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Sommario del 28/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: esultiamo per un goal ma spesso lodiamo il Signore con freddezza
  • Il Papa nomina mons. Montanari segretario del Collegio cardinalizio
  • Tweet del Papa: preghiamo per l’unità dei cristiani, tante cose preziose ci uniscono
  • Il mondo che scrive a Papa Francesco: ogni settimana valanga di lettere in Vaticano
  • L’Elemosiniere del Papa celebra i funerali del barbone morto dopo aggressione
  • Conferenza di Aleteia: "Il futuro della comunicazione è responsabile"
  • Padre Lombardi: "Il rapporto tra gli ultimi tre Papi e la comunicazione"
  • Padre Lombardi all’Uar: la sfida digitale per l’Africa è anche quella dello sviluppo e della lotta alla povertà
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi siriana. Mons. Zenari: fronteggiare l’emergenza umanitaria. Preghiamo per p. Dall’Oglio e tutti i rapiti
  • Ucraina: cancellate le leggi antiprotesta. Dimissionario il premier Azarov
  • Sud Sudan: suor Balatti, dopo le violenze il senso di fraternità prevarrà
  • Allarme Fmi: un quarto dei giovani europei senza lavoro
  • Nigeria, nuove stragi: terroristi islamici attaccano una chiesa cattolica e un mercato
  • Caritas denuncia: la salute dei rom, tra diseguaglianze e discriminazione
  • Cei. Il card. Bagnasco: l'Italia non è una palude
  • Legge 40 alla Consulta. Comitato di bioetica: rischio modifiche in senso eugenetico
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Egitto: Al-Sisi scende in campo. Ucciso principale esponente del Ministero dell'interno
  • Perù-Cile. La Chiesa: la controversia sui confini marittimi risolta in modo pacifico
  • Perù-Cile: Corte Onu fissa nuovi limiti marittimi
  • Centrafrica: costituito il governo di transizione
  • Terra Santa: no dei vescovi di Usa, Canada, Ue e Sud Africa al Muro a Cremisan
  • Delegazione dei vescovi Usa nelle aree colpite dal tifone nelle Filippine
  • El Salvador: in vista delle presidenziali i vescovi esortano al voto
  • Filippine. Salute riproduttiva: vescovi contrari alla legge
  • Sri Lanka: i cristiani protestano contro l'escalation di attacchi degli integralisti buddisti
  • Malaysia: appello di pace dei leader cristiani dopo l'attacco a una chiesa cattolica di Penang
  • Pakistan. I leader cristiani: l'unità per un'evangelizzazione più efficace
  • Svizzera: Chiesa condanna l'iniziativa contro "l'immigrazione di massa": riduce l'uomo a merce
  • Furto reliquia Giovanni Paolo II. L'arcivescovo dell'Aquila: "La restituiscano"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: esultiamo per un goal ma spesso lodiamo il Signore con freddezza

    ◊   La preghiera di lode ci fa fecondi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa, commentando la danza gioiosa di Davide per il Signore di cui parla la Prima Lettura, ha sottolineato che, se ci chiudiamo nella formalità, la nostra preghiera diventa fredda e sterile. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa immagine gioiosa, raccontata nel Secondo Libro di Samuele. Tutto il Popolo di Dio, ha rammentato, era in festa perché l’Arca dell’Alleanza tornava a casa. La preghiera di lode di Davide, ha proseguito, “lo portò a uscire da ogni compostezza e a danzare davanti al Signore” con “tutte le forze”. Questa, ha commentato, “era proprio la preghiera di lode!” E ha confidato che, leggendo questo passo, ha “pensato subito” a Sara, dopo aver partorito Isacco: “Il Signore mi ha fatto ballare di gioia!”. Questa anziana, come il giovane Davide – ha evidenziato – “ha ballato di gioia” davanti al Signore. “A noi – ha poi osservato – è facile capire la preghiera per chiedere una cosa al Signore, anche per ringraziare il Signore”. Anche capire la “preghiera di adorazione”, ha detto, “non è tanto difficile”. Ma la preghiera di lode “la lasciamo da parte, non ci viene così spontanea”:

    “‘Ma, Padre, questo è per quelli del Rinnovamento nello Spirito, non per tutti i cristiani!’. No, la preghiera di lode è una preghiera cristiana per tutti noi! Nella Messa, tutti i giorni, quando cantiamo il Santo… Questa è una preghiera di lode: lodiamo Dio per la sua grandezza, perché è grande! E gli diciamo cose belle, perché a noi piace che sia così. ‘Ma, Padre, io non sono capace… Io devo…’. Ma sei capace di gridare quando la tua squadra segna un goal e non sei capace di cantare le lodi al Signore? Di uscire un po’ dal tuo contegno per cantare questo? Lodare Dio è totalmente gratuito! Non chiediamo, non ringraziamo: lodiamo!”

    Dobbiamo pregare “con tutto il cuore”, ha proseguito: “E’ un atto anche di giustizia, perché Lui è grande! E’ il nostro Dio!”. Davide, ha poi rammentato, “era tanto felice, perché tornava l’arca, tornava il Signore: anche il suo corpo pregava con quella danza”:

    “Una bella domanda che noi possiamo farci oggi: ‘Ma come va la mia preghiera di lode? Io so lodare il Signore? So lodare il Signore o quando prego il Gloria o prego il Sanctus lo faccio soltanto con la bocca e non con tutto il cuore?’. Cosa mi dice Davide, danzando qui? E Sara, ballando di gioia? Quando Davide entra in città incomincia un’altra cosa: una festa!”

    “La gioia della lode – ha ribadito – ci porta alla gioia della festa. La festa della famiglia”. Il Papa ha così ricordato che quando Davide rientra nel palazzo, la figlia del re Saul, Mikal, lo rimprovera e gli domanda se non provi vergogna per aver ballato in quel modo davanti a tutti, lui che è il re. Mikal “disprezzò Davide”:

    “Io mi domando quanto volte noi disprezziamo nel nostro cuore persone buone, gente buona che loda il Signore come le viene, così spontaneamente, perché non sono colti, non seguono gli atteggiamenti formali? Ma, disprezzo! E dice la Bibbia che Mikal è rimasta sterile per tutta la vita per questo! Cosa vuol dire la Parola di Dio qui? Che la gioia, che la preghiera di lode ci fa fecondi! Sara ballava nel momento grande della sua fecondità, a novant’anni! La fecondità che ci dà la lode al Signore, la gratuità di lodare il Signore. Quell’uomo o quella donna che loda il Signore, che prega lodando il Signore, che quando prega il Gloria si rallegra di dirlo, quando canta il Sanctus nella Messa si rallegra di cantarlo, è un uomo o una donna fecondo”.

    Invece, ha avvertito, “quelli che si chiudono nella formalità di una preghiera fredda, misurata, forse finiscono come Mikal: nella sterilità della sua formalità”. Il Papa ha invitato, dunque, a immaginare Davide che danza “con tutte le forze davanti al Signore e pensiamo che bello sia fare le preghiera di lode”. Ci farà bene, ha concluso, ripetere le parole del Salmo 23 che abbiamo pregato oggi: “Alzate, porte, la vostra fronte; alzatevi soglie antiche ed entri il re della gloria. Il Signore, forte e valoroso, è il re della gloria!”.

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    Il Papa nomina mons. Montanari segretario del Collegio cardinalizio

    ◊   Il Papa ha nominato segretario del Collegio Cardinalizio mons. Ilson de Jesús Montanari, arcivescovo titolare di Capocilla, segretario della Congregazione per i Vescovi.

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    Tweet del Papa: preghiamo per l’unità dei cristiani, tante cose preziose ci uniscono

    ◊   “Preghiamo per l’unità dei cristiani. Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono!”: è il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex, in 9 lingue.

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    Il mondo che scrive a Papa Francesco: ogni settimana valanga di lettere in Vaticano

    ◊   Qualche migliaio a settimana. È la quantità di lettere, pacchi, disegni e oggetti che vengono recapitati in Vaticano a nome di Papa Francesco. Missive che arrivano da tutto il mondo e che vengono gestite dall’Ufficio di Corrispondenza del Papa, situato nel Palazzo Apostolico. In questo servizio, Alessandro De Carolis riprende l’intervista rilasciata dal responsabile dell’Ufficio, mons. Giuliano Gallorini, al settimanale d’informazione “Vatican Magazine” prodotto dal Centro Televisivo Vaticano:

    Il racconto di una vita arrivata a un bivio, per chiedergli un consiglio su come proseguire. La confidenza di un dramma personale, che sta uccidendo l’ultima speranza e che cerca nella sua saggezza un appiglio per non lasciarsi andare del tutto. Oppure una poesia, per dirgli in rima alternata o baciata che gli si vuole bene come e forse più che a un padre. O magari una sciarpa, confezionata apposta e spedita a casa sua, a quell’indirizzo che oggi tutti conoscono come fosse quello del vicino: Casa S. Marta, Città del Vaticano. Perché così oggi moltissimi sentono Papa Francesco: vicino. E per questo a migliaia dai quattro angoli del pianeta gli scrivono. Una trentina di sacchi a settimana – buste e pacchi di ogni forma e dimensioni – tutti diretti verso il corridoio ubicato nella Terza Loggia del Palazzo Apostolico, sul quale si aprono le stanze dell’Ufficio di Corrispondenza del Papa, diretto da mons. Giuliano Gallorini:

    “Le richieste sono soprattutto di conforto e di preghiera. Moltissime riguardano - sarà anche il momento che viviamo - le difficoltà, soprattutto le malattie... Chiedono preghiere per i bambini, descrivono anche situazioni di difficoltà economiche. Si cerca di far sentire la vicinanza del Papa che coglie la loro sofferenza, il loro disagio, che è loro vicino nella preghiera. Poi, per quello che è possibile, ci aiutiamo indirizzando le richieste agli uffici specifici, per esempio le richieste di aiuti economici vengono trasmesse alle Caritas diocesane perché possano sia verificare, sia essere immediatamente più operativi”.

