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Sommario del 06/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai Carabinieri: il 13 settembre a Redipuglia per vittime guerre
  • Il Papa ai sacerdoti: Gesù, il "primo amore" non si dimentica mai
  • Briefing di p. Lombardi su incontro di pace in Vaticano
  • Il Papa incontra Shinzo Abe. Colloqui su pace in Asia e disarmo
  • Il card. Vegliò: gli zingari sempre più nel cuore della Chiesa
  • Francesco riceve in udienza Lech Walesa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Sud Sudan. Speranze e cautele per la liberazione di Meriam
  • Celebrazioni in Normandia per il 70.mo del D-Day
  • La Croce Rossa italiana compie 150 anni
  • "Crescere al Sud", il progetto presentato al Senato
  • Forum cattolico-ortodosso. Card. Erdő: uniti sui valori essenziali
  • Il successo di suor Cristina a "The Voice". Koll: conquistato col cuore
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Ordinari di Terra Santa chiedono di pregare per la pace
  • Il vescovo ortodosso di Donetsk indice digiuno per la pace
  • Vescovi Usa: allarme per i bambini migranti senza documenti
  • Nigeria. In un anno oltre tremila le vittime di Boko Haram
  • Nigeria: i vescovi indicono 6 mesi di preghiera per la pace
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai Carabinieri: il 13 settembre a Redipuglia per vittime guerre

    ◊   Papa Francesco il 13 settembre pregherà per le vittime di tutte le guerre al Sacrario di Redipuglia. A dare l’annuncio è stato lo stesso Pontefice nell’udienza in Piazza San Pietro a 50 mila Carabinieri, in occasione del 200.mo anniversario della istituzione dell’Arma. Il Papa ha sottolineato che la vocazione dei Carabinieri è il servizio, in particolare in favore dei più deboli. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, dal Comandante Generale dell'Arma Leonardo Gallitelli e dall’Ordinario militare, mons. Santo Marcianò, che nella prima mattinata aveva celebrato una Messa in Piazza San Pietro per i Carabinieri in servizio e in congedo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nei secoli fedele, nei secoli al servizio del popolo italiano. Figlio di emigranti piemontesi, Papa Francesco avrà probabilmente “incontrato” per la prima volta i Carabinieri nei racconti dei suoi genitori. Un incontro che, in Piazza San Pietro, è diventato festa e occasione di ringraziamento a chi da 200 anni serve lo Stato con abnegazione.

    Francesco ha innanzitutto osservato che “celebrare questa ricorrenza significa ripercorrere due secoli della storia d’Italia, tanto è forte il legame dell’Arma” con il Paese. Il Papa ha rammentato quanto i Carabinieri si sforzino di essere “costruttori di Pace”, in Patria e fuori dove difendono i diritti umani “in Paesi travagliati da conflitti e tensioni di ogni tipo”. Riconoscimento che ha offerto l’occasione al Papa di un importante annuncio:

    “Desidero annunciare che il prossimo 13 settembre intendo recarmi pellegrino al Sacrario militare di Redipuglia, in provincia di Gorizia, per pregare per i caduti di tutte le guerre. L’occasione è il centenario dell’inizio di quella enorme tragedia che è stata la Prima Guerra Mondiale della quale ho sentito tante storie dolorose dalle labbra di mio nonno, che l’ha fatta sul Piave…”.

    Prima dell’annuncio, Francesco aveva esortato i Carabinieri ad essere sempre in mezzo alla gente. Ed ha rammentato che le “stazioni” dei Carabinieri sono un punto di riferimento per tutti gli italiani. La “tutela dell’ordine pubblico”, ha aggiunto, è un “impegno sempre più attuale in una società dinamica aperta e garantista, come quella italiana”. “La vostra vocazione – ha sintetizzato il Papa – è il servizio”:

    “Cari Carabinieri, la vostra missione si esprime nel servizio al prossimo e vi impegna ogni giorno a corrispondere alla fiducia e alla stima che la gente ripone in voi. Ciò richiede costante disponibilità, pazienza, spirito di sacrificio e senso del dovere”.

    Il Papa ha, dunque, ricordato – con un momento di intenso raccoglimento – quanti hanno onorato l’Arma anche con l’offerta della propria vita. Ed ha rivolto in particolare il pensiero a Salvo D’Acquisto:

    “Pensiamo al servo di Dio Salvo d’Acquisto, che a 23 anni, qui vicino a Roma, a Palidoro, ha spontaneamente offerto la sua giovane esistenza per salvare la vita di persone innocenti dalla brutalità nazista. Nel solco di questa lunga tradizione, proseguite con serenità e generosità il vostro servizio, testimoniando gli ideali che animano voi e le vostre famiglie, che sempre sono al vostro fianco”.

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    Il Papa ai sacerdoti: Gesù, il "primo amore" non si dimentica mai

    ◊   Pastori, prima che studiosi, che non dimenticano mai Cristo, il loro “primo amore”, e restano sempre alla sua sequela: è questo il ritratto che Papa Francesco, all’omelia della Messa celebrata in Casa S. Marta, ha fatto di tutti gli uomini consacrati a Dio nel sacerdozio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Come va il primo amore?”. Cioè, sono innamorato di te come il primo giorno? Sono felice con te o ti ignoro? Domande universali che bisogna farsi spesso, dice Papa Francesco. E non solo i coniugi all’interno di una coppia, ma anche preti, vescovi, di fronte a Gesù. Perché è Lui, afferma, che ci domanda come un giorno fece con Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. L’omelia del Papa prende avvio proprio da questo dialogo del Vangelo in cui Cristo chiede per tre volte al primo degli Apostoli se lo ami più degli altri, un modo - osserva – per portarlo "al primo amore":

    “Questa è la domanda che faccio a me, ai miei fratelli vescovi e ai sacerdoti: come fa l’amore di oggi, quello che fa Gesù, no? E’ come il primo? Sono innamorato come il primo giorno? O il lavoro, le preoccupazioni un po’ mi fanno guardare altre cose, e dimenticare un po’ l’amore? Ma i coniugi litigano, litigano. E quello è normale. Ma quando non c’è amore, non si litiga: si rompe".

    "Mai dimenticare il primo amore. Mai", ribadisce Papa Francesco, il quale mette in risalto altri tre aspetti da tenere presenti nel rapporto di dialogo di un sacerdote con Gesù. Essere prima di tutto – prima dello studio, prima del voler diventare “un intellettuale della filosofia o della teologia o della patrologia – un “pastore”, così come Gesù sollecitò Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. Il resto, sostiene il Papa, viene “dopo”:

    “Pasci. Con la teologia, con la filosofia, con la patrologia, con quello che studi, ma pasci. Sii pastore. Perché il Signore ci ha chiamati per questo. E le mani del vescovo sulla nostra testa è per essere pastori. E’ una seconda domanda, no? La prima è: ‘Come va il primo amore?’. Questa, la seconda: ‘Sono pastore, o sono un impiegato di questa ong che si chiama Chiesa?’. C’è una differenza. Sono pastore? Una domanda che io devo farmi, i vescovi devono fare, anche i preti: tutti. Pasci. Pascola. Vai avanti”.

