Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 10/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Semi di pace: riflessione di Gattegna, Houshmand, Impagliazzo

◊  

A due giorni dallo storico incontro di preghiera nei Giardini Vaticani si susseguono, a livello internazionale, le analisi e i commenti sul significato e il valore dell’iniziativa di Papa Francesco per la pace in Medio Oriente. Nel servizio di Alessandro Gisotti, la riflessione di tre personalità di fedi diverse impegnate nel dialogo: Renzo Gattegna, Shahrzad Houshmand e Marco Impagliazzo:

 

“L’unità prevale sul conflitto, il tempo è superiore allo spazio”. Nell’invocazione di pace di domenica scorsa, si è potuto toccare con mano cosa intenda Papa Francesco con questi principi enunciati nell’Evangelii Gaudium. Il tempo di Dio, il suo orizzonte, è superiore allo spazio limitato degli uomini; l’unità tra fratelli prevale sul conflitto di vedute e interessi. E’ come se allora, per alcune ore, i Giardini Vaticani si siano trasformati in un nuovo Giardino dell’Eden: una sola umanità di figli che invoca un unico Padre. Certo, nessuno – a partire dai protagonisti – si aspetta che d’improvviso cessi il fragore delle armi in Medio Oriente, ma quell’albero d’ulivo piantato all’ombra della Cupola petrina non è solo un’immagine per le prime pagine dei giornali. La riflessione di Shahrzad Houshmand, teologa musulmana iraniana:

R. – E’ stato realmente piantato insieme un albero di ulivo, che anche per il Corano è sacro. È successo un fatto reale e adesso tocca a noi custodire ed innaffiare quest’albero. Proprio la mattina di domenica, il Papa diceva che la Chiesa deve suscitare stupore e sicuramente questo evento ha suscitato grandissimo stupore, non solo nella Chiesa cattolica ma anche nel mondo islamico, dove guardano con stupore e ammirazione il coraggio di Papa Francesco: essere un abbraccio verso tutti. La Chiesa ha fatto un annuncio evangelico di grande ammirazione, un annuncio evangelico che accoglie, fa leggere i testi sacri delle altre religioni dentro il suo spazio chiuso e “particolarmente” cattolico, senza paura. La Chiesa ha fatto vedere che abbraccia come una madre i suoi diversi figli e anche i diversi figli di altre fedi.

D. – C’è una parola di Papa Francesco che l’ha particolarmente colpita?

R. – Papa Francesco ha detto una cosa meravigliosa nel suo discorso finale. Ha detto che abbiamo sentito una chiamata e dobbiamo rispondere. La chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, spezzarla con una sola parola. E qual è questa parola? Uno si aspetterebbe che il Papa dicesse pace ed invece dice una parola chiave che spezza veramente ogni violenza e ogni odio: questa parola fondamentale è fratello, è riconoscersi figli di un unico Padre. Questo messaggio è così trasparente, così autentico: la forza di spezzare la violenza. Sicuramente non possiamo aspettarci che tra oggi e domani le guerre nel mondo, nel Medio Oriente si calmino e lascino da parte le armi, però è sicuramente un invito a convertirsi alla pace, alla profondità del messaggio religioso di ogni religione, perché in tutte le religioni c’è la parola fratello.

All’incontro in Vaticano era presente Renzo Gattegna, il presidente dell’Ucei, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane che si sofferma sulla straordinaria consonanza vissuta nell’invocazione di pace:

R. – Questo incontro in Vaticano è stato molto particolare ed emotivamente molto forte. Particolare perché, nonostante la presenza di due presidenti – Shimon Peres ed Abu Mazen – non è stato un incontro politico. È stato prevalente proprio il carattere religioso, è stato proprio dominante il carattere religioso dell’incontro. Quello che mi ha colpito è stato il fatto che, nonostante le tradizioni diverse, le lingue diverse, alla fine i concetti che venivano espressi erano molto simili, sia che fossero detti in arabo, in ebraico, in italiano che in inglese. Emergeva chiaramente questo desiderio di pace.

D. – In qualche modo questo evento, circoscritto nello spazio e nel tempo, ha dato però quasi un’immagine di come potrebbe essere una terra in pace e riconciliata...

R. – Sì, perché il Dio è unico ed è stato espressamente detto da tutti. Sono tre religioni che credono nello stesso Dio e che discendono tutte da Abramo, sono tre religioni abramitiche. Può essere, in piccolo, una specie di laboratorio dove la convivenza si è vista messa in pratica con il rispetto reciproco. La convivenza stessa dovrebbe essere possibile, senza voler prevaricare, convertire, senza forzature né violenza.

L’incontro di preghiera del Papa con il Patriarca Bartolomeo, i presidenti Peres e Abbas è anche il segno che la fede attinge a una riserva di energie e di visione che la politica non ha. Il commento del presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, al microfono di Fabio Colagrande:

R. – Che si sia fatto ricorso alla preghiera, come tentativo di sbloccare una situazione che da più di 60 anni è incancrenita in Terra Santa e Medio Oriente è, come ci ha detto il Papa, un tentativo coraggioso di rovesciare in un certo senso il tavolo, laddove politica e diplomazia non hanno saputo ancora trovare una soluzione, per chiedere l’aiuto all’Onnipotente. E’ molto, molto significativo che lo spirito di Assisi, lanciato da Giovanni Paolo II nell’86 – le religioni che pregano insieme per la pace – sia oggi veramente il ricorso più importante che si può fare per sbloccare questa situazione.

D. – La politica per un giorno ha lasciato il campo alle religioni. Cosa significa questo?

R. – Significa innanzitutto riconoscere che gli uomini e le donne di religione hanno un loro ruolo, primo perché pregano e secondo anche perché creano dei nuovi legami. Quello che è accaduto è anche un momento di grande amicizia. Abbiamo tutti visto le immagini: l’abbraccio di Papa Francesco sulla porta di Casa Santa Marta, che accoglieva i suoi ospiti; il fatto di essersi abbracciati alla fine, di aver chiacchierato sul pullman, di aver piantato assieme un ulivo… Gli uomini e le donne di religione possono portare nel mondo quell’amicizia, che spinge verso il dialogo e che domani - se fatto con coraggio - porterà alla pace.

inizio pagina

Il Papa non celebra Messa a S. Marta ma prosegue sue attività

◊  

A causa di una lieve indisposizione, Papa Francesco questa mattina ha preferito non celebrare la Messa con l’abituale gruppo di fedeli nella cappella di Santa Marta, ma svolge la sua normale attività nella sua residenza, che tuttavia ogni martedì non comprende impegni pubblici.

inizio pagina

Londra, summit su stupri di guerra. Il Papa: preghiamo per le vittime

◊  

“Preghiamo per tutte le vittime di violenza sessuale in situazioni di conflitto e per coloro che combattono tale crimine”. E’ stato il tweet di oggi del Papa, su @Pontifex, nella giornata in cui a Londra si apre il vertice sullo stupro come “arma di guerra”. A inaugurare i lavori, l’attrice Angelina Jolie, ambasciatrice di buona volontà dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, e il ministro degli esteri britannic,o William Hague. E’ il più grande evento mai dedicato al tema: quatto giorni di lavori con la partecipazione dei rappresentanti di oltre 100 Paesi, tra cui il segretario di Stato Usa, John Kerry, e di oltre 900 tra esperti militari e giuridici, organizzazioni non governative, associazioni umanitarie ed esponenti religiosi. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

 

Il summit di Londra sarà l’occasione, e la prima a così alto livello, per ripetere che lo stupro di guerra è da considerarsi un grave crimine internazionale, vietato sin dal 1949 dalla Convenzione di Ginevra, ma solo dal 1996 riconosciuto come crimine di guerra. Il XX secolo ci ha lasciato in eredità le violenze sessuali commesse dai soldati di tutti gli eserciti coinvolti nel secondo conflitto mondiale, molto più recentemente decine di migliaia di stupri si sono contati durante la guerra nell’ex Jugoslavia, ed erano gli anni Novanta.

