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Sommario del 26/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'Angelus: no ai recinti, i cristiani raggiungano tutti. Appello per l'Ucraina, preghiera per Cocò
  • Il saluto del Papa ai 3000 ragazzi della Carovana della pace promossa dall'Azione Cattolica
  • Il Papa chiude la settimana per l'unità dei cristiani: "Uno scandalo le divisioni. Camminare insieme è già fare unità"
  • A settembre la beatificazione di mons. Álvaro del Portillo, primo successore di San Josemaría Escrivá
  • Oggi in Primo Piano

  • Disordini in Ucraina: l'opposizione si rifiuta di guidare governo, rischio di guerra civile
  • Tunisia: si vota la nuova Costituzione "laica", la protesta degli islamisti
  • Giornata dei malati di lebbra: 230 mila nuovi casi, 10 milioni i disabili
  • Civiltà Cattolica, incontro sul crimine organizzato. Padre Larivera: "Questione che riguarda tutti"
  • Adottare catechisti: l’iniziativa dell’Opam per il Sud del Mondo
  • Emilia Romagna, pediatri di libera scelta anche ai figli di immigrati irregolari
  • “Direzione periferia. I primi passi di Papa Francesco”, l'ultimo libro di Paolo Fucili
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Egitto in fiamme: la protesta dilaga, almeno 49 morti, un migliaio di arresti
  • Siria: ripresi negoziati a Ginevra, si discute sui prigionieri tra cui diversi religiosi
  • Ucraina. Mons. Shevchuk incontra Yanukovych per mediare tra governo e manifestanti
  • Pakistan, cittadino britannico condannato a morte per blasfemia
  • Thailandia: ucciso un leader dei manifestanti antigovernativi a Bangkok
  • Filippine, firmato accordo tra governo e ribelli islamici del fronte Moro
  • Davos, scatta l'allarme deflazione: il calo dei prezzi mette a rischio la ripresa
  • Usa. Soddisfazione dei vescovi per la sentenza che sospende la riforma sanitaria per gli enti religiosi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'Angelus: no ai recinti, i cristiani raggiungano tutti. Appello per l'Ucraina, preghiera per Cocò

    ◊   I cristiani non costruiscano recinti, ma ripartano dalle periferie, cioè dagli ultimi, per raggiungere tutti con la misericordia di Dio: è l'invito lanciato da Papa Francesco oggi all'Angelus, dinanzi ai numerosi fedeli giunti in Piazza San Pietro. Il pensiero del Pontefice è andato anche all'Ucraina, che sta vivendo ore difficili, ai malati di lebbra, di cui oggi si celebra la Giornata mondiale, e a Cocò Campolongo, il bimbo di 3 anni bruciato in una macchina a Cassano allo Ionio. Il servizio di Sergio Centofanti:

    La missione di Gesù – ha spiegato il Papa commentando il Vangelo di questa domenica - “non parte da Gerusalemme", cioè dal centro religioso, sociale e politico, ma dalla Galilea, “una zona periferica, una zona disprezzata dai giudei più osservanti, a motivo della presenza in quella regione di diverse popolazioni straniere” e per questo definita dal profeta Isaia come «Galilea delle genti»”. “E’ una terra di frontiera – ha osservato Papa Francesco - una zona di transito dove si incontrano persone diverse per razza, cultura e religione. La Galilea diventa così il luogo simbolico per l’apertura del Vangelo a tutti i popoli”, un luogo – ha sottolineato - che “assomiglia al mondo di oggi: compresenza di diverse culture, necessità di confronto e necessità di incontro”:

    “Anche noi siamo immersi ogni giorno in una ‘Galilea delle genti’, e in questo tipo di contesto possiamo spaventarci e cedere alla tentazione di costruire recinti per essere più sicuri, più protetti. Ma Gesù ci insegna che la Buona Novella, che Lui porta, non è riservata a una parte dell’umanità, è da comunicare a tutti. È un lieto annuncio destinato a quanti lo aspettano, ma anche a quanti forse non attendono più nulla e non hanno nemmeno la forza di cercare e di chiedere. Partendo dalla Galilea, Gesù ci insegna che nessuno è escluso dalla salvezza di Dio, anzi, che Dio preferisce partire dalla periferia, dagli ultimi, per raggiungere tutti”.

    Gesù – ha proseguito il Papa – ci insegna il metodo della misericordia, invitandoci ad uscire dalle nostre comodità per “avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. Inoltre, “comincia la sua missione non solo da un luogo decentrato, ma anche da uomini" che si direbbero "di basso profilo”:

    “Per scegliere i suoi primi discepoli e futuri apostoli, non si rivolge alle scuole degli scribi e dei dottori della Legge, ma alle persone umili e alle persone semplici, che si preparano con impegno alla venuta del Regno di Dio. Gesù va a chiamarli là dove lavorano, sulla riva del lago: sono pescatori. Li chiama, ed essi lo seguono, subito. Lasciano le reti e vanno con Lui: la loro vita diventerà un’avventura straordinaria e affascinante. Cari amici e amiche, il Signore chiama anche oggi! Passa per le strade della nostra vita quotidiana. Anche oggi in questo momento, qui, il Signore passa per la piazza. Ci chiama ad andare con Lui, a lavorare con Lui per il Regno di Dio, nelle ‘Galilee’ dei nostri tempi”.

    E a braccio ha aggiunto:

    "Ognuno di voi, pensate, il Signore passa oggi; il Signore mi guarda, mi sta guardando! Cosa mi dice il Signore? E se qualcuno di voi sente che il Signore gli dice 'seguimi' sia coraggioso, vada con il Signore. Il Signore non delude mai. Sentite nel vostro cuore se il Signore ci chiama a seguirlo".

    Dopo la preghiera dell’Angelus, il pensiero del Papa si rivolge alle violenze che stanno scuotendo l’Ucraina:

    “Sono vicino con la preghiera all’Ucraina, in particolare a quanti hanno perso la vita in questi giorni e alle loro famiglie. Auspico che si sviluppi un dialogo costruttivo tra le istituzioni e la società civile e, evitando ogni ricorso ad azioni violente, prevalgano nel cuore di ciascuno lo spirito di pace e la ricerca del bene comune!”.

    Papa Francesco ha poi rivolto il pensiero a Cocò Campolongo, che nei giorni scorsi, a soli tre anni, è stato bruciato in macchina a Cassano allo Jonio:

    “Questo accanimento su un bambino così piccolo sembra non avere precedenti nella storia della criminalità. Preghiamo con Cocò, che sicuro è con Gesù in cielo, per le persone che hanno fatto questo reato, perché si pentano e si convertano al Signore”.

    Quindi, ricorda la Giornata mondiale dei malati di lebbra:

    “Questa malattia, pur essendo in regresso, purtroppo colpisce ancora molte persone in condizione di grave miseria. E’ importante mantenere viva la solidarietà con questi fratelli e sorelle. Ad essi assicuriamo la nostra preghiera; e preghiamo anche per tutti coloro che li assistono e, in diversi modi, si impegnano a sconfiggere questo morbo”.

    E ancora Papa Francesco ha ricordato che nei prossimi giorni, milioni di persone, che vivono nell’Estremo Oriente o sparse in varie parti del mondo, tra cui cinesi, coreani e vietnamiti, celebrano il capodanno lunare:

    “A tutti loro auguro un’esistenza colma di gioia e di speranza. L’anelito insopprimibile alla fraternità, che alberga nel loro cuore, trovi nell’intimità della famiglia il luogo privilegiato dove possa essere scoperto, educato e realizzato. Sarà questo un prezioso contributo alla costruzione di un mondo più umano, in cui regna la pace”.

    Non è mancato il riferimento alla beatificazione, ieri a Napoli, di Maria Cristina di Savoia, regina delle due Sicilie, vissuta nella prima metà del 1800:

    “Donna di profonda spiritualità e di grande umiltà, seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo, diventando vera madre dei poveri. Il suo straordinario esempio di carità testimonia che la vita buona del Vangelo è possibile in ogni ambiente e condizione sociale”.