    Mons. Gallorini, suor Anna e altre due signore: una piccola squadra per una montagna di corrispondenza, in dozzine di lingue. Ed è proprio la selezione per idioma il primo passo del lavoro che il gruppo affronta quotidianamente. Poi, le lettere vengono aperte e lette. Papa Francesco, da solo, non potrebbe farcela mai a sbrigare tutta la corrispondenza, quindi spetta al suo Ufficio aiutarlo a distinguere la richiesta di chi vuole dare un semplice saluto al Papa da quella di chi in Papa Francesco cerca conforto, un sostegno spirituale, una mano tesa per una necessità urgente. Sono queste le lettere che arrivano sulla sua scrivania:

    “Sono i casi un po’ più delicati come i casi di coscienza. In questo caso, viene fatto un appunto e passato ai segretari perché il Papa prenda visione direttamente: senz'altro li legge, mette la sigla e ci indirizza su come dobbiamo rispondere”.

    Dunque, non a tutte le lettere può rispondere Papa Francesco, ma tutte le lettere a Papa Francesco ricevono una risposta. Ma anche solo esprimere la gratitudine a suo nome, per un dono ricevuto o un saluto affettuoso, è compito che richiede una sintonia particolare con il suo stile:

    “Leggere queste lettere più che con la mente con il cuore; condividere la sofferenza e cercare di trovare le parole adatte per esprimere quello che il Papa vuole veramente che si esprima: la vicinanza, la condivisione... È veramente nello stile del condividere. Del resto il Papa l’ha sempre detto che il pastore deve vivere con il gregge, con le pecore. Sentire e vivere l’esperienza con loro”.

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    L’Elemosiniere del Papa celebra i funerali del barbone morto dopo aggressione

    ◊   Si è svolto stamani, presso la Chiesa di San Stanislao dei polacchi, a Roma, il funerale di un senzatetto polacco deceduto di recente in seguito a una violenta aggressione. Michal, 31 anni, è morto dopo una lunga agonia all’Ospedale Agostino Gemelli. La sua famiglia ha autorizzato l’espianto degli organi. Grazie a questo gesto – ha reso noto una rappresentante della Comunità di Sant’Egidio – è stato possibile salvare altre quattro vite umane. Alla Messa esequiale, presieduta dall'elemosiniere del Papa, mons. Konrad Krajewski, ha preso parte un nutrito numero di senzatetto.

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    Conferenza di Aleteia: "Il futuro della comunicazione è responsabile"

    ◊   Il mondo dell’impresa e della comunicazione insieme per spiegare come intendano rispondere all'invito del Papa contenuto nel suo primo Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali dal titolo: “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”. E’ quanto accaduto nella Conferenza di oggi a Roma organizzata da Aleteia ed Ethic, in collaborazione con Prima Comunicazione. Presentati anche due studi inediti sui motivi per i quali il Papa è stato considerato personaggio dell’anno in Internet e sulla comunicazione etica e sostenibile come novità del panorama pubblicitario. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    La comunicazione come ricerca, ascolto e accompagnamento dell’uomo, il mondo dei media come rete di rapporti e il comunicatore come il "buon samaritano" che si fa prossimo e lenisce le ferite dell’umanità. Sono le coordinate entro le quali mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha ricondotto il primo messaggio del Papa, mostrandone un contenuto attuale, aperto a tutti ed esigente per chi fa comunicazione a tutti i livelli. Mons Celli:

    “Alle volte dimentichiamo che l’uomo è al centro della comunicazione, l’uomo è il destinatario della comunicazione. E’ molto più facile dare surrogati. Ecco perché il Papa dice che c’è bisogno di energie fresche e di una creatività. Vale fuori della Chiesa e dentro la Chiesa, perché la problematica è la medesima. Solo che noi, all’interno della Chiesa, dovremmo avere anche, tra le coordinate, un messaggio evangelico”.

    Da qui Aleteia, network cattolico mondiale di informazione, e soprattutto Adethic, network di comunicazione pubblicitaria etica e sostenibile hanno presentato il loro primo anno di lavoro a servizio di questioni chiave come vita, società e fede, partendo da una parola, per loro, fondamentale del messaggio di Papa Francesco, la parola ”solidarietà”. Andrea Salvati, direttore generale di Aleteia:

    “Le persone hanno al loro interno non solo interessi materiali ma anche dei valori. La novità di questa nostra offerta mediatica è quella di provare a pensare, a organizzare tutte le regole che noi conosciamo, del marketing e della comunicazione, in un’ottica anche valoriale, non solo materiale. Inoltre, il nostro punto di vista è che la pubblicità in particolare possa essere un elemento di rivoluzione: oggi la pubblicità, come noi la conosciamo, è un elemento fondamentale, corroborante del profitto e questo noi lo rispettiamo. Crediamo però che la pubblicità possa avere un ruolo di moltiplicatore di solidarietà e questo, a nostro parere, accadrà sempre più. Noi abbiamo creato quindi un vehiculum media che possa essere fortemente posizionato in questo e noi stessi - nel nostro statuto, nel nostro codice etico - abbiamo posto un obiettivo, ovvero di destinare il 50% degli utili che faremo a opere di carità e solidarietà”.

    Ma come le aziende vivono e intendono il “farsi prossimo”, il “rispetto della persona” e “il portare avanti un valore come il dialogo”, punti cardine del messaggio del Papa per la 48.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali? Lo abbiamo chiesto a esperti di marketing presenti alla Conferenza, Monica Biagiotti per Mastercard, e Marco Vighi per il Gruppo Banco Popolare, per i quali il modello del “buon samaritano” non è impossibile da incarnare:

    “Noi, come MasterCard, siamo una società di carte di credito e in linea teorica rappresentiamo il mondo del consumo, quindi proprio l’opposto del messaggio del Papa. Però, in realtà, sono tanti anni che comunichiamo in quel senso: anche la nostra campagna 'priceless' - ovvero, ci sono cose che non si possono comprare - è proprio stata creata per dire che le cose veramente importanti nella vita non sono quelle che si comprano. Ultimamente noi, come carte di credito, un altro messaggio che diamo è quello di quanto sia importante donare: stiamo spingendo moltissimo questa cultura del donare per delle cause, uno perché è il modo importante oggi in quanto i governi non hanno più le risorse per aiutare come ce le avevano in passato, quindi le persone, i singoli lo devono fare di più. Per quanto riguarda il ritorno per noi come azienda, sappiamo che quando spingiamo questo tipo di comunicazione in un certo senso rendiamo le persone anche più felici. Quindi, quello che a noi piace veramente dire è che si tratta di un 'win, win', cioè che ci guadagnano tutti”.

    “Il Sommo Pontefice ha portato un vento nuovo in tutto il panorama bancario. Le sue parole sono, secondo noi, una linea strategica da seguire, in particolare per una banca che si chiama Popolare e che ha, in questo aggettivo, le radici di un’identità forte e importante, che si declinano poi in una vicinanza ai territori e in una vicinanza alle nostre comunità, che è includente e che è attenta, anche con una destinazione di risorse importante, ai nuovi bisogni, alle nuove povertà, quindi alla necessità di far quadrato attorno a comunità, famiglie e imprese, che sono l’ossatura portante del nostro sistema. E’ sicuramente, quindi, un invito che raccogliamo con grande speranza”.

    Dalla Conferenza, emergono anche importanti e incoraggianti dati di fatto. Anzitutto che la comunicazione etica, sostenibile e socialmente responsabile è la vera novità del panorama pubblicitario: è un trend in atto e non più allo stato nascente, ha un’adesione trasversale ed è considerata il futuro delle comunicazioni d’impresa. La disponibilità del mondo multimediale ad accogliere invece il messaggio del Papa e il suo nuovo modo di comunicare emerge dallo studio presentato da "3rdPlace", per Aleteia. Lo studio evidenzia che il Papa è stato il personaggio con il maggior volume di ricerche mensili su Google (11.737.300) e il più menzionato in rete (oltre 49 milioni) davanti a figure come Obama e Snowden. “Sorprendente” il successo di Francesco sui giovanissimi, dice la ricerca, in concorrenza con alcuni idoli del mondo dello spettacolo e dello sport. E se alcuni leader hanno capito prima di altri l’efficacia di Internet per veicolare la propria immagine e rafforzare il proprio seguito politico, Papa Francesco batte tutti in capacità d'interazione. Succede su Twitter e la motivazione di questo livello di interazione, spiegano gli estensori dell'indagine, va probabilmente ricercata “nell’approccio del Papa al mezzo digitale: mentre Obama e Grillo utilizzano Twitter come un broadcast per diffondere i propri contenuti, Sua Santità lo utilizza per parlare e avvicinarsi ai suoi fedeli, ottenendo così risultati migliori e più efficaci”.

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    Padre Lombardi: "Il rapporto tra gli ultimi tre Papi e la comunicazione"

    ◊   Il rapporto tra gli ultimi tre Papi e la comunicazione. E’ il filo conduttore dell’intervento del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, ieri pomeriggio a Toledo, in Spagna, dove ha ricevuto una speciale onorificenza per i servizi resi a “Radio santa Maria Toledo” e al “Canal Diocesano de Tv”. Le due emittenti festeggiano rispettivamente il 20.mo e 25.mo anniversario della creazione. Il servizio di Paolo Ondarza:

    Riflessioni personali sulla comunicazione al servizio di tre Papi. Il discorso di Padre Lombardi passa in rassegna la potenza comunicativa dei gesti di Giovanni Paolo II, nel tempo del vigore come in quello dell’anzianità, la chiarezza di sintesi e pensiero di Benedetto XVI, lo straordinario carisma comunicativo di Francesco, il cui messaggio arriva al cuore della gente e anche per questo viene seguito con attenzione dai media in un “circolo virtuoso”, una “specie di alleanza” tra il loro servizio e l’annuncio del Papa. Il direttore della Sala Stampa Vaticana rileva come, pur comunicando quasi esclusivamente in italiano e spagnolo, l’attuale Papa, “sorgente di un fiume inesauribile di immagini”, riesca a veicolare “messaggi importantissimi al mondo intero” e questo, spontaneamente, senza lo studio “a tavolino” di una nuova “strategia di comunicazione”.

