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Sommario del 14/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: a chi soffre serve l’amore di Gesù, non i bei discorsi

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Imitando Gesù, date il cuore ai più bisognosi. E’ l’esortazione di Papa Francesco ai gruppi delle Misericordie e "Fratres" d’Italia, ricevuti in Piazza San Pietro. Parlando a oltre 30 mila persone, il Papa ha ribadito che non si può “essere spettatori” davanti alla povertà e alle tribolazioni, ma bisogna diventare “segno della vicinanza di Dio”. Il Papa è stato salutato dall'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, dal presidente della Confederazione nazionale, Roberto Trucchi e da quello dei gruppi "Fratres", Luigi Cardini. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Un grande mosaico con tante tessere gialle e blu, colori delle uniformi delle Misericordie e altrettante bianche e rosse, binomio cromatico delle divise dei gruppi donatori di sangue "Fratres". Appariva così oggi Piazza San Pietro agli occhi di Papa Francesco che ha voluto rendere omaggio, con questo incontro festoso, ai 770 anni di storia delle Misericordie d’Italia. Una storia di servizio che - come dimostravano i tanti stendardi e gonfaloni presenti in Piazza - ha attraversato i secoli e si è radicato nel territorio, in ogni contrada del Paese. Un’esperienza che, proprio il 14 giugno di 28 anni fa, San Giovanni Paolo II definiva testimonianza della “cultura della carità”. Di qui ha come ripreso il filo Papa Francesco, che ha aperto il suo intervento soffermandosi sulla radice del nome “misericordia”:

“Tutto il vostro servizio prende senso e forma da questa parola: misericordia, parola latina il cui significato etimologico è miseris cor dare, “dare il cuore ai miseri”, quelli che hanno bisogno, quelli che soffrono. È quello che ha fatto Gesù: ha spalancato il suo Cuore alla miseria dell’uomo. Il Vangelo è ricco di episodi che presentano la misericordia di Gesù, la gratuità del suo amore per i sofferenti e i deboli".

Dai racconti evangelici, ha osservato, “possiamo cogliere la vicinanza, la bontà, la tenerezza con cui Gesù accostava le persone sofferenti e le consolava”. E questo, ha soggiunto, è un esempio da seguire. “Anche noi – ha detto – siamo chiamati a farci vicini, a condividere la condizione delle persone che incontriamo”. Le “nostre parole, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti”, ha ribadito, devono esprimere “la solidarietà, la volontà di non rimanere estranei al dolore degli altri, e questo con calore fraterno e senza cadere in alcuna forma di paternalismo”. Il Papa ha quindi denunciato il “rischio di essere spettatori informatissimi e disincarnati” della povertà, “oppure di fare dei bei discorsi che si concludono con soluzioni verbali e un disimpegno rispetto ai problemi reali”:

“Troppe parole, troppe parole, troppe parole, ma non si fa niente! Questo è un rischio! Non è il vostro, voi lavorate, lavorate bene, bene! Ma c’è il rischio… Quando io sento alcune conversazioni tra persone che conoscono le statistiche: ‘Che barbarie, Padre! Che barbarie, che barbarie!’. ‘Ma cosa fai tu per questa barbarie?’ ‘Niente!  Parlo!’. E questo non rimedia niente! Di parole ne abbiamo sentite tante! Quello che serve è l’operare, l’operato vostro, la testimonianza cristiana, andare dai sofferenti, avvicinarsi come Gesù ha fatto”.

Gesù, ha ripreso, “va per le strade e non ha pianificato né i poveri, né i malati, né gli invalidi che incrocia lungo il cammino”. E tuttavia, ha annotato, “con il primo che incontra si ferma, diventando presenza che soccorre, segno della vicinanza di Dio che è bontà, provvidenza e amore”:

“L’attività delle vostre associazioni si ispira alle sette opere di misericordia corporale, che mi piace richiamare, perché farà bene sentirle un'altra volta: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Vi incoraggio a portare avanti con gioia la vostra azione e a modellarla su quella di Cristo, lasciando che tutti i sofferenti possano incontrarvi e contare su di voi nel momento del bisogno.

Papa Francesco ha dunque concluso il suo discorso esortando le “Misericordie” e i gruppi "Fratres" a essere sempre “luoghi di accoglienza e di gratuità, nel segno dell’autentico amore misericordioso per ogni persona”.

E' stata una grande festa quella vissuta in Piazza San Pietro dalle numerose Confraternite delle Misericordie arrivate da tutta Italia per incontrare Papa Francesco. Ma cosa spinge una persona ad entrare a fare parte di questa realtà? Alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro:

 

R. – Dare aiuto a chi ha bisogno e rendersi disponibili è una sensazione che è anche difficile da spiegare, da descrivere. Per me è una cosa fondamentale, perché parecchie persone stanno male. Qualcuno se ne interessa e altri no. Far parte di chi se ne interessa è davvero una cosa fantastica!

R. – Le motivazioni possono essere svariate. Di certo, c’è una storia personale che comunque ti spinge e che poi si concretizza, trovando proprio nello spirito di servizio la vera realizzazione. Oggi essere qui presenti è una testimonianza di fede, per me.

R. – E’ proprio il desiderio di essere disponibili al dono del proprio tempo per qualcuno che è meno fortunato di te.

D. – Lei è il presidente della Misericordia di Settignano: cosa l’ha spinta, tanti anni fa, a far parte di questa realtà?

R. – E’ semplicemente uno spirito di servizio: mettersi a disposizione di tutti per cercare insieme di fare qualcosa di più.

D. – In che modo si diventa prossimi al dolore di chi ci è accanto?

R. – Tutti siamo prossimi di qualcuno. Ora siamo noi ad aiutare qualcun altro, il prossimo, e un domani potremmo essere noi il prossimo da dover aiutare. Quindi, fai oggi quello che vorresti ti venisse fatto domani.

R. – E’ la vita quotidiana che ti porta poi a vivere di tante piccole esperienze. Può essere l’accoglienza del povero o di chi ha bisogno, come ci ha insegnato Cristo. Quindi, vivere quotidianamente questo che è il nostro rapporto con il fratello.

R. – Io parto dal presupposto che per me ogni intervento che faccio in ambulanza è sempre un intervento che mi insegna un qualcosa. C’è sempre da imparare. C’è sempre da servire la sofferenza degli altri.

D. – Cosa vuol dire imitare Cristo, ritrovare nel volto di chi soffre il volto di Cristo?

R. – Ti senti parte di una famiglia che aiuta, che si rende disponibile. Vedi la gente che sta male, che poi ti ringrazia, che è contenta del lavoro che hai svolto.

D. – Ricordi qualche episodio particolare di soccorso, che ti è rimasto nel cuore?

R. – Una donna che è caduta da tre metri: la sua preoccupazione non era di stare bene lei, ma dove fosse la sua bambina: “Dov’è la mia bambina? Portatela con me!”. E’ qualcosa che mi è rimasto impresso: lei ha messo prima la figlia del suo dolore.

