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Sommario del 24/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Rota Romana: giustizia non sia legalistica, dietro ogni pratica c'è una persona
  • Incontro tra Papa Francesco e Hollande: impegno a mantenere dialogo regolare tra Stato e Chiesa
  • Papa Francesco: con gli altri costruire sempre ponti di dialogo non muri di risentimento
  • Tweet del Papa: viviamo il nostro Battesimo ogni giorno, come nuove creature, rivestiti di Cristo
  • P. Spadaro: per Papa Francesco comunicare non è routine, è una sfida appassionante
  • Nomine episcopali negli Stati Uniti e in Germania
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Triplice attentato in Egitto. Almeno 5 morti, rivendicazione di un gruppo jihadista
  • Siria: strada in salita alla Conferenza di pace. Damasco minaccia il ritiro della delegazione
  • Sud Sudan: firmata la tregua tra governo e ribelli
  • Davos. Rohani: stop alle sanzioni e via libera a investimenti stranieri
  • Incendio in un residence di immigrati a Roma, P. La Manna: accoglienza sia dignitosa e sicura
  • Presentato il Libro bianco su "Media e minori" stilato da Censis e Agcom
  • Unità dei cristiani. L'esperienza di una reverenda anglicana: è cammino di "guarigione"
  • Dedicata a S. Ignazio di Loyola la seconda lettura teologica della diocesi di Roma
  • Wojtyla-Kluger, la Lev presenta il libro “Il Papa e l’amico ebreo” di Svidercoschi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Messaggio del Patriarca Twal per la VI Giornata di preghiera per la pace in Terra Santa
  • Messaggio degli episcopati europei per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani
  • Giordania. Missione sanitaria dell'Ospedale Bambino Gesù: assistiti più di 150 bambini
  • India: per le elezioni i vescovi lanciano un appello contro la corruzione
  • Perù: appello della Chiesa in vista della sentenza sul contenzioso marittimo con il Cile
  • Venezuele. Il card. Urosa: la mancanza di carta per i giornali mette in pericolo la democrazia
  • Sud Corea: prima uscita del futuro card. Yeom Soo-jung nel segno di Papa Francesco
  • Myanmar. Appello Onu: indagini “approfondite” sulle violenze contro i Rohingya
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Rota Romana: giustizia non sia legalistica, dietro ogni pratica c'è una persona

    ◊   Anche l’ufficio giudiziario è un servizio al Popolo di Dio e alla comunione fra i fedeli. E’ quanto affermato da Papa Francesco, stamani, nell’udienza ai membri del Tribunale della Rota Romana. Il Pontefice ha sottolineato che il giudice ecclesiastico non deve praticare una giustizia legalistica e astratta, ma deve sempre guardare alla persona. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal decano della Rota, mons. Pio Vito Pinto, il quale ha riferito che, quest'anno, il Tribunale ha “deciso quasi 400 cause, più del doppio degli anni precedenti”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    L’ufficio giudiziario è una “vera diaconia”, “un vero servizio al Popolo di Dio” in vista della “piena comunione tra i singoli fedeli”. Nell’udienza alla Rota Romana, Papa Francesco ha esordito così per sottolineare subito che non c’è contrapposizione tra “la dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale”. Del resto, ha osservato, il ministero specifico dei giudici della Rota offre “un competente contributo per affrontare le tematiche pastorali emergenti”. Quindi, il Papa ha tracciato un profilo ideale del giudice ecclesiastico, partendo dall’aspetto umano. Dimensione, ha detto, che si “esprime nella serenità di giudizio e nel distacco da vedute personali”:

    “Fa parte anche della maturità umana la capacità di calarsi nella mentalità e nelle legittime aspirazioni della comunità in cui si svolge il servizio. Così egli si farà interprete di quell’animus communitatis che caratterizza la porzione di Popolo di Dio destinataria del suo operato e potrà praticare una giustizia non legalistica e astratta, ma adatta alle esigenze della realtà concreta”.

