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Sommario del 02/06/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: matrimonio cristiano è fedele, perseverante e fecondo
  • Il Papa a vescovi Zimbabwe: bianchi e neri uniti per il bene del popolo
  • Il Papa esorta i carismatici all'unità: siete una "corrente di grazia"
  • Martinez: grati al Papa, la famiglia carismatica è unita
  • Il cordoglio del Papa per la morte del card. Lourdusamy
  • Il Papa riceve la presidente della "Heydar Aliyev Foundation"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Spagna: abdica Juan Carlos, suo figlio Felipe sarà re
  • A Ramallah governo tecnico con appoggio di Hamas e Fatah
  • Siria: domani le presidenziali, scontata la vittoria di Assad
  • Il card. Erdő: rispettare identità popoli europei
  • Web e tv, canali di riscatto sociale per le donne arabe
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Le Chiese in Sudan: la condanna di Meriam è persecuzione dei cristiani
  • Camerun. Il card. Filoni incontra i missionari liberati: una grazia di Dio
  • Somalia: rischio carestia per oltre 800 mila persone
  • Corpus Domini. I vescovi spagnoli: costruiamo spazi di speranza
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: matrimonio cristiano è fedele, perseverante e fecondo

    ◊   Fedele, perseverante, fecondo. Sono queste le tre caratteristiche dell’amore che Gesù nutre verso la Chiesa, la sua Sposa. E queste sono anche le caratteristiche di un autentico matrimonio cristiano. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa mattutina celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Una quindicina di coppie, una quindicina di storie matrimoniali, di famiglia, cominciate 25, 50, 60 anni fa davanti a un altare e che davanti all’altare di Papa Francesco si ritrovano assieme per ringraziare Dio del traguardo raggiunto. Una scena insolita per la cappella di Casa S. Marta, che offre al Papa l’occasione di riflettere sui tre pilastri che nella visione della fede devono sostenere un amore sponsale: fedeltà, perseveranza, fecondità. Modello di riferimento, spiega, sono i “tre amori di Gesù” per il Padre, per sua Madre, per la Chiesa. “Grande” è l’amore di Gesù per quest’ultima, afferma Papa Francesco: “Gesù sposò la Chiesa per amore”. E’ “la sua sposa: bella, santa, peccatrice, ma la ama lo stesso”. E il suo modo di amarla mette in mostra, dice, le “tre caratteristiche” di questo amore:

    “È un amore fedele; è un amore perseverante, non si stanca mai di amare la sua Chiesa; è un amore fecondo. E’ un amore fedele! Gesù è il fedele! San Paolo, in una delle sue Lettere, dice: ‘Se tu confessi Cristo, Lui ti confesserà, a te, davanti al Padre; se tu rinneghi Cristo, Lui ti rinnegherà, a te; se tu non sei fedele a Cristo, Lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso!’. La fedeltà è proprio l’essere dell’amore di Gesù. E l’amore di Gesù nella sua Chiesa è fedele. Questa fedeltà è come una luce sul matrimonio. La fedeltà dell’amore. Sempre”.

    Fedele sempre, ma anche sempre instancabile nella sua perseveranza. Proprio come l’amore di Gesù per la sua Sposa. "Tante volte" Gesù perdona la Chiesa e allo stesso modo, constata Papa Francesco, anche all'interno della coppia alle volte "si chiede perdono" e così "l'amore matrimoniale va avanti":

    “La vita matrimoniale deve essere perseverante, deve essere perseverante. Perché al contrario l’amore non può andare avanti. La perseveranza nell’amore, nei momenti belli e nei momenti difficili, quando ci sono i problemi: i problemi con i figli, i problemi economici, i problemi qui, i problemi là. Ma l’amore persevera, va avanti, sempre cercando di risolvere le cose, per salvare la famiglia. Perseveranti: si alzano ogni mattina, l’uomo e la donna, e portano avanti la famiglia”.

    Terzo tratto, la “fecondità”. L’amore di Gesù, osserva Papa Francesco, “fa feconda la Chiesa con nuovi figli, Battesimi, e la Chiesa cresce con questa fecondità nuziale”. In un matrimonio questa fecondità può essere talvolta messa alla prova, quando i figli non arrivano o sono ammalati. In queste prove, sottolinea il Papa, ci sono coppie che “guardano Gesù e prendono la forza della fecondità che Gesù ha con la sua Chiesa”. Mentre, sul versante opposto, conclude, “ci sono cose che a Gesù non piacciono”, ovvero i matrimoni sterili per scelta:

    “Questi matrimoni che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Questa cultura del benessere di dieci anni fa ci ha convinto: ‘E’ meglio non avere i figli! E’ meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo’... Ma è meglio forse - più comodo – avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. E’ vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine. Non è fecondo, non fa quello che Gesù fa con la sua Chiesa: la fa feconda”.

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    Il Papa a vescovi Zimbabwe: bianchi e neri uniti per il bene del popolo

    ◊   Impegnarsi per la riconciliazione e per sanare le ferite: è quanto chiede Papa Francesco ai vescovi dello Zimbabwe, ricevuti in Vaticano in occasione della “visita ad Limina”. Il Pontefice ha rammentato che il popolo dello Zimbabwe è fatto di bianchi e neri, di numerose tribù e che dunque i presuli sono chiamati a guidare tutti verso l’unità e la guarigione. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    La Chiesa dello Zimbabwe sia sempre al fianco del popolo, soprattutto nei momenti di frustrazione e disperazione. E’ quanto chiede Papa Francesco nel suo discorso consegnato ai vescovi del Paese africano. Il Pontefice rammenta il grande contributo offerto dalla Chiesa cattolica al Paese prima e dopo l’indipendenza e si sofferma sulla crisi “spirituale e morale” che lo Zimbabwe sta attraversando. I cristiani, rileva, si trovano su ogni fronte del conflitto. Di qui, l’invito ai presuli a “guidare ognuno con grande dolcezza verso l’unità e il risanamento”. Il vostro, scrive il Papa, è “un popolo di bianchi e neri, qualche ricco ma tanti poveri, di numerosi tribù”. I cristiani, prosegue, “fanno parte di tutti i partiti politici e alcuni rivestono posizioni di autorità”. Tuttavia, evidenzia, tutti insieme “hanno bisogno di conversione e guarigione”.

