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Sommario del 17/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: i corrotti uccidono, unica via d’uscita è il pentimento

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“Il corrotto irrita Dio e fa peccare il popolo”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che, nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, è tornato a soffermarsi sul martirio di Nabot, narrato nel primo Libro dei Re. Il Papa ha ribadito che per i corrotti c’è una sola via d’uscita: “chiedere perdono”, altrimenti incontreranno la maledizione di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Quando uno “entra” nella “strada della corruzione”, “toglie la vita, usurpa e si vende”. Papa Francesco torna a levare una vibrante denuncia della corruzione. L’occasione è offerta dalla Prima Lettura, incentrata sull’uccisione di Nabot per volere del corrotto re Acab che si è poi impossessato della sua vigna. Il profeta Elia, annota il Papa, dice che il corrotto Acab si è “venduto”. E’ come se “lasciasse di essere una persona e diventasse una merce”, “compra e vende”:

“Questa è la definizione: è una merce! Poi cosa farà il Signore con i corrotti, qualsiasi sia la corruzione… Ieri abbiamo detto che c’erano tre tipi, tre gruppi: il corrotto politico, il corrotto affarista e il corrotto ecclesiastico. Tutti e tre facevano del male agli innocenti, ai poveri, perché sono i poveri che pagano la festa dei corrotti! Il conto va a loro. Il Signore dice chiaramente cosa farà: ‘Io farò venire su di te una sciagura e ti spazzerò via. Sterminerò a Acab ogni maschio, schiavo o libero in Israele’”.

“Il corrotto – prosegue – irrita Dio e fa peccare il popolo!” Gesù, ha proseguito, lo ha detto chiaramente: colui che “fa scandalo è meglio che si butti in mare”, il corrotto “scandalizza la società, scandalizza il popolo di Dio”. Il Signore preannuncia quindi il castigo per i corrotti “perché scandalizzano, perché sfruttano quelli che non possono difendersi, schiavizzano”: “Ti divoreranno gli uccelli del cielo”. Il corrotto, prosegue Francesco, “si vende per fare il male, ma lui non lo sa: lui crede che si vende per avere più soldi, più potere”. Ma, ribadisce il Papa, in realtà “si vende per fare il male, per uccidere”. Per questo, avverte: “Quando noi diciamo: ‘Quest’uomo è un corrotto; questa donna è una corrotta… Ma fermiamoci un po’: ‘Tu hai le prove?' Perché, evidenzia il Papa, “dire ad una persona che è un corrotto o una corrotta, è dire questo”: è dire che “è condannata, è dire che il Signore la ha cacciata via”:

“Sono traditori i corrotti, ma di più. La prima cosa, la definizione del corrotto: uno che ruba, uno che uccide. La seconda cosa: cosa spetta ai corrotti? Questa è la maledizione di Dio, perché hanno sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi le mani. La terza cosa: ma c’è una uscita, una porta d’uscita per i corrotti? Sì! ‘Quando sentì tali parole, Acab si stracciò le vesti, indossò un sacco sul suo corpo e digiunò. Si coricava con il sacco e camminava a testa bassa. Cominciò a fare penitenza’”.

Questa, evidenzia il Papa, “è la porta di uscita per i corrotti, per i corrotti politici, per i corrotti affaristi e per i corrotti ecclesiastici: chiedere perdono!” E, aggiunge, “al Signore piace questo”. Il Signore, sottolinea ancora, “perdona, ma perdona quando i corrotti” fanno “quello che ha fatto Zaccheo: ‘Ho rubato, Signore! Darò quattro volte quello che ho rubato!’”:

“Quando noi leggiamo sui giornali che questo è corrotto, che quell’altro è un corrotto, che ha fatto quell'atto di corruzione e che la tangente va di qua e di là e anche tante cose di alcuni prelati, come cristiani il nostro dovere è chiedere perdono per loro e che il Signore gli dia la grazia di pentirsi, che non muoiano con il cuore corrotto…

“Condannare i corrotti, sì”, ha concluso il Papa, “chiedere la grazia di non diventare corrotti, sì!” ed “anche pregare per la loro conversione!”.

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Il Papa al Csm: siate esempio di moralità, come Bachelet e Livatino

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La qualità specifica del giudice è la prudenza che non significa essere fermo ma “ponderare con serenità le ragioni” che devono stare alla base del giudizio. Così Papa Francesco ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), ricevuti in udienza in Sala Clementina.  Presenti circa 280 persone. L’udienza è stata rinviata ad oggi dalla scorsa settimana per una lieve indisposizione del Papa, che stamani si è scusato per il mancato appuntamento. Il servizio di Debora Donnini: 

E’ “la prudenza” la virtù specifica del giudice secondo Papa Francesco:

“Non è una virtù per restare fermo. 'Io sono prudente: sono fermo', no! E’ una virtù di governo, una virtù per portare avanti le cose, la virtù che inclina a ponderare con serenità le ragioni di diritto e di fatto che debbono stare alla base del giudizio”.

Alla basa della prudenza sta, dunque, la capacità di dominare il proprio carattere, le proprie vedute personali e convincimenti ideologici. Nel discorso al Csm il Papa rileva, poi, che in ogni Paese le norme giuridiche sono destinate a tutelare “la libertà e l’indipendenza del magistrato”:

“Ciò vi pone in una posizione di particolare rilievo, per rispondere con adeguatezza all’incarico che la società vi affida, per mantenere una imparzialità sempre inconfutabile; per discernere con obiettività e prudenza basandovi unicamente sulla giusta norma giuridica, e soprattutto per rispondere alla voce di una indefettibile coscienza che si fonda sui valori fondamentali”.

Papa Francesco sottolinea come la società italiana si aspetti molto dalla magistratura specialmente nell’attuale contesto caratterizzato, afferma, “da un inaridimento del patrimonio valoriale e dall’evoluzione degli assetti democratici”:

“Sia vostro impegno non deludere le legittime attese della gente. Sforzatevi di essere sempre più un esempio di integra moralità per l’intera società”

E il Papa menziona due modelli a cui i magistrati possono ispirarsi. Vittorio Bachelet che guidò il Csm e cadde vittima della violenza dei cosiddetti “anni di piombo” e Rosario Livatino, ucciso dalla mafia e del quale è in corso la Causa di Beatificazione:

“Essi hanno offerto una testimonianza esemplare dello stile proprio del fedele laico cristiano: leale alle istituzioni, aperto al dialogo, fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità della persona umana”.

