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Sommario del 04/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Francesco: pietà non è compassione ma legame profondo con Dio
  • L'8 giugno l'incontro in Vaticano tra il Papa, Peres e Abbas
  • Radio Vaticana aderisce a rete radio a onde corte per le emergenze
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Gli Usa al fianco di Kiev, primo incontro Obama-Poroshenko
  • Siria: per Assad ampia vittoria alle presidenziali
  • Egitto. Al-Sisi presidente. Congratulazioni dai Patriarchi
  • Centrafrica. Attaccata base Msf che evacua parte del personale
  • Sud Sudan. Lo stupro di guerra nelle parole di una missionaria
  • Giornata mondiale contro la violenza sui bambini innocenti
  • Al Gemelli, il sorriso e l'umanità di "Patch Adams"
  • Fondazione Migrantes: gli italiani in Cina sono 10 mila
  • "Gesù sorride": presentato a Roma il libro sul Papa di padre Sorge
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • A Minsk il IV Forum europeo cattolico-ortodosso
  • Vescovi italiani: invito a pregare per la pace in Medio Oriente
  • Il card. Scola: "Giovanni XXIII Buon Pastore e Padre"
  • A Roma i due preti liberati in Camerun: "Trattati discretamente"
  • Myanmar: referendum popolare sulla legge anti-conversione
  • Indonesia: i vescovi chiedono un "voto responsabile" alle presidenziali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Francesco: pietà non è compassione ma legame profondo con Dio

    ◊   L’autentico significato della "pietà", dono dello Spirito Santo, che non è compassione, o “fingerci santi”, ma è il legame profondo con Dio che dà senso alla nostra vita, ci fa miti e gioiosi e ci rende davvero capaci di amare i fratelli. Questo il cuore della catechesi sviluppata da Papa Francesco all’udienza generale in una Piazza San Pietro assolata e gremita da circa 50 mila fedeli provenienti da tutto il mondo. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Un lungo giro tra i pellegrini iniziato ben prima della 10 in Piazza San Pietro tra mani alzate, bandiere, abbracci con i bambini e con i malati: è il consueto saluto del Papa all’udienza del mercoledì ripresa stamani, dopo il viaggio in Terra Santa con la catechesi sui doni dello Spirito. Francesco si sofferma sulla pietà, dono, spiega, "tante volte frainteso o considerato in modo superficiale":

    “Bisogna chiarire subito che questo dono non si identifica con l’avere compassione di qualcuno, avere pietà del prossimo, ma indica la nostra appartenenza a Dio e il nostro legame profondo con Lui, un legame che dà senso a tutta la nostra vita e che ci mantiene saldi, in comunione con Lui, anche nei momenti più difficili e travagliati”.

    Anche questo legame però, sottolinea il Papa, non è da intendersi “come un dovere o un’imposizione, bensì come una relazione vissuta col cuore”: è la nostra amicizia con Dio che ci riempie di gioia e quindi ci muove “ quasi naturalmente” alla gratitudine e alla lode:

    "Pietà, dunque, è sinonimo di autentico spirito religioso, di confidenza filiale con Dio, di quella capacità di pregarlo con amore e semplicità che è propria delle persone umili di cuore”.

    E se la pietà ci fa crescere nella comunione con Dio ci aiuta anche, prosegue Papa Francesco, a riversare, in modo autentico questo amore su quanti incontriamo ogni giorno, “riconoscendoli come fratelli”. “E allora sì che saremo mossi da sentimenti di pietà” e non, altro fraintendimento, di “pietismo”:

    “Perché dico non di pietismo? Perché alcuni pensano che avere pietà è chiudere gli occhi, fare faccia di immaginetta, così, no? E anche fare finta di essere come un santo, no? Ma quello non è il dono della pietà”.

    Pietà è dunque, secondo quanto descrive il Papa, essere realmente capaci di gioire o piangere, stare vicini o correggere, consolare o accogliere chi incontriamo ogni giorno. E forte è il rapporto della pietà con la mitezza, aggiunge a braccio:

    “Il dono della pietà che ci dà lo Spirito Santo ci fa miti, ci fa tranquilli, pazienti, in pace con Dio: al servizio con mitezza degli altri”.

    “Chiediamo dunque al Signore”, è l’invocazione del Papa anche nei saluti in diverse lingue, ”che il dono del suo Spirito”, nell’avvicinarsi della Pentecoste, ci renda testimoni miti e gioiosi, del suo amore:

    “Chiediamo al Signore che il dono del suo Spirito possa vincere il nostro timore, e le nostre incertezze, anche il nostro spirito inquieto, impaziente, e possa renderci testimoni gioiosi di Dio e del suo amore”.

    Un pensiero speciale il Papa lo ha rivolto, alla fine dell’udienza, ai giovani polacchi riuniti al Santuario di Lednica affidandoli alla guida di San Giovanni Paolo II che lì, ha detto, “diciott’anni fa ha iniziato con voi il cammino": “Ottenga per voi tutte le grazie necessarie affinché la vostra giovane vita sia piena e generosa”. Tra i pellegrini italiani, invece, il saluto e un invito particolare del Pontefice è andato ai giovani, ai malati e agli sposi novelli partecipanti al Convegno promosso dal Movimento dei Focolari, perché lo Spirito Santo abbia spazio nelle vostre vite e vi conceda i doni della pietà e della fortezza.

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    L'8 giugno l'incontro in Vaticano tra il Papa, Peres e Abbas

    ◊   La “casa” di Papa Francesco centro di pace in Medio Oriente. È quando avverrà nel tardo pomeriggio di domenica 8 giugno, nell’atteso incontro tra il Papa e i presidenti israeliano e palestinese, Shimon Peres e Mahmoud Abbas, invitati durante il recente pellegrinaggio in Terra Santa. La data dell’incontro, denominato “Invocazione per la pace”, è stata confermata da un comunicato della Sala Stampa Vaticana, dove dopodomani, alle ore 13, l’iniziativa verrà presentata ai media nel corso di un briefing, tenuto dal Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e dal direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi. (A.D.C.)

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    Radio Vaticana aderisce a rete radio a onde corte per le emergenze

    ◊   Un’onda vi salverà. Perché anche la tecnologia multimediale più avanzata può avere dei limiti, imposti dalla sua stessa sofisticatezza, e non riuscire a portare ad esempio la notizia di un soccorso in caso di emergenza in un’area sprovvista di strumenti di ricezione digitale. Un limite praticamente sconosciuto invece alla trasmissione in onda corta, da sempre una portante fondamentale nell’ottuagenaria storia della Radio del Papa, che alle onde corte affidò durante la Seconda Guerra mondiale le migliaia di messaggi destinati a reperire informazioni sui militari dispersi o prigionieri e anche, in modo analogo, quelli destinati ai profughi del conflitto in Kosovo, alla fine del secolo scorso.

