Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 18/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: un popolo, così Dio ha creato e vede la Chiesa

◊  

Il progetto di Dio è quello di formare un popolo che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra. Lo ha detto Papa Francesco all’odierna udienza generale, che inaugura un ciclo di catechesi sulla Chiesa. La scorsa settimana si è infatti conclusa la serie di catechesi sui sette doni dello Spirto Santo. Una folla festosa di migliaia di persone ha accolto il Papa in Piazza San Pietro. Il servizio di Debora Donnini: 

E’ Abramo, a cui Dio chiede di lasciare la sua patria e di andare verso un’altra terra, la figura da cui Papa Francesco inizia la sua riflessione sulla Chiesa. La Chiesa, spiega infatti, "non è un’istituzione finalizzata a se stessa, o una Ong. La Chiesa non va ristretta al clero o al Vaticano. “La Chiesa siamo tutti”, dice Papa Francesco ricordando anche che “non è nata in un laboratorio”, né improvvisamente. “E’ fondata da Gesù ma è un popolo con una storia lunga alle spalle” :

“Il primo dato importante è proprio questo: cominciando da Abramo Dio forma un popolo perché porti la sua benedizione a tutte le famiglie della terra. E all’interno di questo popolo nasce Gesù. E’ Dio che fa questo popolo, questa storia, la Chiesa in cammino, e lì nasce Gesù, in questo popolo”.

Dio chiama Abramo, non da solo, ma con la sua famiglia e una volta che questi è in cammino lo ricolma della sua benedizione promettendogli una discendenza numerosa come le stelle del cielo e la sabbia che è sulla riva del mare. Ma, fa notare il Papa, in questo caso si assiste a qualcosa di inaudito: non è l’uomo a rivolgersi alla divinità, ma è Dio stesso "a prendere l’iniziativa" verso Abramo “e gli dice: vai avanti, vattene dalla tua terra, incomincia a camminare e io farò dite un grande popolo”.  E’, dunque, possibile avere una conversazione con Dio e questo si chiama preghiera:

“Così Dio forma un popolo con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui. Questa è l’unica condizione: fidarsi di Dio. Se tu ti fidi di Dio, lo ascolti e ti metti in cammino, questo è fare Chiesa. Questo è fare la Chiesa. L’amore di Dio precede tutto. Dio sempre è primo, arriva prima di noi, Lui ci precede”.

Il Papa sottolinea dunque che “questo si chiama amore perché Dio ci aspetta sempre”:

“‘Ma, padre, io non credo questo, perché se lei sapesse, padre, la mia vita, è stata tanto brutta, come posso pensare che Dio mi aspetta?’. Dio ti aspetta. E se sei stato un peccatore grosso ti aspetta di più e ti aspetta con tanto amore, perché Lui è primo. E’ questa la bellezza della Chiesa, che ci porta a questo Dio che ci aspetta!”.

Abramo, dunque, si mette in cammino senza sapere dove questo Dio che gli ha parlato voglia condurlo. “Non aveva un libro di teologia per studiare cosa fosse questo Dio”, afferma il Pontefice, ma “si fida dell’amore” di Dio. C’è, però, sempre la tentazione di risolvere le cose a proprio modo: i peccati “segnano il cammino del popolo lungo tutta la storia della salvezza”, “storia – rileva il Papa – della fedeltà di Dio e dell’infedeltà del popolo”. Dio, però, ha pazienza e “nel tempo continua a educare e a formare il suo popolo, come un padre con il proprio figlio”. Il Papa sottolinea, dunque, come anche noi, “pur nel nostro proposito di seguire il Signore Gesù, facciamo esperienza ogni giorno” “della durezza del nostro cuore”. Quando però “ci riconosciamo peccatori”, Dio ci perdona sempre. Quello che, infatti, “ci fa crescere”, come Chiesa, "non sono i nostri meriti", ma è "l’esperienza  quotidiana di quanto il Signore ci vuole bene":

“Essere Chiesa è sentirsi nelle mani di Dio, che è Padre e ci ama, ci carezza, ci aspetta, ci fa sentire la sua tenerezza. E questo è molto bello!”

Il progetto di Dio è, quindi, di “formare un popolo benedetto dal suo amore e che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra”. Un progetto che  ha avuto il suo compimento in Cristo e che Dio continua  a realizzare nella Chiesa. Il Papa esorta, dunque, a essere pronti, ogni giorno, a partire come Abramo verso "la nostra vera patria" e diventare così “segno dell’amore di Dio”:

“A me piace pensare che un sinonimo, un altro nome che possiamo avere noi cristiani sarebbe questo: siamo uomini e donne, siamo gente che benedice. Il cristiano con la sua vita deve benedire sempre, benedire Dio e benedire tutti. Noi cristiani siamo gente che benedice, che sa benedire. E’ una bella vocazione questa!”.

Prima della catechesi, il Papa ha mostrato proprio questa attitudine ricca di benedizione e amore salutando e intrattenendosi con bambini, anziani e disabili in Aula Paolo VI. "Pregate perchè non piova", ha detto loro, pensando alle gente convenuta in Piazza San Pietro e ha anche chiesto loro preghiere per lui.

inizio pagina

Francesco: vicini ai rifugiati, anche Cristo fu uno di loro

◊  

Vicini ai rifugiati e solidali con le loro sofferenze. Lo ha chiesto ancora una volta Papa Francesco nel vibrante appello col quale ha concluso l’udienza generale. Dopodomani, si celebra la Giornata mondiale dedicata al dramma di chi chiede asilo in una terra più ospitale della propria e il Papa, nell’invocare aiuto per tutti loro, ha ricordato: anche “Gesù è stato un rifugiato”. Queste le sue parole: 

“Il numero di questi fratelli rifugiati sta crescendo e, in questi ultimi giorni, altre migliaia di persone sono state indotte a lasciare le loro case per salvarsi. Milioni di famiglie, milioni, rifugiate di tanti Paesi e di ogni fede religiosa vivono nelle loro storie drammi e ferite che difficilmente potranno essere sanate. Facciamoci loro vicini, condividendo le loro paure e la loro incertezza per il futuro e alleviando concretamente le loro sofferenze.