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Papa Francesco: sogno una Chiesa madre che accarezza i suoi figli

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“Una Chiesa madre capace di abbracciare e accogliere”: è una delle indicazioni suggerite da Papa Francesco all’apertura, nell’Aula Paolo VI, del Convegno Pastorale diocesano di Roma sul tema: “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”. Prima dell’intervento del Pontefice, ha preso la parola il cardinale vicario Agostino Vallini. Ce ne parla Benedetta Capelli

E’ caloroso l’abbraccio della diocesi di Roma al suo Vescovo. Papa Francesco dialoga con i parroci, i catechisti ed i fedeli romani a cuore aperto, suggerendo vie da percorrere, rilanciando l’attualità pastorale dell’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI e condividendo le paure di tante persone che, negli incontri o nelle lettere che gli inviano, raccontano il malessere che vivono, “il peso che ci schiaccia” e che mette in dubbio la bellezza della vita. Vita “disumana” - dice il Papa - di chi lascia i figli che dormono al mattino per andare al lavoro e li ritrova la sera di nuovo a letto. Un disagio che arriva ai ragazzi e che il Papa chiama “orfanezza”. Orfani di “una strada sicura da percorrere, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldino il cuore, di speranze che sostengano la fatica del vivere quotidiano”:

“Questa è la società degli orfani! Orfani, senza memoria di famiglia: perché - per esempio - i nonni sono allontanati, in casa di riposo, non hanno quella presenza, quella memoria di famiglia;orfani, senza affetto d’oggi o un affetto troppo di fretta: papà è stanco, mamma è stanca, vanno a dormire… E loro rimangono orfani. Orfani di gratuità! Abbiamo bisogno di senso di gratuità: nelle famiglie, nelle parrocchie, nella società tutta. Ma se noi non abbiamo il senso della gratuità nella famiglia, nella scuola, nella parrocchia ci sarà molto difficile capire cosa è la grazia di Dio, quella grazia che non si vende, che non si compra, che è un regalo, un dono di Dio: è Dio stesso. E per questo sono orfani di gratuità”.

Ecco il senso profondo dell’iniziazione cristiana, aggiunge il Papa, generare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani:

“Perché anche la società rinnega i suoi figli! Per esempio a quasi un 40 per cento dei giovani italiani non dà lavoro. Cosa significa? “Tu non mi importi! Tu sei materiale di scarto! Mi spiace, ma la vita è così”.

Una società che rincorre le comodità, “le cose che poi diventano idoli” mentre si ha bisogno solo dello sguardo di Gesù; uno sguardo nuovo che nasce dall’incontro con Lui. In questo cammino di conversione – rileva il Papa – si ritrova la propria identità di “un popolo che sa generare figli”:

La sfida grande della Chiesa oggi è diventare madre: madre! Non una Ong ben organizzata, con tanti piani pastorali… Ma quello non è l’essenziale, quello è un aiuto. A che cosa? Alla maternità della Chiesa: se la Chiesa non è madre, è brutto dire che diventa una zitella, ma diventa una zitella! E’ così: non è feconda".

“L’identità della Chiesa è quella: evangelizzare, cioè fare figli”. Pertanto allo Spirito Santo va chiesta la grazia della fecondità per procedere “nella conversione pastorale e missionaria”. Richiamando Benedetto XVI, Papa Francesco ricorda che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione e, aggiunge, “per attrazione materna”. E’ una Chiesa “un po’ invecchiata” che però si può ringiovanire nella fecondità, nonostante il pericolo dell’individualismo e la conseguente “fuga dalla vita comunitaria”.

“La Chiesa diventa più giovane quando è capace di dare più figli; diventa più giovane quanto più diventa madre. Questa è la nostra madre, la Chiesa; e il nostro amore di figli. Essere nella Chiesa è essere a casa, con mamma; a casa di mamma. Questa è la grandezza della Rivelazione”.

Recuperare la memoria della Chiesa è l’altra indicazione di Francesco in un mondo che va sempre di fretta, dove il tutto “è adesso”. Le vie della Chiesa di oggi si chiamano, per il Papa, “accoglienza” e “tenerezza”, una Chiesa con “le porte aperte” che guarderà al futuro con “speranza e pazienza”:

“A me piace sognare una Chiesa che viva la compassione di Gesù. Compassione è 'patire con', sentire quello che sentono gli altri, accompagnare nei sentimenti. E’ la Chiesa madre, come una madre che carezza i suoi figli con la compassione. Una Chiesa che abbia un cuore senza confini, ma non solo il cuore: anche lo sguardo, la dolcezza dello sguardo di Gesù, che spesso è molto più eloquente di tante parole”.

Accoglienza ma anche proposta di fede che si realizza negli atteggiamenti e nella testimonianza. Poi un pensiero rivolto ai parroci, la forza della Chiesa italiana:

"Io voglio tanto bene ai sacerdoti, perché fare il parroco non è facile. E’ più facile fare il vescovo che il parroco! Perché noi vescovi sempre abbiamo la possibilità di prendere distanza o nasconderci dietro il 'Sua Eccellenza': e quello ci difende! Ma fare il parroco, quando ti bussano alla porta: 'Padre questo; padre qua e padre là…'. Non è facile!"

“Vogliamo una Chiesa di fede, che creda che il Signore è capace di farla Madre, di darle tanti figli”: conclude il Papa che, dopo la preghiera finale, ha ripreso la parola ringraziando il coro della diocesi e chiedendo sempre di pregare per il suo Magistero.

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L’account @Pontifex supera i 14 milioni di follower

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“A volte noi scartiamo gli anziani, ma loro sono un tesoro prezioso: scartarli è ingiusto ed è una perdita irreparabile”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter in 9 lingue @Pontifex che, proprio nelle ultime ore, ha superato i 14 milioni di follower. L’account è stato aperto da Benedetto XVI il 3 dicembre 2012.