    La Chiesa locale, prosegue riprendendo l’Africae Munus di Benedetto XVI, dimostri che “la riconciliazione non è un atto isolato ma un lungo processo grazie al quale ciascuno si vede ristabilito nell’amore, un amore che guarisce attraverso l’azione della Parola di Dio”. Riconosco, soggiunge, che molte persone nello Zimbabwe “hanno raggiunto il limite umano e non sanno a chi rivolgersi”. Di qui l’esortazione ai vescovi ad incoraggiare i fedeli, nella convinzione che il Signore non mancherà di ascoltare il pianto dei poveri.

    Nella parte conclusiva del suo discorso, il Papa rivolge l’attenzione a sacerdoti, catechisti e laici ponendo l’accento sull’importanza di una buona formazione. Infine, un pensiero alla preparazione e alla guida dei giovani cattolici che desiderino il matrimonio cristiano, affinché possano attingere alla “ricchezza degli insegnamenti morali del Chiesa sulla vita e l’amore” così da trovare “la vera felicità nella libertà come madri e padri”.

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    Il Papa esorta i carismatici all'unità: siete una "corrente di grazia"

    ◊   Una nuova missionarietà rafforzata nell’unità. E’ l’esortazione del Papa, allo Stadio Olimpico di Roma, incontrando le realtà del Rinnovamento Carismatico Cattolico, definito "una corrente di grazia nella Chiesa e per la Chiesa". Occasione la 37.ma Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo. Il Papa ha parlato anche della famiglia, sotto attacco e del ruolo centrale degli anziani, ai sacerdoti ha detto: “siate vicini a Gesù e alla gente”. Presenti oltre 52 mila persone. A Roma anche i due organismi di collegamento del Rinnovamento Carismatico Cattolico nel mondo: ICCRS (International Catholic Charismatic Renewal Services) e CFCCCF (Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships). Massimiliano Menichetti:

    Un coro di applausi e note è esploso all’arrivo del Papa che poi con le braccia alzate ha cantato con tutto lo Stadio in spagnolo: “vive Jesus el Senor”. E l’Olimpico è diventato arena di fede e speranza in cui il soffio dello Spirito Santo invocato dall’assemblea, come in un Cenacolo a cielo aperto, ha illuminato le menti e scaldato il cuore dei 52mila presenti provenienti da 55 Paesi. Forti gli appelli: all’unità del Rinnovamento; a non eccedere nell’organizzazione delle cose – lasciate agire Dio ha detto -; a non essere “controllori della Grazia”, “dogane dello Spirito Santo”:

    "Questo è il vostro percorso: Evangelizzazione, Ecumenismo spirituale, cura dei poveri e dei bisognosi e accoglienza degli emarginati. E tutto questo sulla base della a-do-ra-zione! Il fondamento del rinnovamento è adorare Dio!".

    Cercate l'unità nel Rinnovamento – ha proseguito - perché l'unità viene dallo Spirito Santo e nasce dall'unità della Trinità:

    "La divisione, da chi viene? Dal demonio! La divisione viene dal demonio. Fuggite dalle lotte interne, per favore! Fra voi non ce ne siano!".

    “Uscite nelle strade a evangelizzare, annunciando il Vangelo; ricordate che la Chiesa è nata “in uscita”, quella mattina di Pentecoste”, ha evidenziato Papa Francesco:

    "Avvicinatevi ai poveri e toccate nella loro carne la carne ferita di Gesù. Lasciatevi guidare dallo Spirito Santo, con quella libertà, e per favore, non ingabbiate lo Spirito Santo! Con libertà!".

    Con autoironia il Papa ha ricordato anche di come definiva i Carismatici prima di diventarne assistente spirituale in Argentina: “una scuola di samba”. Poi ha sottolineato che il “Rinnovamento Carismatico è una grande forza al servizio dell’annuncio del Vangelo, nella gioia dello Spirito Santo (Evangelii Gaudium)”; voi avete ricevuto lo Spirito Santo – ha soggiunto- che vi ha fatto scoprire l'amore di Dio per tutti i suoi figli e l'amore per la Parola.Il Santo Padre ha più volte interrogato i presenti, come quando ha chiesto se i carismatici portano ancora oggi una copia della Bibbia, del Nuovo Testamento sempre con sé:

    "Lo fate ancora oggi?? [i fedeli:] 'Sììì!!!'. Non ne sono tanto sicuro, eh? Se no, tornate a questo primo amore, portare sempre in tasca, nella borsa, la Parola di Dio! E leggere un pezzetto. Sempre con la Parola di Dio!".

    Prima dell'intervento il Papa ha dialogato con i rappresentati dei sacerdoti, giovani, famiglie, ammalati. Ha chiesto perché non ci fossero rappresentanze di nonni, “assicurazione della nostra fede - ha puntalizzato - condotti dallo Spirito Santo”:

    "Gli anziani! Sono la nostra saggezza, sono la saggezza della Chiesa; gli anziani che tante volte noi scartiamo".

    Conversando con una moglie e mamma ha rimarcato la centralità della famiglia, dove “Gesù cresce, cresce nell’amore dei coniugi, cresce nella vita dei figli”. E per questo sotto l’attacco del nemico:

    "Le famiglie sono questa Chiesa domestica. Ma gli sposi sono peccatori, come tutti, ma vogliono andare avanti nella fede, nella loro fecondità, nei figli e nella fede dei figli. Il Signore benedica la famiglia, la faccia forte in questa crisi nella quale il diavolo vuole distruggerla".