    Il pensiero del Papa è andato anche alle popolazioni alluvionate in Emilia, a cui ha assicurato la sua “vicinanza”. E infine, ha salutato i ragazzi e le ragazze dell’Azione Cattolica di Roma, accompagnati dal cardinale vicario Agostino Vallini, giunti in Piazza San Pietro al termine della tradizionale “Carovana della Pace”. Due di loro, accanto al Papa, hanno letto un messaggio, seguito dal lancio delle colombe, simbolo di pace.

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    Il saluto del Papa ai 3000 ragazzi della Carovana della pace promossa dall'Azione Cattolica

    ◊   Al termine dell’Angelus, il Papa ha salutato gli oltre 3000 ragazzi e ragazze dell’Azione Cattolica di Roma che, accompagnati dal cardinale vicario Agostino Vallini, sono giunti in Piazza San Pietro in occasione della tradizionale “Carovana della Pace”, che quest’anno ha avuto come tema “Non c’è gioco senza di te!”. Due di loro, accanto al Papa, hanno letto un messaggio, seguito dal lancio delle colombe, simbolo di pace. Il servizio di Marina Tomarro:

    “Non c’è gioco senza di te, vuol dire che superando pregiudizi ed esclusioni c’è posto per ciascuno di noi perché più siamo più ci divertiamo!”. Così i due bambini dell’Azione Cattolica che hanno fatto volare le colombe insieme a Papa Francesco hanno spiegato al Pontefice lo slogan della Carovana della pace. “Noi affidiamo il nostro messaggio di pace a queste colombe - hanno detto poco prima di lasciarle libere – con l’idea che possa arrivare ovunque, perché la pace è come il vento, soffia forte per poter raggiungere tutti, in particolare chi ha bisogno”. E tantissimi erano i giovani e le famiglie dell’Azione Cattolica, che oggi gremivano Piazza San Pietro. Ascoltiamo alcuni commenti:

    R. – Questo è un momento in cui i nostri bambini dell’Acr, soprattutto, sono chiamati ad essere testimoni in prima persona, a portare questo messaggio di pace e questa voglia che hanno di pace. Gli diamo la possibilità di farlo insieme all’equipe diocesana, all’organizzazione Volontari, proprio per testimoniare la loro libertà. La cosa importante è questa: far capire ai bambini che loro, in prima persona, possono essere testimoni di pace, possono fare una scelta, la possono dire a tutti quanti, la possono sostenere.

    R. – E’ importante, perché è un appuntamento fisso ogni anno. Ero qui nell’ 1988, avevo 9 anni, ero uno di loro, e dopo tanti anni sono ancora qui. E' una cosa fantastica!

    D. – In che modo cerchi di portare la pace nella tua quotidianità?

    R. – Diciamo, usando sempre una visione che trascenda le cose dell’immediato, del quotidiano e vada oltre. Cercando di non fermarsi al momento, si possono così evitare molti conflitti.

    R. – Provo a seguire quello che mi ha insegnato il Signore, portando ai miei ragazzi del catechismo soprattutto la Parola. Leggiamo il Vangelo, ci vediamo fuori della parrocchia, a Messa. La pace, dunque, è soprattutto nell’incontrarci, nel parlare, nel diffondere questa Parola a tutti quelli che ci circondano.

    R. – Porto la pace, cercando di non litigare con gli amici, pregando sempre, anche per Papa Francesco, e così mi sento più felice.

    D. – Cosa portate a Papa Francesco?

    R. – Un plastico! Rappresenta una piccola parte di Roma ...

    R. - ... è una città, una città con tanta pace...

    R. – ... e tanto divertimento.

    La Carovana della pace è stata accompagnata dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ascoltiamo il suo commento:

    R. – E’ un’esperienza formativa molto bella, perché attraverso il cammino, i gesti, i messaggi, i ragazzi cominciano ad apprezzare il senso dell’essere cooperatori nella costruzione della pace, proprio essendo amici del Signore, da cristiani.

    Ma in che modo si possono educare i giovani alla pace? Ascoltiamo il presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Roma, Benedetto Coccia:

    R. – Il modo migliore è facendogli fare esperienza di pace, rendendoli consapevoli che la pace dipende anche da loro, per quanto piccoli, per quanto apparentemente impotenti rispetto ai mali grandi della nostra società. La pace si costruisce giorno per giorno e la costruisce ciascuno. Quindi anche loro, nei loro ambienti, hanno la responsabilità di essere costruttori di pace.

    D. – Quanto è importante questa iniziativa della Carovana della pace?

    R. – E’ importante per testimoniare alla città di Roma un segno di speranza. Davanti a tanti segnali negativi in realtà c’è una grande speranza: ragazzi che quotidianamente si impegnano a favore del bene, della pace e si impegnano a prendersi cura degli altri.

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    Il Papa chiude la settimana per l'unità dei cristiani: "Uno scandalo le divisioni. Camminare insieme è già fare unità"

    ◊   “Camminare insieme è già fare unità”, i cristiani possano superare le divisioni ed essere uniti dalla forza dello Spirito. Così, in sintesi, Papa Francesco nell’omelia dei Vespri per la chiusura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani celebrati nella Basilica di San Paolo fuori le Mura nella Festa della Conversione di San Paolo. Hanno preso parte alla preghiera i rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali. Paolo Ondarza:

    “Cristo non può essere diviso! Le divisioni tra cristiani sono uno scandalo, tutti ne siamo stati danneggiati”. Papa Francesco conclude così sulla tomba di Paolo insieme a rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Per non portare scandalo camminiamo insieme, “camminare insieme fraternamente verso l’unità – prosegue il Santo Padre - è già fare unità”. “L’unità è sempre superiore ai conflitti”, dice il Papa, quella “diversità riconciliata”, dono dello Spirito Santo non verrà come un miracolo alla fine, ma viene lungo il cammino insieme:

    "Se noi non camminiamo insieme, se noi non preghiamo gli uni per gli altri, se noi non lavoriamo in tante cose che possiamo fare in questo mondo per il Popolo di Dio, l’unità non verrà!".

    La certezza è che, nonostante le difficoltà, Cristo accompagna tutti:

    "Il Signore ci aspetta tutti, ci accompagna tutti: è con tutti noi in questo cammino dell’unità!".

    Non è possibile - avverte il Papa - considerare le divisioni nella Chiesa come un fenomeno naturale, inevitabile:

    "Mentre siamo qui riuniti in preghiera, avvertiamo che Cristo, che non può essere diviso, vuole attirarci a sé, verso i sentimenti del suo cuore, verso il suo totale e confidente abbandono nelle mani del Padre, verso il suo radicale svuotarsi per amore dell’umanità. Solo Lui può essere il principio, la causa, il motore della nostra unità. Mentre ci troviamo alla sua presenza, diventiamo ancora più consapevoli che non possiamo considerare le divisioni nella Chiesa come un fenomeno in qualche modo naturale, inevitabile per ogni forma di vita associativa. Le nostre divisioni feriscono il suo corpo, feriscono la testimonianza che siamo chiamati a rendergli nel mondo".

    L’unità cui esortava San Paolo rivolgendosi alla comunità di Corinto attraversata da divisioni tra chi diceva: “Io sono di Paolo, io di Cefa, io di Apollo”, o “Io di Cristo”, usando il nome dell’unico Salvatore per prendere le distanze da altri fratelli all’interno della comunità, quell’unanimità nel parlare e unione di pensiero – ammonisce il Papa - non può essere frutto di strategie umane”:

    "Mentre guardiamo con gratitudine ai passi che il Signore ci ha concesso di compiere, e senza nasconderci le difficoltà che oggi il dialogo ecumenico attraversa, chiediamo di poter essere tutti rivestiti dei sentimenti di Cristo, per poter camminare verso l’unità da lui voluta".

    Papa Francesco quindi ricorda l’impegno ecumenico ormai proprio del Successore di Pietro grazie ai suoi predecessori: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II:

    "L’opera di questi Pontefici ha fatto sì che la dimensione del dialogo ecumenico sia diventata un aspetto essenziale del ministero del Vescovo di Roma, tanto che oggi non si comprenderebbe pienamente il servizio petrino senza includervi questa apertura al dialogo con tutti i credenti in Cristo".

    “Il cammino ecumenico – prosegue il Santo Padre - ha permesso di approfondire la comprensione del ministero del Successore di Pietro e dobbiamo avere fiducia che continuerà ad agire in tal senso anche per il futuro”.