    Jorge Mario Begoglio – il Papa “chiamato dalla fine del mondo” – è, secondo padre Lombardi, “sulla stessa linea” in quanto a immediatezza dei gesti e coinvolgimento delle folle di Karol Wojtyla, il Papa “chiamato da un Paese lontano”, che definì coraggiosamente “benedetta” la televisione”, comprese l’importanza della collaborazione dei media alla sua missione e attraverso immagini forti in luoghi significativi – come la preghiera al “Muro del pianto” a Gerusalemme, o il colloquio in carcere con il suo attentatore – comunicò in mondo ancor più efficace che con le parole dette o scritte.

    “Un grande maestro di comunicazione” in forme e direzioni forse non sempre facili da proporre attraverso i media, ma non per questo meno importanti”, viene definito Joseph Ratzinger. Padre Lombardi ne ricorda il pensiero limpido, ordinato, coerente, sintetico, senza incertezze e confusioni, anche quanto rispondeva a domande improvvisate. “Vertici sublimi” Benedetto XVI li ha toccati – secondo il portavoce vaticano – nelle omelie, “forma più importante della comunicazione nella vita della comunità ecclesiale”. La vicenda del Papa tedesco con i media è stata “segnata da momenti belli” e da altri più “travagliati”. Padre Lombardi menziona in particolare l’umiltà e la passione evangelica con cui il Papa emerito rispose alle critiche seguite alla remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani o l’approccio pastorale e dinamico, in piena sintonia con quello di oggi di Papa Francesco, avuto da Benedetto XVI nell’affrontare nel libro-intervista “Luce del Mondo”, la discussione sulla valutazione morale dell’uso del preservativo.

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    Padre Lombardi all’Uar: la sfida digitale per l’Africa è anche quella dello sviluppo e della lotta alla povertà

    ◊   Lo sport come strumento di pace: questo, in sintesi, l’auspicio espresso da padre Federico Lombardi, direttore generale della Radio Vaticana, in un messaggio inviato alla settima Assemblea generale dell’Unione africana di radiodiffusione (Uar), di cui l’emittente pontificia è membro. In corso a Yaoundé, in Cameroun (il 27 e 28 gennaio), la riunione si concentra su due temi: il passaggio al digitale e i diritti radiofonici sugli avvenimenti sportivi. “La sfida digitale per l’Africa oggi – scrive padre Lombardi – è anche quella dello sviluppo duraturo e della lotta alla povertà”. Come ricorda Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2014, “il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le nazioni della terra”. E in questo contesto, “in cui la ricerca sfrenata del guadagno rischia sempre di rompere l’armonia e la funzione educativa sportiva”, continua padre Lombardi, “l’Uar cerca di facilitare l’acquisizione dei diritti sui grandi eventi sportivi internazionali”. Citando, poi, quando detto dal Papa lo scorso 23 novembre, nell’udienza con i Comitati olimpici europei, il direttore generale della Radio Vaticana sottolinea l’importanza, per coloro che si occupano di sport, di promuovere “quei valori umani e religiosi che stanno alla base di una società più giusta e solidale”, grazie anche all’universalità del linguaggio sportivo, che “supera confini, lingue, razze, religioni e ideologie; possiede la capacità di unire le persone, favorendo il dialogo e l’accoglienza”. Di fronte, quindi, ad “episodi violenti e sanguinosi che attraversano alcuni Paesi del continente africano”, l’auspicio di padre Lombardi è che “le trasmissioni sportive possano contribuire alla formazione alla pace, alla compartecipazione ed alla coesistenza tra i popoli”. Dal suo canto, “come sempre – conclude – la Radio Vaticana continua ad essere a fianco degli annunciatori di pace”. L’Uar, che nel 2006 ha sostituito l’Unione delle radio e televisioni nazionali dell’Africa (Urtna), oggi raggruppa emittenti radiofoniche e televisive pubbliche e private del continente. Ma è consuetudine che le Unioni sorelle ed altri organismi internazionali d’Europa partecipino all’Assemblea annuale. (A cura di Isabella Piro)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un nuovo scenario: in prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia su giovani e dibattito sull'aborto.

    La dimensione luminosa della fede: il messaggio del Papa per la seduta pubblica delle Pontificie accademie.

    La preghiera di lode: Messa del Pontefice a Santa Marta

    Incrollabile speranza di pace: nell'intervista di Nicola Gori il cardinale prefetto Leonardo Sandri illustra le iniziative per sostenere i cristiani in Medio Oriente.

    Semplificazioni culturali e teologia biblica: Pierangelo Sequeri sul documento della Commissione teologica internazionale su monoteismo e violenza.

    Un Giusto da riconoscere: Anna Foa spiega come nel 1943 il parroco romano Giovanni Gregorini salvò cinque famiglie di ebrei; la storia di suor Margherita Cipolloni che aprì le porte del Bambin Gesù, raccontata dal "Corriere della Sera"; Giovanni Preziosi ricorda l'aiuto offerto dalle suore dell'istituto San Giuseppe di Chambéry a quanti erano braccati dai nazifascisti e Gaetano Vallini recensisce il libro di Dominique Sigaud "Il caos Franz Stangl".

    Bisogna rimboccarsi le maniche: Piero Coda su una nuova tappa per l'evangelizzazione.

    Nonostante tutto, uno sguardo di speranza: Claudio Toscani ricorda il poeta messicano José Emilio Pacheco.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi siriana. Mons. Zenari: fronteggiare l’emergenza umanitaria. Preghiamo per p. Dall’Oglio e tutti i rapiti

    ◊   A Ginevra sono entrati nel quinto giorno di lavori, i negoziati di pace per la Siria. Gli incontri seguono la conferenza internazionale di Montreux. In queste ore si tiene un nuovo "faccia a faccia" tra i rappresentanti del regime siriano e dell'opposizione, dopo che ieri sono stati sospesi i colloqui sulla formazione di un governo di transizione. Intanto sul fronte umanitario un convoglio dell'Onu è in attesa di consegnare aiuti alimentari alle famiglie assediate ad Homs. E domani saranno sei mesi dal rapimento del padre gesuita Paolo Dall’Oglio, scomparso a Raqqa, zona controllata dalle “milizie islamiste dello Stato Islamico dell’Iraq”. In diverse città del mondo sono state annunciate Messe e Veglie di preghiera per la liberazione del padre gesuita e di tutte le altre persone rapite nel Paese dilaniato da tre anni di combattimenti. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:

    R. – Non abbiamo alcuna notizia di padre Dall’Oglio! Ci sono delle voci, ogni tanto, che si rincorrono: ma non si può vagliare se siano vere o no. Purtroppo sono ormai 6 mesi… Fra qualche settimana saranno 12 mesi che sono scomparsi altri due sacerdoti, sempre nelle vicinanze di Aleppo, uno armeno cattolico e uno greco ortodosso; fra tre mesi sarà un anno dal rapimento dei due vescovi ortodossi…. Ecco, di tutte queste persone – purtroppo! – non c’è alcuna notizia.

    D. – Qualcosa di più si sa, invece, sulle 12 monache rapite a Maalula?

    R. – Ogni tanto trapela qualche notizia… Sono piuttosto rassicuranti: sarebbero trattate – sembra – bene; si sa, più o meno, dove sono trattenute, in una casa nella cittadina di Abrud. Questo è un caso un po’ diverso. Anche le monache, di quando in quando, possono telefonare a qualche persona, a qualche altra religiosa…

    D. – Dunque la Siria è piombata anche in questa spirale drammatica dei rapimenti, che sono tantissimi…

    R. – Purtroppo sì! Bisogna anche allargare lo sguardo: e la cosa diventa veramente esecrabile, perché qui si parla di centinaia di persone e si può parlare anche di migliaia se si includono tutte le tipologie di persone rapite o scomparse.

    D. – Chi viene rapito?

    R. – C’è la tipologia – diciamo – criminale: diverse persone sono rapite per ottenere denaro e qui nei vari villaggi e nelle varie città purtroppo è qualcosa che si verifica giornalmente. C’è poi la tipologia politica: persone di un certo rilievo sequestrate dagli uni o dagli altri per eventuali - magari un domani – possibili scambi di persona. Poi c’è della gente che è stata rapita, che è scomparsa e non si sa neanche per quali motivi… Vorrei direi che anche il rapimento di queste persone ecclesiastiche ancora non ha un motivo. Preghiamo affinché il Signore della misericordia possa toccare il cuore di tutte queste persone, perché sappiamo quanto dolore provoca alle famiglie che non sanno niente dei loro cari, scomparsi ormai da giorni, settimane, mesi… Direi che i rapimenti sono uno dei flagelli che è stato provocato da questa guerra. Vorrei che sostenessimo tutte le persone rapite e le loro famiglie con la nostra preghiera.

    D. – In questa situazione la Chiesa cosa sta facendo?

    R. – Una missione ardua, quella anzitutto di rimanere vicino alla gente che è qui, tutti, sia cristiani, sia di altre religioni, perché tutti soffrono queste calamità della guerra, della povertà, della fame, del freddo e questi sequestri. La prima cosa da fare è essere presenti, condividere queste sofferenze. Oltre all’aiuto materiale - quel po’ che si può offrire… - c’è soprattutto l’aiuto nella presenza, nella condivisione di questo terribile dramma che tutti stanno vivendo.

    D. – Prima della Conferenza di pace che si è tenuta a Montreaux, lei ha ribadito: “Tutti si presentino davanti questa assise come se si trovassero al capezzale di una madre”, riferendosi proprio alla "madre Siria". Come giudica questa Conferenza e gli sforzi che si stanno facendo ora di mediazione tra gli oppositori e Assad?

