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Sommario del 09/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Francesco, Peres, Abbas e Bartolomeo in Vaticano pregano per la pace
  • P. Lombardi: un contributo forte per il dono della pace
  • Il Papa: le Beatitudini, programma pratico di santità
  • Lieve indisposizione, Papa rinvia alcuni impegni della mattina
  • Papa Francesco crea nuova diocesi in Messico
  • Tweet del Papa: non sparliamo degli altri alle spalle, ma diciamo loro ciò che pensiamo
  • Convegno su Pio X, Papa riformatore di fronte a sfide nuovo secolo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina: miliziani filorussi contrari al dialogo con Kiev
  • Bilaterale USA-Iran sul nucleare: prove di dialogo
  • Immigrati. Centro Astalli e Migrantes: intervenga l'Ue
  • La onlus Apurimac in Nigeria: costruire solidaretà crea pace
  • L'italiano in frontiera, il convegno di Radio Capodistria
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Messico: la Carovana dei migranti chiede il riconoscimento di rifugiati
  • Congo: chiesta la liberazione di 900 ostaggi tra cui 3 preti
  • Egitto: il neo presidente al-Sisi esalta il ruolo della Chiesa copta
  • Centrafrica: fallito il disarmo volontario
  • Il Papa e la Santa Sede



    Francesco, Peres, Abbas e Bartolomeo in Vaticano pregano per la pace

    ◊   Un momento storico, un’immagine indelebile: l’incontro di preghiera in Vaticano con Francesco e i presidenti israeliano e palestinese, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, alla presenza del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e del custode di Terra Santa padre Pizzaballa. Le invocazioni sono risuonate in lingue diverse, ma tutte rivolte alla richiesta di pace in Medio Oriente. Dopo i discorsi di Francesco e dei due presidenti, è seguito l’incontro privato. Chiedo a tutte le persone di buona volontà - aveva scritto il Papa nel tweet di oggi - di unirsi a noi nella preghiera per la pace in Medio Oriente. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    La forza della preghiera per arrivare alla pace in Medio Oriente, e questa forza si è elevata da un piccolo angolo dei Giardini Vaticani, dove Francesco, Shimon Peres e Mahmoud Abbas hanno pregato l’uno accanto all’altro. Tre diversi momenti di grande emozione per ringraziare Dio della Creazione, per chiedere perdono, per invocare la pace, preceduti dagli abbracci tra il Papa e i due leader e tra gli stessi Peres e Abbas, alla presenza del Patriarca Bartolomeo I. Pace fra i popoli, hanno ripetuto ebrei, cristiani e musulmani, nelle loro preghiere, pace in Terra Santa hanno detto nei loro discorsi il Papa e i due presidenti. “Spero che questo incontro sia un cammino alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide” - ha detto Francesco - un incontro “accompagnato dalla preghiera di tantissime persone”, di religioni, culture e patrie diverse, ma che hanno pregato per un momento che, ha aggiunto Papa Francesco, “risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o da nemici”:

    “Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, è vero, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”.

    Quei figli sono caduti sotto i colpi di guerra e violenza, e in memoria di quegli stessi figli, affinché il loro sacrificio non sia vano, Francesco ha chiesto ai suoi ospiti di avere “il coraggio della pace, di perseverare nel dialogo ad ogni costo, e di avere la pazienza di tessere la trama sempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica”:

    “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”.

    Per arrivare alla pace, dunque, ci vuole l’aiuto di Dio. Il Papa ha ricordato che la storia insegna che le sole forze degli uomini non bastano per raggiungerla, di qui l’urgenza di “alzare tutti lo sguardo al Cielo e riconoscerci figli di un solo Padre”. Il Papa ha quindi chiuso con una preghiera per chiedere l’intercessione della Madonna e che la parola ‘pace, shalom, salam’, diventi stile della nostra vita.

    Un sentito ringraziamento a Francesco per aver condotto alla realizzazione dell’incontro in Vaticano è stato rivolto sia da Shimon Peres sia da Mahmoud Abbas che, in successione, hanno preso la parola per il loro discorso. Il presidente israeliano, che ha definito il Papa “costruttore di ponti di fratellanza di pace”, ha elevato la sua invocazione ribadendo la necessità di adoperarsi tutti per raggiungere la pace, anche a costo di sacrifici e compromessi, perseguendola anche quando sembra lontana, per portarla ai figli, perché questo è il dovere e la missione santa dei genitori:

    (parole in ebraico)
    “Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”.

    La realizzazione della verità, della pace e della giustizia in Palestina è stata la richiesta di Mahmoud Abbas, perché il popolo palestinese, musulmani, cristiani e samaritani, desiderano una pace giusta, una vita degna e la libertà, un futuro prosperoso con libertà in uno Stato sovrano e indipendente. Abbas ha quindi citato Giovanni Paolo II, quando disse: “Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero”:

    (parole in arabo)
    “Perciò ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina e Gerusalemme, insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche”.

    Con le parole del Papa, del presidente israeliano e di quello palestinese si è chiuso l’incontro di preghiera per la pace in Medio Oriente, suggellato dal gesto di pace di un cordiale abbraccio e da quello del piantare un ulivo di pace a memoria di un evento di portata storica.