D. – Il nostro spirito è questo: vediamo Gesù in ogni persona che soffre e quindi con lo spirito del buon cristiano che aiuta Gesù, aiutiamo il prossimo nelle sofferenze.

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Giornata missionaria. Il Papa: il Vangelo si porta con gioia

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“Tutti i discepoli del Signore sono chiamati ad alimentare la gioia dell’evangelizzazione”. E’ quanto scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Missionaria mondiale 2014 che si celebrerà il prossimo 19 ottobre. “Con Gesù Cristo – sottolinea – sempre nasce e rinasce la gioia”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

Moltissima gente non conosce Gesù Cristo. “Rimane perciò di grande urgenza la missione ad gentes”. Dio – scrive Papa Francesco – rivela e nasconde i misteri del suo Regno. Nasconde tutto ciò “a coloro che sono troppo pieni di sé” e, accecati dalla presunzione, non lasciano spazio al Signore. Invece sono beati “gli umili, i semplici i poveri, gli emarginati quelli senza voce, quelli affaticati e oppressi”.

“La gioia del Vangelo – spiega il Pontefice – riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. “Il Padre è la fonte della gioia. Il Figlio ne è la manifestazione, e lo Spirito Santo l’animatore”. “Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo – sottolinea il Santo Padre – è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di saperi superficiali, dalla coscienza isolata”.

Pertanto, l’umanità ha grande bisogno di attingere alla salvezza portata da Cristo. “E tutti i discepoli del Signore sono chiamati ad alimentare la gioia dell’evangelizzazione”. Ma in molte regioni, fa notare il Papa, scarseggiano le vocazioni. Spesso, questo è dovuto “all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso”. L’esortazione di Francesco è di “vivere un’intensa vita fraterna, fondata sull’amore a Gesù e attenta ai bisogni dei più disagiati”. Dove ci sono gioia, fervore e voglia di portare Cristo agli altri – conclude il Santo Padre – sorgono vocazioni genuine.

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Messe a S. Marta sospese luglio e agosto, udienze generali solo a luglio

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Le Messe a Casa Santa Marta sospese dall’inizio di luglio alla fine di agosto, le udienze generali per tutto il mese di luglio. Sono i cambiamenti salienti dell’attività di Papa Francesco per il periodo estivo, resi noti ufficialmente oggi.

Mentre le Messe del mattino riprenderanno all’inizio di settembre, le udienze generali avranno regolarmente luogo nel mese di agosto in Vaticano, e quindi nelle date del 6, 20 e 27 agosto. Quella del 13 non si terrà perché quel giorno il Papa volerà in Corea del Sud per l’incontro con i giovani asiatici.

Nessuna modifica invece per la preghiera dell’Angelus, che Papa Francesco continuerà a guidare per tutta l’estate in Vaticano ogni domenica, tranne che nella Solennità dell’Assunta e nella domenica del 17 agosto, perché impegnato nel viaggio apostolico, che terminerà il giorno successivo. (A.D.C.)

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Nomine episcopali in Canada e Stati Uniti

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

In Uruguay, il Papa ha nominato nunzio apostolico mons. George Panikulam, finora nunzio apostolico in Etiopia e in Gibuti e delegato Apostolico in Somalia.

In Canada, il Pontefice ha nominato vescovo di Victoria mons. Gary Gordon, finora vescovo di Whitehorse. Mons. Gordon è nato a Burnaby, nell’arcidiocesi di Vancouver, provincia di British Columbia, il 10 giugno 1957. Ha compiuto i suoi studi e la preparazione al sacerdozio presso il Seminario di “Christ the King”, Mission, British Columbia; al “St. Jerome College, Univeristy of Waterloo”; e al “St. Peter’s Seminary”, London , Ontario. E’ stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Vancouver il 22 maggio 1982. Prima della sua nomina a Vescovo, Mons. Gordon ha svolto il suo ministero sacerdotale in diverse parrocchie a Vancouver, Chilliwack e Mission. E’ stato cappellano per i carcerati durante 22 anni, Delegato vescovile per la pastorale dei carcerati e Decano di Fraser Valley East. Il 5 gennaio 2006 è stato nominato Vescovo di Whitehorse e ha ricevuto la consacrazione episcopale il 22 marzo successivo. Al livello della Conferenza Episcopale del Canada, Mons. Gordon svolge il ruolo di “ponens” per la pastorale dei carcerati.

Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha nominato ausiliari di New York mons. John J. Jenik, del clero della medesima arcidiocesi, vicario regionale per il Bronx nordovest e parroco dell’“Our Lady of Refuge Parish” nel Bronx, e il sacerdote Peter J. Byrne, del clero della medesima arcidiocesi, parroco della “Saint Elizabeth Parish” a Manhattan, e il sacerdote John J. O’Hara, del clero della medesima arcidiocesi, direttore per lo “Strategic Parish Planning”.

Mons. Jenik è nato il 7 marzo 1944 in Manhattan nell’arcidiocesi di New York. Dopo aver frequentato l’“Immaculate Conception Elementary School” e il “Cathedral Preparatory High School” in Manhattan, è entrato nel “Cathedral College” a Manhattan. Frequentò il “Saint Joseph’s Seminary” in Yonkers, ottenendo il Baccalaureato in Teologia. Nel 1974 ha ottenuto un “Masters” nell’Educazione presso la “Fordham University” nel Bronx. Fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1970 per l’arcidiocesi di New York. Dopo l'ordinazione, è stato inviato per l’estate all’“Universidad Católica” a Ponce (Porto Rico) per studiare lo spagnolo. Tornato in New York fu assegnato come Vice-parroco alla “Saint Jerome’s Parish” nel Bronx (1970-1974), alla “Saint Thomas Aquinas Parish” nel Bronx (1974-1978) e, poi, all’“Our Lady of Refuge Parish” nel Bronx, dove è attualmente Parroco dal 1985. Nel 2006 è stato nominato Vicario Regionale per il Bronx nordovest. È stato Membro del Collegio dei Consultori, del Consiglio Presbiterale e di vari comitati arcidiocesani. Il 9 agosto 1995 è stato nominato Prelato d’Onore di Sua Sanità. Oltre all’inglese, parla lo spagnolo.

Mons. J. Byrne è nato il 24 luglio 1951 in Manhattan nell’arcidiocesi di New York. Dopo aver frequentato la scuola elementare dell’“Immaculate Conception” a Manhattan e la “Cardinal Hayes High School” nel Bronx, frequentò il “Saint Joseph’s Seminary” in Yonkers. Ha lasciato la formazione sacerdotale di sua iniziativa e, dal 1977 al 1983, ha insegnato presso la scuola elementare dell’“Holy Name of Jesus” in Valhalla e presso la “Bishop Ford High School” a Brooklyn, ottenendo anche il Baccalaureato in Storia/Scienze Sociali presso la “Fordham University” nel Bronx (1983). Tornando al Seminario, ha ottenuto il Baccalaureato in Teologia. Fu ordinato sacerdote il 1° dicembre 1984 per l’arcidiocesi di New York. Dopo l'ordinazione, è stato Vice-parroco alla “Holy Family Parish” nel Bronx (1984-1992), Amministratore alla “Saint Thomas Aquinas Parish” nel Bronx (1992-1994), Amministratore delle parrocchie dell’“Immaculate Conception Parish” e della “Saint John the Baptist Parish” in Staten Island (1994-1995) e, poi, Parroco di tali parrocchie (1995-2013). Dal 2013 è Parroco della “Saint Elizabeth Parish” a Manhattan. Oltre all’inglese, parla lo spagnolo e il francese.