Il Signore sostenga le persone e le istituzioni che lavorano con generosità per assicurare ai rifugiati accoglienza e dignità, e dare loro motivi di speranza. Pensiamo che Gesù è stato un rifugiato, è dovuto fuggire per salvare la vita, con San Giuseppe e la Madonna, ha dovuto andarsene in Egitto. Lui è stato un rifugiato. Preghiamo la Madonna che conosce i dolori dei rifugiati che si avvicini a questi fratelli e sorelle nostri. Preghiamo insieme la Madonna per i fratelli e sorelle rifugiati. [Ave Maria] Maria, madre dei rifugiati, prega per noi”.

 

L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) chiede maggiore protezione per chi possiede questo particolare status e soprattutto azioni congiunte a livello internazionale che evitino l’esplodere di conflitti, che sono poi alla base del fenomeno dei migranti in cerca di asilo e, molto spesso, delle violazioni dei loro diritti. Maria Gabriella Lanza ne ha parlato con Carlotta Sami, portavoce in Italia dell’Acnur: 

R. – E’ sempre più importante celebrare questa Giornata, perché il problema dei rifugiati è un problema che sta diventando sempre più grave, più tragico. Il nostro intervento come alto Commissariato è chiaramente umanitario, di supporto, di aiuto, di tutela, di protezione, ma non è sufficiente. Ci vuole una mobilitazione a livello internazionale per prevenire e risolvere conflitti che sono la causa di questi numeri sempre più grandi di rifugiati, di persone che sono costrette a scappare dalle loro case e abbandonare tutto. Vediamo la crisi siriana che non si riesce a risolvere, ma anche i conflitti in Centrafrica, gli scontri che ci sono in questi giorni che hanno costretto più di 300 mila persone a scappare in Iraq.

D. – In Italia, un richiedente asilo aspetta anche due anni prima di ottenere lo status di rifugiato e nel frattempo vive in centri sovraffollati e molto spesso i loro diritti vengono violati. Come si può garantire un’accoglienza dignitosa?

R. – Bisogna lavorare sicuramente moltissimo nel nostro Paese per consentire un’accoglienza dei profughi e dei rifugiati quando arrivano nel nostro Paese, sin dalle prime ore. Un’accoglienza dignitosa che permetta di soddisfare bisogni, fondamentali e primari, di persone che hanno attraversato grandi difficoltà e che sono spesso in precarie condizioni di salute. Poi, l’altro tema importante per l’Italia è quello dell’integrazione: dare opportunità a persone che vogliono rappresentare una risorsa per il nostro Paese, per l’Italia, che sono qui per contribuire e per aiutare veramente a costruire una società della quale vogliono essere parte.

D. – Gli ultimi dati disponibili mostrano che in Europa lo Stato con più richiedenti asilo non è l’Italia ma la Germania. Purtroppo, molti migranti sono costretti a restare in Italia in base alla Convenzione di Dublino e non possono ricongiungersi con i loro parenti in Europa…

R. – C’è sicuramente la possibilità del ricongiungimento familiare che va utilizzata sempre. È una possibilità importantissima e fondamentale riuscire a mantenere l’unità delle famiglie. Lo abbiamo fatto presente molte volte, in particolar modo per quanto riguarda i numerosissimi rifugiati siriani che arrivano in Italia, ma anche in altri Paesi europei. È importante che a livello europeo vi sia una condivisione dell’accoglienza e della responsabilità di offrire opportunità ai rifugiati.

inizio pagina

Reso noto il programma del Viaggio del Papa in Corea

◊  

E’ stato reso noto questa mattina dalla Sala Stampa il programma del viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea. Il Pontefice partirà per Seoul il 13 agosto per una visita di cinque giorni. L’evento clou sarà la Messa a Daejon, nella solennità dell’Assunzione, con i giovani asiatici. Il servizio di Davide Dionisi

I giovani, i martiri e la pace: ruota attorno a queste direttrici il viaggio apostolico in Sud Corea di Papa Francesco. “Bisogna andare in Asia”, aveva detto lo scorso luglio sull'aereo che lo riportava da Rio de Janeiro a Roma dopo la Giornata mondiale della gioventù. E’ lì che la Chiesa può dare il suo apporto proponendo la scoperta e l’offerta della persona e del messaggio di Gesù Cristo. "Corea, Alzati, rivestiti di luce, la gloria del Signore brilla sopra di te" è il motto del viaggio che presenta un nutrito calendario di appuntamenti: dall’incontro con le autorità e con i vescovi coreani, fino alla messa a Daejon, nella solennità dell’Assunzione, e l’abbraccio con i giovani, ovvero l’evento clou. Il motivo della sua visita è, infatti, la sesta Giornata della gioventù asiatica. Il Pontefice inoltre beatificherà 124 martiri coreani, incontrerà i leader religiosi e prima della partenza presiederà la Messa per la pace e la riconciliazione nella cattedrale di Myeong-dong a Seoul.  Quella di Papa Francesco sarà una visita all’intero continente asiatico, hanno sottolineato i vescovi coreani, e per questo sale di giorno in giorno l’attesa per la sua testimonianza di pace e di speranza. Così come ci conferma Francesco Mangano, uno dei ragazzi missionari del Cammino neocatecumenale che vive in Corea e che si sta preparando all’evento di Daejon:

