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Sommario del 16/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa al Primate Welby: uniti contro moderne schiavitù

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Il nostro è un incontro tra “compagni di viaggio”, “pellegrini sulla strada” verso il Regno di Dio: lo ha affermato il Papa accogliendo stamane in Vaticano l’arcivescovo di Canterbury e Primate anglicano, Justin Welby, da sabato scorso in visita a Roma, accompagnato da una delegazione, con una missione mirata a rafforzare la lotta contro le moderne forme schiavitù, impegno condiviso con Francesco. Presenti all’udienza i cardinali Nichols e Koch. Il servizio di Roberta Gisotti

“Non possiamo fingere – ha esordito il Papa rivolto all’arcivescovo Welby e all’intera comunità angligana – che la nostra divisione non sia uno scandalo, un ostacolo all’annuncio del Vangelo”:

“La nostra vista non di rado è offuscata dal peso causato dalla storia delle nostre divisioni e la nostra volontà non sempre è libera da quell’ambizione umana che a volte accompagna persino il nostro desiderio di annunciare il Vangelo secondo il comandamento del Signore”.

Quindi, il richiamo del Papa al Concilio Vaticano II, che chiede di “portare avanti” le relazione ecumeniche "senza ostacolare le vie della Provvidenza” e “recare pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo”:

“Il traguardo della piena unità può sembrare un obiettivo lontano, ma rimane pur sempre la meta verso cui dobbiamo orientare ogni passo del cammino ecumenico che stiamo percorrendo insieme”.

Ha citato, Francesco, la Commissione internazionale anglicano-cattolica e la Commissione internazionale anglicano-cattolica per l’unità e la missione, ambiti dove raccogliere “in spirito costruttivo, le vecchie e le nuove sfide dell’impegno ecumenico”:

“Su queste basi guardiamo con fiducia al futuro”.

Ha ricordato poi, Francesco, “le comuni preoccupazioni” e il “dolore” di fronte ai mali che affliggono la famiglia umana”. In particolare, “lo stesso orrore di fronte alla piaga del traffico di esseri umani":

“Ci impegniamo a perseverare nella lotta alle nuove forme di schiavitù, confidando di poter contribuire a dare sollievo alle vittime e a contrastare questo tragico commercio”.

Infine, l’esortazione di Francesco a non dimenticare “le tre p”, “preghiera pace e povertà” per "camminare insieme” e la risposta affermativa dell’arcivescovo Welby:

"Papa Francesco: 'Don’t forget the three 'p':

Arcivescovo Welby: Three 'p'?…

Papa Francesco: 'Prayer, peace and poverty. We must walk together'.

Arcivescovo Welby: 'We must walk together'".

 

“Dobbiamo camminare insieme”, ha fatto eco all’invito del Papa, l’arcivescovo Justin Welby, Primate anglicano, intervistato da Philippa Hitchen

R. – The key aspect of what we are sharing is the commitment to work together…

L’aspetto chiave della nostra condivisione è l’impegno a lavorare insieme negli ambiti della sofferenza umana. Lo abbiamo visto nella “Rete Globale per la Libertà” (“Global Freedom Network”) e nella dichiarazione sul traffico delle persone umane. E io mi aspetto e spero che continueremo a identificare ulteriori ambiti di lavoro in comune là dove l’umanità è sofferente e dove c’è grande povertà e conflitto.

D. – Ha qualche idea da proporre a proposito degli ambiti in cui questa collaborazione si possa rafforzare?

R. – Well, I think one of the most obvious areas is around the issue of peace-making…
Credo che uno dei campi più ovvi sia quello dell’impegno per la pace. Abbiamo visto tutti la straordinaria iniziativa del Papa con i Presidenti di Palestina e Israele, nelle scorse settimane, e l’impatto di questa in termini di affermazioni non politiche, ma spirituali, nella preghiera. La settimana scorsa ero in Nigeria e, lo ribadisco, non per fare lezione al governo nigeriano riguardo al modo in cui esso tratti questo o quell’ambito, ma per pregare insieme con il Presidente. Credo che la Chiesa sia chiamata da Cristo a essere riconciliata e riconciliatrice, a essere colei che si protende per portare riconciliazione.

D. – In questo ambito lei ha una particolare competenza che le viene dal suo lavoro precedente in Nigeria, quando lei era impegnato nel dialogo tra cristiani e musulmani. Lei dice: la Chiesa deve essere testimone di riconciliazione. Ma in questo caso, quali passi concreti lei penserebbe di poter intraprendere?

R. – Well, I think we are already seeing around the world some very significant…
Mi sembra che nel mondo già si vedano alcuni passi concreti molto significativi. In diverse parti del mondo, all’inizio di quest’anno abbiamo potuto riunire due gruppi di leader – non voglio identificarli, per questo rimango deliberatamente un po’ vago – che erano ai ferri corti da molto, molto tempo. Abbiamo lavorato con loro per due-tre settimane, nel Regno Unito, quindi loro sono tornati ai loro Paesi e hanno educato circa 6 mila persone – leader di comunità locali – alla capacità di ristabilire la pace. Questo dimostra la forza che la Chiesa ha, essendo localmente presente ovunque. E anche l’immensa capacità di riconciliazione che ci dà Cristo.

D. – Pensa che questo sia un campo in cui cattolici e anglicani possano lavorare a più stretto contatto, fianco a fianco?

R. – Emphatically, yes.
Con forza, rispondo sì.

D. – Come lei sa, ci sono anche persone che affermano che la collaborazione pratica è – come dire – una specie di seconda scelta rispetto al dialogo teologico, che in qualche modo si trova ad un punto morto. Come risponderebbe a queste persone?

R. – Well, I don’t accept the premise of the question, at the first about…
Intanto, non accetto la premessa alla domanda: il dialogo teologico non è a un punto morto: Arcic III sta lavorando molto bene, lo “Iarccum”, l’”International Anglican Roman Catholic Commission for Unity and Mission (“Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione”) sta lavorando molto bene… Quello che sta procedendo è un dialogo molto serio. E l’idea che questi due aspetti siano alternativi è assurda. Noi siamo figli di Dio, siamo chiamati insieme ad approfondire la nostra comprensione sul modo di vivere da figli di Dio in questo mondo: amandoci gli uni gli altri e amando il mondo come Lui ha fatto per essere il suo popolo nel mondo. E questo ha una componente teologica e una componente di pratica attuazione. Se si abbandona la teologia, si diventa una semplice ong, mentre se si abbandona il pragmatismo si abbandona l’aspetto incarnato del Vangelo, che è centrale nella nostra fede.

