Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 27/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: grazie ai tanti sacerdoti santi che danno la loro vita nel silenzio
  • Giornata Memoria. Il Papa: non si ripetano più tali orrori, vergogna dell’umanità
  • La Chiesa avrà un nuovo Beato, un sacerdote ucciso durante la guerra civile spagnola, e 7 nuovi Venerabili
  • Vescovi austriaci in visita ad Limina. Card. Schönborn: usciamo dalle parrocchie per incontrare la vita degli altri
  • Tweet del Papa: "Cari giovani, non accontentatevi di una vita mediocre, lasciatevi affascinare da Dio!"
  • Rinunce e nomine di Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Argentina sull'orlo di una nuova crisi economica
  • Ucraina: ancora tensioni. Attesa sull'ipotesi di un governo delle opposizioni
  • Egitto: 86 morti negli ultimi due giorni. Mansour promuove il generale al-Sisi, presto le presidenziali
  • Gesti antisemiti a Roma. Mons. Zuppi: ferita per tutta la città, vicini a fratelli ebrei
  • Ungheria, riconosciute responsabilità per la Shoah. Mons. Székely: un grande passo
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • In Siria si muore per fame. Il ministro Bonino: "Nessuna notizia su padre Dall'Oglio"
  • Siria: appello dei patriarchi di Antiochia e Mosca per la liberazione degli ostaggi
  • Egitto: il patriarca Tawadros II in visita dal generale al-Sisi
  • Tunisia: approvata la nuova Costituzione. Verso un esecutivo tecnico
  • Centrafrica: nominato il premier. Non si fermano le vendette
  • Rubata in Abruzzo l’ampolla del sangue di Giovanni Paolo II
  • Malaysia: molotov e slogan contro le chiese
  • Messico. Pellegrinaggio annuale dei giovani: in 32 mila pregano per la pace
  • Senegal: a Dakar donne per la pace a Casamance
  • Australia. La Chiesa: campagna del governo contro i richiedenti asilo
  • Spagna: riunione della Commissione permanente dei vescovi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: grazie ai tanti sacerdoti santi che danno la loro vita nel silenzio

    ◊   La Chiesa non si può capire come semplice organizzazione umana, la differenza la fa l'unzione che dona a vescovi e sacerdoti la forza dello Spirito per servire il popolo di Dio: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta stamani a Santa Marta. Il Pontefice ha ringraziato i tanti sacerdoti santi che danno la vita nell'anonimato del loro servizio quotidiano. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Commentando la prima lettura del giorno, che parla delle tribù d’Israele che ungono Davide come loro re, il Papa spiega il significato spirituale dell’unzione. “Senza questa unzione – ha affermato - Davide sarebbe stato soltanto il capo” di “un’azienda”, di una “società politica, che era il Regno d’Israele”, sarebbe stato un semplice “organizzatore politico”. Invece, “dopo l’unzione, lo Spirito del Signore” scende su Davide e rimane con lui. E la Scrittura dice: “Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore Dio degli eserciti era con lui”. “Questa – osserva Papa Francesco - è proprio la differenza dell’unzione”. L’unto è una persona scelta dal Signore. Così è nella Chiesa per i vescovi e i preti:

    “I vescovi non sono eletti soltanto per portare avanti un’organizzazione, che si chiama Chiesa particolare, sono unti, hanno l’unzione e lo Spirito del Signore è con loro. Ma tutti i vescovi, tutti siamo peccatori, tutti! Ma siamo unti. Ma tutti vogliamo essere più santi ogni giorno, più fedeli a questa unzione. E quello che fa la Chiesa proprio, quello che dà l’unità alla Chiesa, è la persona del vescovo, in nome di Gesù Cristo, perché è unto, non perché è stato votato dalla maggioranza. Perché è unto. E in questa unzione una Chiesa particolare ha la sua forza. E per partecipazione anche i preti sono unti”.

    L’unzione – prosegue il Papa – avvicina i vescovi e i preti al Signore e dà loro la gioia e la forza “di portare avanti un popolo, di aiutare un popolo, di vivere al servizio di un popolo”. Dona la gioia di sentirsi “eletti dal Signore, guardati dal Signore, con quell’amore con cui il Signore ci guarda, tutti noi”. Così, “quando pensiamo ai vescovi e ai preti, dobbiamo pensarli così: unti”:

    “Al contrario non si capisce la Chiesa, ma non solo non si capisce, non si può spiegare come la Chiesa vada avanti soltanto con le forze umane. Questa diocesi va avanti perché ha un popolo santo, tante cose, e anche un unto che la porta, che l’aiuta a crescere. Questa parrocchia va avanti perché ha tante organizzazioni, tante cose, ma anche ha un prete, un unto che la porta avanti. E noi nella storia conosciamo una minima parte, ma quanti vescovi santi, quanti sacerdoti, quanti preti santi che hanno lasciato la loro vita al servizio della diocesi, della parrocchia; quanta gente ha ricevuto la forza della fede, la forza dell’amore, la speranza da questi parroci anonimi, che noi non conosciamo. Ce ne sono tanti!”.

    Sono tanti – dice Papa Francesco – “i parroci di campagna o parroci di città, che con la loro unzione hanno dato forza al popolo, hanno trasmesso la dottrina, hanno dato i sacramenti, cioè la santità”:

    “’Ma, padre, io ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!’. ‘Eh sì, anche io l’ho letto, ma, dimmi, sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e di campagna, tanta carità che fanno, tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo?’. Ah, no! Questa non è notizia. Eh, quello di sempre: fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce. Oggi pensando a questa unzione di Davide, ci farà bene pensare ai nostri vescovi e ai nostri preti coraggiosi, santi, buoni, fedeli e pregare per loro. Grazie a loro oggi noi siamo qui!”.

    inizio pagina

    Giornata Memoria. Il Papa: non si ripetano più tali orrori, vergogna dell’umanità

    ◊   Mai più l’orrore della Shoah, vergogna per l’umanità. E’ quanto scrive Papa Francesco, nella Giornata della Memoria, in una lettera al suo amico rabbino di Buenos Aires, Abraham Skorka. Il testo verrà letto, stasera, al Parco della Musica di Roma, in occasione del Concerto “I violini della speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Papa Francesco ha scelto la modalità più personale, quella della lettera ad un amico ebreo, per esprimere la sua vicinanza al popolo ebraico nella Giornata della Memoria. Una lettera, scritta di suo pugno in spagnolo, al rabbino Skorka, con il quale a Buenos Aires ha intessuto, negli anni, un’amicizia che va ben al di là del dialogo tra due leader religiosi. Nel documento che verrà letto stasera al Concerto “I violini della speranza” – evento organizzato per ricordare le vittime della Shoah – il Papa auspica che quanti ascolteranno questa musica struggente “possa immedesimarsi in quelle lacrime storiche, che oggi giungono a noi attraverso i violini, e senta il forte desiderio di impegnarsi perché mai più si ripetano tali orrori, che costituiscono una vergogna per l’umanità”. Il pubblico, afferma ancora il Papa, ascolterà musiche di Vivaldi, Beethoven e altri grandi compositori, “ma il cuore di ciascuno dei presenti – scrive – sentirà che dietro il suono della musica vive il suono silenzioso delle lacrime storiche, lacrime di quelle che lasciano traccia nell'anima e nel corpo dei popoli”.
    Al Concerto di stasera, suoneranno insieme, per la prima volta in Italia, dodici violini e un violoncello sopravvissuti alla Shoah, ciascuno con la sua storia drammatica, ritrovati e restaurati dal liutaio israeliano Amnon Weinstein. Tra questi, il violino che accompagnava i deportati nelle camere a gas di Auschwitz; un violino gettato da un treno in viaggio verso i lager, che venne raccolto e conservato da un operaio francese; ci sono anche i violini dei musicisti ebrei che nel 1936 lasciarono la Germania per andare a formare l’Orchestra Filarmonica della Palestina, poi di Israele, voluta fortemente da Toscanini e Huberman per salvarli dalla deportazione. Strumento errante, il violino – sottolineano gli organizzatori del Concerto – seguiva gli ebrei nelle loro peregrinazioni, anche quelle più estreme, di fuga e di morte. Significativamente, i violinisti solisti saranno musicisti rappresentanti delle tre religioni monoteiste, a sottolineare la capacità della musica di unire, al di là di ogni confine, e di dare speranza anche nelle prove più terribili.