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Per la prima volta a una donna il Premio Ratzinger

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Due illustri studiosi - Anne-Marie Pelletier e mons. Waldemar Chrostowski - sono le personalità alle quali sarà conferito il prossimo 22 novembre il premio Ratzinger 2014 promosso dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI. In Sala Stampa Vaticana, oggi la presentazione del premio e del convegno che si terrà in ottobre presso l’Università Bolivariana di Medellin, in Colombia. Ce ne parla Benedetta Capelli

Per la prima volta da quando è stato istituito nel 2010, il Premio Ratzinger andrà quest’anno ad una donna. Si tratta della professoressa francese Anne-Marie Pelletier, studiosa di ermeneutica e di esegesi biblica, che si è anche dedicata alla questione della donna nel cristianesimo e nella Chiesa. Da molti anni coltiva interesse per il rapporto tra “Giudaismo e Cristianesimo” e per il mondo monastico. La sua produzione letteraria è molto estesa, la studiosa ha partecipato come uditrice al Sinodo dei vescovi nel 2001.  A presentarla il cardinale Camillo Ruini, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI: 

"La prof.ssa Pelletier è dunque una personalità di forte rilievo nel cattolicesimo francese contemporaneo, che unisce a un meritato prestigio scientifico e a una grande e versatile vivacità culturale un’autentica dedizione a cause assai importanti per la testimonianza cristiana nella società".

Primo polacco a conseguire il premio, mons. Waldemar Chrostowski è un illustre studioso di teologia, conoscitore dell’ebraico biblico e contemporaneo, ha partecipato come esperto al Sinodo del 2008 sulla Parola di Dio. “Il suo campo di lavoro preferito – ha detto il cardinale Ruini – è l’Antico Testamento, in particolare i Profeti, ma anche la letteratura giudaica intertestamentaria, il giudaismo rabbinico e i suoi rapporti con il cristianesimo”:

"Ma è anche un infaticabile e apprezzatissimo divulgatore della conoscenza della Bibbia, attraverso corsi di formazione, esercizi spirituali, pellegrinaggi. E’ impegnato inoltre nel dialogo cattolico-giudaico e polacco-giudaico. Unisce dunque al rigore scientifico la passione per la Parola di Dio, il servizio alla Chiesa e la sollecitudine per il dialogo interreligioso".

In Sala Stampa Vaticana è stato anche presentato il quarto Convegno, promosso dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, che si terrà presso la Pontificia Università Bolivariana di Medellín, in Colombia, dal 23 al 24 ottobre. Tema di quest’anno è: “Il rispetto della vita, cammino per la pace”. Mons. Giuseppe Scotti, Presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI:

"L’appuntamento di ottobre a Medellín sottolinea ancora una volta che le università - i giovani, gli studenti, i docenti, coloro che lì all’università  studiano, pensano, lavorano, pregano, amano - possono e vogliono farsi parte attiva e interessata nella costruzione di un futuro pienamente umano, consapevoli - come ricordava Benedetto XVI - che “i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, questi nostri tempi reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo”.

Nel suo intervento l’ambasciatore della Colombia presso la Santa Sede, Germán Cardona Gutiérrez, ha sottolineato la necessità di promuovere la cultura della pace che poggia sul rispetto della vita e della dignità umana. “La vera pace e lo sviluppo integrale dei popoli - ha aggiunto - deve necessariamente costruire la base del rispetto per la vita umana”.

Dalle domande dei giornalisti sono emersi ulteriori dettagli sul convegno in Colombia che avrà una struttura “aperta” con una sessione di lavoro riguardante il cammino della pace attraverso il Magistero degli ultimi tre Pontefici. “Ancora vivissimo l’interesse di Benedetto XVI alle problematiche teologiche”: ha riferito il cardinale Ruini, per il quale il Papa emerito “è molto discreto nella scelta dei premiati”.

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A Civiltà Cattolica, protagonista libro su omelie da S. Marta

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Discorsi che vogliono aprire porte, instaurare un rapporto con l’interlocutore, rappresentare un’indicazione per la vita quotidiana. Sono queste “le parole di Francesco nel discorso pubblico”, titolo della tavola rotonda che si è svolta presso la sede della rivista dei gesuiti, “La Civiltà Cattolica”, in occasione della presentazione del libro “La verità è un incontro. Omelie da Santa Marta”. Il volume raccoglie i servizi della Radio Vaticana sulle prime 186 omelie del mattino di Papa Francesco. Per noi c’era Davide Maggiore

Dall’atmosfera raccolta di Casa Santa Marta, attraverso il riferimento alla Parola del giorno, arrivano molti dei temi, delle immagini e degli appelli che ricorrono nel ministero pubblico di Papa Francesco: le omelie, dunque, rappresentano in un certo senso il centro della sua quotidianità di pastore, come sottolinea padre Federico Lombardi, direttore generale della Radio Vaticana e della Sala Stampa vaticana:

“Le omelie di Santa Marta sono un po’ l’origine della comunicatività del Papa, nel senso che sono il momento dell’incontro quotidiano con Cristo di un pastore che, quindi, incontra Cristo non da solo, ma con il Popolo di Dio. E gli spunti di riflessione che il Papa pronuncia in queste omelie sono anche un aiuto a leggere e ascoltare la Parola di Dio per tutti i fedeli presenti e diventano l’origine quindi anche del loro impegno nella vita cristiana quotidiana”.

In queste omelie, prosegue il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, è fondamentale anche il riferimento alla spiritualità di S. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù:

“Le parole delle omelie di Santa Marta sono parole molto vicine a quelle degli Esercizi spirituali. La parola degli Esercizi spirituali non è una parola oggettiva, 'refertuale', non indica la comunicazione di un messaggio freddo, anonimo, ma al contrario crea una relazione, cioè una parola che vuole creare un dialogo tra l’esercitante e il padre spirituale o tra l’esercitante e Dio. La parola di queste omelie è una parola che intende creare una relazione con il Signore. E questa è una parola dinamica in questo senso: è spirituale, perché è estremamente dinamica”.