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Francesco: i danni dei corrotti li pagano i poveri

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La corruzione dei potenti finisce per essere “pagata dai poveri”, che per l’avidità degli altri finiscono senza ciò di cui avrebbero bisogno e diritto. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino in Casa S. Marta. “L’unica strada” per vincere “il peccato della corruzione”, ha concluso, è “il servizio” agli altri che purifica il cuore. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Una storia “molto triste” che, pure se antichissima, è a tutt'oggi lo specchio di uno dei peccati più “a portata di mano”: la corruzione. Papa Francesco riflette sulla pagina della Bibbia, proposta dalla liturgia, che racconta la storia di Nabot, proprietario da generazioni di una vigna. Quando il re Acab – intenzionato, dice il Papa, “ad allargare un po’ il suo giardino” – gli chiede di vendergliela, Nabot rifiuta perché non intende disfarsi dell’”eredità dei suoi padri”. Il re prende molto male il rifiuto, così sua moglie Gezabele ordisce una trappola: con la complicità di falsi testimoni, fa trascinare in tribunale Nabot, che finisce condannato e lapidato a morte. E alla fine, consegna la vigna desiderata al marito, il quale – osserva Papa Francesco – la prende “tranquillo, come se niente fosse accaduto”. “Questa storia – commenta – si ripete continuamente” tra chi detiene “potere materiale o potere politico o potere spirituale”:

“Sui giornali noi leggiamo tante volte: ah, è stato portato in tribunale quel politico che si è arricchito magicamente. E’ stato in tribunale, è stato portato in tribunale quel capo di azienda che magicamente si è arricchito, cioè sfruttando i suoi operai. Si parla troppo di un prelato che si è arricchito troppo e ha lasciato il suo dovere pastorale per curare il suo potere. Così i corrotti politici, i corrotti degli affari e i corrotti ecclesiastici. Dappertutto ce ne sono. E dobbiamo dire la verità: la corruzione è proprio il peccato a portata di mano, che ha quella persona che ha autorità sugli altri, sia economica, sia politica, sia ecclesiastica. Tutti siamo tentati di corruzione. E’ un peccato a portata di mano. Perché quando uno ha autorità si sente potente, si sente quasi Dio”.

Del resto, prosegue Papa Francesco, si viene corrotti lungo la “strada della propria sicurezza”. Con “il benessere, i soldi, poi il potere, la vanità, l’orgoglio… E di là, tutto. Anche uccidere”. Ma, si domanda il Papa, “chi paga la corruzione?” Chi “ti porta la tangente”? No, sostiene, questo è ciò che fa “l’intermediario”. La corruzione in realtà “la paga il povero”:

“Se parliamo dei corrotti politici o dei corrotti economici, chi paga questo? Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione. Loro sono i moderni Nabot, che pagano la corruzione dei grandi. E chi paga la corruzione di un prelato? La pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce, che non sanno la catechesi, che non sono curati. La pagano gli ammalati che non sono visitati, la pagano i carcerati che non hanno attenzioni spirituali. I poveri pagano. La corruzione viene pagata dai poveri: poveri materiali, poveri spirituali”.

Invece, afferma Papa Francesco, “l’unica strada per uscire dalla corruzione, l’unica strada per vincere la tentazione, il peccato della corruzione, è il servizio”. Perché, spiega, “la corruzione viene dall’orgoglio, dalla superbia, e il servizio ti umilia”: è la “carità umile per aiutare gli altri”:

“Oggi, offriamo la Messa per questi - tanti, tanti... – che pagano la corruzione, che pagano la vita dei corrotti. Questi martiri della corruzione politica, della corruzione economica e della corruzione ecclesiastica. Preghiamo per loro. Che il Signore ci avvicini a loro. Sicuramente era molto vicino a Nabot, nel momento della lapidazione, come era molto vicino a Stefano. Che il Signore gli sia vicino e gli dia forza per andare avanti nella loro testimonianza, nella propria testimonianza”.

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Il Papa: intollerabile dominio mercati sulle sorti dei popoli

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I mercati finanziari non possono governare le sorti dei popoli. E’ la denuncia di Papa Francesco levata durante l’udienza ai partecipanti al Convegno promosso dal dicastero “Giustizia e Pace” sugli investimenti per combattere la povertà e le diseguaglianze sociali. Dal Papa anche l’esortazione a rimettere l’etica al centro della finanza. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dal cardinale Peter Turkson. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Una Chiesa povera e per i poveri”, ma anche un’economia che non calpesti i più deboli. Papa Francesco ha colto l’occasione di un Convegno sull’investimento per i poveri per ribadire la necessità di mettere la persona al centro dei processi economici:

“È importante che l’etica ritrovi il suo spazio nella finanza e che i mercati si pongano al servizio degli interessi dei popoli e del bene comune dell’umanità. Non possiamo tollerare più a lungo che i mercati finanziari governino le sorti dei popoli piuttosto che servirne i bisogni, o che pochi prosperino ricorrendo alla speculazione finanziaria mentre molti ne subiscono pesantemente le conseguenze”.

L’innovazione tecnologica, ha osservato, “ha aumentato la velocità delle transazioni finanziarie, ma tale aumento trova senso” se migliora “la capacità di servire il bene comune”:

“In particolare, la speculazione sui prezzi alimentari è uno scandalo che ha gravi conseguenze per l’accesso al cibo dei più poveri. E’ urgente che i governi di tutto il mondo si impegnino a sviluppare un quadro internazionale in grado di promuovere il mercato dell’investimento ad alto impatto sociale, in modo da contrastare l’economia dell’esclusione e dello scarto.

“Nel giorno in cui la Chiesa festeggia i santi Quirico e Giulitta, figlio e madre che, sotto Diocleziano, lasciarono i loro beni andando incontro al martirio – ha concluso – vorrei chiedere con voi al Signore di aiutarci a non dimenticare mai la fugacità dei beni terreni e a impegnarci per il bene comune, con amore di preferenza per i più poveri e deboli”.

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Papa a S. Egidio. Avanti su questa strada: preghiera, poveri e pace

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Trastevere cuore di Roma e casa della Comunità di S. Egidio ha accolto con canti e migliaia di bandiere colorate, l’arrivo del Papa nonostante la minaccia costante della pioggia. Attraverso migliaia di mani tese Francesco ha raggiunto la Basilica di Santa Maria in Trastevere e ha parlato e pregato con quanti la Comunità assiste: ”Aiutate” ha detto loro “ a far crescere la compassione e l’amicizia”. Forte l’appello a contrastare la cultura dello scarto in un’Europa che ha definito “stanca”. Poi prima di visitare la sede della Comunità, il Papa ha affidato a tutti la preghiera- "arma che tocca il cuore di Dio"- per la pace e per le nuove povertà. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

E’ un lungo abbraccio, un colloquio fraterno e spontaneo con gli ultimi a segnare la visita del Papa alla Comunità di Sant’Egidio, sin dai primi passi percorsi da Francesco, col fondatore Andrea Riccardi, sulla piazza della Basilica di Santa Maria in Trastevere, dove il Papa arriva intorno alle 17. In pochi metri, migliaia di persone in festa ad attendere una stretta di mano e una benedizione. Con loro anche malati, immigrati, un gruppo di rifugiati da Lampedusa. Altri, circa mille tra anziani, senza fissa dimora e rappresentanti di altre religioni e di movimenti, Francesco li trova all’interno della Basilica.

Qui l’omaggio silenzioso all’icona della Madonna della Clemenza, e poi la parola ai protagonisti di un’avventura iniziata nel "68, che il fondatore Riccardi spiega come" il sogno di essere Chiesa di tutti" orientata verso le periferie, una famiglia in cui "chi aiuta si confonde con chi è aiutato".

"Vengo dalla Siria Santità...."

L’arcivescovo siro ortodosso di Damasco, Jean Kawak, racconta la storia di un popolo "prigioniero del male", spaventato e assediato e implora “si deve fare di più per la pace”.