Soltanto nella Bosnia ed Erzegovina, la stima è tra le 20 mila e le 50 mila donne violentate: nelle loro case, di fronte alle famiglie, in strada, di fronte a testimoni, affinché lo stupro potesse essere veramente un’arma di guerra, terrorizzando i civili, diventando strumento di pulizia etnica. In Rwanda, centinaia di migliaia di donne tutsi furono violentate durante la guerra con gli hutu. Il Tribunale penale internazionale dedicato a questo conflitto africano stabilì che lo stupro fosse configurabile quale elemento del crimine di genocidio. In questo caso, le vittime furono tra le 250 mila e le 500 mila.

I primi 14 anni del XXI secolo, come documentato da Amnesty International, vedono casi nei conflitti in Siria, in Colombia, in Iraq, in Cecenia, in Afghanistan, in Sudan, nel Ciad e nella Repubblica Democratica del Congo, dove dall’inizio della guerra, nel 1998, a oggi, nonostante l’avviato processo di pace, le violenze sessuali hanno riguardato centinaia di migliaia di persone, donne e uomini.

Gli effetti dello stupro come arma di guerra ricadono sulle società intere, annichilite dalla violenza subita dai loro membri. Ma per le vittime, donne soprattutto, la violenza significa esclusione sociale, significa stigma, significa malattie sessuali. La Conferenza di Londra – ha spiegato il segretario di Stato Usa Kerry, al quale è stata affidata la chiusura della Conferenza, il 13 giugno – intende “relegare la violenza sessuale agli annali della storia”. E’ ciò che tutti ci auguriamo, assieme alla fine dell’impunità nella quale hanno sempre vissuto i colpevoli di tali efferatezze. I governi, ha quindi aggiunto Kerry, devono negare un riparo a quanti "commettono queste azioni vili".

Nigel Baker è l’ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede:

R. – A partire dalla Bosnia, per arrivare alla Siria, al Congo, al Rwanda: quello a cui assistiamo non è solamente un atto di guerra, è un atto sistematico che viene compiuto dalle milizie, dai governi, dai ribelli che usano la violenza sessuale come uno strumento di guerra. Noi, come governo britannico, insieme ai nostri alleati nel mondo, agli altri governi, alla società civile, alle ong, alle reti religiose, come quelle cattoliche, siamo impegnati nel trovare una soluzione per mettere fine a queste violenze e dire: basta! Chi commette questo crimine deve essere processato. Le vittime non possono essere dimenticate. Dobbiamo dare una risposta sul terreno, ma anche una risposta coerente da parte della comunità internazionale. Quindi, questa Conferenza, la più grande che ci sia mai stata su questo tema, ha come obiettivo quello di trovare un modo da tradurre in pratica per mettere fine a questo crimine orribile.

D. – Sappiamo che è un fenomeno che negli ultimi tempi è peggiorato. Dunque, bisogna passare attraverso degli interventi estremi…

R. – Sì, Londra 2014 è parte di un processo già iniziato nel settembre dello scorso anno, quando è stata presentata dalle Nazioni Unite una dichiarazione, a oggi firmata da circa 150 Paesi, tre quarti dei membri delle Nazioni Unite. Quindi c’è una volontà politica. Ma come convertire questa volontà politica in azioni pratiche per sradicare questo crimine? Questo è l’obiettivo principale della Conferenza. Non ci saranno solamente i governi, ma anche esperti medici, militari, giudici, religiosi, che potranno offrire idee da condividere. Durante la Conferenza, verrà presentato un protocollo internazionale che offrirà delle raccomandazioni per governi e istruzioni internazionali su come rispondere a questo terribile flagello della guerra. Speriamo che la volontà politica venga convertita in azione reale, pratica. Questo significherà una continuazione di questo sforzo che deve essere portato avanti.

inizio pagina

Programma ufficiale della visita del Papa a Cassano all’Jonio

◊  

Una giornata intensa che offrirà al Papa l’occasione di incontrare tutte le realtà più rappresentative della diocesi e della società di Cassano all’Jonio. Si può sintetizzare così il programma della visita di Francesco in terra calabrese, il prossimo 21 giugno, pubblicato dalla Sala Stampa Vaticana. Il Papa partirà alle 7.30 dall’eliporto in Vaticano per atterrare intorno alle 9 a Castrovillari, dove visiterà la Casa Circondariale e pronuncerà un discorso.

Quindi, il trasferimento a Cassano all’Jonio dove visiterà gli ammalati dell’Hospice “San Giuseppe Moscati” e successivamente incontrerà i sacerdoti diocesani nella Cattedrale di Cassano all’Jonio, ai quali rivolgerà un discorso. Il Pontefice pranzerà dunque con i poveri, ospitati dalla Caritas Diocesana e con i giovani ospiti della Comunità residenziale terapeutico-riabilitativa Saman “Mauro Rostagno” al Seminario “Giovanni Paolo I”. Alle 14.30, è dunque in programma la visita agli anziani ospiti della “Casa Serena” di Cassano all’Jonio. Successivamente, il Papa si trasferirà alla Piana di Sibari dove celebrerà la Messa. Il ritorno in Vaticano è previsto alle ore 19.30. (A cura di Alessandro Gisotti)

inizio pagina

Domenica, Francesco tra i poveri della Comunità di Sant'Egidio

◊  

Un pomeriggio con i poveri assistiti dalla Comunità di Sant’Egidio. È quello che Papa Francesco vivrà domenica pomeriggio, dalle 17, quando raggiungerà la sede della Comunità, che sorge nel cuore di Roma, a Trastevere. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis

“Al centro del Vangelo di Gesù”, ma anche al centro del cuore di Francesco. Due luoghi privilegiati nei quali i poveri trovano considerazione e aiuto, grazie anche alle tante strutture che nel nome di Cristo se ne prendono cura. Con loro, i più emarginati a vario titolo – non solo i non abbienti, ma gli immigrati, i nomadi, gli anziani soli – il Papa trascorrerà la prossima domenica pomeriggio in Trastevere, ospite della Comunità di Sant’Egidio, che del servizio ai poveri – considerati “amici”, anzi “familiari”, e non solo sfortunati da alleviare – ha fatto una delle pietre fondanti della sua esperienza.

In un comunicato, la Comunità descrive in dettaglio i momenti della visita che inizierà verso le 17, quando in compagnia del fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, Papa Francesco attraverserà a piedi Piazza Santa Maria in Trastevere incontrando i fedeli, ascoltando i loro saluti, per poi giungere alla Basilica e rendere omaggio all’icona della Madonna della Clemenza, la più antica immagine lignea di Maria esistente a Roma. Qui, verranno proposte alcune testimonianze significative al Papa, che successivamente rivolgerà ai presenti un discorso, suggellato da un momento di preghiera.

Lasciata poi la Basilica, Papa Francesco raggiungerà a piedi la vicina in Piazza Sant’Egidio, sede della Comunità, dove ne incontrerà i responsabili, alcuni vescovi, sacerdoti e seminaristi, malati e altri gruppi di persone.

inizio pagina

E’ morto il card. Agré. Francesco: uomo di Dio appassionato del Vangelo

◊  

Cordoglio di Papa Francesco per la morte del cardinale Bernard Agré, arcivescovo emerito di Abidjan, scomparso ieri all’età di 88 anni a Parigi, in ospedale, dove era stato ricoverato per alcune cure. Nel telegramma, il Papa ricorda il fruttuoso servizio del pastore ivoriano che ha servito la Chiesa “con fede e generosità”. Attraverso “un’intensa attività pastorale – prosegue il Papa – il cardinale Agré si è proposto come un uomo di Dio appassionato dell’annuncio del Vangelo e dello sviluppo umano e spirituale delle persone”.