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    P. Lombardi: un contributo forte per il dono della pace

    ◊   E, sullo storico evento che ha portato tutto il mondo a guardare alla Terra Santa con occhi di speranza, sentiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, intervistato da Roberto Piermarini:

    R. – Papa Francesco, d’accordo con gli altri partecipanti a questo incontro, ha voluto dare un segno molto forte di appello a Dio, di apertura e quindi di un orizzonte di impegno più grande e differente, a servizio della pace. E, come diceva il Padre Custode due giorni fa, bè, forse non scoppierà la pace, nel senso che la situazione non è che cambierà da un giorno all’altro in Medio Oriente; però, certamente le persone di buona volontà e le persone che credono in Dio hanno dato un contributo nuovo, un contributo forte, con tutte le loro forze per appellarsi all’aiuto della grazia del Signore, al dono della pace – la pace, noi crediamo che sia un dono – e alla capacità dei cuori di convertirsi ad un atteggiamento diverso. Il Papa parla sempre della cultura dell’incontro: ebbene, quello di ieri è stato veramente un incontro tra le persone, sotto il segno della fede.

    D. – Oltre alle parole, hanno colpito i gesti, nell’incontro di ieri …

    R. – Certamente. Ci sono state delle strette di mano, ma ci sono stati gli abbracci: abbracci sinceri; oltre a piantare l’ulivo, che è un segno classico dei gesti, dei momenti in cui si cerca di costruire la pace. Direi che gli abbracci si sono manifestati molto sinceri. In particolare, quello che ha colpito, e che era molto desiderato e atteso, è stato l’abbraccio tra i due presidenti che è stato un momento di “liberazione” dei protagonisti, dei popoli che desiderano sinceramente la pace, però hanno difficoltà a trovarne la via. Ecco: questa nostalgia della pace, questa volontà, anche, di pace è stata ben manifestata dagli abbracci di ieri.

    D. – Ecco: questa mattina i giornali sottolineano la frase del Papa, di avere il coraggio della pace …

    R. – Questo incontro stesso è stato un atto di coraggio, perché il realismo timido fa inclinare allo scoraggiamento di fronte ai tanti fallimenti che si incontrano sulla strada della pace. Ma il credente - e anche le citazioni bibliche che ieri sera sono risuonate lo dicono in tanti modi - è colui che continua a guardare verso Dio e da lì attinge il coraggio di cui ha bisogno. Il Papa parla spesso delle sorprese nella storia che possono venire dallo Spirito del Signore che irrompe: per noi credenti cristiani, ieri era anche la Pentecoste, il momento della discesa dello Spirito che rinnova la Creazione. Ecco, noi crediamo che sia sempre possibile qualche cosa di nuovo e questo lo chiediamo a Dio e cerchiamo di metterci in cammino anche noi, con tutte le nostre forze.

    D. – Quanto è stata importante in questo incontro la presenza di Bartolomeo I?

    R. – Bartolomeo ha dato questo segno dell’ecumenismo cristiano. In fondo, non bisogna dimenticare che quella di ieri sera era, in un certo senso, la vera conclusione del viaggio in Terra Santa, perché era un evento lanciato e preparato con il viaggio in Terra Santa, in cui Bartolomeo era stato protagonista, insieme con il Papa, perché era stata l’occasione della commemorazione dell’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora, quella che aveva dato origine all’incontro in Terra Santa. Ecco. Quindi, Bartolomeo ha manifestato questo fatto che per tutti i cristiani, per tutte le confessioni cristiane, anche Gerusalemme e la Terra Santa sono fondamentali, e quindi tutti i cristiani del mondo si uniscono a questo desiderio e a questa preghiera per la pace. Non è solo Papa Francesco, con il suo carisma; non sono solo i cattolici, ma sono tutti i cristiani che si uniscono a tutti i fedeli, ebrei e musulmani, nel cercare la pace di questa Regione che è così importante per tutti. Per questo è stata importante ieri sera anche la presenza del Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo, il “primus” della comunità cristiana di Gerusalemme, come pure del Patriarca latino Twal.

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    Il Papa: le Beatitudini, programma pratico di santità

    ◊   Le Beatitudini sono il programma di vita del cristiano. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha incentrato proprio sulle Beatitudini la sua omelia, rimarcando – all’indomani dello storico incontro di pace in Vaticano – che bisogna avere il coraggio della mitezza per sconfiggere l’odio. Il servizio di Alessandro Gisotti

    Le Beatitudini sono il “programma”, “la carta d’identità del cristiano”. Papa Francesco ha offerto, nella sua omelia, una intensa meditazione sulle Beatitudini, di cui parla il Vangelo odierno. “Se qualcuno di noi – ha affermato – fa la domanda: ‘Come si fa per diventare un buon cristiano?’”, qui troviamo la risposta di Gesù che ci indica cose “tanto controcorrente” rispetto a quello che abitualmente “si fa nel mondo”. Beati i poveri in spirito. “Le ricchezze – ha avvertito il Papa – non ti assicurano niente. Di più: quando il cuore è ricco, è tanto soddisfatto di se stesso, che non ha posto per la Parola di Dio”. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati:

    “Ma il mondo ci dice: la gioia, la felicità, il divertimento, quello è il bello della vita. E ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia. Il mondo non vuole piangere, preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore, è felice e sarà consolata. La consolazione di Gesù, non quella del mondo. Beati i miti in questo mondo che dall’inizio è un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio. E Gesù dice: niente guerre, niente odio, pace, mitezza”.

    Se io sono “mite nella vita”, ha proseguito, “penseranno che io sono uno stolto”. Pensino pure quello, ha detto il Papa, “ma tu sei mite, perché con questa mitezza avrai in eredità la Terra”. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati – ha soggiunto – quelli “che lottano per la giustizia, perché ci sia giustizia nel mondo”. “E’ tanto facile – ha ammonito – entrare nelle cricche della corruzione”, “quella politica quotidiana del do ut des. Tutto è affari”. E “quante ingiustizie. Quanta gente che soffre per queste ingiustizie”. E Gesù dice: “Sono beati quelli che lottano contro queste ingiustizie”. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. I misericordiosi, ha affermato, “quelli che perdonano, che capiscono gli errori degli altri”. Gesù, ha evidenziato il Papa, non dice “beati quelli che fanno la vendetta, che si vendicano”:

    “Beati quelli che perdonano, misericordiosi. Perché tutti noi siamo un esercito di perdonati! Tutti noi siamo stati perdonati. E per questo è beato quello che va per questa strada del perdono. Beati i puri di cuore, che hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella. Beati gli operatori di pace. Ma, è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi! Quando io sento una cosa da questo e vado da quello e la dico e anche faccio una seconda edizione un po’ allargata e la riporto… Il mondo delle chiacchiere. Questa gente che chiacchiera, non fa pace, sono nemici della pace. Non sono beati”.