Mons. O’Hara è nato il 7 febbraio 1946 in Jersey City (New Jersey) nell’arcidiocesi di Newark. Dopo aver frequentato l’“Our Lady of Mount Carmel Elementary School” a Ridgewood e la “Don Bosco Preparatory High School” a Ramsey, ha ottenuto il Baccalaureato in Inglese presso la “Seton Hall University” a South Orange. Dal 1976 al 1980 ha lavorato come radio cronista. Entrato in Seminario, ha svolto gli studi ecclesiastici presso il “Saint Joseph’s Seminary” in Yonkers. Fu ordinato sacerdote il 1° dicembre 1984 per l’arcidiocesi di New York. Dopo l'ordinazione, è stato Vice-parroco alla “Saint Augustine Parish” a New City (1984-1988), alla “Saint Charles Parish” in Staten Island (1988-1992) e alla “Saint Teresa of the Infant Jesus Parish” in Staten Island (1992-2000), dove è diventato Parroco nel 2000. Dal 2013 è Direttore per lo “Strategic Parish Planning” per l’arcidiocesi di New York.

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Vaticano: 1,5 mln, di euro per 125 progetti solidali in America Latina

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Oltre 120 progetti a sfondo sociale e solidale, per un totale di un milione e mezzo di euro di finanziamento. È l’impegno sottoscritto per il 2014 dal Consiglio di amministrazione della Fondazione Populorum progressio per l’America Latina, la struttura creata nel 1992 da Giovanni Paolo II in seno al Pontificio Consiglio Cor Unum. Fin qui, la Fondazione ha stanziato oltre 35 milioni a sostegno di 4 mila progetti in vari settori, dall’agricoltura, all’artigianato, alle microimprese. Ieri mattina, i vescovi membri del Consiglio hanno incontrato Papa Francesco. Ne parla, al microfono di Alessandro De Carolis, il sottosegretario di Cor Unummons. Segundo Tejado Muñoz

R. – Abbiamo voluto fare la riunione a Roma proprio per sentire il Santo Padre. La facciamo sempre in America Latina, stavolta abbiamo voluto venire a Roma proprio per chiedere al Papa – dopo 22 anni dalla creazione della fondazione Populorum Progressio – cosa voglia da noi, che prospettive, come possiamo migliorare il lavoro. Come tutti gli anni, abbiamo studiato i progetti che ci presentano le diverse giurisdizioni, vescovi, missionari e quest’anno abbiamo avuto 135 progetti, ne abbiamo finanziati 125. Erano molto ben presentati, per cui ne abbiamo dovuti scartare pochi. Un valore di un milione 800 mila dollari – intorno a un milione e mezzo di euro – è la cifra che abbiamo tutti gli anni e che viene data dai fedeli agli italiani, dalla Conferenza episcopale italiana, che sin dall’inizio ha voluto supportare questa opera di carità del Santo Padre.

D. – Come latinoamericano, e soprattutto come uomo da sempre sensibile ai problemi degli ultimi, Papa Francesco più volte ha preso posizione anche in favore delle popolazioni del Latino America – per esempio, degli indios dell’Amazzonia, ma non solo. In che modo vi ha incoraggiato?

R. – Prima di tutto, ci ha fatto un’analisi molto bella dei problemi, non direi tanto dell’America Latina quanto dell’umanità. Ci ha parlato di nuovo di questo suo concetto – che a me piace molto – dello “scarto”, dello scarto dei bambini, degli anziani: quelli che non producono, in questa società che mira molto al guadagno, all’economia, alla fine vengono scartati. Quelli che non producono, quelli non servono. Questo concetto del Santo Padre, che è bellissimo, lui lo ha voluto estendere anche ai giovani: ultimamente, ha parlato molto dell’occupazione giovanile, ci ha dato anche dei dati sull’occupazione in Italia, in Spagna ed in altri Paesi, anche in America Latina ed il Papa ha detto che questo è uno scarto molto grave. Ha chiesto alla Fondazione di lavorare in questo ambito dello "scarto" – se possiamo dire così – cioè aiutare i giovani. Il Papa ha parlato di alcune scuole in America Latina, che si chiamano scuole di “de Artes y Oficios”, che insegnano ai ragazzi a fare qualche cosa in uno o due anni, perché c’è una fascia di popolazione che né studia e né lavora, e diventano scarti della società. Poi, abbiamo parlato anche dell’indigenismo, anche dell’ideologia indigenista che in fondo non aiuta gli indigeni: la possibilità poi che le popolazioni indigene possano avere uno sviluppo mantenendo le proprie peculiarità, ma anche inserendosi nel mondo nella quale viviamo. Prima, abbiamo anche parlato dell’evangelizzazione, la carità unita all’evangelizzazione e anche qui il Papa è stato molto chiaro, ha avuto parole molto belle che coincidono perfettamente anche con la visione che abbiamo a Cor Unum, che ha il nostro cardinal Robert Sarah. È stato bellissimo perché nell’ultima riunione che abbiamo avuto lui ha parlato delle stesse cose che il Papa, due ore dopo, ci ha ripetuto. Questa formazione e questa visione antropologica dell’uomo “integrale”: l’uomo non è soltanto un corpo e uno stomaco da riempire, l’uomo è una dimensione eterna e negare ai poveri, negare agli uomini questa dimensione è una cosa che non ci possiamo permettere. La Chiesa la deve dare all’uomo insieme al pane, insieme all’alloggio, insieme all’aiuto.

D. – Questo mi fa tornare alla mente le parole insistite e ripetute da Papa Francesco quando dice che la Chiesa "non è una ong”…

R. – Nel dialogo che abbiamo avuto l’ha detto molto forte e per noi è la nostra battaglia costante. Cor Unum è responsabile per tutte le agenzie cattoliche e questa è da sempre la nostra battaglia: non perdere l’identità. Bisogna essere “professionali” – come diceva Benedetto XVI nella Deus Caritas est – bisogna essere professionali in quello che facciamo, un medico deve curare il malato professionalmente. Il Papa diceva che bisogna essere professionali, ma questo non basta! Bisogna avere un cuore che vede davvero il bisogno dell’uomo, bisogna avere un cuore che si commuove anche della sofferenza dell’altro. Noi non siamo assolutamente una ong, le spese amministrative sono piccolissime, ridicole e cerchiamo di collaborare con la Chiesa affinché i soldi che le persone mettono nelle nostre vadano interamente ai poveri.