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    A settembre la beatificazione di mons. Álvaro del Portillo, primo successore di San Josemaría Escrivá

    ◊   Sarà beatificato sabato 27 settembre a Madrid, mons. Álvaro del Portillo, prelato dell’Opus Dei. Lo ha stabilito Papa Francesco accogliendo la richiesta presentata dall’attuale prelato, mons. Echevarria. La cerimonia sarà presieduta dal prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato. A spiegare l’importanza della decisione del Papa è il portavoce dell’Opus Dei, Bruno Mastroianni, intervistato da Filippo Passantino:

    R. – E’ un dono senz’altro per i devoti di don Álvaro, per i fedeli dell’Opus Dei e per i tanti amici, ma poi è un dono per tutta la Chiesa. Ci sono tre punti fondamentali della vita di don Álvaro. Da una parte la famiglia: lui è stato un sacerdote e poi un vescovo e poi ancora prima, anche da laico, una persona sempre molto attenta al ruolo della famiglia, della fedeltà tra marito e moglie, dell’apertura alla fecondità, ma anche al ruolo delle famiglie nella società. Il secondo punto è quello della Chiesa: la sua fedeltà, amore e servizio alla Chiesa che, appunto, si è realizzato anche in questo servizio alla Santa Sede: lui è stato consultore di diversi dicasteri vaticani, ha lavorato al Concilio Vaticano II. E poi, infine, l’ultimo pilastro è quello dei poveri e dei deboli. Don Álvaro, quando era giovane era abituato ad occuparsi dei poveri: aveva partecipato alle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, portando aiuti e sostegno alle famiglie povere di Madrid. Poi, sono moltissime le iniziative che, anche come prelato dell’Opus Dei, ha ispirato a far nascere nei fedeli dell’Opus Dei e nelle persone di buona volontà che sono in tutto il mondo. Sul sito abbiamo pubblicato una mappa di queste iniziative che sono solo alcune di quelle nate da lui, e se ne riconoscono effettivamente in tutti e cinque i continenti, tra ambulatori medici, centri di promozione della donna in Africa, scuole rurali in America Latina: insomma, tutto un panorama di bellissime iniziative di formazione, di educazione, di assistenza per i più bisognosi. Don Álvaro è ricordato anche per la sua fedeltà al fondatore dell’Opus Dei: lui ha guidato l’Opus Dei dopo la morte di San Josemaría Escrivá, ne è stato il primo successore, e in questo lui ha da sempre impostato le cose come se fosse lui stesso San Josemaría Escrivá.
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    D. – Perché la beatificazione si svolgerà a Madrid?

    R. – Non appena avuta la notizia della futura beatificazione si sono studiati i luoghi centrali di Roma, diversi da Piazza San Pietro; ma in questo studio si è visto, anche a mano a mano che aumentava il numero di adesioni e di interesse da parte di partecipanti per la beatificazione, che sarebbe stato molto difficile. Allora la Congregazione ha ritenuto opportuna l’altra ipotesi che il prelato dell’Opus Dei aveva avanzato e cioè quella di celebrare a Madrid, che è la città natale. Tra l’altro, nel 2014 c’è questa bella coincidenza, che è l’anno del centenario della nascita. E poi, Madrid è una città molto significativa perché è quella dove lui è diventato sacerdote, dove ha conosciuto l’Opus Dei. Poi c’è anche il fatto che in questo periodo di crisi, in questo modo molti suoi compaesani, che senz’altro vogliono partecipare alla beatificazione, saranno facilitati, perché così non dovranno affrontare il viaggio.

    D. – Come è stata accolta la notizia della beatificazione di mons. Álvaro del Portillo?

    R. – Con grande gioia e gratitudine a Dio e anche a Papa Francesco che ha deciso di procedere alla beatificazione di questo vescovo che tanto amò e servì la Chiesa. Anche il prelato ha avuto parole di gratitudine in questo senso: è stato bello che la prima reazione è stata quella di affidare proprio all’intercessione di questo beato tutte le intenzioni del Romano Pontefice per tutto quello che sta facendo per la Chiesa, quello che ci sta chiedendo in termini di fedeltà, di diventare più apostolici, di renderci più conto dei bisogni degli altri. Quindi, affidiamo tutto questo al nuovo beato.

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    Oggi in Primo Piano



    Disordini in Ucraina: l'opposizione si rifiuta di guidare governo, rischio di guerra civile

    ◊   Cresce il timore di una guerra civile in Ucraina. Dopo aver rifiutato la proposta del presidente Yanukovich di guidare un nuovo governo, l’opposizione continua a protestare occupando palazzi simbolo del potere in tutto il Paese. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

    Casa Ucraina, un edificio dell’epoca sovietica nel centro di Kiev usato per mostre e conferenze. E’ l’ultima struttura assaltata e occupata dai manifestanti antigovernativi che hanno costretto 200 poliziotti ad abbandonare l’edificio da una porta laterale. La tensione nella capitale continua a salire, dopo che l’opposizione ha respinto al mittente l’offerta del presidente Yanukovich. Un pacchetto che comprende anche l’amnistia in cambio della liberazione dei palazzi. La risposta della piazza è chiara: elezioni presidenziali anticipate e abrogazione delle leggi che limitano le manifestazioni. Incerto lo scenario futuro; tra gli osservatori c’è chi agita lo spettro di una guerra civile. Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto dell’area:

    R. – Io credo che ormai da questo punto di vista tutto sia nelle mani dell’esercito, che pare si sia rifiutato di intervenire contro i dimostranti, anche se non si è schierato a favore, fino a questo momento. Ecco, io credo che il rischio di guerra civile sia legato soprattutto alla posizione dei militari, perché né i dimostranti né, a quanto pare, le forze dell’ordine o comunque le forze di sicurezza agli ordini del presidente del governo, sembrano in grado al momento di prevalere.

    D. – Qual è l’identità dell’opposizione ucraina? Hanno rifiutato le proposte del presidente Yanukovich, ma all’interno della formazione ci sono gruppi estremisti che potrebbero in qualche maniera essere fonte di preoccupazione?

    R. – E’ chiaro che l’opposizione, il vasto composito fronte, che genericamente chiamiamo opposizione, a questo punto tenta il colpo grosso, cioè tenta di avere tutto e di abbattere il governo e cacciare Yanukovich, nello stesso tempo. D’altra parte, nel caso la cosa riuscisse, allora comincerebbero le difficoltà per l’opposizione, perché le anime dell’opposizione sono molto variegate ed in ogni caso, è inutile nascondersi, la punta di lancia dei disordini, delle proteste, l’ala che riesce ad organizzarle anche da un punto di vista “militare”, è costituita dai militanti di Svoboda, che è un’organizzazione nazionalista dichiaratamente di destra. Il che, tra l’altro, getta una qualche luce, anche un po’ oscura, non solo sul futuro della protesta ucraina, ma anche, un pochino, sul futuro dell’Europa, perché ci saranno fra pochi mesi le elezioni europee e già si prevede un’ondata di consensi per le destre, da Le Pen, in Francia, fino ad altri leader in altri Paesi. Aggiungere anche la componente ucraina in questo quadro complica le cose.

    D. – Qual è la reale posta in palio di questa protesta, al di là dello scontro tra europeisti e filorussi?

    R. – A questo punto la posta in gioco è oggettivamente il controllo del Paese. Sul tasso di europeismo di questa protesta, io non calcherei troppo la mano, perché ho la sensazione che invece il vero motore della protesta sia il desiderio molto ucraino e anche molto comprensibile, se si pensa alla storia di questo Paese, ai milioni di morti uccisi con le carestie all’inizio degli anni ’30 dall’Unione Sovietica, ecco penso che il vero motore della protesta sia il desiderio di allontanarsi da Mosca. Quanto questo desiderio sia un pio desiderio, un desiderio realizzabile, una giusta e concreta aspirazione, poi si potrà discuterne.