“Tutta la Corea - non solo i cattolici, tutta la società coreana - ha molte aspettative su questa visita. Le Edizioni Paoline hanno dichiarato di avere venduto moltissimi volumi dell’Evangelii Gaudium, perché la gente comunque è curiosa di sapere cosa dice il Papa. Papa Francesco sta dando un impulso molto forte alla Chiesa con il suo modo familiare e diretto di comunicare. In effetti, sta mostrando all’umanità intera un nuovo orientamento, dove l’autorità, soprattutto, è vista non come potere, ma come servizio. Questo, penso, sia uno dei doni per la società coreana. Anche il suo modo di fare dimostra un amore per la gente, sia dentro che fuori la Chiesa”.

inizio pagina

Nomine episcopali in Francia, Colombia ed Ecuador

◊  

In Francia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Périgueux, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Michel Mouïsse. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Philippe Mousset, finora vescovo di Pamiers. Il presule è nato il 27 maggio 1955  a  Le Guâ, nella diocesi di La Rochelle. Compiuti gli studi classici, ha frequentato l’Institut rural d’éducation et d’orientation (IREO) di Cognac, e ha lavorato in vista di riprendere la gestione della proprietà agricola della famiglia. Nel 1981 è entrato nel Seminario Maggiore di Poitiers, nel quale ha fatto il primo ciclo dei studi filosofico-teologici, poi in quello di Bordeaux per il secondo ciclo. Nell’anno 2000-2001, ha frequentato a Parigi l’Istituto di Formazione degli Educatori del Clero (IFEC). E’ stato ordinato sacerdote il 22 maggio 1988 per la diocesi di La Rochelle. Ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: Cappellano delle scuole e viceparroco a Royan (1988-1991); Responsabile della pastorale giovanile a La Rochelle (1991-2001); Responsabile del Servizio diocesano delle Vocazioni e della Pastorale delle Vocazioni a livello della Provincia ecclesiastica di Poitiers (1996-2009); Parroco della parrocchia Saint-Paul a Mireuil (La Rochelle) (2001-2009); e dal 2005 al 2009 è stato anche Vicario Episcopale per i Decanati di La Rochelle, Marans e Rochefort. Nominato Vescovo di Pamiers l’8 gennaio 2009, è stato consacrato il 15 marzo successivo. In seno alla Conferenza Episcopale francese è membro del Consiglio per i movimenti e le associazioni dei fedeli.

In Colombia, il Pontefice ha nominato vescovo di El Banco il mons. Luis Gabriel Ramírez Díaz, del clero della diocesi di El Banco, finora amministratore apostolico della medesima diocesi.  Il presule è nato a Margarita, diocesi di El Banco, il 14 novembre 1965. Ha compiuto la formazione sacerdotale presso il Collegio Ecclesiastico Internazionale “BIDASOA” a Pamplona (Spagna), frequentando gli studi di filosofia e teologia nell’Università di Navarra. Ottenne il Dottorato in Teologia Spirituale presso l’Istituto “Teresianum” di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 12 giugno 1993, incardinandosi nella diocesi di Santa Marta. Al momento della creazione della diocesi di El Banco, il 17 gennaio 2006, è stato incardinato nella nuova diocesi. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi: Parroco di “San Pedro mártir de Verona”, Amministratore parrocchiale di “La Inmaculada Concepción” a Remolino, Promotore vocazionale, Formatore e Rettore del Seminario Maggiore “San José” della diocesi di Santa Marta, Parroco di “San Sebastián”, Delegato per la pastorale sacerdotale della diocesi di El Banco, Parroco di “La Inmaculada Concepción” a Plato, Vicario Generale di El Banco, e, dal 24 aprile 2013, Amministratore Apostolico della diocesi di El Banco.

Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Ordinariato militare per l’Ecuador, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Miguel Ángel Aguilar Miranda. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Segundo René Coba Galarza, finora ausiliare di Quito, in Ecuador. Mons. Coba Galarza è nato il 26 settembre 1957 a Quito, Arcidiocesi di Quito. Ha compiuto gli studi presso il Seminario Minore “San Luis” e nel Seminario Maggiore “San José” di Quito. Ha frequentato i corsi istituzionali presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador. Nella medesima Istituzione ha conseguito la Licenza in Teologia pastorale. Il 3 luglio 1982 ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale per l’Arcidiocesi di Quito. Ha svolto diversi uffici pastorali: Parroco, Segretario esecutivo della Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata della C.E.E., Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Quito, Professore di Teologia presso la PUCE (Quito). Il 7 giugno 2006 è stato nominato Vescovo Ausiliare per l’Arcidiocesi di Quito con il titolo di Vegesela di Bizacena ricevendo l’ordinazione episcopale l’11 agosto successivo. Nella Conferenza Episcopale Ecuadoriana è membro della Commissione Episcopale per i Ministeri.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Isil alle porte di Baghdad. Digiuno e preghiera per la pace

◊  

In Iraq, nella giornata per la pace indetta dal patriarcato di Babilonia dei caldei, non si arresta l’avanzata dei jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. I miliziani sunniti hanno preso il controllo della raffineria di Baiji, la più grande del Paese, e marciano verso Baghdad. La cronaca di Massimiliano Menichetti

Regnano violenza e caos in Iraq. I gruppi jihadisti hanno conquistato la regione di Ninive, si sono impadroniti di gran parte di quella di Tallafar, occupate diverse città tra cui Mosul e Tikrit. Respinto l’attacco a Baquba, a 60 chilometri da Baghdad, obiettivo dichiarato quest’ultimo degli estremisti sunniti. E nella capitale ieri un'autobomba nel quartiere sciita ha ucciso oltre 10 persone e ne ha ferite 35. In mano ai jihadisti anche il valico di Al Qaim, che collega il Paese con la Siria. Inefficace per ora l’azione dell’esercito. Il primo ministro iracheno, Nouri al Maliki, ha licenziato quattro comandanti per non aver compiuto, ribadisce, "il loro dovere nazionale”. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto al premier di avviare un dialogo per tentare di fermare le violenze, mentre l'inviato Onu, Nickolay Mladenov, ha avvertito che la crisi "minaccia l'esistenza stessa dell'Iraq”. Grande la preoccupazione della Chiesa caldea. Nessun numero certo sulle vittime degli scontri, si stimano centinaia di morti e feriti. E uno scenario di devastazione dove anche quarantina di operai indiani impegnati nella costruzione di un edificio vicino a Mosul, sono stati sequestrati, dall’Unesco arriva l’appello a rispettare il patrimonio storico-artistico del Paese: 4370, secondo fonti ufficiali, i siti già distrutti.