    E’ la vicinanza che ha indicato ai sacerdoti, esortandoli alla prossimità con Gesù e alla gente, con il popolo di Dio:

    "Amate la vostra gente, siate vicini alla gente. Questo è quello che chiedo a voi, questa doppia vicinanza: vicinanza a Gesù e vicinanza alla gente".

    Parlando poi con un ragazzo ha indicato la via di una giovinezza che "scommette su cose grandi", rispetto ad una vita tenuta “in cassaforte”:

    "Così questa gioventù diventa vecchia, nel peggiore senso della parola. Diventa uno straccio. Non serve a niente. La gioventù è per rischiarla: rischiarla bene, rischiarla con speranza. E’ per scommetterla su cose grandi. La gioventù è per darla, perché altri conoscano il Signore. Non risparmiate per voi la vostra gioventù: andate avanti!".

    Dopo la testimonianza di una non vedente, il Papa ha indicato come la sofferenza sia testimonianza e vicinanza a Gesù:

    "I fratelli e le sorelle che soffrono, che hanno una malattia, che sono disabili, sono fratelli e sorelle unti dalla sofferenza di Gesù Cristo, imitano Gesù nel momento difficile della sua croce, della sua vita. Questa unzione della sofferenza la portano loro avanti, per tutta la Chiesa".

    Toccante il momento della preghiera in cui il Papa ha parlato della “santa ubriachezza”, quella che fa parlare le lingue della carità, rispetto agli egoismi di potere. Poi ancora il richiamo all’unità e scrosciante l’applauso per l’invito del 2017:

    "Cercate l'unità del Rinnovamento, unità che viene dalla Trinità! E aspetto tutti voi, carismatici del Mondo, per celebrare, insieme al Papa, il vostro grande Giubileo alla Pentecoste del 2017 nella Piazza di San Pietro! Grazie!".

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    Martinez: grati al Papa, la famiglia carismatica è unita

    ◊   E allo Stadio Olimpico, la partecipazione di Papa Francesco alla 37.ma Convocazione del Rinnovamento, è stata una grande festa di fede e di gioia per gli oltre 52 mila partecipanti, arrivati da ogni parte d' Italia . Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro:

    R. – Una grande gioia, un grande entusiasmo che porteremo sicuramente nelle nostre comunità di provenienza. Portiamo non solo e innanzitutto i grandi doni che lo Spirito ci ha fatto, ma anche lo stesso fervore che animò gli Apostoli quando uscirono dal Cenacolo nel giorno di Pentecoste. Il Papa ce l’ha ricordato: dobbiamo stare in questo atteggiamento di uscita missionaria ed è questo che noi portiamo senz’altro nel cuore. Portiamo lui e portiamo tutti i nostri cari a Cristo.

    R. – La vicinanza, la semplicità del Papa, proprio la vicinanza di un padre, vicino a noi. E la gioia di averlo incontrato: grandissima!

    D. – In che modo si diventa testimoni?

    R. – Senza la paura e annunciando Gesù nella nostra vita.

    R. – E’ stata una bella esperienza… Quest’anno, ci sono gli esami e porterò un bel messaggio. Ho pregato per tutti i miei compagni, che vada bene.

    R. – Il Signore ha cambiato la nostra vita, e siamo qui anche per dirGli grazie e ringraziare il Papa per quello che sta facendo per le famiglie, per i giovani, per le sue parole di speranza. Il Rinnovamento è, secondo me, una forma di espressione viva della Chiesa.

    D. – Il Papa ha invitato le comunità a uscire fuori e ad andare a evangelizzare nelle strade. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

    R. – Non abbiamo da porci neanche la domanda, perché ormai nei nostri Paesi, nelle nostre parrocchie, se non usciamo rimaniamo morti.

    R. – Siamo pronti con questa nuova evangelizzazione. Vogliamo veramente farlo ognuno nella propria condizione e situazione: in casa, al lavoro… Questa sarà la nostra nuova evangelizzazione, questo è quello che significa uscire: vivere la fede nella quotidianità.

    Lo Stadio Olimpico è gremito anche oggi per la seconda giornata di Convocazione del Rinnovamento dello Spirito Santo, ma tra i presenti è fortissima l'impressione suscitata dalle parole e dai gesti di Papa Francesco, durante l'incontro di ieri. Fabio Colagrande ha raccolto il commento del presidente del Rinnovamento, Salvatore Martinez:

    R. – Il Papa consegna al Rinnovamento una missione molto chiara: rispondere alla corrente di grazia che viene dallo Spirito e che inonda la Chiesa e la rinnova attraverso i suoi carismi. Noi vogliamo solo essere ambasciatori di questa grazia, non la possediamo. E naturalmente vogliamo lasciarci possedere ancora di più, se possibile, perché lo Spirito si serva di noi.

    D. – Il Papa ha insistito molto sulla necessità di cercare l’unità nel Rinnovamento, perché l’unità viene dallo Spirito Santo...

    R. – Certo, quello è un cavallo di battaglia, vorrei dire, di Papa Francesco: che la multiformità, la diversità debba ricondursi all’armonia, alla comunione. Questo è un dettato paolino: la diversità fonda l’unità, non è un problema per l’unità. Il Papa ama dire che lo Spirito Santo, da una parte, sembra creare la babilonia, cioè la molteplicità, e che non sempre è facile armonizzare tutto questo; il problema è quando noi ci sostituiamo a Lui, perché è Lui che suscita la complessità ed è Lui che la riconduce ad unità. E’ una grande lezione per noi, per un movimento che certamente è estremamente diffuso nel mondo, ma non avendo un fondatore necessita evidentemente di un grande dono di comunione al proprio interno. La grazia è di avere avuto qui ospiti, partecipi di questa convocazione, fraternamente uniti, 55 delegazioni del mondo, a significare – come ho voluto promettere al Santo Padre – che la nostra famiglia è unita, riunita intorno a lui e troverà nell’unità un motivo di maggiore credibilità nella Chiesa e nel mondo.