    R. – Già dall’inizio si sapeva che questa Conferenza avrebbe dovuto superare ostacoli insormontabili. Però bisogna tentare ogni sforzo! E’ già qualcosa, che dopo tre anni le parti che erano distanti, l’una dall’altra, e che si combattevano, si ritrovano attorno ad un tavolo. Ogni piccolo passo vale già qualcosa. Come cristiani, ma anche come credenti, dobbiamo accompagnare questi sforzi di pace con la preghiera, perché mai come adesso ci si accorge che c’è bisogno dell’aiuto di Dio per ottenere questo dono, il dono della pace, che è affidato alla responsabilità umana. Non bisogna mai perdere la fiducia, anche se ci saranno dei momenti molto, molto difficili. Bisogna cercare di fare dei passi soprattutto – io direi – per quanto riguarda adesso l’aspetto umanitario. Non c’è solo la povera popolazione di questa enclave di Homs: circa 3-3.500 persone circondate e accerchiate da più di un anno e mezzo e tra queste ci sono 60-65 cristiani con un sacerdote, un religioso gesuita anziano olandese, che ha scelto di rimanere con tutte queste povere persone accerchiate... Però oltre a loro ci sarebbero circa 2 milioni e mezzo le persone che sono in una situazione simile e sono tagliate fuori da questi aiuti umanitari così necessari e così urgenti. Quindi direi che sarebbe già un bel risultato se le parti potessero mettersi d’accordo sull’accesso agli aiuti umanitari per queste diverse popolazioni che sono accerchiate o dagli uni o dagli altri.

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    Ucraina: cancellate le leggi antiprotesta. Dimissionario il premier Azarov

    ◊   In Ucraina, segnali di distensione tra presidente Ianukovich e opposizioni. Stamani, le dimissioni del primo ministro, Mikola Azarov, in vista di una soluzione pacifica delle tensioni di piazza in atto. Intanto la Rada, il Parlamento di Kiev riunto in seduta straordinaria, ha abolito le recenti leggi anti-protesta che avevano infiammato le contestazioni. Ma la crisi ucraina si sta realmente incanalando sulla via del dialogo? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fabrizio Dragosei, esperto dell’area ex sovietica, inviato speciale del Corriere della Sera:

    R. – Forse sì, ma non c’è da esserne troppo sicuri, perché l’Ucraina purtroppo più volte ci ha deluso da questo punto di vista: sembrava che i famosi tavoli di trattativa fossero avviati concretamente e poi di nuovo saltava tutto. L’offerta del presidente Yanukovich sembra indicare che questa sia la strada. La piazza chiedeva, però, le dimissioni dello stesso presidente e la convocazione di nuove elezioni. Su questo Yanukovich sembrava, almeno fino a ieri, non disposto a cedere. Quindi, bisognerà vedere se le pressioni internazionali, su tutte le parti in causa e anche sugli esponenti dell’opposizione, riusciranno a portare tutti a più miti consigli e quindi a evitare questa spaccatura che si sta rivelando veramente molto, molto pericolosa nel Paese.

    D. – Andando ad analizzare l’opposizione: non si tratta più solo di europeisti, ma di un movimento al quale si sono uniti anche gruppi ultranazionalisti. C’è un rischio in questo?

    R. – Diciamo che una cosa è il Paese e una cosa è la piazza. Il Paese è in parte favorevole all’Europa, in parte molto vicino alla Polonia e in altra parte è russofono e più vicino a Mosca. Poi in piazza si sono inseriti, finendo alla fine per dirottare questo movimento pacifico, gruppi ultranazionalisti, che sono gruppi filonazisti, razzisti, anticaucasici, antiimmigrati… Insomma, gruppi con i quali francamente credo che l’Europa non voglia avere assolutamente nulla a che fare. Questi movimenti contano molto nella piazza, ma non contano nulla nel Paese. E se domani si andasse alle elezioni, ci ritroveremmo di nuovo con il Partito delle regioni del presidente Yanukovich che, alla fine, risulterebbe essere nuovamente la formazione di maggioranza relativa e con una apposizione democratica, sempre frantumata, che sarebbe comunque minoranza.

    D. – Dietro la crisi ucraina si nasconde un confronto tra Russia ed Europa?

    R. – Sicuramente, non solo tra Russia ed Europa, ma anche tra Russia e Stati Uniti. La Russia certamente non ama avere la Nato e l’Unione Europea alle sue porte. Questi Paesi ex sovietici come l’Ucraina, la Georgia e parecchi altri invece vogliono smarcarsi il più possibile da Mosca e quindi guardano alla protezione europea, occidentale. Ma oggi la Russia ha molto di più da offrire a questi Paesi, perché controlla i rubinetti del gas e quindi ovviamente, per concedere degli sconti, per concedere dei finanziamenti, qualcosa in contropartita la chiede.

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    Sud Sudan: suor Balatti, dopo le violenze il senso di fraternità prevarrà

    ◊   La diocesi di Malakal, capoluogo dell’Alto Nilo, in Sud Sudan, è stata completamente distrutta dai combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar. A denunciarlo, all’Agenzia Fides, l’amministratore apostolico della diocesi, mons. Roko Taban Musa, che si trova in questi giorni nella capitale sud sudanese Juba per partecipare alla riunione plenaria della locale Conferenza episcopale. Nei giorni scorsi, le due fazioni hanno siglato ad Addis Abeba, in Etiopia, un cessate il fuoco, con la mediazione dell’Igad, che raggruppa i Paesi dell’Africa orientale: dal 15 dicembre, quando sono scoppiate le violenze, si contano 700mila sfollati interni e 112mila rifugiati negli Stati limitrofi; secondo osservatori internazionali, i morti potrebbero essere anche 10mila. Sulla situazione nel Paese africano, ascoltiamo suor Elena Balatti, missionaria comboniana da quasi vent’anni in Nord e Sud Sudan, raggiunta telefonicamente a Malakal da Giada Aquilino:

    R. – Posso dire che nella città di Malakal la tregua regge. E’ una zona che è stata riconquistata dall’esercito governativo il 20 gennaio, tre giorni prima della firma di questo cessate il fuoco. I combattimenti purtroppo continuano in varie zone, perché nelle aree dove i due gruppi armati - l’esercito governativo e l’esercito che ha disertato (non dobbiamo dimenticare che le parti che si fronteggiano appartenevano allo stesso esercito del Sud Sudan fino al 15 dicembre del 2013) - vengono a trovarsi a contatto la situazione rimane molto tesa. Questo avviene sui confini tra lo Stato dell’Alto Nilo e lo Stato del Jonglei ed anche nello Stato dell’Unity, dove ci sono i pozzi di petrolio.

    D. – La popolazione è fortemente provata dai combattimenti. In questo momento chi è più a rischio?

    R. – La popolazione di Malakal è stata provata durissimamente. Non hanno memoria, neppure gli anziani, di un disastro simile. Purtroppo anche se, come Chiesa, cerchiamo di non accentuare la componente etnica di questo conflitto, perché non giova a nessuno, comunque questa componente c’è stata. Nelle aree in cui i ribelli hanno il controllo, le popolazioni Dinka - che sono di un gruppo etnico diverso dal loro - sono a maggiore rischio, mentre nelle aree governative avviene il contrario: al momento la popolazione più a rischio a Malakal è la popolazione Nuer. Non si tratta, però, assolutamente di prendere di mira il gruppo in generale. L’esercito, infatti, cerca chi è stato coinvolto come combattente nella ribellione, per arrestarlo.

    D. – L’arcivescovo di Juba, mons. Lukudu Loro, ha convocato in questi giorni tutti i vescovi locali per confrontarsi sulla situazione. Qual è il ruolo della Chiesa oggi?

    R. – Il ruolo della Chiesa cattolica in particolare a Malakal, che è stata una delle più martoriate dagli scontri, è stato veramente essenziale. Nel cortile della cattedrale locale abbiamo avuto, ad un certo punto, 7 mila persone rifugiate. Ogni gruppo etnico è potuto entrare. La Chiesa è stata rispettata da tutte le parti e ha potuto parlare a favore di queste migliaia di persone, tanto che i ribelli stessi hanno deciso di dare un aiuto umanitario sotto forma di cibo, durante il periodo in cui hanno avuto il controllo della città, per sopperire ai bisogni essenziali della popolazione. La Chiesa cattolica, quindi, è stata vista dai cittadini come un rifugio, dove la presenza di Dio garantiva loro di potere continuare a vivere, a sperare e ad avere fede.

    D. – In questo momento di dolore, di violenza, di sofferenza, per dove passa la speranza in Sud Sudan?

    R. – Dopo vari anni in Sud Sudan, ho visto molte crisi - anche nel Nord - e questa definitivamente è stata la peggiore. Passato un po’ di tempo, però, le popolazioni sud sudanesi, che appartengono a vari gruppi, anche quelli che si sono combattuti, riescono a trovare il modo di vivere nuovamente insieme. Penso, quindi, che la speranza in questo momento sia il senso di fraternità che prevarrà ancora.

    D. – Voi a Malakal avete anche una radio, una radio cattolica. Qual è il messaggio che diffondete?

    R. – Dopo un periodo in cui le comunicazioni sono saltate, abbiamo cercato di riattivare la radio, a seguito del cessate il fuoco: perché la radio, per il fatto stesso di riuscire a trasmettere anche poche ore al giorno, dà alla gente l’idea che la normalità stia tornando. Fra i programmi che trasmettiamo in questi giorni uno è di particolare importanza ed è quello di dare la possibilità alla gente di cercarsi. Infatti, la maggior parte della popolazione di Malakal è fuggita dalla città e parecchie famiglie non sanno dove i rispettivi membri si trovino al momento. Abbiamo poi intenzione di continuare a trasmettere programmi che parlano della necessità di pace, di riconciliazione e di moderazione rispetto a quello che può essere un desiderio di vendetta, che non porta a nulla.