 

Al microfono di Massimiliano Menichetti, mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania, commenta la crisi in atto nel Paese: 

R. - C’è molta preoccupazione per l’avanzata delle forze dell’esercito islamico dell’Iraq e del Levante, verso Baghdad. Difficilmente si prevedono soluzioni politiche, che sono le uniche che possono risparmiare altro sangue. Per questo motivo, il patriarca ha invitato tutti i fedeli a pregare e a invocare il dono della pace.

D. - La pace per l’Iraq era stata invocata anche dal Papa alla fine dell’anno scorso. Ora, sembra lontana…

R. - Diciamo che la pace è in grave pericolo: c’è il rischio grave di uno scontro settario. Non si vede altra soluzione che uno stop ai combattimenti, per una riconciliazione nazionale e un tavolo di trattative che comprenda tutte le forze in campo.

D. - Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, continua a esortare al dialogo. C’è chi invece sembra spingere per un intervento militare internazionale…

R. - A mio avviso, un intervento militare sarebbe una catastrofe, come sempre. Le armi non possono risolvere i problemi, ne creano sempre di nuovi. Quindi, ci vuole il buon senso, leader illuminati desiderosi di implementare il bene comune e non il bene di una parte.

D. - Come vive la comunità cristiana queste ore, questi giorni?

R. - A parte la grande apprensione e paura che c’è in tutti, le comunità cristiane non sono state direttamente attaccate. Ho saputo, anzi, che le forze anche dell’Isil sono andate a vedere il vescovo di Mosul dei siro-cattolici per chiedergli se possono essergli utili in qualche modo. Questo da una parte tranquillizza, perché c’è l’intento di non attaccare la popolazione e neppure i cristiani. D’altra parte, forse ancora più preoccupante perché significa che c’è una strategia molto seria dietro.

D. - Lei ha ribadito più di una volta che bisogna agire sul disarmo della popolazione…

R. - Bisogna andare controcorrente, perché la popolazione purtroppo si sta armando ed è stata invitata a prendere le armi. Bisogna mettere da parte le proprie ambizioni. Il mio auspicio è che tacciano le armi e che ci si sieda per dialogare e trovare una soluzione che vada bene per tutti. Per questo, chiedo ai fedeli di pregare per fermare questa situazione.

inizio pagina

Ucraina: bomba contro il gasdotto. Poroshenko ai filorussi: disarmate

◊  

Sarebbe stata una bomba a provocare ieri l’esplosione del gasdotto che dalla Russia porta il gas verso l'Europa, attraverso l’Ucraina. La notizia non facilita certo la soluzione della crisi tra Mosca e Kiev, dalla quale continuano ad arrivare segnali contrastanti. Il neopresidente ucraino, Petro Poroshenko, ha proposto oggi un cessate-il-fuoco unilaterale, per consentire ai separatisti filorussi di deporre le armi e interrompere le operazioni nell’est russofono dell’Ucraina. Per gli indipendentisti, la dichiarazione del capo dello Stato sarebbe un trucco. Sulla situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Alessandro Politi, direttore della Nato Defence College Foundation: 

R. – Il segnale più importante, in questo momento, è la nomina del nuovo ministro degli Esteri. Il ministro degli Esteri è l’ex ambasciatore nella Repubblica federale tedesca. Questo è un segnale politico, che dice molto sulla competenza del nuovo ministro degli Esteri – il vecchio è stato dimissionato per una gaffe che ha fatto – però anche l’importanza che la Germania ha nella gestione della crisi ucraina. Quanto all’allentamento della tensione, si potrà soltanto vedere quando effettivamente ci sarà un dialogo con gli attuali separatisti.

D. – Sul fronte della diplomazia internazionale, gli attori rimangono quelli attuali o vede l’inserimento di qualche nuovo protagonista?

R. – C’è la Russia, c’è l’Ucraina e il nuovo governo ucraino, c’è la Nato, c’è l’Unione Europea, per quello che la fanno valere i principali Stati nazionali, e poi c’è la Germania. E’ interessante notare che a livello Onu non si stia muovendo gran che, ma ovviamente qualunque iniziativa del Consiglio di sicurezza deve passare attraverso il veto sicuro della Russia e l’astensione cinese probabile.

D. – Dal punto di vista del diritto internazionale, a questo punto come considerare oggi la Crimea, autoproclamatasi indipendente, e l’est dell’Ucraina?