    Beati i perseguitati per la giustizia. Quanta gente, ha constatato, “è perseguitata, è stata perseguitata semplicemente per avere lottato per la giustizia”. Questo delle Beatitudini, ha ripreso il Papa, “è il programma di vita che ci propone Gesù”, “tanto semplice, ma tanto difficile”. E, ha proseguito, “se noi volessimo qualcosa di più, Gesù ci dà anche altre indicazioni”, quel “protocollo sul quale noi saremo giudicati”, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Sono stato affamato e mi hai dato da mangiare, ero assetato e mi hai dato da bere, ero ammalato e mi hai visitato, ero in carcere e sei venuto a trovarmi”. Con queste due cose – Beatitudini e Matteo 25 – “si può vivere la vita cristiana a livello di santità”:

    “Poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla. Oggi, se voi avete un po’ di tempo a casa, prendete il Vangelo, il Vangelo di Matteo, capitolo quinto, all’inizio ci sono queste Beatitudini; capitolo 25, ci sono le altre. E vi farà bene leggerlo una volta, due volte, tre volte. Ma leggere questo, che è il programma di santità. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio”.

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    Lieve indisposizione, Papa rinvia alcuni impegni della mattina

    ◊   Agenda giornaliera in parte annullata. Il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ha informato i media che “per una lieve indisposizione” Papa Francesco ha rinviato alcuni degli impegni della mattina, tra cui l’incontro con il priore della Comunità di Bose, padre Enzo Bianchi, e l’udienza al Consiglio superiore della magistratura. Il motivo, ha spiegato padre Lombardi, è dovuto alla stanchezza accumulata ieri durante l’incontro per la pace in Vaticano.

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    Papa Francesco crea nuova diocesi in Messico

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, il direttore generale dell'Organizzazione mondiale per la Proprietà intellettuale, Francis Gurry, e l’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania in visita di congedo, Reinhard Schweppe.

    In Messico, il Papa ha eretto la diocesi di Izcalli, con territorio dismembrato dalla diocesi di Cuautitlán, rendendola suffraganea dell’arcidiocesi di Tlalnepantla. Come primo vescovo, il Pontefice ha mons. Francisco González Ramos, finora rettore del Seminario maggiore di Irapuato. Mons. González è nato il 17 agosto 1958, a Pueblo Nuevo, Stato di Guanajuato. Ha compiuto la sua formazione iniziale nel Seminario dell’arcidiocesi di León, ed è stato ordinato sacerdote il 18 luglio 1982 per la circoscrizione di León. Nel 2004 è passato al clero della nuova diocesi di Irapueato. Ha conseguito la Laurea in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Ha svolto diversi incarichi nel campo formativo come Prefetto della disciplina nel Seminario minore e in quello maggiore e Professore nel Seminario maggiore di León. Dal 1997 è Parroco della parrocchia dello “Espíritu Santo” e, allo stesso tempo, è Membro dei diversi Consigli (Pastorale e di Governo; è anche Rettore del Seminario maggiore di Irapuato e Decano.

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    Tweet del Papa: non sparliamo degli altri alle spalle, ma diciamo loro ciò che pensiamo

    ◊   “Non sparliamo degli altri alle spalle, ma diciamo loro apertamente ciò che pensiamo”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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    Convegno su Pio X, Papa riformatore di fronte a sfide nuovo secolo

    ◊   “San Pio X - Un Papa riformatore di fronte a sfide del nuovo secolo", il titolo del Convegno, che si terrà giovedì 12 giugno a Roma, in occasione del centenario della morte di Papa Sarto. L’evento è stato presentato stamane nella Sala Stampa vaticana da Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, che ha promosso l’evento e dal prof. Alejandro Mario Dieguez, dell’Archivio Segreto Vaticano. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Fu essenzialmente un pastore d’anime”, cosi padre Bernard Ardura, presentando Giuseppe Sarto, nato da famiglia contadina il 2 giugno 1835, sacerdote, cappellano, poi parroco, canonico e cancelliere della Curia triestina, quindi vescovo di Mantova, infine cardinale e patriarca di Venezia, eletto al soglio pontificio con il nome di Pio X nel 1903. In realtà “un Papa ancora poco conosciuto e soprattutto mal conosciuto”, ritenuto un conservatore per la sua condanna del modernismo, giudizio che ne ha offuscato la memoria di riformatore - quale fu - in campo ecclesiale e sociale.

    “Amò i poveri, ai quali donava tutto quello che possedeva. Ostile al socialismo e al liberalismo, non mancò mai di preoccuparsi di tutto quanto potesse migliorare le condizioni di vita degli operai, incoraggiò le Casse Operaie parrocchiali, le Società di Mutuo Soccorso, gli uffici di collocamento popolare e per indirizzare il clero in questa direzione, istituì nel 1895 una cattedra di scienze economiche e sociali nel Seminario”.

    Conciliante verso il Regno d’Italia:

    “...ormai convinto che indietro non si sarebbe più ritornati. Riteneva necessario preparare un progressivo riavvicinamento tra la nuova Italia e la Santa Sede, abbandonando ciò che era transitorio nelle posizioni prese da papa Pio IX e Leone XIII dopo l’occupazione dello Stato Pontificio”.