    inizio pagina

    La Chiesa avrà un nuovo Beato, un sacerdote ucciso durante la guerra civile spagnola, e 7 nuovi Venerabili

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Durante l’udienza il Pontefice ha autorizzato il Dicastero a promulgare i Decreti che riguardano un prossimo Beato, il sacerdote martire Asúa Mendía, ucciso in odio alla fede nel 1936 durante la guerra civile spagnola, e sette nuovi Venerabili Servi di Dio. Il servizio di Debora Donnini:

    Sacerdote e architetto. La vocazione del Servo di Dio, prossimo Beato Pietro Asúa Mendía, matura poco a poco e si snoda in Spagna. Nasce a Balmaseda, nei Paesi Baschi, nel 1890. Viene ordinato sacerdote nel 1924 e incaricato dei progetti del Seminario di Vitoria. L’umiltà contrassegna la sua vita fino a quando il 29 agosto del 1936 non viene ucciso da alcuni miliziani per il fatto di essere un sacerdote, nel contesto della guerra civile spagnola. I suoi resti vennero portati nella cappella del Seminario di Vitoria-Gasteiz nel 1956. Gli altri decreti riguardano 7 nuovi Venerabili Servi di Dio. Fra loro gli italiani Giuseppe Cirelli, sacerdote diocesano di Dossobuono, in provincia di Verona, nato nel 1886 e morto nel 1978, e la vedova laica Elisabetta Sanna, Terziaria professa dell’Ordine dei Minimi di San Francesco, del Sodalizio dell’Unione dell’Apostolato Cattolico fondato da San Vincenzo Pallotti. Nasce in provincia di Sassari nel 1788, il vaiolo la colpisce tanto da non poter più sollevare le mani. Si sposa e ha cinque figli. Dopo essere rimasta vedova, si trasferisce a Roma dove si dedica alla preghiera e a servire poveri e malati fino alla morte sopraggiunta nel 1857. Tra i nuovi Venerabili c’è anche il sacerdote spagnolo Zaccaria di Santa Teresa, dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Nato nel 1887, quasi subito dopo l’ordinazione viene inviato in missione in India dove svolge la sua opera praticamente tutta nell’insegnamento e nella formazione di generazioni di giovani sacerdoti indiani. Muore, sempre in India, nel 1957. Tra i nuovi Venerabili c’è anche Marcella Mallet, fondatrice della Suore della Carità di Quebec in Canada, nata nel 1805 e morta nel 1871, l’argentina Maria Benedetta Arias, fondatrice della Suore Ancelle di Gesù nel Sacramento nata nel 1822 e morta nel 1894, Margherita del Sacro Cuore di Gesù, fondatrice della Suore Francescane del Cuore di Gesù nata nell’isola di Gozo, a Malta, nel 1862 e morta nel 1952, e Serafina, Suora professa della Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo nata in Brasile nel 1913 e morta, sempre in Brasile, a Manaus, nel 1988.

    inizio pagina

    Vescovi austriaci in visita ad Limina. Card. Schönborn: usciamo dalle parrocchie per incontrare la vita degli altri

    ◊   E’ iniziata oggi, e proseguirà fino a venerdì, la visita ad Limina dei vescovi dell’Austria. Tanti i temi di attualità che interpellano la Chiesa di questo Paese nel cuore dell’Europa, con circa 8 milioni e mezzo di abitanti, che - battezzati all'89 per cento - si dichiarano cattolici al 63 per cento, di cui solo il 9 per cento frequenta la Messa, mentre cresce il numero degli atei. Tra le questioni che, negli ultimi anni, hanno sollevato preoccupazione vi è stata la cosiddetta “Iniziativa dei Parroci” (Pfarrer-Iniziative), lanciata nel 2006 per chiedere riforme alla Chiesa su temi dottrinali e pastorali. Un appello alla disobbedienza che era stato condannato da Benedetto XVI durante la Messa del Giovedì Santo nel 2012. Ma qual è oggi la situazione della Chiesa austriaca? Padre Bernd Hagenkord, responsabile del Programma tedesco della Radio Vaticana, lo ha chiesto al cardinale Christoph Schönborn, presidente della Conferenza episcopale austriaca:

    R. - Scrivere della Chiesa nei media e parlare della vita reale della Chiesa sono questioni decisamente differenti. Io l’ho sperimentato chiaramente nella vicenda dell’“Iniziativa dei parroci”. In tutto il mondo la percezione della Chiesa austriaca ruotava intorno a quell’unico tema: ‘l’invito alla disobbedienza’. Ogni qualvolta mi capitava di incontrare dei vescovi di diverse parti del mondo, mi dicevano sempre: “Poveri voi, che cosa spaventosa!”; al che io spiegavo che i preti che avevano aderito all’iniziativa erano soltanto una piccola percentuale e quasi tutti nel distretto di Promill. Quando lo dicevo c’era sempre grande sorpresa. Da ciò si comprende la differenza tra ciò che viene raccontato dai media e ciò che è invece la realtà della Chiesa. Lei mi domanda se la Chiesa in Austria sta vivendo una situazione positiva o negativa? E’ nel mezzo di un grande processo di cambiamento.

    D. - Lei ha portato con sé i risultati al Questionario in preparazione al prossimo Sinodo su Famiglia ed evangelizzazione? Sappiamo che in molte diocesi germanofone si manifesta una profonda discrepanza tra dottrina e fede vissuta...

    R. - E’ impossibile compiere un’analisi in così breve tempo. Per quanto riguarda l’Austria sono arrivate 30mila risposte, è un dato enorme ed è un buon segno, perché c’è un grande interesse al riguardo.

    D. - Ma volendo fare una supposizione: la tendenza sarà simile, tra trasmissione della fede e prassi ci sarà un abisso...

    R. - Posso tentare di dirla così: i desideri, le speranze e le aspettative coincidono più di quanto ci si aspetti con ciò che la Bibbia e la Chiesa affermano in materia di matrimonio e famiglia. Ciò che per molte persone resta il quadro di riferimento è una relazione riuscita, una famiglia riuscita, una società in cui le diverse generazioni siano unite nella famiglia. La realtà molto spesso non corrisponde a questa visione e creare un ponte tra ciò che si desidera e ciò che invece è, ciò che di fatto si riesce a fare, è naturalmente la grande sfida che si pone di fronte a tutti noi. La questione cruciale, che non soltanto pone Papa Francesco, ma che naturalmente è già nel Vangelo, è quella di far coincidere realtà e misericordia. La misericordia di Dio e degli uomini, nei confronti di ciò che solo talvolta riesce come si vorrebbe, o non riesce affatto, nei confronti di ciò che si è sperato e atteso e anche di ciò che è l’insegnamento e l’indirizzamento che Dio dà agli uomini. Riuscire a mettere insieme queste cose è un compito molto difficile e che peraltro non è affatto nuovo. Un Cancelliere austriaco ha detto una volta questa frase: ‘Imparate la storia!’. Rifletto spesso sul fatto che dimentichiamo, quanto poco scontato fosse il matrimonio prima. Noi ci comportiamo come se la convivenza tra le persone al di fuori del matrimonio, che per le giovani generazioni, e non solo per loro, è divenuta ampiamente scontata, non fosse una assoluta novità nella storia dell’umanità. Io credo che dovremmo prendere assolutamente sul serio le difficoltà attuali, ma allo stesso tempo non dobbiamo esasperarle drammaticamente.