Poi, un' anziana testimonia la possibilità di riscatto in una società dello scarto, una giovane ringrazia il Papa che parla delle periferie da dove lei arriva, un disoccupato e una disabile, soli e disperati prima dell’aiuto della Comunità, un rom e un profugo afghano, raccontano come sono divenuti, dopo tante sofferenze, costruttori di pace. Infine, una testimonianza dalla Colombia dove S. Egidio aiuta la lotta alla violenza e alla corruzione del narcotraffico.

Prendendo la parola il Papa ripercorre la specificità della vita della Comunità a partire dalla preghiera, cuore della vita di Sant'Egidio, e sua prima opera:

"La preghiera preserva l’uomo anonimo della città da tentazioni che possono essere anche le nostre: il protagonismo per cui tutto gira attorno a sé, l’indifferenza, il vittimismo".

Chi ascolta la Parola e "guarda al Signore vede gli altri, che per voi sono in particolare i poveri, in cui è presente Gesù", prosegue Francesco, che sottolinea il lavoro della Comunità al fianco degli anziani. Con i giovani, dice, loro "portano avanti la storia", eppure, sono vittima della cultura dello scarto, una "eutanasia nascosta" la definisce:

"Quello che non serve, si scarta. Quello che non produce, si scarta. E oggi, la crisi è tanto grande che si scartano i giovani: quando pensiamo a questi 75 milioni di giovani dai 25 [anni] in giù, che sono 'nè-nè': né lavoro, né studio. Sono senza. Succede oggi, in questa Europa stanca. In questa Europa che si è stancata: non è invecchiata, no. E’ stanca. Non sa cosa fare".

"Dobbiamo aiutarla a ringiovanire", a ritrovare le sue radici rinnegate, aggiunge il Pontefice. Ma anche i poveri sono "pietra d’angolo per costruire la società", afferma il Papa, nonostante "un’economia speculativa li privi dell’essenziale" e chi come voi vive la solidarietà, non lo accetta e agisce:

"E questa parola – 'solidarietà' – tanti vogliono toglierla dal dizionario, perché a certa cultura sembra una parolaccia! Eh no: è una parola cristiana, la solidarietà!".

Infine, il Papa si sofferma sull’impegno della Comunità in favore della pace. "Un ‘opera di artigiani pazienti che cercano quel che unisce e mettono da parte quel che divide". Quindi, la richiesta di più preghiera e più dialogo, ciascuno a partire dalla propria identità:

"Io non posso fare finta di avere un’altra identità per dialogare. No, non si può dialogare così. Io sono con questa identità, ma dialogo, perché sono persona, perché sono uomo, sono donna e l’uomo e la donna hanno questa possibilità di dialogare senza negoziare la propria identità. Il mondo soffoca senza dialogo: per questo anche voi date il vostro contributo per promuovere l’amicizia tra le religioni"

Poi, l’invito finale: 

"Andate avanti su questa strada: preghiera, poveri e pace. E camminando così aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società – che è la vera rivoluzione, quella della compassione e della tenerezza – a far crescere l’amicizia al posto dei fantasmi dell’inimicizia e dell’indifferenza".

Poco prima di recarsi nella sede della Comunità, nella vicina piazza di S. Egidio, il Papa ha voluto lasciare ai presenti un invito:

"Pregate tanto. Abbiamo bisogno di preghiera nel mondo: per la pace, c’è tanta gente che non ha il necessario per vivere... Ogni mese, ogni mese tante famiglie non possono pagare l’affitto e devono andarsene via. Dove? Dio lo sa… Per questi poveri nuovi… Pregare per i popoli che sono in guerra, per i popoli che soffrono per la guerra: chiedere la pace. Una preghiera è l’arma che noi abbiamo per toccare il cuore di Dio. Se noi preghiamo, Lui ci ascolterà. Vi affido alla preghiera, per i poveri e per la pace".

 

Tanta la gioia della Comunità di Sant’Egidio per l’incontro con Papa Francesco. Per un bilancio della visita, Benedetta Capelli ha intervistato Paolo Ciani, tra i responsabili della Comunità: 

R. – Sicuramente, è stata una festa di accoglienza del Papa, una festa di ascolto. Lui, nelle sue parole, ci ha detto: continuate con la preghiera, la pace e i poveri. Sono i fondamenti della comunità. Il Papa è venuto in questo popolo in cui noi diciamo, come Papa Benedetto XVI ci disse una volta, “non c’è confusione tra chi serve e chi è servito”. Papa Francesco ha rimesso i poveri al centro della Chiesa, ha rimesso i poveri al centro del discorso pubblico. La Comunità di Sant’Egidio vuole vivere questo, tutti i giorni, alla luce del Vangelo.

D. – Nel corso di questa visita vi siete sentiti confermati da Papa Francesco?

R. – Questa visita ci dà una grande gioia, anzitutto. I bilanci, poi, li faremo nel corso del tempo, perché dovremo riascoltare questo discorso che il Papa ha fatto. In lunghe parti l’ha fatto a braccio, anche rispondendo agli interventi che aveva ascoltato. E’ stato molto affettuoso. Quindi, penso che dovremo rileggerlo e riascoltarlo molto, per poterlo vivere ogni giorno. Sicuramente, oggi siamo molto felici di essere stati a lungo con lui, ha salutato moltissimi dei nostri amici… E quindi, il primo bilancio è la gioia di essere stati con lui, di averlo ascoltato, di aver condiviso una lunga parte del nostro cammino con lui. E ora andiamo avanti insieme.

D. – Dal ’68 ad oggi, la povertà – in una città come Roma – è cambiata?

R. – La città è cambiata sicuramente, il mondo è cambiato e poi anche la povertà. Ma la Comunità di Sant’Egidio in questi anni non si è mai voluta trasformare in una ong esperta di povertà o che si occupi della povertà, ma ha voluto essere una realtà ecclesiale che vive ogni giorno con il Vangelo in mano. Quindi, anche se i poveri cambiano, le situazioni cambiano, il problema è rimanere accanto a loro. Quindi, per esempio il grande discorso degli anziani, che ora costituiscono una domanda enorme per la nostra società – li abbiamo sentiti anche oggi (ieri - ndr) – è una domanda con la quale fare i conti ogni giorno. Quando la Comunità nacque, l’immigrazione in Italia quasi non esisteva. Oggi è una grande domanda per tutti noi e per le nostre società. Il problema è non chiudersi nella quotidianità ma, alla luce del Vangelo, lasciarsi toccare il cuore e lasciarsi interrogare da chi incontriamo ogni giorno.

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Roma, Papa apre Convegno diocesano. Vallini: è l'ora delle parrocchie

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Grande attesa per i rappresentanti della Diocesi di Roma che questa sera, alle 19, incontreranno il Papa in Aula Paolo VI. Il Pontefice, infatti, inaugurerà i lavori del Convegno pastorale diocesano, pronunciando il discorso introduttivo. Il tema del Convegno è “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”. Isabella Piro ne ha parlato con il cardinale Agostino Vallini, vicario generale per la diocesi di Roma: 

R. – Questo tema si inserisce nel progetto pastorale che, ormai da cinque anni, portiamo avanti e che è centrato proprio sulla riconsiderazione della pastorale ordinaria della comunità cristiana. Siamo partiti, quattro anni fa, ponendoci la domanda: “Chi si sente Chiesa a Roma e come, essendo cristiano e partecipe, sente la responsabilità anche della testimonianza?”. Adesso, siamo giunti ad una delle tappe successive e cioè: “Come, attraverso i Sacramenti dell’Eucaristia e della Confermazione, la comunità cristiana riesce ad accompagnare a una scelta di fede che sia degna di questo nome?”.