    In quanto membro dell’Hfcc (High Frequency Co-ordination Conference) – l’organismo internazionale che si occupa delle trasmissioni internazionali in onde corte e che regola la gestione di tali frequenze fra i vari Paesi – la Radio Vaticana ha deciso di partecipare a un’iniziativa diretta a sottolineare proprio l’importanza dell’uso delle trasmissioni in onde corte in caso di calamità naturali o di altre emergenze.

    Dunque, in occasione del vertice che l’Hfcc terrà a Jakarta domani e dopodomani, tutte le emittenti internazionali che aderiscono all’organizzazione metteranno in onda una trasmissione speciale finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica e la comunità internazionale sulla necessità di dare vita a una rete radiofonica mondiale in onde corte, dotata di strumenti e servizi sempre pronti all’uso, con l’obiettivo di fornire assistenza nelle situazioni di emergenza. In particolare, l’emittente pontificia trasmetterà verso i Paesi dell’Asia un programma di 30 minuti, realizzato dalla Bbc, sulla frequenza di 21840 kHz, dalle ore 05.00 alle 05.30 (Utc).

    Per la loro mancanza di costi, le onde corte risultano particolarmente accessibili e consentono la diffusione delle informazioni anche tra le popolazioni più svantaggiate e marginalizzate. Per dare un’idea del vantaggio rappresentato da questa forma di trasmissione, è indicativo il dato riferito dal “World Disasters Report” 2013 della Croce Rossa Internazionale, secondo il quale solo il 6% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo ha accesso a Internet. Garantire l’accesso a una tecnologia dell’informazione a basso costo rappresenta quindi ancora una sfida fondamentale che impegna l’intera comunità internazionale. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Chi ci riscalda il cuore: all'udienza generale, continuando la catechesi sui doni dello Spirito Santo, il Papa spiega il significato della pietà.

    Libertà solidale e responsabile: conclusa la visita del cardinale segretario di Stato in Polonia.

    Un'amicizia segreta: Paolo Vian su Giovanni Battista De Rossi e Prosper Guéranger.

    Un articolo di Luigi F. Pizzolato dal titolo "Il sussidio di disoccupazione di Gesù": giustizia umana e giustizia divina.

    Salutari ramificazioni: Carlo Petrini in merito a un documento dell'Unesco sui temi bioetici.

    Orfeo torna a suonare la cetra: Fabrizio Bisconti sulle scoperte nelle catacombe dei Santi Pietro e Marcellino.

    L'Onu studia iniziative per i flussi migratori: possibili centri in Africa e in Vicino Oriente.

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    Oggi in Primo Piano



    Gli Usa al fianco di Kiev, primo incontro Obama-Poroshenko

    ◊   Pieno sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina. Lo ha garantito Obama nel suo primo incontro con Petro Poroshenko, a Varsavia, in occasione dell’anniversario delle prime elezioni democratiche in Polonia. Stasera, a Bruxelles, al via il G7, carico di tensione, con la questione Ucraina in primo piano e senza la Russia, esclusa dopo l’annessione della Crimea, mai riconosciuta dalla comunità internazionale. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Il nuovo corso ucraino è una giusta scelta: Barack Obama, nel suo primo incontro con Petro Poroshenko, garantisce il pieno appoggio al nuovo presidente di Kiev che potrà contare sul sostegno a lungo termine d’oltreoceano, oltre che su un aiuto di tipo militare. Da una Varsavia che ricorda i 25 anni dalla prima elezione democratica, Obama apre un confronto diretto con Vladimir Putin che, da parte sua, si dice pronto a al dialogo con gli Usa. "L'Ucraina deve potersi autodeterminare", dice Obama, “Kiev ha bisogno della nostra solidarietà”. In Europa la libertà non è garantita, perciò ogni partner Nato sarà protetto, dalla Polonia alla Romania, aggiunge il presidente americano, a poche ore dalla promessa di un miliardo di dollari necessari al rafforzamento della sicurezza degli alleati nell’est europeo, preoccupati dopo l’annessione russa della Crimea. Obama condanna poi quelle che definisce ''le tattiche oscure e aggressive'' della Russia in Ucraina. ''Non accetteremo mai l'occupazione russa della Crimea né la violazione della sovranità ucraina'', conclude Obama che chiede a Putin di bloccare le azioni dei filorussi nell’est ucraino, minacciando ulteriori sanzioni, avallate dalla cancelliera Merkel. Kiev ha intanto intensificato i suoi attacchi contro i secessionisti, secondo gli ucraini nelle ultime 24 ore sarebbero state uccisi circa 300 miliziani.

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    Siria: per Assad ampia vittoria alle presidenziali

    ◊   Alle elezioni presidenziali in Siria, il capo dello Stato, Bashar al Assad, confermato per il terzo mandato. Si parla di plebiscito, anche se i risultati ufficiali si conosceranno entro giovedì e, soprattutto, si è votato solo nelle sole zone controllate dal regime. Sul terreno non si fermano, intanto, gli scontri, tra oppositori e militari, che in più di tre anni di conflitto sono costati la vita a 160 mila persone. In questo contesto bellico, le consultazioni sono definite una farsa da opposizione, Nato e Stati Uniti. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Beirut, nel vicino Libano, la collega giornalista Susan Dabbous che sta seguendo la crisi siriana:

    R. – La percezione è che moltissime persone si siano recate a votare, sia in Siria che in Libano, senza avere conoscenza dei candidati che sfidavano il presidente in carica rieletto e che inizierà il suo terzo mandato. Molte persone che votavano Bashar al-Assad hanno confessato che certo non si tratta di una democrazia, ma di un governo che in questo momento può garantire l’ordine e la sicurezza.

    D. – Ieri ti sei recata a Masna, zona di confine tra Libano e Siria, cosa hai visto?

    R. – Innanzitutto, forse, c’erano molti meno votanti di quanto se ne aspettassero; parliamo di meno di sette mila persone. È pur vero che in Libano si era votato mercoledì scorso all’ambasciata siriana e c’era stata un’affluenza notevole con blocchi di strade e traffico insostenibile. Mercoledì scorso hanno votato circa 60 mila siriani. Ieri, meno di sette mila. Ovviamente, si sta parlando di una piccolissima percentuale di quel milione e centomila siriani presenti in Libano. Ieri, a Masna c’erano più che altro lavoratori, che rappresentano una forte presenza in Libano di manodopera siriana a basso costo e che esprimevano il loro sostegno al presidente, innalzavano poster, bandiere, avevano simboli di riconoscimento. C’è chi ha tenuto a sottolineare, davanti a telecamere e giornalisti, che aveva votato con il sangue, pungendosi il dito.