    D. - Lei ha fatto riferimento al cambiamento, e la sua stessa diocesi ha avviato la nascita di grandi distretti parrocchiali e una collaborazione grande tra laici e parroci. Ci sono già delle esperienze che potete condividere con la Chiesa universale?

    R. - Sicuramente una è quella che le riforme sono necessarie quando si hanno strutture che in parte risalgono alla fine del 18.mo secolo e che sono fortemente segnate dall’aumento delle parrocchie avvenuto nel 19.mo secolo e nel dopoguerra. Una situazione che non corrisponde più alla realtà dell’oscillante numero dei cattolici, ma neppure alle differenti abitudini di vita. Le persone non vanno automaticamente nella loro parrocchia di appartenenza, e possiamo dire con certezza che moltissimi dei collaboratori dei parroci non vivono affatto nella parrocchia nella quale sono impegnati. Dall’altra parte si mostra anche un diverso modo di strutturarsi della parrocchia, un luogo dove le persone si ritrovano e dove trovano una comunità di fede vivace, non necessariamente nelle loro zone di appartenenza territoriale. Questo processo di rinnovamento è secondo noi soltanto all’inizio, e credo che lo stiamo affrontando coraggiosamente.

    D. Ci sono anche altri ambiti o temi che state affrontando?

    R. Credo che la questione principale sia quella di comprendere come gli uomini possano trovare nuovamente nel Vangelo e in Cristo il loro desiderio di spiritualità, di appartenenza religiosa, di orientamento. Se noi ce ne occupiamo soltanto con le nostre strutture, allora facciamo ciò che Papa Francesco ha criticato fortemente come autoreferenzialità della Chiesa. La questione fondamentale è se a noi sta a cuore individuare gli uomini che sono in ricerca e trovare una strada che porti a Cristo. Se valuto molto obiettivamente che di tutta la popolazione viennese, che ammonta a 1,8 milioni di persone, solo il due per cento frequenta la Messa domenicale. Dove si svolge la vita di tutti gli altri? Cosa muove i loro cuori? Quali sono le loro speranze e preoccupazioni? Le loro paure? Preferiamo come comunità parrocchiale, come comunità cristiana, starcene bene e tranquilli dentro le nostre mura, o ci brucia la domanda se questi uomini conoscono Cristo? Questa è la questione che dovremmo sondare!

    inizio pagina

    Tweet del Papa: "Cari giovani, non accontentatevi di una vita mediocre, lasciatevi affascinare da Dio!"

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Cari giovani – scrive - non accontentatevi di una vita mediocre. Lasciatevi affascinare da ciò che è vero e bello, da Dio!”.

    inizio pagina

    Rinunce e nomine di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcieparchia di Akka dei Greco-Melkiti (Israele) presentata da mons. Elias Chacour, in conformità al can. 210 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Il Papa ha nominato amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis dell’arcieparchia di Akka dei Greco-Melkiti mons. Moussa El-Hage, O.A.M., arcivescovo di Haifa e Terra Santa dei Maroniti (Israele) ed esarca patriarcale maronita per Gerusalemme, Palestina e Giordania.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Come in Galilea".

    La via del dialogo per l'Ucraina: all'Angelus l'appello di Papa Francesco per la fine delle violenze.

    Quando i sacerdoti non fanno notizia: Messa del Pontefice a Santa Marta.

    Oltre la retorica: le celebrazioni in Italia per la giornata della memoria.

    Un articolo di Giuliano Zanchi dal titolo "Anche i criminali hanno bisogno della ninna nanna": Olivier Messiaen compose il Quartetto per la fine del tempo nello Stalag VIII di Gorlitz.

    Due volte sopravvissuto: Giulia Galeotti recensisce "La notte più buia" della scrittrice tedesca Monika Held.

    Illuminismo cristiano: Inos Biffi sulla realtà in Tommaso d'Aquino.

    Identikit di martiri a Kiushu: il prefetto Cesare Pasini su diecimila documenti sul cristianesimo giapponese alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

    Un tesoro nascosto in biblioteca: Silvia Guidi sul ritrovamento di una commedia di Lope de Vega scomparsa.

    Quel pane infuocato che dona la vita: Manuel Nin sulla festa di sant'Efrem.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Argentina sull'orlo di una nuova crisi economica

    ◊   Argentina sull’orlo di una nuova crisi economica dopo la svalutazione, la scorsa settimana, della moneta locale; decisione che ha causato il crollo del Peso, con conseguenze pesantissime sui risparmiatori, che hanno visto bruciare in poche ore la maggior parte dei loro risparmi. Ma perché si è arrivati a questo punto? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista Riccardo Moro, esperto di Paesi in via di sviluppo:

    R. - Ho l’impressione che più che un vero squilibrio economico, ci sia una forte crisi politica in questo momento in Argentina. Alcune voci argentine affermano anche che questa crisi sia stata generata da una parte del mondo, quella delle imprese più internazionalizzate, che vogliono in qualche modo far crollare il governo della Kirchner non riportando nel Paese i proventi in valuta che hanno. Questo suscita evidentemente una caduta del valore del Peso che viene sostenuto artificialmente dalla banca centrale, la quale ad un certo punto, quando questo sforzo diventa eccessivo, alza la bandiera bianca come ha fatto settimana scorsa, facendo cadere il valore ufficiale. È abbastanza difficile leggere, in realtà, questa dinamica. Sicuramente la Kirchner è stata accusata sia per la sua assenza dovuta alla malattia nell’ultimo mese, sia per aver fatto scelte politiche che hanno favorito le forze sociali più deboli del Paese che hanno generato un contrasto, prima di tutto, con il mondo dell’imprenditoria. Diciamo, più generalmente, che il contrasto è tra destra e sinistra, anche se questa è una lettura abbastanza grossolana dei termini della questione.

    D. - Molti temono che la crisi argentina possa riverberarsi sui Paesi in via di sviluppo; si parla di Cina, India, Turchia, Indonesia, Sudafrica … C’è, secondo lei, davvero il pericolo che queste economie possano subire delle conseguenze?

    R. - Io credo che potrebbe essere il contrario. Una forte crisi cinese sicuramente determinerebbe una crisi in tutta questa rete di Paesi. L’Argentina non è un Paese dalla dimensione tale da poter esercitare un’influenza veramente negativa o positiva sul complesso dei Paesi in via di sviluppo; può determinare un’influenza sul complesso latino-americano, dove l’integrazione è molto più forte, meno sul complesso dei Paesi emergenti. Però sì, un momento di crisi significativo e pesante di un Paese - comunque autorevole dal punto di visto demografico ed economico - potrebbe suscitare incertezza; e l’incertezza in una fase economica del mondo in cui non abbiamo una dinamica positiva ancora particolarmente forte dopo la crisi, può indebolire i percorsi nei vari Paesi.

    D. - Le economie in via di sviluppo che sono attualmente il motore del mondo, in questo momento storico, se dovessero effettivamente rallentare, le vecchie economie - parliamo di Stati Uniti ed Europa - ne avrebbero conseguenze più positive o negative?