R. – L’est dell’Ucraina è una zona con un governo di fatto, come ce ne sono tante nel mondo. Questo non significa che sia riconosciuta dalle leggi internazionali o dalla comunità internazionale. La Crimea invece pone un peso più concreto di diritto internazionale, perché è stato chiaramente violato un accordo internazionale del ’94, che garantiva l’integrità territoriale all’Ucraina. Il fatto poi che si sia tenuto un referendum fuori da qualunque controllo internazionale e che questo referendum, con secessione e annessione alla Russia, sia stato fatto senza nessun negoziato con l’allora governo di Kiev, per quanto de facto anch’esso, crea naturalmente un problema nelle relazioni tra la Russia e altri partner internazionali.

inizio pagina

Centrafrica, accettata mediazione tra Seleka e Anti-Balaka

◊  

Sembra giunta a una svolta la crisi nella Repubblica Centrafricana. E' stata infatti accettata una mediazione tra Seleka e Anti-Balaka per arrivare a pacificare il Paese. Soltanto sei giorni fa, lo scontro tra le due fazioni aveva causato 22 morti, ultimo atto di un ciclo di violenze che sembrava inarrestabile. Da cosa è stato determinato questo improvviso riavvicinamento delle parti? Gianmichele Laino ha chiesto l'opinione del prof. Luigi Serra, già preside della Facoltà di studi arabo-islamici dell’Università Orientale di Napoli: 

R. – E’ difficile configurare con sicurezza le ragioni reali ed effettive, in un breve spazio di tempo, che divide il contrasto palese e l’accordo annunziato, praticato in queste ultime ore. E’ molto probabile che abbia inciso una presa di coscienza, successiva proprio alle ultime raccomandazioni di pace, richieste di pace, pervenute da un soglio tanto alto quanto quello di Papa Francesco, che si è rivolto non solo alle due forze contendenti, contrapposte sul campo, ma a livello universale. Credo che questo abbia potuto incidere in termini di speranza, in termini di auspici di pace in quell’area. Credo che abbia inciso anche più pragmaticamente la sperimentata tragedia dei 22 morti. Un terzo fattore, lo si potrebbe immaginare come determinante nella perpetua e continua strumentalizzazione dei fatti negativi d’Africa, non solo in rapporto al Centrafrica, ma in rapporto a tutto il continente, da parte delle potenze europee occidentali, le quali piangono sempre sul latte versato e nulla fanno per evitare che ulteriore latte si perda nei rivoli della guerra.

D. – Riusciranno Seleka e anti Balaka a riconoscere i reciproci errori e ad avviare il dialogo per ristabilire la pace nel Paese?

R. – Se li si gratifica del merito di avere interrotto un percorso di lotta, annunziato così drammaticamente dai 22 ultimi caduti sul campo dello scontro, probabilmente sì.

D. – Quali potrebbero essere le eventuali reazioni della popolazione centrafricana? C’è speranza per il futuro del Paese, anche alla luce della difficile situazione umanitaria?

R. – Credo di sì, nel senso che ogni seme di pace, in un luogo di guerra dichiarata aperta e continua, può produrre effetti benefici. L’area centroafricana non può che gioire di ogni fiammella di incontro, di riappacificazione, di intesa, di tolleranza fra le sue genti. Leggo, quindi, positivamente questo avvenimento.

inizio pagina

Il ministro Boschi sul Terzo Settore: certezze sulle regole

◊  

Da ieri, 500 cooperatori che fanno parte di Federsolidarietà-Confcooperative sono riuniti a Roma per la loro assemblea. Questo è un ambito che negli ultimi cinque anni ha creato 42 mila nuovi posti di lavoro. Per il presidente, Giuseppe Guerini, anche attraverso la riforma del Terzo Settore, che il governo sta per presentare, bisogna “strutturare reti di welfare e di servizi che rispondano alle esigenze dei cittadini”. Ma quali sono i cardini di questa riforma? Alessandro Guarasci lo ha chiesto al ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, intervenuta all’assemblea: 

R. – Da un lato, la necessità di fare chiarezza sulle regole e quindi cercare di modificare il Codice civile per fare chiarezza su tutta la parte prima. Poi, dare maggiore trasparenza sulla gestione delle risorse, maggiore coinvolgimento anche nella gestione delle associazioni, che si occupano del terzo settore. E quindi cercare anche di fare chiarezza e dare uniformità da un punto di vista del trattamento fiscale, stabilizzare anche quelli che sono i fondi poi destinati al 5 per mille, che sono attualmente rinnovati di anno in anno e che non arrivano alla copertura totale. Poi, ci sarà un grosso investimento sul Servizio civile universale per i giovani, perché secondo noi da lì riparte anche un diverso modello di Paese: deve essere un’occasione di formazione e di educazione a un senso civico di collaborazione per lo Stato e per la comunità.

D. – Voi contate di approvare questa riforma entro la fine dell’anno?

R. – Speriamo. Nei prossimi giorni, quindi entro la fine del mese, presenteremo intanto il provvedimento normativo. Poi, chiaramente, cercheremo di seguire il percorso in parlamento, in modo tale da arrivare in tempi rapidi all’approvazione. Ovviamente, il governo rimette poi il provvedimento al parlamento e, quindi, dovremo vedere i tempi di Camera e Senato.

D. – Sulla legge elettorale, l’accordo è a portata di mano oppure è difficile trovare, per esempio, un’intesa con il Movimento cinque stelle?

R. – Con il M5S ci incontreremo nei prossimi giorni e ci confronteremo anche con loro. Ovviamente, noi abbiamo un testo di riferimento che è la legge elettorale, che abbiamo già approvato alla Camera. C’è un accordo ampio tra le forze di maggioranza e Forza Italia su quel testo. Possiamo discutere con il M5S, ma devono rimanere gli obiettivi cardine della riforma elettorale. In particolare, dobbiamo avere la certezza di un vincitore. Occorre avere un vincitore che poi sia in grado di poter governare, di avere la stabilità per portare avanti le riforme nel Paese.

inizio pagina

Mons. Marcianò: Sinodo consideri anche le famiglie dei militari

◊  

Una riflessione sulla “famiglia”, vista dalla particolare angolazione della vita militare e sullo sfondo del Sinodo di ottobre. È quella che da lunedì scorso, e fino a domani, impegna i partecipanti al Corso di formazione e aggiornamento per i cappellani militari, ospiti della la Scuola di Lingue estere dell’Aeronautica a Loreto. Ad aprire i lavori è stato l’arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario Militare per l'Italia, al quale Luca Collodi ha chiesto il perché della famiglia come argomento di confronto: 