    Il suo motto fu Instaurare omnia in Cristo, rivoluzionò in chiave pastorale le diocesi italiane, Roma compresa, e la stessa Curia romana, preparò il Codex Iuris Canonici, promosse la comunione eucaristica dei bambini e la comunione frequente degli adulti, incoraggiò l’azione cattolica, riformò la liturgia, promosse il canto e la musica sacra, il catechismo per i bambini e i giovani. Morto pochi giorni dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, ne aveva implorato la cessazione con l’esortazione Dum Europa:

    “È un testamento di pace dei più alti che siano stati consegnati alle future generazioni”.

    L’importanza di questo Convegno su San Pio X è di aprire nuove prospettive di analisi grazie alla pubblicazione di quattro volumi curati dall’Archivio Vaticano, ha aggiunto il prof. Dieguez

    “Si è potuto così recuperare ‘il Pio X della storia e non quello del mito, il Pio X del governo e delle riforme ecclesiastiche e non quello della pietà popolare’, ricomponendo la complessa e affascinante personalità di questo Pontefice”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Al tramonto del sole: in prima pagina, un editoriale del direttore sull'incontro, nei giardini vaticani, tra Francesco, Shimon Peres, Mahmoud Abbas e Bartolomeo.

    Caschi blu dello spirito: l'incontro di preghiera per la pace sui media internazionali.

    Maestro interiore: la messa e il Regina Caeli nella solennità di Pentecoste.

    Gioco di squadra: il Papa in piazza San Pietro con migliaia di ragazzi e ragazze del Centro sportivo italiano.

    Per eliminare lo stupro dall'arsenale delle armi da guerra: l'ambasciatore di Gran Bretagna presso la Sana Sede, Nigel Marcus Baker, sul summit - che si apre domani a Londra - dedicato alle violenze sessuali nei conflitti.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina: miliziani filorussi contrari al dialogo con Kiev

    ◊   In Ucraina, i miliziani filorussi escludono ogni ipotesi di dialogo con il governo di Kiev. Secondo i separatisti, che denunciano nuovi bombardamenti a Sloviansk con un numero imprecisato di vittime, non sono attendibili le parole del presidente ucraino, Petro Poroshenko, che ieri ha dichiarato di voler porre fine ai combattimenti entro questa settimana. Nuove speranze sono comunque riposte nel dialogo tra Russia e Ucraina. Amedeo Lomonaco ha intervistato Nicolò Sartori, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali:

    R. - I due presidenti hanno avviato un dialogo. Mosca riconosce l’autorità del nuovo presidente e, allo stesso tempo, non ci sono state grandi invasioni di campo durante le elezioni in Ucraina. Per cui penso che, da questo punto di vista, la fase iniziale sia di discreto ottimismo. C’è da dire, comunque, che è un processo estremamente complesso e lungo che non può avvenire totalmente dall’alto verso il basso.

    D. - Tra i segnali che confermerebbero un riavvicinamento tra Mosca e Kiev, anche la decisione delle autorità ucraine di liberare due giornalisti russi fermati nella regione di Donetsk, lo scorso 6 giugno, con l’accusa di spionaggio…

    R. - E’ un altro elemento di distensione. Sicuramente, Kiev dovrà essere supportata dagli alleati occidentali, però l’importante è che il dialogo bilaterale sia portato avanti dalla presidenza ucraina, che ha comunque una legittimazione e anche una sorta di riconoscimento da Mosca.

    D. - Un dialogo che ovviamente ha, tra i temi centrali, anche la questione economica, oggi al centro - a Bruxelles - dell’incontro tra Unione Europea, Russia ed Ucraina. Tra i nodi da sciogliere, il prezzo del gas e i debiti di Kiev con Mosca, che - secondo fonti russe - ammontano ad oltre 5 miliardi di dollari.

    R. - Molto gira intorno alla questione del prezzo e, in particolare, si deve stabilire a quale prezzo dovrà avvenire il pagamento dei debiti passati. Secondo quanto sostiene Mosca, i debiti dovranno essere basandosi sui prezzi pieni, per cui attorno ai 480 dollari per mille metri cubi. Mentre, quantomeno per i debiti fino a marzo, l’Ucraina vorrebbe un pagamento basato sui prestiti precedenti, poco meno del 50% attorno ai 268 dollari.

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    Bilaterale USA-Iran sul nucleare: prove di dialogo

    ◊   A Ginevra, l’incontro bilaterale a sorpresa tra Stati Uniti e Iran sulla questione nucleare. Si cercherà di trovare un accordo tra i due Paesi, in vista del vertice del prossimo 20 luglio tra il governo di Teheran e i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Sui possibili scenari che si aprono in questi giorni, a ormai dieci anni dall’inizio della crisi sul nucleare iraniano, Gianmichele Laino ha intervistato Giorgio Alba, collaboratore dell’Istituto di Ricerche Internazionali “Archivio Disarmo”:

    R. – L’incontro sicuramente va nella direzione di dare il maggiore spazio possibile ai negoziati, per evitare di arrivare alla data del 20 luglio con un fallimento, quindi con un mancato accordo di lungo periodo, che possa stabilizzare la situazione in Medio Oriente, relativamente alla situazione dei programmi nucleari iraniani. Il tentativo è dovuto proprio alla vicinanza di un accordo, ma mancano ancora degli elementi che possano portare ad un esito di successo.

    D. – Il progetto sul nucleare in Iran ha comportato investimenti importanti in termini di infrastrutture e nelle ultime settimane il presidente Rohani ha ripetuto che il suo Paese non intende rinunciare al programma sul nucleare. Alla luce di questo, come si fa a pensare a un ridimensionamento della politica energetica iraniana?