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    Il cordoglio del Papa per la morte del card. Lourdusamy

    ◊   Si è spento oggi il cardinale indiano Simon Lourdusamy, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali: aveva da poco compiuto 90 anni. Papa Francesco, in un messaggio inviato all’arcivescovo di Pondicherry and Cuddalore, mons. Anthony Anandarayar, ha espresso il suo cordoglio per la morte del porporato di cui ricorda, “con gratitudine a Dio”, la vita sacerdotale “spesa nella diffusione del Vangelo prima in India e poi al servizio alla Chiesa universale”. Prega dunque “Dio, Padre delle misericordie”, perché accolga “la sua nobile anima nella pace e nella gioia del cielo”.

    I funerali si svolgeranno giovedì 5 giugno, alle 11.30, all’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, presieduti dal cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio. Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Papa presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. Con la sua scomparsa il Collegio Cardinalizio risulta composto da 214 porporati, di cui 119 elettori e 95 non elettori.

    Il cardinale Lourdusamy era nato a Kalleri, arcidiocesi di Pondicherry and Cuddalore (India) il 5 febbraio 1924. Ordinato sacerdote nel 1951, dopo una approfondita formazione scientifica, acquisita presso il "Loyola College" di Madras, aveva conseguito il dottorato in Diritto Canonico presso l'Università Urbaniana di Roma nel 1956.

    Dopo l'ordinazione sacerdotale, ha svolto vari uffici che gli hanno fornito una ricca e molteplice esperienza nel ministero. Tra l'altro è stato cancelliere diocesano e segretario dell'arcivescovo di Pondicherry; editore del settimanale cattolico in lingua tamil "Sava Viaby"; direttore del "Catholic Doctors' Guild", del "Catholic Medical Students' Guild", della "Newman Associations", dell'Unione degli studenti universitari cattolici e di altre organizzazioni ecclesiali.

    Il 2 luglio 1962 era stato nominato vescovo titolare di Sozusa di Libia e ausiliare di Bangalore, ricevendo l’ordinazione episcopale il 22 agosto successivo. A causa dello stato di salute dell'ordinario, Mons. Thomas Pothacamury, assumeva l'incarico della completa amministrazione dell'Arcidiocesi, ricevendo il 9 novembre 1964 la nomina ad arcivescovo titolare di Filippi e coadiutore di Bangalore con diritto di successione.

    È stato presidente della "National Liturgical Commission for India" ed ispiratore del "National Liturgical and Catechetical Centrer" di Bangalore. Inoltre è stato membro della Commissione Catechetica dell'Episcopato, delegato alla prima Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi nel 1967, rappresentante dei Vescovi dell'India alla Conferenza Pan-Asiatica Catechetico-Liturgica di Manila (1967) della quale è stato anche vice-presidente e presidente della sezione liturgica. Prima del Congresso Eucaristico Internazionale di Bogotá è stato anche invitato a partecipare come membro alla Settimana di studio catechetico a Medellín, in Colombia.

    Succeduto a mons. Pothacamury 1'11 gennaio 1968, è rimasto responsabile del governo pastorale e dell'Arcidiocesi di Bangalore sino al 2 marzo 1971, quando è stato chiamato a Roma in qualità di segretario aggiunto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Il 24 febbraio 1973 è divenuto segretario dello stesso Dicastero ed inoltre presidente delle Pontificie Opere Missionarie e vice-gran cancelliere della Pontificia Università Urbaniana.

    Nominato prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali il 30 ottobre 1985, aveva rinunciato all’incarico il 12 luglio 1991, per motivi di salute. Giovanni Paolo II lo aveva creato cardinale nel Concistoro del 25 maggio 1985, del Titolo di S. Maria delle Grazie alle Fornaci fuori Porta Cavalleggeri, Diaconia elevata pro hac vice a Titolo Presbiterale il 29 gennaio 1996.

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    Il Papa riceve la presidente della "Heydar Aliyev Foundation"

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata la signora Mehriban Aliyeva, presidente della "Heydar Aliyev Foundation", in Azerbaigian.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Con la pazienza del dialogo: al Regina Caeli appello di Papa Francesco per la pace in Ucraina e nella Repubblica Centroafricana.

    Lo Spirito non si può ingabbiare: allo stadio Olimpico Papa Francesco incontra il Rinnovamento carismatico.

    Verso l’unità e la guarigione: ai vescovi dello Zimbabwe il Pontefice ricorda la necessità di superare la logica del conflitto.

    Tre amori per un matrimonio: messa a Santa Marta.

    Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale indiano Lordusamy.

    Come avere i Berliner a casa tua: intervista di Silvia Guidi all’antico alunno di Bergoglio, Jorge Milia, e stralci del suo libro “Maestro Francesco. Gli allievi del Papa ricordano il loro professore”.

    Continua la lunga scia di sangue in Nigeria mentre in Camerun sono stati liberati i due sacerdoti missionari vicentini e la suora canadese rapiti il 5 aprile.

    L’inserto mensile “Donne chiesa mondo” dedicato alla sessualità.