D. – Voi come Fondazione avete sempre, dalla nascita, lavorato con le periferie. Adesso, è arrivato un Papa che spinge tutta la Chiesa ad andare nelle periferie del mondo. In che modo vi ha cambiato, ha cambiato il vostro lavoro Papa Francesco?

R. – Quello che ha fatto Papa Francesco è stato semplicemente confermare il nostro lavoro, lo ha confermato perché noi lavoriamo così da sempre. Attiviamo progetti, aiutiamo, finanziamo… ma poi la forza della Chiesa sono gli operatori pastorali che stanno nel territorio, quelli che portano avanti i progetti. E quelli dove si trovano? Si trovano nelle periferie.

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Il card. Turkson apre Conferenza dedicata a dialogo per la pace

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Si intitola “Fede e Ragione: modelli educativi per un dialogo pro-pace” la Conferenza che si svolge oggi pomeriggio a Roma organizzata dall’Accademia Angelico Costantiniana. L’iniziativa si colloca nel solco dell’Invocazione per la pace che la scorsa settimana ha visto Papa Francesco  pregare assieme ai Presidenti Shimon Peres ed Abu Mazen e con il Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I. Ad aprire la Conferenza sarà il cardinal Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che ha patrocinato l’evento,  e sono in programma, fra gli altri, interventi di personalità che – si precisa in una nota ufficiale, “nelle terre provate dal dolore delle guerre e della povertà” hanno applicato “modelli educativi pro-pace”. Durante l’incontro, conclude la nota, “sarà possibile effettuare delle libere donazioni per l’acquisto di ambulanze da destinare al territorio siriano, per aiutare la popolazione tutta, di ogni etnia o credo religioso”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Casa e madre per tutti: nel messaggio per la giornata missionaria mondiale il Papa invita a riscoprire la gioia dell'annuncio.

Gabriele Nicolò su chi succederà a Karzai: il ballottaggio presidenziale, in Afghanistan, tra Abdullah e Ghani.

Serietà machiavellica: Giovanni Cerro su idee religiose nel Cinquecento.

Prete per seguire le orme del mio eroe: Cristian Martini Grimaldi a colloquio con il vescovo di Daejeon, Lazaro You Heung-sik.

Un articolo di Kim En-Joong dal titolo "Da Confucio alle vetrate di Evry": in Corea del Sud a lezione di calligrafia.

Prova di maturità: Emilio Ranzato recensisce il film di Alice Rohrwacher "Le meraviglie".

Carlo Pulsoni su Vanni il mecenate: due libri ricordano l'editore Scheiwiller.

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Oggi in Primo Piano



Francesco: non dimenticare la Siria. Testimonianza di una suora

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“C’è il rischio di dimenticare le sofferenze che non ci toccano da vicino. Reagiamo, e preghiamo per la pace in Siria”. Con questo tweet il Papa torna oggi a richiamare l’attenzione del mondo su un Paese martoriato da più di 3 anni di guerra e che anche dopo le elezioni presidenziali d’inizio mese continua a vivere spaccature e scontri tra ribelli e lealisti. Almeno 30 i miliziani uccisi oggi a Mayaden al confine con l’Iraq. Sull’appello del Papa alla preghiera e a non dimenticare, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento di una suora trappista, raggiunta telefonicamente in Siria e che per ragioni di sicurezza preferisce restare anonima:

 

R. – Penso che il rischio di dimenticare ci sia, anche se ci sono tantissime persone che con molta generosità continuano ad aiutare. Il problema è che certe situazioni si stanno cronicizzando: la divisione del territorio con zone controllate dai fondamentalisti, altre dal governo, il continuo invio di armi… Il rischio che questa cosa diventi cronica e che ci si abitui, è molto forte.

D. – Il Papa parla proprio di sofferenze: quanto sta ancora soffrendo e in che cosa la popolazione siriana?

R. – Dipende da zona a zona, ma tutti stanno soffrendo. Nelle zone dove la situazione è un po’ migliore c’è comunque una sofferenza di instabilità, i giovani non hanno prospettive di studio. Poi, ci sono zone come Aleppo, senz’acqua da 15 giorni e senza elettricità, dove la sofferenza è davvero reale. I nostri amici che sono là ci raccontano che sono proprio alla fame, con questi proiettili che cadono continuamente alla cieca, si esce e non si sa se si ritorna, gente a cui manca il necessario per vivere e i salari che non sono sufficienti… Quindi, c’è una sofferenza materiale e una sofferenza morale, molto forti.

D. – Il Papa dice: “Reagiamo”. La reazione in che termini dovrebbe essere?

R. – Io direi che la reazione richieda darsi da fare. Non basta reagire con dei luoghi comuni, altrimenti si rischia di fare peggio. Bisogna veramente avere a cuore la situazione, cercare di capire le cose che sono in gioco e che sono complesse, solo così si possono trovare le soluzioni.

D. – Una preghiera per la pace in Siria, sempre necessaria per il Papa, che ha pregato in una giornata memorabile per la pace in tutta l’area mediorientale con grande coraggio. Vi è arrivata quella testimonianza?

R. – Direi che arriva, arriva anche a tutti, non solo a noi. Proprio ieri un musulmano mi diceva: “Io sono musulmano, ma penso che il Papa sta facendo tantissimo per noi e per la Siria con immensa gratitudine”. Quindi, direi che arriva proprio a tutti. E' necessario, perché credo che certe cose si risolvano veramente solo con uno sguardo di preghiera, perché la preghiera poi è anche un’azione e cambia il modo di vedere le cose: ti dà modo di capire cosa fare, come intervenire e come ascoltare questa gente.

D. – Ed è un appello, quello del Papa, valido per tutti?

R. – Certo, io penso di sì. Ci sembra che ci si ritrovi sempre più insieme davanti al Dio Creatore e davanti al bene che è nel cuore di ogni uomo. Penso che il Papa in questo abbia fatto fin dall’inizio un appello proprio all’uomo in quanto tale.

D. – Nel vicino Iraq è in atto un’offensiva di tipo integralista islamica, che sta spaventando il mondo intero. Voi siete al confine e gli integralisti sono presenti in alcune località della Sira. Che effetto vi fa questa notizia? C’è timore, ci sono delle reazioni?

R. – Certamente, la cosa ci ha molto preoccupato, proprio perché si sta creando una zona, una vasta fascia di territorio continuo che ormai è in mano ai fondamentalisti. Questo da una parte non sorprende tanto, soprattutto i siriani, perché già da tempo vedevano questo avanzare, questo modo di frammentare la nazione in zone sotto il controllo di diverse parti. Da una parte non è una sorpresa quindi. Dall’altro preoccupa e spaventa, perché adesso è veramente una presenza imponente e anche molto attiva, i combattimenti si stanno inasprendo. A fronte di questo, c’è stata la grossa sorpresa di questo voto che non era affatto scontato. Poteva essere scontato il risultato, ma non certo il tipo di unanimità. Credo che la gente abbia voluto dire: “Vogliamo insieme ricostruire il nostro Paese! Vogliamo la pace, vogliamo la sicurezza!”.

