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Sommario del 15/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Appello per l’Iraq e viaggio a Tirana: il Papa all’Angelus

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L’amore, distintivo del cristiano: così Papa Francesco all’Angelus ricorda la Solennità della Santissima Trinità. Poi l’appello per l’Iraq e l’annuncio che si recherà a Tirana il 21 settembre. E un pensiero speciale alle collaboratrici domestiche  Il servizio di Fausta Speranza: 

“Nella Trinità riconosciamo anche il modello della Chiesa, nella quale siamo chiamati ad amarci come Gesù ci ha amato”. Con queste parole Papa Francesco spiega che “è l’amore il segno concreto che manifesta la fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo”. “È l’amore – afferma - il distintivo del cristiano”. A braccio la raccomandazione a non cadere in contraddizione:

“E’ una contraddizione pensare a cristiani che si odiano. E’ una contraddizione! E questo cerca sempre il diavolo: farci odiare, perché lui semina sempre la zizzania dell’odio; lui non conosce l’amore: l’amore è di Dio!”

“Tutti siamo chiamati – ricorda il Papa - a testimoniare ed annunciare il messaggio che «Dio è amore», che Dio non è lontano o insensibile alle nostre vicende umane”.

“E questo è l’amore di Dio in Gesù. Quest’amore che è tanto difficile da capire, ma che noi sentiamo quando ci avviciniamo a Gesù. E Lui ci perdona sempre; Lui ci aspetta sempre, Lui ci ama tanto! E l’amore di Gesù che noi sentiamo è l’amore di Dio!”

“Il dinamismo della Trinità – spiega - è un dinamismo di amore, di comunione, di servizio reciproco, di condivisione”:

 “Una persona che ama gli altri per la gioia stessa di amare è riflesso della Trinità. Una famiglia in cui ci si ama e ci si aiuta gli uni gli altri è un riflesso della Trinità. Una parrocchia in cui ci si vuole bene e si condividono i beni spirituali e materiali è un riflesso della Trinità.”

Trinità e Eucaristia: “l’Eucaristia è come il ‘roveto ardente’ in cui umilmente abita e si comunica la Trinità”, dice Francesco, spiegando che “per questo la Chiesa ha messo la festa del Corpus Domini dopo quella della Trinità”.

“Giovedì prossimo, secondo la tradizione romana, celebreremo la Santa Messa a San Giovanni in Laterano e poi faremo la processione con il Santissimo Sacramento. Invito i romani e i pellegrini a partecipare per esprimere il nostro desiderio di essere un popolo «adunato nell’unità del Padre e del figlio e dello Spirito Santo».”

E il Papa ribadisce l’invito:

“Vi aspetto tutti il prossimo giovedì, alle 19.00, per la Messa e la Processione del Corpus Christi.”

Dopo l’Angelus, il Papa esprime la sua “viva preoccupazione” per gli avvenimenti di questi ultimi giorni in Iraq.

“Invito tutti voi ad unirvi alla mia preghiera per la cara nazione irachena, soprattutto per le vittime e per chi soffre maggiormente le conseguenze dell’accrescersi della violenza, in particolare per le molte persone, tra cui tanti cristiani, che hanno dovuto lasciare la propria casa.”

Oltre alla preghiera, l’appello:

“Auspico per tutta la popolazione la sicurezza e la pace ed un futuro di riconciliazione e di giustizia dove tutti gli iracheni, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, possano costruire insieme la loro patria, facendone un modello di convivenza.”

E il Papa invita tutti a pregare per il popolo iracheno guidando la recita di un’Ave Maria. Poi l’annuncio che sarà a Tirana, in Albania il 21 settembre:

“Con questo breve viaggio desidero confermare nella fede la Chiesa in Albania e testimoniare il mio incoraggiamento ad un Paese che ha sofferto a lungo in conseguenza delle ideologie del passato.”

Al momento dei saluti, “un pensiero speciale alle collaboratrici domestiche e badanti, che – dice il Papa - provengono da tante parti del mondo e svolgono un servizio prezioso nelle famiglie, specialmente a sostegno degli anziani e delle persone non autosufficienti”.

“Tante volte noi non valorizziamo con giustizia il grande e bel lavoro che fanno loro nelle famiglie. Grazie tante, a voi!”

Saluti del Papa anche a gruppi parrocchiali, famiglie e associazioni; i militari della Colombia, i fedeli venuti da Taiwan e Hong Kong, da Ávila e La Rioja (Spagna), da Venado Tuerto (Argentina), da Cagliari, Albino, Vignola, Lucca e Battipaglia; il Movimento Pro Sanctitate, nel centenario della nascita del fondatore, il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta; i ragazzi di Casaleone che hanno ricevuto la Cresima, e i dipendenti del Gruppo Idi Sanità di Roma.