Con il decesso del card. Agrè (non elettore) il Collegio Cardinalizio risulta così composto: 213 cardinali, 118 elettori e 95 non elettori.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Bernard Agré, arcivescovo emerito di Abidjan.

Lo storico Miroslaw Lenart su quel no che cambiò il conclave del 1903: fu l’arcivescovo di Cracovia, cardinale Jan Puzyna - di cui viene pubblicato un inedito - a leggere il veto imperiale contro il segretario di Stato di Leone XIII.

Il volto di Antonio: Ugo Sartorio riguardo a una nuova indagine sul corpo del Santo di Padova.

Annus mirabilis: Tomasz Dostatni su Giovanni Paolo II e la caduta del comunismo nell'Europa centro-orientale.

Vetera et nova: intervista di Nicola Gori all’arcivescovo Rodriguez Carballo sull’anno per la vita consacrata.

Nelle grandi città più angeli che demoni: il cardinale arcivescovo Lluis Martinez Sistach traccia un bilancio del congresso internazionale di Barcellona sulla pastorale delle aree metropolitane.

Lavoro per ripartire: Mario Benotti sottolinea la necessità di una dimensione sociale in Europa.

Gabriele Nicolò su Islamabad tra negoziato e opzione militare.

Reuven Rivlin eletto presidente d’Israele.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Ucraina. Ok del presidente ai corridoi umanitari

◊  

Proseguono i negoziati sul gas fra Ue-Russia e Ucraina mentre il neo presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha ordinato la creazione di corridoi umanitari nelle regioni orientali russofone. Scopo dell’operazione è aiutare i civili che vogliono fuggire dagli scontri in atto fra le forze di Kiev e gli insorti. Nell’est del Paese si continua, infatti, a morire. Due bambini sono rimasti uccisi negli ultimi giorni a Slavyansk, mentre a Kramatorsk si contano decine di morti. Perché il presidente Poroschenko ha detto “sì” ai corridoi umanitari, chiesti dalla Russia ma negati finora dall’Ucraina? Debora Donnini lo ha chiesto a Marco Di Liddo, esperto dell’area ex-sovietica del Centro Studi Internazionali: 

R. – Sicuramente il nuovo presidente ha preso atto pubblicamente della situazione di insorgenza e dello scenario da guerra civile che c’è nell’est del Paese. Per questo motivo, ha ritenuto necessario e opportuno garantire le vie di fuga a tutti quei civili che non vogliono essere coinvolti nelle violenze. Questo è un tentativo – oltre che dal punto di vista prettamente umanitario – di catturare l’attenzione e la simpatia della popolazione dell’est, che fino a questo momento ha mantenuto un atteggiamento di sospetto e in alcuni casi di ostilità nei confronti del governo di Kiev, emerso dopo i fatti di Euromaidan (le manifestazioni pro-Ue in Ucraina iniziate nel novembre del 2013 – ndr).

D. – Al fine di evitare nuove vittime nelle zone dove sono in corso le operazioni, il presidente Poroshenko ha anche chiesto al governo di provvedere alla distribuzione di cibo e forniture mediche. Sembra quindi un impegno consistente quello dell’Ucraina nell’apertura di questi corridoi umanitari…

R. – Assolutamente sì. E’ un impegno consistente e doveroso da parte del nuovo presidente, che si è sempre presentato come l’uomo in grado di risolvere questa crisi e di ricomporre l’unità del Paese. Fino a questo momento, il suo predecessore Turchynov aveva optato per una soluzione militare, una soluzione “muscolare”, che certo non aveva aiutato il governo di Kiev a presentarsi in modo positivo e costruttivo con quelle realtà sociali e politiche dell’est del Paese, che invece guardavano con simpatia a Mosca o alla secessione. Con questo nuovo atteggiamento, probabilmente il presidente vuole mostrare alla cittadinanza locale, al suo stesso popolo, che il governo è un governo di tutti. Resta, però, il suo rifiuto di accettare gli aiuti umanitari che Mosca aveva offerto per la popolazione dell’est. Quindi, probabilmente c’è anche una dimensione molto politica nella questione degli aiuti: probabilmente accettando gli aiuti da Mosca, la popolazione locale avrebbe potuto rafforzare in un certo senso questa sua vicinanza al Cremlino. Poroshenko si sta dimostrando non solo un presidente che davvero tiene all’unità del suo Paese, alla salute del suo popolo, ma anche un fine stratega.

inizio pagina

Immigrazione. Colombo: flussi non sono questione italiana ma globale

◊  

Non conoscono tregua gli sbarchi di migranti sulle coste italiane. In Sicilia ne sono arrivati ieri circa 980, altri 1.027 sono stati 'dirottati' a Taranto. “La questione degli immigrati nel Mediterraneo non è un problema che l'Italia può affrontare da sola", riconosce intanto l’Onu. Oggi, l’incontro tra il ministro degli interni, Angelino Alfano e il presidente dell’ANCI, Piero Fassino. Il servizio di Adriana Masotti

 “La questione degli immigrati nel Mediterraneo non è un problema che l'Italia può affrontare da sola". Così ieri un portavoce dell’ONU che spiega:  "L'Italia sopporta un peso molto grosso ma è solo un pnto di entrata" dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Per questo "non può esserci solo una risposta nazionale, ma serve una risposta internazionale". Affermazioni queste che da tempo l’Italia attendeva dalle Nazioni Unite oltre che dall’Europa per far fronte agli ingenti flussi immigratori. Circa 52 mila gli arrivi dall’inizio dell’anno. Oggi il ministro dell'Interno, Alfano, incontrerà al Viminale  il presidente dell'Associazione dei Comuni italiani, Fassino, che chiede al Governo risorse straordinarie per l'accoglienza. Fassino parla di "un'emergenza senza precedenti", a cui i Comuni non riescono a far fronte e che necessita una risposta "immediata" da parte di Stato e Regioni. Questure e prefetture in Sicilia sono infatti sotto stress perché, osserva Carlotta Sami, portavoce in Italia dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu "non siamo in emergenza", ma "in una situazione difficile, strutturale". Nell’isola. sono arrivati ieri circa 980 immigrati, mentre altri 1.300 sono stati portati a Taranto. A Palermo, l'ultimo 'bollettino degli sbarchi' parla di 529 profughi per la cui ospitalità si sta adoperando la Curia mettendo a disposizione locali delle parrocchie e della Caritas. Non mancano le vittime del mare: tre migranti sono morti e due risultano dispersi durante un salvataggio di un gommone effettuato da una petroliera maltese arrivata ieri pomeriggio a Pozzallo. Sul fronte politico, intanto, il Pd invoca la dichiarazione dello stato di emergenza. Tornano invece ad attaccare il Governo la Lega Forza Italia e Fratelli d'Italia, perché complice del disastro sociale e umano che da mesi si sta registrando in Sicilia”. 