    D. – Persone che hanno voluto confermare il loro sostegno ad Assad con il proprio sangue?

    R. – Sì, perché c’è un fortissimo ritorno in Siria alla partecipazione politica e la propaganda è entrata un po’ nel dna di chi è cresciuto all’ombra del regime.

    D. – I profughi in Libano, oltre un milione e centomila, sono legati o meno a questo regime?

    R. – Sono assolutamente contrari. Sono fuggiti proprio dalle bombe che questo regime ha lanciato sulle proprie case, sui propri villaggi, sulle proprie città.

    D. – Perché non hanno votato?

    R. – Perché, ovviamente, queste sono, per loro ed anche per la comunità internazionale, elezioni farsa: non c’erano i candidati che l’opposizione, o chi si schiera contro Assad, avrebbe voluto. Questo perché i criteri di candidabilità erano talmente cuciti addosso a Bashar al-Assad che era praticamente impossibile candidarsi. Per molti oppositori, ad esempio, residenti all’estero da anni per asilo politico, era impossibile candidarsi. Quindi, elezioni farsa sin dall’inizio, ma che in un certo senso legittimano internamente Bashar al-Assad in questa fase di rilancio in cui appunto, avendo riconquistato parte del Paese che era in mano dei ribelli, ora vorrebbe probabilmente iniziare una sorta di riconciliazione.

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    Egitto. Al-Sisi presidente. Congratulazioni dai Patriarchi

    ◊   In Egitto.Abdel Fattah al-Sisi è stato proclamato ufficialmente nuovo presidente. Ha vinto con il 96,1% dei consensi. Il neo eletto Capo di Stato ha ringraziato il suo sfidante, il candidato della sinistra Hamdeen Sabahi, per la sua partecipazione alle elezioni e i cittadini egiziani, la magistratura e i media per il "ruolo svolto" durante il processo elettorale.Massimiliano Menichetti:

    L’uomo forte dell’Egitto è ora il Presidente. Abdel Fattah al-Sisi ha ottenuto un plebiscito, come previsto, con oltre il 96% dei consensi alle presidenziali del 26 e 28 maggio. L’affluenza alle urne, conferma la Commissione elettorale, è stata del 47%. Le sfide che dovrà affrontare il nuovo Capo di Stato sono la stabilità del Paese, la lotta al terrorismo, concentrato soprattutto nella zona del Sinai e la rinascita economica. L'ex-comandante delle Forze armate, comparendo in tv in giacca blù, camicia bianca e cravatta amaranto, ha sottolineato che “è tempo di lavorare per il benessere del Paese", esortando il "popolo" a continuare negli sforzi per sostenere l’Egitto. Una vittoria "storica" l’ha definita il re saudita Abdullah. Il presidente iraniano, Hassan Rohani, è stato invitato alla cerimonia di giuramento che dovrebbe tenersi sabato al Cairo, ma già ieri, nonostante le rigide misure di sicurezza, in piazza Tahrir e in altri punti della capitale, sono scattati festeggiamenti spontanei di popolo.

    La Chiesa in Egitto saluta con favore l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi a nuovo presidente del Paese, eletto con il 96,1% dei consensi. La cerimonia del giuramento si terrà domenica. Massimiliano Menichetti ha intervistato il vescovo di Assiut, mons.William Kiryllos:

    R. – C’è soddisfazione, da ciò che vediamo, da parte di tutta la popolazione egiziana, perché vede nella persona di al-Sisi un eroe che ha salvato l’Egitto dai Fratelli musulmani: nessuno riusciva a credere che un giorno ci saremmo salvati da questo regime fondamentalista. Nessun presidente è stato eletto con questa maggioranza assoluta: il 96,1% dei voti! Non c’è alcun paragone tra lui e l’altro candidato Hamdin Sabahi, nonostante anche lui fosse molto apprezzato. Ma la gente voleva, in questo periodo, una persona forte. Quindi, c’è soddisfazione.

    D. – Quali sono i rapporti della comunità cattolica con la realtà politica del presidente?

    R. – Il presidente, in diversi discorsi, ha fatto riferimento agli atteggiamenti della Chiesa soprattutto quando sono stati bruciati luoghi di preghiera, le chiese, dicendo testualmente: “Non si sono rivolti all’estero, eppure c’era più di un Paese che aspettava solo un piccolo cenno per intervenire. I cristiani, invece, hanno detto che questi sono problemi interni e li risolveremo, dimostrando così uno spirito veramente molto fedele al Paese, alla patria". E questo è stato molto, molto apprezzato da parte sua. Da parte della Chiesa cattolica, mons. Mina –che ha giocato un ruolo molto importante nella formulazione della nostra nuova Costituzione –è stato invitato alla cerimonia di insediamento del presidente, la prossima domenica. Questo è un riconoscimento importante. Il Patriarca ha mandato un telegramma di auguri a nome di tutta la gerarchia cattolica.

    D. – Abbiamo visto in questo periodo tanta violenza in Egitto, anche contro i cristiani. Qual è adesso la situazione?

    R. – Questi atti continuano, anche perché – l’ho letto ultimamente – fra i Fratelli musulmani c’è anche un gruppo che si chiama “Gruppo di punizione dei cristiani”: vogliono punire i cristiani proprio perché ritengono che i cristiani fossero dietro la caduta di Morsi e credono siano dietro tutte le vicende che viviamo, a partire dalla nuova Costituzione fino all’elezione di al Sisi. I cristiani erano effettivamente presenti e la loro presenza era sentita. Questi atti di violenza non finiranno certo da un giorno all’altro, ma speriamo che le forze di sicurezza saranno più forti e più efficienti nel combattere ogni forma di terrorismo e di violenza.

    D. – Possiamo dire che questa elezione, dunque, ha portato un nuovo vento di speranza?

    R. – Sì, questa elezione è stata festeggiata in tutto l’Egitto. Tutti hanno questa speranza che il futuro sarà migliore di prima e pur sapendo che abbiamo tanti, tanti problemi – a livello economico, di sicurezza… –siamo anche consapevoli che tutti dobbiamo collaborare per poter affrontare le difficoltà.

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    Centrafrica. Attaccata base Msf che evacua parte del personale

    ◊   La situazione di conflitto in Centrafrica mette in crisi l’azione umanitaria. Uomini armati hanno attaccato una base di Medici senza frontiere (Msf) a Nde'le', nel nord del Paese, fortunatamente senza provocare vittime. In un comunicato l’organizzazione conferma, tuttavia, la determinazione a continuare a fornire assistenza medica alla stremata popolazione civile, aggiungendo che, a causa dell'attacco, una parte dell'equipe di Msf è stata temporaneamente evacuata dalla città. Che cosa ha provocato questo attacco negli operatori di Medici senza Frontiere? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Loris De Filippi, presidente di Msf Italia:

    R. - È l’ennesimo atto di violenza. Ci sono stati 115 momenti o situazioni di pericolo negli ultimi mesi in Centrafrica e i nostri progetti sono in serio pericolo. L’ultimo attacco è l’ennesimo della serie.