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    Oggi in Primo Piano



    Spagna: abdica Juan Carlos, suo figlio Felipe sarà re

    ◊   Il re di Spagna Juan Carlos ha deciso di abdicare al trono in favore del figlio Felipe, principe delle Asturie. Lo ha annunciato il premier spagnolo, Mariano Rajoy aggiungendo che il sovrano spiegherà a breve, alla nazione, i motivi di questa rinuncia. In un messaggio, il Comitato esecutivo dei vescovi spagnoli sottolinea il "profondo impegno e contributo alla storia recente della Spagna" offerto dal re uscente, "in particolare alla creazione ed al consolidamento della vita democratica". "Il suo servizio in Spagna – scrivono ancora – è stato un valore straordinario". Al re Felipe VI, che sale al trono, i presuli riconoscono "qualità e competenze", già dimostrate, affermano, in "diverse occasioni pubbliche". Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Dopo 39 anni di regno, re Juan Carlos lascia il trono. Suo figlio, il principe Filippo, diventerà il nuovo re. Incoronato sovrano il 22 settembre del 1975, due giorni dopo la morte del “caudillo” Francisco Franco, Juan Carlos – nato a Roma nel 1938 – ha favorito la transizione della Spagna dalla dittatura alla democrazia. Dopo il contributo offerto per approdare, nel 1978, all'attuale Costituzione democratica, l’intervento di Juan Carlos è stato anche decisivo per sventare, nel 1981, un colpo di Stato organizzato da frange della Guardia Civil e dell’esercito per restaurare il franchismo. Il governo spagnolo ha convocato un Consiglio dei ministri straordinario per domani. Il primogenito di Juan Carlos regnerà con il nome di Felipe VI.

    Su questi 39 anni di regno, Amedeo Lomonaco ha intervistato il prof. Alfonso Botti, ispanista, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia:

    R. – Sono anni in cui la Spagna ha conosciuto lo smantellamento di una dittatura tra le più dure e longeve conosciute dall’Europa. Il Paese ha conosciuto un profondo processo di decentramento politico-amministrativo, la costruzione di una solida democrazia accompagnata da un’accelerazione di quel processo di modernizzazione iniziato già negli anni Sessanta, durante il franchismo. Sono anche anni nei quali la Spagna democratica ha dovuto fare i conti con il terrorismo dell’Eta, oggi sconfitto, con cospirazioni e tentativi di colpi di Stato militari, con la grave crisi economica che ha colpito il Paese nel 2008, insieme ad altri Paesi europei. Quindi, anni di grandi trasformazioni dal punto di vista sociale, economico e direi soprattutto politico.

    D. – E sono diversi i motivi che hanno portato re Juan Carlos a decidere di abdicare …

    R. – Io credo che l’abdicazione abbia alle spalle diversi motivi. Certamente, le ragioni di salute di Juan Carlos e poi la necessità di avere un sovrano giovane, nel pieno delle forze, con la lucidità necessaria per far fronte al grave problema di tenuta dello stato delle autonomie di fronte alle spinte indipendentiste della Catalogna. Quindi, credo in un’abdicazione che risponde alla necessità di legittimare nuovamente l’istituzione monarchica in Spagna.

    D. – Il futuro sovrano di Spagna sarà Felipe, figlio di Juan Carlos, che avrà anche il compito di rilanciare la monarchia…

    R. – La sensazione è che in questi ultimi 30 anni gli spagnoli, più che monarchici, siano stati juancarlisti, cioè abbiano riconosciuto il ruolo positivo svolto dal re. E adesso, si tratta di vedere se assegneranno la stessa fiducia anche al suo successore, l’attuale principe Felipe.

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    A Ramallah governo tecnico con appoggio di Hamas e Fatah

    ◊   Hamas si felicita della formazione del nuovo governo palestinese. ''E' il governo dell'intero popolo palestinese',' ha detto il suo portavoce Sami Abu Zuhri. Si tratta del nuovo governo di "consenso nazionale" palestinese, che ha giurato oggi a Ramallah, in Cisgiordania. Del nuovo esecutivo, che è composto da esperti con il sostegno esterno di Hamas e di al-Fatah, Fausta Speranza ha parlato con Claudio Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno":

    R. - E’ l’unica via possibile per l’autorità nazionale palestinese per superare una situazione di guerra civile aperta, com’è stata per un certo periodo, o di separati armati in casa, con una parte di Abu Mazen al controllo di una parte della Cisgiordania e con Hamas al controllo di Gaza. Era l’unica via possibile per poter essere credibili, presentarsi in modo unitario nelle eventuali e sempre più difficili trattative.

    D. - Che dire della posizione di Israele di fronte a questo governo tecnico?

    R. - Nel momento in cui ha “digerito” con grandissima difficoltà un dialogo con il Facts - Fatah, l’Olp - l'Organizzazione per la liberazione della Palestina - ha sempre esplicitamente avversato qualsiasi dialogo con Hamas, qualificata da una parte del mondo occidentale - Stati Uniti in testa - come organizzazione terroristica, e che ha effettivamente compiuto attentati terroristici come li hanno compiuti anche il Facts e varie organizzazioni palestinesi di resistenza. Per cui, il suo atteggiamento è quello di chiudere totalmente qualsiasi minimo spiraglio - e lo spiraglio è veramente minimo da anni - nel momento in cui Hamas, sia pure non direttamente, partecipi al governo dell’Autorità nazionale palestinese. Dunque, l’atteggiamento di Israele sarà probabilmente quello di costruire ancora più case per i coloni. E ha già detto che bloccherà i flussi economici che deve versare e che usa sempre come arma per pressioni politiche. Il nuovo governo, quindi, dovrà stare estremamente attento a non fornire, con fatti eclatanti, giustificazioni ulteriori a Israele, che però ha già detto che, salvo nel campo della sicurezza, sarà totalmente ostile.

    D. - Guardando, invece, all’interno del mondo palestinese, la “coabitazione” di Hamas ed al Fatah sarà facile?

    R. - Non è facile ma, come dicevo prima, era inevitabile. Era assolutamente non sensato sperare di avere udienza a livello internazionale nel momento in cui in casa propria si è divisi. La divisione è sempre un elemento di fortissima debolezza e di scarsa credibilità. Questo governo di unità palestinese ha obiettivi minimali, cioè di arrivare in qualche modo a un "mini-Stato" palestinese che non sia soltanto dipendente dalla buona volontà di Israele. Sul fatto che sia realizzabile, sono molto pessimista.