    E non c’è “gloria” né “maestà”, osserva Papa Francesco, per il pastore consacrato a Gesù: “No, fratello. Finirà nel modo più comune, anche più umiliante, tante volte: a letto, che ti danno da mangiare, che ti devono vestire… Ma inutile, lì, ammalato…”. Il destino è “finire – ripete – come è finito Lui”: amore che muore “come il seme del grano e così poi verrà il frutto. Ma io non lo vedrò”. Infine, il quarto aspetto, la “parola più forte”, indica Papa Francesco, con la quale Gesù conclude il suo dialogo con Pietro, “seguimi”:

    “Se noi abbiamo perso l’orientamento o non sappiamo come rispondere sull’amore, non sappiamo come rispondere su questo essere pastori, non sappiamo come rispondere o non abbiamo la certezza che il Signore non ci lascerà da soli anche nei momenti più brutti della vita, nella malattia, Lui dice: ‘Seguimi’. E’ questa, la nostra certezza. Sulle impronte di Gesù. Su quella strada. ‘Seguimi’”.

    A tutti noi sacerdoti e vescovi, termina Papa Francesco, il Signore dia “la grazia di trovare sempre o ricordare il primo amore, di essere pastori, di non avere vergogna di finire umiliati su un letto o anche persi di testa. E che sempre ci dia la grazia di andare dietro a Gesù, sulle impronte di Gesù: la grazia di seguirlo”.

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    Briefing di p. Lombardi su incontro di pace in Vaticano

    ◊   Si svolgerà nei Giardini Vaticani, con inizio verso le 18.30 di domenica prossima, l’atteso incontro di preghiera per la pace in Medio Oriente, proposto da Papa Francesco ai presidenti di Israele e Palestina, Shimon Peres e Mahmoud Abbas. A presentarlo ai media, sono stati il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Sarà Papa Francesco ad accogliere, nella Casa Santa Marta in Vaticano i protagonisti dell’attesa giornata di preghiera per la pace in Terra Santa: i due presidenti, l’israeliano Simon Peres, il palestinese Mahmoud Abbas, e il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I. Poi, l’inizio del cerimoniale in un giardino nelle vicinanze dei Musei Vaticani, scelto come sede del rito. L’invocazione per la pace in Medio Oriente – ha detto padre Lombardi – seguirà tre ritualità diverse ispirate alle religioni ebraica, cristiana e islamica. Saranno lette preghiere in varie lingue, a cui seguiranno le locuzioni dei quattro protagonisti. Verrà piantato un ulivo, simbolo per eccellenza di pace. Infine, il trasferimento nella vicina Accademia delle Scienze per un incontro privato. Sul senso di questa iniziativa chiesta da Papa Francesco durante il recente viaggio in Terra Santa, sentiamo padre Pierbattista Pizzaballa:

    “E’ un momento di invocazione, di preghiera ma soprattutto di invocazione a Dio per il dono della pace. E’ una pausa rispetto alla politica: il Santo Padre non vuole entrare in questioni politiche del conflitto israelo-palestinese, invitando anche i politici a fare anch’essi una pausa per guardare in alto e poi dall’alto anche guardare la realtà della Terra Santa”.

    I due presidenti saranno accompagnati dai rispettivi staff, ma non da rappresentanti politici, proprio nel rispetto dello scopo dell’iniziativa: mettere da parte le logiche umane della politica per far sì che due popoli in eterno conflitto si incontrino attraverso due alti rappresentanti, per chiedere a Dio il bene della pace. Ancora padre Pizzaballa:

    “Non è un incontro di preghiera interreligioso. È un incontro di invocazione della pace dei popoli palestinese e israeliano che sono composti da ebrei, cristiani, musulmani. Ci saranno anche drusi”.

    E a sottolineare con ancora più gli intenti di questo incontro, padre Federico Lombardi, all’inizio del briefing ha ricordato le parole di Papa Francesco con cui in Terra Santa ha invitato israeliani e palestinesi in Vaticano. Parole intense e significative:

    “Tutti desideriamo la pace. Tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti. Molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla e tutti – specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli – abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa terra e del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace”.

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    Il Papa incontra Shinzo Abe. Colloqui su pace in Asia e disarmo

    ◊   La pace in Asia, i temi del disarmo e della tutela ambientale. Sono gli argomenti che hanno caratterizzato l’incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, il quale si è successivamente incontrato con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, assieme all’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

    “Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce una nota ufficiale – sono state evocate le buone relazioni esistenti tra il Giappone e la Santa Sede, nonché l’intesa e la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, in ambito educativo, sociale e sanitario”. La conversazione, prosegue la nota, ha poi toccato “alcuni temi dell’attualità regionale e internazionale, con particolare riferimento alle iniziative volte a promuovere la pace e la stabilità nel continente asiatico, l’impegno del Giappone nella cooperazione per lo sviluppo, soprattutto in Africa, l’attenzione all’ambiente e il disarmo nucleare”.

    Allo scambio dei doni, il premier Abe ha donato a Papa Francesco tre oggetti di particolare valore simbolico: il primo è un piccolo specchio del diametro di circa 20 cm., chiamato “specchio miracoloso”, che con la luce riflette sulla parete una croce. L’oggetto era usato dai cristiani giapponesi durante le persecuzioni in cui era vietato l’uso di simboli cristiani nell’Impero del Sol Levante. Gli altri due doni sono due ritratti di Papa Paolo V e del primo ambasciatore giapponese venuto a Roma nel 1615 per chiedere l’invio di missionari cattolici in Giappone.

    Da parte sua, il Papa ha donato una formella con rappresentato San Pietro liberato dall’Angelo del Signore, alla vigilia del suo processo a Gerusalemme.

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    Il card. Vegliò: gli zingari sempre più nel cuore della Chiesa

    ◊   Quella degli zingari resta una delle categorie sociali più vulnerabili e quindi meno tutelate. Lo ha ricordato Papa Francesco incontrando i partecipanti all’Incontro Mondiale dedicato alla Pastorale degli zingari, organizzato in questi giorni in Vaticano dal Pontificio Consiglio della pastorale dei migranti e degli itineranti. “Sono le persone meno tutelate - ha sottolineato il Vescovo di Roma - che cadono nella trappola dello sfruttamento, dell’accattonaggio forzato e di diverse forme di abuso”. Sulle cause di questa vulnerabilità, Fabio Colagrande ha sentito il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero organizzatore dell’incontro:

    D. - Quali erano gli obiettivi dell'Incontro Mondiale sulla pastorale degli zingari che si conclude oggi?

    R. - Gli obiettivi erano due: riesaminare l’impegno pastorale della Chiesa in favore delle popolazioni zingare e preparare il 50.mo anniversario della visita di Paolo VI agli zingari riuniti in un pellegrinaggio internazionale a Pomezia nel 1965. Quella visita segnò una particolare apertura della Chiesa a questo popolo. In una realtà sociale che cambia, anche la pastorale degli zingari ha bisogno di rinnovate strategie pastorali, di nuove vie e metodi adeguati alle circostanze. In ciò sono di grande aiuto le indicazioni di Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium sull'annuncio del Vangelo nel mondo attuale.