    D. - Se dovesse andar via Medici senza frontiere da questo Paese, cosa verrebbe a mancare alla popolazione, già spaventata e toccata duramente dalla guerra civile?

    R. - Sicuramente era un Paese, ancora prima della guerra civile, in condizioni penose, con indici di povertà estremamente alti. Per farvi capire il nostro sforzo: ci sono più di due mila operatori locali, 300 volontari espatriati e 17 progetti in tutto il Paese, quindi ospedali che vanno avanti con il nostro supporto, cliniche… L’insicurezza è particolarmente forte. Per questo, in qualche modo, tentiamo di tener duro e di stimolare la comunità internazionale a proteggere gli operatori umanitari, a proteggere la popolazione civile che è in pericolo e a sperare che questa situazione di conflitto vada piano piano a scemare. La situazione resta molto drammatica.

    D. - Chi è contro gli interventi umanitari in Centrafrica, ma non solo?

    R. - In questo momento, in verità, la situazione in Centrafrica è molto particolare. Credo che le due fazioni che stanno combattendo in questo momento non ce l’hanno particolarmente con gli attori umanitari, per cui non credo che ci sia la volontà delle due parti in causa di, in qualche maniera, impedire l’azione umanitaria. Vogliono sicuramente soldi e riarmarsi in una fase drammatica del conflitto, hanno bisogno ovviamente di armi. La situazione è molto diversa rispetto ad altri Paesi in cui siamo bersaglio per ragioni politiche, o per ragioni di altro interesse.

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    Sud Sudan. Lo stupro di guerra nelle parole di una missionaria

    ◊   La violenza sessuale è una delle peggiori piaghe del conflitto in Sud Sudan, scoppiato alla fine del 2013. La denuncia, di pochi giorni fa, è di Amnesty International e nonostante lo scorso 9 maggio sia stato raggiunto un accordo tra il governo del presidente, Salva Kiir, e i ribelli, nulla garantisce che si concluderanno le atrocità contro donne e bambine perpetrate da ambo le parti. Suor Elena Balani, missionaria comboniana a Makala, in Sud Sudan, ha preso parte alla tavola rotonda ospitata dalla nostra emittente e trasmessa ieri sul Canale You Tube Vaticano e dedicata alla grave piaga degli stupri come arma di guerra. Le parole della religiosa al microfono di Francesca Sabatinelli:

    R. - In Sudan e Sud Sudan, l’abuso sulle donne, sui bambini in caso di guerra c’è stato. È un Paese che purtroppo ha conosciuto periodi lunghissimi di guerra. Però devo dire - anche sulla testimonianza di persone anziane che hanno vissuto i 50 anni di guerra che hanno portato all’indipendenza del Sud Sudan - che l’uso sistematico della violenza sessuale sulle donne non è mai stato praticato in maniera così eccessiva come invece è avvenuto in quest’ultimo conflitto. Non era un’arma da considerare, anche nella cultura sud sudanese, dove prevaleva il rispetto per le donne.

    D. - Lei che è stata per molti anni missionaria prima in Sudan, poi in Sud Sudan, a cosa attribuisce questo drammatico e orrendo cambiamento?

    R. - Credo che ci sarà bisogno di un’analisi, questo conflitto non è ancora chiuso. Un’analisi per capire che cosa mai sia successo per arrivare a questi eccessi. Penso che l’internazionalizzazione dei conflitti e delle guerre abbia portato a questo. La violenza sulle donne è stata molto usata anche in Paesi non lontani dal Sud Sudan negli anni precedenti e in questo conflitto partecipano soldati che vengono anche da altre zone, o che sono stati in altri Paesi. Penso che siamo di fronte a un “imparare” tecniche nuove e metterle in pratica. Il secondo elemento importantissimo, che ha scatenato questa ondata di odio, è l’elemento etnico: in Paesi come il Sud Sudan la diversificazione in tribù o gruppi etnici diversi - se ne contano 60 - è importantissima. Purtroppo, nel conflitto corrente, la diversa appartenenza etnica è stata utilizzata senza scrupoli - mi permetto di dire - da alcuni politici per i loro fini ed interessi. Quando in una guerra il tribalismo ha un peso, allora penso che la gente diventi cieca, i combattenti diventino ciechi. Chi non appartiene alla propria tribù, al proprio gruppo etnico, deve essere eliminato. Perciò, per quanto riguarda le donne si sono avuti esempi non solo di violenza sessuale ma anche di eliminazione dopo la violenza. Tante sono state uccise.

    D. - Questo è un fenomeno che coinvolge molti Paesi, non solo del continente africano, l’abbiamo vissuto anche recentemente in terra europea. E’ chiaro che ci vuole un intervento, soprattutto coordinato, ma i piani di intervento sono diversi: l’educazione, il primo soccorso, l’intervento politico. Forse, finché non si riusciranno ad armonizzare tutti questi livelli, sarà difficile riuscire a combattere questa arma di guerra…

    R. - Sono pienamente d’accordo. Apprezzo moltissimo l’iniziativa di questo summit a livello mondiale a Londra (10-13 giugno contro lo stupro di guerra - ndr), con rappresentanze sia politiche, sia delle Nazioni Unite. Assieme a loro, che lavorano a quel tipo di livello, quello globale, è senz’altro importantissimo che i gruppi religiosi, le Chiese e i rappresentanti o istituzioni di altre grandi religioni del mondo comprendano l’importanza di operare, lavorare, agire, parlare, così che questo orribile tipo di violenza possa terminare.

    D. - Le vittime sono donne, sono bambine, che un domani saranno donne. Si recuperano queste persone?

    R. - Recuperare le persone è complesso. Questo tipo di danno, di violenza, può avvenire in pochi minuti, in un brevissimo tempo, però poi la distruzione a vari livelli sulla persona può durare una vita. In Sud Sudan, adesso quasi nessuno potrà dire che non sa cosa sia la violenza sessuale sulle donne, perché è stata praticata proprio in questo conflitto in tantissime città e villaggi. A questo punto anche la cultura, penso, sarà chiamata a cambiare: mentre prima non si parlava molto di questo, ora sarà così importante parlarne in modo da guarire le vittime e inoltre educare e prevenire. Oltre ad avere subito violenza, le vittime vengono ulteriormente “vittimizzate” dalla società, perché vengono isolate, viene loro preclusa la possibilità di formare una propria famiglia. Torno, quindi, al discorso della cultura: va fatta una campagna di informazione e formazione e le istituzioni religiose possono giocare un ruolo in questo senso.