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L'Arcidiocesi di Tirana: il Papa incontrerà tutto il popolo

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“Un viaggio apostolico, nel quale il Papa come Capo della Chiesa Cattolica incontrera’ i cattolici, ma non solo, anche tutto il popolo albanese”: è quanto si legge nella nota pubblicata dalla Arcidiocesi di Tirana – Durres, dove stamattina, dopo l’annuncio del Papa del suo viaggio a Tirana, si è svolta una conferenza stampa con la partecipazione di mons. Ramiro Molinar Ingles, Nunzio Apostolico in Albania, mons. Rrok Mirdita Arcivescovo Metropolita di Tirana-Durres e dott. Albert Nikolla Direttore Generale della Caritas. Nella nota si legge che si tratta di . Si spiega che il viaggio e’ una risposta ad un duplice invito fatto al Santo Padre: uno dai vescovi cattolici dell’Albania e l’altro dal Primo Ministro dell’Albania, il Sign. Edi Rama, che e’ stato in visita in Vaticano ad aprile scorso. E’ il primo viaggio che Papa Francesco fa in un paese Europeo. “Papa Francesco – si legge ancora nella nota - ha scelto di visitare l’Albania come il Paese dei martiri della fede e il Paese dove esiste una convivenza religiosa ammirevole”. Da parte della Chiesa Cattolica sono state gia nominate due persone che coordineranno questa visita: Dr. Albert Nikolla, Coordinatore generale della visita del Papa e Don Gjergj Meta, Responsabile della Stampa.

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Nel pomeriggio, il Papa alla Comunità di Sant’Egidio

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La visita di Papa Francesco alla Comunità di Sant'Egidio: nel pomeriggio di domenica 15, l’incontro dedicato essenzialmente ai poveri che sono al centro del Vangelo di Gesù e che costituiscono un fondamentale impegno per la Comunità, vissuto come amicizia e come servizio. Federico Piana ha intervistato Marco Impagliazzo presidente della Comunità di Sant’Egidio: 

R. – Siamo nello Spirito della Pentecoste, siamo molto gioiosi, direi entusiasti, che il Papa possa visitare la nostra Comunità a Trastevere, i tanti poveri che vivono con noi ormai da tanti anni, le persone della periferia di Roma e delle periferie del mondo, che sono i nostri compagni di strada da quando la Comunità è nata nel 1968. Ci siamo preparati anche rileggendo e meditando l’Evangelii Gaudium, che è un grande documento che ci aiuta a capire come la Chiesa deve portare la gioia del Vangelo ed essere sempre una Chiesa in uscita.

D. – Al centro di questa visita ci saranno soprattutto i poveri. Che effetto vi fa vedere un Papa, così attento alle povertà, venire da voi che avete fatto della povertà un vostro ‘cavallo di battaglia’, se mi permetti questo termine?

R. – Ci fa l’effetto di un grande avvenimento, ma anche di un nuovo inizio, perché avere il Papa con noi è sempre un nuovo inizio: va capita la sua presenza, andranno capite le sue parole e anche la missione che lui affiderà alla nostra comunità: io penso, ancora una volta, per il nostro futuro nelle periferie del mondo.

D. – Com’è nata questa visita?

R. – Noi avevamo il desiderio, essendo il Papa il nostro vescovo, il vescovo di Roma, che lui potesse incontrarci, così come ci incontrava quando era arcivescovo di Buenos Aires nella nostra Comunità in Argentina, che lui ha frequentato, soprattutto nelle scuole della pace, le scuole che facciamo per i bambini più in difficoltà o anche nelle celebrazioni per i nuovi martiri, che lui ha frequentato nella nostra Comunità a Buenos Aires. Dunque, è nata semplicemente facendo un invito al Papa e chiedendogli di incontrarci, venendo nella nostra cosa, nella nostra chiesa sia di Sant’Egidio ma anche nella Basilica di Santa Maria, dove c’è la preghiera della Comunità ogni sera.