    Di conseguenza, ha proseguito, non ci si accontenterà di “una conoscenza superficiale della realtà delle persone che attendono il suo giudizio”, ma il giudice “avvertirà la necessità di entrare in profondità nella situazione delle parti in causa”. Il secondo aspetto, ha poi affermato, è quello giudiziario:

    “Oltre ai requisiti di dottrina giuridica e teologica, nell’esercizio del suo ministero il giudice si caratterizza per la perizia nel diritto, l’obiettività di giudizio e l’equità, giudicando con imperturbabile e imparziale equidistanza. Inoltre nella sua attività è guidato dall’intento di tutelare la verità, nel rispetto della legge, senza tralasciare la delicatezza e umanità proprie del pastore di anime”.

    Il terzo aspetto, è stata la riflessione del Papa, è quello pastorale. “In quanto espressione della sollecitudine pastorale del Papa e dei vescovi – ha affermato – al giudice è richiesta non soltanto provata competenza, ma anche genuino spirito di servizio”. Il giudice della Rota, ha soggiunto, è chiamato ad imitare il Buon Pastore “che si prende cura della pecorella ferita”, “animato dalla carità pastorale”:

    “Siete essenzialmente pastori. Mentre svolgete il lavoro giudiziario, non dimenticate che siete pastori! Dietro ogni pratica, ogni posizione, ogni causa, ci sono persone che attendono giustizia”.

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    Incontro tra Papa Francesco e Hollande: impegno a mantenere dialogo regolare tra Stato e Chiesa

    ◊   Questa mattina Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica Francese, François Hollande, Il capo dell’Eliseo ha poi incontrato il segretario di Stato vaticano, mons. Pietro Parolin, e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. In fine mattinata, Hollande ha tenuto una conferenza stampa. Il servizio di Sergio Centofanti:

    “Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - è stato rilevato il contributo della religione al bene comune. Nel richiamare i buoni rapporti esistenti tra la Francia e la Santa Sede, è stato ribadito il reciproco impegno a mantenere un dialogo regolare tra lo Stato e la Chiesa cattolica e a collaborare costruttivamente nelle questioni di interesse comune. Nel contesto della difesa e della promozione della dignità della persona umana, si sono passati in rassegna alcuni argomenti di attualità, quali la famiglia, la bioetica, il rispetto delle comunità religiose e la tutela dei luoghi di culto. La conversazione è proseguita su temi di carattere internazionale, quali la povertà e lo sviluppo, le migrazioni e l’ambiente”. Infine – conclude il comunicato – “ci si è soffermati, in particolare, sui conflitti in Medio Oriente e in alcune regioni dell’Africa, auspicando che, nei diversi Paesi interessati, la pacifica convivenza sociale possa essere ristabilita attraverso il dialogo e la partecipazione di tutte le componenti della società, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle minoranze etniche e religiose”. A questo proposito, in conferenza stampa Hollande ha sottolineato:

    “La France est mobilisée pour que les chrétiens restent là où ils ont toujours …
    La Francia è mobilitata, perché i cristiani rimangano là dove sono sempre vissuti per secoli e perché non prendano la strada dell’esilio. I cristiani d'oriente devono essere ovunque sostenuti e protetti".

    Commovente l’abbraccio del Papa con padre George Vandenbeusch, il sacerdote francese rapito in Camerun da un gruppo islamista e liberato alla fine del dicembre scorso e che ha accompagnato il presidente Hollande in Vaticano. Papa Francesco - ha affermato padre Georges - mi ha detto di aver pensato e pregato per me durante il mio sequestro.

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    Papa Francesco: con gli altri costruire sempre ponti di dialogo non muri di risentimento

    ◊   Non è facile costruire il dialogo con gli altri, specie se da loro ci divide un rancore. Ma il cristiano cerca sempre questa strada di ascolto e riconciliazione, con umiltà e mitezza, perché è ciò che ha insegnato Gesù. È il pensiero di sintesi dell’omelia tenuta da Papa Francesco alla Messa mattutina in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Mi spezzo ma non mi piego, afferma una certa saggezza popolare. Mi piego pur di non spezzare, suggerisce la sapienza cristiana. Due modi di intendere la vita: il primo, con la sua durezza, facilmente destinato ad alzare muri di incomunicabilità tra le persone, fino alla degenerazione dell’odio. Il secondo incline a gettare ponti di comprensione, anche dopo un diverbio, una lite. Ma, avverte Papa Francesco, a patto di ricercare e praticare “l’umiltà”. L’omelia a Casa Santa Marta è una prosecuzione di quella di ieri. Al centro della lettura liturgica, e della riflessione del Papa, ancora lo scontro tra il Re Saul e Davide. Il secondo, a un tratto, ha l’occasione di uccidere il primo ma, osserva Papa Francesco, sceglie “un’altra strada: la strada di avvicinarsi, di chiarire la situazione, di spiegarsi. La strada del dialogo per fare la pace”:

    “Per dialogare è necessaria la mitezza, senza gridare. E necessario anche pensare che l’altra persona ha qualcosa di più di me, e Davide lo pensava: ‘Lui è l’unto del Signore, è più importante di me’. L’umiltà, la mitezza… Per dialogare, è necessario fare quello che abbiamo chiesto oggi nella preghiera, all’inizio della Messa: farsi tutto a tutti. Umiltà, mitezza, farsi tutto a tutti e anche – però non è scritto nella Bibbia – tutti sappiamo che per fare queste cose bisogna ingoiare tanti rospi. Ma, dobbiamo farlo, perché la pace si fa così: con l’umiltà, l’umiliazione, cercando sempre di vedere nell’altro l’immagine di Dio”.

    “Dialogare è difficile”, riconosce Papa Francesco. Ma peggio del tentare di costruire un ponte con un avversario è lasciar ingigantire nel cuore il rancore verso di lui. In questo modo, afferma, restiamo “isolati in questo brodo amaro del nostro risentimento”. Un cristiano, invece, ha per modello Davide, che vince l’odio con “un atto di umiltà”:

    “Umiliarsi, e sempre fare il ponte, sempre. Sempre. E questo è essere cristiano. Non è facile. Non è facile. Gesù lo ha fatto: si è umiliato fino alla fine, ci ha fatto vedere la strada. Ed è necessario che non passi tanto tempo: quando c’è il problema, il più presto possibile, nel momento in cui si possa fare, dopo che è passata la tormenta, avvicinarsi al dialogo, perché il tempo fa crescere il muro, come fa crescere l’erba cattiva che impedisce la crescita del grano. E quando i muri crescono è tanto difficile la riconciliazione: è tanto difficile!”.

    Non è un problema se “alcune volte volano i piatti” – “in famiglia, nelle comunità, nei quartieri” – ripete Papa Francesco. L’importante è “cercare la pace il più presto possibile”, con una parola, un gesto. Un ponte piuttosto che un muro, come quello che per tanti anni ha diviso Berlino. Perché “anche, nel nostro cuore – dice Papa Francesco – c’è la possibilità di diventare Berlino con il Muro con altri”:

    “Io ho paura di questi muri, di questi muri che crescono ogni giorno e favoriscono i risentimenti. Anche l’odio. Pensiamo a questo giovane Davide: avrebbe potuto vendicarsi perfettamente, avrebbe potuto mandare via il re e lui ha scelto la strada del dialogo, con l’umiltà, la mitezza, la dolcezza. Oggi, possiamo chiedere a San Francesco di Sales, Dottore della dolcezza, che dia a tutti noi la grazia di fare ponti con gli altri, mai muri”.

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    Tweet del Papa: viviamo il nostro Battesimo ogni giorno, come nuove creature, rivestiti di Cristo

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi questo tweet: “Siamo chiamati – scrive - a vivere il nostro Battesimo ogni giorno, come nuove creature, rivestiti di Cristo”.

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    P. Spadaro: per Papa Francesco comunicare non è routine, è una sfida appassionante

    ◊   Prossimità, incontro, dialogo. Sono alcune delle parole chiavi del Messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata delle Comunicazioni Sociali. Il documento, pubblicato ieri, ruota intorno alla figura del Buon Samaritano indicato dal Pontefice come modello per i comunicatori. Per un commento sul Messaggio, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro:

    R. – Certamente Papa Francesco è un Pontefice che ama molto la comunicazione, perché ha uno stile pastorale di contatto diretto con le persone. Quindi, per lui comunicazione significa incontro. La cultura della comunicazione è in diretta collisione con la cultura dello scarto, quindi della divisione, delle divisioni di tipo economico, ideologico. La comunicazione - e l’incontro - è al centro, è al cuore della visione bergogliana della vita e della Chiesa. Se dovessi riassumere, dunque, il concetto di fondo di questo testo direi che per lui comunicare appunto è incontrare, cioè farsi prossimo. C’è una sorta di rivoluzione copernicana della comunicazione, dove al centro non c’è il messaggio, ma ci sono le persone che comunicano. Questo è molto moderno, molto contemporaneo, perché noi sappiamo che le reti oggi costruiscono una comunicazione tutta centrata sulle relazioni. Se non ci sono relazioni, quindi, non si comunica.