    R. - Dipende. Un Paese come la Cina in questo momento sta facendo da traino per molti altri Paesi. In modo particolare c’è una dinamica semplificata che non è unica, ma è ben visibile: i Paesi produttori di materie prime vendono alla Cina che trasforma e vende ai Paesi ricchi e ai Paesi in via di sviluppo. La crisi dei Paesi ricchi riduce la domanda dei prodotti cinesi che a loro volta riducono la domanda di materie prime. Questo è ciò che è avvenuto con la crisi del 2008 e negli anni successivi. Però, i mercati interni di questi Paesi hanno cominciato a crescere; molti di questi Paesi hanno cominciato ad investire in favore dello sviluppo del proprio mercato interno e non esclusivamente nelle esportazioni di materie prime o di prodotti semplificati. Questo è avvenuto nel comparto latino-americano, in buona parte del comparto asiatico e in parte anche in Africa, che ha visto dati di crescita molto rilevanti negli ultimi due anni e che tuttora ha previsioni molto rilevanti per quanto riguarda l’aumento del prodotto interno lordo. Quindi la Cina in questo modo non ha subito così una perdita troppo pesante in relazione alla caduta della domanda europea e statunitense. Tutto questo per dire che i comparti regionali si sono resi un po’ più autonomi. La dipendenza però dei mercati del Nord dai comparti regionali del Sud del mondo è piuttosto relativa: in genere viste le dimensioni, tuttora il Nord, essendo ricco, può determinare un’influenza positiva o negativa a seconda se cresce o diminuisce, ma, ripeto, quello che abbiamo visto negli ultimi quattro anni è che i comparti del Sud sono diventati un po’ più autonomi.

    inizio pagina

    Ucraina: ancora tensioni. Attesa sull'ipotesi di un governo delle opposizioni

    ◊   Si estende in Ucraina la protesta antigovernativa. Tra i palazzi del potere nelle mani dei dimostranti filoeuropeisti anche il Ministero della Giustizia, mentre si attende la decisione dei deputati della Rada sull’ipotesi di un governo gestito delle opposizioni, in base all’ipotesi lanciata dal presidente Ianukovich. Intanto ci si chiede come la Russia, strettamente legata alla sua ex provincia da stretti rapporti economico-commerciali, guardi all’evoluzione della crisi ucraina. Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Aldo Ferrari, docente alla Ca’ Foscari di Venezia, esperto dell’area ex sovietica:

    R. – Dal punto di vista di Mosca, si tratta di un’evoluzione molto preoccupante, nel senso che con le sommosse precedenti Putin era riuscito sostanzialmente a distogliere l’Ucraina dal trattato di associazione con l’Unione Europea, finalizzato a concedere a Kiev un grossissimo prestito, che avrebbe ampiamente dato la possibilità all’economia ucraina di risollevarsi. Adesso non solo le violenze, ma la sensazione che il presidente Yanukovich non sia in grado di controllare la situazione e sia disposto a cedere la mano all’opposizione, chiaramente rimette in discussione tutto quello che sembrava essere un sostanziale successo di Mosca. Evidentemente la Russia, a questo punto, è preoccupata e sta cercando di rimediare, in qualche modo, a quello che dal suo punto di vista è un’evoluzione assolutamente negativa della situazione.

    D. – Dal punto di vista energetico, Kiev dipende quasi totalmente da Mosca. La Russia potrebbe utilizzare questo argomento, per influenzare in qualche modo l’evolversi della crisi ucraina?

    R. – La Russia lo ha già fatto, lo sta facendo e lo farà anche in futuro. La leva energetica è la principale, se non l’unica, insieme ovviamente agli armamenti nucleari, di cui la Russia dispone per fare politica internazionale. Se ne sta servendo ampiamente e da questo punto di vista l’Ucraina è quanto mai vulnerabile. Senza un accordo con la Federazione russa molto difficilmente, sia a livello politico che economico, l’Ucraina potrà uscire da questa crisi che l’attanaglia.

    D. – Per ora l’Unione Europea sembra stare a guardare. Occorrerebbe invece da parte di Bruxelles un atteggiamento un po’ più concreto?

    R. – Dal mio punto di vista Bruxelles ha la gravissima responsabilità di avere suscitato nella popolazione ucraina delle speranze, che non è poi concretamente in grado di supportare. L’Unione Europea non è in grado di accollarsi l’onere di un’Ucraina con un’economia gravemente arretrata, indebitata e poco compatibile con i parametri comunitari. Da questo punto di vista, spingere buona parte della società ucraina ad un confronto così violento pare essere poco prudente e poco equilibrato da parte dell’Unione Europea. Chiaramente, di fronte a violenze di questo tipo, sarebbe necessario che Bruxelles facesse sentire la sua voce, ma, a mio giudizio, in maniera più prudente, più equilibrata di quanto non abbia fatto finora. Bruxelles è in parte responsabile dell’aggravamento della situazione in Ucraina, a mio giudizio.

    inizio pagina

    Egitto: 86 morti negli ultimi due giorni. Mansour promuove il generale al-Sisi, presto le presidenziali

    ◊   In Egitto è salito a 86 morti il bilancio delle vittime degli scontri che hanno insanguinato le celebrazioni, sabato e domenica, del terzo anniversario della caduta del regime di Mubarak. Il Paese intanto si prepara alle elezioni presidenziali che si terranno prima delle legislative, come ha confermato il capo di Stato Adly Mansour, che oggi ha promosso al grado di Maresciallo di Campo, il più alto, il generale Abdel Fattah al-Sisi. E oggi il Consiglio supremo militare egiziano si è riunito per decidere sulla candidatura del generale alle prossime presidenziali. Sulla situazione nel Paese Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università della Calabria:

    R. - Bisogna ricordare che la cifra dei deceduti dal luglio scorso – da quanto cioè è stato destituito Morsi – si aggira intorno al migliaio. È una situazione veramente molto grave. La rivoluzione che aveva portato all’abbattimento del regime di Mubarak, tre anni fa, in qualche modo è abortita: dalle elezioni democratiche che ne sono risultate ha vinto un partito, quello dei Fratelli Musulmani, che non ha risolto i problemi anzi ha scontentato gran parte di quelle che erano state le anime della rivoluzione. Alla fine, naturalmente, l’intervento militare ha preso il sopravvento e sta conducendo la situazione egiziana in maniera non particolarmente efficiente, né come intelligence del terrorismo, né soprattutto come proposta politica per una normalizzazione del Paese.

    D. – In questo contesto le elezioni presidenziali si svolgeranno prima delle parlamentari…

    R. – Sì, vedremo a cosa porteranno. È certo che il popolo egiziano in questo momento è piuttosto stanco dell’instabilità e della profondissima crisi economica che attanaglia il Paese; quindi, non credo che a breve ci possano essere svolte particolarmente decisive. Ho paura che l’instabilità e le violenze potranno continuare.

    D. – Neanche dieci giorni fa con il referendum è stata approvata - praticamente all’unanimità - la nuova Costituzione…

    R. – Innanzitutto, l’approvazione della Costituzione è solo un passo formale che deve essere seguito poi da un mutamento sostanziale. Sono molti gli articoli di questa Costituzione che sono stati ritoccati rispetto a quella, pur recente, del 2012, approvata sotto il governo di Morsi, e che fanno pensare ad un maggiore rispetto dei diritti umani, a maggiori tutele verso i minori e verso i diritti delle donne. E’ chiaro però che bisogna vedere nella realtà cosa succede; per esempio, quando si parla di libertà di espressione e di manifestazione e poi però si danno ampi poteri alle istituzioni di vietare, e se necessario contenere anche con la forza, queste manifestazioni allora il dettato costituzionale sembra del tutto inutile. Più che una vigilanza su articoli che riguardano i diritti umani, la cosa importante sarebbe un cambiamento politico profondo.