R. – Abbiamo pensato di riflettere sulla famiglia anche perché la famiglia dei militare vive gli stessi “attacchi” delle altre famiglie, ma allo stesso tempo è una famiglia che ha le sue peculiarità. Penso, in modo particolare, a quelle famiglie rese più fragili dalle distanze che spesso i militari sono costretti ad accettare nel loro servizio, con conseguenze pesanti sulla “resistenza” del vincolo coniugale e sull’educazione dei figli. Penso al numero – e tra l’altro so che è molto elevato – di separazioni e divorzi: so che molti comandanti generali hanno aperto le porte delle foresterie, dei luoghi di accoglienza dei presidi militari proprio per dare la possibilità a molti divorziati di poter almeno risiedere in questi luoghi, perché i problemi economici impediscono loro addirittura di potersi permettere un alloggio. La famiglia militare è una famiglia che spesso riesce a conservare soprattutto l’aspetto comunitario: la moglie, che spesso segue il marito che viene trasferito, non lavora e questo le consente di fermarsi a casa e di educare i figli.

D. – Quale potrà essere il ruolo della Chiesa Ordinariato militare nel Sinodo della famiglia?

R. – Ritengo che la Chiesa, l’Ordinariato militare abbia da offrire, in termini di valori, un contributo proprio per quello che dicevo: la famiglia militare resta una realtà dove, è vero, ci sono tante difficoltà, però nello stesso tempo resta una realtà che più delle altre riesce a custodire il valore stesso della famiglia. Quello che mi impressiona è come all’interno del mondo militare la famiglia difenda se stessa. Dire difesa del valore della famiglia significa dire difesa, all’interno della riscoperta del mondo attuale, di valori, custodia di valori umani anche cristiani. Io ritengo che il Sinodo debba prendere in considerazione questo mondo, che non è un mondo estraneo alla società di oggi, non è un mondo a parte, parallelo. È un mondo dentro la realtà che può dire e può dare tanto. Io, sottolineo sempre come la “militarità” sia un valore grande. Addirittura, da quello che sento parlando con i giovani, i militari restano un punto di riferimento e paradossalmente resta per molti un punto di riferimento anche la famiglia militare. Si vede quella coerenza con la vita che, appunto, fanno ma non solo. Si vede l’autenticità di una vita che risponde a quelli che forse sono i valori perduti, o risponde comunque a un mondo che sta perdendo l’autenticità e la freschezza del vivere.

D. – La famiglia militare è anche colpita dalla sofferenza per il lutto di molti uomini che, in missioni di pace, ad esempio, perdono la propria vita…

R. – Purtroppo sì. Un lutto che elaborano e che però – e questo lo voglio sottolineare ho avuto la possibilità di incontrare tante famiglie, tanti genitori, spose di caduti – sanno elaborare. La vita che si spegne è una vita donata e questo è dentro la consapevolezza di chi resta. Per cui, assieme al dolore si unisce anche l’orgoglio: si unisce la consapevolezza che quella morte è frutto di vita donata e che quella morte ha dato vita ad altri.

Ascolta l'audio integrale dell'intervista a mons. Santo Marcianò, arcivescovo Ordinario MIlitare per l'Italia: 

 

inizio pagina

Convegno diocesano di Roma: pastorale per i giovani del post-Cresima

◊  

Trovare un punto di incontro tra le famiglie e la comunità parrocchiale  nell’accompagnare i ragazzi nel loro cammino di educazione cristiana, per non perderli nel percorso di fede, dopo la cresima se non addirittura dopo la prima comunione. Questo è stato il tema centrale dei tredici laboratori di studio con cui ieri è proseguito il Convegno pastorale della diocesi di Roma sul tema “Un popolo che genera i suoi figli”. Ma quali sono le aspettative per questo incontro? Marina Tomarro lo ha chiesto al cardinale vicario Agostino Vallini

R. – Mi aspetto che non si facciano analisi relative al passato. Il passato aveva i suoi problemi come ce ne sono oggi. Certo la gioventù oggi è cambiata, in una società cambiata, dove la famiglia è esposta a tante difficoltà, dove un certo numero di famiglie sono molto preoccupate della collocazione del lavoro, del loro futuro. Questo significa che però è necessario che noi guardiamo con questa fiducia al futuro e certamente tiriamo fuori in questo convegno le esperienze, le idee, le proposte migliori, così da renderle orientamenti pastorali. Vedremo, nel mese di settembre, al convegno conclusivo, quale potrà essere l’esperienza migliore e proporla come indicazione pastorale per il futuro.

D. - Il convegno diocesano può essere anche un lavoro di rete tra le varie parrocchie?

R. – Senz’altro, direi che questa è una tradizione. Il lavoro nelle varie zone della città è molto vario, ed è portato avanti dalle prefetture, dove si realizzano incontri mensili con i sacerdoti. A Roma, per esempio, esistono parrocchie, che inviano i loro catechisti in altre parrocchie che ne sono sprovvisti. Questo è un bel segno che ci testimonia che forse siamo in una condizione di cammino. Dobbiamo proseguire e adeguarci a quello.