Del richiamo dell’Onu a non lasciare sola l'Italia, Fausta Speranza ha parlato con Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università di Milano:

 

R. – E’ chiaro che l’Italia aspetta da mesi l’aiuto da parte di altri soggetti: sia altri soggetti statuali sia altre organizzazioni internazionali. Quindi, è una lunga attesa. Un’attesa che ogni tanto viene soddisfatta, perché anche l’Unione Europea periodicamente si è pronunciata in un senso simile. Il problema è che ai pronunciamenti fino ad ora non sono seguiti i fatti e ci sono diverse ragioni per temere che anche questa volta i buoni propositi delle Nazioni Unite rischino di restare lettera morta. La questione è ovviamente una questione internazionale. E' una questione che da un lato interessa direttamente una serie di Paesi, di popoli diversi: sono flussi migratori che non riguardano soltanto la Libia, naturalmente, ma riguardano quasi tutto il continente africano e non solo il continente africano. Sono flussi migratori che a propria volta vanno a investire non soltanto l’Italia ma, in misura minore o comunque non diretta, anche tutti gli altri Paesi europei. Le questioni migratorie sono di per sé questioni globali, ma questo è uno dei paradossi dell’attuale contesto internazionale : ci sono una serie di questioni che hanno una chiara radice globale e che richiederebbero risposte concertate, multilaterali. Ma tali questioni avvengono in un momento nel quale tutti i contesti multilaterali sono in crisi e la capacità degli Stati di concordare politiche comuni è, in questo momento, a un punto molto, molto basso.

D. – Abbiamo parlato tante volte di accordi, di negoziati, di aiuto ai Paesi del Nordafrica perché non avvenga questo esodo: aiutare quindi le persone nei loro Paesi…

R. – Sì. Questa, per la verità, è una risposta molto semplice, in apparenza, ma in realtà molto complessa negli effetti, perché gli effetti di breve periodo degli aiuti non necessariamente si traducono in un freno dei flussi migratori, ma addirittura possono operare come una sorta di effetto moltiplicatore. Qui c’è un problema molto più specifico: quello della Libia che è sostanzialmente un Paese al collasso, un Paese fallito, non esiste più un governo in grado di controllare il territorio e, da questo punto di vista, quello che è avvenuto in Libia a seguito dell’intervento internazionale di tre anni fa dà la misura di quanto un’operazione concertata dal punto di vista multilaterale possa avere effetti distruttivi. L’operazione in Libia è stata un’operazione, dal punto di vista politico di medio e lungo periodo, assolutamente dissennata.

D. – Sappiamo che l’Acnur, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, si occupa della problematica dell’immigrazione anche nel Mediterraneo. Dunque, cosa può significare l’appello dell’Onu? Può significare una presa di responsabilità proprio di Stati e governi?

R. – Può significare il tentativo, l’ennesimo tentativo, di convincere gli Stati che non sono direttamente coinvolti a dare un proprio contributo. Il problema è che questo è il momento sbagliato, perché è un momento per cui per molte ragioni – a cominciare dal fatto che tutti i Paesi vivono una condizione sociale complicata – c’è un forte incentivo da parte di tutti a chiudersi, quindi a soddisfare le richieste della propria opinione pubblica, e così la disponibilità a contribuire a imprese comuni è molto bassa. Non dimentichiamo che quello che accade all’Italia accade anche ad altri Paesi della sponda sud del Mediterraneo, della sponda europea, intendo: per esempio, la Grecia. E tutti questi Paesi sono sostanzialmente abbandonati a se stessi perché in questo momento ogni Stato guarda dentro di sé, a soddisfare la propria opinione pubblica dando il meno possibile agli altri partner.

inizio pagina

Rapporto Ocse: economia africana cresce, ma poca diversificazione

◊  

L’Africa un continente giovane e in crescita economica continua: le proiezioni per il 2014 prevedono un tasso di crescita pari al 4.8%, con un'ulteriore accelerazione per il 2015. Non da meno sono i dati sull'incremento della popolazione e sul rafforzamento generale della "governance". Ma quanto e come l’Africa è capace di sfruttare questa crescita? Sono questi i temi al centro del Rapporto annuale sull'economia africana curato dall'Ocse, dalla Banca Africana di Sviluppo e dal Programma di Sviluppo dell’Onu. Il documento è stato presentato a Roma. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

L’economia si globalizza e passa sempre più nelle mani dei Paesi emergenti. Tra essi ci sono anche quelli dell’Africa, il “continente della speranza”, afferma Anthony Simpasa della Banca africana dello Sviluppo presentando i dati macroeconomici del Rapporto. Un Pil, quello africano, al 4.8% nel 2014, che sfiorerà il 6% in due anni, meglio dell’America latina, dietro ancora all’Asia ma in netta controtendenza rispetto alla crisi europea. Est e Ovest ancora le regioni trainanti del continente, il Nord rallentato dalla crisi libica e il Sud in miglioramento grazie soprattutto a nuovi governi. A fare la differenza, spiega il Rapporto, sono innanzitutto politiche macroeconomiche più convinte che danno stabilità e attraggono capitali esterni, come spiega Mario Pezzini, direttore sviluppo Ocse:

"Ormai, gli investimenti stranieri sono oggi il flusso più importante che va verso l’Africa, seguito dalle rimesse degli immigranti e gli aiuti allo sviluppo arrivano solamente dopo. Il che dimostra anche una capacità di attrattività significativa".

Altro trampolino di lancio è il miglioramento in media delle condizioni di vita:

"Si sta sviluppando in Africa, come negli altri Paesi emergenti, questa figura sociale che molti amano chiamare 'classe media'. Io non amo questa espressione. Stiamo parlando di gente che ha lasciato la povertà estrema - e questa è una cosa straordinaria – che però rimane vulnerabile e ci può ricadere. Ciò non toglie che le condizioni in media sono migliorate e questo crea anche domanda interna ed un dinamismo nazionale".

Infine, c’è la diversificazione dei partner. Ancora Mario Pezzini:

"Interagiscono portando capacità differenti: la Cina, lo sappiamo, è interessata alle risorse naturali e lavora molto sulle infrastrutture; l’India è connessa all’Africa per i software e l’utilizzo di capitale umano offshore; il Brasile per le tecnologie nell’industria alimentare e nella produzione agricola; la Turchia e la Corea del Sud in manifattura. Quindi, l’Africa ha un ventaglio di partner che le ha permesso – grazie a questa diversificazione – anche di attutire l’impatto della crisi".

Ma il Rapporto punta il dito anche sugli ostacoli per uno sviluppo sostenibile nel futuro. L’Africa, si legge, usa le risorse naturali, ma ne è rimasta troppo dipendente e soprattutto non diversifica le strutture produttive anche perché non usa ancora al meglio una grande opportunità al centro di questo Rapporto dell’Ocse, le “catene globali di valore”:

"Questa organizzazione che vediamo nel mondo prendere sempre più piede e rappresentare ormai il 60 per cento del commercio internazionale, offre delle possibilità, perché – in poche parole – una catena globale di valore vuol dire che invece di fare tutte le parti di un prodotto sotto lo stesso tetto le si fa in imprese diverse, o addirittura in Paesi diversi. Allora, se si deve avviare un’impresa facendo tutto quello che è necessario, dalla materia prima al prodotto finale - serve una massa di capitale ben più elevata che se ci si concentra in una sola fase. Inoltre, siccome le imprese vanno in questi Paesi per vendere, ma anche per comprare la presenza di queste grandi imprese sedimenta nel tempo capacità tecniche, tecnologiche, manifatturiere... Quindi, c’è questa possibilità. Il punto è che l’Africa la sta sfruttando molto poco: nel ’93 l’Africa produceva, più o meno, l’1,4% della produzione globale di prodotti intermedi; oggi, ne produce 2,2%".