    D. – La Russia scenderà in campo in modo ancora più esplicito per evitare questo?

    R. – Scendere in campo come per l’Ungheria, la Cecoslovacchia - questi ricordi - non credo proprio, anche perché la Russia ha in mano altre carte da giocare. Non bisogna dimenticare che l’economia dell’Ucraina al momento è in larga parte dipendente dalla Russia. La Russia vale circa il 20, il 21 per cento sia dell’import che dell’export ucraino e, comunque, provvede al 90 per cento delle sue risorse energetiche, siano esse petrolio, gas o combustibile nucleare, per le centrali ancora funzionanti in Ucraina, compresa quella di Chernobyl. Quindi per fare una sintesi brutale, se domani la Russia chiudesse il rubinetto delle risorse energetiche, l’Ucraina si fermerebbe e onestamente non pare ci sia né Unione Europea né altri Paesi che siano in grado di sopperire a questa necessità ucraina.

    D. – Cosa dire invece degli interessi di Yanukovich?

    R. – Yanukovich è il tipo di governante di stampo post sovietico. Non a caso lui viene dalle regioni dell’Est dell’Ucraina, che sono quelle dove l’imprinting sovietico e poi russo è più forte. Quindi quando si dice questo, si dice un uomo di governo che è un uomo con vasti e ramificati interessi nell’economia, che governa anche con l’appoggio e appoggiando a sua volta i circoli, che in Russia vengono comunemente definiti “oligarchi” dell’economia. In questo non è diverso da Putin o da altri governanti dei Paesi dell’Est post sovietici. Diciamo che forse è un po’ meno abile.

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    Tunisia: si vota la nuova Costituzione "laica", la protesta degli islamisti

    ◊   In Tunisia, questa domenica è in programma il voto dell’Assemblea costituente sul testo della nuova Costituzione. Continuano però le manifestazioni delle fazioni più integraliste e contrarie all’instaurazione di quella che viene definita “una Carta laica”. Intanto, stamattina, il presidente Marzouki ha incaricato nuovamente l'ex ministro Jomaa di formare un governo indipendente che dovrebbe guidare il periodo di transizione, a tre anni dalla caduta del regime di Ben Ali. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Silvia Colombo esperta dell’area dell’Istituto Affari Internazionali:

    R. – Siamo ormai a tre anni dall’inizio di questo lungo e travagliato processo, che è iniziato nel 2011 con la caduta di Ben Alì. Dopo molte lotte, molti scontri e anche episodi di violenza, finalmente la Tunisia può dire di aver raggiunto un minimo consenso, sufficiente a poter voltare pagina, ad avere nuove regole del gioco che possano formare il nuovo processo di competizione politica che si aprirà, da questo momento, con vari passaggi, elezioni presidenziali e via dicendo…

    D. – Eppure, in questo contesto, continuano le manifestazioni delle fazioni più integraliste…

    R. – Molti interessi sono in gioco! Il processo della Costituzione tunisina è sicuramente molto avanzato. Chiaramente l’aspetto della protesta da parte di frange più estremiste e conservatrici dal punto di vista religioso pongono in luce come – comunque – siamo in contesto sociale molto fratturato, anche se non come quello che sta avvenendo in Egitto. Sono due processi che sono iniziati in parallelo, ma con fortissime divergenze. In questo caso è possibile dire che la Tunisia ha, in qualche modo, raggiunto un obiettivo che in Egitto ancora è stato mancato: quello di una Costituzione veramente inclusiva. Si tratterà di vedere come nella concreta applicazione si riuscirà ad integrare anche delle componenti sociali che sono rimaste o che si sentono comunque escluse.

    D. – Uno degli aspetti della Costituzione messo in luce è stato quello della parità tra uomo e donna…

    R. – E’ un testo, per quanto riguarda oggigiorno il panorama del mondo arabo, sicuramente avanzato per un Paese come la Tunisia, che era già abbastanza all’avanguardia da questo punto di vista. Si spera che ora, su queste nuove basi, si possa veramente fondare una nuova dialettica politica che porti al rispetto delle regole formali e quindi al rispetto dei diritti per tutti. Dal punto di vista del ruolo della religione all’interno del testo costituente vediamo che qui c’è stato una capacità da parte di Ennahda di fare un passo indietro, rinunciando all’indicazione della sharia all’interno del testo costituente pur di avere altre garanzie su altri fronti: ci riferiamo, per esempio, all’ordinamento governativo e quindi alla forma di governo e ad un bilanciamento dei poteri tra il presidente e il primo ministro. Quindi è un testo complesso, è un testo in cui vari aspetti sono collegati: per cui, proprio nel momento della negoziazione, si è dovuto tener conto di una serie di aspetti differenti e di come le parti si siano relazionate rispetto ad essa.

    D. – Economicamente il Paese è in difficoltà. Adesso c’è la sfida del governo tecnico, chiamato a guidare in questo periodo di transizione: ce la faranno?

    R. – Il punto cruciale è quello di sollevare il Paese dalla continua sensazione di essere in bilico, dalla continua sensazione di essere su una strada che non si sa dove conduca. Ora il primo punto – quello della Costituzione – è stato raggiunto. In questi tre anni la Tunisia ha sofferto molto per la mancanza di un programma e di piani concreti per il miglioramento socio-economico, che è stato anche uno dei fattori che ha portato - di fatto - all’inizio della transizione, con lo scoppio delle proteste nel 2011. Quindi è importantissimo che adesso – da un certo punto di vista – si mettano da parte le conquiste istituzionali e politiche e ci si concentri anche su altri obiettivi, tra cui quelli socio-economici. Il Paese ha bisogno di rilanciarsi e, dal punto di vista economico, creare nuovi posti di lavoro. L’Europa può avere un ruolo. Diciamo che questa è un’ulteriore sfida, ma con buone premesse per cui si possa veramente lavorare.

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    Giornata dei malati di lebbra: 230 mila nuovi casi, 10 milioni i disabili

    ◊   Questa domenica - come ha ricordato il Papa all'Angelus - si celebra la 61.ma la Giornata mondiale dei malati di lebbra, in difesa dei loro dei diritti ancora oggi sovente ignorati, a causa di povertà ed ignoranza. Secondo il Rapporto 2013 dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’80% dei nuovi casi sono concentrati in India, Brasile ed Indonesia. Roberta Gisotti ha intervistato Anna Maria Pisano, medico, presidente dell’Aifo-Associazione italiana Amici di Raoul Follereau, intitolata al giornalista francese, che nel secolo scorso dedicò la sua vita “contro la lebbra e contro tutte le lebbre” dell’ingiustizia fra gli uomini:

    D. - Dott.ssa Pisano, sappiamo che da oltre 30 anni la lebbra è curabile grazie alla polichemioterapia, anche se non è ancora una malattia estinta. Quanti sono oggi i malati di lebbra e quanti sono i nuovi casi ogni anno?

    R. - Sono oltre 230 mila, ma tante nazioni non vengono registrate: per cui si calcola che siano almeno il doppio. Oltre quelli, ci sono poi circa 10 milioni di pazienti ex malati di lebbra che, essendo arrivati tardi alla cura, rimangono disabili: quindi hanno un bisogno continuo di avere protesi, cure per le ulcere, assistenza.

    D. - Il lebbroso sottoposto a cura non è contagioso. Eppure restano tanti pregiudizi?

    R. - Sì, è vero pure in questo nostro 2014! Si sa benissimo che adesso è una malattia perfettamente curabile e non solo è perfettamente curabile, ma dopo una sola settimana - facciamo anche un mese per la maggior sicurezza - dall’inizio della cura, la malattia è assolutamente non contagiosa, perché si ha proprio una frammentazione dei microbi e quindi del batterio di Hansen. Nonostante questo, c’è veramente paura, per cui ancora - me lo riferiva anche il medico coordinatore del nostro progetto in India - in tanti posti anche i medici stessi hanno paura di toccare un paziente malato di lebbra! Una delle cose che la distingue è proprio il fatto che sia una malattia emarginante, per cui ancora oggi il paziente di lebbra teme perché la sua famiglia viene completamente emarginata, scacciata dalla società: perde il lavoro, perde la famiglia… Quindi rimane veramente un lebbroso nel senso proprio della parola.