    D. - Papa Francesco ha ricordato che gli zingari, senza integrazione, restano una categoria sociale vulnerabile, cosa significa?

    R. - Molti di loro vivono ancora in condizioni di estrema povertà: abitazioni precarie senza acqua potabile né elettricità, problemi economici aggravati dalla crisi, difficoltà di accesso ai servizi sanitari ordinari e nel campo del lavoro. All’origine di questa situazione di povertà ci sono anche altri fattori che influiscono, quali la diversità culturale e la mancanza di istruzione che portano alla loro discriminazione. Per fare un esempio, in Europa la metà dei bambini Rom non è mai stata scolarizzata e il 50% degli adulti è analfabeta. Ciò li esclude dal tessuto sociale e dal dibattito politico e culturale, nonostante siano europei. In questo cammino è necessario il coinvolgimento di tutti. Anche il popolo zingaro deve dare la sua fattiva e leale collaborazione, affinché essi siano collocati degnamente nel tessuto civile.

    D. - Quali sono oggi le priorità della Chiesa nella pastorale degli zingari?

    R. - La Chiesa ha il compito di portare il Vangelo in mezzo a loro. Ciò significa annunciare il nome di Gesù ma anche affrontare le diverse sfide che si presentano, come riconosce Papa Francesco. Nel caso degli zingari, sostenere il loro cammino d’integrazione, che passa come ho già accennato per l’educazione, la salute, il lavoro e l’alloggio. Tutto ciò in collaborazione con associazioni, organismi civili e autorità, per creare una dinamica sociale in cui le culture diverse possano vivere insieme. La Chiesa può essere d’ispirazione e può far confluire gli sforzi in un impegno comune.

    D. - Il Papa ha rivolto anche un appello alle istituzioni e alla comunità internazionale. Quanto resta da fare?

    R. - I Rom hanno il diritto di essere riconosciuti almeno come minoranze etniche nei Paesi in cui vivono, dato che nell’Unione Europea sono la minoranza più numerosa. È importante segnalare che a livello europeo si stanno facendo grandi sforzi. Si trovano dichiarazioni, raccomandazioni e, quello che è più importante, piani d’azione e progetti per migliorare la loro situazione. Penso che si debba approfondire due aspetti. In primo luogo, sarebbe giusto che tutte queste azioni si facessero in collaborazione con i loro rappresentanti, integrati nelle diverse commissioni. Tante volte facciamo cose per loro, ma senza di loro. E, in secondo luogo, che queste disposizioni fossero recepite da parte delle autorità nazionali, e accolte e sviluppate a livello locale.

    D. - Perché avete ricordato la storica visita di Paolo VI a Pomezia del settembre 1965?

    R. - Quella visita segnò un avvicinamento più stretto tra Chiesa e popolo zingaro. Sono attuali le parole che Paolo VI rivolse in quel giorno, quando con tutto il cuore disse tra l’altro: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa”. In verità erano anzitutto nel cuore di Paolo VI, Pontefice di una Chiesa che cominciava allora a rivolgere particolare attenzione a questo popolo. Un anniversario è sempre un’opportunità per guardare indietro, vedendo cosa abbiamo fatto, per esaminare il presente, ma soprattutto per pensare al futuro, cercando riposte più adeguate. È vero che la pastorale specifica per gli zingari è oggi ben strutturata in 24 Paesi del mondo, soprattutto in Europa, negli Stati Uniti d’America, in Brasile e in Argentina, in India e in Bangladesh. Tra di loro sono cresciute le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, e in questo momento sono circa 170. E tra di loro crescono i modelli di santità. Oltre al Beato Zeffirino Giménez, in questo momento sono in processo di Beatificazione per martirio altri due zingari: Emilia Fernández e Juan Ramón Gil. Ma dobbiamo e vogliamo guardare avanti. E questo anniversario sarà una buona opportunità.

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    Francesco riceve in udienza Lech Walesa

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex presidente polacco, Lech Walesa, il nunzio apostolico in Benin e in Togo, mons. Brian Udaigwe, e il vescovo di Mazara del Vallo (Italia), mons. Domenico Mogavero.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Vocazione al servizio: in piazza San Pietro l'udienza all'Arma dei carabinieri nel bicentenario della fondazione.

    Per abbattere i muri e costruire ponti: il cardinale Gualtiero Bassetti sull'incontro in Vaticano per invocare la pace nel Vicino Oriente.

    In Normandia per ricordare che la pace va difesa: le cerimonie per il 70° anniversario dello sbarco.

    Terra bruciata in Nigeria: interi villaggi cancellati dagli attacchi di Boko Haram.

    Un radar teologico: Rosino Gibellini ricorda i cinquant'anni di fondazione della rivista "Concilium".

    La storia può cambiare direzione: il cardinale Paul Poupard su Giovanni Paolo II e il 1989.

    Un articolo di Ugo Sartorio dal titolo "Metro di valutazione": il ritorno delle opere di misericordia spirituale.

    Sandro Barbagallo illustra le ragioni della libertà nel nuovo spazio espositivo di Palazzo Chiablese a Torino.

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    Oggi in Primo Piano



    Sud Sudan. Speranze e cautele per la liberazione di Meriam

    ◊   Continua la mobilitazione internazionale per la salvare la vita di Meriam Ibrahim Yahya Ishaq, la 27.enne condannata all’impiccagione, in Sud Sudan, per apostasia e a 100 frustate per aver sposato un cristiano. La donna si trova nel carcere di Khartoum con Maya, la figlia da poco partorita e il figlio Martin, di 20 mesi. La Chiesa locale continua a invocare il rispetto della libertà religiosa.Mons. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso gli Uffici Onu di Ginevra, parla anche di necessità di dilago. Massimiliano Menichetti ha intervistato Antonella Napoli, presidente della Onlus Italians for Darfur che sta seguendo la vicenda:

    R. – Sia lei che i bambini sono in sostanziale buono stato di salute. Certo, le condizioni di vita nel carcere non sono ottimali, soprattutto il bimbo un po’ più grande soffre, perché Maya ha pochi giorni, è sempre in compagnia o delle guardie carcerarie o con la mamma o con le altre detenute, quando c’è possibilità di prendere una boccata d’aria.

    D. – Si sono registrate aperture del governo per la liberazione di Meriam, ma quanto inciderà questo sulla magistratura?

    R. – I segnali positivi ci sono: il ministro degli Esteri, in un incontro pubblico, ha affermato che una soluzione è possibile e ha voluto ribadire che il governo non può intervenire direttamente, perché il potere giudiziario è un potere sovrano. Però, va ricordato che la Corte costituzionale potrebbe intervenire in quanto il Sudan prevede la libertà religiosa e quindi potrebbe venire meno l’impianto giuridico della sharia su cui si è poi basata la sentenza.