    D. – Con la decisione di anticipare le presidenziali prima delle legislative gli occhi puntati adesso sono sul generale Al Sisi, che si è detto pronto ad una candidatura se questo fosse richiesto. Questo uomo forte viene acclamato nelle piazze come in grado di riportare la stabilità e la sicurezza…

    R. – La sensazione è che si voglia forzare un po’ la mano su queste elezioni proprio per confermare alla guida del Paese questo indirizzo militare forte; finora però non sembra che questo gruppo di militari sia riuscito a garantire quella stabilità che vorrebbe promettere a parole. I segnali che ci arrivano - con intromissioni di gruppi terroristici e con brigate del Sinai – continuano, nonostante la repressione avvenuta sul posto, a far sentire la loro voce, adesso anche con attentati kamikaze e autobombe nelle stesse grandi città, come Il Cairo ed altre città dell’Egitto. Il progetto dell’uomo forte, che salva il Paese potrebbe essere una chimera.

    D. – Come si inquadra l’Egitto in questo momento nel contesto internazionale?

    R. – Gli intrecci sono molteplici. Innanzitutto, mi sembra ci sia un evidente tentativo di ricollocamento dell’Egitto in un’ottica continentale-africana: la visita del ministro degli Esteri Nabil Fahmy in Algeria sta a significare proprio questo, nonostante siano state smentite voci di accordi più o meno segreti tra i due Paesi. L’Egitto si sta quindi rendendo conto che in questo momento potrebbe essere una potenza regionale, non tanto nella questione mediorientale – come ha sempre cercato di fare –più che altro sul fronte africano vero e proprio. In quel caso potrebbe esser un Paese leader e recuperare parte di quel prestigio, anche economico, che in gran parte ha perso.

    inizio pagina

    Gesti antisemiti a Roma. Mons. Zuppi: ferita per tutta la città, vicini a fratelli ebrei

    ◊   Nei giorni che hanno preceduto l’odierna Giornata della Memoria sono comparse, in varie zone di Roma, svastiche e scritte vergognose. Non sono mancati anche gesti deplorevoli, tra cui l’invio di teste di maiale all’ambasciata israeliana e alla sinagoga. Per il presidente italiano Giorgio Napolitano si tratta di miserabili provocazioni. La diocesi di Roma condanna queste gravi manifestazioni di antisemitismo ed esprime vicinanza alla comunità ebraica. Al microfono di Amedeo Lomonaco, il commento del vescovo ausiliare di Roma mons. Matteo Zuppi, assistente ecclesiastico della Comunità di Sant'Egidio:

    R. – La diocesi di Roma è estremamente preoccupata per queste manifestazioni di odio, di pregiudizio, di intimidazione vera e propria verso la comunità ebraica. Esprime naturale vicinanza alla comunità ebraica e sente ancor di più l’impegno, che è cresciuto tantissimo in questi ultimi anni, di conoscenza e di collaborazione tra la comunità ebraica e la Chiesa di Roma proprio perché questi atti siano isolati e non abbiano alcuno spazio nei rapporti tra le due comunità.

    D. – L’odierna Giornata della Memoria è anche un’occasione per ricordare che l’ignoranza della storia e l’odio razziale sono gravissime insidie…

    R. – Sono gravissime insidie, perché si può pensare che sia una storia lontana, che i semi di quella divisione, di quell’odio, di quella tragica macchina di morte che è stata la Shoah, siano stati sconfitti per sempre. Non è mai cosi! L’unico modo è quello di conoscere per mantenere l’orrore di tutti quegli avvenimenti e perché ci rendano consapevoli per evitare che possano ripresentarsi. Soltanto in questa comprensione si può evitare che episodi – come quelli che abbiamo ricordato prima – possano trovare spazio, accondiscendenza o indifferenza.

    D. – Riferendosi a questi deplorevoli episodi, la Comunità di Sant’Egidio parla di “grave offesa alla memoria delle vittime della Shoah”. Ma queste manifestazioni di antisemitismo sono anche un oltraggio per tutti coloro che si impegnano nel dialogo e nel costruire un mondo di pace…

    R. – Sì, certamente. Quando il 16 ottobre ci siamo ritrovati alla marcia dei nostri fratelli ebrei che sono stati deportati nei campi di concentramento, giustamente abbiamo detto che è una ferita per tutta Roma! Erano dei romani che erano stati deportati… Questa consapevolezza deve trovare ancora più spazio, perché altrimenti si può pensare che il problema sia per qualcuno e che non riguarda tutta quanta la città. E’ un problema di tutta quanta la città ed è un problema che la Chiesa di Roma sente profondamente suo. Per questo siamo preoccupati, ma anche serenamente fermi nel continuare quel cammino di dialogo e di amore reciproco che ha segnato delle tappe così importanti negli ultimi anni.

    D. – Il ministero degli Esteri israeliano ha definito “un incidente intollerabile e brutale” l’invio di una testa di maiale all’ambasciata dello Stato ebraico. Sono questi, secondo lei, nella capitale, segnali di una recrudescenza dell’antisemitismo o si tratta di episodi isolati?

    R. – Speriamo che siano soltanto episodi isolati. Dobbiamo avere moltissima attenzione, perché tanti episodi isolati fanno qualche altra cosa… Quindi non dobbiamo – per adesso – eccedere in una sopravvalutazione, ma certamente nemmeno minimizzare. E’ un rischio terribile quello di minimizzare e di brandire, come anche certe espressioni diffuse, anche nel mondo di Internet o in quello della tifoseria… Non dobbiamo minimizzare, ma dobbiamo essere molto fermi! Mi auguro ovviamente che siano soltanto degli episodi che non abbiano un seguito.

    inizio pagina

    Ungheria, riconosciute responsabilità per la Shoah. Mons. Székely: un grande passo

    ◊   L’Ungheria per la prima volta ha riconosciuto le sue responsabilità nella tragedia dell’Olocausto. La richiesta di scuse è arrivata davanti all’Assemblea Onu, come ci spiega mons. János Székely, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Esztergom-Budapest, al microfono di Marta Vertse:

    R. - Il 23 gennaio, davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite, l’ambasciatore ungherese presso l’Onu ha chiesto ufficialmente scusa per il ruolo che il suo Paese ha svolto durante l’Olocausto. Ricordiamo che dall’ottobre 1944 al gennaio 1945 l’Ungheria fu guidata dalle Croci Frecciate, un partito filonazista e antisemita. Durante questo tragico periodo migliaia di ebrei vennero deportati nei campi di sterminio. L’Ungheria quest’anno commemora il 70.mo anniversario dell’Olocausto. Nell’ambito delle commemorazioni il Paese pubblicamente si è assunto le responsabilità della sua politica di allora. L’ambasciatore, a nome dell’Ungheria, ha chiesto scusa alle vittime “perché lo Stato ungherese non è riuscito a proteggere i suoi cittadini dalle deportazioni”, ha detto. Inoltre i rappresentanti del Paese di allora hanno attivamente partecipato agli omicidi di massa. Le istituzioni statali dell’epoca hanno avuto una responsabilità per l’Olocausto. L’ambasciatore ha aggiunto: “Le scuse di oggi devono far parte della memoria e dell’identità nazionale ungherese”. In occasione della Giornata della Memoria a Budapest, nella Casa della Memoria dell’Olocausto, una marcia silenziosa rende omaggio alle vittime con l’accensione delle candele. A guidare la preghiera, il rabbino capo Slomó Köves. Ieri, il cardinale Peter Erdö, insieme al rabbino capo di Budapest, ha commemorato il 70.mo anniversario della Shoah e hanno pregato insieme per le vittime. Il Beato Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato tante volte l’importanza della purificazione della memoria. Lo Stato ungherese sta facendo quest’anno un grande passo in questa direzione.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    In Siria si muore per fame. Il ministro Bonino: "Nessuna notizia su padre Dall'Oglio"