D. – Che cosa, come presidente della Comunità di Sant’Egidio, ti aspetti che questa visita porti come frutti?

R. – Io mi aspetto che tutta la Comunità venga incoraggiata nel lavoro che sta compiendo accanto ai poveri e soprattutto alle nuove povertà di tante persone che perdono il lavoro, che non hanno una casa, ma anche in uno degli sforzi che stiamo facendo ultimamente, che è quello di far andare insieme le due grandi generazioni: quella degli anziani e quella dei giovani, perché – come il Papa ci dice sempre – dall’incontro fra queste due generazioni si vedrà l’umanità e il futuro del nostro mondo. E poi siamo sempre aperti alle sorprese dello Spirito. Questo Papa è stato una grande sorpresa per la Chiesa, lo è per la nostra Comunità e lo sarà anche dopo questa sera.

D. – Per chi non vi conosce, che cos’è la Comunità di Sant’Egidio?

R. – La Comunità di Sant’Egidio è una Comunità di laici di tutte le generazioni, che è nata dopo il Concilio Vaticano II e che ha messo al centro della sua spiritualità la lettura e l’ascolto della Parola di Dio, il servizio ai poveri e l’amicizia con tutti. Questa amicizia negli anni si è fatta dialogo con le religioni, si è fatta dialogo con le culture. Sant’Egidio è conosciuta anche per il suo lavoro per la pace: la pace in Mozambico che fu firmata proprio da noi nel ’92, dopo due anni di trattative. Da allora il nostro nome è un nome di pace nel mondo! La vera realtà della Comunità è quella di persone come tutte, che vivono in famiglia, che hanno il loro lavoro, che non fanno vita comune, ma che danno parte del loro tempo e delle loro risorse per il Vangelo e per i poveri. 

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Oggi in Primo Piano



In Iraq l'esercito riguadagna località a sud di Tikrit

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Le forze lealiste irachene cercano di riorganizzarsi dopo la rotta dei giorni scorsi per respingere l'avanzata dei jihadisti sunniti verso Baghdad. L'esercito, appoggiato da milizie tribali, ha riconquistato ieri alcune localita' a sud di Tikrit, mentre da Samarra, a ridosso della linea del fronte, il primo ministro Nuri al Maliki ha rivolto un appello televisivo a "tutti coloro in possesso di armi" perche' "combattano contro lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante" (Isis). Intanto gli Usa hanno fatto entrare una portaerei nel Golfo ma si attende ancora di sapere quale sara' l'opzione scelta dal presidente americano Barack Obama e in particolare se decidera' di intervenire militarmente. L'Iran, da parte sua, sembra passare all'azione per aiutare Maliki, sciita e suo alleato. Il presidente Hassan Rohani ha affermato che non e' intenzione di Teheran intervenire militarmente, ma ha anche detto di non escludere la possibilita' di collaborare anche con gli Stati Uniti per fermare l'avanzata jihadista.  Per saperne di più della situazione della popolazione Antonella Palermo ha intervistato la presidente della Ong “Un ponte per”, Martina Pignatti Morano: 

R. – Ci sono stati almeno 500 mila profughi interni e quindi famiglie che fuggono perché non sanno qual è l’entità del pericolo. C’è molto disorientamento, soprattutto dopo aver sentito quale fosse il livello delle violenze in Siria, delle località che erano state conquista dall’Isis. In realtà ora molti stanno ritornando, perché è da venerdì, quindi una settimana ormai, che si è aperta questa crisi. Quelli che non tornano sono le minoranze, perché ovviamente la paura di ritorsioni e scontri interconfessionali è molto forte! Quindi ci sono migliaia di famiglie di cristiani, yazidi e shabak, che in questo momento si stanno rifugiando nelle città periferiche della provincia di Mosul e che noi, in qualche modo, stiamo cercando di aiutare.

D. – Questo Isis che legame ha con la tradizionale al Qaeda, per come noi l’abbiamo finora conosciuta?

R. – Si tratta di combattenti che sono guidati da leader militari, in questo momento sia siriani che iracheni. Quello che è chiaro è che sono molto organizzati e che hanno una strategia politica chiarissima: l’obiettivo è raggiungere Baghdad e creare una sorta di califfato che unisca la Siria e l’Iraq. Quelli che sono scesi in Iraq sono probabilmente 5 mila: quindi si tratta di numeri relativamente piccoli, ma che sono riusciti a raggiungere questo risultato militare non solo perché strategicamente sono molto organizzati, ma anche perché hanno ricevuto l’appoggio di alcune fette dell’opposizione interna irachena. Quindi in realtà questo risultato di Isis in Iraq è il risultato proprio della repressione terribile di questo governo, che si sente rappresentante della componente settaria sciita in Iraq: repressione militare pesantissima che ha operato contro l’opposizione sunnita in passato. Per cui attorno ad Isis si sono coalizzati i gruppi di combattenti sunniti e grandi aggregazioni di forze politiche.