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    Siria: domani le presidenziali, scontata la vittoria di Assad

    ◊   Ancora sangue in Siria alla vigilia delle elezioni presidenziali: bombardamenti delle forze ribelli su Aleppo hanno provocato 50 morti tra sabato e domenica. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione. Nelle aree controllate dal governo, intanto, si prepara il voto di domani: scontata la vittoria dell’attuale capo di Stato, Bashar al-Assad. Tra i candidati non figura nessuno dei leader antigovernativi, che hanno definito le consultazioni “una farsa”. Ma quali sono gli scopi che il presidente in carica vuole raggiungere con il voto? Davide Maggiore lo ha chiesto all’analista politico e strategico Alessandro Politi:

    R. - Ha due obiettivi fondamentali. Il primo, è compattare il suo campo, che comunque dal punto di vista militare sta vincendo la guerra di attrito contro l’opposizione armata. Il secondo è dimostrare, attraverso la tenuta di elezioni, che la fase di stallo militare è stata superata e che quindi il governo sta vincendo e che è anche capace di raccogliere consensi. Tanto più se i consensi vengono dalla diaspora dei rifugiati nei Paesi intorno.

    D. - Questo è un voto che in ogni caso si terrà solo nelle aree controllate dal governo e anche gli altri due candidati alla presidenza sono considerati uomini vicini a Bashar al-Assad. Ci sarà un modo per capire se il candidato del partito Baath avrà vinto o perso, di fatto, la sua scommessa?

    R. - E’ ovvio che al governo siriano non interessa avere elezioni free and fair. Questo esercizio serve semplicemente a galvanizzare le proprie truppe, la propria popolazione. I due candidati sono candidati di figura e il governo sa che vince, come il banco, sempre. Non gli interessa di avere una legittimazione democratica: gli interessa dimostrare che ci sono cifre consistenti di persone che non solo non lo hanno abbandonato ma hanno riconfermato la lealtà al governo. Quindi, non può perdere perché tutto è congegnato in modo che vinca.

    D. - L’opposizione che, come abbiamo detto, è di fatto esclusa dal voto resta frammentata e incapace di esprimere una linea comune…

    R. - Le opposizioni partigiane sono sempre frammentate, è rarissimo che ci siano fronti compatti. In questo caso, poi, gli scioperi sono esclusi, ma così com’è questa lotta verrà persa nel disinteresse apparente della comunità internazionale.

    D. - C’è poi la presenza tra i combattenti di gruppi jihadisti. È qualcosa che potrebbe far aumentare i consensi effettivi per Bashar al-Assad?

    R. - I jihadisti hanno reso come al solito molto chiaro il loro criterio esclusivo di far politica, quindi tutte le minoranze, volenti o nolenti, sanno che sono protette solo dalla cooptazione con il governo attuale. Questa è la triste realtà sul terreno. Il guaio è che i jihadisti spesso sono i combattenti più esperti, ma portano una visione del mondo che non unisce l’opposizione siriana ma la divide.

    D. - Abbiamo accennato al ruolo della diaspora: c’è il nodo dei siriani all’estero che hanno già votato ma, anche secondo le cifre ufficiali, il governo è riuscito a mobilitare solo 200 mila persone, mentre ci sono tre milioni di rifugiati. Da chi sono rappresentate queste persone che si trovano nei campi profughi?

    R. - Molto spesso le persone che sono nei campi profughi, molto umanamente, aspettano che la guerra finisca per tornare a ricostruire i cocci di una vita. La rappresentanza politica di queste persone è estremamente incerta, spesso non è organizzata e a volte non può essere organizzata.

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    Il card. Erdő: rispettare identità popoli europei

    ◊   Al via a Minsk, in Bielorussia, il quarto Forum Europeo Cattolico-Ortodosso sul tema: “Religione e diversità culturale: sfide per le chiese cristiane in Europa”. Partecipano 12 rappresentanti di Chiese ortodosse e12 delegati della Chiesa cattolica. Presente anche il cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, che – al microfono di Ágnes Gedő – ha ricordato l’obiettivo del Forum: valorizzare la diversità dei popoli europei, uniti da una comune radice cristiana:

    R. – Cerchiamo di capire come rispettare, in modo cristiano, questa ricchezza, che si manifesta anche nella diversità dei popoli, delle culture, delle nazioni, perché l’Europa è un continente speciale, dove ci sono molti Paesi, nazioni, che hanno una propria lingua, una propria storia, una propria cultura, ma che tutti, da mille anni, crescono e si sviluppano in base all’ispirazione del cristianesimo. La nostra religione, quindi, non toglie la specificità delle culture, ma anzi dà un’ispirazione, perché tutti possano sviluppare la propria genialità e creare e sviluppare la propria cultura. La convivenza, quindi, più che riconciliata, anche cooperativa, è un compito molto speciale in Europa. Cerchiamo di compiere questa nostra vocazione.

    D. – Quali sono le sfide per la Chiesa cristiana in Europa, in questo momento?

    R. – Certamente, la secolarizzazione, che ha diverse forme in Occidente e nei Paesi ex comunisti, dove, dopo il crollo del marxismo-leninismo è rimasto un vuoto culturale, che ha minacciato molte volte la società intera. Per evitare tutto ciò è anche, a livello pratico, molto utile, anzi necessario, risvegliare la fede cristiana, perché possa dare un orientamento nella convivenza umana e sociale, perché possa rinforzare la consapevolezza del valore della vita e del rispetto degli altri.

    D. – Dopo il recente pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa e il suo incontro con il Patriarca Bartolomeo I, questo Forum europeo cattolico-ortodosso che importanza assume?