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    Giornata mondiale contro la violenza sui bambini innocenti

    ◊   Dare voce al silenzio dei bambini che soffrono: ricorre oggi la Giornata internazionale per i minori innocenti, vittime di violenza. Si tratta di una data istituita dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1982, pensando soprattutto ai giovani colpiti dai conflitti in Libano e Palestina. Dai teatri internazionali di guerra alle singole famiglie in difficoltà sono ancora troppi i casi di violazione dei diritti fondamentali dei bambini.Gianmichele Laino ne ha parlato con Elena Cranchi, responsabile della comunicazione di “Sos Villaggi dei bambini”, organizzazione internazionale impegnata nell’accoglienza di minori privi di cure familiari:

    R. - Lo scopo di questa Giornata è ricordare, porre l’attenzione su quelle che sono effettivamente le prime vittime nel mondo, in ogni Paese del mondo, della violenza: i bambini. Violenza che ha mille forme: la violenza della guerra, la violenza della natura... Pensiamo alla Siria che viene ricordata, purtroppo, solo qualche volta; pensiamo al Sud Sudan, dove noi tra l’altro abbiamo delle testimonianze incredibili di bambini, che sono dovuti fuggire da un villaggio Sos nel quale erano accolti per salvarsi la vita. Se penso alla violenza della natura, penso a quello che sta capitando ai bambini in Bosnia Erzegovina, in Croazia, in Serbia. E’ un momento, forse, per capire quale sia la loro vulnerabilità e quale sia l’emergenza in cui vivono.

    D. – Lei ha parlato di scenari internazionali, dove essere bambino è particolarmente difficile. Perché si parla di generazioni perdute?

    R. – E’ più comodo utilizzare una definizione, invece di pensare a quali possano essere le risposte. Io credo che ogni scenario internazionale possa porre, effettivamente, le persone responsabili delle violenze perpetrate all’infanzia nella posizione di poter decidere. Per me, l’infanzia non è una generazione perduta: l’infanzia non è solo il futuro del nostro mondo, l’infanzia è il presente.

    D. – Quali sono le iniziative che "Sos Villaggi dei Bambini" porta avanti per tutelare i minori colpiti da violenze?

    R. – "Sos Villaggi dei Bambini" intanto garantisce da 60 anni ai bambini privi di cure familiari di vivere in una casa amorevole. Noi, dal 1949, abbiamo in 133 Paesi nel mondo dei Villaggi Sos, all’interno dei quali vengono accolti i bambini, che in un momento della loro vita non possono più vivere all’interno delle proprie famiglie. Noi abbiamo ogni giorno 82.300 bambini accolti e 2 milioni di persone sostenute, perché il nostro obiettivo è quello di sostenere le famiglie vulnerabili e i loro figli. In ogni Paese, secondo il tipo di emergenza, noi proteggiamo il bambino dando appunto accoglienza e tutti quei servizi che sono fondamentali per recuperare il loro presente e il loro futuro.

    D. – Molto spesso le violenze sui bambini avvengono anche al di fuori dei teatri di guerra. Quali sono i casi più frequenti?

    R. – La violenza può andare dall’indifferenza a una violenza fisica, al non essere ascoltati. La si vede ogni qual volta la serenità di un bambino viene compromessa, perché il bambino non ha la possibilità di difendersi e non ha la possibilità di difendersi anche a livello mediatico. Invece il problema sono le storie. Ogni silenzio quindi –perché il bambino non ha voce – è una violenza aggiuntiva.

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    Al Gemelli, il sorriso e l'umanità di "Patch Adams"

    ◊   Curare i piccoli malati con una delle medicine più efficaci che esistano: l’umorismo. È la ricetta del dottor Hunter Doherty, in arte “Patch Adams”, il celebre medico americano che ha inventato la “clownterapia”, con l'obiettivo di far riscoprire l'umorismo ai piccoli orfani e agli ammalati.Patch Adams, per la prima volta in visita a un ospedale italiano, ha incontrato i bambini ricoverati nei reparti di Oncologia pediatrica e Neurochirurgia infantile del Policlinico Gemelli e ha condiviso con il pubblico le sue esperienze di cura:

    R. – Before our work there were no clowns…
    Prima del nostro lavoro non c’erano clown negli ospedali. Ora, i clown entrano negli ospedali di più di 120 Paesi. Quindi, forse, l’umorismo potrebbe avere un posto nel lavoro che si fa per la pace e la giustizia nel mondo. Ho fatto il clown per 10 mila persone sul letto di morte. A Trinidad l’ho fatto per cinque detenuti, che sono stati impiccati il giorno successivo... Non importa quanto tremenda sia la sofferenza, l’umorismo può aiutare immensamente. Penso che fare il clown sia un trucco per avvicinare l’amore. Posso coinvolgere le persone vestito da clown in maniera molto più energica e questo non sarebbe possibile con abiti convenzionali. Ho fatto il clown ogni giorno per 50 anni ed entrambi i miei figli lavorano con me. Sono così felice di essere riuscito ad allontanare la sofferenza per ricevere l’amore. Normalmente, quando vado in un ospedale adesso dico: “Per favore portatemi da chi soffre di più”. In ogni campo di rifugiati in cui sono stato, chi lavora? Le mamme. In più di duemila orfanotrofi, non c’è un uomo. Io amo poterlo fare. Qual è lo scopo della vita? I milionari non sono poi così tanto felici e la tua più grande felicità è dare te stesso per gli altri. Non ne ho mai abbastanza. Sono felice quando una persona che soffre sente che ho fatto qualcosa. Potrei dire di farlo per me. Se tu sei un dottore o un infermiere e alla fine della giornata sei stanco, distrutto e con poche energie, non stai cogliendo il senso della tua missione.

    L’incontro di Patch Adams con i piccoli malati è stato reso possibile grazie all’impegno della onlus “Ali di scorta”. La presidente dell’associazione, Silvia Riccardi– che all’interno del Policlinico offre sostegno psicologico ed economico alle famiglie di bambini affetti da gravi patologie – spiega com’è nata l’iniziativa al microfono di Francesco Morrone:

    R. – “Ali di scorta” si occupa delle famiglie ricoverate ad Oncologia pediatrica e Neurochirurgia. Spera di portare alcuni momenti di gioia ai bambini che sono ricoverati, essendo Patch Adams famosissimo. Adams è anche medico, quindi non è un clown improvvisato: sa come agire con alcuni bambini dal punto di vista psicologico. Sa essere divertente, ma sa essere anche attento alla loro situazione di bambini ricoverati e malati. Lo scopo è la gioia di avere Patch Adams per “Ali di Scorta”, ma anche di farci conoscere e di cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica alle finalità dell’Associazione e avere un aiuto e un sostegno economico.