E nelle parrocchie diventa molto importante anche la collaborazione tra i laici e i sacerdoti. Ascoltiamo l’attrice Beatrice Fazi tra i coordinatori dei laboratori di studio:

R. - E’ fondamentale perché i laici nella loro vita quotidiana vivono sulla propria pelle i problemi. L’importante è collaborare proprio perché loro sono i mediatori, ci facilitano il percorso su questo ponte che va da noi all’infinito e per loro penso sia importante proprio perché nel concreto i laici fanno presenti quelle che sono le difficoltà nella relazione di coppia, nella relazione con i figli… Io vedo che quando poi veramente si riesce a interagire le cose si affrontano per i laici con una luce diversa aperta, e per i sacerdoti con la capacità di mutuare anche delle soluzioni da chi li ha già trovate, per suggerirli ad altri.

D. – Beatrice,  riesci a portare la Parola di Dio anche sul set?

R. – Ci provo. Il Vangelo dice che ogni occasione è buona, anche quelle meno opportune, io spesso vengo tacciata di essere poco opportuna ma me ne vanto, piuttosto.

E forte è l’esigenza dei parroci ad essere prossimi alle famiglie soprattutto per l’educazione dei ragazzi. Don Attilio Nostro, parroco di san Giuda Taddeo:

R. - Oggi la famiglia risulta molto frammentata, gli orari tante volte non consentono ai genitori di stare con i figli, di passare molto tempo con loro. Uno di questi fenomeni di distanza tra figli e genitori è anche l’educazione, la formazione nella fede. La parrocchia dovrebbe in qualche modo farsi carico di questa difficoltà, cercando di venire incontro ai genitori in questa esigenza che il Papa ci ha rimesso davanti di chiedere ai genitori di riappropriarsi di questo loro ruolo di primi educatori, primi testimoni della fede.

D. – Il Papa vi ha chiesto di essere accoglienti verso tutti, in che modo potete rispondere a questa esortazione che vi è stata fatta?

R. – L’ascolto è la parte fondamentale dell’accoglienza, cercare di sintonizzarsi con i genitori, non semplicemente parlando con loro o offrendo una parola a loro ma soprattutto ascoltando le loro preoccupazioni, le loro paure, le loro necessità, anche confrontandosi con loro. Credo che la nostra priorità sia cercare di accogliere, di ascoltarli, quindi di aiutarli nel discernimento, per aiutare, insieme a loro, a capire qual è la cosa migliore da donare ai figli.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Da Sarajevo un no alla violenza in nome di Dio

◊  

All'incontro internazionale di Oasis di Sarajevo sul tema "La tentazione della violenza. Le religioni fra guerra e riconciliazione" non ci sono radicali conclusioni, se non quelle suggerite dal card. George Alencherry, arcivescovo maggiore di Ernakulam dei siro-malabaresi. A partire dalla sua esperienza in India - dove il fondamentalismo indù minaccia musulmani e cristiani - sottolinea e ripete diverse volte che "il dialogo è l'unica via" e che i cattolici, sostenuti dall'insegnamento del Concilio Vaticano II, devono essere i primi ad aprirlo, costruendo un contesto e una piattaforma da cui partire.

Un esempio di ciò è risuonato nella commovente testimonianza del card. Vinko Puljic, che durante l'assedio di Sarajevo (1992-1995), anche col rischio delle bombe, ha continuato a incontrare i responsabili delle religioni islamica, ebraica e cristiano-ortodossa, ad aiutare chiunque avesse bisogno di cibo, acqua e riparo - a qualunque confessione appartenesse, invitando gli altri capi religiosi a farsi promotori nel mondo di una vera informazione sulla guerra in Bosnia Erzegovina. "Si faceva ricadere la responsabilità di quanto avvenuto - ha detto - ai contrasti tra le diverse religioni, scaricando su di esse la responsabilità politica degli scontri", invece di attribuirli alle mire di potere dei politici, al nazionalismo esclusivo, alle alleanze regionali e internazionali, ai commercianti di armi. Durante la guerra di Bosnia, ha ricordato il porporato, si sono provate nuove armi all'uranio impoverito, che oggi sono la causa di tante morti per cancro.

"L'odio connaturale alla guerra", ha aggiunto il card. Puljic, "veniva sfruttato in primo luogo dai media". Quello dei media e la loro funzione è un altro filone su cui si è lavorato nel convegno, perché è stato evidente a tutti come essi siano spesso troppo superficiali e sommari, riducendo tutte le tensioni a guerre interreligiose.

E' il caso della Nigeria, come descritto dal vescovo di Sokoto, mons. Matthew Kukah, dove il fondamentalismo di Boko Haram viene descritto contrario al "governo cristiano" di Lagos, ma si nascondono le responsabilità anzitutto politiche del governo centrale, nella sua incapacità a garantire la sicurezza del Paese, e quelle dei governatori regionali (del Nord Nigeria) che, pur essendo "musulmani", sono incuranti a garantire strutture e servizi alla loro popolazione, preferendo arricchirsi.

Un altro "abbaglio" dei media - come emerso dalle testimonianze di sacerdoti egiziani presenti - è nella descrizione della presidenza di Muhamed Morsi in Egitto, sempre definito "democratico", e quella dell'ex generale al-Sisi come "dittatoriale", sebbene col primo la sicurezza e i diritti per cristiani e musulmani avessero raggiunto il loro livello più basso.

A rompere lo stereotipo dell'islam fanatico e sanguinario, è servita la relazione del prof. Ramin Jahanbegloo, sciita iraniano, insegnante all'università di York (Canada), che ha messo in luce una tradizione di maestri musulmani non violenti, legati all'esperienza mistica dei sufi, che si è concentrata nella figura di Ghaffar Khan e Maulana Azad, due collaboratori del Mahatma Gandhi. Secondo Jahanbegloo, il loro insegnamento era molto vivo e presente nelle manifestazioni dell'Onda Verde, che nel 2012 ha criticato i brogli per l'elezione a presidente di Mahmud Ahmadinejad. Il movimento disarmato è stato messo a silenzio, con uccisioni e prigionie, sebbene viva ancora in modo sotterraneo.