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    Allarme Fmi: un quarto dei giovani europei senza lavoro

    ◊   Ancora allarme disoccupazione per l'Europa. A lanciarlo è il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale che ricorda che sono quasi 20 milioni i disoccupati nel Vecchio Continente. Christine Lagarde sottolinea che “fino a che gli effetti sul lavoro non saranno invertiti, non si può dire che la crisi è finita”. Quasi un quarto dei giovani europei under-25 non riesce a trovare un lavoro. Ma guardando, in particolare, ai vari Paesi si scopre che in Italia e Portogallo i giovani disoccupati sono più di un terzo e che in Spagna e Grecia sono più della metà. Fausta Speranza ha intervistato Franco Bruni, docente di Politica monetaria all’Università Bocconi:

    R. - In questo momento c’è una crescita che riprende lievemente - in alcuni Paesi un po’ meno lievemente - ma l’occupazione non riprende. Bisogna quindi capire il legame che c’è tra la crescita dell’economia e l’occupazione, altrimenti si rischia di avere una crescita senza però un aumento dell’occupazione. Una crescita del genere potrebbe essere fragile, perché se l’occupazione non cresce non viene distribuito abbastanza reddito ai lavoratori che poi non comprano i prodotti. Crescere semplicemente per un’accelerazione della spesa senza però un aumento dell’occupazione è molto fragile. Il problema è che, con le tecnologie moderne, si può immaginare che si possa crescere risparmiando continuamente lavoro e questo richiede un’attenzione molto particolare. C’è infatti qualche grande economista internazionale che ha lanciato lo spettro della “stagnazione permanente”: in un mondo che cresce con tecnologie sempre più tali da risparmiare lavoro, con sempre più automazione nell’elettronica e nell’informatica, il rischio è che la ripresa non si possa più sostenere e si finisca in un mondo in cui i salari sono bassi, i redditi della gente - soprattutto la grande massa delle persone che hanno un lavoro dipendente non di alta qualificazione - sono bassi, non si spende più e alla fine la ripresa muore. Questo è un discorso molto complicato che c’è dappertutto; anche negli Stati Uniti c’è una ripresa in cui i riflessi occupazionali sembrano insufficienti, così come in Europa.

    D. - Cosa fare per preoccuparsi innanzitutto della disoccupazione?

    R. - Innanzitutto, bisogna collocare la gente nel posto giusto: c’è molta disoccupazione anche perché in molti Paesi c’è rigidità nel mercato del lavoro; quindi, bisogna fare in modo che la gente abbandoni i lavori non produttivi e sia assorbita in settori più produttivi. Questo vuol dire spendere molti soldi per mantenere i disoccupati in modo utile, indirizzandoli e formandoli. Ciò richiede una grandissima quantità di risorse che devono essere tolte da altre parti. Dobbiamo rinunciare ad altre cose per poter ricollocare molta della mano d’opera - sia a livello nazionale, che internazionale - in occupazioni che abbiano un futuro migliore. In secondo luogo, bisogna puntare sui settori in cui il lavoro è più prezioso, più utile, ad alta intensità di lavoro - come i servizi - evitando di concentrare tutto lo sviluppo in quei settori - come certi comparti dell’industria più avanzata - dove ormai con la robotica, con l’elettronica e le tecnologie moderne l’assorbimento di lavoro è molto basso.

    D. - Vede questi governi europei preparati a politiche economiche incisive sulla disoccupazione? E’ dalla politica che devono venire politiche economiche concrete, o no?

    R. - Sì, credo che ci sia una consapevolezza del problema che sta crescendo e che emerge in molti studi. L’Europa in particolare ha lanciato programmi per la disoccupazione giovanile che sono sulla carta e sono discussi concretamente con i singoli Paesi; sono disponibili anche fondi europei per mettere in azione politiche che aiutino a combattere la disoccupazione giovanile. Quindi, la consapevolezza c’è, le idee anche; si tratta di avere la forza politica per realizzarle e questo spesso è più difficile perché, purtroppo, all’interno dei nostri Paesi siamo divisi e non abbiamo la forza di fare grossi passi, politicamente difficili, che servano a fare riforme incisive.

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    Nigeria, nuove stragi: terroristi islamici attaccano una chiesa cattolica e un mercato

    ◊   Nigeria ancora insanguinata dai terroristi islamici che domenica scorsa hanno attaccato due villaggi nel nord est del Paese, facendo strage di civili in una chiesa e in un mercato. L'ultimo bilancio parla di circa 100 morti e decine i feriti. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Le prime notizie delle stragi sono rimbalzate sulla stampa internazionale solo ieri pomeriggio. Gli attacchi, non ancora rivendicati, vengono attribuiti ai ribelli islamici del movimento Boko Aram, da quasi cinque anni in lotta con il governo del presidente cristiano, Goodluck Jonathan, che pochi giorni fa ha dimissionato tutti i vertici militari di fronte all’incapacità di contrastare la rivolta. Il primo degli ultimi due attacchi è avvenuto nello Stato di Adamawa. Qui, i terroristi hanno assaltato una chiesa cattolica con bombe e armi pesanti, uccidendo non meno di 22 fedeli. Il secondo ha colpito un affollato mercato domenicale nello Stato del Borno, uccidendo altre decine di persone e radendo al suolo l’intero abitato circostante. Decine i feriti. Una spirale di violenze che non trova fine in questo Paese diviso tra nord islamista e sud cristiano: almeno 1200 le vittime degli attentati di Boko Aram dal 2009.

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    Caritas denuncia: la salute dei rom, tra diseguaglianze e discriminazione

    ◊   In Italia, i rom sono il popolo che subisce le maggiori diseguaglianze nella salute. Se ne è parlato oggi in un convegno “La salute dei rom: disuguaglianze vissute, equità rivendicata”, organizzato a Roma dalla Caritas italiana, e introdotto dal cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma. E' stata una giornata di riflessione sulla salute dei gruppi rom che vivono in condizione di disagio socio-abitativo e sulle metodologie di intervento e di promozione sanitaria. Durante i lavori, si è sottolineato come le cause di discriminazione trovino origine nella povertà, nel disagio e nelle cattive politiche, temi anche al centro del libro “Salute rom. Itinerari possibili”, presentato nella stessa sede. Tra gli autori, Salvatore Geraci, responsabile area sanitari di Caritas Italiana. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – In Italia, abbiamo assistito, proprio nei confronti dei rom, a politiche che sono state patogene, cioè che hanno prodotto malattia, disagio, segregazione e hanno prodotto discriminazione e disuguaglianze. Noi partiamo da questo punto e da lì cerchiamo di identificare dei percorsi possibili, perlomeno nei micro-interventi, perché i macro-interventi sono interventi delle politiche che non dipendono da una Caritas, o dagli operatori o dalla buona volontà delle singole persone. La situazione è complessa: è un’esclusione sociale che si autoalimenta, che produce povertà, malattia, che produce a sua volta ancora esclusione. E si crea questa sorta di circolo tremendo che non permette mai a questa popolazione di accedere a programmi di salute, di cui hanno diritto. In Italia, almeno il diritto all’assistenza sanitaria, sulla carta, è per tutti.

    D. – Ma questo diritto viene applicato? I rom, nelle strutture ospedaliere, negli ambulatori, nelle Asl subiscono discriminazione?

    R. – C’è anche un tema della discriminazione, ma non è forse il più importante. Il nodo è quello dell’accessibilità ai servizi, prima ancora della fruibilità, della possibilità di avviare percorsi assistenziali, che siano adeguati per questo tipo di popolazione. Se si riuscisse a intervenire per poter garantire dei percorsi assistenziali appropriati, anche il tema della discriminazione sarebbe molto più confinato e in qualche modo gestibile.

    D. – Quali sono le politiche che voi ritenete causa di questa situazione di grave diseguaglianza?

    R. – I rom sono 150 mila in tutta Italia, quindi una popolazione numericamente molto esigua. Di questi, la metà sono cittadini italiani e, di questi, una parte, 70-80 mila, vivono nei campi e queste sono le situazioni di maggior degrado. Sono quindi scelte ben precise dal punto di vista politico. Fin quando noi manteniamo i campi, piccoli o grandi, fin quando continuiamo a fare sgomberi costanti, fin quando non puntiamo in maniera costante sulla scolarizzazione dei bambini, che vengono spostati da una parte e l’altra, non si riuscirà chiaramente a risolvere questo problema. La responsabilità quindi, devo dire, è molto diffusa: da parte di chi ha fatto scelte macro, ma anche da parte delle amministrazioni delle città, che non hanno voluto affrontare un tema con una lungimiranza e una tenacia nell’intervento che richiede.

    D. – In concreto, parlando delle fasce più vulnerabili, cosa ne è dell’assistenza alle donne in gravidanza, o ai bambini più piccoli?

    R. – Le donne rom hanno un accesso alla tutela della gravidanza più tardiva rispetto alle altre donne. Non hanno spesso delle abitudini tipo il fumo in gravidanza, che non sono certamente buone, ma che sono conseguenze chiaramente delle condizioni sociali in cui queste persone vivono. Questo produce, a livello di patologia perinatale, cioè poco prima e subito dopo la nascita, delle disuguaglianze, cioè delle differenze significative rispetto alla popolazione autoctona, ossia alla popolazione italiana. Abbiamo, quindi, basso peso alla nascita, parti prematuri, morbilità perinatale abbastanza alta rispetto alla popolazione. Lo vediamo anche nei ricoveri, che sono ricoveri ripetuti, a volte anche abbastanza complessi, proprio perché c’è una riduzione dell’accesso, sia durante la gravidanza, ma anche nei primi anni di vita del bambino, al pediatra di scelta, che è un po’ il riferimento. Su questo c’è stato un accordo Stato-Regioni di un anno fa, che ha previsto che, ad esempio, tutti i minori, indipendentemente dallo status giuridico, debbano avere l’iscrizione al Servizio sanitario regionale e un pediatra di libera scelta. Solamente due Regioni in questo momento hanno fatto delle azioni, perché questo avvenisse sul piano dei minori. La responsabilità, quindi, è quella di non applicare le leggi che ci sono. E chiaramente le persone più fragili, in questo caso i bambini rom, sono quelle più discriminate. Nel momento in cui gli operatori del servizio pubblico e gli operatori del privato sociale, coinvolgendo i rom stessi, riescono a creare alleanze, a creare rete e comunicazione, gli indicatori di salute migliorano.

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    Cei. Il card. Bagnasco: l'Italia non è una palude

    ◊   Il cardinale Angelo Bagnasco invita l’Italia a reagire ad “una visione esasperata” della società. Nella prolusione del Consiglio episcopale permanente, apertosi ieri pomeriggio a Roma, il presidente della Cei afferma che “nulla deve rubarci la speranza delle nostre forze se le mettiamo insieme con sincerità”. Grande attesa poi per il Sinodo della Famiglia. E' stato questo il primo Consiglio episcopale a cui ha partecipato il neosegretario generale, mons. Nunzio Galantino. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il popolo italiano è impastato di “bontà e serietà”. Dunque, il cardinale Bagnasco invita a reagire a una visione negativa, nonostante esempi e condotte disoneste, che approfittano del denaro, del potere, della fiducia della gente.