    R. – La parola “ridimensionamento” è una parola che sicuramente non è tra ciò che può essere accettabile per il governo iraniano. E’ accettabile per il governo statunitense, per Obama, è accettabile per gli europei. Purtroppo, non è accettabile per Israele. Quindi, adesso la situazione non è tanto il programma energetico, ma le potenziali ricadute tecnologiche del programma energetico iraniano. Israele al momento ha segnalato di non essere nel campo occidentale e quindi di essere pronto in futuro a sferrare un attacco militare.

    D. – Invece, cosa ha portato gli Stati Uniti ad accettare un confronto diretto con l’Iran?

    R. – L’Iran è un Paese asiatico che svolge un ruolo importante, anche se non svolge un ruolo di massima importanza per gli Stati Uniti. L’attenzione degli Stati Uniti si sta spostando molto più verso il Pacifico. Gli Stati Uniti sono ancora legati alla questione iraniana per le alleanze militari e per le garanzie anche indirette, che garantiscono a Israele e agli altri Paesi del Medio Oriente. In realtà, per gli Stati Uniti la questione dell’Iran potrebbe essere risolta tramite un tacito accordo, in cui si concede una potenziale capacità militare all’Iran e quindi lo sviluppo di un nucleare energetico e in cambio l’Iran garantisce una maggior collaborazione e un aiuto sporco, anche indiretto, agli Stati Uniti. Pensiamo soltanto alla questione del gas, a come sia collegata all’esportazione potenziale dell’Iran del gas naturale e alla questione dell’Ucraina. Quindi garantire, attraverso il trasferimento del gas via nave, rifornimenti energetici all’Europa, per ridurre la capacità di influenza della Russia. E’, dunque, l’intero scacchiere asiatico che dipende in parte da quelli che saranno gli esiti di questi due giorni di negoziato. Per questo sono importanti. Non è la questione in sé, del nucleare iraniano, che ha la principale importanza per gli Stati Uniti e per l’Unione Europea.

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    Immigrati. Centro Astalli e Migrantes: intervenga l'Ue

    ◊   Sono arrivate sulle coste italiane le navi con a bordo i profughi salvati nelle ultime ore in diverse operazioni. Fra loro molte donne e minori. E’ intanto alla verifica degli inquirenti il filmato che documenta la morte di tre migranti, ieri, durante le fasi di soccorso da parte di una nave petroliera. Sarebbero annegati perché tenuti sott’acqua dal gommone rovesciato. E nel frattempo, si torna insistentemente a parlare di emergenza. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    600 profughi a Palermo, 1300 a Taranto, oltre 300 a Pozzallo. Sono i numeri degli arrivi delle ultime ore sulle coste italiane. I barconi, tutti partiti dalla Libia, con a bordo soprattutto siriani e sudanesi, sono stati intercettati dal dispositivo di "Mare Nostrum". Tra i migranti molte donne, tra le quali diverse in stato di gravidanza, e alcuni minori. I centri di accoglienza sono ormai al collasso, tanto che a Palermo molti dei rifugiati verranno ospitati in alcune parrocchie messe a disposizione della Curia e nei locali della Caritas diocesana. E’ un’emergenza ripetono gli amministratori locali e nazionali. Espressione che padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati, rimanda al mittente:

    R. – Non è un’emergenza: basta con l’utilizzo di questo termine! Abbiamo assistito a sbarchi anche numerosi, ma fossero anche 50-60 mila persone, io ricordo che noi italiani, come popolazione, siamo 60 milioni, quindi, non ci possiamo spaventare. Non è una questione di emergenza, non è una questione di numeri. E’ questione che l’Unione Europea o affronta le criticità che si presentano e tenta, con dignità e con giustizia, di dare delle risposte, ma soprattutto di intervenire sui conflitti che portano tante persone a dover lasciare il proprio Paese, o ci troveremo sempre in questa situazione. Le persone che scappano hanno diritto di chiedere una protezione da noi. Ricordo che “Mare Nostrum” è uno strumento che salva le persone, purtroppo non le salva tutte come le ultime tragedie ci hanno dimostrato. E quindi ancora una volta l’appello è all’Unione Europea, perché si stabiliscano canali umanitari sicuri: consentiamo a queste persone di spostarsi in sicurezza e soprattutto, con questi canali umanitari, li sottraiamo allo sfruttamento dei trafficanti. Ricordiamoci anche che Giordania e Libano stanno portando il peso più significativo di questa tragedia che è la guerra in Siria alla quale, come comunità internazionale, continuiamo ad assistere impotenti, indifferenti, incapaci di pacificare quel territorio.

    D. – Lei giustamente sottolineava il peso che stanno sopportando i Paesi limitrofi alla Siria. Questo stesso peso, ovviamente in proporzioni totalmente diverse, in questo momento lo stanno sopportando alcuni Comuni della Sicilia…

    R. – Sì. A questo noi possiamo rispondere in maniera dignitosa: se io lascio in territorio siciliano tutte le persone che sbarcano, è logico che si crea una situazione di criticità. Sappiamo che ormai il territorio potrebbe essere saturo, dunque preoccupiamoci di distribuirle sul nostro territorio, su tutto – e sottolineo tutto – il nostro territorio e questa criticità della Sicilia verrà superata. Non è un caso che tra gli ultimi sbarchi, le navi abbiamo portato le persone a Taranto. Sarebbe reagire con dignità e nel rispetto dei diritti di queste persone. Va rivista tutta la politica europea. Chi ha promesso un’Europa diversa in campagna elettorale è chiamato a tenere fede alle sue promesse e a trasformare le politiche di chiusura e di contrasto dell’Unione Europea in politiche capaci di risolvere i conflitti e di accogliere come “Unione” europea. Non è una criticità italiana o greca o spagnola: è in ballo la dignità, la capacità di essere giusta dell’intera Ue.

    Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei, difende dalla sua istituzione nell’ottobre scorso, l’operazione "Mare Nostrum", da molti additata quale causa dell’aumento degli sbarchi sulle coste italiane:

    R. – Occorre tenere assolutamente ferma l’iniziativa di "Mare Nostrum". Semmai, l’Europa va resa sempre più consapevole del valore di questa iniziativa, che sta non solo salvando le persone, ma sta anche, soprattutto, controllando un mare che, diversamente, sarebbe controllato dai trafficanti. Chiaramente, questa iniziativa da sola non basta. Occorre rafforzare maggiormente gli accordi internazionali e, al tempo stesso, occorre rendere reale e operativa l’iniziativa di pace che il Papa ha portato avanti, soprattutto per quanto riguarda la Siria. Questo significherebbe, infatti, ridare ad un Paese, a un popolo, una pace che è una delle condizioni per cui le persone non partano soprattutto dal Medio Oriente e dalla Siria. Un secondo fatto, certamente importante, è che occorre un supplemento di accoglienza, non solo per quanto riguarda l’Italia, ma per quanto riguarda l’Europa. Oggi, il supplemento di accoglienza lo sta dando solo la Sicilia.

    D. – A Palermo, sono sbarcate nelle ultime ore centinaia di persone, che non possono essere ospitate nei centri di accoglienza che sono saturi...

    R. – Occorre certamente allargare la possibilità di accoglienza, non solo in Sicilia, ma anche, soprattutto, nel contesto italiano. Alcune città non si sono rese disponibili. Occorre, invece, in questo momento, allargare questo progetto. Resta comunque il tema della pace un aspetto importante: non possiamo dimenticare le e-mail che arrivano tutti i giorni, anche a Migrantes, dove le persone chiedono un aiuto per fuggire dalla guerra.

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    La onlus Apurimac in Nigeria: costruire solidaretà crea pace

    ◊   E’ l’unica onlus italiana ad operare nel centro della Nigeria. A Jos, da alcuni anni, l’Associazione "Apurimac", che sostiene le missioni agostiniane, ha dato vita a scuole e centri di formazione avviando anche mediazioni di pace e campagne per favorire il dialogo interreligioso. Oggi, pur tra le difficoltà provocate dai recenti fatti di cronaca, la Onlus sta proseguendo la sua missione, sostenendo soprattutto la popolazione in difficoltà. Ci spiega come Maurizio Misitano, responsabile progetti dell’Area Cooperazione dell’Associazione Apurimac, al microfono di Tiziana Campisi:

    R. - L’associazione Apurimac è in Nigeria dal 2006. In un primo momento, si è occupata di interventi infrastrutturali: abbiamo costruito scuole, ospedali e centri di formazione. In un secondo momento, che corrisponde agli ultimi anni, si è dedicata molto alle attività che vengono sviluppate all’interno di questi centri di formazione, di questi edifici. In modo particolare, sta utilizzando tutto per un percorso di peace building, poiché siamo l’unica organizzazione italiana a lavorare nella zona centrale della Nigeria, troppo spesso teatro di scontri molto cruenti.

    D. - La situazione attuale come rende il vostro lavoro?

    R. - La Nigeria è un Paese complesso, difficile. E' un Paese dove devono convivere 250 etnie diverse. Oggi, la situazione è molto complicata. In modo particolare, l’attacco terroristico a Jos che ci vede particolarmente coinvolti - è lì che abbiamo la sede centrale della nostra Associazione ed è lì che abbiamo la maggior parte dei progetti - ha sicuramente peggiorato molto la condizione del nostro lavoro. Abbiamo precisamente due espatriati - Lionello e Alfonso - soprattutto abbiamo 30 persone nigeriane nel nostro staff. Siamo riusciti a creare un network di 60 associazioni locali, tutte impegnate per la pace ed il dialogo interculturale. Rispetto al passato - quando ad attacchi terroristici si reagiva in maniera molto violenta - questa volta la popolazione e tutti i leader hanno reagito cercando di frenare quelli che si stavano già auto-organizzando per creare una milizia interna che, spesso e volentieri, non faceva altro che peggiorare la situazione. Per cui, devo dire che da un punto di vista siamo soddisfatti per il lavoro di ricostruzione della pace che stiamo facendo, dall’altra però siamo sicuramente molto preoccupati perché la gente stessa è preoccupata.

    D. - La gente come vi vede in Nigeria?

    R. - Come una risorsa, come un’opportunità e tutti ci stanno aiutando, cristiani, cattolici, musulmani. Abbiamo inaugurato, nel gennaio dell’anno scorso, un centro di formazione in una zona musulmana di Jos e l’inaugurazione è stata fatta dal provinciale della Provincia agostiniana di Nigeria e dall’emiro locale. Quindi, un forte messaggio di dialogo. Questo centro di formazione sta formando centinaia di donne musulmane grazie, appunto, a un contributo di un’associazione con sfondo cattolico.

    D. - In questo momento, quali sono le necessità più urgenti?

    R. - Stiamo creando un fondo per un’emergenza: vogliamo aiutare quelle famiglie che sono state colpite dall’ultimo attacco terroristico che - ricordiamo - ha fatto almeno 118 morti. Quindi, c’è un’emergenza immediata perché hanno bisogno di tutto, dai generi alimentari alle coperte perché queste persone hanno perso tutto, hanno bisogno di medicine e in alcuni casi hanno bisogno di essere operate, quindi di un’assistenza sanitaria. Nel lungo periodo, il lavoro che stiamo facendo è di ricostruire la pace: abbiamo tre centri di formazione a Jos, un computer institute. Ci sono molte persone che lavorano per noi, quindi c’è bisogno soprattutto di un supporto economico per portare avanti questi centri.