    D. – Anche se questo ha portato adesso ad una condanna!

    R. – Sì e oltre ad essere stata condannata a morte per impiccagione per il reato di apostasia, non essendo riconosciuto il suo matrimonio con un uomo cristiano è stata anche condannata a 100 frustrate per adulterio. Anche questa pena però ora è sospesa, almeno fino a quando non ci sarà il giudizio d’appello...

    D. – L’appello ci sarà fra circa due settimane…

    R. – Tra 2-3 settimane. Però, è chiaro che potrebbe essere anticipato vista la grande pressione mediatica o ritardato per trovare effettivamente una soluzione, che noi ci auguriamo ci sia la scarcerazione e la libertà assoluta per Meriam.

    D. – Se andasse male in appello, perché si aprono speranze sul verdetto della Corte Costituzionale?

    R. – Lì i presupposti giuridici su cui si è basato questo procedimento, ovvero la sharia, dovrebbero cadere, perché la Corte costituzionale è un organo politico, più che giuridico.

    D. – Quanto sta incidendo l’attenzione internazionale su questo caso?

    R. – Tantissimo! Tutto è partito da un nostro appello, da un tweet… Questa immensa mobilitazione ha portato alla raccolta di quasi 150 mila firme, tra quelle raccolte online attraverso il nostro appello, le mail inviate direttamente all’ambasciata. E poi il supporto fondamentale di Avvenire, che ha subito rilanciato l’appello di "Italian for Darfur": il giornale ha ricevuto 78 mila adesioni. Con noi è ovviamente attiva anche Amnesty International, che ha fatto sì che venissero raccolte oltre 650 mila firme. A tutto questo va aggiunta anche l’azione dei governanti, come Cameron che ha manifestato fortemente la contrarietà per questa sentenza, definendola barbarica, e il presidente Napolitano.

    D. – Voi ribadite: c’è soddisfazione, grande speranza, ma bisogna essere cauti…

    R. – Bisogna essere cauti perché il contesto sudanese è molto complesso. Si è animata anche una discussione, un dibattito, sull’importanza della libertà religiosa e il governo stesso è in grande imbarazzo. Sì, siamo certi, certissimi che questa vicenda si concluderà bene, ma in questi momenti serve cautela.

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    Celebrazioni in Normandia per il 70.mo del D-Day

    ◊   Sono in pieno svolgimento le celebrazioni per ricordare i 70 anni dallo sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944. Il presidente francese, Hollande, ha aperto le cerimonie mentre nel pomeriggio si svolgerà la rievocazione dell’evento. Omaggiando le vittime americane al cimitero di Colleville sur Mer, il presidente Obama ha ricordato il loro sacrificio che ha aperto la strada ad un’era di democrazia e libertà. Intanto, a margine delle celebrazioni, si è svolto l'incontro tra il presidente russo, Putin, ed il suo omologo ucraino, Poroshenko: si lavora per un cessate-il-fuoco. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Il sole abbagliante illumina le diecimila lapidi nel cimitero di guerra americano di Omaha Beach. Diecimila giovani che sacrificarono la loro vita per liberare l’Europa dal gioco nazifascista esattamente 70 anni fa. L’omaggio del presidente Obama è commosso, per ben due volte i veterani, i loro famigliari e le autorità si alzano in piedi per applaudire la memoria di quei ragazzi che “per primi – ha detto Obama - aprirono una breccia nel muro di Hitler”. “Uno sbarco – ha aggiunto – che fece da testa di ponte verso la democrazia e l’impegno degli Stati Uniti per la libertà è dunque scritto nel sangue versato sulle spiagge della Normandia”. Parlando alla folla,il presidente ha anche ricordato il suo nonno materno che, un mese dopo il D-Day, giunse in quei luoghi. Accanto ad Obama, il suo omologo francese Hollande. “La Francia non dimenticherà mai ciò che deve agli Stati Uniti”. “Quella di oggi – ha aggiunto – è una data memorabile della storia, quella in cui i due nostri popoli si misero insieme nella stessa lotta per la libertà”. Poco prima Hollande aveva aperto ufficialmente le celebrazioni. Ricordando la barbarie vissuta dalla Francia, il capo dell’Eliseo aveva sottolineato l’attuale impegno francese per preservare la pace ovunque in Africa e alle porte dell'Europa. Un richiamo sottinteso al Mali e al Centrafrica. “E’ un dovere – ha ribadito Hollande - aiutare chi soffre”. Nel pomeriggio, la rievocazione dello sbarco con 500 comparse di fronte a ottomila invitati, tra di loro una ventina di capi di Stato. A margine sono molti gli incontri in programma. I primi a vedersi il presidente russo, Putin, e la cancelliera tedesca, Merkel. Al centro del colloquio la crisi in Ucraina e le strade da intraprendere per risolverla. A seguire l'incontro tra il capo del Cremlino e il neopresidente ucraino, Poroshenko; si lavora per un cessate il fuoco.

    La rievocazione dei momenti della più imponente forza d'invasione della storia rivive nel racconto di Massimiliano Menichetti:

    Il 6 giugno 1944 ha inizio la più importante invasione di mezzi anfibi mai pensata dagli alleati: lo sbarco in Normandia, un’operazione capace di decidere il destino dell’Europa. Quel giorno è ricordato come il D-Day, il giorno più lungo. Sedici minuti dopo la mezzanotte del 5 giugno, gli aerei della Royal Air Force si alzano in volo. L’Operazione "Overlord"– l’invasione dell’Europa, con obiettivo finale Berlino – era iniziata. Centinaia i paracadutisti in cielo, i bombardamenti di copertura, i tiri dell’antiaerea, impenetrabili bunker tedeschi protetti da mine, ostacoli antisbarco, decine di mitragliatrici e cannoni anticarro. La flotta alleata – più di duemila navi – arriva sulla costa alle 6.30 del mattino: circa 175 mila soldati, sotto il comando del generale americano Eisenhower, sbarcheranno sulle rive francesi sotto la pioggia dei proiettili tedeschi per conquistare le cinque spiagge obiettivo: Utah, Juno, Sword ed Omaha, spiaggia in cui persero la vita circa 2.500 soldati. Alla fine della giornata gli Alleati erano penetrati da un massimo di 10 chilometri a un minimo di due nel Vallo Atlantico, ovvero, la difesa costiera costruita dai tedeschi. Una svolta nella storia costata la vita a circa 4.900 uomini.