D. – Obama per il momento dichiara: “Non manderemo truppe in Iraq, ma offriremo ulteriore aiuto”…

R. – Dalle sue dichiarazioni traspare in modo molto chiaro che sembra principalmente preoccupato della possibilità che l’Isis possa prendere il controllo delle principali raffinerie del Paese. Però l’orientamento da parte degli Stati Uniti sembra essere quello eventualmente di aiutare il governo iracheno nei bombardamenti. Il problema è che i bombardamenti dall’alto sono già stati utilizzati in modo massiccio da al Maliki per cacciare l’opposizione sunnita interna nella provincia di al Anbar e hanno provocato una recrudescenza della lotta armata dell’opposizione e l’arrivo dei gruppi islamici. Quindi queste dinamiche che si stanno creando sono effettivamente spaventose e la maggior parte degli iracheni con cui parliamo dà per scontato che per i prossimi 10 anni non ci sarà pace in Iraq! Noi, in questo momento, dobbiamo dedicarci di più alla comprensione delle dinamiche della società civile irachena, perché ormai le associazioni e i sindacati iracheni di tutto il Paese lavorano insieme: quindi diciamo che le differenze settarie sono state superare fin dal 2007, dalle reti di società civile, e da settembre dell’anno scorso molti di questi si sono uniti in un forum sociale iracheno, che si richiama addirittura alla Carta dei principi del Forum sociale mondiale. Quindi c’è una volontà da parte di loro di immaginare e di costruire una visione alternativa per l’Iraq, basata sulla giustizia sociale. Queste forze ci sono e vanno sostenute!

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In Colombia il voto per le presidenziali

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Colombia alle urne per il secondo turno delle presidenziali che vede una sfida all’ultima scheda tra il capo di Stato uscente Juan Manuel Santos e l’ex ministro dell’Economia Oscar Ivan Zuluaga. Oltre 32 milioni le persone chiamate ad esprimere una preferenza in questo ballottaggio che rischia di trasformarsi in un referendum sui negoziati di pace con le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Altro nodo la questione del narcotraffico. Quali i punti di contatto, quali le divergenze tra questi due candidati? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Roberto Da Rin  esperto dell’area del Sole 24 Ore: 

R. - Il punto di contatto tra questi due uomini politici colombiani, Santos e Zuluaga, è quello di essere entrambi uomini di destra sostanzialmente, quindi espressione di un potere che si è perpetuato in Colombia negli ultimi 15 anni. Il punto invece di distacco, che separa queste due candidature alle presidenziali è la strategia per combattere le Farc, le forze armate rivoluzionarie che in Colombia sono un attore politico da 54 anni, una presenza forte che - di fatto - ha tenuto in ostaggio il Paese con sequestri e un numero di morti esorbitante per decenni. Il primo, Santos, il presidente uscente, è per una strategia di riavvicinamento e di dialogo; Oscar Zuluaga invece è per uno scontro aperto, perché lo reputa più efficace e risolutivo.

D. - Perché allora Santos continua a credere in questa via negoziale con le Farc …

R. - Perché negli ultimi cinque anni è stata avviata una trattativa in corso a L’Avana, un Paese neutrale. Secondo Santos ci sono degli spiragli per arrivare ad una trattativa di pace, non a caso sono state molte le moratorie che negli ultimi anni le Farc hanno concesso. Quindi l’ipotesi di Santos è che piuttosto che perpetuare un scontro one to one che ha solo offerto sacrifici umani durissimi, sarebbe meglio approfittare di questa stagione in cui le Farc sono state fortemente indebolite. Sul fronte militare e ideologico sembrano molto sbandate e quindi cercare di trovare un negoziato.

D. - I sondaggisti dicono che sarà una battaglia all’ultima scheda. Prevedono sostanzialmente un pareggio: chi vince però avrà difficoltà a governare perché si troverà la metà del Paese contro. Quali sono le sfide che attendono il nuovo presidente?

R. - La grande sfida è questa: quella della trattativa di pace. Tutto il resto può essere una conseguenza, perché qualsiasi altra attività, finché ci sono zone interamente controllate dalle guerriglie, viene a penalizzare pesantemente l’economia e la stabilità del Paese. Quindi per gli investitori internazionali, gli stessi imprenditori colombiani se non possono accedere ad aree così grandi - che sono continuamente sotto scacco - diventa difficile poi procedere ad un rilancio, ad un piano industriale ad una riforma agraria ad una pacificazione.