Un discorso, quindi, in cui il riferimento all’interlocutore è sempre presente ed essenziale. Per questo motivo, giudica Vittorio Sermonti, scrittore e critico letterario, fondamentale...

“…è il fatto di non aver trascritto per intero gli interventi del Papa. Un discorso fatto faccia a faccia, infatti, viene tradito da una trascrizione integrale, perché manca l’altra parte del discorso, che è l’ascolto, e quelle facce per cui il discorso è fatto e che orientano il discorso. Questo modo di selezionare gli interventi del Papa è molto singolare, molto forte, perché in una struttura di discorso continuativa, questi passaggi hanno l’evidenza proprio di una voce. Si sente l’accento porteño del Papa”.

A sottolineare come le parole di Papa Francesco abbiano la capacità di toccare il cuore di chi lo ascolta è Monica Maggioni, giornalista e direttrice di Rainews:

“E’ tanto efficace, perché poi le persone questa verità la sentono, la verità passa. E in questa verità che passa, c’è la scelta del senso profondo delle cose, rispetto al brusio. Quindi, il messaggio che Papa Bergoglio riesce a mettere in questo nostro palinsesto pieno di cose che fanno brusio è quello che poi dà una chiave di lettura. E Santa Marta è proprio un momento nel quale c’è la scelta di distacco totale rispetto al rumore e c’è la concentrazione del momento di semplicità assoluta, del momento di verità assoluta”.

Questa verità, anche nelle omelie di Santa Marta - pronunciate, di volta in volta, per un uditorio diverso - non si rivolge a una sola categoria di persone, ma ha un respiro globale, come sottolinea il presidente del Senato italiano, Pietro Grasso:

“Io intravedo, dietro la sua comunicazione, il suo modo spontaneo, addirittura una strategia di alta politica, che riguarda tutti i cittadini del mondo. Fedeli, laici, di altre religioni: non ci può essere una persona che non viene toccata, perché i suoi temi sono talmente universali che non possono che riguardare l’uomo. E ha messo al centro l’uomo con le sue debolezze e la sua forza e nel rapporto con Dio”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Con la porta aperta: Papa Francesco indica alla diocesi di Roma la missione di essere madre tenera e accogliente.

Indipendenza e obiettività: il Pontefice ribadisce i fondamenti etici della professione del magistrato.

Un articolo di Pierluigi Natalia dal titolo "Italia invecchiata":

l'Istat certifica la crisi demografica.

Daniel Ramada Piendibene su quella musica che non chiede permesso: 

Misa por bandoneòn per i 250 anni dalla nascita dell'eroe uruguaiano José Gervasio Artigas.

Con l'arte accompagno il cammino di chi soffre: Silvia Guidi intervista il pittore cubano Kcho.

Una terra patria di santi: Francesco e Caterina patroni d'Italia.

Per la prima volta a una donna il premio Ratzinger: i riconoscimenti a due biblisti.

Con quattro giacche a fare i pali: Enrico Reggiani su calcio e letteratura anglosassone.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: prosegue avanzata jihadisti, paura dei cristiani a Baghdad

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In Iraq prosegue l’avanzata dei ribelli jihadisti che nei giorni scorsi hanno occupato la città di Mosul: occupata nelle ultime ore la maggior parte della regione strategica di Tallafar verso la frontiera con la Siria. Oltre 40 i morti negli scontro odierni a Diyala. Secondo le Nazioni Uniti la crisi in atto minaccia l’esistenza dell’Iraq e costituisce "la piu' grande minaccia alla sovranita'" del Paese da diversi anni. Sulla situazione Paolo Ondarza ha raggiunto telefonicamente padre Albert Hisham, portavoce del Patriarcato caldeo a Baghdad: 

R. – E’ una cosa preoccupante per tutti noi, soprattutto per i cristiani: tutti i cristiani – e parlo soprattutto dei cristiani, qui, a Baghdad – hanno paura di questa situazione così preoccupante, proprio perché non sanno cosa sarà il futuro. Non ci sono notizie molto sicure!

D. – Il timore più grande qual è?

R. – Per noi è quello dell’emigrazione, perché adesso la gente comincia di nuovo ad emigrare.

D. - Le forze dell’ordine, i militari stanno agendo per contrastare quanto accade?

R. – Sì. I militari stanno facendo qualcosa, però non c’è alcuna notizia sicura. Non sappiamo niente di sicuro: dove sono andati, dove hanno fatto qualcosa… E’ proprio questa confusione delle notizie che dà questa paura alla gente.

D. – Preoccupa anche l’assenza di Ong, di strutture di riferimento per le persone che stanno tentando di fuggire dalle violenze…

R. – Certo che sì! C’è tanta gente che è scappata da Mosul e da altre città, verso i villaggi.  Lì, le famiglie cristiane stanno provando ad accogliere queste famiglie, ma ci sono difficoltà che si stanno cercando di affrontare. Fanno del loro meglio per riuscire ad accogliere e per fare qualcosa.

D. – I miliziani sono alle porte di Baghdad: come vive la popolazione nella capitale?

R. – Nella capitale, a Baghdad, c’è una vita normale adesso, però c’è la paura: paura che entrino i terroristi; c’è paura fra tutta la gente e non solo tra i cristiani.

D. – Negli ultimi mesi, potremmo dire anche negli ultimi anni, l’attenzione verso l’Iraq era calata da parte dei mezzi di comunicazione internazionali. Voi, però, siete stati testimoni di una situazione incandescente, che non è mai mutata: vi aspettavate quando è accaduto nelle ultime ore?

R. – Non ci saremmo mai aspettati tutta questa situazione! Una città così grande, com’è Mosul, è caduta in 2-3 giorni… Questa è una cosa inaspettata! E’ per questo che la gente, che sente queste notizie, ha questa paura.

D. – Qual è l’appello, qual è la speranza della Chiesa in Iraq, dei cristiani in Iraq?

R. – La nostra speranza è quella che ha espresso anche il Patriarca Sako nella dichiarazione che ha fatto alcuni giorni fa e cioè di costruire un Paese secondo una unità nazionale. Questa è la nostra speranza e questa è la soluzione per tutto questo caos stiamo vivendo in questi giorni.