    D. – Il Papa indica un modello, che può sembrare originale per un giornalista, per un comunicatore, quello del Buon Samaritano, e poi aggiunge: “Mi piace definire questo potere della comunicazione come prossimità”. Appunto, la prossimità è al centro...

    R. – La prossimità è esattamente al centro! L’immagine quindi del Buon Samaritano è un’immagine molto forte che, peraltro, già l’allora cardinale Bergoglio aveva utilizzato nel 2002, parlando ai comunicatori di Buenos Aires. Questo messaggio è il frutto di una meditazione e di una riflessione lunga su questo tema. Ed è molto bello come la parabola evangelica diventi modello di riferimento per un comunicatore. Il Buon Samaritano si fa prossimo e cura le ferite, cura le piaghe, aiuta chi è in difficoltà. Questo concretamente significa per un comunicatore cristiano dare voce a chi non ha voce, rendere visibile il volto di chi è invisibile.

    D. – In questo messaggio, come peraltro negli ultimi messaggi di Papa Benedetto, si parla molto di Internet. Papa Francesco utilizza un’immagine molto bella: “La rete digitale – dice – può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili, ma di persone umane”...

    R. – Questo è un altro concetto centrale, perché appunto la comunicazione è una comunicazione tra persone innanzitutto. La Rete, quindi, non è come la rete idrica o la rete del gas, ma la Rete costruisce un ambiente comunicativo. In realtà, è come se il Papa dicesse che la Rete non esiste, Internet non esiste: è la nostra vita, siamo noi, esseri umani, ad essere in Rete! La nostra vita è una rete di relazioni. Poi i fili e i cavi, se vogliamo, ci aiutano ovviamente, anzi devono aiutarci – è questa la vocazione della Rete – ad essere più uniti, ad avere una comunicazione più diretta, che sia anche in grado di superare le barriere e gli ostacoli. C’è una visione cristiana forte, una visione quasi profetica della Rete. La Rete è intesa come dono di Dio agli uomini, perché grazie a questa gli uomini possono essere più uniti.

    D. – Una parte consistente di questo messaggio è dedicata al dialogo e ovviamente in questo caso non ci si riferisce soltanto al dialogo dei comunicatori. “Dialogare - scrive Papa Francesco - non significa rinunciare alle proprie idee, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute”. Qui, in qualche modo, si coglie anche la cifra del suo Pontificato...

    R. – Assolutamente, perché il dialogare significa parlare con una persona non per convincerla delle proprie idee, questo non è un dialogo: dialogare significa confrontarsi con le persone, sapendo che l’altro può aiutare me a capire meglio. Possiamo insieme camminare verso l’unica verità. Allora, arroccarsi dentro idee personali o tradizioni linguistiche, partitiche e così via significa impedire questa fluidità di comunicazione. E’ un tema molto, molto caro a Papa Francesco, che più volte ha detto che la Chiesa deve inserirsi nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, proprio per comprenderne meglio le attese, le speranze e i dubbi. Lo stile del dialogo, quindi, è proprio uno stile radicale, intendendo per stile non solo un modo di fare, ma proprio l’essenza stessa del Vangelo, l’apertura al mondo.

    D. – E proprio l’apertura, l’orizzonte e lo sguardo verso il futuro conclude questo messaggio, laddove il Papa afferma “La rivoluzione dei mezzi di comunicazione richiede energie fresche e un’immaginazione nuova”. Anche qui c’è una spinta ad uscire fuori, uno slancio che il Papa dà ai comunicatori…

    R. – Il Papa dice una cosa qui molto importante, che la comunicazione è una sfida appassionante – è una sua espressione – che appunto richiede energie. Non si può, quindi, affidare la comunicazione ad una routine meccanica, da ufficio stampa che si ferma solo a comunicare delle frasi fatte. Richiede, dunque, energie, voglia di comunicare, intensità, ma anche un’immaginazione nuova. Questo è molto interessante, cioè bisogna vedere le cose in maniera differente. L’immaginazione cristiana è un’immaginazione - grazie all’immagine del Buon Samaritano - in grado di plasmare, di dare forma ad una comunicazione che significa anche un modo di vivere insieme. Il Papa parla a volte nell’Evangelii Gaudium di una marea un po’ caotica, di una sorta di “carovana solidale” in cui ci troviamo immersi. Sono tutte immagini che colpiscono l’uomo di oggi, ma che dicono come la Chiesa debba mischiarsi, debba impastarsi con questa umanità per comunicare il messaggio del Vangelo.

