a Roma, sono state quelle di Lucia Colombo, dell’arcidiocesi di Vercelli, e Michele Tridente, della diocesi di Tursi-Lagonegro, vicepresidenti per il settore giovani. Teresa Borrelli, dell’arcidiocesi di Bari, responsabile dell’Acr, mentre Carlotta Benedetti, della diocesi di Tivoli, è il segretario generale.  Michele Panajotti, della diocesi di Chioggia, l'amministratore. Si completa così l’organismo che guiderà l’associazione, dopo la nomina del presidente nazionale Matteo Truffelli, avvenuta lo scorso 21 maggio nell’ambito del Consiglio permanente della Cei e annunciata nel corso dell’Assemblea generale.

 Primo impegno dei nuovi eletti è stato quello di vivere a pieno le tre esortazioni affidate loro da Papa Francesco durante l’incontro con l’Associazione, avvenuto lo scorso 3 maggio: «Rimanere con Gesù», «Andare per le strade», «Gioire ed esultare sempre nel Signore». Tre consegne per costruire il bene comune, attraverso l’educazione alla responsabilità personale, all’impegno pubblico, al senso delle istituzioni, alla partecipazione, alla democrazia.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 173

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.