    D. - Lei ha citato l’India, che è il Paese più colpito…

    R. - L’India è assolutamente il Paese più colpito; è anzi il Paese dove, con l’idea che la lebbra fosse vinta o quasi vinta, si sono allentati tutti i controlli. Per questo adesso si sono ritrovati non solo con ancora molti malati di lebbra, ma anche senza gli specialisti tecnici e pratici formati per quanto riguardasse la lebbra, che nel frattempo si erano andati perdendo …

    D. - Dott.ssa Pisano, quali iniziative in questa Giornata per sensibilizzare l’opinione pubblica?

    R. - Ci sono dei piccoli banchi in tantissime città di Italia - quasi un migliaio di banchetti - dove si darà materiale illustrativo e si offrirà il “miele della solidarietà”, che rappresenta il nostro simbolo per il malato di lebbra; il miele della solidarietà è in un sacchetto di iuta, realizzato dalle donne guarite nei progetti dell’India. Offriremo, tra l’altro, gadget e informazioni. Siamo convinti che una delle cose principali da fare sia trasmettere una cultura della fraternità, della vicinanza fra i popoli, e della giustizia, perché non c’è carità senza giustizia! Noi facciamo formazione nelle scuole, formazione tra la gente, cercando così di sensibilizzare sulle malattie dimenticate, sull’amore fra i popoli e sul fatto di essere tutti sotto lo stesso cielo!

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    Civiltà Cattolica, incontro sul crimine organizzato. Padre Larivera: "Questione che riguarda tutti"

    ◊   Hanno un giro di affari di 870 miliardi di dollari all’anno, sono una minaccia per la pace, lo sviluppo e i diritti umani: si tratta delle reti criminali di tutto il mondo che, come Papa Francesco ha ricordato in occasione della Giornata Mondiale della Pace, “offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato”. Del tema si è discusso, ieri, anche presso la sede della rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, durante un incontro intitolato “Criminalità transnazionale, una sfida per la Chiesa”. Al microfono di Davide Maggiore, padre Luciano Larivera, scrittore della rivista, ha elencato i danni sociali causati dalle organizzazioni criminali:

    R. – Attraggono giovani, propongono un modo di concepire il lavoro dove non ci sono diritti sindacali, rappresentanza, dove c’è un abbassamento di una cultura, non solamente sul senso dell’umanità, ma sul senso della fraternità, dei ruoli della rappresentanza sindacale, del lavorare insieme in politica. Di fatto, ognuno deve legarsi ad un’entità, che comunque ti tratta da subumano o perlomeno, anche se sei affiliato, la tua vita non vale niente. Quindi il lavoro di educazione, di prevenzione è proprio per riuscire a dare un senso di appartenenza a realtà vive, vere, fraterne. Avere un senso della propria dignità fa sì che uno ad un certo punto, se non ha proprio una repulsione, perlomeno non ha attrazione per certe seduzioni.

    D. – La criminalità organizzata è una sfida sempre più grande per le istituzioni, va affrontata non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. In questo quadro, come può la Chiesa contribuire a contrastare la criminalità?

    R. – Da un lato, ogni singola diocesi, come diceva don Peppino Diana, e anche, in fondo, ogni parrocchia, in qualche modo deve elaborare un’analisi del proprio territorio, capire quali sono le persone più esposte all’usura, quali sono le dinamiche del proprio territorio; capire come si può intervenire nel tessuto sociale per prevenire, per aiutare fondazioni antiusura, per aiutare i ragazzi a trovare occupazione da altre parti. E’ davvero un lavoro da fare capillarmente: nelle diocesi, nelle parrocchie, dalle Conferenze episcopali, fino al livello mondiale. Credo che ormai la consapevolezza della gravità sia forte.

    D. – Ci sono anche tanti esempi di iniziative concrete, iniziative sul territorio, portate avanti da congregazioni religiose o anche da singoli religiosi...

    R. – Molti operatori pastorali vengono anche uccisi e subiscono minacce. C’è ad esempio tutto il lavoro con le persone che vengono sfruttate e l’assistenza alle persone che subiscono la tratta. Ci sono tante iniziative pastorali, concrete. Ci sono operatori gesuiti, associazioni che lavorano con le persone, che vengono portate dal confine messicano a quello americano, per sostenerle durante il cammino, senza fare cose illecite, ma prendendosi cura proprio dei bisogni emergenziali, a volte. E poi gli esempi non mancano: il Meridione, tutto il discorso che si fa con le scuole, e il discorso degli oratori sarebbe fondamentale.

    D. – Alla criminalità organizzata transnazionale Papa Francesco ha fatto riferimento in più occasioni. Ad esempio, quando ha parlato della corruzione o contro il traffico di esseri umani. L’ultima occasione è stato il messaggio per la Giornata mondiale della pace, che ha fatto notare come le reti criminali mettano a rischio la fraternità stessa...

    R. – Distruggono proprio le cose più fondamentali, cioè la fiducia, il rispetto della dignità umana, il patto di umanità. La morte dell’altro è considerata quasi come un gioco, irrilevante. Il Papa però distingue bene: il crimine, i peccatori criminali e soprattutto le vittime, ovviamente. Quindi c’è una questione che riguarda tutti alla fine: capire come aiutare le persone ad uscire dal crimine. È una sfida grande, però a Los Angeles lo stanno facendo con le gang ed anche in America Latina.

    D. – Abbiamo detto che è una sfida di tutti. In questo senso, possiamo far riferimento ad altre parole del Papa, quelle che hanno denunciato la “globalizzazione dell’indifferenza”. Questo certamente è un terreno in cui la criminalità può prosperare...

    R. – La globalizzazione porta fenomeni nuovi che coinvolgono tutti. Il traffico di droga, di clandestini riguarda tutti, sono crimini internazionali. Allora: non essere indifferenti a cosa ci sia dietro il fenomeno e non far sì che diventi una cultura condivisa, verso la quale tutti chiudiamo un occhio, e quindi esserne complici. A volte anche l’indifferenza può essere un meccanismo di difesa psicologica davanti alla gravità, all’enormità dei rischi nel contrasto o del fenomeno in sé. Si rinuncia, però, a capire cosa si vuole veramente dalla vita. Noi siamo disposti in qualche modo a dare la vita per il bene degli altri? E’ una sfida grande: tocca proprio la speranza cristiana, tocca proprio la testimonianza.

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    Adottare catechisti: l’iniziativa dell’Opam per il Sud del Mondo

    ◊   Adottare famiglie di catechisti per aiutare il Sud del Mondo a crescere nella fede e nello sviluppo umano. E’ l’iniziativa lanciata dall’Opam, Opera di promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo, all’inizio dell’Anno della Fede e che sta ora cogliendo i primi frutti. Su questa originale iniziativa, Alessandro Gisotti ha intervistato Anna Maria Errera, vicepresidente dell'Opam:

    R. - È un’iniziativa che l’Opam ha deciso di iniziare e promuovere insieme al lancio dell’Anno della fede, perché ci sembrava importante - come di ispirazione cristiana - diffondere questa testimonianza che abbiamo ricevuto dai Paesi del Sud del mondo in tanti anni di servizio accanto a queste giovani Chiese. Si tratta del sostegno alla formazione delle famiglie catechiste che sono le principali artefici dell’evangelizzazione ma non solo, anche della promozione umana e sociale di intere comunità.

    D. - In particolare, c’è un progetto all’interno di questa iniziativa che viene seguita dell’Opam; riguarda il Congo...

    R. - Riguarda il Congo, dove questa esperienza di laicato è stata ufficializzata per la prima volta nel 1975 proprio dal cardinal Malula, che si rese conto dell’importanza che hanno, nella diffusione della fede, le famiglie dei catechisti. Noi stiamo portando avanti nella diocesi di Bokungu – Ikela la formazione di famiglie catechiste. Si tratta di famiglie che vanno a vivere per due anni in un centro della diocesi; qui l’intero nucleo familiare riceve una formazione che gli permette poi di svolgere il proprio servizio nei servizio nei villaggi in cui verranno inviati. È un incarico che dura tutta la vita, nel quale questi laici si impegnano innanzi tutto attraverso la propria testimonianza; inoltre forniscono la prima alfabetizzazione nei posti dove vanno, insegnano alle persone come si coltiva la terra, come si alleva il bestiame, come si ha cura dei bambini, occupandosi quindi dei problemi legati alla salute, alla prevenzione delle malattie … E, sono loro che danno la prima testimonianza di un rapporto paritetico uomo – donna; aiutano le persone a vedere, innanzi tutto, come vive una famiglia che è stata illuminata dal messaggio della fede.