    “L’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione. No. Dobbiamo tutti reagire a una visione esasperata e interessata, che vorrebbe accrescere lo smarrimento generale e spingerci a non fidarci più di nessuno”.

    Il presidente dei vescovi parla poi del dibattito delle riforme, chiedendo che esse non siano fatte a scapito del lavoro, perché “la povertà è reale”. "Non è ammissibile che i giovani, il domani della nNazione – afferma – trovino la vita sbarrata perché non trovano occupazione". Preoccupazione poi per lo stato delle carceri e attenzione per la famiglia, che sarà al centro del prossimo Sinodo, oggetto di un capillare lavoro anche da parte delle diocesi italiane:

    “La famiglia deve essere sostenuta da politiche più incisive ed efficaci anche in ordine alla natalità, difesa da tentativi di indebolimento e promossa sul piano culturale e mediatico senza discriminazioni ideologiche”.

    Ma anche la scuola ha bisogno di azioni concrete. Per Bagnasco, i genitori devono poter aver accesso a una piena “libertà educativa”: purtroppo così non è e sono costretti "ad affrontare pesi economici supplementari”.

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    Legge 40 alla Consulta. Comitato di bioetica: rischio modifiche in senso eugenetico

    ◊   Torna davanti alla Consulta la Legge 40 sulla procreazione assistita. Il tribunale di Roma ha infatti sollevato la questione di costituzionalità sul divieto per le coppie fertili di accedere alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, anche se portatrici di malattie trasmissibili geneticamente. Precedentemente, su questioni simili si era pronunciata prevalentemente la Corte europea di Strasburgo. Sulla novità di questo caso, e sulle eventuali implicazioni, Gabriella Ceraso ha raccolto il parere di Assuntina Morresi, componente del Comitato di bioetica:

    R. – La legge adesso non consente l’accesso alle tecniche di procreazione assistita a coppie fertili, anche se sono portatori di malattie genetiche. A queste tecniche possono accedere solamente le coppie sterili o infertili. Questo perché la legge è pensata non per selezionare gli embrioni sani, ma è pensata per dare un’opportunità in più alle coppie sterili. In questo caso, sembra che sia possibile – perché la domanda non l'abbiamo vista – l’accesso anche a chi è fertile purché portatore di malattie genetica. E’ chiaro che questo si farebbe solamente per consentire di individuare gli embrioni malati, scartarli e impiantare solo quelli sani. E questo è un principio, a mio avviso, eugenetico. Mentre finora abbiamo avuto solo alcune sentenze di casi singoli – pochi – e una sentenza della Corte Costituzionale che non ha intaccato la struttura della legge. Se invece la Corte Costituzionale accogliesse questo quesito, saremmo di fronte a un cambiamento sostanziale della Legge 40.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Egitto: Al-Sisi scende in campo. Ucciso principale esponente del Ministero dell'interno

    ◊   A un giorno dalla canditura alla presidenziali del generale Abdel Fattah al-Sisi, ministro della Difesa, che segna il ritorno dei militari sulla scena politica, l'Egitto si trova di fronte a una nuova ondata di violenza. Questa mattina - riporta l'agenzia AsiaNews - uomini armati hanno ucciso il gen. Mohamed Said, alto funzionario del ministero degli Interni egiziano. Al momento nessun gruppo ha rivendicato l'attacco. Secondo una prima ricostruzione, due aggressori in sella a una moto hanno aperto il fuoco contro Said, capo dell'ufficio tecnico del ministro, mentre stava uscendo dalla sua residenza situata vicino alla stazione di polizia di Talbia (Giza). Questo è il secondo attentato contro un alto funzionario statale. Lo scorso 5 settembre 2013, Mohamed Ibrahim, ministro dell'Interno è sopravvissuto all'esplosione di una bomba piazzata vicino alla sua auto. L'omicidio di Said giunge in un periodo cruciale per l'Egitto dove è in corso un duro confronto fra Fratelli Musulmani e militari, questi ultimi ritornati al potere a tre anni dalla caduta di Mubarak. In questi giorni 49 persone sono state uccise durante le manifestazioni per il terzo anniversario della Primavera araba. Altre 15 persone sono morte durante gli scontri che hanno colpito il centro del Cairo il 24 gennaio scorso. Oggi all'Accademia di polizia del Cairo si tiene la seconda seduta del processo contro Mohammed Morsi, ex presidente egiziano e leader dei Fratelli Musulmani, deposto proprio dal Consiglio supremo dell'esercito dopo la manifestazione di 30 milioni di persone avvenuta il 30 giugno 2013. Insieme all'ex capo di Stato figurano come imputati altri 130 membri dei Fratelli Musulmani arrestati durante il giro di vite lanciato dall'esercito contro l'ex movimento politico dichiarato fuorilegge dall'attuale establishment. Su di loro pendono diverse accuse: collaborazione con il gruppo islamista palestinese Hamas e con il movimento sciita libanese Hezbollah, evasione dal carcere di Wadi El-Natroun durante le rivolte del gennaio 2011, omicidio di agenti di polizia. Ieri, il gen. Abdel Fattah al-Sisi ha dato il via alle prime mosse per la sua discesa in campo alle elezioni presidenziali. Esse si terranno prima delle parlamentari grazie a un decreto firmato dal Presidente ad interim Adly Mansour che fissa l'agenda delle prossime votazioni, sfruttando il vuoto legislativo dell'art. 230 della Costituzione. Il Consiglio supremo delle Forze armate ha accettato l'ipotesi di una sua candidatura, promuovendo l'attuale ministro della Difesa da colonnello generale a feldmaresciallo. In un comunicato, lo Scaf ha giustificato la scelta di al-Sisi sottolineando che "la fiducia della gente nel generale è una chiamata che deve essere ascoltata come la libera scelta del popolo". I sostenitori di Mohamed Morsi hanno minacciato nuove manifestazioni. (R.P.)

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    Perù-Cile. La Chiesa: la controversia sui confini marittimi risolta in modo pacifico

    ◊   Perù e Cile sono un esempio per il mondo di come risolvere le proprie divergenze in modo pacifico, ricorrendo alla Corte internazionale di giustizia dell'Aia per risolvere la controversia sui confini marittimi: è quanto ha affermato il presidente della Conferenza episcopale peruviana (Cep), mons. Salvador Pineiro, arcivescovo di Ayacucho. Il presidente della Cep si è espresso così mentre veniva resa nota la sentenza della Corte Internazionale che ridisegna i confini marittimi tra Perù e Cile, attribuendo più della metà dei circa quarantamila chilometri quadrati (oggetto della disputa) a Lima, e lasciando a Santiago il grosso delle ricche zone di pesca. Pur non avendo accontentato le richieste originarie delle parti, la sentenza dovrebbe portare a un miglioramento nei rapporti tra i due Paesi. Adesso tocca a Perù e Cile stabilire i confini nel dettaglio, visto che si sono impegnati a rispettare il verdetto della Corte delle Nazioni Unite. "E' la prima volta che cerchiamo soluzioni senza armi, senza protestare, ma con il dialogo, la riflessione e la responsabilità" ha detto l'arcivescovo, sottolineando che entrambi i governi di Perù e Cile si sono impegnati a rispettare la sentenza e riconoscendo gli sforzi compiuti dalle autorità peruviane e cilene nel promuovere la fratellanza. "Se fosse stato facile, non saremmo andati in tribunale. Quindi accetteremo la sentenza e ci daremo un abbraccio tra fratelli" ha detto il presule all’agenzia peruviana Andina. La nota pervenuta all'agenzia Fides conclude con l’augurio di mons. Pineiro: "Il popolo del Perù e quello del Cile sono interessati a rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali, perché entrambi amano la libertà, credono nella democrazia e nella giustizia". (R.P.)

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    Perù-Cile: Corte Onu fissa nuovi limiti marittimi

    ◊   Ponendo fine a un lungo contenzioso, con un verdetto storico la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha modificato la frontiera marittima fra Cile e Perù a beneficio di Lima, pur lasciando intatta quella terrestre e respingendo i reclami iniziali del governo peruviano. “La Corte stabilisce che la frontiera segue una linea parallela fino alle 80 miglia (nautiche) e a partire da qui acquisisce una direzione sud fino a un punto B abbassandosi (in linea retta e all’altezza delle 200 miglia) fino a un punto C” ha detto il presidente del tribunale, Peter Tomka, leggendo la sentenza. Il verdetto - riferisce l'agenzia Misna - rompe lo status quo, ma le prime reazioni, riportate da fonti di stampa, non dovrebbe colpire i pescatori cileni, soprattutto i più piccoli, che hanno un raggio di 40 miglia dove poter svolgere la loro attività. Nel 2008 il Perù ha denunciato il Cile all’Aja per definire i limiti marittimi lungo una linea equidistante dalle coste di entrambi i Paesi, sostenendo che non fossero mai stati fissati. Per il Cile, tuttavia, la frontiera marittima con il Perù era stabilita da trattati firmati nel 1952 e nel 1954, che, tuttavia, il Paese vicino considerava solo accordi relativi alla pesca. A più riprese i governi di Lima e Santiago hanno dichiarato che avrebbero accolto il verdetto della Corte dell’Onu, che è peraltro inappellabile e deve essere applicato obbligatoriamente dalle parti: la modalità sarà comunque graduale e consensuale. (R.P.)