D. – Essenziale quindi anche il ruolo della parrocchia, che diventa un motore primo per la formazione e l’evangelizzazione...

R. – Certamente. È proprio lì che è necessario ripensare, sul piano della proposta catechetica, a un obiettivo: quello di coinvolgere le famiglie, perché - purtroppo! - la tradizione cristiana di ricevere i Sacramenti da ragazzi fa sì che sia come un dovere da soddisfare, ma non invece qualcosa che debba impegnare, in seguito, nella maturazione di una vita cristiana effettiva. Ecco perché il punto centrale, direi, di questo nostro incontro è proprio questo: come la parrocchia riesce, si impegna e può impegnarsi a intercettare la presenza dialogante e partecipe delle famiglie, che chiedono per i loro figli i Sacramenti? È un discorso di valori, e di proposta per  ripensare la pastorale.

D. – La famiglia vive un momento difficile anche nell’ambito del contesto sociale ed economico. Come sostenerla?

R. – La presenza della Chiesa accanto alla famiglia è da sempre intensa e partecipe. La famiglia si sostiene invitandola a leggere le vicende umane con gli occhi della fede e poi esortandola a una esperienza coerente che possa dire davvero che non siamo abbandonati.

D. – Altro interlocutore fondamentale è la scuola. La diocesi di Roma come si muove in questo ambito?

R. – Da anni, noi abbiamo poste sempre grande attenzione al rapporto scuola-parrocchia, scuola-comunità cristiana. Devo dire che i risultati non sono eccellenti, nel senso che non si riesce sempre a stabilire un’osmosi tra scuola e parrocchia, anche perché il soggetto decisivo di questa relazione è sempre la famiglia, dove anche il tema della scuola è un punto centrale, tanto nell’esperienza ordinaria quanto anche in quella dell’handicap, perché ci sono non pochi ragazzi segnati dall’handicap e che hanno bisogno, loro e loro famiglie, di poter essere accompagnati in una esperienza formativa della fede.

D. Quando parliamo di conferma della fede, dobbiamo anche affrontare il contesto del mondo virtuale di Internet, soprattutto per i più giovani…

R. – Questa è una grande sfida, soprattutto per i ragazzi. Uno dei laboratori del nostro Convegno diocesano è proprio dedicato a questo: come le nuove tecnologie, che tanto influiscono sull’impegno e l’interesse dei ragazzi, possono diventare anche strumento di evangelizzazione, coinvolgendo gli stessi ragazzi nell’uso corretto di questi strumenti.

D. – Eminenza, quali frutti spera che possa portare questo Convegno pastorale?

R. – Tanti frutti, ma soprattutto la crescita nella coscienza della responsabilità dei laici, dei catechisti e speriamo delle famiglie. Perché il Convegno non è una esperienza accademica, ma vuole essere una esperienza di fede. 

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Il Papa riceve l’ambasciatore del Cile e il nunzio in Honduras

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza la signora Mónica Jiménez de la Jara, ambasciatore del Cile presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali e mons. Luigi Bianco, arcivescovo tit. di Falerone, nunzio apostolico in Honduras.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, "Fronte comune contro le schiavitù"; all’arcivescovo di Canterbury  Justin Welby, ricevuto nella biblioteca del Palazzo Apostolico, Papa Francesco ha indicato il traguardo della piena unità; e ai partecipanti al convegno su etica e finanza, tema «Investimento a impatto per i poveri», promosso a Roma dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in collaborazione con il Catholic relief services della Conferenza episcopale statunitense e il Mendoza college of business dell’University of Notre Dame, ha ribadito l’impossibilità di continuare a tollerare che la finanza governi le sorti dei popoli.

Sotto, sempre in prima pagina, "Ferocia jihadista in Iraq; i miliziani sunniti dell’Isis rivendicano l’esecuzione di massa di millesettecento soldati"; di spalla, "Nessun accordo sul gas tra Mosca e Kiev". Nella pagina della cultura, "Caro Longhi. Caro Morandi" di Sandra Isetta, dedicato alla mostra "Giorgio Morandi Roberto Longhi. Opere Lettere Scritti, visitabile fino al 22 giugno presso la Fondazione Longhi sulle colline che circondano Firenze.

Intorno al percorso espositivo è stata ricostruita la memoria di una pagina fondamentale della storia dell’arte contemporanea, narrata dalle voci in dialogo del critico e del pittore.

Sempre a pagina quattro, la testimonianza dell’ultimo laureato (nel luglio del 1964) di Roberto Longhi, il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci.

"Ai seminari di attribuzione - racconta Paolucci - dava a noi, suoi allievi, le carte di un gioco crudele e affascinante. Erano foto in bianco e nero, dettagli di opere d’arte; noi dovevamo indovinare l’opera e l’autore o almeno inquadrare l’epoca e lo stile. Erano sconfitte brucianti e, qualche rara volta, successi che scaldavano il cuore”.

A pagina 7, ampio spazio è stato dedicato alla visita alla Comunità di Sant’Egidio di domenica 15 giugno. Papa Francesco ha parlato di preghiera, poveri e pace. E ha detto che bisogna aiutare l’Europa a ringiovanire; è questa la rivoluzione più importante.

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Oggi in Primo Piano



La Russia blocca le forniture di gas all'Ucraina

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Nuovi ostacoli per la soluzione della crisi tra Ucraina e Russia. Oggi, Mosca ha interrotto ufficialmente le forniture di gas a Kiev. La notizia è stata confermata dai governi dei due Paesi. Commenti preoccupati da Bruxelles per eventuali ricadute negative a livello energetico per l’Unione Europea. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – Secondo me, non è la questione “secessione sì o no” a influire sull’aspetto specifico dell’energia. Direi piuttosto il contrario: è l’energia che ha fatto da volano all’intera crisi dell’Ucraina. Dal punto di vista pratico, ci sono due aspetti da affrontare: le possibili ripercussioni sulle forniture di gas all’Europa – ricordo che l’Europa importa dalla Russia circa il 30% del gas che consuma – e l’altro aspetto è, ovviamente, la ricaduta sui cittadini dell’Ucraina. Quindi, una crisi dell’energia, oltre che a livello macroeconomico sull’economia del Paese, potrebbe influire molto pesantemente sulla vita delle famiglie.

D. – A questo punto, Bruxelles ha una sorta di dovere morale di mediare in una situazione che ormai sembra irrecuperabile?

R. – Io temo che Bruxelles abbia partecipato in maniera quasi entusiastica ai disordini antirussi, convinta di potere in qualche modo incassare non si sa bene quali dividendi da un passaggio in ambito europeo dell’Ucraina. Ora, gli esperti calcolano che, se dovesse entrare in vigore il regime di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea, per il solo fatto di passare a un ambito europeo – quindi con nuove norme, nuovi regolamenti – il prezzo del gas al consumo, cioè per le famiglie ucraine, dovrebbe salire del 50%. Voglio dire che questa crisi dell’Ucraina è stata trattata con un tasso di dilettantismo generale incredibile. Ora, io credo che l’Unione Europea possa fare molto poco, perché Bruxelles sin dall’inizio si è schierata e, quindi, in questo momento non è un interlocutore che può mediare: è una controparte, rispetto alla Russia. Certo, ci vorrebbe un’improvvisa illuminazione di buon senso per tutti gli interlocutori, che siedono al Cremlino, a Bruxelles o a Kiev. 