D. – Negli ultimi giorni, il Papa ha espresso viva preoccupazione, levando un appello per l’Iraq: il Papa segue con attenzione quanto sta accadendo in queste ore. La popolazione irachena sente questa vicinanza?

R. – Certo che sì. Abbiamo letto e abbiamo anche sentito l’appello del Papa per il nostro Paese. Di questo noi siamo così lieti, di sentire la voce del Papa, che è così vicino alla nostra popolazione e non solo ai cristiani, ma anche a tutti i musulmani del Paese, a tutti i rifugiati e a tutti coloro che sono scappati da queste città e che hanno perso la loro casa… Abbiamo fiducia nella preghiera del Papa, affinché questo caos finisca presto!

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Giornata contro desertificazione. Onu: rendere la Terra a prova di clima

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Si celebra oggi la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità istituita dalle Nazioni Unite nel 1994 per promuovere l’attuazione della Convenzione Onu per la lotta alla desertificazione. “La terra appartiene al futuro – Rendiamola a prova di clima!” è il tema dell’edizione 2014, che mette a fuoco l’impegno per un adattamento basato sull’equilibrio degli ecosistemi per attenuare gli impatti del cambiamento climatico. Marco Guerra ne ha parlato con Ramona Magno, ricercatrice dell’istituto di biometeorologia del Cnr di Firenze:

 

R. – Desertificazione e cambiamenti climatici sono due fenomeni completamente e strettamente connessi, come lo sono le due Convenzioni delle Nazioni Unite, quella per combattere la desertificazione e quella di lotta ai cambiamenti climatici, e anche le strategie devono andare di pari passo. Quindi bisogna cercare di ridurre i gas serra, che però non è sufficiente, e cominciare a intraprendere delle strategie di adattamento - adattandosi quindi alle nuove condizioni climatiche  che si profilano -  e tornare ad una gestione del territorio più consapevole e più sostenibile. Questo anche per le generazioni future.

D. – Nel Sahel è stata fatta una cintura di verde per fermare l’avanzata del deserto; anche in Cina ci sono progetti simili… E’ questa la via per fermare la desertificazione?

R. – Questa è una delle strategie di reazione all’avanzamento del deserto e quindi all’impoverimento della fertilità del suolo. Però bisogna cercare, comunque, di pensare in maniera diversa e quindi passare a politiche pro-attive: cercare di adottare delle politiche che a monte evitino il depauperamento del nostro suolo.

D. – Nella vita di tutti i giorni, il singolo cittadino come può contribuire?

R. – Innanzitutto cominciando a risparmiare quelle che sono le risorse che diventano sempre meno, come per esempio l’acqua: l’acqua è una risorsa fondamentale e che - come uno degli ultimi Rapporti dell’Ipcc ha sottolineato e ribadito ulteriormente - è una risorsa che va sempre più diminuendo a causa appunto dei cambiamenti climatici che portano a una estremizzazione degli eventi. Sentiamo molto spesso parlare di alluvioni, ma anche dell’aumento di fenomeni di siccità. E questo avviene non solo in zone che già di per sé sono povere di acqua – come appunto la zona saheliana o quelle limitrofe ai deserti – ma anche in Europa. Quindi avremo nel futuro – secondo le stime – un aumento di questi fenomeni siccitosi, sempre più intensi e sempre più prolungati. Quindi cercare di adattare delle strategie di risparmio idrico, adottando noi stessi dei piccoli accorgimenti che ci permettano di non sprecare l’acqua: dal più comune chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti o si fa la doccia, al controllare le tubature dell’acqua, all’utilizzare delle strategie - se per esempio si hanno dei giardini - che portano ad effettuare irrigazioni sempre meno frequenti o a coltivare varietà di piante che sono più tolleranti a periodi secchi.

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Save The Children: l'Italia non è un Paese per bambini

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L’Italia non è un Paese per bambini. A dirlo è "Save the Children", che ha presentato a Roma il settimo rapporto sui diritti dei minori in Italia. Tante le famiglie che non hanno ancora accesso ai servizi per l’infanzia, soprattutto al Sud: in Calabria solo il 2,5% dei bambini frequenta un asilo nido. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Eleonora Tantaro di "Save the Children": 

R. - Il rapporto che presentiamo oggi ha in luce alcune criticità rispetto ai diritti dell’infanzia in Italia su diversi temi ed aspetti. Metteremo l’accento su quelli che sono i servizi per la prima infanzia e la criticità rilevata nell’accoglienza dei minori in comunità. La scelta che abbiamo fatto quest’anno è stata quella di dare particolare evidenza, con approfondimento alla fascia degli 0-3 anni perché abbiamo ritenuto essere una fascia significativa e molto importante in quanto, ormai, tutte le neuroscienze dimostrano quanto sia importante investire nei primissimi anni di vita. A questo, però, non corrisponde un adeguato investimento nel nostro Paese, anche in termini di adozione di politiche adeguate.

D. - Migliaia di minori in Italia sono vittime di sfruttamento e di tratta. Cosa si può fare per loro?

R. - Anche nel Rapporto c’è un apposito paragrafo dedicato al tema della prostituzione e della tratta. Ovviamente, in questo caso gli interventi che vengono richiesti sono per esempio un piano nazionale anti tratta che abbia uno specifico focus proprio sulle vittime minorenni. Quindi, una maggior attenzione a questo. Purtroppo l’Italia è un Paese che ha diverse “velocità”, se vogliamo definirle così. Molto spesso le differenze si notano anche tra una regione e l’altra: il Sud ha criticità molto forti sia per quello che riguarda la povertà, perché sono maggiori le possibilità di appartenere ad una famiglia povera se si vive al Sud, ma anche per esempio le opportunità che uno può avere in termini di servizi di accesso, di servizi alla prima infanzia. Il Sud, infatti, ha le percentuali più basse rispetto all’accesso agli asili nido; ricordiamo per esempio che in Calabria accedono a questo servizio solo il 2,5% dei bambini nella fascia di età dagli 0 ai 3 anni, quando l’obiettivo europeo è del 33%.