D. – Un califfato jihadista in un Paese come l’Iraq mette a repentaglio la vita dei cristiani. Da cristiana, se succedesse una cosa del genere sul suo territorio?

R. – Quello che conosciamo anche dei sunniti, dei siriani e di tutti i cristiani, musulmani, la Siria non è mai stato un Paese dove il fondamentalismo ha preso piede. La gente ha un’altra anima. Chiaramente, la paura di fronte ad un integralismo c’è, perché è un integralismo reale, evidente ed armato. Però, preghiamo.

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Iraq. Un milione gli sfollati. Al Maliki: sconfiggeremo i gruppi jihadisti

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In Iraq continua ad aggravarsi il conflitto. L’Onu ha raddoppiato le stime dei profughi a causa delle violenze e ora parla di un milione di sfollati interni. Il presidente Usa, Barack Obama, esclude per ora l’invio di mezzi e ipotizza strategie per fronteggiare l’avanzata dei gruppi jihadisti che puntano su Baghdad. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Una “tragedia umana”. Così l’Onu riferendosi al milione di sfollati stimato nella crisi irachena. I ribelli sunniti del cosiddetto "Stato islamico dell'Iraq e del Levante" continuano a conquistare posizioni nel nord del Paese. Centinaia le vittime. Il governo dello sciita Nouri al Maliki sta cercando di studiare un piano per proteggere Baghdad, obiettivo finale dichiarato dai terroristi, che già hanno preso diverse città tra cui Mosul. Il premier in un messaggio televisivo alla nazione, da Samarra, ribadisce: “Non saremo mai sconfitti” e fa appello all’unità nazionale, minacciando la pena di morte per i disertori. Per ora, il presidente statunitense, Obama non pensa all’invio di militari sul campo e parla di strategie allo studio per fronteggiare l’offensiva jihadista, mentre l’Iran non esclude la possibilità di collaborare con la Casa Bianca per risolvere la crisi. Posizione diversa quella della Gran Bretagna, che potrebbe inviare unità delle forze speciali per sostenere al Maliki. Intanto, da Kirkuk il sacerdote caldeo, Kais Mumtaz, rilanciato dall’Agenzia Fides, ribadisce: "Tutto sembra precipitare verso una gestione soltanto militare della crisi, cioè verso la guerra civile”. 

Per un’analisi della situazione, Luca Collodi ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss di Roma: 

R. – Sicuramente, le cose non sono andate come prestabilito, ma è cambiata soprattutto la politica americana in quell’area. L’impressione che ho è che il presidente Obama non guardi con grande preoccupazione alla crescita dell’instabilità nella regione. Però, c’è un punto fondamentale rispetto al quale neanche Obama può transigere: tutto ciò che disturba il processo di riconciliazione tra gli Stati Uniti e l’Iran costituisce un’anomalia ed un problema a cui occorre porre rimedio.

D. – La situazione siriana quanto può influire nella situazione irachena?

R. – Ha influito molto, perché il movimento che in questo momento si sta espandendo in Iraq è apparso per la prima volta in Siria ed è in Siria che ha colto i suoi maggiori successi. In una certa misura, secondo me, il problema più grave in questo momento è quello che si fronteggia in Iraq ed è quello che può comportare anche una qualche forma di intervento militare esterno.

D. – A questo punto, gli Stati Uniti devono puntare su Assad in Siria e su nuovi rapporti più distesi con l’Iran per riprendere in mano la situazione?

R. – Di fatto, gli Stati Uniti non hanno mai spinto nella direzione della caduta di Assad, se non con qualche iniziativa presa dal segretario di Stato John Kerry, che per altro non ha mai veramente avuto la copertura del presidente. Oggi, capiamo ancora meglio perché Obama – lo scorso settembre – non volle bombardare la Siria e sfruttò ogni possibile appiglio per evitare di dar corso ad un attacco: attaccare frontalmente il regime di Assad non solo avrebbe facilitato il compito di jihadisti fuori controllo, ma avrebbe presumibilmente indebolito Roani. Obama non ha alcun interesse a vedere indebolito l’attuale presidente iraniano, che è l’uomo con cui lui può fare l’accordo storico di riconciliazione. Io credo che, al di là di tutto, queste sono le “stelle polari” di qualsiasi ragionamento si faccia in questo momento sull’area, area nella quale per altro insistono anche altre situazioni: c’è la causa dei curdi che è sospesa; c’è il problema del ruolo regionale che la Turchia e l’Arabia Saudita vogliono esercitare.

D. – La Jihad islamica sta puntando al controllo del petrolio, secondo lei?

R. – Sicuramente, sta cercando di darsi una base territoriale: l’Iraq e la Siria non sono neanche le uniche zone in cui questa ondata islamista jihiadista sta cercando di muoversi. Penso in particolare al Mali e alla Nigeria. I jihiadisti si stanno muovendo verso una logica di territoriale, nel tentativo di crearsi delle proprie zone sovrane.

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Colletta alimentare straordinaria: 4 milioni i poveri assistiti

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Si svolge oggi un’edizione straordinaria della popolare “Giornata Nazionale della Colletta Alimentare” resa necessaria per far fronte all’emergenza alimentare che affligge il nostro Paese: sono oltre 4 milioni le persone in Italia che vivono grazie a pacchi alimentari o pasti gratuiti presso le mense, di questi oltre 400 mila sono bambini che hanno meno di 5 anni. Nei supermercati di tutta Italia che aderiscono all’iniziativa, è dunque possibile acquistare e donare alimenti a lunga conservazione, che poi la Rete Banco Alimentare distribuirà alle oltre 8.800 strutture caritative convenzionate. Luca Collodi ha parlato di questa Colletta straordinaria con Giampaolo Scoppa, presidente della Fondazione del Banco Alimentare del Lazio: 

R. – La colletta alimentare normalmente si celebra l’ultimo sabato di novembre, da  ormai 17 anni a questa parte.

D. -  Lei ha parlato di novembre, ma siamo a giugno: quindi è una colletta alimentare straordinaria?

R. – Sì! E’ una colletta alimentare d’emergenza: è un’emergenza determinata dall’aumento dei poveri - perché ci sono nuove povertà, come ricorda spesso anche Papa Francesco - e poi dall’atteggiamento quantomeno superficiale da parte delle istituzioni europee e successivamente anche lentezze da parte del governo italiano per cui i fondi Agea, che normalmente arrivavano in misura prevalente per quanto riguarda il nostro funzionamento - il 50 per cento delle nostre derrate alimentari arrivava dalla Agea, che è l’Agenzia del Ministero dell’Agricoltura - quest’anno non sono arrivate! Dal che, a giugno, i nostri magazzini si sono quasi svuotati. In Italia normalmente abbiamo 40 mila tonnellate di cibo da distribuire a questo punto dell’anno, ma quest’anno sono la metà. Abbiamo avuto garanzie dal governo nazionale che a settembre riprenderà questo contributo, ma noi dobbiamo riuscire a superare l’estate e la gente che ha fame – soprattutto in bambini, perché tenga presente che i 4 milioni di poveri in Italia al loro interno hanno il 10 per cento di bambini, quindi 400 mila bambini, al di sotto dei cinque anni – non può aspettare le lentezze burocratiche! Quindi chiediamo al cuore della gente di fare questo ulteriore sforzo per cercare di aiutare questi fratelli disagiati.