    D. - Che notizie delle giovani rapite?
    R. - Notizie abbastanza confusionarie. Un giorno pare si siano trovate, il giorno dopo invece no. E’ chiaro che è una situazione complicata e che, a oggi, noi stessi non ce la sentiamo di dare notizie. Cerchiamo anche però di tranquillizzare le nostre giovani, perché noi stessi nelle periferie di Abuja abbiamo una scuola secondaria residenziale, quindi la stessa situazione di quando è avvenuto l’attacco di Boko Haram con il rapimento delle ragazze nel nord del Paese. Quindi, abbiamo rassicurato le famiglie e abbiamo rassicurato le giovani, e ma soprattutto le stiamo spingendo, stimolando, a continuare il loro percorso.

    D. - Come sostenervi?

    R. - In questo momento, abbiamo un fondo sul nostro sito:www.apurimac.it. Qui trovate tutte le informazioni per emergenza Nigeria, per comprare generi di prima necessità per le famiglie colpite a Jos. Nel lungo periodo, non vogliamo chiedervi aiuto: ci piacerebbe che le persone ci telefonassero e ci chiedessero cosa facciamo perché, alla fine, è soltanto dopo che ci avete conosciuto fino in fondo che potrete decidere se aiutarci in qualsiasi maniera. Quindi, l’appello è telefonateci per sapere che cosa facciamo in questo Paese e in altri Paesi comunque difficili.

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    L'italiano in frontiera, il convegno di Radio Capodistria

    ◊   L’italiano in Slovenia non solo come lingua di minoranza, ma come opportunità di integrazione tra diverse culture. E’ l’obiettivo del Convegno "L’italiano sulla frontiera. Est/ovest: opportunità e rischi", organizzato in occasione del 65.mo anniversario di Radio Capodistria. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Aljoša Curavić, caporedattore di Radio Capodistria:

    R. - Questo convegno è dedicato alla lingua italiana e ai 65 anni di Radio Capodistria, un'emittente che parla in italiano su questo territorio che insieme alle altre lingue che ospita, come lo sloveno e il croato, ha da sempre caratterizzato quest’area. Quindi, l’occasione era quella di monitorare - in occasione del 65.mo anniversario di Radio Capodistria ma anche di Radio Koper - lo stato di salute della lingua italiana in un’area di confine, ma da sempre votata, non solo al rispetto delle soggettività linguistiche che vi abitano, ma anche a quella dimensione eminentemente europea il dialogo multiculturale e multilingui stico. Questo è un po’ il motivo per cui ci siamo avventurati in questo seminario.

    D. - Cosa significa vivere l’italiano come lingua di minoranza?

    R. - Sicuramente, è una sfida quotidiana. Devo dire che l’italiano in quest’area istriana che appartiene alla Slovenia ha tutte le tutele normative. C’è però da dire ch,e da un punto di vista pratico, come spesso succede, queste tutele non vengono applicate oppure, se sì, solamente in parte. Da questo punto di vista, pensiamo sia molto importante il ruolo che svolgono i media della comunità italiana. Non mi riferisco solo a Radio Capodistria, ma anche a Tv Capodistria e al quotidiano “La voce del popolo”. Da questo punto di vista, è l’aspetto minoritario per quanto riguarda la lingua: è una lotta quotidiana, una lotta spesso ai limiti della sopravvivenza.

    D. - Quali sono le opportunità della lingua italiana?

    R. - Le opportunità sono quelle di dialogare, di portare un messaggio culturale di quest’area, di questa sparuta comunità di italiani che vivono in quest’area, alla popolazione di riferimento, quindi alla nazione madre. Quindi, questo è collegamento di una parte con la comunità italiana che è rimasta in Croazia divisa da un confine fino a ieri, ma oggi caduto - grazie a Dio - grazie all’inclusione della Croazia nella Comunità europea. Dall’altra, di portare questo ponte verso la nazione madre, quindi il Friuli-Venezia Giulia e verso la cultura italiana. Questa è sicuramente una grande opportunità, non solamente per la comunità nazionale, ma per tutto il territorio e per la popolazione slovena e croata di maggioranza.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Messico: la Carovana dei migranti chiede il riconoscimento di rifugiati

    ◊   La carovana dei migranti centroamericani, composta da un centinaio di persone, incontra oggi, i rappresentanti della Conferenza Episcopale Messicana. Il gruppo dei migranti, che provengono da Honduras, El Salvador, Guatemala e Nicaragua, chiede al governo messicano una risposta alla loro richiesta di essere accolti come rifugiati, domanda che hanno presentato alla Commissione dei rifugiati (Comar), posta sotto il Ministero degli Interni.

    Arrivati al Distretto federale il 4 giugno, i migranti si sono già incontrati con i quattro ambasciatori dei rispettivi paesi. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, l'incontro si è tenuto presso la sede della Commissione dei Diritti Umani del Distretto Federale. In quella circostanza hanno condiviso con i diplomatici le loro paure, hanno narrato le loro storie, le loro vite, le violazioni e gli abusi subiti durante il loro percorso. Ai rappresentanti dei loro Paesi, gli immigrati hanno chiesto sostegno, azioni concrete e di non essere indifferenti al loro dolore.