    ◊   E' di tre morti e una decina di feriti il bilancio provvisorio dell'attacco compiuto da forze lealiste siriane contro una località a nord di Damasco e confinante con il Libano, dove si trovano decine di famiglie di rifugiati di altre zone. Lo riferisce all'Ansa Omar al Qalamuni, portavoce del centro stampa del Qalamun, zona montagnosa tra Damasco e Homs e lungo la frontiera siro-libanese. La fonte precisa che da stamani all'alba l'artiglieria di Damasco ha bombardato il villaggio di Qastal, dove – sempre secondo fonti locali - non ci sono postazioni degli insorti ma solo civili locali e decine di famiglie di rifugiati. Sul fronte umanitario nelle ultime 24 ore si registra la morte per fame di quattro persone, di cui un bimbo di un anno, in due sobborghi di Damasco assediati dalle forze del regime. Oggi parlando a Radio24 il Ministro degli esteri Emma Bonino ha detto che ancora non abbiamo nessuna notizia su padre Paolo Dall'Oglio, il gesuita rapito in Siria nel luglio scorso. "Non abbiamo notizie, anche se si sperava che essendo stati sequestrati in quella zona altri esponenti europei, l'avvio dei negoziati" di Ginevra 2 "potesse aprire uno spiraglio di maggiore informazione, ma nonostante gli sforzi d'intesa con gli altri servizi europei – ha detto la Bonino - ad oggi non abbiamo avuto migliori informazioni". Intanto c'è attesa per l'apertura di un corridoio umanitario ad Homs - sottoposta ad un assedio governativo da un anno e mezzo - per consentire alle donne e ai bambini di lasciare la città vecchia, dove i ribelli hanno le loro basi. Si tratta di una promessa ufficiale che il delegato Onu Lakhdar Brahimi ha ottenuto a Ginevra dalla rappresentanza del regime di Assad. Ma intanto da Homs anche i militanti anti-governativi chiedono garanzie per l’evacuazione, oltre a cibo e assistenza. (R.P.)

    inizio pagina

    Siria: appello dei patriarchi di Antiochia e Mosca per la liberazione degli ostaggi

    ◊   Un nuovo ennesimo accorato appello per la pace in Siria, per l’immediato cessate-il-fuoco e la liberazione di tutti i cristiani tenuti da mesi in ostaggio: per i due vescovi di Aleppo, i metropoliti Paul Yazigy e Youhanna Ibrahim e le suore del Convento di Santa Tecla rapite nell’antica città cristiana di Maaloula. A lanciarlo - riferisce l'agenzia Sir - sono stati ieri da Mosca il Patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente Giovanni X e il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill che hanno firmato un appello congiunto ai membri della Conferenza internazionale per la pace in Siria in corso in questi giorni in Svizzera. Il Patriarca Giovanni X Yazigi è il fratello del vescovo Paul Yazigi, rapito in Siria. “Ancora una volta - scrivono i due patriarchi - facciamo appello per l‘immediato rilascio dei cristiani che sono stati presi in ostaggio nel conflitto armato”. “Facciamo appello a tutte le parti di mostrare umanità e misericordia e di dare prova della loro intenzione di seguire la via della pace e della prosperità in Siria”. Il messaggio si rivolge alla conferenza di pace. “Rivolgiamo il nostro ardente appello ai partecipanti a questo incontro, chiediamo loro di esercitare ogni sforzo possibile per arrestare il bagno di sangue e ricostruire la pace nella benedetta terra siriana”. (R.P.)

    inizio pagina

    Egitto: il patriarca Tawadros II in visita dal generale al-Sisi

    ◊   Ieri il patriarca di Alessandria dei copti ortodossi Tawadros II si è recato in visita dal Generale Abdel Fattah al-Sisi, vice-primo ministro e Comandante in capo delle Forze armate egiziane. Durante la visita – come spiega un comunicato dell'esercito consultato dall'agenzia Fides – Tawadros ha espresso le proprie felicitazioni alle forze armate egiziane in occasione del terzo anniversario dell'inizio della rivoluzione che nel febbraio 2011 portò alla caduta del regime di Hosni Mubarak. La cospicua delegazione che accompagnava il patriarca comprendeva altri 6 vescovi copti ortodossi. Tawadros - si legge nel comunicato - ha espresso riconoscenza “per il prezzo che le Forze Armate sono chiamate a sostenere nella loro lotta contro il terrorismo e per il mantenimento della sicurezza nel Paese”. Anche il generale al-Sisi ha manifestato a sua volta apprezzamento per la Chiesa copta e il suo contributo all'unità del Paese, contro ogni tentativo di spargere discordia tra gli egiziani. L'incontro assume singolare valore simbolico se si tiene conto della nuova fase di violenze che sta scuotendo il Paese, tra attentati terroristici e morti nelle piazze durante gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza. Nell'ultimo fine settimana, tra venerdì e domenica, i morti in tutto il Paese sono stati più di ottanta, concentrati in buona parte nelle file dei Fratelli Musulmani. Nonostante le violente repressioni, l'esercito continua a volersi accreditare come garante del processo che dovrebbe favorire il radicamento del sistema democratico nel grande Paese africano. E' atteso a breve l'annuncio della data delle prossime elezioni presidenziali, e proprio il generale al-Sisi viene acclamato nelle piazze dai suoi numerosi sostenitori come futuro capo di Stato in grado di riportare stabilità e sicurezza nel Paese. (R.P.)

    inizio pagina

    Tunisia: approvata la nuova Costituzione. Verso un esecutivo tecnico

    ◊   Il Parlamento ha adottato la nuova Costituzione, la prima dalla caduta del presidente Zine el Abidine ben Ali nel 2011. Il testo è passato con 200 voti su 216 al temine di un lungo ma pacato dibattito seguito al voto, articolo per articolo. La televisione ha trasmesso in diretta nazionale le immagini dei parlamentari che si abbracciavano dopo il voto, in un clima politico rinnovato, che cerca di stemperare la polarizzazione e le tensioni degli ultimi mesi. “Il popolo ha vinto una rivoluzione pacifica che illumina il mondo. Siamo riusciti ad evitare una guerra civile ma abbiamo ottenuto il consenso” ha commentato Rached Ghannouchi, presidente di Ennahda. Uno dei punti cardine della nuova legge fondamentale – considerata tra le più innovative nel mondo arabo – è la parità di diritti garantiti a uomini e donne. Il testo garantisce inoltre libertà di culto, pur ribadendo che l’Islam è religione di Stato. In queste ore inoltre, il primo ministro designato Mehdi Jomaa ha formalmente comunicato al presidente Moncef Marzouki la formazione del nuovo esecutivo, composto per lo più da tecnici e indipendenti, incaricato di organizzare legislative e presidenziali entro fine anno. Jomaa ha dichiarato di aver scelto i ministri selezionandoli per “competenza, indipendenza e integrità” e ha definito le elezioni “la priorità” del suo programma. (R.P.)