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    Fondazione Migrantes: gli italiani in Cina sono 10 mila

    ◊   La Cina diventa Pese di emigrazione e attrae anche molti italiani. E’quanto risulta da un’analisi realizzata dalla Fondazione Migrantes e pubblicata nel libro “Sulle orme di Marco Polo. Italiani in Cina”, scritto da Giovanna Di Vincenzo, Francesca Staiano e Fabio Marcelli. Ce ne parla Elvira Ragosta:

    Sono circa 10 mila gli italiani oggi in Cina. Complice la crisi economica e la richiesta di know how qualificato, giovani, per lo più laureati, emigrano verso est, alla ricerca di un futuro diverso. Il libro “Sulle orme di Marco Polo” è il risultato di un progetto della Fondazione Migrantes sull’analisi della migrazione verso la Cina. Provenienti per lo più dal Nord, gli italiani si dirigono nella zona sudorientale del Paese. Giovanna Di Vincenzo, coautrice del volume:

    R. – Sono sempre di più i giovani in cerca di opportunità, che hanno studiato economia o lingua cinese, che vanno in Cina per sfruttare, per cavalcare l’onda dello sviluppo economico cinese. Si tratta anche di una scelta culturale, di una scelta di approfondimento sociale.

    D. – Quanti di questi italiani restano e quanto è difficile per loro restare in Cina?

    R. – E’ sempre più difficile riuscire a rimanere in Cina.

    E sulle relazioni culturali e religiose tra Italia e Cina abbiamo ascoltato mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes:

    "Questo grande Paese si candida ad essere dal 2025 – come ha scritto anche l’Agenzia Fides – il più grande Paese cristiano del mondo, con oltre 165 milioni di persone di fede cristiana. Questo ci porta a leggere anche questi Paesi dell’Asia, nello specifico della Cina, come Paesi che possono essere una grande risorsa di evangelizzazione e, al tempo stesso, Paesi in cui si sperimenta quel dialogo interreligioso ed ecumenico che è certamente uno degli aspetti che anche Papa Francesco, in questi primi momenti del suo Pontificato, ci segnala essere un elemento importante di questo andare cristiano".

    Ma quali sono i motivi per cui la Cina si è trasformata da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione? Lo abbiamo chiesto ad Antonella Ceccagno, docente di letteratura cinese all’Università di Bologna:

    "Nel breve e medio periodo, la Cina sta passando da un Paese a un’economia soprattutto rurale a un Paese ad economia soprattutto urbana, con un accento sui servizi. E questo, di fatto, attira immigrati e attira anche talenti. Ci sono poi ragioni che porteranno la Cina a diventare un Paese d’immigrazione anche sul lungo periodo: la riserva illimitata di migranti dalle aree rurali e dalla Cina occidentale non sarà più così limitata negli anni a venire e quindi ci sarà bisogno d’immigrati che possano contribuire ulteriormente allo sviluppo dell’economia cinese. Un altro elemento è il rischio dello sbilanciamento tra i maschi e le femmine nella società cinese, dovuto alla prassi diffusa negli ultimi decenni di selezione dei bambini alla nascita, privilegiando i maschi sulle femmine".

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    "Gesù sorride": presentato a Roma il libro sul Papa di padre Sorge

    ◊   “Gesù sorride. Con Papa Francesco oltre la religione della paura”. Si intitola così il libro del gesuita padre Bartolomeo Sorge, pubblicato da Piemme Edizioni e presentato nella Sala Salvadori di Palazzo Montecitorio. Oltre all’autore presenti anche Gian Guido Vecchi e Ernesto Preziosi. Il volume nasce dalla costatazione dell’evidente popolarità e consenso suscitati da Papa Francesco, il cui messaggio però, secondo l’autore, può rischiare di essere banalizzato. Da qui il desiderio di andare alle sue ragioni profonde che affondano nella radicalità della vita evangelica, nella fede in Gesù, annunciato e amato con la vita, abbracciato nei poveri e nei piccoli. Padre Vito Magno ha chiesto allo stesso padre Sorge di illustrare il suo libro a cominciare dal titolo:

    R. – La parola l’ha detta il Papa. Lui dice: “Noi ci immaginiamo Gesù quando parla, quando fa miracoli, quando muore in croce, ma non lo pensiamo mai come sorridente. E invece, Gesù sorride, nel senso che diffonde una concezione della fede, della religione non come una cosa dovuta, paurosa, ma come una cosa gioiosa e bella. Allora, questo messaggio del Papa ci tenevo molto a metterlo bene in vista nelle sue fondamenta, perché c’è il pericolo che il Papa diventi una star televisiva: sarebbe la fine del suo messaggio! Se lo banalizzano, si rischia di non capire quella forza interiore che gli viene dal Vangelo, dalla fede…

    D. – Il cristianesimo, però, da secoli porta avanti l’idea, il messaggio che la religione è una religione della gioia, soprattutto in questi ultimi anni. Cosa c’è oggi di nuovo, di diverso su questo argomento?

    R. – C’è l’esperienza. Cioè, io ho l’impressione che la dottrina fosse già conosciuta, ma il vedere un Papa che con i fatti, con la vita, con la semplicità del linguaggio, con la vicinanza alla gente e alla carne malata di Cristo, ti fa sentire che è vera: questo è travolgente.

    D. – Poi, Papa Francesco usa delle parole-chiave: per esempio, la misericordia. Credo che sia più capita oggi che nel passato, anche da parte dei laici...

    R. – Di fatto, l’analisi che faccio nel libro è proprio questa, perché la nostra cultura contemporanea è diventata una cultura senza padre, il che vuol dire che avendo perso le relazioni interpersonali, il giusto rapporto tra il figlio e il padre, abbiamo perduto anche la capacità di conoscerci come fratelli, perché se non siamo figli dell’unico Padre allora nemmeno fra di noi siamo fratelli. Quindi, quando si dice invece misericordia, si dà il volto vero che Gesù ha rivelato del Padre, con una luce che non aveva ancora nell’Antico Testamento. Allora, paradossalmente, la società orfana di oggi ha bisogno di riscoprire il Padre e noi abbiamo questo Papa che, vivendo il Vangelo e parlando della misericordia del Padre, trova un’eco nuova, più profonda, proprio nel deficit della cultura dominante.

    D. – Un’altra parola-chiave di cui parla nel suo libro è il dialogo. Ma come lo interpreta il Papa è lo stesso modo in cui lo interpreta la cultura dominante?