Un aspetto importante del rapporto è, appunto, l’accesso agli asili nido, solo il 13,5% dei bambini usufruisce dei servizi per l’infanzia. Una percentuale lontana dagli standard europei, anche secondo Vincenzo Spadafora, Garante per l’infanzia e l’adolescenza:

R. - Siamo in ritardo su tante cose che riguardano le politiche per l’infanzia, basti pensare che manca ormai da anni un piano nazionale dell’infanzia perché l’ultimo che è stato approvato diversi anni fa aveva risorse zero. Quindi, sicuramente, siamo indietro su molte cose e le conseguenze si vedono sia nel dato della dispersione scolastica, sia nei dati della povertà. Sono tutti riflessi delle mancate politiche, dei mancati interventi di questo e dei precedenti governi.

D. - Sono tanti i minori che non vengono affidati alle famiglie ma restano in comunità. Cosa si può fare per loro?

R. - Noi, intanto, stiamo avviando con i procuratori della repubblica presso i vati tribunali per i minorenni un monitoraggio, perché su questo tema non si ha neanche un dato certo; nessuno ha un dato. Quindi, la prima cosa che abbiamo fatto e che stiamo facendo proprio in questa settimana - anche per evitare la cattiva informazione quando non ci sono dati, che diventa inevitabile - è un monitoraggio: le comunità sono tenute, ogni sei mesi, a dare alle procure della repubblica una relazione con i dati presso il tribunale per i minorenni. Grazie alla collaborazione con i procuratori, nel giro di qualche mese - pochi mesi - saremo in grado sicuramente di avere intanto un numero certo, e su quello poter fare analisi come capire perché sono in comunità. Per esempio, uno dei temi di cui si parla spesso è quello dei figli contesi, ma noi sappiamo per certo che la maggior parte dei bambini che sono in comunità non è per questa causa, ma per altre cause: maltrattamenti, abusi subiti, o perché sono stati sottratti da situazioni di povertà. Quindi, dobbiamo andare ad analizzare nello specifico per poi proporre, anche in questo caso al governo, dei miglioramenti anche da un punto di vista legislativo.

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Bambin Gesù: nuova frontiera trapianti di staminali adulte

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Una speranza concreta per i bambini affetti da leucemie e da altre malattie del sangue. Questa mattina, all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma sono stati presentati i risultati della ricerca - condotta dall’équipe del prof. Franco Locatelli - che permette anche ai genitori di donare cellule staminali. Il nuovo metodo salvavita è stato già applicato con successo su un numero consistente di pazienti dell’Ospedale pediatrico. Il servizio di Gianmichele Laino:

 

La nuova frontiera dei trapianti di cellule staminali adulte: all'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma è stata presentata una nuova tecnica di manipolazione messa a punto per la prima volta al mondo dai ricercatori dell'ospedale romano. Si tratta di un nuovo metodo salvavita per i piccoli pazienti affetti da malattie del sangue che potranno ricevere cellule staminali anche dai propri genitori e non soltanto da donatori perfettamente idonei. Alice Bertaina, responsabile del Modulo interdisciplinare Terapie Avanzate:

“Le principali novità sono la possibilità di garantire a tutti i bambini, che necessitano di un trapianto di midollo osseo, le stesse percentuali di guarigione che hanno quei bambini più fortunati che dispongono di un fratello completamente compatibile. Fino a poco tempo fa la probabilità di guarigione era quasi la metà, se non utilizzavamo un genitore come donatore. Grazie a questa tecnica, invece, questo gap è stato colmato e noi possiamo dare la stessa chance di sopravvivenza – 90 per cento – con un bassissimo rischio di complicanze sia infettive che immunologiche, mediate proprio dal trapianto, il tutto in tempi molto rapidi. Noi abbiamo iniziato ad utilizzare questa tecnica nel novembre del 2010 e abbiamo concluso l’arruolamento nel 2013 e i risultati sono eccezionali: la probabilità di guarigione per i pazienti affetti da malattie benigne è pari al 90 per cento e per quanto riguarda i bambini affetti da leucemia è ormai dell’80 per cento”.

I risultati della ricerca condotta dall'équipe del prof. Franco Locatelli, potenzialmente applicabile a centinaia di bambini in Italia e nel mondo, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale "Blood", rappresentando un motivo d'orgoglio per tutta la struttura ospedaliera. Giuseppe Profiti, presidente del Bambin Gesù: 

“La miglior soddisfazione è vedere il volto dei genitori e vedere i bambini tornare alla loro vita normale. Ci rende soddisfatti per due ottimi motivi: è una tecnica a basso impatto tecnologico, a basso costo, che la rende facilmente replicabile e perché ovviamente è in Rete e quindi è disponibile già a tutti. Diversamente non potrebbe essere in un ospedale come il Bambin Gesù, che è l’ospedale di Papa Francesco. Ma c’è stato chi ha definito questa tecnica una sorta di pietra miliare nel trattamento delle patologie del sangue. Credo che sia così, perché a questo punto elimina o quantomeno pone le basi, per superare quelli che sono stati i problemi che fino ad oggi hanno abbassato le percentuali di successo, in maniera anche significativa, nel trattamento di queste patologie, in modo tale da poter utilizzare il sangue e quindi le cellule di un soggetto, come nel caso specifico dei genitori, per il trapianto, conservando quanto di buono c’è in queste cellule ed eliminando sostanzialmente la parte che genererebbe aggressione verso ciò che non riconosce”.

Una speranza per le famiglie. La loro gioia sta tutta nelle parole di questa mamma che, grazie alla nuova cura, ha visto tornare a sorridere il proprio bambino:  

“Da una disperazione iniziale si passa ad una gioia indefinibile. Io sono una mamma che non ha visto suo figlio soffrire. Vedere che tuo figlio, comunque sia, nonostante il percorso che sta affrontando, ride”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Aleppo ancora senz'acqua, le chiese riattivano i pozzi

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Da due giorni la città di Aleppo si ritrova di nuovo senz'acqua. La sospensione ripetuta delle forniture idriche nelle ultime settimane è diventata uno strumento di pressione in mano alle milizie ribelli che circondano la metropoli della Siria settentrionale e che mantengono sotto il proprio controllo le stazioni di pompaggio. Periodicamente, e nonostante gli interventi di sensibilizzazione e mediazione messi in atto dagli operatori della Croce Rossa e della Mezza Luna Rossa, l'erogazione dell'acqua viene sospesa e per giorni la popolazione civile si trova colpita da un'ennesima punizione collettiva, ancor più opprimente nei caldi mesi estivi.