D. – La gente cosa può donare per aiutare queste famiglie, che hanno fame e che non ce la fanno a causa della crisi ad andare avanti?

R. – Generi per l’infanzia, per la prima infanzia, latte a lunga conservazione, olio, pasta e conservati in genere, quindi legumi inscatolati, tonno e tutto ciò che si può conservare nei magazzini e che ci permette, attraverso la nostra logistica, di distribuirlo.

D. – Voi ci dite che la crisi non sta affatto terminando?

R. – Assolutamente no! Anzi sta aumentando: i poveri che erano stimati fino all’anno scorso in 4 milioni in Italia, adesso le stime Istat li danno a 4 milioni e mezzo. Mi pare di capire dalle notizie che ci arrivano che non siamo vicini alla fine della crisi… Quindi il cuore della gente deve svolgere questo ruolo di sussidiarietà rispetto alle istituzioni che sono in ritardo, se non disattente, rispetto a questa emergenza.

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Riforma della Pa, sindacati scettici

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I sindacati sono freddi sulla riforma della pubblica amministrazione varata ieri dal Consiglio dei ministri. Per il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, non “c’è un disegno compiuto”, “rimangono in piedi le questioni legate agli appalti”. Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, risponde che “non è responsabile fare opposizione”. Tra le novità della riforma, lo sblocco parziale del "turn over", che potrebbe portare all’assunzione di 15 mila giovani. il servizio di Alessandro Guarasci

Per Bonanni, non c’è una vera lotta alla corruzione, un male che da anni si è incuneato nella pubblica amministrazione. Diverso il ragionamento sui prepensionamenti perché, dice il leader della Cisl, i “giovani sono importanti, ma bisogna avere contezza dei numeri e quali professionalità servono”. Capisaldi della riforma sono lo sblocco progressivo del turn over, che potrebbe portare a 15 mila assunzioni, mobilità obbligatoria entro i 50 chilometri per i dipendenti, premio equivalente al 15% dello stipendio per i dirigenti che rendono di più. Il ministro del Lavoro, Poletti, afferma che non ci sono motivi per dire no alla mobilità e che bisogna far "dimagrire" il pachiderma della pubblica amministrazione. Sull’impianto complessivo della riforma, abbiamo sentito il giurista esperto di economia, Nunzio Bevilacqua:

R. – Sicuramente, ci sono varie misure che vanno nella direzione giusta. A oggi, si dovrebbero accendere i motori della cosiddetta staffetta generazione, con l’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti che hanno superato il limite per il pensionamento e che - secondo alcune stime, ancora ovviamente da verificare sul campo - dovrebbe liberare di qui al 2018 circa 15 mila posti di lavoro. Questa operazione di cosiddetto ringiovanimento dell’organico pubblico, benché si debba comunque scontrare con la realtà concreta della Pubblica amministrazione, che già in passato ha ibernato molte valide iniziative, ha degli ottimi requisiti e un ottimo incipit e credo che, comunque, se non vi sono delle situazioni veramente di sistema può andare nella direzione giusta.

D. – Insomma, stiamo andando incontro davvero ad una Pubblica Amministrazione più mobile - facendo riferimento alla possibilità dei trasferimenti – e soprattutto più giovane e che abbia più stimoli?

R. – C’è una necessità comunque di aumentare la percentuale dei dipendenti pubblici di età più giovane. Certo, il principio che contraddistingue sempre la Pubblica amministrazione è l’efficienza e soprattutto la qualità dell’organico, anche se credo che oggi si possa trovare una buona qualità di organico anche nelle classi più giovanili.

D. – Nella riforma c’è anche un meccanismo di premialità per i dirigenti: sapremo davvero collegare anche in Italia qualità dell’attività lavorativa e retribuzione?

R. – Se si vuol guardare con ragionevole speranza al futuro, non ci si può dimenticare del basilare apporto e della responsabilità delle dirigenza pubblica nel piano di riorganizzazione dello stesso assetto pubblico. Solo una maggiore stabilità però dei dirigenti pubblici potrà evitare quello che ritengo un rischio di fuga unidirezionale verso il privato e solo dei migliori. Dunque, se certamente positivo in un periodo di emergenza economica come è quella attuale – tetti stipendiali – anche delle premialità per la migliore efficienza e quindi l’utilizzo di seri coefficienti di rendimento, non si comprende d’altro canto una tendenza a una precarizzazione di una classe, quella dirigente, senza la quale non è possibile alcun sogno di efficiente gestione.

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Giornata mondiale dei donatori di sangue: la gioia di un semplice gesto

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Donare il sangue riempie di gioia. È questo il messaggio lanciato dalle diverse associazioni che operano sul territorio, nel corso della Giornata Mondiale del Donatore di sangue, istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dal 2004, il numero delle donazioni è salito del 25% e il 65% delle trasfusioni nel mondo riguarda bambini sotto i cinque anni d’età. Il tema scelto per l’edizione di quest’anno è “Sangue sicuro per salvare le madri” e si pone l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo all’importanza della donazione per tutelare un momento così delicato come il parto. Gianmichele Laino ha intervistato Luigi Cardini, presidente nazionale della Fratres: 

R. – E’ la festa di tutti i donatori di sangue. La giornata voluta dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) è proprio l’omaggio e la festa di tutti coloro che nel mondo donano il sangue per la vita altrui. Quest’anno la giornata sociale è nello Sri Lanka ma noi siamo qui con Papa Francesco a festeggiare la nostra giornata, quella dei gruppi dei donatori di sangue fratres.

D. – Qual è la sfida del donatore di sangue cristiano?

R. – La sfida, oltre che un atto di solidarietà, è un impegno sociale ma è anche una garanzia per il ricevente perché il nostro tenore di vita fa sì che non possiamo nuocere a coloro che già soffrono.

D. – Il numero dei donatori nel mondo è cresciuto del 25% dal 2004, ma questi sono concentrati nelle aree più sviluppate del pianeta. Cosa si dovrebbe fare per incentivare le donazioni anche nelle regioni più povere?

R. – Incentivare e far capire la necessità che il sangue rappresenta un livello essenziale di assistenza e questo lo dice anche la legge sanitaria italiana. Mentre da noi è abbastanza facile e riusciamo a farlo con i migranti che arrivano in Italia, nei Paesi cosiddetti “sottosviluppati” c’è ancora da lavorare molto.