D. - Al primo turno c’è stata un’affluenza bassissima. Stavolta il voto coincide sostanzialmente con l’inizio dei Mondiali. Questo potrebbe influire ulteriormente su un elettorato che appare, oltre che diviso, anche piuttosto stanco …

R. - L’elettorato colombiano è stanco, questo è vero. Non va dimenticato che la gestione di Uribe, l’ex presidente colombiano prima di Santos, è stata collusa con il narcotraffico, che in qualche momento è stato scoraggiato e ha pensato che non ci fosse via d’uscita. Ora vediamo quale sarà l’affluenza e se ci sarà una partecipazione adeguata.

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Harambe, una speranza imprenditoriale per giovani africani

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Dare speranza a migliaia di giovani africani per creare opportunità di lavoro nel loro continente. È la missione che sta portando avanti la Harambe Entrepreneur Alliance, l’associazione che punta a far ottenere finanziamenti a giovani ragazzi africani che si sono formati all’estero e che intendono tornare nei loro Paesi d’origine. Gianmichele Laino ha chiesto a Okendo Lewis Gayle, il fondatore dell’associazione, quali nuove prospettive e speranze possono aprirsi per lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in Africa: 

R. – Io sono il fondatore della Harambe Entrepreneur Alliance, che aiuta i giovani africani delle grandi università del mondo, come Harvard ed Oxford, a fare imprese in Africa. Qui a Roma, ogni due anni, facciamo un Convegno con diversi gruppi che fanno molta carità in Africa, alcuni legati alla Chiesa. Ed ora stiamo organizzando il terzo Convegno qui a Roma, che si svolgerà a settembre del 2015.

D. – Una speranza per i giovani africani, che vogliono trovare un lavoro all’interno dei propri Paesi. Quali sono gli atti concreti che stai portando avanti, affinché questo loro sogno possa essere possibile?

R. – Non si tratta di fargli trovare lavoro, ma di creare lavoro. Sono persone, infatti, che hanno avuto grandi opportunità, come studiare nelle migliori università del mondo, e che generalmente decidevano di rimanere al di fuori dell’Africa. Si tratta, quindi, di aiutarli a creare questi lavori. Quello che facciamo è far sì che possano avere, all’inizio, gli investimenti necessari, che è una cosa molto difficile. Cerchiamo, dunque, di far sì che questi giovani, che hanno una forte base educativa e un business plan, possano avere i networks, le risorse.

D. – Chi è che aiuta questi giovani da un punto di vista economico?

R. – Noi abbiamo delle partnership con diverse società e diversi investitori, che capiscono che per fare in modo che l’Africa si sviluppi, deve essere sviluppato l’ecosistema. Quelle persone che capiscono l’importanza di questo ecosistema, ci aiutano a far sì che si possano dare le risorse necessarie a questi giovani imprenditori.

D. – Finora quali risultati si sono ottenuti?

R. – Finora abbiamo 200 giovani imprenditori africani. Tutti hanno in mente non solo come farlo nella loro comunità, ma anche come farlo crescere. Questa penso sia la sfida più grande per noi. Sappiamo che nei prossimi anni, 200 milioni di giovani africani entreranno nel mondo del lavoro, dovranno cercare un lavoro, e se non facciamo qualcosa, questa potrebbe essere un’emergenza, una crisi. I governi, infatti, non possono creare questi lavori da soli.

D. – Quali sono invece i risultati che intendi conseguire?

R. – L’Africa è il continente più giovane del mondo: il 60 per cento della popolazione è al di sotto dei 25 anni. Quindi, questa generazione di giovani africani ha l’opportunità molto reale di sprigionare il potenziale dell’Africa. Per avere successo in questa impresa, devono, però, avere le risorse per tutto il percorso. Mi auguro di poter creare un ecosistema imprenditoriale, che possa far sì che questa generazione di giovani africani sfrutti questa grande opportunità che abbiamo davanti.

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Nasce l’alleanza mondiale contro l’Alzheimer

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 Un milione sono le persone affette da Alzheimer e demenza in Italia, e 44 milioni nel mondo. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) questi numeri raddoppieranno ogni venti anni. La malattia riguarda soprattutto over 65, ma non solo. Per combattere l'emergenza demenza e per aiutare i malati e le loro famiglie è nata l'alleanza mondiale. Maria Cristina Montagnaro ha chiesto a Gabriella Salvini Porro, presidente di Federazione Alzheimer Italia quali sono gli obiettivi di questo organismo: 

R. – Uno degli obiettivi principali è di riuscire entro il 2025 ad avere una cura, una terapia che possa, quantomeno, rallentare, o modificare il percorso della malattia. Poi, tutti gli altri obiettivi: quello di sensibilizzare veramente l’opinione pubblica, cercare di ridurre lo stigma che questa malattia porta e mettere insieme tutte le forze per affrontarla.