    Il 4 giugno Roma era stata liberata dall'oppressione nazifascista. Sono le otto del mattino quando le unità della quinta armata statunitense convergono su Roma, mentre le ultime retroguardie tedesche abbandonano la capitale. Dalla periferia meridionale entrano i primi reparti del generale Mark Clark. Alle 19.15, l’88.ma divisione americana raggiunge Piazza Venezia, la città era finalmente libera dall’oppressione nazifascista. Una folla incredibile si riversò sulle vie Appia, Tuscolana e Casilina mentre le lacrime di gioia si mescolavano alle grida di vittoria. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe finita 11 mesi più tardi in Europa e la resistenza italiana avrebbe dovuto combattere a fianco degli Alleati i colpi di coda del conflitto. Ma Roma era la prima capitale dell’Europa occidentale ad essere stata liberata. Roma, dichiarata “città aperta”, secondo la Convenzione dell’Aia del 1907 – cioè, considerata priva di truppe e di obiettivi militari e protetta spiritualmente dalla presenza del Papa - aveva comunque vissuto gli orrori della guerra: le persecuzioni, i bombardamenti, le deportazioni e le stragi. La popolazione era praticamente ridotta alla fame, ma il 4 giugno 1944 fu festa. Il giorno dopo la liberazione, una folla immensa di romani si riversa spontaneamente in Piazza San Pietro, acclamando Papa Pio XII – “Defensor Civitatis”, difensore della città – per la sua opera e protezione della capitale. Il Papa si affaccia il 6 giugno dalla Loggia esterna della Basilica per ringraziare Dio: “Roma – dice – è stata preservata da un incommensurabile pericolo” ed invita la popolazione a frenare gli istinti del rancore, della vendetta e dell’egoismo per soccorrere, invece, i più poveri e sofferenti.

    Settant’anni fa, lo sbarco in Normandia. La regione della Francia settentrionale attende la celebrazione ufficiale dell’evento, decorando case e strade con i colori degli alleati. Alla commemorazione sulla spiaggia dello sbarco, saranno presenti 19 capi di Stato e di governo, tra questi anche il Presidente russo Vladimir Putin. Sul significato del D-Day nella memoria collettiva, Gianmichele Laino ha intervistato Francesco Malgeri, docente di Storia Contemporanea:

    R. – Ha rappresentato un momento fondamentale per la storia della Seconda Guerra mondiale, in quanto ha posto l’esercito tedesco in una morsa: ad Occidente gli alleati e ad Oriente l’Unione Sovietica. Questa decisione era stata presa in un incontro, alla Conferenza di Teheran, nel dicembre ’43, dove dopo numerose insistenze da parte di Stalin si decise di aprire quello che veniva chiamato il “secondo fronte”, cioè il fronte occidentale.

    D. – Un evento pianificato in ogni dettaglio, che pure aveva tante incognite dietro l’angolo. Cosa determinò il successo di quelle operazioni?

    R. – Innanzitutto, il successo è stato determinato dall’impiego massiccio di forze con migliaia di navi da guerra e mezzi da sbarco; forse anche dalla convinzione dei tedeschi, che avevano predisposto una linea difensiva, denominata “vallo atlantico”, che doveva costituire una difesa, con punti fortificati sulla costa, e che invece si rivelò inefficace alla prova del fuoco; probabilmente, anche dalla convinzione che lo sbarco avvenisse nella zona di Calais, mentre lo sbarco in Normandia li colse un po’ di sorpresa.

    D. – Cosa ha rappresentato per gli Stati Uniti, a livello di valori, uno sbarco in un altro
    continente, a chilometri di distanza dai propri confini?

    R. – Ha rappresentato, non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto dell’Europa, la convinzione che la forza militare americana, anche la potenza economica americana, cominciava sul piano internazionale ad avere un peso mai prima conosciuto, e preparava – diciamo così – anche gli equilibri successivi alla guerra.

    D. – Un documentario di Mauro Vittorio Quattrina del 2009 si intitola “D-Day: noi italiani c’eravamo”. In che modo l’Italia ha vissuto direttamente o indirettamente il giorno più lungo?

    R. – L’Italia l’ha vissuto, tenendo anche presente la situazione che allora viveva il nostro Paese, perché siamo nel giugno del ’44 e siamo in una fase in cui è avvenuta la liberazione di Roma, ma ancora indubbiamente la gran parte dell’Italia centro-settentrionale è da liberare dall’invasione tedesca. Il forte impegno militare che i tedeschi dovevano affrontare in Francia indeboliva notevolmente anche la possibilità di resistenza sul fronte italiano.

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    La Croce Rossa italiana compie 150 anni

    ◊   La Croce Rossa Italiana compie 150 anni e per l’occasione a Firenze è stata organizzata la Conferenza regionale europea. Fino a oggi, 53 Società nazionali europee e centro-asiatiche si confrontano sul problema della crisi economica. In Europa, sono 3.5 milioni le persone che ricevono aiuti alimentari dalla Croce Rossa. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa.

    R. – Da sempre, la Croce Rossa italiana è stata vicina al suo Paese, abbiamo attraversato insieme ai nostri cittadini le guerre, i terremoti e questo l’abbiamo fatto dal momento della nostra fondazione ad oggi; purtroppo anche di recente nei due terremoti così importanti all’Aquila ed in Emilia. Però, la nostra quotidianità è fatta anche di assistenza a tante persone fragili, a persone che si trovano in comunità, in difficoltà e questo è uno degli aspetti su cui noi stiamo lavorando tanto. In questo momento la crisi economica sta colpendo duramente la nostra popolazione, la Croce Rossa si è rimboccata le mani e cerca di fare ovunque la propria parte per essere vicino a chi si trova in condizioni di disagio.

    D. – Quali sono le priorità umanitarie che la Croce Rossa deve affrontare in Europa?

    R. – Sicuramente, l’impatto della crisi: questa crisi che stiamo vivendo, ovviamente, la sentiamo nella sua drammaticità nel nostro Paese. Ma altrettanto sta accadendo nel resto d’Europa, in Spagna, in Grecia, nei Paesi dell’Europa dell’est. È una crisi che sta colpendo milioni e milioni di persone e le conseguenze si sentiranno per diversi anni. Quindi, il nostro è un attrezzarci per essere pronti, non soltanto con l’assistenza materiale ma anche creando nuove opportunità, corsi di formazione... Il lavoro della Croce Rossa a livello europeo è straordinariamente variegato e cerca di dare risposte concrete ai bisogni delle persone. Un altro aspetto sarà sicuramente quello delle migrazioni, perché è un fenomeno che sentiamo molto come Paese ma anche nel resto d’Europa è un problema molto serio. Capire come lavorare per una migliore integrazione e accoglienza delle persone che scappano dai conflitti armati e da situazioni di conflitti interni sempre più disastrosi.

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    "Crescere al Sud", il progetto presentato al Senato

    ◊   Un modo per far sentire la propria voce alle istituzioni, perché i ragazzi del Mezzogiorno d’Italia non vogliono sopravvivere, ma vogliono crescere nelle loro terre d’origine. Il progetto “Crescere al Sud”, promosso da Save the Children e da Fondazione per il Sud, è stato presentato oggi in una conferenza stampa al Senato, alla quale è intervenuto anche il presidente dell'Aula, Pietro Grasso. Gianmichele Laino ha intervistato Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save the Children:

    R. – E’ difficile innanzitutto perché manca in questa regione una rete di infrastrutture, di servizi. Sin dalla prima infanzia, vediamo un dato drammatico che riguarda l’assenza degli asili nido per poi passare alla capacità delle scuole di impegnare il tempo dei ragazzi e anche proprio la povertà delle opportunità educative territoriali. Il tutto in contesti peraltro molto spesso caratterizzati dalle infiltrazioni della criminalità organizzata, che rendono tanto difficile per i ragazzi impegnarsi per un futuro di legalità e di sviluppo.