    D. - Normalmente si è abituati alle adozioni dei bambini o magari, per quanto riguarda l’Opam, dei maestri. Che tipo di reazione c’è da parte della gente di fronte a questa adozione inedita, quella dei catechisti?

    R. - La difficoltà più grande è capire che questa figura del catechista dei Paesi del Sud del mondo non ha un corrispettivo nella nostra Chiesa. Quindi, è difficile individuare cosa rappresenti un catechista per comunità come quelle africane, dove mancano i sacerdoti, dove le parrocchie sono più grandi delle nostre diocesi, dove se non arrivano questi catechisti laici non c’è la possibilità di migliorare le condizioni di vita della gente anche da un punto di vista di sviluppo umano. Quindi, la difficoltà più grande è proprio far capire questa differenza. E la gente, una volta capita, ne è entusiasta; non solo, ci chiede di diffondere la conoscenza di queste realtà nelle diverse parrocchie.

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    Emilia Romagna, pediatri di libera scelta anche ai figli di immigrati irregolari

    ◊   Quando accoglienza e dignità passano attraverso la cura sanitaria. Succede in Emilia Romagna dove la giunta regionale ha stanziato 1 milione di euro per garantire i pediatri ai figli di migranti senza permesso di soggiorno e assistenza medica ai cittadini comunitari che si trovano domiciliati o residenti sul territorio. Ce ne parla da Bologna Luca Tentori:

    Saranno 2.000 in Emilia Romagna i bambini figli di immigrati irregolari che potranno vedersi assegnato un pediatra di libera scelta e usufruire così delle relative cure del Servizio sanitario. E’ sicuramente la prima volta in Italia che viene imboccata, con decisione, questa modalità di assistenza in conformità all’Accordo Stato-Regioni del dicembre 2012 che interveniva proprio sul trattamento sanitario degli stranieri. Una buona scelta in un periodo di vacche magre anche per i bilanci degli enti pubblici. Così, come i loro coetanei italiani, anche questi bambini potranno avere gratuitamente un medico fisso a cui rivolgersi in caso di necessità e che conosca la loro storia sanitaria. La delibera dell’Emilia Romagna sancisce inoltre la possibilità per i cittadini comunitari che hanno la residenza anagrafica in regione, o il domicilio nel caso di studenti, la possibilità di iscriversi al Servizio sanitario con il versamento di un contributo. Gli immigrati irregolari sono già tutelati per legge dal 1998 dal Servizio sanitario ma solo se sussistono le condizioni di indigenza e di necessità grave come una malattia seria. Un passo avanti, una luce che si accende. Il volontariato, in particolare cattolico, fino ad ora ha compensato gli esistenti vuoti assistenziali cercando di arrivare con i propri mezzi laddove l'assistenza pubblica non riusciva o non poteva giungere.

    L’ambulatorio “Biavati” della Confraternita della Misericordia di Bologna, ha assistito nel 2012 ben 183 bambini, figli di immigrati irregolari e centinaia di adulti. Un giudizio positivo alla delibera arriva da Marco Cevenini, presidente di questa realtà, che dal 1994 offre assistenza in modo gratuito con i fondi dell’“8 per 1000”:

    “Finalmente ciascuno di questi bambini può avere un pediatra di riferimento che dà una continuità. Si superano così le discriminazioni e le disomogeneità presenti sul territorio, perché se è vero che in città, come a Bologna, c’erano fino ad ora delle forme valide di aiuto ai bambini in campagna, in montagna o in zone che non erano così ben servite, questa opportunità probabilmente non c’era. La presenza di una legge regionale rende uguale il diritto su tutto il territorio”.

    Poche settimane fa anche la Lombardia ha legiferato in merito, ma preferendo un’altra soluzione non assegnando ai figli di immigrati irregolari un pediatra fisso di Libera Scelta, ma offrendo comunque la possibilità di recarsi gratuitamente dai pediatri per le visite, le prescrizioni e l’accesso diretto agli ambulatori.

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    “Direzione periferia. I primi passi di Papa Francesco”, l'ultimo libro di Paolo Fucili

    ◊   “Direzione periferia. I primi passi di Papa Francesco”: è il titolo dell’ultimo libro di Paolo Fucili, vaticanista di Tv2000. Edito da Elledici, il volume propone uno sguardo d’insieme sui primi e intensi mesi di Pontificato di Papa Bergoglio. Sui temi principali del libro, ascoltiamo lo stesso Paolo Fucili intervistato da Antonella Pilia:

    R. – Quello che sicuramente colpisce è il grande favore popolare che si è conquistato Francesco con la sua semplicità e il suo stile molto diretto, cordiale; l’attenzione che sa mostrare alle persone, la sua grande apertura all’umanità nel bene e nel male, in tutte le sue sfaccettature. E la gente ha percepito questo. Mi viene in mente una riflessione del predecessore, Benedetto XVI, quando diceva: “La ragione può pure conquistare e averla vinta, però da qualche parte il dissenso rimane sempre”. Ci vuole l’amore, la migliore apologia del cristianesimo è l’amore, l’attenzione alla persona. Ed è proprio quello che la gente, secondo me, ha percepito in Francesco.

    D. – Quindi, da questo punto di vista, possiamo dire che Benedetto e Francesco sono in qualche modo complementari?

    R. – Hai detto bene: complementarietà. Penso che Francesco – l’ha detto lui stesso tante volte – senta di avere un debito di grande gratitudine nei confronti del predecessore. Pensate a quando ha menzionato il suo terzo volume della trilogia sul Gesù di Nazareth, dicendo che Benedetto XVI ha spiegato benissimo, in sostanza, l’Epifania: una festa importantissima, una sintesi di tutto il cristianesimo. Chiaramente Papa Francesco e Ratzinger sono personalità diverse, ognuno ha avuto il suo ruolo e hanno affrontato stagioni diverse: forse è stata più problematica quella del passato, mentre oggi si respira un’aria più positiva, soprattutto a livello mediatico. Non dimentichiamo il ruolo dei media, che spesso sono capaci in qualche modo di distorcere alcune situazioni e presentarle in maniera troppo unilaterale.

    D. – Alla tematica dei poveri, e delle cosiddette “periferie”, come suggerisce il titolo stesso, è dedicato gran parte del tuo libro...

    D. – La periferia è una metafora di carattere geografico, urbanistico, che probabilmente non finiremo mai di esplorare. In fondo, tutto il cristianesimo è la religione del sovvertimento del punto di vista della prospettiva centro-periferia, se pensiamo al Magnificat e alle Beatitudini. Ma c’è anche, in qualche modo, una reminiscenza geografica in questa metafora da parte di Papa Bergoglio perché lui viene da un ambiente, quello latino-americano, dove esistono megalopoli sterminate. Penso a Rio de Janeiro, città di 15, 20 milioni di abitanti. Le periferie lì sono ambienti vitali eppure immensi, pieni anche di problemi, di disagi. E poi c’è il tema della povertà: sicuramente il Papa ha introdotto in questo senso una sensibilità diversa da quella europea, venendo da un ambiente dove ci sono grandi squilibri sociali. Ci ha contagiato! Siamo in un momento di crisi economica, ma penso di poter dire che stiamo tutti in qualche modo riscoprendo la sobrietà e, forse, in tutto questo, non è proprio così irrilevante il ruolo che ha avuto Francesco.

    D. – Altro capitolo interessante che emerge è quello del linguaggio “bergogliano”, con i tanti verbi di moto a luogo, uno stile sciolto e informale, ma anche con la sua fantasia creativa...