D. – A cosa è legata questa malattia?

R. – Ancora non si sanno con esattezza le cause. Quindi in pratica con la malattia di Alzheimer – che è una malattia degenerativa – degenerano o muoiono delle cellule del cervello.

D. – Cosa si può fare per combattere l’emarginazione di queste persone?

R. – Prima di riuscire a fare in modo che ci siano piani Alzheimer in tutto il mondo – ce ne sono per il momento 13 – è necessario che si riesca a far capire a chi non ha provato questa malattia, cosa rappresenta. Noi siamo più di 20 anni che stiamo cercando di far questo lavoro in Italia, ma ancora c’è lo stigma, la gente si nasconde, si vergogna, perché è una malattia talvolta imbarazzante.

D. – Quindi, nel concreto, cosa si può fare?

R. – Nel concreto occorre proprio fare in modo che siano sensibilizzati facendo innumerevoli attività di sensibilizzazione, raccontando di cosa si tratta, facendo parlare i malati – perché qui in Italia ancora non abbiamo questa cultura – perché nel resto del mondo, almeno nei Paesi anglosassoni del Nord Europa, i malati di Alzheimer parlano e raccontano quello che provano. Noi abbiamo tradotto un libro “Visione parziale” proprio relativo a questo, che fra le altre cose chiedeva alla gente: “Non trattateci come bambini, noi siamo persone come tutti gli altri, anche se non siamo capaci di fare tante cose”.

D. - Nel concreto, ci vorrebbe una sinergia con lo Stato, dovrebbero essere implementate le Asl…

R. – Certamente. Lo Stato, il ministro della Salute italiano, sta ricevendo in questi giorni un piano Alzheimer che è stato preparato dal Dipartimento di Prevenzione del ministero, dall’Istituto Superiore di Sanità, con la collaborazione nostra e di altre associazioni, e di tutte le regioni.

D. – Cosa prevede questo paino?

R. – Questo piano prevede che si creino sinergie con tutti gli attori di questo problema, ossia medici, ricercatori, le Asl, l’assistenza e fare in modo che i familiari non siano lasciati soli.

D. – Un altro modo per combattere il pregiudizio che è collegato a questa malattia quale potrebbe essere?

R. – Far capire che si tratta di una malattia, come qualsiasi altra, che però colpisce una parte che noi non vediamo, il cervello ed ha sintomi completamente diversi dalla febbre, o dai dolori.

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Casa Museo sulla disabilità a Roma

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Inaugurato a Roma in via Alessandria 159 il Museo sulla disabilità. Arredato come una casa, dove i visitatori possono disporre di diverse chiavi di lettura sui tanti aspetti della disabilità fisica e mentale sperimentando processi di esclusione o inclusione. Roberta Gisotti ha intervistato l’ideatore Stefano Onnis antropologo, direttore scientifico del Museo promosso dall’Associazione “Come un Albero”: 

R. – Chi entra nel museo viene considerato anzitutto come un ospite della casa e riceverà infatti, poi, delle chiavi: saranno delle vere e proprie chiavi a mo’ di brochure per fare un percorso all’interno della casa che si svolge lungo tutte le stanze di una casa ideale: quindi il soggiorno, la sala da pranza, la cucina… All’interno di questa casa ci sarà quindi modo di fare questo percorso riflessivo. Il museo è sullo sguardo proprio della disabilità e quindi il fruitore del museo potrà riflettere su se stesse anzitutto, per poi vedere quali siano i processi di inclusione e di esclusione a cui esso stesso partecipa.

D. – Quali sono gli oggetti esposti?

R. – Noi li abbiamo chiamati oggetti narranti, nel senso che sono anzitutto evocativi e ogni oggetto rimanda ad un preciso discorso legato a quell’ambiente: per esempio il letto, in una camera da letto, rimanda a tutto il discorso della vita affettiva e sessuale. Ogni oggetto ha attaccato un cartoncino su cui può leggere una serie di spiegazioni, che aiutano a capire meglio il percorso, e anche delle narrazioni. Alcune di queste narrazioni sono anche nascoste e quindi si invita proprio l’ospite a curiosare, ad aprire cassetti o anche ad interagire direttamente con gli oggetti: nella stanza della sala da pranzo, ad esempio, c’è addirittura la possibilità di apparecchiare e nell’apparecchiare si scoprono alcuni meccanismi, vengono svelati alcuni meccanismi delle dinamiche sociali.