    R. – Ecco, il vero problema è che usiamo i medesimi termini – la cultura cristiana e la cultura "mondana" – dando orizzonti diversi. Allora, il Papa non si nasconde le diversità, ma dice: le diversità vanno bene nel dialogo, solo che non basta discutere. Non arriveremo mai alla sintesi, alla comprensione soltanto ragionando, ma mostrando. Forse, il limite passato della vita cristiana, della Chiesa, è che abbiamo ragionato troppo e abbiamo mostrato meno, anche se i Santi non sono mai mancati. Quindi, il Papa mette l’accento sulla vita evangelica: per dialogare, il primo modo è testimoniare perché la testimonianza non ha bisogno di un dizionario per essere capita o tradotta. Quando il Papa scende dalla jeep per abbracciare un disabile, non occorre poi dialogare su che cosa sia la carità. Allora, ecco la forza travolgente della testimonianza evangelica: mostrare con la vita più che dimostrare con le parole. E questo è il dialogo inteso nel suo cuore profondo, secondo Papa Francesco.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    A Minsk il IV Forum europeo cattolico-ortodosso

    ◊   È con una preghiera per la pace in Europa e in Ucraina nella cripta della Chiesa-monumento di tutti i Santi e delle vittime innocenti della Madrepatria di Minsk, che si sono aperti, i lavori del IV Forum europeo cattolico-ortodosso. A Minsk, nella capitale bielorussa - riferisce l'agenzia Sir - oltre 35 rappresentanti delle Chiese ortodosse presenti in Europa e di Conferenze episcopali del continente (Ccee) hanno accolto con entusiasmo i messaggi loro indirizzati all’inizio dei lavori dal Patriarca ecumenico Bartolomeo e da Papa Francesco.

    Nel ricordo del loro recente pellegrinaggio apostolico in Terra Santa e del loro abbraccio il 25 maggio a Gerusalemme, i due capi delle Chiese hanno voluto esprimere apprezzamento per l’iniziativa del Forum, giunto alla sua quarta edizione, e finalizzato all’approfondimento del ruolo delle Chiese cristiane nella promozione dei valori umani e cristiani nell’attuale società europea. I delegati delle Chiese in Europa sono stati accolti dalle autorità civili ed ecclesiali del Paese, in particolare, dal presidente della Repubblica di Bielorussia, dall’Esarca patriarcale di tutta la Bielorussia che ospita l’incontro, il metropolita Pavel di Minsk e Sluzk, e dall’esarca patriarcale onorario il metropolita Filaret. Partecipa all’incontro anche il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca.

    Tema dell’incontro è: “Religione e diversità culturale: le sfide per le Chiese cristiane in Europa”. A introdurre i lavori sono stati i due co-presidenti del Forum, il metropolita Gennadios di Sassima del Patriarcato ecumenico, e il card. Péter Erdõ, presidente del Ccee. I lavori si concluderanno nel pomeriggio di giovedì 5 giugno con una presentazione pubblica del messaggio finale. Il 1° Forum europeo cattolico-ortodosso si è svolto nel 2008 (11-14 dicembre) a Trento, in Italia, sul tema “La famiglia: un bene per l’umanità”. L’ultimo si è invece svolto a Lisbona, in Portogallo, nel 2012 (5-8 giugno) sul tema “La crisi economica e la povertà. Sfide per l’Europa di oggi”. (R.P.)

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    Vescovi italiani: invito a pregare per la pace in Medio Oriente

    ◊   Domenica 8 giugno “con il Papa, in preghiera per la pace”. È l’invito che la presidenza della Conferenza episcopale italiana rivolge a tutte le chiese in Italia. Domenica, infatti, nella Solennità di Pentecoste - riferisce l'agenzia Sir - i Presidenti di Israele, Shimon Peres, e della Palestina, Mahmoud Abbas, si recheranno in Vaticano per un incontro di preghiera per la pace insieme al Santo Padre, che li ha invitati nel corso della sua recente visita in Terra Santa.

    “Ho invitato il Presidente d’Israele e il Presidente della Palestina - ha ricordato il Papa mercoledì scorso, durante l’udienza generale - ambedue uomini di pace e artefici di pace, a venire in Vaticano a pregare insieme con me per la pace. E per favore, chiedo a voi di non lasciarci soli: voi pregate, pregate tanto perché il Signore ci dia la pace, ci dia la pace in quella Terra benedetta! Conto sulle vostre preghiere”. Raccogliendo l’invito del Papa, “la presidenza della Cei chiede che in tutte le chiese domenica 8 giugno, celebrando la Pentecoste, si preghi per la pace in Medio Oriente e per il buon esito dell’incontro di preghiera convocato in Vaticano”. (R.P.)

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    Il card. Scola: "Giovanni XXIII Buon Pastore e Padre"

    ◊   “Papa Roncalli rappresenta un punto di arrivo di una plurisecolare tradizione pastorale e un solidissimo punto di partenza per una rinnovata proposta della storia della salvezza ad ogni uomo”. Lo ha detto ieri sera, nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista a Sotto il Monte, il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nella Messa di ringraziamento a seguito della canonizzazione di Angelo Giuseppe Roncalli, avvenuta il 27 aprile. Ieri, infatti - riferisce l'agenzia Sir - cadeva il 51° anniversario della morte di San Giovanni XXIII, definito da Scola un “buon pastore” e un “padre” per i suoi fedeli.

    “Noi, vescovi lombardi, riconosciamo questa sera, davanti a voi fedeli carissimi, nella figura e nell’intercessione di san Giovanni XXIII una strada sicura per meglio comprendere e assumere il compito pastorale che la Chiesa ci ha affidato. E vogliamo impegnarci davanti a voi tutti in questo senso”, ha chiarito il porporato. “Dall’inizio della seconda metà del Novecento i tempi sono indubbiamente cambiati, anche nella Chiesa. E questo grazie all’immenso dono del Concilio Vaticano II che ebbe in Papa Roncalli il suo profetico iniziatore - ha sottolineato il cardinale -. Eppure il nostro ministero resta solidamente ancorato alla figura del Buon Pastore-Padre, capace di amore generativo”.

    I pastori sono chiamati “a dare la vita per il gregge a loro affidato”, infatti “il primo e fondamentale scopo dei ministeri ordinati è la rigenerazione del popolo di Dio”, ha fatto notare il cardinale. “In questa rigenerazione sta però anche il contributo più prezioso che la comunità cristiana è chiamata ad offrire a tutti i nostri fratelli uomini percorrendo il delicato ma affascinante cammino che ci conduce dalla convenzione alla convinzione”, ha osservato. “Quando i cristiani vivono consapevoli della loro fede confessando ‘un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti’, non faticano a riconoscere che Egli ‘agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti’. Vivono così quella passione per l’unità con tutti che si esprime in ‘umiltà, mansuetudine e pazienza’”.