“Nelle nostre chiese e nelle moschee” riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico Butros Marayati, per venire incontro all'emergenza abbiamo riattivato gli antichi pozzi che garantiscono l'accesso alle faglie acquifere. Le famiglie vengono a prendere l'acqua per lavarsi e pulire i vestiti”. Ma capita anche che la stessa acqua venga utilizzata per dissetarsi, nonostante non sia potabile. Così aumenta il rischio di infezioni e epidemie.

Nei giorni scorsi l'arcivescovo Marayati si è recato insieme al vescovo ortodosso di Aleppo in visita al quartiere di al-Maidan, abitato in gran numero da armeni e sottoposto da settimane a un massiccio lancio di missili da parte dei ribelli. “Abbiamo trovato case e scuole distrutte” riferisce a Fides l'arcivescovo, “e tanta gente rifugiata nei locali delle chiese, anch'esse prese di mira. Tutti sono presi dalle necessità della sopravvivenza quotidiana. A ciò si aggiunge l'inquietudine per le notizie che arrivano dall'esterno, come quella della conquista della città irachena di Mosul da parte degli islamisti. Che una città così grande possa cadere in quel modo, da un giorno all'altro, qui da noi viene visto come un segno preoccupante”. (R.P.)

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Kenya: nuovo assalto degli Shabaab in un villaggio

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“Almeno 9 morti e, secondo notizie ancora non confermate, alcune donne e bambini sono stati rapiti, nell’assalto perpetrato questa notte da un gruppo di uomini nel villaggio di Majembeni, sulla costa del Kenya, nei pressi dell’isola di Lamu”. Lo riferisce all’agenzia Fides mons. Emanuel Barbara, vescovo di Malindi e amministratore apostolico di Mombasa, che precisa: “la notizia del rapimento di alcune persone è in attesa di conferma”.

“Il luogo dell'assalto si trova a pochi km da Mpeketoni, la cittadina colpita il 15 giugno” aggiunge mons. Barbara, secondo il quale gli assalitori provenivano dalla foresta. Il vescovo di Malindi afferma di essere molto preoccupato perché “gli abitanti di Mpeketoni hanno disposto dei blocchi stradali per impedire il passaggio agli abitanti di Lamu, perché li considerano complici di coloro che hanno attaccato la loro città.

La popolazione di Lamu è composta da bajuni, una popolazione mista di arabi e di africani della costa. Ricordiamoci che nel 2007-2008 le violenze politiche a sfondo etnico hanno causato migliaia di morti. La mia paura è che questi ultimi assalti possano attizzare l’odio etnico anche in altre parte del Kenya”.

Gli Shabaab somali hanno rivendicato l’assalto a Majembeni e a Mpeketoni. “La rivendicazione degli Shabaab introduce un elemento nuovo” nota mons. Barbara. “Essi giustificano gli attacchi non solo per la presenza di truppe keniane in Somalia ma anche per vendicare gli imam che sono stati uccisi ultimamente in Kenya. Si tratta di una rivendicazione già avanzata dagli islamici radicali keniani”. 

“Diversi imam radicali sono stati uccisi in circostanze misteriose sulla costa keniana. Secondo l’opinione pubblica, questi omicidi sono stati commissionati o dal governo oppure dai commercianti locali, che vedono in questi predicatori una minaccia al turismo e quindi ai loro affari” spiega il vescovo. “Occorre aggiungere che anche alcuni imam moderati sono stati uccisi dagli islamisti radicali. L’ultimo solo 15 giorni fa (si tratta dello sceicco Mohamed Idris, Presidente del Consiglio degli imam e dei predicatori del Kenya, ndr.)”.

“La situazione è quindi complessa e basta poco per creare disordini e distruzioni con perdite di vite umane. Continuiamo a pregare perché la conversione del cuore non è facile” conclude mons. Barbara. (R.P.)

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Lahore: cattolici chiedono la restituzione di una scuola

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Una grande manifestazione di protesta della comunità cristiana è stata organizzata, domenica scorsa, dalla Chiesa cattolica di Lahore. Più di 1.500 tra donne, bambini, giovani e uomini della comunità cristiana si sono riuniti di fronte al Press Club della città, guidati da mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore, sacerdoti e Joseph Francis, direttore del Centro di assistenza legale per i diritti umani ( Claas), insieme a diversi leader della comunità locale, per protestare contro il governo del Punjab per non aver ancora restituito alla chiesa cattolica la Scuola superiore di San Francesco, nel quartiere Anarkali, in Lahore.

La maggior parte delle scuole cristiane e di altre confessioni che erano state nazionalizzate da Ali Bhutto nel 1972 - riferisce l'agenzia Misna - sono state restituite. Prima che la Scuola di San Francesco fosse nazionalizzata, l’istituzione, con oltre mille studenti, era considerata fra le migliori della città. La sua collocazione nella zona di Anarkali, allora e oggi un importante Centro commerciale, ha fatto sì che il suo bacino fossero soprattutto i bambini dei quartieri operai. Per oltre un secolo (fondata a metà del 19° secolo), la scuola ha fornito la migliore fonte di educazione per la popolazione prevalentemente non cristiana della zona, formata soprattutto da indù, musulmani e sikh. Oggi la scuola ha pochi centinaia di studenti e la struttura è in decadenza. Secondo i leader della comunità locale sembra che dietro il rifiuto di restituirla, ci siano gruppi speculativi interessati all’area; nella proprietà della scuola è incluso anche un grande parco.

Mons. Sebastian Francis Shaw ha detto che il premier pakistano Mian Nawaz Sharif, nel suo discorso il 19 dicembre 2013, al palazzo del governatore del Punjab, aveva promesso e aveva assicurato alla comunità locale che il Liceo di San Francesco sarebbe tornato presto alla Chiesa.