D. – Nel museo lavorano anche persone disabili…

R. – Il progetto nasce proprio come progetto di inserimento lavorativo di alcune persone con disabilità intellettiva di livello medio-lieve e l’idea è quella di collegare al museo, quindi ad una parte più culturale, l’aspetto pratico di un angolo bar: per cui queste persone, terminato questo percorso di formazione, lavoreranno all’interno dell’angolo bar.

D. – Il museo si propone anche come luogo di incontri e di eventi…

R. - L’obiettivo è quello di far sì che le persone non vengano solo per vedere il museo, ma anche per viverlo come centro culturale.

D. – Dottor Onnis, si parla poco di disabilità?

R. – Se ne parla - secondo me - molto di più in questi anni, ma se ne parla male: il punto che noi vogliamo mettere in evidenza è proprio questo. C’è grande retorica, ci sono grandi discorsi, però poi alla fine, all’atto pratico, manca qualcosa… Il percorso, in realtà, mette in luce proprio quest’aspetto, che alla fine è soltanto raccontare perché parlare di disabilità non è qualcosa di buono, ma il problema è tutto nel come.

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Solennità della Santissima Trinità

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La Solennità della Santissima Trinità, che si celebra il 15 giugno, ci propone uno sguardo riconoscente al compimento del mistero della salvezza realizzato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Federico Piana ne ha parlato con padre Giovanni Martire Savina, dell’Ordine della Santissima Trinità: 

R. – Il Mistero della Santissima Trinità è il Mistero certamente centrale della nostra fede e della vita cristiana: è il Mistero di Dio in se stesso e quindi la sorgente di tutti gli altri Misteri. E’ la luce che ci illumina l’insegnamento fondamentale ed essenziale nella gerarchia della verità di fede. Tutta la storia della salvezza è perciò la storia del rilevarsi di Dio, Vero, Unico Padre, Figlio e Spirito Santo, il quale ci riconcilia ed unisce a sé coloro che sono separati dal peccato, come ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ma quando noi diciamo Mistero dobbiamo stare molto attenti a non abdicare alla nostra intelligenza, perché il Signore ci ha fatto questo grande dono per utilizzarlo: quindi Mistero non significa in sé rinunciare alla ragione, ma cercare di approfondirlo e conoscerlo sempre di più con la mente, con il cuore, illuminati certamente dalla nostra fede.

D. – Perché un Dio, Uno e Trino?

R. – Dio è Unico, ma non solitario. Io ricordo, tempo fa, una bella espressione di San Giovanni Paolo II: “Dio è una famiglia”. Certamente non è una modalità nella Trinità dell’essere divino, ma sono distinte realmente per le loro relazioni di origine: il Padre che genera il Figlio, che è generato e dallo Spirito Santo che procede. L’unità divina è trina, è una famiglia. Tre persone - come professiamo noi - uguali e distinte.

D. – Perché la Chiesa ha sentito l’esigenza di istituire una solennità in onore della Santissima Trinità?

R. – Penso che l’origine ritorni al tardo Medio Evo: la crescente devozione dei fedeli verso il Mistero di Dio Uno e Trino, spinse Giovanni XXII ad estendere in tutta la Chiesa, nel 1334, la Festa della Santissima Trinità. Parlo della Chiesa latina. E’ da ricordare anche un dettaglio molto bello, che ho incontrato leggendo un po’ la nostra storia trinitaria: i nostri frati trinitari nel 1262 chiesero ad Urbano IV il privilegio, che fu poi concesso, di poter celebrare la Messa in onore della Santissima Trinità. Quindi già il 22 novembre 1262  trinitari celebrano questa Festa della Santissima Trinità. Anche se – come dicevamo – è stata estesa un poco più tardi, nel 1334, a tutta la Chiesa latina.

D. – Come vivere al meglio questa solennità, padre Giovanni?

R. – Io penso che il Mistero della Santissima Trinità non sia soltanto un Mistero da celebrare o da contemplare, ma anche e soprattutto un Mistero da vivere: deve diventare un progetto a tutti i livelli, a livello umano, a livello familiare, a livello sociale. Anni fa, quando noi ci incontrammo con San Giovanni Paolo II, lui ci disse “Dovete essere Epifania della Santissima Trinità”. Dobbiamo essere veramente Epifania a livello personale e familiare, nelle comunità religiosa o nella società, e manifestazione di questo amore, di questa tenerezza di Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Afghanistan: ancora morti dopo il ballottaggio presidenziale