    D. – Dove si riscontrano le realtà più problematiche per l’infanzia e per le famiglie.

    R. – Le regioni del Sud purtroppo sono quelle che hanno tutti gli indicatori di maggior svantaggio. All’interno delle regioni meridionali, con la rete “Crescere al sud”, che raccoglie tante associazioni che operano nei territori, noi vediamo condizioni estremamente difficili nelle periferie delle grandi aree urbane e mi riferisco, quindi, a Palermo, a Catania, a Messina, a Napoli, a Bari, e poi anche in piccoli centri, che però vivono una condizione di isolamento.

    D. – Il presidente del Senato Grasso ha detto che il compito primario di una democrazia evoluta è quello di far crescere i bambini nelle stesse condizioni e poi ha parlato di questione sociale. Come si fa a sensibilizzare l’opinione pubblica su queste problematiche?

    R. – Puntiamo molto sull’alleanza tra tutti coloro che operano al sud. Quindi, “Crescere al sud” non solo raccoglie associazioni di volontariato ma anche ordini professionali, insegnanti, scuole. Dobbiamo far sentire la voce di chi vive queste condizioni di disagio e farla arrivare anche nei luoghi dove si prendono le decisioni. L’Italia sta riprogrammando l’utilizzo dei fondi europei e da lì potrebbero venire risorse concrete e reali per cambiare questa situazione, a condizione che però questi fondi vengano spesi e spesi bene. E questo purtroppo è stato uno dei grandissimi limiti degli ultimi anni.

    D. – Dalla conferenza stampa di oggi è stato emesso un messaggio di speranza per il Sud Italia?

    R. – Il messaggio più bello è venuto proprio dalle parole dei ragazzi e delle ragazze che si sono rivolti direttamente al presidente Grasso dicendo: “Noi non vogliamo sopravvivere al Sud, noi vogliamo crescere al Sud”. C’è un fortissimo amore di questi ragazzi per la loro terra. Non c’è la volontà di abbandonarla ma, in qualche modo, c’è proprio la voglia di assumere la responsabilità per il futuro dei luoghi delle città nelle quali vivono.

    D. – Le istituzioni hanno realmente compreso che la spesa pubblica destinata ai minori non è un costo ma è un investimento?

    R. – Oggi, il presidente Grasso ha proprio utilizzato queste parole, quindi certamente qui abbiamo trovato un interlocutore attento e sensibile. Tutto questo ora deve trasformarsi in passaggio concreti. Starà anche a noi, ovviamente, ma anche il presidente ha preso un impegno da questo punto di vista, nell’ambito delle sue competenze, di stimolare le istituzioni, anche l’esecutivo, fare in modo che questo si traduca in temi concreti. Noi lo auspichiamo. Ci sono stati segnali, recentemente, mi riferisco ai fondi per l’edilizia scolastica e altri piccoli passi avanti che abbiamo registrato. Però, certamente, c’è bisogno di un’inversione di rotta.

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    Forum cattolico-ortodosso. Card. Erdő: uniti sui valori essenziali

    ◊   Si è concluso a Minsk, in Bielorussia, il quarto Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, che si è svolto sul tema: “Religione e diversità culturale: sfide per le chiese cristiane in Europa”. Hanno partecipato 12 rappresentanti di Chiese ortodosse e 12 delegati della Chiesa cattolica. Presente il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Viktoria Somogyi lo ha intervistato:

    R. – Molti interlocutori hanno sottolineato il grande ruolo della diversità culturale nella divisione della Chiesa di Oriente e di Occidente. Abbiamo anche il compito di approfondire questi condizionamenti culturali per poter superare quello che ci separa nel senso di una più profonda comprensione.

    D. – Nell’attuale società europea, le Chiese cristiane come possono promuovere i valori umani e cristani?

    R. – Più uniti siamo, più è efficace la nostra testimonianza, e ci sono molti valori della vita personale, dell’antropologia cristiana, della famiglia, che sono completamente uguali secondo la visione cattolica e quella ortodossa. Abbiamo visto questo già in occasione del terzo incontro ecumenico europeo, celebrato a Sibiu nel 2007, quando c’è stata una discussione su un brano del documento finale in cui i cattolici e tutti gli ortodossi erano d’accordo nell’affermare che accettiamo e difendiamo la dignità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Questa è una base dalla quale possiamo partire, e su questo punto c’è un consenso pieno e completo tra di noi, come pure riguardo alla famiglia. Ma noi abbiamo parlato molto anche della libertà religiosa, della necessità di riconoscere da una parte la libertà e la dignità di ogni persona, la libertà di esercitare la propria religione anche se il gruppo delle persone che rappresentano la stessa religione in un Paese non costituisce un numero grande. Ma, allo stesso tempo, bisogna riconoscere come valore anche le manifestazioni culturali, le identità culturali dei popoli d’Europa che a volte sono caratterizzate da una religione, anche da una comunità cristiana specifica. Pensiamo, per esempio, a singoli popoli dell’Est europeo con maggioranza ortodossa: è evidente che il valore di queste comunità è prezioso e anche in grado di rafforzare la coesione e il funzionamento di una società.

    D. – All’incontro di Minsk è stata decisa una collaborazione concreta tra cristiani e ortodossi?

    R. – Ma cattolici e ortodossi stanno già collaborando in molti Paesi, stanno collaborando anche nella vita pubblica, quando si tratta della difesa di questi valori umani fondamentali.

    D. – A conclusione dell’incontro, è stato firmato un messaggio finale. Come se ne potrebbero riassumere i punti più importanti?

    R. – Il messaggio finale conferma proprio questo fatto, che alla luce di Gesù Cristo, della sua Persona e del suo insegnamento, vediamo profondamente la verità sull’uomo, sull’essere umano, sulla comunità umana, e che dobbiamo rinforzare quei valori che vediamo alla luce della nostra fede ma che sono valori oggettivi e comuni a tutta l’umanità. Cerchiamo di rispettare le comunità delle diverse tradizioni, oltre a collaborare anche nella vita sociale, nella vita culturale per promuovere questi valori riconosciuti alla luce della nostra fede.

    D. – Dove, quando e su quale tema si terrà il prossimo incontro cattolico-ortodosso?

    R. – Abbiamo accettato con gioia l’invito del cardinale André Vingt-Trois di andare a Parigi. Quindi, vogliamo organizzare il nostro prossimo Forum nell’autunno 2016. Come tema principale sembra già delinearsi la questione delle migrazioni; ma alcuni aspetti concreti saranno ancora ulteriormente precisati.