    inizio pagina

    Centrafrica: nominato il premier. Non si fermano le vendette

    ◊   E’ attesa entro le prossime 24 ore la formazione di un governo di transizione dopo la nomina, nel fine settimana, del nuovo primo ministro, André Nzapyeké, già segretario generale della Banca di sviluppo africana e con una lunga esperienza nella finanza. “La sicurezza sarà la mia priorità. Il futuro esecutivo avrà anche come mandato l’organizzazione delle elezioni in tempi accettabili. Ma ciò non sarà possibile senza sicurezza” ha detto il tecnocrate, di confessione cristiana. In conferenza stampa congiunta con la neo presidente di transizione Catherine Samba-Panza - riferisce l'agenzia Misna - i due massimi dirigenti del Centrafrica hanno insistito sull’urgenza di “dialogare con tutte le fazioni rivali per porre fine alle atrocità, ristabilire l’ordine pubblico, la pace e la riconciliazione nazionale” in un paese profondamente ferito dalle violenze. Una dichiarazione di intenti e allo stesso tempo un appello, rimasto inascoltato. Dopo alcuni giorni di ‘tregua’ la scorsa settimana, sulla scia delle speranze suscitate dall’elezione alla presidenza della Samba-Panza, attacchi, rappresaglie e saccheggi si sono verificati nella capitale e in più località dell’ovest e del nord. Nella capitale i quartieri più ‘caldi’ sono quelli a maggioranza musulmana o abitati da popolazione mista musulmana e cristiana. Da settimane le autorità religiose musulmane come quelle cattoliche e protestanti sono impegnate in mediazioni e dialogo all’interno delle comunità per bloccare la spirale di vendette incrociate. “Cerchiamo di calmare gli animi ma siamo giunti a un punto in cui temiamo di non poter più controllare le reazioni dei giovani musulmani in risposta alle provocazioni e future violenze” ha avvertito l’imam Modibo. Anche l’organizzazione Amnesty International ha criticato le forze internazionali per “mancata protezione dei civili musulmani, pur sapendo che sarebbero stati facili vittime degli Anti-Balaka”. Lo stesso comandante della Misca, il generale Mokoko, ha riconosciuto che “ci troviamo in una fase difficile, nella quale non riusciamo a proteggere la popolazione in una città grande come Bangui ma con soli 5000 uomini a disposizione, senza poliziotti né gendarmi”. Fuori dalla capitale la situazione è altrettanto caotica, con vaste proporzioni di territorio sotto il controllo dei capi delle due fazioni rivali. Dopo mesi di violenze e attacchi armati, la città occidentale di Bocaranga, 45 km dal confine col Camerun, si è svuotata dai suoi 16.000 abitanti, rifugiati nelle foreste circostanti. L’ultimo episodio risale a pochi giorni fa, quando una decina di ribelli ex Seleka ha assaltato la missione locale, uccidendo tre persone e commettendo saccheggi su vasta scala. Nelle ultime settimane operatori umanitari e sanitari hanno confermato che decine di persone hanno perso la vita in scontri e attacchi commessi sia da esponenti Seleka che dai miliziani di autodifesa Anti-Balaka nella località di Bouar, Bossambélé, Boyali, Boali, Sibut, Bozoum e Beloko. (R.P.)

    inizio pagina

    Rubata in Abruzzo l’ampolla del sangue di Giovanni Paolo II

    ◊   Un furto sacrilego ha creato molta impressione in una comunità locale da sempre devota a Papa Wojtyla, che con la gente d'Abruzzo amava intrattenersi durante le sue numerose escursioni sul Gran Sasso. Degli sconosciuti hanno prelevato la notte tra sabato e domenica le sue reliquie, tra cui una rara ampolla del suo sangue, dalla chiesetta di San Pietro della Ienca, vicino L'Aquila. Indagano i carabinieri, e la Procura ha gia' aperto un fascicolo. Il furto - afferma all'agenzia Ansa Pasquale Corriere, ex consigliere comunale a L'Aquila e ora presidente dell'associazione culturale 'San Pietro alla Ienca', promotrice di varie iniziative attorno alle reliquie del papa polacco che sara' canonizzato in aprile - ripropone la questione delle misure di sicurezza sulla chiesetta che, dopo un periodo di chiusura ai fedeli, di giorno è spesso aperta al culto. A scoprire il furto, ieri mattina, il parroco Jose' Obama. La speranza - aggiunge Corriere - è che i responsabili si pentano e restituiscano il maltolto, o che vengano presto individuati e arrestati. Le indagini dei Carabinieri, procedono serrate, con sopralluoghi dentro e fuori del santuario. La curia aquilana ha anche informato del furto la Santa Sede, che - fa sapere la curia - attende lo sviluppo delle indagini. Giovanni Paolo II si era recato molte volte in veste ufficiale, e altre - si dice - in segreto, nel piccolo santuario di montagna. Le reliquie erano state donate al santuario, proprio allora dedicato a Giovanni Paolo II in ricordo delle sue visite, nel 2011 dal card. Stanislaw Dziwisz. (R.P.)

    inizio pagina

    Malaysia: molotov e slogan contro le chiese

    ◊   Nella notte due uomini a bordo di una moto hanno lanciato due bombe molotov contro la chiesa dell'Assunzione a Penang, di cui solo una sarebbe esplosa, senza provocare gravi danni né feriti. Tuttavia, il gesto contribuisce ad aumentare le preoccupazioni in merito a una possibile escalation della tensione fra la maggioranza musulmana e la comunità cattolica, già in contrasto per la controversia relativa all'uso della parola "Allah" per definire il Dio cristiano. L'attacco richiama alla mente l'ondata di violenze confessionali che ha investito il Paese nel 2010, con decine di chiese e altri luoghi di culto (anche non cristiani) oggetto di attentati o atti di vandalismo. Il lancio di due bombe artigianali segue di poche ore il gesto provocatorio contro tre diverse chiese di Penang, all'esterno delle quali sono stati esposti da ignoti dei cartelli con la scritta: "Dio è grande, Gesù è figlio di Allah". Sinora nessuno ha rivendicato il gesto, che ha sollevato indignazione fra i leader religiosi della zona. Fonti locali riferiscono che dietro alla provocazione vi sarebbe un tentativo di provocare i cristiani usando la tattica della "psicologia inversa". La polizia malaysiana - riporta l'agenzia AsiaNews - ha avviato un'indagine sui fatti di ieri e questa notte; il ministro degli Interni Ahmad Zahid lancia un appello alla calma e si augura che i vertici "cristiani o musulmani" sappiano mantenere il controllo e scongiurare nuove violenze. "Invito ciascuno di voi, singoli individui o gruppi - ha aggiunto - a non compiere questi atti provocatori. Quello che conta è l'armonia fra le religioni". L'attacco alla chiesa e i cartelloni provocatori si inseriscono nella controversia sull'uso della parola "Allah" per i non musulmani, divampata in seguito allo scontro - giunto alle aule di tribunale - fra padre Andrew Lawrence, direttore del settimanale cattolico Herald Malaysia, e il governo. Nell'ottobre scorso una sentenza della Corte di appello ha negato al settimanale cattolico il diritto di usare la parola "Allah" per definire il Dio cristiano; il sacerdote ha fatto richiesta di appello. In una nazione di oltre 28 milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall'inizio, il termine "Allah" era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale. Intanto torna a parlare padre Andrew Lawrence, dopo un breve periodo di silenzio in seguito all'interrogatorio del 7 gennaio scorso da parte della polizia e di un possibile rinvio a giudizio. In una lunga intervista a Eglise d'Asie (EdA), il 68enne sacerdote racconta che la controversia è indice di una "radicalizzazione" della società in atto dagli anni 70 e che si è acuita nel recente passato. (R.P.)