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Almeno 21 i morti per gli attacchi avvenuti durante il secondo turno delle presidenziali afghane, che si sono svolte ieri. In serata, un commando di talebani è riuscito ad entrare in un commissariato di Kandahar, e solo questa mattina è arrivato il via ibera al blitz delle forze di sicurezza afghane per liberare l’edificio. Tra i morti si contano 3 poliziotti e 7 militanti estremisti. Sempre ieri sera 11 persone, in maggioranza addette alle operazioni elettorali, hanno perso la vita per lo scoppio di una bomba nella tarda serata di ieri nella provincia settentrionale di Samangan. Secondo i responsabili locali, tra le vittime si conterebbero anche quattro donne e un bambino. Polemiche intanto, sul “numero due” della commissione elettorale indipendente, Zia-ul-Haq Amarkhail, segretario del’organismo. Zahir Zahir, capo della polizia di Kabul lo ha infatti accusato di aver cercato di trasportare in un seggio schede già compilate. Amarkhail ha respinto l’accusa. I risultati provvisori del ballottaggio, che vedeva impegnati l’ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah e l’economista Ashraf Ghani, sono attesi per il 2 luglio. (D.M.)

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Siria: l'esercito avanza nella provincia di Latakia

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L’esercito siriano ha riconquistato Kasab, località strategica al confine con la Turchia: si tratta dell’unico valico che mette in comunicazione la provincia di Latakia, roccaforte degli alawiti fedeli al presidente Bashar al-Assad, con il territorio turco. A marzo Kasab era caduta nelle mani delle forze che combattono il regime, tra cui gli islamisti di al-Nusra, ma oggi sia fonti d’opposizione che l’agenzia ufficiale Sana hanno confermato che, dopo la ritirata dei ribelli, le forze regolari ne hanno ripreso possesso. Secondo il governo, nelle operazioni sono stati uccisi un “gran numero di terroristi”, termine normalmente usato per riferirsi ai miliziani d’opposizione, ma non è stato fornito un bilancio preciso degli scontri. Neanche l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino agli attivisti anti-regime, ha fornito cifre, limitandosi a riferire che le truppe regolari sarebbero state aiutate a riprendere Kassab da miliziani libanesi di Hezbollah. (D.M.)

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Israele: adolescenti rapiti, 80 arresti in Cisgiordania

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In Medio Oriente, 80 palestinesi sono stati arrestati dall’esercito israeliano, nel corso delle ricerche dei tre adolescenti vittime di un possibile rapimento ieri nei pressi dell’insediamento di Gush Etzion, in Cisgiordania. Tra gli arrestati, secondo i media locali, anche diversi esponenti di Hamas, tra cui Hassan Youssef, membro del consiglio legislativo palestinese, che è considerato uno dei leader spirituali dell’organizzazione. Nel corso delle ricerche, l’esercito israeliano ha mobilitato circa 2000 uomini e imposto un blocco completo sulla città di Hebron (vicina al luogo del rapimento) e sui suoi dintorni. Secondo il premier Netanyahu, la responsabilità per la sparizione dei tre ragazzi è da attribuirsi ad Hamas: a loro volta i palestinesi hanno ricordato come l’area interessata sia sotto il pieno controllo israeliano. (D.M.)

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Ucraina: lutto per i militari morti, ancora stallo sul gas

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Giornata di lutto oggi in Ucraina, dopo che i ribelli filorussi hanno abbattuto, sabato nei pressi di Lugansk, un aereo per il trasporto delle truppe, provocando 49 morti: si tratta della perdita più grave per Kiev dall’inizio delle operazioni militari contro gli insorti nell’Est del Paese. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha promesso una “reazione adeguata” e una punizione per “i responsabili”: l’episodio rischia di far tramontare le deboli speranze di distensione che si erano fatte strada nelle scorse settimane. A Kiev, qualche centinaio di manifestanti si è radunato davanti all’ambasciata russa nella serata di ieri, e durante la protesta, pietre e una bottiglia molotov sono state lanciate contro l’edificio: un episodio condannato anche dagli Stati Uniti. Nulla di fatto, intanto, sulla cruciale questione del gas: lunedì scade l’ultimatum imposto da Mosca al’Ucraina, ma ieri i colloqui tra le parti si sono conclusi con un nulla di fatto. Un nuovo tentativo per trovare una soluzione alla questione del pagamento di quasi 2 miliardi di dollari richiesto a Kiev dalla compagnia russa Gazprom verrà fatto oggi, con la mediazione del’Unione europea. (D.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 166

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.