    R. – E’ bellissima questa fantasia del Papa, perché veramente sa inventare parole, concetti, immagini, che poi rimangono molto impressi. Noi giornalisti spesso facciamo sintesi in maniera brutale. Con Papa Francesco basta riprendere le sue immagini e nelle sue immagini c’è tutto: pensiamo ad esempio ai pastori con l’odore delle pecore... E poi c’è anche questo uso costante dei verbi di movimento, anziché di stasi. Questa è l’immagine della Chiesa che vuole trasmettere Francesco, e probabilmente ha toccato così una sensibilità che forse era un po’ sopita, ma evidentemente è viva: la percezione cioè del bisogno di uscire, della nuova evangelizzazione. Francesco ha saputo interpretare questa sensibilità con molta efficacia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Egitto in fiamme: la protesta dilaga, almeno 49 morti, un migliaio di arresti

    ◊   In Egitto nuova notte di manifestazioni e scontri al Cairo all’indomani della sanguinosa giornata di ieri segnata da disordini scoppiati in tutto il Paese in occasione del terzo anniversario della rivoluzione che portò alla cacciata dell’ex presidente Mubarak. Il ministero della Sanità ha fatto sapere che sono almeno 49 le persone morte nelle ultime 24 ore. Solo al Cairo si contano oltre 250 feriti, tra cui diversi poliziotti. E il ministero dell’Interno ha diffuso il bilancio degli arresti: più di mille ‘rivoltosi’ sono finiti in manette perché trovati in possesso di fucili, bombe molotov e altre armi. Dal canto suo il presidente Mansour ha promesso "misure eccezionali" per riportare la sicurezza, annunciando anche che le elezioni presidenziali si terranno prima di quelle legislative. Molti media locali prevedono la candidatura del generale al Sisi, capo delle forze armate. Intanto continua a salire la tensione anche nel Sinai, dove proseguono gli attacchi contro obiettivi militari. L’ultimo stamattina ai danni un veicolo dell’esercito che trasportava soldati. Quattro di loro hanno perso la vita. Altri nove sono rimasti feriti. In seguito questo ennesimo episodio l'esercito ha minacciato la linea dura contro i terroristi, con un implicito riferimento alla Fratellanza Musulmana sospettata di fomentare le violenze nell'area. Complessivamente, dal 3 luglio scorso, oltre mille manifestanti che appoggiavano il presidente deposto Morsi sono stati uccisi dalle forze dell'ordine o dai sostenitori delle nuove autorità appoggiate dai militari.

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    Siria: ripresi negoziati a Ginevra, si discute sui prigionieri tra cui diversi religiosi

    ◊   La sorte dei prigionieri in Siria, tra cui diversi religiosi, è al centro dei colloqui di pace ripresi oggi a Ginevra. Allo stesso tavolo sono tornati a sedersi rappresentanti del governo di Damasco e delle forze di opposizione, che si parlano attraverso il mediatore di Onu e Lega Araba, Brahimi. Il diplomatico, durante la conferenza stampa di ieri, al termine del primo round negoziale, ha annunciato che si lavora ad un possibile cessate il fuoco nella città di Homs per consentire l’ingresso di convogli umanitari. “Spero che gli aiuti arrivino già lunedì”, ha detto Brahimi, precisando che si tratta solo di una richiesta avanzata dalle Nazioni Unite. Nessun accenno all’eventualità di un governo di transizione, ipotesi già bocciata dalla delegazione del regime siriano. Su questo punto le posizioni rimangono diametralmente opposte: l'opposizione insiste sulla rimozione del presidente Bashar al Assad, mentre il governo rifiuta affermando che a Ginevra si deve discutere solo della "lotta ai terroristi". Le questioni più propriamente politiche – ha spiegato il mediatore internazionale - saranno affrontate nei prossimi giorni, si spera dopo qualche segnale di fiducia tra le parti. Nella conferenza stampa di ieri Brahimi ha ammesso che non è stato raggiunto alcun accordo formale ma ha anche auspicato che i colloqui possano proseguire.

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    Ucraina. Mons. Shevchuk incontra Yanukovych per mediare tra governo e manifestanti

    ◊   Le Chiese cristiane in Ucraina hanno offerto la loro mediazione tra il governo e le forze dell’opposizione, mentre non accenna a placarsi l'ondata di violenze nel Paese. Venerdì scorso – riferisce l’agenzia cattolica Risu – il presidente Yanukovych ha incontrato diversi esponenti del Consiglio delle Chiese e delle organizzazioni religiose dell’Ucraina. Tra questi il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Haly, Sviatoslav Shevchuk, che ha espresso profonda preoccupazione per la piega sempre più violenta che hanno assunto le proteste di piazza, in origine pacifiche. Nei colloqui, l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Haly ha ribadito che “la Chiesa è stata e sarà sempre dalla parte del popolo” e ha lamentato con il presidente le difficoltà incontrata dai sacerdoti di portare assistenza spirituale ai manifestanti ricordando che la loro presenza “è stata fondamentale per placare gli animi e cercare di mantenere il carattere pacifico delle proteste”. Interpellato dai giornalisti sull’esito dell’incontro, il presule ha dichiarato che saranno i fatti a dimostrare le vere intenzioni di Yanukovych. Preghiera e solidarietà con il popolo ucraino sono state intanto espresse dal presidente della Conferenza episcopale canadese, mons. Paul-André Durocher, in un messaggio a mons. Shevchuk. “Preghiamo perché in Ucraina siano garantiti tutti i diritti e le libertà, in particolare il diritto alla vita e alla dignità, la libertà di coscienza e religione, come anche la libertà di espressione e l’autonomia del governo”, si legge nel messaggio indirizzato anche a mons. Lawrence Huculak, capo della folta comunità greco-cattolica ucraina in Canada. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Pakistan, cittadino britannico condannato a morte per blasfemia

    ◊   In Pakistan, una corte di Rawalpindi ha condannato a morte Mohammad Asghar, cittadino britannico di 70 anni, arrestato nel 2010 per blasfemia. Di origini pakistane, ma residente ad Edimburgo – spiega AsiaNews - l'uomo aveva scritto alcune lettere ad ufficiali di polizia nelle quali si proclamava profeta. I suoi avvocati hanno chiesto ai giudici un atto di clemenza sottolineando i problemi mentali dell'uomo che anche in aula ha continuato a proclamarsi profeta. I legali hanno anche presentato una documentazione del Royal Victoria Hospital di Edimburgo nel quale i medici spiegano che Asghar soffre di una patologia schizofrenica e paranoica. La Corte ha rifiutato tutte le richieste di clemenza e si è rifiutata di accogliere i referti dei medici britannici. Gli avvocati faranno presente ai giudici la moratoria del 2008 sulla pena di morte e sperano che la sentenza venga ribaltata in sede di appello. Un portavoce del governo scozzese si è detto "preoccupato" per la situazione: " Esortiamo le autorità pakistane a rispettare la moratoria sulla pena di morte. In questo momento difficile siamo vicini alla famiglia di Asghar". La baronessa Sayeeda Hussain Warsi, funzionario del ministero britannico degli Esteri, ha sottolineato che il ministero sta facendo forti pressioni sul governo pakistano per risolvere il caso. Asghar è il secondo cittadino britannico a subire la famigerate leggi sulla blasfemia. All'inizio di quest'anno Masood Ahmed, uomo di 72 anni della comunità degli Ahmadi è stato incarcerato con l'accusa di blasfemia.Lo scorso dicembre 2013 la Corte federale della Sharia ha accolto il ricorso di un avvocato che chiedeva la sola applicazione della pena di morte per i casi di blasfemia invece dell'ergastolo. La Corte ha quindi cancellato il carcere a vita dalla sezione 295 C del Codice penale pakistano che insieme al comma 295 A e B forma le cosiddette "Leggi sulla blasfemia". La Chiesa cattolica e le denominazioni protestanti chiedono da anni l'abrogazione della "legge nera". Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per soddisfare le rivendicazioni della frangia islamista, essa puniva con il carcere a vita o la condanna a morte chi profana il Corano o dissacra il nome del Profeta Maometto. Quanti hanno proposto emendamenti alla legge - il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro cattolico delle Minoranze Shahbaz Bhatti - sono stati assassinati. Secondo i dati raccolti dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Pakistan (Ncjp), dal 1986 all'agosto 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge sulla blasfemia: fra queste 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta. Più di 40 gli omicidi extra-giudiziali (compiuti da singoli o folle inferocite) contro innocenti e i processi intentati contro disabili fisici e mentali, o minorenni; fra le tante, ricordiamo la vicenda di Rimsha Masih, sfuggita alle false accuse dopo una massiccia campagna di pressione su Islamabad. Fra i detenuti vi è anche la cristiana Asia Bibi, madre di 5 figli, condannata a morte per blasfemia da un tribunale di primo grado nel 2010 e in attesa di un processo di appello.