    “Queste virtù trasparivano dal volto di San Giovanni XXIII a beneficio dei cristiani come degli uomini di buona volontà”, ha evidenziato il porporato. “Il nostro mondo, attraversato da fatiche e violenze la cui portata spesso spaventa, ha oggi più che mai bisogno di questo stile di vita buona che San Giovanni XXIII alimentava immergendosi nella Parola di Dio e nei Padri della Chiesa. Essa non è certo bonomia, ma discreta e costante volontà di farsi carico degli altri, per camminare insieme verso la casa del Padre”, ha concluso. (R.P.)

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    A Roma i due preti liberati in Camerun: "Trattati discretamente"

    ◊   Don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, i due preti fidei donum vicentini liberati il 1° giugno dopo quasi due mesi di prigionia, sono arrivati ieri sera all’aeroporto militare di Ciampino. “Nel corso di questi due mesi siamo sempre stati assieme e ci hanno trattato discretamente”. Sono i primi frammenti di racconto che don Marta e don Allegri hanno condiviso con il vescovo di Vicenza, mons. Beniamino Pizziol, che è andato all’aeroporto di Ciampino per accoglierli. Con lui - riferisce l'agenzia Sir - alcuni familiari dei due preti, il ministro degli Esteri Mogherini e il ministro degli Interni Alfano.

    “Stanno bene - commenta mons. Pizziol -. Li ho trovati dimagriti, ma vispi, psicologicamente presenti”. Don Gianantonio, don Giampaolo e suor Gilberte (che è rimasta in Camerun per alcuni accertamenti) non hanno subito violenze, hanno mangiato abbastanza regolarmente. Insieme si sono sostenuti e hanno pregato. Erano in mezzo alla foresta e avevano uno spazio in cui muoversi di circa 200 m. Domani i due preti vicentini saranno sentiti dalla Procura di Roma che ha aperto un fascicolo sul rapimento, quindi nei prossimi giorni dovrebbero poter far ritorno in diocesi. (R.P.)

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    Myanmar: referendum popolare sulla legge anti-conversione

    ◊   Il governo birmano - riporta l'agenzia Fides - sottopone il controverso progetto di legge sulla conversione religiosa, il cui testo è stato ufficialmente diffuso, a una sorta di referendum popolare, cercando il sostegno della popolazione (che potrà esprimersi entro il 20 giugno) prima della discussione in Parlamento. Come appreso da Fides, il disegno di legge è stato elaborato e presentato da una coalizione di monaci buddisti radicali denominata “Organizzazione per la protezione di razza, religione e credo”.

    Per promuovere una legge di tal genere, a giugno 2013 il movimento avviò una petizione che ha raccolto oltre 1,3 milioni di firme. La petizione è stata trasformata in progetto di legge che dovrà essere portato all’esame del Parlamento. Prima di questo passo, il presidente birmano Thein Sein ha invitato la popolazione a presentare raccomandazioni e emendamenti al testo, per capire quanto la legge sia condivisa.

    Il testo attuale prevede forti restrizioni sulla possibilità di conversione dal buddismo a un'altra religione. Per convertirsi un cittadino deve avere 18 anni e ottenere un permesso dalle autorità locali, fornendo informazioni dettagliate sui motivi personali della scelta. Un ufficio preposto avrà tre mesi di tempo per giudicare la sincerità della richiesta e se la conversione è volontaria. Le pene previste per chi non rispetta l’iter prevedono fino a due anni di reclusione.

    Secondo gli osservatori, la legge intende anche frenare la crescita demografica e religiosa dei musulmani in Myanmar. Include infatti, nella seconda parte del testo, misure per limitare il matrimonio interreligioso, sul controllo delle nascite per la popolazione musulmana, sull'obbligo della monogamia.

    Numerose organizzazioni della società civile birmana e all’estero hanno stigmatizzato il testo, denunciandolo come “legge discriminatoria”, che viola i diritti umani, la libertà di coscienza e di religione. In una nota inviata a Fides, mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon ribadisce il suo dissenso, chiedendo allo Stato di “non interferire con il diritto individuale a scegliere la propria religione”. La legge, afferma, “limita la libertà religiosa in Myanmar in un momento in cui i cittadini stanno guadagnando libertà in altri settori. La conversione è un fatto di coscienza, che nessuno può coartare”. (R.P.)

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    Indonesia: i vescovi chiedono un "voto responsabile" alle presidenziali

    ◊   In vista delle elezioni presidenziali del 9 luglio, la Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) lancia un appello ai cattolici perché esercitino i propri "diritti civili" recandosi alle urne e votando secondo coscienza il nuovo capo di Stato e il suo vice. I prelati - riporta l'agenzia AsiaNews - tracciano alcune "linee guida morali" in vista del voto e, come già successo in occasione delle parlamentari dello scorso aprile, invitano i fedeli a scelte consapevoli e intelligenti. In particolare, essi invitano a studiare la vita e la carriera politica dei candidati e il loro "portafoglio professionale"; vi è anche un richiamo a vegliare sulla regolarità del voto e verificare che non vi siano manipolazioni.

    Per i vertici della Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) i futuri leader dovranno possedere una integrità morale tale da consentir loro di svolgere al meglio il compito che li attenderà, di guide della nazione. Per questo i prelati chiedono ai fedeli consapevolezza e analisi dei diversi candidati, in particolare quando hanno ricoperto - o se ricoprono - incarichi pubblici.

    A sfidarsi all'ultimo voto saranno la coppia formata dal governatore di Jakarta Joko "Jokowi" Widodo e dal vice Jusuf Kalla, ex numero due dell'attuale presidente Susilo Bambang Yudhoyono al primo mandato, e il gen. Prabowo Subianto e il vice Hatta Radjasa. I sondaggi danno la prima coppia in leggero vantaggio, ma la partita è aperta e potrebbe decidersi all'ultimo voto.

    I vescovi indonesiani spiegano che i politici che ambiscono a incarichi di livello nazionale devono mostrare il desiderio di servire gli altri, piuttosto che sfruttare la posizione per il proprio interesse personale. A tutti i cattolici, i prelati chiedono infine di guardare a chi mantiene alti i principi e i valori della democrazia, per difendere i Pancasila (i pilastri sui quali si fonda la nazione) e la Costituzione del 1945. Fra le altre priorità, ridurre la disoccupazione, proteggere i lavoratori migranti e promuovere la tolleranza fra i vari gruppi etnico-religiosi.

    L'Indonesia è la nazione musulmana (sunnita) più popolosa al mondo (l'86% professa l'islam) e, pur garantendo fra i principi costituzionali le libertà personali di base (fra cui il culto), diventa sempre più teatro di violenze e abusi contro le minoranze. I cristiani sono il 5,7% della popolazione, i cattolici poco più del 3%, l'1,8% è indù e il 3,4% professa un'altra religione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 155

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.