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    Centrafrica: costituito il governo di transizione

    ◊   E’ costituito da 20 ministri, di cui sette donne, il nuovo governo di transizione sotto la guida dell’economista André Nzapayeke, in carica da sabato scorso. La composizione dell’esecutivo è stata annunciata ieri sera con la lettura di un decreto firmato dalla Presidente di transizione, Catherine Samba-Panza. Come già anticipato si tratta di una squadra ristretta che include varie componenti politiche, ex generali delle forze armate ma anche rappresentanti dell’ex ribellione Seleka e un esponente delle milizie di autodifesa Anti-Balaka. E’ stata affidata al generale Thomas Théophile Timangoa la direzione di un ministero cruciale, quello della Difesa nazionale incaricato della ricostruzione delle forze armate, degli ex combattenti, delle vittime di guerra e del processo di disarmo. Anche il ministero della Pubblica sicurezza è andato a un militare dell’ex esercito nazionale (Faca), il colonnello Denis Wangao. La Seleka, coalizione ribelle legata al Presidente destituito Michel Djotodia, ha ottenuto tre ministeri minori – Trasporti, Lavori pubblici, Poste e telecomunicazioni – mentre agli Anti-Balaka è andato quello della Gioventù, Cultura e Sport. Inoltre sono stati riconfermati alcuni ministri del governo uscente, tra cui Marie Noelle Koyara, allo Sviluppo rurale, e Aristide Sokampi, all’Amministrazione territoriale, chiamato ad organizzare le prossime elezioni generali in agenda per febbraio 2015. La formazione del nuovo esecutivo non è stata esente da critiche. La direzione degli Anti-Balaka ha denunciato uno “squilibrio evidente” a sfavore delle milizie di autodifesa, poco rappresentate nella transizione, vittime di una “vittoria rubata”. L’ex opposizione democratica riunita nell’Alleanza delle forze democratiche di transizione (Afdt) ha invece contestato la nomina del nuovo primo ministro, considerata “una violazione con gli accordi di pace di Libreville (firmati nel gennaio 2013)”, decidendo di conseguenza di non voler partecipare all’esecutivo. Nonostante i passi avanti sul piano istituzionale, compiuti in tempi brevi, la situazione sul terreno non accenna a migliorare. A Bangui la Croce Rossa locale ha rinvenuto 13 corpi senza vita in alcuni quartieri più ‘caldi’ della capitale. A lanciare l’allarme è stato l’Alto commissario Onu per i Diritti umani, Navi Pillay. “I civili musulmani sono ora le persone più vulnerabili. Molti di loro sono stati costretti a lasciare il Paese, al seguito degli ex Seleka, e si sono rifugiati soprattutto in Ciad” ha detto la Pillay, sottolineando che “negli ultimi giorni la situazione si è ulteriormente deteriorata sul piano della sicurezza e dei diritti umani”. Rivolgendosi alla comunità internazionale l’Alto commissario Onu ha chiesto di “rafforzare la presenza di peacekeepers per salvare tante vite a rischio”. La crisi in Centrafrica è all’ordine del giorno del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione Africana, in corso con incontri preliminari ad Addis Abeba. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si appresta a varare sanzioni mirate nei confronti di chi “continua ad alimentare le violenze” nell’ex colonia francese. (R.P.)

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    Terra Santa: no dei vescovi di Usa, Canada, Ue e Sud Africa al Muro a Cremisan

    ◊   Un appello affinché “sia fatta giustizia nella valle di Cremisan, vicino Betlemme” è stato lanciato dall’Holy Land Coordination (Hlc), il Coordinamento che raccoglie vescovi di Usa, Ue, Canada e Sudafrica, alla vigilia del pronunciamento della Suprema Corte israeliana che dovrà decidere sulla costruzione di un muro di sicurezza israeliano sul terreno di 58 famiglie palestinesi di Beit Jala. Un progetto che, secondo i vescovi, “deve essere abbandonato”. “Riconosciamo il diritto dello Stato di Israele alla sicurezza e a confini sicuri - scrivono i vescovi nel loro appello, pervenuto all'agenzia Sir - tuttavia, il tracciato del muro di sicurezza si discosta nettamente dalla Linea Verde, la linea di demarcazione internazionalmente riconosciuta che separa Israele e i territori conquistati nella guerra dei Sei giorni del 1967. Più di tre quarti del percorso pianificato del muro - si legge nel testo - cadono al di fuori della Linea Verde ed è illegale secondo il parere della Corte internazionale di giustizia ed è una flagrante violazione della Convenzione di Ginevra e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”. I vescovi esortano i loro Governi “a incoraggiare Israele perché segua il diritto internazionale e rispetti le condizioni di vita di queste famiglie e perché la popolazione di Beit Jala sia protetta da ulteriorI espropri di terra e di case da parte di Israele”. La preoccupazione dei presuli del Coordinamento è che “questo muro di sicurezza serva più a consolidare gli insediamenti e a staccare definitivamente Betlemme da Gerusalemme”. Nel testo i vescovi ricordano il loro recente viaggio a Cremisan e l’incontro con molte famiglie di Beit Jala: “abbiamo sentito il loro dolore e la loro angoscia. Il muro di sicurezza distruggerà vigneti, oliveti e frutteti e li separerà dalle loro terre. Le nostre preghiere sono per la gente di Beit Jala che cerca giustizia e per tutti coloro che cercano una pace giusta in Terra Santa”. (R.P.)

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    Delegazione dei vescovi Usa nelle aree colpite dal tifone nelle Filippine

    ◊   Una delegazione della Chiesa statunitense guidata dal presidente della Conferenza episcopale (Usccb), mons. Joseph E. Kurtz, sarà dal 2 al 7 febbraio nelle Filippine per visitare le aree colpite dal tifone Hayan-Yolanda dell’8 novembre scorso. La visita è organizzata dai Catholic Relief Services (Crs), l’agenzia umanitaria della Chiesa degli Stati Uniti. La delegazione visiterà Tacloban, l’area più disastrata, dove incontrerà esponenti della Chiesa locale e i sopravvissuti, vedrà le chiese distrutte dal disastro che ha colpito 4 milioni di persone e le opere avviate dai Crs sul posto per portare aiuto ai sinistrati. Nel programma della visita anche un incontro con il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e con il presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), mons. Socrates Villegas. Insieme a mons. Kurtz ci saranno mons. Paul S. Coakley presidente del Consiglio di amministrazione dei Crs, e la presidente dell’agenzia Carolyn Woo; suor Carol Keehan, presidente e amministratrice delegata della Catholic Health Association; mons. Ronny Jenkins e mons. J. Brian Bransfield, rispettivamente segretario generale e segretario generale associato della Conferenza episcopale. Lo scorso novembre, 3 giorni dopo il tifone, l’allora presidente della Usccb card. Timothy Dolan aveva inviato una lettera a tutti i vescovi per invitarli ad organizzare una campagna di raccolta fondi per le vittime del tifone Hayan. Finora i Crs hanno raccolto 50 milioni di dollari, di cui 27 dalle diocesi americane. (L.Z.)

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    El Salvador: in vista delle presidenziali i vescovi esortano al voto

    ◊   “Al momento di esercitare il nostro dovere di cittadini di votare dobbiamo tenere in conto, fra l’altro, i seguenti criteri: che le autorità garantiscano lo Stato di diritto, il sistema democratico, il rispetto della Costituzione, la difesa della vita e della dignità umana”: è l’esortazione rivolta ai fedeli dalla Conferenza episcopale del Salvador, in una nota diffusa alla vigilia delle elezioni presidenziali di domenica prossima. I vescovi - riferisce l'agenzia Misna - sottolineano dapprima la necessità di votare perché, affermano, “astenersi dal recarsi alle urne senza avere motivi che realmente lo giustifichino sarebbe una grave irresponsabilità”. Alle autorità responsabili del processo elettorale chiedono poi di “creare un ambiente in cui prevalga la fiducia e la trasparenza…l’ordine e la sicurezza, affinché i cittadini vadano senza timore né costrizione ai centri di voto”. I presuli sottolineano quindi l’importanza di scegliere il candidato che assicurerà “lo sviluppo integrale dell’essere umano, la sicurezza cittadina, e che, con saggezza e fermezza, affronterà la violenza fratricida che tante vite si è presa nel nostro Paese”. Per questo, i vescovi ricordano anche le parole di Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, nella parte in cui sollecita politici e governanti a “entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo” giudicando “indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini”. Domenica prossima a sfidarsi per la successione del primo presidente espressione dell’ex guerriglia di sinistra del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln), Mauricio Funes, saranno in cinque. Il favorito è al momento il candidato del governo, Salvador Sánchez Cerén, seguito dal conservatore Norman Quijano, sindaco di San Salvador, della Alianza Republicana Nacionalista. (R.P.)

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    Filippine. Salute riproduttiva: vescovi contrari alla legge

    ◊   Il presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp) e arcivescovo di Lingayen Dagupan, mons. Socrates Villegas, respinge le voci secondo cui la Chiesa avrebbe "ammorbidito" la propria posizione sulla Legge di salute riproduttiva. Al contrario, la leadership cattolica locale mantiene la più ferma opposizione alla norma, introdotta con lo scopo di controllare la crescita della popolazione e da anni al centro di una feroce polemica. Nel corso di una conferenza stampa tenuta al termine della 108ma Assemblea plenaria dei vescovi filippini - riporta l'agenzia AsiaNews - il prelato ha precisato che "dobbiamo sostenere con forza la verità, ma [al contempo] questa verità va presentata con amore". La posizione non cambia, aggiunge mons. Villegas, ma possono essere modificate "le modalità" mediante le quali questa posizione viene illustrata all'esterno. La legge "di salute riproduttiva" (Reproductive Health Bill 4244) ha atteso quasi 14 anni per essere approvata, dopo cinque diverse modifiche, oltre un anno di discussioni in Parlamento e la fiera opposizione della Chiesa. Il provvedimento, approvato nel dicembre 2012, rifiuta l'aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare che invita le coppie a non avere più di due figli. Essa permette in alcuni casi l'obiezione di coscienza, ma allo stesso tempo favorisce la sterilizzazione volontaria. Chiesa e associazioni cattoliche sostengono invece il Natural Family Programme (Nfp), che mira a diffondere tra la popolazione una cultura di responsabilità e amore basata sui valori naturali. Il disegno di legge è promosso soprattutto dalle grandi organizzazioni internazionali, come ad esempio Onu e Unicef, che legano l'alto tasso di natalità alla povertà del Paese. I Paesi che non si attengono a tali norme perdono il diritto a ricevere aiuti umanitari. Nei mesi scorsi anche l'arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, è intervenuto sulla controversia, sottolineando il valore "assoluto" della vita umana che "vincerà sul controllo delle nascite". In questi giorni il presidente della Conferenza episcopale filippina ha voluto ribadire la posizione della Chiesa, per mettere a tacere voci infondate di una improvvisa virata dei prelati sulla controversa norma meglio nota come Republic Act 10354. Mons. Villegas ha ricordato il rispetto verso quanti "nutrono una opinione diversa", verso i quali "vogliamo essere amici", superando la logica del muro contro muro. Il prelato ricorda anche altri fattori di possibile scontro e invita a concentrarsi sugli elementi che possono trasformarsi in "ponti" in grado di colmare "le distanze fra sostenitori e detrattori" della norma sul controllo della popolazione. "Vi saranno ancora molti altri elementi di divisione - ha affermato il presidente dell'episcopato - ma non lasciamo che i disaccordi ci allontanino ancor di più, [ma] guardiamo piuttosto a ciò che ci unisce". Un invito che riguarda in particolare i media e gli organi di informazione, invitati a collaborare nel compito di "annuncio della verità", da raccontare "a qualunque costo" e "con amore". Al momento la legge, sebbene approvata dal Parlamento, resta sospesa in seguito alla decisione della Corte suprema di bloccarne l'entrata in vigore e la conseguente applicazione concreta. (R.P.)