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Egitto, maestra cristiana condannata al carcere per blasfemia

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Dimyana Abdel Nour, la maestra cristiana accusata di blasfemia in Egitto, è stata condannata a sei mesi di carcere con sentenza d’appello. La donna avrebbe sminuito la figura di Maometto di fronte ai suoi alunni. Nonostante la destituzione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente egiziano Mohammed Morsi, i processi per blasfemia nel Paese sono in costante aumento. Gianmichele Laino ha intervistato mons. William Kiryllos, vescovo di Assiut: 

R. – Notiamo che quando è un cristiano a parlare male o poco bene dell’islam viene subito accusato di blasfemia e viene condannato a severe punizioni. Invece, dall’altra parte, ci sono vari musulmani che parlano male del cristianesimo e che vengono quasi sempre liberati.

D. – La maestra è stata ripresa e difesa sia dal preside musulmano del suo Istituto e sia dalla maggior parte degli alunni. Alla luce di questo, cosa c’è realmente dietro alle accuse che le vengono mosse?

R. – Non sappiamo. Noi abbiamo l’impressione che non ci sia la volontà politica, la volontà di dare giustizia ai cristiani in genere, non solo in questo caso di blasfemia, ma anche nei vari casi, negli atti di violenza che vengono commessi contro i cristiani. Questo è un punto interrogativo che ci tormenta.

D. – E la comunità cristiana in Egitto come accoglie queste sentenze di condanna?

R. – La comunità cristiana reagisce in modo molto pacifico, protestando contro tali accuse, e si rivolge al Signore per chiedere a Lui giustizia. Sperano molto che venga attivata la nuova Costituzione che garantisce quei diritti a tutti, in maniera egualitaria. Poi, c’è anche un dubbio: arriveremo veramente a questa giustizia sociale, a questi diritti di cittadinanza, a non essere più cittadini di seconda categoria, a non essere più emarginati?

D. – A questo proposito, il dato rilevante è che i processi per blasfemia, in Egitto, sono aumentati del 100% da quando i Fratelli musulmani sono saliti al potere nel 2011. Il fenomeno, tuttavia, continua anche dopo la destituzione di Morsi e l’elezione di Al-Sisi. Perché?

R. – Ci sono molti elementi nel governo, nelle autorità giudiziarie che ancora sono islamici. Non sono pochi quelli che richiedono la “purificazione” di tutti gli enti dello Stato dagli elementi estremisti, per mettere fine a questa ingiustizia. Speriamo che questo passo venga seguito da altri passi simili, per eliminare questa atmosfera di fanatismo diffuso nel Paese da quando i Fratelli musulmani erano al potere.

 

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Mons. Bregantini: una conversione ecologica per salvare il Creato

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Una nuova cultura per denunciare l’inquinamento, spesso fonte di malattie, prevenire eventi metereologici estremi come le bombe d’acqua  e divenire  sentinelle del territorio che ci è stato affidato.  A chiederlo è il messaggio Cei per la nona giornata per la custodia del Creato del prossimo primo settembre che lancia a tutti un monito a tutelare il “giardino violato”. Al microfono di Paolo Ondarza ascoltiamo mons. Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace: 

R. - E’ un’immagine biblica bellissima, quella del giardino. Purtroppo il giardino violato è la costatazione del frammento di male che, come fosse una goccia di veleno, ammorba tutta la bellezza del giardino. Questa è l’immagine dell’inquinamento. Il frutto amaro del peccato è, ad esempio, una comunità che litiga, una comunità mafiosa, una comunità che ha fatto patti con la camorra e che di fatto si trova ad avere il veleno anche sotto terra.

D. - Il messaggio fa riferimento a quelle situazioni estreme che, come ci riportano purtroppo le cronache, diventano fonte di tumori, fonte di malattie…

R. - Sì! Tant’è che la Giornata nazionale sarà ad Aversa, con la presenza di don Patriciello: proprio attorno a quella figura noi vediamo che il messaggio abbraccia tutti coloro che hanno, con coscientizzazione crescente, fatto prendere ad una comunità la consapevolezza della bellezza del proprio giardino e della iniquità di averlo violato: quindi anche gente che ha pagato con la vita, a causa dei tumori. E questo ci dice che è importante lottare per la coscienza, a cominciare dalle scuole, dalle parrocchie con la bellezza della Bibbia, ma anche con la consapevolezza della gravità dei problemi di oggi.

D. - Citava la priorità dell’impegno culturale, che viene ribadito in questo messaggio per la Giornata per la Custodia del Creato, che - oltre alla piaga dell’inquinamento - evidenzia anche il fenomeno degli eventi meteorologici estremi. Si fa riferimento, in particolare, alle inattese bombe d’acqua, di cui abbiamo più volte sentito parlare negli ultimi anni e che hanno davvero causato tanta devastazione e a cui è seguita spesso, però, una solidarietà - purtroppo! - solo emotiva, superficiale…

R. - Questo è il messaggio più grande che noi vorremmo far passare nelle scuole, nelle realtà associative, nelle parrocchie e ovviamente nel mondo politico: quello di una cultura preventiva in modo tale che l’emozione del momento sia una cosa positiva, ma venga poi incanalata non in una "bomba d’acqua" devastante che dura attimi, ma in un ruscello fecondante la terra: in una capacità cioè progettuale, in un’opera di difesa vera, soprattutto preventiva, perché sull’aspetto emotivo siamo bravissimi in Italia, ma sull’aspetto progettuale siamo carenti!

D. - Dunque più prevenzione e poi finalmente una cultura ispirata ad una conversione… 

R. Certo! Sì, sì! Lei ha detto benissimo: più prevenzione, meno emozione e più conversione, per giocare un po’ sulle parole… Una conversione fatta quindi di scelte, di sobrietà, di autenticità e di cura delle cose.

D. - Tutti siamo attori, nessuno resti spettatore: in questo il messaggio è chiaro e lascia spazio alla speranza…

R. -Sì, anche perché - grazie a Dio! - questa consapevolezza è cresciuta nel mondo giovanile. Dobbiamo farne tesoro per renderla, potremmo dire, anche scelta politica. Quindi anche il mondo politico, tutto quello che fa per il giardino, per l’ambiente sappia che lo costruisce per il futuro. Possa essere già l’estate che arriva un’esperienza di immersione nella natura pulita e addirittura, per esempio, un’occasione per impegnarsi a pulire le spiagge, a tenere in ordine le cose e fare in modo quindi che anche l’estate - ad esempio nel Grest - si possa portare avanti il  discorso del giardino violato come uno degli impegni e dei compiti a casa più belli e più costruttivi. 