In questa Giornata Mondiale del Donatore, diverse sono state le iniziative nelle maggiori città italiane organizzate dall’AVIS, l’associazione volontari italiani sangue. La vicepresidente nazionale, Rina Latu, le ha illustrate ai nostri microfoni: 

R. – Il messaggio è la mobilitazione per tutte le persone di buona volontà, che godono di buona salute perché vengano a donare il sangue. Come Avis nazionale, durante questa Giornata ci saranno eventi in tutte le grandi stazioni d’Italia e in moltissime piazze. Con un flash mob lanceremo la nostra campagna nazionale di sensibilizzazione. La campagna sarà lanciata oggi, ma è valida per 365 giorni l’anno. Questi eventi sono importanti e ci danno una bella vetrina, però il nostro operare è anonimo silenzioso, gratuito, responsabile, volontario e associato, per permettere appunto che l’approvvigionamento del sangue possa essere garantito per i malati tutto l’anno. In contemporanea a questo evento, stiamo lanciando anche la nostra nuova campagna che si intitola “La prima volta”. Siccome nella vita ci sono molte “prime volte” di azioni positive, cerchiamo di potenziarle, sperando che non siano assolutamente le ultime, anzi, l’inizio di un grande percorso.

D. – Chi sono i soggetti che beneficiano maggiormente di donazioni di sangue?

R. – Ci sono delle patologie particolari che sono legate a trasfusioni continue come le leucemie, le talassemie, gli emofilici. Poi, naturalmente gli interventi, la traumatologia per quanto riguarda tutti gli incidenti, gli interventi chirurgici che oggi più che mai richiedono sangue e poi soprattutto c’è il discorso dei trapianti.

D. – Qual è l’identikit del donatore di sangue?

R. – Il donatore è un portatore di salute: stili di vita sani, forti, giusta alimentazione, età tra i 18 e i 75 anni – a seconda che sia maschio o femmina – un minimo di peso di 50 kg. Le donne possono donare due volte l’anno, ma sempre a distanza di 90 giorni da una donazione all’altra, i maschi potrebbero donare ogni 90 giorni, quindi quattro volte l’anno. Abbiamo bisogno quindi di nuove leve, di nuove sensibilità e di nuovo spirito di solidarietà a 360 gradi. I donatori non sono eroi sono persone responsabili, nessuno si privi del piacere del dono: io do qualcosa, ma in cambio ricevo tantissimo.

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Roma. Presentato Simposio dei docenti universitari

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“L’idea di università. Investire per la conoscenza in Europa e per l’Europa” è il tema dell’ XI Simposio Internazionale dei Docenti universitari, promosso dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma che si svolgerà i primi di ottobre a Roma In preparazione di questo evento, oggi diversi Atenei romani hanno ospitato dei seminari preparatori su questo incontro. Obiettivo del meeting, è quello di favorire un incontro nell’ambito universitario tra la fede, la ricerca e lo studio. Cesare Mirabelli, presidente del Comitato scientifico del Simposio, al microfono di Marina Tomarro

R. – E’ un po’ tornare alle radici, ai fondamenti dell’università. Qual è il suo ruolo? Qual è la sua finalità? Che idea abbiamo di università? Una istituzione secolare, che affronta i problemi di oggi e non solo problemi di formazione e di conoscenza, ma anche di identità dell’università nel contesto culturale e sociale. Perciò un impegno dei docenti romani, delle università romane, che vuole essere di apertura a un dialogo essenzialmente con i docenti europei.

D. – Tanti saranno i temi affrontati durante le tre giornate del Simposio. C’è un "filo rosso" che lega un po’ tutte queste argomentazioni?

R. – Certamente. Vi è un’unità nella pur complessità dei temi che vengono trattati, nell’individuare quale sia il ruolo e la funzione dell’università nelle diverse aree nelle quali si esprime. Perciò, l’università è caratterizzata da una unità tra formazione didattica, ricerca e questo certamente è un elemento che significa anche un impatto non solamente nella formazione dei giovani, ma anche nella applicazione delle innovazioni, degli approfondimenti culturali che l’università può dare, in una idea di fondo che è la costruzione di un nuovo umanesimo. Speriamo che da questo venga un buon frutto culturale.

D. – Da questo Simposio, come dai precedenti, è possibile anche lo sviluppo di un futuro lavoro di rete tra le università italiane, europee e magari internazionali?

R. – Il lavoro fatto in questi anni ha creato una serie di rapporti all’interno delle diverse università romane e quindi un dialogo che non riguarda solamente il proprio settore di ricerca, ma la curiosità che è alla base del resto della ricerca. E poi, certamente c'è l'impatto europeo e internazionale che il Simposio tende ad accrescere, creando una rete di relazione che potrà poi essere portata a frutto da ciascun docente, da ciascun ricercatore nel proprio ambito disciplinare.

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Gara di solidarietà per missioni francescane nelle Filippine e in Kenya

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Gara di solidarietà, questa sera, per le popolazioni delle Filippine colpite dal tifone "Yolanda" e per le missioni francescane in Kenya. Il sagrato della Basilica di San Francesco d’Assisi ospiterà l’iniziativa di beneficenza intitolata “Con il cuore nel nome di Francesco”. L’evento, che prevede varie testimonianze e anche la partecipazione di diversi cantanti italiani, sarà trasmesso a partire dalle 20.35 su Rai Uno. Su questi due progetti solidali per le Filippine e il Kenya, Amedeo Lomonaco ha intervistato padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi:

 

R. – Sono due progetti molto importanti per le Filippine e per il Kenya. Nelle Filippine, sono state distrutte 5.000 barche, 2.700 morti e 70 mila case distrutte. Questi dati ci fanno capire che abbiamo bisogno di fare del bene. In Kenya, l’altro progetto è dedicato alle scuole di pace: mettere insieme ragazzi di diverse etnie per dire che non vogliamo vivere l’odio reciproco, ma vogliamo vivere l’amore fraterno. Vogliamo vivere la riconciliazione. Questo sarà anche il senso, non solo della solidarietà, ma di quello che stasera Rai Uno manderà in onda.

D. – Non mancheranno importanti testimonianze…

R. – Ci saranno ragazzi, un giovane frate delle Filippine, due giovani – per essere in comunione con il Papa – della Palestina e di Israele, per dire alle persone e a noi stessi: “La pace si può”.

D. – Sarà, dunque, una serata con il cuore, nel nome di Francesco…

R. – E’ evidente che il grande messaggio è quello di mettere al centro chi si tende ad escludere: i poveri, gli ultimi, gli emarginati. E anche quelle zone di conflitto di cui i mass media fanno fatica a parlare. Tutto questo con una consapevolezza dal sapore francescano che dice: “Tutto è degno dinanzi a Dio”. Questa dignità è quella che permette poi a Francesco di percepire che siamo tutti uguali e tutti figli di Dio, quindi fratelli.

D. – A dare supporto a questa iniziativa, ci saranno anche molti protagonisti della musica italiana…

R. – Ci saranno Claudio Baglioni, Alex Britti, Massimo Ranieri e tanti altri ospiti che presteranno la loro voce al messaggio francescano.