    "Vogliamo trovare insieme una soluzione a questo problema di fondo - ha dichiarato uno dei migranti - e vedere proposte per la creazione di posti di lavoro nei nostri paesi, con programmi sociali che riescano ad impedire alle persone di uscire forzatamente dal loro paese". La carovana dei migranti centroamericani è arrivata a Città del Messico per visitare la Basilica della Vergine di Guadalupe, dove hanno partecipato il 6 giugno ad una celebrazione liturgica presieduta da padre Giovanni Bizzotto, dei Missionari di San Carlo, e da padre Alejandro Solalinde, direttore della casa del migrante "Hermanos en El Camino". (R.P.)

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    Congo: chiesta la liberazione di 900 ostaggi tra cui 3 preti

    ◊   “Per la popolazione la priorità è la lotta contro i guerriglieri ugandesi dell’Adf-Nalu che hanno rapito almeno 894 persone, delle quali non si hanno più notizie” afferma un rappresentante della società civile del Nord Kivu (est della Repubblica Democratica del Congo) a suor Teresina Caffi , missionaria saveriana, che ha inviato all’agenzia Fides una nota sulla complessa situazione dell’area dove agiscono diversi movimenti armati. “La Forza d’Intervento Africana afferma invece che la priorità delle Nazioni Unite sono i guerriglieri rwandesi dell’Fdlr. Perché non ascoltano la popolazione?” continua il rappresentate della società civile.

    “L’Fdlr costituiscono una minaccia, ma non detengono quasi novecento persone in ostaggio! Vogliamo recuperare queste persone, tra le quali ci sono tre preti (si tratta dei padri assunzionisti di nazionalità congolese, Jean-Pierre Ndulani, Anselme Wasikundi e Edmond Bamutute, scomparsi la sera del 19 ottobre 2012, nella loro parrocchia Notre-Dame des Pauvres di Mbau, un medico, quattro operatori di Msf-France, più di 250 bambini e diverse centinaia di donne. Sapere la loro sorte è per noi una priorità” conclude l’attivista per i diritti civili. (R.P.)

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    Egitto: il neo presidente al-Sisi esalta il ruolo della Chiesa copta

    ◊   Nel giorno del suo giuramento come nuovo Presidente dell'Egitto, l'ex generale Abdel Fattah al-Sisi ha reso omaggio con parole impegnative al ruolo svolto dalla Chiesa copta nel passato e nel presente del grande Paese arabo. Nel suo discorso alla nazione, pronunciato domenica sera presso il Palazzo el-Quba – che probabilmente diventerà la nuova residenza presidenziale – al-Sisi ha dedicato un importante passaggio ai cristiani: “Il nuovo Presidente” riferisce all'agenzia Fides Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh, “ha detto che la Chiesa ha ricoperto un ruolo saliente nella storia dell'Egitto e ha dato un contributo innegabile alla salvaguardia dell'unità nazionale, fronteggiando coloro che fomentavano i conflitti all'interno del popolo egiziano. Il Presidente” aggiunge Anba Antonios, ha detto pure che la Chiesa, insieme all'Università sunnita di al-Azhar, può dare un contributo prezioso per liberare il discorso religioso dalle strumentalizzazioni che ha subito negli ultimi anni”.

    Nella mattina di domenica, il Patriarca copto ortodosso Tawadros II e l'Imam di al-Azhar, Ahmed al Tayyeb, erano stati invitati tra le massime autorità del Paese alla cerimonia di giuramento del nuovo Presidente, avvenuta nel palazzo della Corte costituzionale. Anche durante il discorso serale alla nazione, il protocollo ha riservato al Patriarca Tawadros e all'Imam al-Tayyeb – seduti l'uno accanto all'altro - posti di particolare riguardo.

    Negli interventi pronunciati durante la giornata, il Presidente al-Sisi ha respinto ogni ipotesi di riconciliazione con le forze che hanno compiuto atti violenti – con chiaro riferimento ai Fratelli Musulmani - e ha ringraziato calorosamente le delegazioni straniere presenti alle cerimonie di inizio del suo mandato presidenziale - a partire da quella dell'Arabia Saudita – per aver sostenuto l'Egitto nelle convulsioni degli ultimi tempi. (R.P.)

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    Centrafrica: fallito il disarmo volontario

    ◊   Sono poche le armi raccolte ieri a Bangui in occasione di una giornata di disarmo volontario indetta dalle autorità per recuperare fucili, munizioni e armi da taglio in possesso dei civili.

    “Non è la quantità finale di armi consegnate che conta, ma piuttosto la prova di buona volontà e l’adesione della popolazione” ha dichiarato il primo ministro di transizione André Nzapayéké, aggiungendo di aver preferito un disarmo su base volontaria “piuttosto che uno obbligatorio che avrebbe causato vittime”. L’operazione è stata attuata nelle otto circoscrizioni di Bangui – tra cui Boy Rabe, feudo delle milizie di autodifesa Anti-Balaka, e al Pk5, a maggioranza musulmana – e nei due vicini comuni di Begoua (nord) e Bimbo (Sud).

    Le armi recuperate, solo poche centinaia al termine della giornata, sono state consegnate alle forze africane della Misca e ai soldati francesi dell’operazione Sangaris. Il primo ministro ha annunciato il prossimo avvio di un programma di disarmo, smobilitazione e reinserimento (Ddr) destinato ai gruppi armati già identificati e ai soldati delle Forze armate centrafricane (Faca).

    Intanto dal vicino Ciad, che ha ritirato i suoi militari dal contingente Misca, il governo ha respinto le accuse emerse dal rapporto della Commissione d’inchiesta internazionale dell’Onu, in base alle quali “Djotodia (ex presidente centrafricano, ndr) e la coalizione ribelle Seleka hanno goduto di un sostegno finanziario e militare delle autorità di N’Djamena”. Con una nota di risposta, l’esecutivo ciadiano chiede all’Onu di “smetterla con la sua campagna gratuita contro di noi”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 160

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.