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Incontro Oasis a Sarajevo: religioni fra guerra e riconciliazione

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A 100 anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale la rete internazionale di Oasis - impegnata nel dialogo tra cristiani e musulmani - ha scelto Sarajevo per il meeting annuale sul tema: Tentazione violenza. Religioni tra guerra e riconciliazione. “Occorre saper chiedere perdono e perdonare”, ha scritto nel messaggio di apertura il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, richiamando i cristiani a immettere nel dialogo la riflessione sulla pace che la Chiesa è andata maturando nel tempo. Dopo l’odierna giornata introduttiva, domani sarà dato spazio alle testimonianze da India, Egitto, Nigeria e Libano. Obiettivi e protagonisti dell’evento nelle parole del segretario scientifico di Oasis Michele Pignone, intervistato da Gabriella Ceraso: 

R. – Partendo naturalmente dal 100.mo anniversario della Prima Guerra Mondiale a Sarajevo - che ha vissuto tre momenti drammatici di guerra nel corso del XX secolo - l’obiettivo è proprio quello di capire come le religioni si pongono rispetto all’esplosione della violenza, sia quando ne sono contagiate, sia come importantissimi attori di pace. Cercheremo sia di analizzare quali sono gli elementi che consentono questo ruolo delle religioni sia di capire dall’esperienza in che modo cristiani e musulmani hanno vissuto condizioni di guerra e di violenza.

D. – Lei ha parlato di Sarajevo; in realtà, proprio dalla Prima Guerra Mondiale – cosa che voi per altro affrontate – sono derivate una serie di conseguenze anche relative alla nascita dell’islam politico…

R. – Questo voleva essere proprio il punto di partenza, cioè che la Prima Guerra Mondiale è stata all’origine di alcuni processi che hanno modificato radicalmente sia l’assetto politico e geopolitico del Medio Oriente, sia il modo di vivere l’islam, il rapporto tra l’islam e politica e la legittimazione del potere, questioni che ancora oggi non sono state risolte. Proprio questa mattina, una professoressa musulmana ha messo in luce come nell’esegesi coranica, soprattutto nei trattati di etica islamici, sia difficile giustificare l’uso della Jhiad che invece viene fatto oggi dalle forze terroriste.

D. – Quindi, come il Papa dice spesso, cioè che  “la violenza in nome di Dio è una contraddizione”…

R. – Sì, sicuramente all’interno stesso della tradizione islamica è possibile rintracciare elementi che concordano con gli inviti recenti del Papa e penso ci siano musulmani pronti a raccogliere questi inviti.

D. – Dall’India, alla Nigeria, alla Libia, all’Egitto, voi mettete insieme interlocutori che vengono da questi luoghi e che raccontano la loro esperienza. C’è un filo rosso, un filo conduttore che unisce tutti, un unico intento?

R. – Sì il filo conduttore è la situazione difficile che questi Paesi vivono, situazioni in cui, negli ultimi anni, c’è stata un’esplosione di violenza che ha colpito in particolar modo i cristiani ma non solo. L’idea di mettere insieme persone di estrazione e provenienze diverse serve, appunto, per capire come in questi contesti di estrema difficoltà le comunità locali vivono una situazione di vera e propria testimonianza della propria fede che può essere molto arricchente per tutti.

D. – Testimoniano la loro fede nel senso di dialogo?

R. - Testimoniano la loro fede sia, nel limite del possibile, tentando di continuare a farlo senza magari lasciare i propri Paesi; sia mostrando che è possibile, anche nelle situazioni più drammatiche, non rinunciare al dialogo.

D. – Il Papa che non smette mai di ricordare che “fare la pace vuol dire avere il coraggio di incontrarsi”, che tipo di spunti vi offre?

R. – Uno spunto preziosissimo per il nostro lavoro, che sicuramente possiamo dire essere confermato dall’esperienza che ci viene portata dai partecipanti che giungono dai vari Paesi del Medio Oriente e non solo. Inoltre, è confermato di nuovo dall’esperienza dei cristiani che hanno vissuto, qui a Sarajevo, in prima persona l’esperienza della guerra. Uno dei responsabili della comunità cattolica locale, responsabile per il dialogo interreligioso mi parlava del cammino difficile di riconciliazione tra cristiani e musulmani. Diceva che, naturalmente, nessuno di noi è ingenuo, nessuno pensa che i problemi si risolvano con dichiarazioni di buona volontà, ma è importante, giorno dopo giorno, costruire fiducia reciproca; quindi, sapere che l’altro può fidarsi di noi. Penso che sia una chiave veramente importante dei rapporti non solo interreligiosi, ma anche interculturali. 

 

 

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A Betlemme "rinasce" la Basilica della Natività

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Nel settembre dello scorso anno, sono iniziati i lavori per il restauro della Basilica della Natività a Betlemme, la più antica tra le chiese di Terra Santa, che conserva il luogo dove è nato Gesù. Le autorità palestinesi hanno affidato l’intervento, per la riparazione dell’antico tetto ligneo, ad una ditta italiana che stanno utilizzando le stesse tecniche degli ingegneri di Giustiniano che edificarono la basilica nel 531. Il presidente della società, Gianmarco Piacenti, spiega al microfono di Roberto Piermarini l’andamento dei lavori: 

R. - Le condizioni del tetto erano terribili, però bisogna anche dire che il tetto è sempre stato sovradimensionato alle sue necessità di resistenza, per questo stava in piedi. Ma le condizioni erano veramente terribili, tutte le murature erano intrise di umidità che praticamente hanno distrutto le teste delle travi, delle capriate inserite all’interno delle murature. Con la grande umidità che rimaneva dentro le murature ed il grande calore esterno la carie del legno l’aveva completamente distrutto.

D. - Come avete operato?

R. - Analizzando ogni capriata, ogni parte in legno. È stato fatto soprattutto il rilievo del degrado, eseguito da operatori specializzati che hanno, per ogni trave, visto prima il degrado e quantificato; poi riprogettato la resistenza della trave inserendo protesi lignee che praticamente conservano tutta la parte buona del legno ed eliminano solo la parte non più buona. 

D. - Avete utilizzato anche cedro del Libano?

R. - Praticamente le parti di cedro rimanenti sono pochissime, tutto il resto è larice e quercia. Abbiamo riutilizzato tutto legno antico per la gran parte, circa il 99%, che è stato ricercato in quattro regioni italiane, selezionato, riclassificato e portato in Palestina. Tutto ciò non è così semplice. Infine, riutilizzato per queste protesi, perché il collante che le unisce garantisce una grande resistenza solamente con legni compatibili che non superano umidità di una certa misura.

D. - Cosa avete recuperato dal punto di vista delle strutture antiche?

R. - Noi abbiamo conservato il più possibile. Innanzitutto, abbiamo modificato le metodologie di lavoro: non abbiamo smontato tutte le parti che si appoggiamo sulle capriate, composte da travetti e tavole, perché smontandole sarebbe stato difficile rimontarle nella stessa posizione, con gli stessi chiodi, allo stesso modo. Abbiamo “inventato” un sistema per sostenere il tetto mentre si lavorava sulle capriate dove intervenivamo. Questo ci ha permesso di conservare il più possibile tutte le tracce e tutte le parti che lo costituiscono. Perciò, è un lavoro che quando sarà scoperto dovrà sembrare come se non avessimo fatto praticamente niente; non si vedono sostituzioni che sono molto vicine alle pareti e tutto il resto sta dentro le murature. Viene ritoccato anche cromaticamente, i legni sono pressoché identici, si vedono solo le linee di taglio così che l’aspetto non sarà cambiato dall’attuale.