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    Il successo di suor Cristina a "The Voice". Koll: conquistato col cuore

    ◊   "Adesso voglio tornare alle mie priorità che sono la preghiera e il servizio a scuola, fondamentali per me anche per poi affrontare impegni di diverso tipo in futuro". A parlare è suor Cristina Scuccia, la religiosa venticinquenne di Comiso, Ragusa, che ieri ha vinto la competizione canora “The Voice”, in onda da mesi su Rai 2. Suor Cristina, della Congregazione delle Orsoline, è stata l’anima del talent show, ma è diventata anche un fenomeno planetario. Di lei si sono occupati infatti i media internazionali e la sua notorietà si è diffusa attraverso i social network. Accanto ai molti consensi, non sono mancate le critiche, anche dure, alla sua partecipazione in quanto religiosa. A festeggiare tra gli altri la vittoria di suor Cristina, la “Star Rose Academy” di Roma, diretta dall’attrice Claudia Koll di cui suor Cristina è stata allieva. Ascoltiamo Claudia Koll nell’intervista di Adriana Masotti:

    R. – È stata sicuramente una gioia grande per tutti noi. Abbiamo fatto il tifo per lei e soprattutto le vogliamo bene. Io ho pregato mentre lei si esibiva proprio perché chiedevo al Signore di sostenerla e di aiutarla.

    D. – Ha vinto la voce o ha vinto l’abito? Le tesi si rincorrono. Nel secondo caso vorrebbe dire che siamo ancora un Paese molto cattolico… Comunque sia, suor Cristina ha conquisto la maggior parte della gente...

    R. – Più che l’abito, secondo me, è stato il cuore. Il cuore bello, la sua semplicità e la sua purezza, perché ieri c’erano tanti talenti, ma lei spiccava proprio per la sua purezza, per la sua semplicità. Quindi, a mio avviso non è l’abito in quanto abito, ma è quello che vuol dire una persona che ha talento ma che ha anche un cuore bello. Non si canta solo con le corde vocali, si canta con il cuore.

    D. – Anche il suo coach, J-Ax, diceva che è capace di comunicare gioia quando canta...

    R. – Sì, sì, bellezza e anche vita perché interiormente è molto vivace. Io ho visto anche J-Ax quando ha detto ai suoi colleghi che in questi mesi aveva vissuto un’esperienza con loro e che voleva loro bene come fratelli. A me è sembrato sincero e mi è sembrato soprattutto che fosse una cosa straordinaria…

    D. – Una specie di contagio?

    R. – Sì, un contagio.

    D. – Un Padre Nostro recitato in tv, in diretta. Una proposta decisamente coraggiosa. Anche opportuna?

    R. – Noi prima di iniziare qualsiasi lezione in Accademia, per lo meno nel mio corso di recitazione, invochiamo lo Spirito Santo e preghiamo il Padre Nostro. Quindi, è qualcosa che ci appartiene. Adesso, io non so se nel momento in cui è stato recitato era opportuno o non opportuno, però San Paolo dice di annunciare il Signore in ogni circostanza, opportuna e non opportuna. Quindi, mi appoggio alla parola di Dio per rispondere.

    D. – Comunque, certamente una proposta coraggiosa perché in un ambiente così...

    R. – Chi l’ha detto? Io so, perché me l’hanno detto le suore, che prima della trasmissione spesso suor Cristina ha pregato la coroncina della Divina Misericordia assieme ai familiari e insieme a altri artisti che stavano lì per la competizione. Non è così lontana la preghiera, no?

    D. – Anche in base alla sua esperienza: la musica, la partecipazione alle trasmissioni televisive, ai social network, sono un reale luogo da cui poter evangelizzare? Sono strumenti efficaci per fare questo?

    R. – La televisione può fare tanto male, ma può fare anche bene. Io ho fatto esperienza di questo negli anni della mia conversione, quando sono stata in televisione: ho avuto testimonianze di persone che mi hanno ascoltata e la loro vita è cambiata, questo certo non per merito mio ma è perché il Signore opera nei cuori delle persone. Quindi, la televisione può essere utilizzata come mezzo per arrivare a tante persone. Certo, non bisogna farsi usare e non è facile, ma quando si apre un corridoio bisogna percorrerlo perché può essere un’opportunità che viene offerta e che il Signore ti mette davanti per poter annunciare.

    D. – Quindi, cosa c’è da augurare adesso a suor Cristina?

    R. – Che non interrompa la sua relazione con il Signore. Il consiglio che le ho dato, appena iniziata questa avventura, è stato proprio quello di continuare a pregare e se prega – come diceva anche Santa Teresa D’Avila – qualsiasi cosa succeda c’è un traino forte che la mantiene in relazione con il Signore e quindi non si perde.

    D. – Certo, perché il rischio potrebbe essere questo...

    R. – Questo è più la paura che hanno tutti. Come quando un figlio che per la prima volta va da solo e dici: “Stai attento a come attraversi la strada”… Sono tutte preoccupazioni.

    D. – L’altra preoccupazione è che sia un fenomeno di un momento...

    R. – E va bene, ma come si fa a giudicare? L’albero buono – dice il Vangelo – si giudica dai frutti. Quindi, bisogna aspettare e pregare per lei, sostenerla con la preghiera.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Ordinari di Terra Santa chiedono di pregare per la pace

    ◊   Una vera e propria mobilitazione di preghiera per rispondere all’appello di Papa Francesco che domenica 8 giugno, incontrerà in Vaticano per un forte momento di spiritualità i presidenti di Israele e Palestina, Shimon Peres e Mahmoud Abbas. “Non lasciateci soli, pregate perché il Signore doni pace a questa terra benedetta”, era stato l’appello del Pontefice subito raccolto dall’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, che hanno inviato una lettera ai parroci, ai movimenti, alle comunità religiose, alle famiglie e a tutti gli uomini di buona volontà, con alcune richieste per condividere questa preghiera.

    Nella lettera - riferisce l'agenzia Sir - si invitano i parroci ad elevare preghiere per la pace nelle Messe di domenica, ai giovani viene chiesto di promuovere Veglie di preghiera la sera di sabato 7 giugno, alle famiglie di accendere una lampada ed esporla domenica sulla finestra centrale di casa. A tutti i fedeli, “e agli uomini di buona volontà”, gli Ordinari chiedono di “rispettare due minuti di silenzio e di preghiera al momento del suono delle campane, previsto per le ore 19, suggerendo di spegnere telefonini, radio e tv, interrompere eventuali conversazioni e laddove possibile fermare l’automobile”. (R.P.)

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    Il vescovo ortodosso di Donetsk indice digiuno per la pace

    ◊   Il metropolita Hilarion, della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca, ha preso le distanze dalle parti in conflitto nell'Est e ha ammonito: "Non ci possono essere benedizioni per chi viola il comandamento che dice di non uccidere".