    inizio pagina

    Messico. Pellegrinaggio annuale dei giovani: in 32 mila pregano per la pace

    ◊   “La fraternità e la preghiera sono gli antidoti contro i mali sociali che distruggono vite, famiglie e imprese" ha detto mons. Christophe Pierre, nunzio apostolico in Messico, davanti a circa 32 mila persone, quasi tutti giovani, riunite per il XXXI Pellegrinaggio nazionale giovanile al Monte Cristo Rey, a Guanajuato, sabato scorso. "Dà, Signore, la pace al tuo popolo" ha invocato mons. Pierre, che ha presieduto la Messa concelebrata da 3 vescovi (di León, Querétaro e Nezahualcoyotl), e da 25 sacerdoti provenuti da diverse parti del Paese. Al Cerro del Cubilete, il nunzio ha esortato i pellegrini a non essere indifferenti di fronte alla realtà sociale e ad affrontare i problemi come la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro, la prostituzione, il traffico di esseri umani e la violenza, con i valori cristiani. Durante la Messa sono stati ricordati i giovani Giovanni Bosco e Cesar Fernando, uccisi nel 1975 durante un pellegrinaggio al Cerro del Cubilete, ed il cardinale Juan Jesus Posadas Ocampo, ucciso a Guadalajara, Jalisco, nel 1993. E’ stata inoltre espressa solidarietà al vescovo di Apatzingán, nel Michoacan, mons. Miguel Patiño Velázquez, che ha pubblicamente denunciato la violenza che subisce la popolazione di quello Stato a causa delle organizzazioni criminali. Nella nota inviata all’agenzia Fides, Victor Gutierrez, coordinatore del movimento "Testimonio y Esperanza", ricorda che il 31.mo Pellegrinaggio nazionale giovanile quest’anno ha avuto per tema la preghiera per la pace nel Paese, come indica lo slogan scelto: “Per la pace, lasciamo la nostra impronta ?". Il pellegrinaggio coinvolge giovani provenienti da diversi stati del Paese, che percorrono a piedi più di 14 chilometri, fino il luogo dove c'è la statua del Cristo Re. (R.P.)

    inizio pagina

    Senegal: a Dakar donne per la pace a Casamance

    ◊   300 donne arrivate da Ziguinchor, Kolda e Sedhiou si sono date appuntamento a Dakar per spingere il governo a stabilire un calendario dei negoziati per una pace definitiva in Casamance: lo riferisce la stampa senegalese, aggiungendo che l’altro obiettivo è coinvolgere tutte le senegalesi nella risoluzione del conflitto armato in atto dal 1982 nella regione meridionale. “Ci troviamo in un periodo che non è né di pace né di guerra. Tutte insieme dobbiamo chiamare i belligeranti a sedersi attorno ad un tavolo negoziale. Le popolazioni vogliono la pace, le parti coinvolte dicono di volere la pace quindi non capiamo perché non è stato fissato ancora nessun calendario” ha detto Seunabou Male Cissé, presidente della commissione per il dialogo della Piattaforma delle donne per la pace in Casamance. Per la Cissé “bisogna sfruttare un periodo favorevole per chiedere alle parti di accelerare il passo e aprire trattative”. La piattaforma è l’organizzatrice della manifestazione odierna, il cui punto culminante è un colloquio nazionale sul coinvolgimento delle donne nella risoluzione del trentennale conflitto tra la ribellione indipendentista del Movimento delle Forze democratiche di Casamance (Mfdc) e le autorità di Dakar. Sempre oggi è prevista la cerimonia ufficiale di insediamento del Polo di sviluppo economico della Casamance. Il progetto finanziato dallo Stato senegalese (sei milioni di dollari) e dalla Banca mondiale, con una linea di credito di 40 milioni, è teso ad accrescere la produttività del settore agricolo, offrendo un sostegno particolare a giovani e donne nelle tre regioni meridionali di Ziguinchor, Kolda e Sedhiou. Dopo anni di pesanti scontri, nell’ultimo periodo si sono verificati attacchi mirati, imboscate e scaramucce, sempre meno frequenti ma tutt’ora causa di instabilità nella regione dal forte potenziale agricolo e turistico. Una calma relativa che d’altra parte alimenta l’ottimismo delle autorità locali e nazionali, anche se finora non si è tradotta in passi avanti concreti sul piano negoziale. Di recente monsignor Paul Abel Mamba, vescovo di Ziguinchor, ha insistito sulla necessità di coinvolgere tutti i cittadini senegalesi così come i Paesi vicini – Gambia e Guinea Bissau – per trovare “una soluzione politica durevole e definitiva” attraverso la firma di un accordo “rispettoso della sovranità di tutti”, in grado di assicurare “sviluppo solidario tra tutti i popoli della regione”. Nel suo discorso alla nazione per il 2014, il presidente Macky Sall ha invece assicurato che “con il sostegno di tutti i nostri partner rimangono in vigore tutte quelle misure di reinserimento per quanti accettano di deporre le armi”. Eletto quasi due anni fa, il capo dello Stato si è impegnato a risolvere il conflitto in Casamance. (R.P.)

    inizio pagina

    Australia. La Chiesa: campagna del governo contro i richiedenti asilo

    ◊   Il governo australiano sta portando avanti una campagna di crudeltà nei confronti dei richiedenti asilo: lo afferma il presidente dell’Australian Catholic Social Justice Council (Acsjc), mons. Christopher Saunders, vescovo di Broome. “La campagna del governo, come quella dei suoi predecessori, ha un solo scopo: scoraggiare gli uomini disperati, le donne e i bambini che cercano protezione dalle persecuzioni e dai pericoli” sottolinea il vescovo nella nota inviata all’agenzia Fides. “Il governo sostiene che si sta combattendo una guerra - prosegue mons. Saunders -. Se si tratta di una guerra, allora stiamo combattendo contro persone disgraziate e indifese. Stiamo ignorando il fatto più importante: milioni di persone nella nostra regione e in tutto il mondo hanno bisogno di protezione e sicurezza. L'unica speranza per una soluzione al problema dei rifugiati è la cooperazione internazionale”. Il presidente dell’Acsjc cita quindi le recenti parole di Papa Francesco, che ha detto: “Migranti e rifugiati non sono pedine sulla scacchiera dell'umanità”, e ricorda che il Papa ha chiesto a tutti noi di abbandonare “atteggiamenti di difesa e di paura”. Quindi conclude: “E' tempo che il governo australiano agisca secondo le proprie responsabilità, nel rispetto della Convenzione sui rifugiati, e mostri compassione verso coloro che arrivano alle nostre sponde, giustamente alla ricerca di una nuova vita in pace”. (R.P.)

    inizio pagina

    Spagna: riunione della Commissione permanente dei vescovi

    ◊   Domani e dopodomani è in programma, a Madrid, la 203.ma riunione della Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola (Cee). Si tratta dell’ultimo incontro relativo al triennio 2011-2014. All’ordine del giorno, informa una nota, ci saranno diversi temi: l’approvazione dell’agenda per la 103.ma Assemblea plenaria, che si svolgerà dall’11 al 14 marzo; le normative da seguire per rinnovare gli incarichi all’interno della Cee per gli anni 2014-2017; la visita ad limina e l’udienza con Papa Francesco, previste tra il 24 febbraio e l’8 marzo; i preparativi per la celebrazione del quinto centenario della nascita di Santa Teresa d’Avila, che ricorrerà nel 2015. All’esame dei presuli anche il documento pastorale sul catechismo, elaborato dalla sottocommissione dei vescovi per la catechesi e intitolato “Custodire e promuovere la memoria di Cristo”. Infine, la Cee rifletterà sulla nuova traduzione della Bibbia, diffusa nel 2012, e sul piano pastorale 2012-2015, alla luce dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, siglata da Papa Francesco lo scorso 24 novembre. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 27

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.