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    Sri Lanka: i cristiani protestano contro l'escalation di attacchi degli integralisti buddisti

    ◊   Migliaia di cristiani hanno manifestato domenica a Colombo, capitale dello Sri Lanka, per denunciare l’escalation di attacchi contro chiese e moschee da parte di gruppi radicali buddisti e per chiedere al governo di tutelare i diritti delle minoranze religiose nel Paese. Lo riferisce l’agenzia Ucan. “Difendiamo le libertà sancite dalla Costituzione: la libertà di pensiero, coscienza, religione e associazione dovrebbero valere per tutte le comunità religiose”, ha detto il vescovo anglicano Dhiloraj R. Canagasabey rivolgendosi ai partecipanti alla manifestazione riuniti nella cattedrale di Cristo Salvatore Vivente. Il vescovo ha anche ricordato le difficoltà che i genitori cristiani incontrano per educare i loro figli secondo la loro fede: molti sono infatti costretti a studiare la religione buddista che è contro i loro diritti. Nel 2013 lo Sri Lanka ha visto un’impennata degli attacchi contro le minoranze religiose, soprattutto quella cristiana, che rappresenta il 6-7% del popolazione per il 70% buddista. La maggior parte delle violenze – che avvengono nella totale indifferenza delle autorità locali – è perpetrata da monaci buddisti attraverso la chiusura forzata di chiese, atti di vandalismo e incendi dolosi, minacce e percosse a membri della comunità, nel tentativo di cacciare il cristianesimo definito “estraneo allo Sri Lanka”. Questi stessi gruppi radicali sono all’origine delle diverse proposte di legge presentate in questi anni contro le conversioni ad altre religioni. Nel 2013 si è registrato un aumento del 100% degli episodi di cui si ha notizia rispetto al 2011. L’ultimo risale ai primi di gennaio. La gravità del fenomeno è stata confermata anche dal Commissario dell’Onu per i Diritti umani, Navi Pillay dopo una visita in Sri Lanka alla fine dell’anno scorso. (L.Z.)

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    Malaysia: appello di pace dei leader cristiani dopo l'attacco a una chiesa cattolica di Penang

    ◊   I leader cristiani della Malesia esortano a mantenere la calma dopo il lancio domenica di due bombe molotov contro la chiesa cattolica dell'Assunzione a Penang. L’attacco è avvenuto a poche ore dal gesto provocatorio contro tre diverse chiese della città, all'esterno delle quali erano stati esposti da ignoti dei cartelli con la scritta: "Dio è grande, Gesù è figlio di Allah". Dietro a queste azioni sembra esserci il chiaro intento di accendere ulteriormente gli animi in un clima già teso tra la comunità musulmana e la minoranza cristiana per la controversia relativa all'uso della parola "Allah" per definire il Dio cristiano. Provocazioni alle quali, in un appello riportato dall’agenzia Eglises d’Asie, la Federazione dei cristiani della Malesia ha esortato a reagire “con saggezza e misura”. Un appello analogo è stato rivolto dopo l’attacco dal Ministro degli Interni Ahmad Zahid. A placare gli animi non hanno contribuito, peraltro, la proposta partita dall’Esecutivo di creare un corpo di polizia religiosa e la presa di posizione del Premier Najib Razak che venerdì ha espresso il suo parere favorevole alla proibizione dell’uso del termine Allah per i cristiani. Una posizione che ha ragioni di opportunità politica, dato che proprio il suo Governo si era appellato contro una sentenza favorevole alle minoranze. Il timore crescente è che queste iniziative rafforzino i gruppi integralisti o spingano i fanatici ad azioni come quelle che nel 2010 portarono ala devastazione di numerosi luoghi di culto, in particolare di chiese cristiane. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Pakistan. I leader cristiani: l'unità per un'evangelizzazione più efficace

    ◊   Se i cristiani intendono offrire e portare avanti una evangelizzazione efficace, il presupposto è l’unità fra di loro: è quanto è emerso da un seminario tenutosi a Lahore che ha riunito sacerdoti, Pastori, catechisti e seminaristi di diverse confessioni cristiane presenti in Pakistan. Come riferito all'agenzia Fides, il seminario, che ha preso le mosse dalla recente conclusione della Settimana per l’unità dei cristiani, ha posto la questione ai leader e ai capi delle Chiese invitandoli a compiere “uno sforzo di unità, nello spirito e anche nell’organizzazione, per una evangelizzazione efficace”. I partecipanti hanno rimarcato la “bellezza della diversità”: “Avere un pensiero diverso non è negativo. La bellezza non sta nell'uniformità, ma nella pluralità”, ha detto padre Moris Jalal, nella sua relazione. Secondo il sacerdote, “i nostri fedeli vanno in altri luoghi di culto, perché non siamo in grado di soddisfare la loro sete della Parola di Dio”. E’ intervenuto, a raccontare la sua preziosa esperienza, il dott. Emmanuel Issac Bhatti, direttore dello “United Christian Hospital”, struttura che mostra nel concreto l’unità dei cristiani, dato che è nata e viene gestita in collaborazione da Chiese di diverse confessioni. Padre Inayat Bernard ha rimarcato i passi avanti compiuti nel cammino di unità a partire dal 2012, con l’avvio di diversi programmi e iniziative comuni fra le chiese. A conclusione dell’incontro, Manu Romal Shah, vescovo emerito di Peshawar, della Chiesa anglicana, ha lanciato un messaggio di speranza e un auspicio: “I cristiani pakistani siano impegnati a diffondere la Parola di Dio esprimendola attraverso parole e azioni”. (R.P.)

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    Svizzera: Chiesa condanna l'iniziativa contro "l'immigrazione di massa": riduce l'uomo a merce

    ◊   “Le persone non sono merce”: è molto chiaro il titolo che la Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale svizzera (Ces) pone alla nota diffusa ieri. Il documento si riferisce alla così detta “iniziativa contro l’immigrazione di massa”, promossa da alcuni partitici politici svizzeri e che chiede allo Stato di porre limiti ai migranti, fissando tetti massimi al rilascio di permessi per stranieri e richiedenti l‘asilo. La proposta, che sarà sottoposta al voto della popolazione il prossimo 9 febbraio, è stata osteggiata dalla Chiesa in più occasioni. “Dal punto di vista cristiano – spiega Giustizia e pace – le preoccupazioni e gli obiettivi di tale iniziativa tradiscono una visione dell’uomo discriminatoria e discutibile”, che considera la persona umana “unicamente dal punto di vista della sua utilità economica, riducendola allo stato di merce”. Non solo: la nota sottolinea come tale proposta “non ammetta che i lavoratori stranieri abbiano alcun diritto, aprendo le porte a possibili abusi” e “disumanizzando l’uomo e la donna, perché parla genericamente di massa”. Tale iniziativa, ribadiscono quindi i vescovi elvetici, “è contraria all’idea cristiana fondamentale secondo la quale l’economia deve essere a servizio dell’uomo e non viceversa”. La nota dei presuli mette poi in guardia dall’isolamento che l’approvazione di tale proposta potrebbe comportare per la Svizzera, proprio in un momento in cui “il Paese ha più bisogno dell’Europa” e “l’Europa necessita del contributo del Paese”. Infine, la Ces sottolinea che “certi diritti dell’uomo come quello d’asilo o il diritto alla famiglia non sono negoziabili in nome dell’economia”, perché “secondo la visione cristiana, ogni uomo, soprattutto colui che è in difficoltà, che è perseguitato o in fuga, è creato ad immagine e somiglianza di Dio”. (I.P.)

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    Furto reliquia Giovanni Paolo II. L'arcivescovo dell'Aquila: "La restituiscano"

    ◊   “Netta riprovazione per questo furto vile e sacrilego” e “fiducia” nell’operato degli organi inquirenti: è quanto esprime in una nota mons. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo de L’Aquila, dopo aver appreso la notizia del trafugamento della reliquia del beato Giovanni Paolo II, dal santuario di san Pietro della Jenca. “Insieme alla più netta riprovazione per questo furto vile e sacrilego, cresce in me la speranza che la preziosa reliquia venga al più presto ritrovata e restituita alla devozione della nostra gente e di tutti i pellegrini” si legge nel testo. “Rinnovo la fiducia nei Carabinieri e negli Organi inquirenti che stanno conducendo le indagini - scrive l’arcivescovo - nell’attesa che venga fatta verità su questa profanazione, che offende profondamente la coscienza religiosa e civile del nostro popolo”. Invitando i fedeli alla preghiera, mons. Petrocchi lancia un appello agli autori “di questa deprecabile azione affinché si aprano alla luce del Vangelo e restituiscano quanto prima alla Chiesa aquilana la reliquia del nostro Protettore, che sarà presto innalzato agli onori degli altari”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 28


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