Il Rapporto, buona consuetudine da 13 anni per l’Ocse, vuole offrirsi anche come piattaforma per i governi africani: le politiche pubbliche, si legge, sostenute da riforme fiscali laddove possibile, sono indispensabili, ma non esiste una soluzione valida in tutti i casi. Ancora Mario Pezzini:

"In realtà ci sono diverse traiettorie di sviluppo perché ciò che conta non è solo l’economia ma sono le istituzioni, la storia e la geografia dei diversi Paesi. Quindi, bisogna riprendere in mano la capacità dei Paesi di fare le politiche pubbliche e di organizzarle. Ciò che si può fare è iniziare a scambiarsi seriamente delle esperienze e discuterne. È un processo lungo, non è un processo di negoziazione ma di costruzione della fiducia e di un tavolo. Però io ci credo".

inizio pagina

I vescovi Usa: "Fermate la tratta dei minori in Messico"

◊  

Gli Stati Uniti devono tutelare i minori che viaggiano da soli. E’ l’appello dei vescovi cattolici americani per fermare la tratta dei bambini che attraversano il confine tra Messico e Usa: più di 60 mila minori tra i 9 e i 17 anni che rischiano di finire nella rete della criminalità organizzata. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Valentina Valfrè di Soleterre onlus, organizzazione in prima linea per la difesa dei migranti in Messico: 

R. – Sicuramente, la questione dei minori che attraversano il confine tra Messico e Stati Uniti è una delle più urgenti da affrontare. Ci sono veramente migliaia di minori, anche sotto i 13 anni, che viaggiano e sempre di più viaggiano soli dai Paesi Centro America, sino ad arrivare negli Stati Uniti. Quindi, già dal primo confine che devono attraversare quello che attualmente è forse il più pericoloso, tra Guatemala e Messico – subiscono qualsiasi tipo di abusi, di violazioni e spesso vengono introdotti all’interno della tratta di minori sia per sfruttamento lavorativo che sessuale. Molti di loro spariscono nel nulla: i genitori, che li hanno mandati con il trafficante – il cosiddetto “Coyote” – o altre volte li hanno mandati soli, oppure, loro di spontanea volontà sono partiti per raggiungere i genitori negli Stati Uniti, perdono le loro tracce e spesso non ne sanno nulla. Oppure, i minori vengono presi dalla polizia di frontiera e detenuti in questi centri dove, ovviamente, la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno. Spesso vengono deportati ed si trovano ancora soli dall’altra parte del confine.

D. – Si parla di 60 mila minori che emigrano dal Centro America ogni anno verso gli Stati Uniti...

R. – Se un bambino è disposto a partire sapendo quello che gli aspetta, significa che quello che si lascia alle spalle è molto peggio di quello che deve affrontare, sia a livello di povertà che a livello di violenza.

D. – Cosa accade a questi bambini durante il viaggio?

R. – Molti vengono costretti a caricare la droga negli zainetti mentre attraversano il territorio messicano e poi il confine con gli Stati Uniti. Alcuni vengono cooptati per esempio per lavorare nell’agricoltura, oppure,  nelle case dove spesso ci sono bambini, minorenni che lavorano come domestici. Ooppure, finiscono appunto nel giro della prostituzione o nella pornografia.

D. – Cosa potrebbero fare gli Stati Uniti per fermare la tratta dei minori non accompagnati?

R. – Sicuramente, la cosa più urgente sarebbe quella di concedere visti umanitari, per esempio per minori e donne, due gruppi particolarmente a rischio, in modo da creare una sorta di corridoio umanitario. Così, queste persone, che comunque emigrano – non c’è modo di fermarle ed i numeri lo dimostrano – possano arrivare negli Stati Uniti in condizioni di sicurezza e la loro incolumità non venga toccata. Questo è sicuramente un primo passo. Poi, i governi degli Stati Uniti, Messico e Centro America dovrebbero discutere, sedersi ad un tavolo, e parlare di quelle che sono le politiche veramente efficaci per poter gestire i flussi migratori. Subiscono abusi in ognuna delle tappe che devono attraversare, fortunatamente, durante il percorso ci sono alberghi “para migrantes”, la casa del migrante che li aiutano. Noi che siamo in contatto, per esempio, con la casa del migrante – la 72 – che è a Tenosì, al confine Sud tra Tabasco Messico e Guatemala. Il direttore, che è Fray Tomas Gonzales, ci raccontava che sono veramente preoccupati per il numero di bambini di età sempre più piccola che arrivano da loro tutti i giorni, cioè tutti i giorni arrivano o bambini soli, oppure madri con bambini neonati. I rischi per loro sono comunque gli stessi.

inizio pagina

Vescovi Eritrea: Paese si sgretola, servono coraggio e pulizia

◊  

“Siamo sinceramente preoccupati per le ferite morali e spirituali che affliggono la nostra società”. A dichiararlo sono i vescovi dell’Eritrea, in una lunga Lettera pastorale, redatta in occasione dell’anniversario d’indipendenza del Paese africano. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

“Dov’è tuo fratello?”, il titolo della Lettera. Un interrogativo che oggi grava – scrivono i presuli eritrei – sulla coscienza di tutti noi, in un Paese non in pace e non guerra, con gravissimi problemi sociali ed economici, dove “migliaia di giovani istruiti” e intelligenti “ci lasciano", denunciano i presuli, “i bambini raggiungono i genitori all’estero in viaggi di non ritorno” e “i genitori raggiungono i figli” e “non rientrano più”. “Ci terrorizza – ammettono i vescovi – la prospettiva di drastico spopolamento del territorio”. E se le morti nel Mediterraneo di centinaia di eritrei, nel settembre e ottobre scorsi, sono state “il culmine di un’odissea che si ripeteva da anni”,  bisogna “correre ai ripari con coraggio e creatività per trattenere chi non è partito e per richiamare chi è partito”.

Come chiede Papa Francesco, “spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro Paese”. Non si tirano indietro i presuli eritrei nell’additare le cause del degrado materiale e morale. Povertà estrema, esorbitanti prezzi dei beni, salari bassi e affitti altissimi, blocco delle attività edilizie. E poi, ancora, desertificazione del territorio, malattie endemiche in crescita, sistema scolastico arretrato, disgregazione della famiglia, anche a causa del servizio militare non retribuito e senza limiti di tempo e i molti giovani trattenuti in carcere e nei centri rieducativi. Infine, la corruzione, l’ingordigia, l’irresponsabilità che pervade ogni ambito della vita sociale e la disinformazione eretta a sistema. Per i giovani senza futuro “non bastano eleganti e altisonanti slogan – ammoniscono i vescovi – servono opportunità lavorative”. Si appellano i presuli a tutti i leader religiosi per “la conversione dei cuori e delle menti" e chiedono alle autorità civili “di instaurare una politica di chiarezza, di trasparenza e di legalità”.

inizio pagina

Geopolitica del Mediterraneo: l'atlante di Cesis e Istituto Pio V

◊  

Cosa cambiato nel Mediterraneo dopo le "primavere arabe" e come si è sviluppata la politica di cooperazione tra Europa e Paesi nordafricani in relazione ai flussi migratori? Questi gli argomenti approfonditi dall’Atlante geopolitico del Mediterraneo, pubblicato recentemente dall’Istituto di Studi politici “San Pio V” in collaborazione con il Centro Studi internazionali. Il servizio di Elvira Ragosta

Dall’instabilità della Libia post-Gheddaffi agli sbarchi dei migranti verso l’Italia, dalle rivolte tunisine all’Egitto di Al Sisi, l’Atlante geopolitico del Mediterraneo è un libro di ricerca storica e di analisi politica. Curato da Francesco Anghelone e Andrea Ungari, il volume si apre con un approfondimento sulle competenze dell’Unione Europea in materia di immigrazione e asilo, poi affronta le crisi di Mali, Sudan e Sud Sudan, Paesi che pur non affacciandosi sul Mediterraneo ne condizionano presente e futuro. Andrea Margelletti, presidente del Cesi:

"È il tentativo, non tanto di dare delle risposte – non siamo così presuntuosi – ma perlomeno di dare qualche chiave di lettura diversa per comprendere un mondo e soprattutto il Mediterraneo che è l’ambiente nel quale il nostro Paese è immerso tecnicamente, un ambiente in costante movimento come il mare appunto. Abbiamo cercato con i ricercatori del’Istituto San Pio V e gli analisti del Centro studi internazionali di interpretare le onde di questo mare che, ormai da qualche anno, è sempre più tumultuoso. Sono onde che ci ricordano che essere più ricchi vuol dire avere più doveri e non più diritti. Sono onde che ci ricordano che quotidianamente migliaia di persone cercano di avere una speranza nuova, un’accoglienza diversa dal dolore che loro abbandonano nelle loro terre e nelle loro case. E certamente ci ricordano che in questo momento - e non è la prima volta - l’Italia non è una barriera ma è la porta dell’Europa. Quindi, è un problema europeo che deve essere affrontato da tutti i Paesi europei con lo stesso grado di impegno e responsabilità che sta mettendo il nostro Paese".

L’Atlante comprende anche "Schede Paese", dal Marocco alla Tunisia, passando per il Medio Oriente, dove crescono le speranze di pace, dopo lo storico incontro in Vaticano tra Papa Francesco e i presidenti israeliano e  palestinese. E sugli effetti che la pace in Medio Oriente apporterebbe al Mediterraneo tutto, abbiamo ascoltato il presidente dell’Istituto di Studi politici San PioV, Antonio Iodice:

"Quella pace che noi auspichiamo non solo è un bene per quei popoli - soprattutto per le nuove generazioni - ma è un vantaggio per tutta l’area africana e mediorientale. Lo immagino un grande effetto positivo che come conseguenza, produrrebbe una nuova speranza, perché noi dovremmo capire bene - soprattutto da italiani, da europei, da cattolici - quali sono le frammentazioni del mondo islamico e trovare gli elementi di dialogo, di confronto, perché solo attraverso questa via, questa strada e non quella delle armi, dell’odio e della violenza, è possibile dare serenità a loro, ma anche a tutto il Mediterraneo e all’Europa".

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Diocesi Roma: il 16 giugno Convegno pastorale con il Papa

◊  

I contenuti della catechesi, il senso della cresima oggi, il dialogo con le famiglie, il rapporto con il mondo della scuola e con gli altri ambienti di vita, l’impegno verso i poveri: sono solo alcuni dei temi al centro dei tredici laboratori di studio che animeranno il prossimo convegno pastorale diocesano di Roma sul tema “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”. L’evento centrale nella vita della Chiesa di Roma, che conclude l’anno pastorale e apre gli orizzonti sul successivo, lunedì 16 giugno alle 19 - riferisce l'agenzia Sir - sarà aperto da Papa Francesco nell’Aula Paolo VI in Vaticano, che per l’occasione sarà gremita di fedeli della diocesi di Roma (al momento sono 11mila le iscrizioni pervenute in Vicariato).

Prima del discorso del Santo Padre, l’incontro di lunedì si aprirà con l’indirizzo di omaggio del cardinale vicario Agostino Vallini seguito dalla preghiera e dall’intervento di don Gianpiero Palmieri, parroco di San Frumenzio ai Prati Fiscali, che, come anticipa il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano mons. Andrea Lonardo, “presenterà luci e ombre della situazione della catechesi a Roma insieme a due parrocchiani”. Martedì 17, nel Palazzo del Vicariato (piazza San Giovanni in Laterano 6/a), nel Seminario Romano Maggiore e nella vicina Università Lateranense, ci saranno i laboratori di studio. 

La tappa finale del convegno pastorale diocesano sarà il 15 settembre prossimo con la presentazione degli orientamenti pastorali da parte del cardinale vicario Agostino Vallini in due momenti: alle 9.30 è prevista la sessione per i parroci e per gli altri sacerdoti, alle 19.30 è in programma quella per i catechisti. Cuore dell’evento sarà la riflessione sulle tappe dell’Eucaristia e della confermazione nell’iniziazione cristiana, che intende proseguire il cammino avviato negli anni scorsi con l’approfondimento sulla pastorale battesimale e post-battesimale. Già iniziata la preparazione nelle parrocchie grazie al documento inviato dal Vicariato che contiene gli obiettivi, il metodo, i contenuti e altre indicazioni operative. “Il tutto - spiega il card. Vallini nella lettera spedita ai parroci della diocesi - è stato pensato avendo come sfondo l’esortazione apostolica Evangelii gaudium del Santo Padre”. (R.P.)

inizio pagina

Iraq: quaedisti conquistano Mosul. Cristiani in fuga

◊  

Gli insorti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil), fazione quaedista attiva anche nel conflitto siriano, hanno conquistato nella tarda serata di ieri la sede del governo provinciale a Mosul, la seconda città dell'Iraq. Il governatore Athel Nujafi è riuscito a fuggire all'ultimo momento, prima che il palazzo cadesse nelle mani degli assalitori armati di lanciagranate e mitragliatrici montate su veicoli fuoristrada. Adesso la parte occidentale della città è in mano agli islamisti, che hanno già liberato migliaia di detenuti di una prigione e avanzano verso la base dell'esercito con l'intento di espugnarla e conquistare l'aeroporto militare. Sempre ieri, il governatore Nujiafi, con un appello televisivo, aveva esortato gli abitanti di Mosul e della provincia a organizzarsi in gruppi di autodifesa per resistere all'attacco dell'Isil. 

Secondo quanto appreso dall'agenzia Fides, l'assalto dei miliziani quaedisti ha accelerato la fuga di decine di famiglie di cristiani verso i villaggi della Piana di Ninive, a poche decine di chilometri da Mosul, dove negli ultimi giorni si è rafforzata la presenza dei miliziani “Peshmerga” curdi. Quelli che non sono riusciti a fuggire adesso sono intrappolati nelle proprie case, con il coprifuoco e con continue interruzioni dell'energia elettrica e dell'approvvigionamento idrico.

Durante l'offensiva dei miliziani quaedisti – che sarebbero diverse migliaia – gli scontri si sono concentrati nei quartieri occidentali dove si trova anche la cattedrale caldea. Ieri il vescovo caldeo Amel Shamon Nona e gli altri vescovi di Mosul avevano lanciato un appello a tenere aperte chiese e moschee per pregare per la pace, invitando anche i negozianti a garantire alla popolazione l'accesso al pane e alle derrate alimentari di base. (R.P.)

inizio pagina

Israele: il candidato del Likud, Rivlin, eletto nuovo presidente

◊  

Il candidato del Likud, Reuven Rivlin, è stato eletto dalla Knesset presidente di Israele, il decimo dalla fondazione dello Stato ebraico. A luglio succederà a Shimon Peres. Avvocato ed esponente di lunga data del Likud, il partito conservatore del premier Benjamin Netanyahu, il 75.enne Rivlin ha ottenuto al ballottaggio 63 voti dei deputati contro i 53 di Meir Sheetrit del partito centrista HaTnuah.

inizio pagina

Pakistan: raid aereo in risposta all’attacco a Karachi

◊  

Questa mattina all'alba l'esercito pakistano ha condotto una serie di raid aerei nelle aree tribali del Paese, roccaforti delle milizie estremiste, uccidendo almeno 15 persone. È quanto riferisce una fonte militare - riferisce l'agenzia AsiaNews - sottolineando che l'operazione è una risposta diretta all'attacco di ieri dei talebani all'aeroporto di Karachi, con decine di vittime e feriti. Secondo il comunicato ufficiale sono stati "distrutti nove nascondigli" nella remota Tirah Valley, nel distretto tribale di Khyber. Tuttavia, non sono possibili verifiche indipendenti perché giornalisti e operatori umanitari non hanno accesso alla zona. 