D. - Quindi i visitatori cosa vedranno una volta terminato il tetto?

R. - Vedranno lo stesso tetto che però, per lo meno, non sarà così umido come quello attuale e dove pioveva dentro.

D. - Cosa dicono i padri di Terra Santa ed anche gli ortodossi di questo restauro?

R. - Ci stanno supportando tutti in maniera molto forte, non ce l’aspettavamo. Dobbiamo ringraziarli tutti perché ci hanno dato veramente un grandissimo sostegno. Ne avevamo bisogno perché lavorare fuori diventa difficile ed in queste zone ancora di più.

D. - Avete trovato anche manovalanza qui sul posto?

R. - Sì. Noi abbiamo un ‘local partner’ che ci serve per tutte le problematiche che si incontrano in un luogo diverso: innanzitutto, la lingua per reperire i materiali locali, quelli più normali; per la logistica; per gli spostamenti; per tutto. Il nostro, purtroppo, è un lavoro specializzato ed è difficile impiegarli in tutte le lavorazioni, possono fare solamente pochissime cose e questo è un po’ un peccato. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Il card. Filoni chiude le celebrazioni per il 500.mo della diocesi di Funchal

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“Come l’amore trinitario di Dio, anche l'amore ecclesiale deve uscire fuori da sé stesso e donarsi agli altri. In primo luogo, a coloro che non conoscono l'amore di Dio, o sono lontani da lui, o non si sentono umanamente degni di essere amati, perché si sentono peccatori. Questo è il vostro programma e l'impegno al quale Gesù chiama oggi la Chiesa di Funchal!”. E’ l’esortazione che il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha rivolto alla diocesi di Funchal, nell’arcipelago portoghese di Madeira, dove ha presieduto come Inviato Speciale del Santo Padre Francesco, la celebrazione conclusiva per il quinto centenario della sua creazione. La celebrazione si è svolta ieri pomeriggio, solennità della Santissima Trinità, al culmine dell’Assemblea diocesana giubilare convocata allo stadio “dos Barreiros”. 

Nell’omelia - riferisce l'agenzia Fides - il card. Filoni ha espresso la gratitudine della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli a questa Chiesa locale per il notevole contributo dato all’opera missionaria, “per aver aiutato e sostenuto migliaia di missionari che sono passati da queste isole, prima del grande salto, con le navi del tempo, verso l’America, l’Africa e l’Asia!”. “Facendo un'analisi storica e pastorale – ha proseguito il cardimale - Funchal ha ricoperto in quei tempi eroici delle missioni, un importante compito, come Papa Leone X scrisse nella sua Bolla di istituzione della diocesi a sostegno dell'attività missionaria della Chiesa per le nuove Terre”. 

In tale contesto si colloca opportunamente il piano pastorale diocesano, che nel triennio 2011-2013 ha preparato la celebrazione giubilare, sul tema “Diocesi, Chiesa in Missione”, rivitalizzando quindi le sue radici missionarie con l’obiettivo di costruire “Comunità cristiane vive e apostoliche”. “Questo aspetto della missionarietà della Chiesa è molto caro a Papa Francesco – ha sottolineato il prefetto del Dicastero Missionario - che ne fa oggetto di riflessione e di incoraggiamento continuo”, ed ha trovato la sua espressione più ampia ed articolata nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium.

Il programma della diocesi di Funchal quindi “non solo è in sintonia con la visione del Papa sulla Chiesa di oggi, ma proietta la vita di questa diocesi in una nuova dinamica” ha aggiunto il card. Filoni, evidenziando l’impegno “di rilanciare lo spirito missionario che la distingue in modo significativo fin dall'inizio della sua creazione”. “Non c'è niente di più significativo nella vita di un cristiano e di una Chiesa – ha aggiunto -, che la propria vocazione missionaria. Tuttavia, è necessario un nuovo e forte impulso non solo nei metodi, ma anche nell’ardore evangelizzatore, come diceva il Santo Papa Giovanni Paolo II”.

Infine il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha ricordato: “perché tale impulso possa avere effetto, è anche necessario che ogni cristiano abbia una fede profonda e che ami la sua fede; che dia una testimonianza coerente in una società multiculturale in crisi di valori morali e spirituali, in particolare questa, caratterizzata dal fenomeno delle migrazioni e del turismo”. Il primo ambiente sociale in cui è necessario ravvivare la fede è la famiglia, ha indicato il cardinale, per contrastare l’attuale tendenza a debilitarla: “Fedeltà, perseveranza e fecondità sono i pilastri di una famiglia che ha le sue fondamenta in Cristo”. (R.P.)

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Iraq: giornata per la pace indetta dal patriarca Sako

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Il patriarcato di Babilonia dei caldei ha invitato tutte le comunità caldee sparse nel territorio iracheno e nel resto del mondo a “dedicare la giornata del prossimo mercoledì 18 giugno al digiuno e alla preghiera per il ripristino della sicurezza e della stabilità in Iraq”. La preghiera e il digiuno - si legge nel comunicato pubblicato per promuovere l'iniziativa -“possono cambiare il cuore delle persone e incoraggiarle al dialogo e al rispetto reciproco, con la benedizione di Dio”.

Il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako - riferisce l'agenzia Fides - ha rivolto l'invito a tutte le chiese caldee direttamente dagli Stati Uniti, dove sta continuando, insieme ad altri vescovi, la visita pastorale alle comunità caldee presenti in America del nord iniziata lo scorso 6 giugno. Gli sviluppi drammatici della situazione irachena, innescati dalla conquista di Mosul da parte dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil), vengono seguiti con apprensione dal patriarca e dai vescovi caldei, che torneranno in patria nella settimana corrente e per ora hanno deciso di non annullare la riunione del Sinodo della Chiesa caldea in programma dal 24 al 28 giugno.

In origine l'importante summit dell'episcopato caldeo avrebbe dovuto svolgersi a Baghdad. Invece, con un significativo cambio di programma, la riunione si terrà ad Ankawa, nei dintorni di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Il trasferimento della sede in una regione controllata dai curdi e non coinvolta dal conflitto faciliterà la partecipazione dei vescovi di Mosul e di Kirkuk. L'ordine del giorno del Sinodo era inizialmente focalizzato su questioni pastorali e giurisdizionali interne alla vita della Chiesa, come la scelta di nuovi vescovi per le sedi episcopali vacanti e l'unificazione dei rituali nelle celebrazioni liturgiche del battesimo e del matrimonio. “Ovviamente” spiega all'agenzia Fides padre Albert Hisham, portavoce del patriarcato, “la nuova situazione creatasi in Iraq comporterà un cambiamento dell'agenda. I vescovi valuteranno insieme le nuove emergenze che segnano la condizione delle comunità cristiane e di tutto il Paese”. (R.P.)

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Siria. Il patriarca Tarmouni: profanate le chiese armene

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Tra sabato 14 e domenica 15 giugno, l'esercito governativo siriano ha ripreso integralmente il controllo di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena che era stata conquistata dalle milizie anti-Assad lo scorso marzo.