    R. – Certamente il Patriarcato ecumenico è stato uno di quelli che ha preparato, appoggiato e avviato questa serie di incontri. Siamo personalmente grati al Patriarca Bartolomeo e certamente anche al metropolita Gennadios di Sassima, presidente della Sezione per i Rapporti Esterni del Patriarcato Ecumenico e che è copresidente dell’Assemblea. I rapporti, quindi, sono di buona e stretta collaborazione.

    D. – Durante questo incontro vi occupate anche dei cristiani in Ucraina e nelle zone limitrofe?

    R. – L’incontro naturalmente non è un incontro politico. Da cristiani, però, preghiamo per la pace e preghiamo perché la dignità di tutti venga rispettata. Anche la situazione in Ucraina mette in rilievo l’importanza di saper convivere nonostante e nella diversità dei popoli. Ci sono tante culture, tante identità nel nostro continente, che vanno rispettate, ma che vanno anche riconciliate l’una con l’altra, e preghiamo per questo.

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    Web e tv, canali di riscatto sociale per le donne arabe

    ◊   Dalle soap opera ai blog, il ruolo delle donne nei media arabi abbandona gli stereotipi e si apre ad una pluralità di immagini. L’analisi in un libro curato da Renata Pepicelli. Ce ne parla Elvira Ragosta:

    Dalle rivolte tunisine del 2011 ad oggi, tra aspettative tradite e nuove opportunità. “Le donne nei media arabi”, edito da Carocci, analizza la questione di genere con una serie di saggi che prendono in esame anche i nuovi media, dalle vignette ai graffiti, alla pluralità dei blog antagonisti. La curatrice del libro, Renata Pepicelli:

    R. - Le donne nei media arabi possono trovare sia un ostacolo al loro empowerment, alla loro crescita, ma anche una possibilità, quella di ampliare la loro libertà di espressione o le loro rappresentazioni. Abbiamo le donne dei programmi di cucina, di bellezza... Ma abbiamo anche le donne antagoniste, che si raccontano attraverso i blog, i graffiti, che contestano l’ordine costituito, che mettono in discussione la violenza di strada o la violenza familiare.

    D. – La vittoria dei partiti islamisti dopo le rivoluzioni – le cosiddette "primavere arabe" – ha svilito quello che era un sogno di maggiore autonomia o, attraverso le rivoluzioni, è riuscito a passare un messaggio di apertura?

    R. – Siamo di fronte a delle aspettative tradite. Le donne sono state fortemente marginalizzate. Pensiamo in particolar modo al caso dell’Egitto, dove le donne nel primo parlamento post-Mubarak erano molto di meno delle donne nell’ultimo parlamento del governo di Mubarak. Vediamo che le donne in Tunisia hanno dovuto lottare affinché il principio dell’uguaglianza tra uomini e donne fosse mantenuto intatto e rafforzato dalla nuova Costituzione, perché ci sono state, comunque, frange islamiche che invece chiedevano che il principio dell’uguaglianza fosse abolito a favore di un non meglio identificato principio di equità. Teniamo però ben presente che non sono solamente i partiti islamisti che hanno tradito le aspettative delle donne, ma sono anche i partiti laici, che hanno tradito, dopo le rivolte arabe. Sono loro che comunque non le hanno candidate a sufficienza nelle loro liste e non hanno supportato le loro richieste.

    Nel libro viene analizzato anche il tema della violenza di strada nei confronti delle donne in Egitto:

    R. – Tema che i media ufficiali trascurano e che invece siti Internet, piattaforme online, blog pongono come tema centrale. E se anche noi oggi stiamo qui a parlarne è grazie a questo attivismo online, che poi si traduce "offline", grazie a tante donne, ma anche a tanti uomini.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Le Chiese in Sudan: la condanna di Meriam è persecuzione dei cristiani

    ◊   La condanna a morte di Meriam Yehya Ibrahim, una donna cristiana accusata di apostasia, è una “chiara e diretta persecuzione dei cristiani in Sudan”. Lo denunciano le Chiese cristiane in Sudan riunite nel Consiglio sudanese delle Chiese (SCC). In una dichiarazione, pervenuta a Fides, il Consiglio chiede l’annullamento della sentenza di condanna e l’immediato rilascio della donna. Le Chiese ricordano che la condanna viola gli articoli 31 e 38 della Costituzione provvisoria e sottolineano che il Sudan ha sottoscritto la Carta internazionale dei diritti umani che prevede la libertà di culto e di coscienza. Meriam, 27 anni, figlia di un musulmano, è accusata di apostasia e di adulterio per aver sposato un cristiano e non aver rinnegato la propria fede cristiana trasmessagli dalla madre; oltre alla condanna a morte rischia pure di subire la flagellazione con 100 frustate. La donna, all’ottavo mese di gravidanza al momento dell’incarcerazione, ha partorito in carcere una bambina.

    C'è confusione sulla sorte di Meriam: dopo che una dichiarazione del sottosegretario agli Esteri sudanese aveva fatto sperare in una imminente liberazione della donna, è arrivata la precisazione del ministro degli Esteri sudanese: la sua scarcerazione – ha detto - dipende dall'esito del ricorso in Corte d'appello.

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    Camerun. Il card. Filoni incontra i missionari liberati: una grazia di Dio

    ◊   “Ringraziamo Dio per questo momento di gioia che ha dato alla Chiesa del Camerun e alla Chiesa di provenienza, sia dei due sacerdoti sia della suora” afferma il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, in una dichiarazione rilasciata all’Agenzia Fides sulla liberazione dei due sacerdoti Fidei Donum italiani, don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, e della religiosa canadese, suor Gilberte Bussier della Congregazione delle Sorelle di Nostra Signora di Montreal, rilasciati nella notte tra il 31 maggio e il primo giugno.