    In risposta alle ostilità che continuano nell'est dell'Ucraina - riferisce l'agenzia AsiaNews - la diocesi di Donetsk della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca ha annunciato una settimana di digiuno per la pace. Il metropolita di Donetsk e Mariupol, Hilarion, ha invitato i fedeli a "intensificare la preghiera e osservare il digiuno dal 2 al 7 giugno per la fine del conflitto armato". Lo ha fatto sapere il servizio stampa della diocesi, citato dal sito di informazione Portalcredo.ru.

    Di recente il metropolita aveva condannato lo spargimento di sangue in atto nelle regioni orientali, teatro dello scontro tra i separatisti filorussi e l'esercito di Kiev. ''La Chiesa non ha il diritto di sostenere nessuna parte in questa guerra fratricida e non ci possono essere benedizioni per chi viola il comandamento non uccidere'', aveva detto in un messaggio alla comunità. "Chi viola i comandamenti di Dio - aveva aggiunto - con confronto armato, rabbia, propaganda menzognera e spietatezza si condanna al Giudizio di Dio".

    La diocesi di Donetsk sta raccogliendo aiuti, soprattutto medicinali, per la popolazione della regione e a inizio giugno ha distribuito soprattutto insulina per i diabetici arrivata da una diocesi di Toronto.

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    Vescovi Usa: allarme per i bambini migranti senza documenti

    ◊   I vescovi cattolici degli Stati Uniti hanno fatto appello all'amministrazione Obama e al Congresso perché prendano provvedimenti concreti per tutelare i minori privi di documenti che viaggiano da soli come emigranti. La nota inviata all’agenzia Fides riporta che, secondo la Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America (Usccb), visti i pericoli che i ragazzi devono affrontare in questa loro impresa, la situazione è diventata “una crisi umanitaria”, la cui origine si può trovare nelle condizioni di povertà e nell'aumento della violenza nelle rispettive realtà da cui tentavo di fuggire. Tutto questo deve essere affrontato come parte di una soluzione a lungo termine.

    Il presidente della Commissione per le migrazioni dei vescovi, mons. Eusebio L. Elizondo Almaguer, vescovo ausiliare di Seattle (Washington), nato in Messico, sottolinea: "Si tratta di un problema molto complesso, ma le sue radici devono essere affrontate sia dal nostro governo che dai governi della regione". Le parole di mons. Elizondo Almaguer, sono dirette in primo luogo all'amministrazione attuale perché, secondo dati raccolti dalle fonti cattoliche, è stato registrato un incremento del 92% dei ragazzi fermati fra il 2013 e il 2014. “Questi ragazzi sono estremamente esposti ai trafficanti di esseri umani e ai contrabbandieri senza scrupoli, e devono essere protetti" ha sottolineato il Presule.

    Il vescovo ha rilanciato questo appello, già espresso precedentemente, in seguito alla pubblicazione, martedì 3 giugno 2014, del rapporto dell’ufficio Dogane e Protezione delle Frontiere, in cui si riferisce che nel corso degli ultimi 20 mesi la polizia di frontiera e altre agenzie federali di confine hanno arrestato più di 71 mila ragazzi di età inferiore ai 17 anni, la maggior parte sul confine meridionale del Texas. (R.P.)

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    Nigeria. In un anno oltre tremila le vittime di Boko Haram

    ◊   Ancora violenza in Nigeria. Sarebbero centinaia le vittime negli ultimi attacchi condotti nel Paese dai ribelli di Boko Haram. Ieri almeno 4 persone sono rimaste uccise nell’esplosione di un furgone-bomba davanti la residenza del governatore dello stato di Gombe, nel nord-est del Paese. Secondo un rapporto, nell’ultimo anno sarebbero oltre 3mila le vittime di Boko Haram, oltre 250mila gli sfollati.

    E potrebbe essere stata una vera strage quella compiuta da terroristi, probabilmente sempre da estremisti di Boko Haram, in quattro villaggi del nord-est della Nigeria. Il bilancio, secondo un deputato locale che cita come fonti i capi villaggio, potrebbe essere nell'ordine di 400, forse 500 vittime. Uomini in uniforme militare hanno attaccato i villaggi di Goshe, Attagara, Agapalwa e Aganjara nel distretto di Gwoza, nello Stato di Borno, bruciando case, chiese e moschee e uccidendo quanti cercavano di fuggire. Sul bilancio esatto mancano però fonti indipendenti.

    Intanto, alcuni giovani di Mbulakudla, nello Stato del Borno, hanno arrestato 20 estremisti di Boko Haram, dopo una loro incursione nel loro villaggio.

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    Nigeria: i vescovi indicono 6 mesi di preghiera per la pace

    ◊   I vescovi della Nigeria propongono un’iniziativa di preghiera nazionale, da luglio a dicembre, per riportare la pace nel Paese, messa a dura prova delle violenze di Boko Haram. Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, i vescovi suggeriscono ogni mese un’intenzione particolare di preghiera: a luglio per il rilascio di tutte le persone rapite in Nigeria; ad agosto per coloro che soffrono le conseguenze delle violenze; a settembre per gli agenti delle forze di sicurezza che hanno perso la vita o sono rimasti feriti per difendere il Paese; ad ottobre per l’unità, la pace e il buon governo; a novembre per lo sradicamento della corruzione e la promozione della giustizia; a dicembre per la promozione dei valori familiari, della famiglia e la protezione della vita umana.

    Secondo le linee guida suggerite dai vescovi, la preghiera avrà luogo a livello familiare (ogni famiglia è invitata a recitare il Rosario il sabato sera), parrocchiale e diocesano (rosario e adorazione eucaristica l’ultimo sabato del mese) e nazionale, con un pellegrinaggio il 13 e 14 novembre al Centro ecumenico nazionale di Abuja.

    Dal canto suo il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja ha affermato alla Fides che “il problema di Boko Haram rischia di minare la compattezza delle forze armate nigeriane, soprattutto se si arriva al punto di interpretare quello che avviene nel nord della Nigeria come uno scontro religioso tra cristiani e musulmani”. La stampa locale riporta la notizia che una decina di alti ufficiali e diversi militari di truppa sono stati condannati da una Corte marziale per aver fornito armi e munizioni a Boko Haram.

    “Alcuni giornali hanno pubblicato la notizia citando fonti militari, ma l’alto comando delle forze armate l’ha smentita” precisa il card. Onaiyekan. “Sono sicuro che con il tempo sapremo la verità su questo fatto. È chiaro comunque che ci sono dei simpatizzanti di Boko Haram all’interno dell’esercito. È difficile però quantificare quanti siano”.

    “La mia paura - prosegue il cardinale - è che la campagna contro Boko Haram venga vista come un attacco contro l’Islam. Ora Boko Haram vuole proprio questo. Purtroppo anche nel campo cristiano ci sono coloro che tendono a presentare la lotta a Boko Haram come uno scontro tra cristiani e musulmani. Si tratta di una visione molto pericolosa, che potrebbe minare la compattezza delle forze dell’ordine. Nell’esercito convivono cristiani e musulmani che finora hanno agito uniti, come militari delle nostre forze armate”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 157

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.