Da più parti montano pressioni e proteste nei confronti del governo di Islamabad, chiamato a rispondere all'attacco di un commando formato da 10 estremisti islamici all'aeroporto internazionale di Karachi, fra l'8 e il 9 giugno, che ha causato almeno 30 morti. L'assalto talebano sembra aver messo la parola fine ai possibili dialoghi di pace fra esecutivo centrale e talebani, oltre che far sorgere più di un dubbio sulla sicurezza nel Paese. 

Il raid aereo di oggi è solo l'ultimo di una serie di operazioni militari nella cintura tribale occupata dai talebani, nel nord-ovest della nazione, conseguenza del fallimento dei colloqui di pace con il Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp). Gli ultimi risalgono a fine maggio, nel North Waziristan, con la morte di almeno 75 persone e la fuga di 58mila civili dal distretto, nel timore di una più vasta offensiva di terra. 

Analisti ed esperti di politica locale sottolineano che le ultime violenze hanno messo la parola fine a una possibile soluzione positiva dello scontro fra talebani e governo; Islamabad è sotto pressione perché reagisca in maniera netta contro gli attacchi islamisti e smantelli in via definitiva le roccaforti dei terroristi. Un'offensiva finale nel North Waziristan è in programma da anni, ma gli analisti militari restano cauti sulla fattibilità del progetto, senza il sostegno decisivo della controparte afghana, dove i miliziani potrebbero rifugiarsi in casi di attacco. 

A gennaio il governo ha gettato le basi per l'avvio di un dialogo di pace con ilTehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp), cui è seguita la presentazione nelle settimane successive del primo Codice di condotta in materia di Sicurezza nazionale. La tregua fra governo e talebani è scaduta il 16 aprile scorso, ma gli islamisti hanno confermato il proposito di continuare le trattative. Nel contesto dei colloqui i talebani chiedono il rilascio di centinaia di prigionieri, il ritiro dell'esercito nelle zone tribali al confine con l'Afghanistan e l'introduzione della legge islamica (sharia) nel Paese. Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo e seconda fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Dall'inizio della campagna di violenze dei talebani pakistani nel 2007 sono state uccise più di 6.800 persone in attentati, esplosioni e omicidi mirati in tutto il Paese.

inizio pagina

Gerusalemme: ebrei ultra-ortodossi occupano il Cenacolo

◊  

Un gruppo di ebrei ultraortodossi ha occupato la sala del Cenacolo esibendosi in canti e danze e cacciando all'esterno della piccola sala i pellegrini cristiani, lì radunati per la festa di Pentecoste. Secondo fonti della polizia israeliana - riferisce l'agenzia AsiaNews - il gruppo era composto da "circa 30" ebrei ultraortodossi. Fra loro vi era anche Moshe Feiglin, parlamentare del Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu.

La sala del Cenacolo, dove è avvenuta l'Ultima Cena di Gesù con gli apostoli e la Pentecoste, è una stanza al secondo piano di un edificio vicino alla zona del Monte Sion.  Dal XII secolo, al piano terreno, si pensa che in quel luogo sia stato sepolto il re Davide, anche se molti archeologi e storici ne dubitano.

Nell'ultimo giorno della sua visita in Terra Santa, papa Francesco ha avuto il permesso di celebrare nel Cenacolo una messa insieme a vescovi e patriarchi locali.

Il sito appartiene allo Stato d'Israele, e non permette a nessuna Chiesa cristiana di svolgere funzioni religiose. Solo Giovanni Paolo II e papa Francesco hanno avuto questa possibilità.

In passato si è spesso parlato di una cessione dell'uso del Cenacolo alla Custodia di Terra santa, che era l'originaria proprietaria del Luogo santo, prima che ottomani e poi israeliani la requisissero. Vicino al cenacolo appaiono spesso scritte offensive e violente contro i cristiani. Nei giorni precedenti alla visita di papa Francesco, gruppi di ebrei ultraortodossi hanno manifestato a Gerusalemme e sul Monte Sion, dichiarandosi contrari alla cessione del Luogo santo ai cristiani. Ma il governo ha precisato che il Cenacolo rimane proprietà dello Stato.

Spesso i pellegrini cristiani visitano anche la cosiddetta "tomba del re David" al piano terreno, soffermandosi talvolta in preghiera. Il gruppo di manifestanti ha considerato questo un gesto di "blasfemia" e "una provocazione". Per questo hanno voluto occupare il Luogo santo al piano superiore pregando e danzando e cacciando via i fedeli cristiani. (R.P.)

inizio pagina

Card. Onaiyekan: "amnistia condizionata per Boko Haram"

◊  

“Sebbene il compito del governo sia quello di assicurare la giustizia e di garantire l’ordine, e ciò comporta il punire i criminali, questo non esclude l’offerta del perdono e dell’amnistia” afferma il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, in un messaggio rivolto ai nigeriani, inviato anche all’agenzia Fides.

Il cardinale ricorda che il Presidente Goodluck Jonathan abbia di recente avanzato la proposta di concedere l’amnistia ai membri di Boko Haram che decidono di deporre le armi. Una scelta che rischia di creare scontento nel Paese, soprattutto ora che le azioni della setta islamista continuano a mietere vittime, mentre non si hanno notizie certe delle circa 200 studentesse rapite ad aprile nel nord della Nigeria. Altre 20 ragazze sono state catturate il 7 giugno in una località del nord-est. Il card. Onaiyekan ritiene che in certe occasioni concedere l’amnistia sia “un rischio calcolato per raggiungere il più alto fine della pace e della riconciliazione”.

Questo non significa, precisa il cardinale, che non bisogna esercitare tutti gli sforzi per riportare a casa le ragazze rapite. “Dovrebbe essere chiaro a tutti che non si tratta di conferire dignità all’ impunità e di creare un precedente per ricattare in futuro il governo con la violenza” sottolinea il messaggio. “La motivazione deve essere il perseguimento della pace e della riconciliazione con persone che ammettono di aver sbagliato e si dichiarano pronte a pentirsi. Non è quindi sufficiente deporre le armi. Ci deve anche essere un cambiamento sincero del cuore.” Il cardinale sottolinea infine la necessità di risarcire, per quanto è possibile, le vittime di Boko Haram. (R.P.)

inizio pagina

Myanmar: appello di pace per le minoranze kachin

◊  

La fine della guerra alle minoranze kachin, lo stop alle violenze e agli abusi dei diritti umani, l’avvio di un serio tavolo di negoziato: è quanto chiede un forum di oltre 55 organizzazioni birmane e internazionali, tra le quali “Christian Solidarity International”, a tre anni dalla ripresa dell’offensiva militare lanciata dal governo birmano contro le minoranze etniche kachin nel nord del Paese.

A giugno di tre anni fa, l'esercito birmano ha violato il cessate il fuoco di 17 anni con il “Kachin Independence Army” (KIA) e scatenato una vasta offensiva militare contro il popolo kachin. Dal 9 giugno 2011, oltre 120.000 Kachin sono stati costretti a fuggire dalle loro case e almeno 200 villaggi sono stati distrutti, con il dispiegarsi di una emergenza umanitaria. 