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    Thailandia: ucciso un leader dei manifestanti antigovernativi a Bangkok

    ◊   In Thailandia, è stato ucciso uno dei leader dei manifestanti dell’opposizione. E’ avvenuto durante una sparatoria nella periferia di Bangkok mentre l’uomo parlava alla folla. La vittima è Suthin Tarathin che guida uno dei movimenti ostili all’ex primo ministro Thaksin Shinawatra e alla sorella Yingluck, attualmente premier ad interim. L’episodio, assieme ad altre azioni di sabotaggio da parte di gruppi antigovernativi, ha provocato la chiusura di gran parte dei 50 seggi aperti nella capitale per il voto anticipato organizzato questa domenica in vista delle elezioni in programma il 2 febbraio. Contro l’appuntamento elettorale, che rischia di slittare, diversi movimenti di protesta che manifestano da diversi mesi chiedendo l’istituzione di un “Consiglio del Popolo” prima del voto. Nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha stabilito che le elezioni del 2 febbraio possono essere rimandate, ma la decisione deve venire dal governo che invece vorrebbe tenerle in accordo con la Commissione elettorale. Un incontro in tal senso è previsto per martedì.

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    Filippine, firmato accordo tra governo e ribelli islamici del fronte Moro

    ◊   Governo delle Filippine e il Moro Islamic Liberation Front hanno firmato questo sabato a Kuala Lumpur, in Malaysia, l'accordo finale per l'autonomia del Bangsamoro, nella regione di Mindanao nel Sud delle Filippine. “Si tratta di una svolta storica – afferma un comunicato della Comunità di Sant'Egidio - nel lungo conflitto che ha interessato il Paese per oltre 30 anni. La Repubblica delle Filippine, il più grande Paese cattolico dell'Asia, ha mostrato la capacità di includere le differenze, coinvolgendo la società civile nel dialogo interreligioso con la minoranza musulmana della regione di Mindanao per arrivare al riconoscimento dell'autonomia. Si apre così – secondo Sant’Egidio - una stagione nuova d'impegno per la costruzione di una pace democratica e inclusiva di tutti in un Paese tanto eterogeneo come la Repubblica delle Filippine, afflitto da decenni da conflitti interni e più di una volta - ma ultimamente in maniera tanto drammatica - da disastri naturali che, insieme ai conflitti, colpiscono le fasce più deboli della popolazione”. La Comunita' di Sant'Egidio che ha partecipato al negoziato con un suo delegato, Alberto Quattrucci, in qualità di membro dell'International Contact Group, insieme alla Muhammadiyah, il Centre for Humanitarian Dialogue e Conciliation Resources, esprime “il suo compiacimento per il completamento del Processo di Negoziazione tra le parti, avvenuto a Kuala Lumpur, che apre una fase nuova nella storia delle Filippine".

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    Davos, scatta l'allarme deflazione: il calo dei prezzi mette a rischio la ripresa

    ◊   L'allarme di una deflazione nell'Eurozona irrompe al Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, spegnendo gli entusiasmi della comunità internazionale proprio quando la crisi alle spalle cominciava a diffondere una ventata di ottimismo non intaccata dalle turbolenze sui mercati causati dalla vicenda dei cambi in Argentina e in altri emergenti. La deflazione è il fenomeno contrario all’inflazione: la diminuzione della domanda porta ad una spirale negativa di rincorsa all’abbassamento dei prezzi. La Bce è più cauta: "non vediamo una deflazione", dice il presidente Mario Draghi, che però ragiona anche sull'acquisto massiccio di titoli "se una deflazione dovesse davvero verificarsi". Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, dopo aver evocato nelle scorse settimane un "orco" deflazionistico, torna all'attacco. Una deflazione nell'Eurozona è uno dei due grandi rischi globali che "davvero meritano attenzione". Ferma allo 0,8%, l'inflazione è "molto al di sotto del target" europeo del quasi 2%, spiega la Lagarde. Attenzione, dice dunque Lagarde, perché la probabilità che succeda " è bassa, ma comunque fra il 15 e il 20%". Parole scandite con cura di fronte a una platea di investitori e rivolte direttamente a Draghi, durante il Forum di Davos sull'economia nel 2014. Draghi risponde con la linea tenuta nelle ultime settimane: "Siamo consapevoli che più l'inflazione resta a questi livelli molto bassi, maggiori sono i rischi di deflazione - dice - siamo pronti e intenzionati ad agire se necessario". Ad ascoltare l'intervento di Draghi, c'è il gotha finanziario globale. Mark Carney, governatore della Banca d'Inghilterra, e Haruhiko Kuroda, il capo della Bank of Japan che rivendica la ripresa dell'inflazione (all'1,2%) grazie a una liquidità record creata dall'istituto centrale. C'è anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, che pungolato sulla mutualizzazione dei debiti pubblici dell'Eurozona, che vedrebbe di fatto la Germania garantire i più deboli, rilancia la sfida: "Facciamo una politica di bilancio comune. Allora potremmo muoverci". Ma ricorda: in Europa le decisioni richiedono tempo.

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    Usa. Soddisfazione dei vescovi per la sentenza che sospende la riforma sanitaria per gli enti religiosi

    ◊   I vescovi degli Stati Uniti accolgono con favore la decisione della Corte suprema di confermare per gli enti religiosi il blocco temporaneo dell’entrata in vigore del cosiddetto Obamacare, la discussa norma che rende obbligatoria per tutti i datori di lavoro la sottoscrizione di piani assicurativi sanitari che prevedono anche il rimborso di servizi abortivi e contraccettivi. Il presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Louisville, Joseph Edward Kurtz, in una dichiarazione pubblicata anche sul sito in rete della Conferenza episcopale, sostiene che «i vescovi degli Stati Uniti danno il benvenuto alla protezione che la Corte dà a ministri come le Little Sisters il cui fondamentale lavoro è il cuore di ciò che significa essere cattolico». Il riferimento – riferisce L’Osservatore Romano - è alla congregazione delle Little Sisters of the Poor di Denver che hanno intentato ricorso contro l’entrata in vigore del provvedimento statale. La Corte suprema, che già il 31 dicembre scorso si era pronunciata per una prima sospensione, ha pertanto deciso che non è possibile imporre la copertura assicurativa in attesa del pronunciamento della Corte d’appello federale. Il massimo organo giudiziario statunitense, come chiarisce anche il sito dell’episcopato, ha infatti stabilito che i gruppi che si oppongono al provvedimento — organizzazioni no-profit o di natura religiosa — devono motivare per iscritto la loro posizione al Dipartimento di salute e servizi umani. E, fintanto che l’iter giudiziario sarà in corso, tali gruppi saranno esentati dall’applicazione dell’ “Obamacare”. Sono infatti una novantina, in tutto il Paese, le cause portate davanti alle Corti federali da parte di singoli e aziende a gestione religiosa che contestano le linee guida diffuse dal Dipartimento di salute e servizi umani. Una prima vittoria, come accennato, si era avuta già lo scorso 31 dicembre, quando, proprio su ricorso delle Little Sisters of the Poor, la Corte suprema aveva sospeso l’entrata in vigore della normativa contestata. Contro quel provvedimento il Dipartimento di giustizia americano aveva a sua volta presentato un ricorso, aprendo di fatto un conflitto istituzionale. Per i legali del Governo statunitense, infatti, il discusso provvedimento già contiene alcune clausole che vengono incontro alle esigenze dei gruppi che hanno fatto ricorso, mentre sul principio generale di fornitura di copertura assicurativa da parte dell’Amministrazione non c’è alcuna intenzione di compiere passi indietro. In precedenza, l’arcivescovo Kurtz, con una lettera, aveva chiesto al presidente Barack Obama di esentare le istituzioni religiose dalle pesanti sanzioni — cento dollari al giorno per dipendente — previste dal Dipartimento di salute e servizi umani per quanti non prevedono per i dipendenti le coperture assicurative obbligatorie. Il presule aveva chiesto di prendere in considerazione le decisioni di numerosi tribunali che già hanno accettato alcuni ricorsi presentati da istituzioni a carattere religioso. Ma, dopo due giorni di riflessione, il Dipartimento di giustizia ha deciso di presentare un documento che si oppone con forza alla decisione di sospensiva della Corte suprema, che però ha poi deciso per un nuovo stop.


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 26

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.