Rimane il fatto che troppe violenze nel mondo attuale vengono giustificate dall'appartenenza religiosa, anche se l'appello di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di papa Francesco sul rifiuto della violenza "in nome di Dio" trova sempre più spazio anche fra le autorità musulmane. La relazione di don Javer Prades, rettore dell'università san Damaso di Madrid è stata illuminante al proposito. Commentando il documento della Commissione teologica internazionale su "Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza", egli ha mostrato che vi è un tentativo subdolo di mostrare la religione (e il monoteismo in particolare) come la causa di tutte le violenze nel mondo, che spinge gli Stati a emarginare le comunità religiose come una "patologia sociale". Il rifiuto della violenza che è parte della missione cristiana è un "kairos per tutti", un appello importante e urgente per la società mondiale. La stessa testimonianza dei martiri - che hanno preferito l'essere uccisi che rispondere con l'offesa - sono esempi di non violenza feconda per la società. E ha ricordato i monaci cistercensi di Tibhirine, uccisi in Algeria, il cui luogo di martirio è ora sede di pellegrinaggi da parte di cristiani e musulmani. Non va nemmeno dimenticato come sempre più, in Iraq, Siria, Pakistan, India, Indonesia,... davanti alle violenze islamiche contro i cristiani si levano sempre più voci musulmane a difesa dei cristiani e a condanna delle azioni dei loro correligionari. (Da Sarajevo padre Bernardo Cervellera - direttore di AsiaNews)

inizio pagina

Kenya. I vescovi: la corruzione minaccia più grave della sicurezza

◊  

È la “corruzione tra le forze dell’ordine” la minaccia più grave per la sicurezza del Kenya: lo denuncia la Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale, in un messaggio diffuso dopo gli assalti armati che in due località costiere hanno causato più di 60 vittime. “La corruzione tra le forze dell’ordine – si legge nel documento ripreso dall'agenzia Misna – ha reso troppo facile per gli stranieri attraversare i nostri confini”.

La Commissione giustizia e pace non formula ipotesi sui responsabili degli assalti nell’area di Mpeketoni ma denuncia “un’accresciuta insicurezza” ed evoca i conflitti politico-sociali del 2007-2008. A pesare, si sottolinea nel messaggio, sono anche la mancanza di un dialogo tra governo e opposizione e un contesto segnato da povertà, disoccupazione e contenziosi per la proprietà della terra.

Per mons. Emanuel Barbara vescovo di Malindi e amministratore apostolico di Mombasa, che si trova in visita a Mpeketoni, la cittadina attaccata da un gruppo armato il 15 giugno “da quello che ho constatato posso dire che c’è una matrice islamica ma appare con chiarezza pure una matrice etnica in questi assalti” dice il presule all'agenzia Fides. “Questo perché gli assalitori hanno ucciso in modo mirato le persone in base alla loro appartenenza etnica e religiosa. Secondo le testimonianza raccolte sul posto alcuni degli assalitori sono stati riconosciuti come bajuni, una popolazione mista di arabi e di africani, che vive sulla costa keniana. Tra loro c’era pure un keniano originario di un’altra parte del Paese e almeno un arabo. Pensiamo quindi che si tratti di un gruppo armato costituito appositamente per questo attacco e composto da elementi keniani e stranieri”. 

“A questo punto dubitiamo fortemente che si tratti di elementi degli Shabaab somali” sottolinea il vescovo. “Il loro modus operandi è più simile a quello di altri gruppi armati che hanno agito nel recente passato in Kenya. Ad esempio sono stati risparmiati donne e bambini, ed hanno ucciso solo gli uomini. Queste perché nella cultura locale se muore il padre, la famiglia è indebolita e spesso è costretta alla fuga. Questo ricorda quello che è avvenuto con le guerriglie tribali keniane”. 

A Mpeketoni mancano all’appello una cinquantina di persone, dalla notte dell’attacco. “Si pensa comunque che siano ancora rifugiate nella boscaglia, mentre dal villaggio attaccato la notte successiva sono almeno 10 le persone che ancora non si trovano” aggiunge mons. Barbara che si dice preoccupato per il diffondersi di sentimenti di odio e di paura. 

“Speriamo che i politici si prendano le loro responsabilità per garantire la sicurezza di tutti e placare gli animi e non gettino invece benzina sul fuoco” conclude il vescovo. (R.P.)

inizio pagina

Dopo G77+Cina la Chiesa chiede più azioni contro la povertà

◊  

Si è concluso il Summit del G77 + Cina, che si svolto il 14 e il 15 giugno a Santa Cruz, Bolivia, lanciando una nuova tabella di marcia per un ordine mondiale più giusto e inviando un appello alle Nazioni Unite per mantenere l'obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2030.

"Si tratta di un incontro con un'importanza cruciale per il dialogo multilaterale, perché senza la partecipazione attiva e l'impegno dei G77 sarebbe difficile trovare un consenso sui grandi temi dello sviluppo", ha detto nella nota inviata a Fides dalla Bolivia, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon che ha partecipato al Summit.

Mons. Sergio Gualberti, arcivescovo di Santa Cruz, nella sua omelia di domenica scorsa, ha espresso il suo augurio perché “i governanti e rappresentanti del G77 + Cina, riescano a diventare servitori del bene comune, dell'unità e la pace fra i popoli". Giorni prima lo stesso arcivescovo aveva invitato la comunità cristiana a pregare per l'esito dell'incontro in modo che anche la Bolivia "s'impegni per perseguire lo scopo principale del Summit, sradicare la povertà della popolazione".

Il G77 alla sua fondazione nel 1964 aveva 77 membri, e ora include 133 Paesi, che rappresentano due terzi dei componenti delle Nazioni Unite e circa il 60% della popolazione mondiale. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 169

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.