Parlando con la stampa locale, Joseph Francis, direttore di Claas e presidente del Partito nazionale cristiano del Pakistan, ha detto che le proteste continueranno in tutto il Paese fino a quando il liceo di San Francesco non verrà restituito alla comunità cristiana.

Dopo 3 ore e mezza di manifestazione di protesta, alcuni sacerdoti e leader delle organizzazioni per i diritti umani si sono recati alla residenza del governatore per consegnare un memorandum. (R.P.)

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Vietnam: liberati due prigionieri politici cristiani

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Il governo vietnamita ha rilasciato due prigionieri politici, il giovane Nông Hung Anh e la signora Dang Ngoc Min, madre di famiglia, parte di una rete di 17 cristiani attivisti nel sociale, arrestati in due diverse occasioni fra agosto e dicembre 2011. Il ragazzo è il solo protestante, di un gruppo formato per il resto da cattolici. La loro liberazione - riferisce l'agenzia AsiaNews -  risale all'11 giugno scorso, ma la notizia è stata diffusa solo in queste ore e rilanciata da Eglise d'Asie (EdA).

Prima del fermo, Nông Hung Anh era uno studente di Lingua e letteratura cinese all'Università di Hanoi; egli si è battuto a lungo contro i progetti minerari e l'estrazione di bauxite negli Altipiani centrali del Vietnam, da parte di multinazionali di Pechino. Inoltre ha collaborato alla rete di informazione promossa dai Redentoristi vietnamiti.

Il suo arresto risale al 5 agosto 2011; il 9 gennaio 2013 è stato condannato dal tribunale della provincia di Nghê An, assieme ad altre 14 persone, a cinque anni di prigione e tre, in aggiunta, ai domiciliari.

Di contro, la liberazione della signora Dang Ngoc Minh è coincisa con la scadenza dei tre anni di custodia in carcere inflitti dal giudice al momento della sentenza; anche lei, insieme a due figli, era parte del gruppo di 14 persone condannate nel gennaio dello scorso anno. La figlia Nguyên Dang Minh Mân è stata condannata a otto anni di carcere e tre di domiciliari; verdetto lieve, di contro, per il figlio maschio Nguyên Dang Vinh Phuc, che ha goduto della sospensione della pena.

La maggior parte dei cristiani fermati erano attivisti, impegnati da tempo in iniziative di carattere religioso e sociale, nella maggior parte dei casi in contesti parrocchiali o diocesani. Alcuni di loro, per puro spirito patriottico, avevano partecipato in passato a manifestazioni anti-cinesi e nazionaliste. (R.P.)

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Terra Santa: mons. Twal ordina 4 sacerdoti a Nazareth

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Passa ancora per Nazareth, dove Gesù è cresciuto alla scuola di Maria e Giuseppe, la missione che si estende fino ai confini della terra. Così è avvenuto sabato pomeriggio per quattro diaconi formatisi nel seminario Redemptoris Mater della Galilea, che sono stati ordinati presbiteri nella Basilica dell’Annunciazione.

La celebrazione è stata presieduta dal patriarca di Gerusalemme dei latini Fouad Twal. Hanno concelebrato l’ausiliare e vicario patriarcale per Israele, residente a Nazareth, Giacinto-Boulos Marcuzzo, e Elias Chacour, arcivescovo emerito greco- cattolico della Galilea. I quattro futuri sacerdoti diocesani, che hanno ricevuto la loro vocazione nel Cammino neocatecumenale, saranno incardinati nel patriarcato latino di Gerusalemme e nel contempo missionari, pronti a essere inviati in qualunque parte del mondo, in particolare nel Medio Oriente, a servizio della nuova evangelizzazione.

Già nella strada che li ha condotti a questa tappa decisiva è possibile rintracciare i segni della missione. Davide Meli, 30 anni, primo di undici figli, architetto, fin da piccolo ha vissuto negli Stati Uniti, perché la sua famiglia era lì in missione. In questo ultimo anno di formazione ha servito la parrocchia di Al Huson in Giordania. Il ventinovenne Paolo Alfieri (viene da Nettuno), laureato in lettere classiche, ha esercitato invece la sua diaconia nella parrocchia di Shefa’mr, in Galilea. Coetanei sono i due ordinandi provenienti dall’America Latina: Juan David Aragón Bueno, colombiano, e Leandro Setuval, brasiliano. Hanno esercitato il loro diaconato rispettivamente nella parrocchia di Smakie in Giordania e di Bir Zeit in Palestina. Un ultimo importante momento di formazione è stato il viaggio di papa Francesco in Terra Santa.

I neo-sacerdoti non dimenticheranno certo che a meno di venti giorni dalla loro ordinazione hanno avuto l’onore di servire come diaconi nelle liturgie presiedute dal Papa ad Amman e a Betlemme. La liturgia di sabato scorso è stata  una grande festa non solo per la Galilea. Vi hanno partecipato, oltre ai 35 seminaristi del Redemptoris Mater e ai familiari e alle comunità dei candidati, molti sacerdoti, religiosi e religiose della Terra Santa, formatori e seminaristi del Seminario patriarcale di Bet-Jala, in Palestina, i fratelli e le sorelle in missione della Domus Galilaeae e circa 500 neocatecumeni provenienti dalle comunità della Galilea, della Palestina, della Giordania e di Gerusalemme.

Gli ultimi trenta giorni, benedetti dalla visita del Papa in Terra Santa, sono stati un tempo straordinario per il Redemptoris Mater, che si caratterizza per la sua inter-ritualità. Il 18 maggio, infatti, in una liturgia presieduta da mons. Joseph Jules Zerey, vescovo greco-cattolico di Gerusalemme, e alla presenza di mons. Moussa El-Hage, arcivescovo maronita di Haifa e della Terra Santa, è stato conferito a due greco-cattolici, provenienti dalla Galilea, Shadi Jozen di Me’lia e Rami Dakwar di Fassuta, il lettorato, ed un giovane maronita, Rodi Noura, è stato ordinato cantore e lettore. (A cura di Pierluigi Fornari)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 168

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.