    Il cardinale ha potuto incontrare i rapiti a Yaoundé, da dove si appresta a ripartire per Roma a conclusione della sua visita pastorale in Camerun e nella Guinea Equatoriale. “Li ho trovati emozionati e contenti e, devo dire, in buona condizioni fisiche e psicologiche. Certamente il fatto che siano stati sempre insieme li ha aiutati a sostenersi vicendevolmente” afferma il porporato.

    “Questo era un momento atteso - aggiunge - ma allo stesso tempo inaspettato, non avevamo sentore di un rilascio in questi giorni, anche si lavorava in merito. Si è trattato di una gradita sorpresa e soprattutto di una grazia. Loro stessi mi hanno detto: sentivamo che la preghiera della Chiesa ci accompagnava e avevamo fiducia che la liberazione potesse avvenire”. Sull’identità dei rapitori, il cardinale Filoni afferma: “le indagini sono nelle mani delle autorità civili che mantengono un comprensibile riserbo. A noi, da un punto di vista ecclesiale, interessa relativamente”. I due sacerdoti e la religiosa erano stati rapiti il 4 aprile nella diocesi di Maroua-Mokolo, nel nord del Camerun.

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    Somalia: rischio carestia per oltre 800 mila persone

    ◊   Piogge tardive e irregolari in Somalia hanno sollevato preoccupazioni per un possibile peggioramento della sicurezza alimentare, poiché le scorte alimentari dall'ultimo, scarso, raccolto si sono completamente esaurite e i prezzi continuano a salire bruscamente: lo denuncia un nuovo rapporto della Fao.

    La situazione è aggravata dal conflitto in corso nel paese e dai finanziamenti inadeguati alle esigenze delle comunità duramente colpite. Il rapporto presenta un quadro preoccupante con l'avanzare della stagione magra, mentre la recente escalation del conflitto nelle regioni centrali e meridionali continua ad avere un impatto devastante sui mercati.

    "Il popolo della Somalia non può permettersi di aspettare l'esito del prossimo raccolto. Ha bisogno di aiuti urgenti per migliorare la sicurezza alimentare e mantenere i mezzi di sussistenza, che per lo più dipendono direttamente dall'agricoltura", ha dichiarato Luca Alinovi, in qualità di capo dell'Ufficio Fao in Somalia.

    Nelle principali aree di produzione del sud, ad aprile, i prezzi al dettaglio del granturco e del sorgo erano aumentati rispettivamente del 60% e dell'80%, anche a causa del ridimensionamento delle operazioni di assistenza umanitaria. Il numero di coloro che necessitano di assistenza umanitaria in Somalia è attualmente stimato intorno a 860.000 persone, di cui più di 200.000 bambini malnutriti sotto i cinque anni di età.

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    Corpus Domini. I vescovi spagnoli: costruiamo spazi di speranza

    ◊   “Costruiamo spazi di speranza”: si intitola così il messaggio che la Conferenza episcopale spagnola ha diffuso in vista della Solennità del Corpus Domini, che quest’anno ricorre il 22 giugno e che in Spagna coincide con la Giornata della carità. Nel documento, a firma della Commissione episcopale per la Pastorale sociale, si riflette, innanzitutto, sull’Eucaristia come “mistero d’amore e di speranza” e quindi si invitano tutti i cristiani, “in particolare coloro che lavorano in ambito caritativo e sociale”, ad “aprire gli occhi davanti alle sofferenze dei fratelli più poveri, ad ascoltare il grido dei popoli che soffrono la fame, a costruire spazi di speranza”.

    Nello specifico, i presuli spagnoli suggeriscono di guardare la realtà non a partire “dai profitti delle grandi imprese, dal flusso dei prestiti bancari, dagli interessi di mercato o dai risultati macroeconomici”, bensì “dal numero dei disoccupati e degli emarginati, dai redditi minimi, dall’indice di povertà e dai tagli ai diritti sociali”. Ciò significa in pratica – spiegano i vescovi iberici – “guardare la realtà con gli occhi di Dio, dalla parte dei poveri”. E questo punto di vista permette di comprendere che “a sei anni dall’inizio della crisi economica, le persone che non subiscono esclusioni sociali sono sempre meno” e che aumenta il divario tra “coloro che vivono in situazioni di integrazione e altri che subiscono l’esclusione”, portando “un settore della popolazione a una condizione insostenibile”, a causa della “crescita progressiva delle disuguaglianze e dell’indice di povertà infantile”.

    Di qui, l’appello a non dimenticare che “secondo la Fao, 845 milioni di persone al mondo soffrono di fame cronica, il che costituisce vero motivo di scandalo, dato che è noto che il cibo è sufficiente per tutti, mentre la fame è dovuta alla cattiva distribuzione dei beni e allo spreco degli alimenti”. Di fronte a tali dati, continuano i presuli, non si può restare indifferenti, né scoraggiarsi. Al contrario, bisogna reagire “costruendo spazi di speranza in una società asfissiata dalla crisi”. Tali spazi, spiegano i vescovi, si possono creare “con semplici gesti quotidiani di solidarietà”, evitando lo spreco di cibo, riconoscendo “la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni”, difendendo “i diritti dei più poveri”, creando “una nuova mentalità che porti a pensare in termini di comunità e di priorità della vita, piuttosto che di appropriazione indebita dei beni altrui”.

    L’invito, in sostanza, è quello di “contribuire a un’economia che sia al servizio dell’essere umano e non del denaro o del mercato, e di rifiutare e denunciare l’economia dell’esclusione e dello scarto, perché uccide”. “Guardiamo ai più deboli, promuoviamo lo sviluppo integrale dei poveri, cooperiamo per risolvere le cause strutturali della povertà”, concludono i vescovi, auspicando la creazione di spazi di “vita, giustizia e fraternità”. (I.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 153

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