"Alla riconquista di Kessab” riferisce all'agenzia Fides il patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni, “hanno preso parte anche i gruppi di autodifesa formati da armeni siriani e le milizie sciite di Hezbollah. Il parroco della chiesa di San Michele ha già fatto un sopralluogo nella sua parrocchia, trovandola devastata: i ribelli hanno danneggiato le icone, divelto le croci, distrutto libri, reso inagibili i locali. Con l'unica intenzione di impedirne l'utilizzo, visto che non c'erano cose preziose da saccheggiare. La stessa sorte è toccata alla nostra scuola”. Secondo fonti consultate da Fides, le milizie islamiste hanno divelto le croci anche nella chiesa armena evangelica dedicata alla Santissima Trinità, mentre risulta devastato il Centro culturale armeno Misakyan.

Le incursioni delle milizie islamiste – comprese quelle della fazione jihadista Jabhat al-Nusra - erano iniziate lo scorso 21 marzo. Quasi 700 famiglie, in maggioranza cristiane, erano fuggite per trovare riparo nell'area costiera di Latakia. I ribelli erano arrivati dalle montagne al confine con la Turchia, numerosi e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si erano ritirate, così come i giovani armeni che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese.

“Mi ha sorpreso la velocità con cui Kessab è stata riconquistata” sottolinea il patriarca Tarmouni, “e mi auguro che adesso, con pazienza, gli abitanti di Kessab tornino alle proprie case e ricostruiscano quello che è stato danneggiato. Sarebbe bello poter riaprire la scuola già ai primi di settembre. Occorreranno risorse economiche e l'aiuto di tutti”. Nel contempo, il patriarca teme che almeno il 30% degli abitanti di Kessab non farà ritorno alle proprie case, avendo trovato sistemazioni più sicure nell'area di Latakia o in Libano.

Gli armeni di Kessab sono in gran parte agricoltori. L'area rurale, fino allo scorso marzo, non era stata toccata dal conflitto siriano. La città occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi, proprio a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena dell'area. 

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Kenya: nell'assalto a Mpeketoni attaccati anche i cristiani

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“Sono rimasto in contatto con i nostri parroci e le nostre religiose durante lo svolgersi dell’attacco” dice all’agenzia Fides mons. Emanuel Barbara, vescovo di Malindi e amministratore apostolico di Mombasa, nella cui diocesi ricade la città sulla costa keniana di Mpeketoni (a un centinaio di km dalla frontiera con la Somalia) dove ieri, 15 giugno, un commando armato ha seminato morte e distruzione attaccando la locale stazione di polizia, alberghi e altri edifici.

“A Mpeketoni ci sono tre parrocchie e quattro conventi di religiose. Un convento si trova al centro della città, proprio l’area attaccata. Grazie a Dio le suore non sono rimaste coinvolte nell’assalto. Ho raccomandato loro di spegnere ogni luce e di non muoversi dal convento” dice mons. Barbara. 

Secondo la ricostruzione del vescovo, “l’assalto è cominciato alle otto e mezza della sera di ieri, quando circa 50 guerriglieri sono arrivati nel centro di Mpeketoni, assalendo subito la stazione di polizia, dove hanno saccheggiato l’arsenale e ucciso un poliziotto. Poi hanno distrutto un’antenna dei cellulari, ma per fortuna ce ne era un’altra, per cui sono riuscito a rimanere in contatto con i sacerdoti e le suore. Infine i guerriglieri hanno assalito due hotel e hanno fermato gli automobilisti di passaggio e i pedoni, chiedendo loro se erano musulmani o cristiani. Se erano cristiani li uccidevano”. 

“Per quel che sappiamo, finora le vittime sono 48, ma è un bilancio ancora non definitivo” aggiunge mons. Barbara. “I rinforzi della polizia sono arrivati un’ora dopo, quando ormai gli assalitori erano fuggiti. Adesso li stanno cercando nella foresta. Non si sa neppure da dove siano arrivati. C’è chi dice dalla parte di Malindi, altri invece affermano che provenivano dalla Somalia. Nessun gruppo ha finora rivendicato l’assalto, ma il modus operandi è quello degli Shabaab somali. Tutto era ben organizzato, il commando conosceva bene la pianta della città e si è diretto a colpo sicuro sugli obiettivi che intendeva colpire”. 

“Siamo molto preoccupati, anche perché l’attentato giunge in un momento di tensione tra governo ed opposizione. A livello sociale, nonostante la crescita economica del Paese, la ricchezza prodotta non raggiunge ancora buona parte della popolazione. Per questo vi chiedo di pregare per noi, perché i keniani non si lascino trascinare dalla tentazione dall’odio” conclude mons. Barbara. (R.P.)

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Pakistan. Paul Bhatti: nel Paese c'è il problema sicurezza

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L'uccisione del parlamentare cristiano nel Beluchistan, l'attacco estremista all'aeroporto di Karachi e l'assalto al tribunale di Islamabad a marzo confermano "l'incapacità" dell'attuale governo di affrontare i problemi del Pakistan, in primis "la sicurezza". È quanto denuncia all'agenzia AsiaNews Paul Bhatti, ex ministro federale per l'Armonia nazionale e leader di All Pakistan Minorities Alliance (Apma).

L'attuale esecutivo, in carica dal maggio 2013 e guidato dal premier Nawaz Sharif della Pakistan Muslim League-Nawaz (Pml-N), "non è in grado di risolvere le problematiche del Pakistan odierno" aggiunge il politico e attivista cattolico. Egli auspica una "soluzione condivisa al più presto possibile", perché "i cittadini vengano protetti e sia garantita loro la sicurezza". 

Nei giorni scorsi un nuovo lutto ha colpito la comunità cristiana, in seguito all'omicidio di un parlamentare del Beluchistan, nel sud-ovest del Paese. Il 14 giugno Handery Masih è stato assassinato dalla sua guardia del corpo a Quetta, capoluogo della provincia; l'uomo era un attivista conosciuto e apprezzato nella lotta per i diritti umani, delle minoranze e non. Secondo testimoni oculari, Masih è stato colpito dalla guardia del corpo - al suo servizio da almeno 13 anni - mentre cercava di difendere il nipote da un assalto.

Paul Bhatti denuncia gli attacchi contro la minoranza cristiana, nella totale indifferenza dell'esecutivo. Gli episodi più gravi contro le minoranze, aggiunge, avvengono sempre quando al potere - a livello centrale o locale - vi sono membri della Pml-N, come avvenuto lo scorso anno a Lahore o a Gojra nel 2009.

Il precedente esecutivo, guidato dal Partito popolare pakistano (Ppp), ha cercato di imprimere una visione "laica al Paese"; di contro, l'attuale premier Sahirf è lo stesso che ha tentato di far approvare la legge islamica (sharia) nel 1999 - sventata grazie all'iniziativa di Shahbaz Bhatti, fratello di Paul, assassinato dagli islamisti nel marzo 2011 - e avallato la promulgazione delle leggi sulla blasfemia negli anni '80. È difficile "controllare la situazione", ammette Bhatti, però l'esecutivo "non è esente da responsabilità"; per questo egli auspica la nascita di un fronte comune, dai militari alle forze politiche, "che sia capace di imprimere una rotta decisa alla nazione". Bisogna trovare una nuova via, che sia garante "di pace e unità, che sappia mettere fine alle divisioni". "Il Pakistan è la sesta forza militare al mondo - sottolinea - e non è possibile che non sia in grado di controllare una minoranza estremista. Il Paese possiede capacità e potenzialità, ma serve una guida giusta e competente".

Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation e che ha investito soprattutto i musulmani sciiti e i cristiani. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 167

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.