D. – L’invito è anche quello di contribuire a questa importante iniziativa…

R. – Sì e di comporre l’sms solidale, il 45.505. Forse il più bel messaggio che permette di salvare vite umane, il 45.505.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella Solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai discepoli:

 “Dio ha mandato il Figlio suo perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

Celebriamo oggi la Solennità della SS.ma Trinità, la rivelazione al centro della fede cristiana. Prima di essere un mistero che supera la nostra mente, esso è “il Luogo” – nella Scrittura, soprattutto nella tradizione targumica, “il Luogo” [hammaqom], è un Nome divino (cf Gen 28,11): Dio è chiamato “il Luogo”, “il Luogo” dove si concentra in modo indicibile tutto l’amore, tutta la capacità di donazione, tutta la bellezza, la santità, la gloria, la misericordia, l’amicizia, il riposo... Il luogo che contiene tutto, senza essere contenuto da nulla (Filone). Nel Vangelo di oggi Gesù ci rivela che da questo “Luogo”, da questa “comunità di amore”, il Padre ci invia il suo Figlio, “perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. E nel Figlio ci fa dono dello Spirito, primo frutto della Pasqua appena celebrata, Pentecoste che sempre si rinnova nella Chiesa. Per chi crede, ora è possibile ricevere il “dono di Dio” che ci fa una cosa sola con Cristo, ma se siamo in Cristo non c’è più nessuna condanna per noi (cfr. Rom 8:1), perché “chi crede in Lui non è condannato”. Ora, uniti a Cristo, abbiamo accesso al “Luogo” dell’intimità divina, della festa, della benedizione. L’assemblea eucaristica, radunata dalla grazia del Signore Gesù, dall’amore di Dio, nostro Padre, nella comunione dello Spirito Santo, può oggi strapparci dai dubbi, dalle paure dell’esistenza, e innalzarci alla gioiosa chiamata alla vita eterna, al “Luogo” di ogni consolazione, di tutta quella Bellezza che ci sazierà per l’eternità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sudan: Meriam costretta ad allattare sua figlia in catene

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“Secondo le autorità competenti, Meriam Ibrahim sarà rilasciata soltanto se rinuncerà alla fede cristiana e divorzierà da suo marito Daniel”. E’ quanto denunciato dall’arcidiocesi di Khartoum in un comunicato inviato ad “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (Acs). Il documento integra il testo redatto il 21 maggio scorso dal Consiglio delle Chiese del Sudan. L’intento dell’arcidiocesi, spiega Acs, è di smentire le informazioni inesatte diffuse finora dai media e al tempo stesso rivolgere un appello alle autorità sudanesi affinché la donna condannata a morte per apostasia venga liberata. “Al momento – si legge – Meriam si trova ancora nella prigione di Omdurman (dalla parte opposta del Nilo rispetto a Khartoum), praticamente nel braccio della morte, dove allatta in catene la sua bambina nata in carcere lo scorso 28 maggio”. Il suo caso, prosegue la nota dell’arcidiocesi, “sarà giudicato in appello, ma nessuno conosce ancora la data fissata per il secondo grado di giudizio”. Rivolgendosi alle autorità nazionali, la Chiesa di Khartoum ricorda come la Costituzione sudanese garantisca espressamente all’art. 38 la libertà religiosa e di culto e vieti l’imposizione di una religione a chi non vi creda liberamente. “Esprimiamo profondo dispiacere e delusione – sottolinea il documento, inviato ad Acs – nell’osservare come il caso è stato gestito in tribunale: senza alcun rispetto per la fede religiosa di Meriam. Il punto centrale dell’intera vicenda è che la donna non ha abbandonato l’Islam per il cristianesimo, perché sin dalla sua infanzia non ha mai praticato la religione islamica”. Il documento dell’arcidiocesi si conclude con un appello: “Alla luce delle informazioni fornite e per onorare la ferma volontà di Meriam di non abbandonare la propria fede cristiana, imploriamo la magistratura e le autorità competenti di rivedere il caso e decretarne una ragionevole fine”. (A.G.)

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Pakistan: ucciso parlamentare cristiano del Beluchistan

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Il leader cristiano Hendry Masih, parlamentare del Beluchistan, è stato ucciso da una sua guardia del corpo a Quetta, capitale della provincia. Come appreso dall’agenzia Fides - dalla comunità cristiana locale - l’evento ha generato sdegno e sgomento nella comunità cristiana, fra le minoranze religiose e nella comunità civile. Masih era anche noto e apprezzato come attivista per i diritti delle minoranze religiose. Colpito con arma da fuoco dalla sua guardia del corpo per motivi tuttora da chiarire, è stato condotto in ospedale in condizioni critiche, dove è morto in seguito alle ferite riportate. Il primo ministro del Pakistan Nawaz Sharif ha condannato l'attacco e ha offerto le sue condoglianze alla famiglia di Masih. Esponenti di Ong e della società civile – prosegue Fides – ricordano che anche il governatore del Punjab, il musulmano Salman Taseer, fu ucciso dalla sua guardia del corpo perché aveva difeso Asia Bibi, la donna cristiana in carcere per blasfemia. (A.G.)

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Acnur: si aggrava la situazione dei profughi centrafricani

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L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) sta esaminando alcune segnalazioni provenienti dalla Repubblica Centrafricana secondo cui alcune persone in cerca di sicurezza in Ciad sono state recentemente respinte a un punto di ingresso di frontiera. L'Acnur è al momento in contatto con le autorità del Ciad e si appella inoltre a tutti i Paesi limitrofi, Ciad incluso, affinché tengano aperte le frontiere per consentire ai rifugiati e ad altre persone l'accesso a un rifugio sicuro. Stando alle informazioni pervenute, le persone in fuga sono state respinte alla frontiera di Sido, a Sud della città di Sarh e si ritiene siano cittadini centrafricani o del Ciad che non sono riusciti a dimostrare la propria nazionalità alle guardie di frontiera. Se le informazioni fossero corrette, i fatti sarebbero fonte di grave preoccupazione in violazione del diritto internazionale. Negli ultimi sei mesi sono oltre 14 mila i rifugiati della Repubblica Centrafricana ad essere arrivati in Ciad passando da vari punti di ingresso alle frontiere, facendo salire il totale di presenze a 90 mila. Alcuni di loro sono in Ciad da oltre 10 anni. Chi arriva in Ciad, sottolinea l’Acnur, è visibilmente provato da fame e stanchezza dopo aver percorso oltre 500 chilometri a piedi lungo strade dissestate e spesso nascondendosi nella boscaglia per evitare attacchi. Bambini e adulti sono in un grave stato di malnutrizione e vengono trasferiti in un ospedale di Gore nel Sud-Ovest del Ciad dove ricevono cure urgenti. Nel complesso, la crisi iniziata in Repubblica Centrafricana nel dicembre del 2012 ha finora causato la fuga di circa 226 mila rifugiati e cittadini di Paesi terzi nelle nazioni circostanti. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 165

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.