Negli ultimi mesi si sono tenute diverse sessioni di colloqui di pace. Tuttavia l'esercito birmano ha continuato l’offensiva. I militari, notano le associazioni in un documento inviato a Fides, “hanno commesso violazioni dei diritti umani in assoluta impunità. Tra gli abusi più odiosi, ci sono accuse credibili di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, che meritano un'indagine immediata: deliberati attacchi contro i civili da parte delle forze militari, stupri e altre forme di violenza sessuale, esecuzioni sommarie, detenzioni arbitrarie, torture e restrizioni alla fornitura di assistenza umanitaria”.  

Nel terzo anniversario dell’offensiva, le organizzazioni firmatarie chiedono al governo della Birmania di cessare immediatamente i suoi attacchi nello stato Kachin, e di rispettare pienamente le leggi internazionali sui diritti umani e umanitari. “Chiediamo la protezione urgente degli sfollati, e l'accesso umanitario senza ostacoli, con il sostegno della comunità internazionale”.

 Si invita inoltre il governo birmano a “fornire il pieno risarcimento a tutti gli sfollati a causa del conflitto, per consentire loro di ricostruire le case, le aziende, le scuole, le cliniche, le aziende agricole”, Infine, “dato il rifiuto del governo della Birmania a indagare e ad agire per porre fine alle violenze, la comunità internazionale dovrebbe istituire un'inchiesta indipendente sugli abusi dei diritti umani contro i kachin”. Le associazioni chiedono a tutti i protagonisti di compiere ogni sforzo necessario per garantire alle minoranze etniche di “vivere in vera libertà e in una pace duratura”. (R.P.)

inizio pagina

Chiese europee: appello per la liberazione di Meriam

◊  

“Esprimiamo sgomento profondo e preoccupazione per la sorte della signora Meriam Yahya Ibrahim, condannata a cento frustate e alla morte per impiccagione con l’accusa di apostasia e adulterio. Recentemente ha dato alla luce una bambina mentre era in prigione”. I presidenti delle istituzioni Ue e tutti i leader religiosi presenti alla riunione di alto livello in corso a Bruxelles, che include rappresentanti cristiani, musulmani, ebrei, indù, sikh e mormoni - riferisce l'agenzia Sir - sottolineano l’“obbligo internazionale del Sudan per proteggere la libertà di religione e di credo e unanimemente invitano le autorità sudanesi responsabili e la Corte d’appello a revocare questo verdetto disumano, rilasciando subito Meriam.

I partecipanti alla riunione di Bruxelles “apprezzano il fatto che la Corte d’appello ha accolto il ricorso”; chiedono inoltre che il governo sudanese, “in linea con i diritti umani universali”, abroghi ogni disposizione legislativa che “penalizzi o discrimini le persone per le loro convinzioni religiose” o nel caso in cui decidessero di cambiare fede religiosa. Dall’incontro tra istituzioni Ue e rappresentanti religiosi emerge la convinzione che “la libertà di religione e di credo è un diritto umano universale” essenziale secondo l’Unione europea e “deve essere protetto ovunque e per tutti” nel mondo. (R.P.)

inizio pagina

Mondiali di calcio: allarme per la sicurezza dei minori

◊  

A due giorni dell'inizio del Campionato mondiale di calcio, che si terrà dal 12 giugno al 13 luglio in 12 città brasiliane, un gruppo di istituzioni ha lanciato l’allarme sulla sicurezza di bambini e adolescenti. Lo scopo principale è garantire la loro protezione in caso di violazione dei diritti dei ragazzi. La nota inviata all'agenzia Fides da Adital riferisce che, secondo queste istituzioni, nell'organizzazione dei Mondiali 2014 i minori sono stati trascurati, perché la priorità era soddisfare le richieste urgenti di infrastrutture.

La nota riporta che il 7 giugno funzionari del Ministero dei lavori pubblici e il Controllore regionale del lavoro hanno identificato cinque bambini (10 e 11 anni) e otto adolescenti (da 12 a 16) che, agli angoli di quattro grandi vie della città di Fortaleza, erano impegnati a vendere prodotti collegati ai Mondiali. Fortaleza, una delle città che ospitano i Mondiali, non dispone di una rete di assistenza per i bambini e gli adolescenti vittime di violenza sessuale, e già si prevede che durante lo svolgimento dei Mondiali il rischio per loro sarà notevolmente maggiore.  

Al momento di gestire gli investimenti infatti "le risorse pubbliche sono state destinate alle opere, secondo gli accordi con la Fifa, invece di concedere queste risorse alle politiche di assistenza di base quali alloggio, sanità e istruzione" afferma un rapporto del Centro Difesa del Bambino e dell'Adolescente (Cedeca).
Secondo la rete Ecpat Brasile (una coalizione di organizzazioni della società civile che lavorano per eliminare lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti), delle 275.638 denunce di violazioni dei diritti dei bambini e degli adolescenti registrate tra maggio 2003 e marzo 2011, nelle 12 città che ospiteranno i campionati mondiali di calcio, 27.664 sono quelle relative allo sfruttamento sessuale, una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani. (R.P.)

inizio pagina

La presenza dei cattolici in Turchia

◊  

Mons. Ruggero Franceschini, cappuccino, presidente della Conferenza episcopale turca (Cet), arcivescovo latino di Smirne e da ormai quattro anni anche amministratore apostolico del vicariato apostolico dell’Anatolia, ha detto che, secondo i dati più aggiornati, i cattolici in Turchia sono 47 mila (0,06%) su oltre 75 milioni di abitanti, suddivisi in 7 circoscrizioni, o diocesi, distribuiti in 55 parrocchie (poco meno della metà delle quali sono senza parroco) e 11 sedi pastorali. Alla loro assistenza spirituale pensano 5 vescovi, 13 sacerdoti secolari, 57 del clero religioso, circa 70 consacrati, una decina di missionari laici e poco più di 60 catechisti.

Numeri piccoli, che si scontrano con la vastità di un Paese (774.8209 kmq) e che costringe i sacerdoti a lunghe ore di viaggio per raggiungere piccole comunità cristiane, celebrare l’Eucaristia, guidare un  momento di preghiera o di formazione, amministrare i Sacramenti e cercare di essere “punto di riferimento” soprattutto per i cattolici stranieri arrivati nel Paese. 

La “missione” in Turchia fu affidata nel 1927 ai Frati Cappuccini della Provincia di Parma, che hanno svolto (e svolgono) un intenso apostolato, portato avanti oggi con l’aiuto di alcuni confratelli polacchi e un paio di Religiosi conventuali romeni, a Yeşilköy (città vicina all’aeroporto di Istanbul), Izmir, Efeso (Santuario di Meryem Ana), Antakia, Adana e Iskenderun. 

Si deve a loro il recupero e la valorizzazione della chiesa di Tarso, nonché l’organizzazione di pellegrinaggi affidati all’agenzia Eteria, da loro fondata negli anni ’80 del secolo scorso. “Con un numero maggiore di persone, e non parlo solo di sacerdoti - ha detto mons. Franceschini -  riusciremmo a fare molto di più. Ma facciamo fatica ad avere sacerdoti e missionari anche da Paesi tradizionalmente generosi come la Polonia. Da più di tre anni ci stiamo prodigando nell’aiuto dei profughi siriani in fuga dal loro Paese. Ma anche noi avremmo bisogno di un certo supporto, se non altro per restaurare le chiese, perché, una volta crollate, non possono essere più ricostruite. Chi ha capito questa necessità, e merita per questo il nostro ringraziamento, è il neo eletto Segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, che si è subito mosso per aiutare una nostra comunità cristiana la cui chiesa sta crollando!”. (A cura di padre Egidio Picucci)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 161

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.

￿