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    Nomine episcopali negli Stati Uniti e in Germania

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto, nel corso della mattinata, mons. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Negli Stati Uniti, papa Francesco ha nominato Vescovo di Harrisburg mons. Ronald William Gainer, finora Vescovo di Lexington. Il presule è nato a Pottsville (Pennsylvania), nella diocesi di Allentown, il 24 agosto 1947. Dopo aver frequentato la scuola elementare parrocchiale “Mary, Queen of Peace” e la “Nativity B.V.M. High School”, entrò nel Seminario Arcidiocesano di Philadelphia, San Carlo Borromeo in Overbrook, dove conseguì il “Master of Divinity”. In seguito fu inviato a Roma come alunno del Pontificio Collegio Americano del Nord, Casa Santa Maria, ed ottenne la licenza in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana (1986). Fu ordinato sacerdote il 19 maggio 1973 per la diocesi di Allentown. Ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale nella “Saint Bernard Parish” in Easton (1973-1975), Cappellano alla “Kutztown University” (1975-1978), Vicario Parrocchiale nella “Saint Catherine of Siena Parish” in Reading (1979-1980), Segretario del Tribunale Diocesano (1980-1983), Segretario Personale del Vescovo, S.E. Mons. Joseph McShea (1983-1984), Parroco della “Holy Trinity Parish” in Whitehall (1986-1999), Vicario Giudiziale (1986-2002), Segretario per la Vita Cattolica e l’Evangelizzazione (1999-2000), Cappellano delle Religiose Carmelitane dell’Antica Osservanza. Mons. Gainer è stato inoltre Membro del Consiglio Presbiterale e Consultore Diocesano. Nominato Vescovo di Lexington (Kentucky) il 13 dicembre 2002, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 febbraio successivo.

    Sempre negli Stati Uniti, il Papa ha nominato ausiliare di Sacramento mons. Myron Joseph Cotta, del clero della diocesi di Fresno, finora vicario generale e Moderatore della Curia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Muteci. Mons. Cotta è nato il 21 marzo 1953 a Dos Palos (California), nella diocesi di Fresno. Dopo aver frequentato la Bryant Elementary School, la Sacred Heart Catholic School e la Dos Palos Joint Union High School a Dos Palos, ha ottenuto l’Associates Degree presso il West Hills Junior College a Coalinga (1973). Entrato nel Seminario nel 1980, ha svolto gli studi ecclesiastici presso il Seminario Saint John a Camarillo (fino al 1987). È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Fresno il 12 settembre 1987. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Saint Anthony Parish ad Atwater (1987-1989); Amministratore del Santuario Our Lady of Fatima a Laton (1989-1992); Parroco della Our Lady of Miracles Parish a Gustine (1992-1999) e al contempo Amministratore Parrocchiale della Holy Rosary Parish a Hilmar (1994); Vicario Generale, Moderatore della Curia, Vicario per il Clero, Direttore dell’Ufficio per la Formazione Permanente del Clero, Direttore dell’Ufficio per la Propagazione della Fede, Direttore del Pastoral Support of Priests, Supervisore del Safe Environment Program, Direttore del Sensitive Claim Board e Membro del Diocesan Finance Council (1999-2010); Amministratore Diocesano (2010-2011); Membro del Diocesan Personnel Board (dal 1996); Consultore Diocesano (dal 1999); Vicario Generale e Moderatore della Curia (dal 2011). Nel 2002 è nominato Cappellano di Sua Santità e, nel 2008, Prelato d’Onore. Oltre l’inglese, conosce il portoghese e lo spagnolo.

    In Germania, il Pontefice ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Bamberg il sacerdote Herwig Gössl, del clero della medesima arcidiocesi, finora vicerettore del Seminario Maggiore delle diocesi di Bamberg e Würzburg, assegnandogli la sede titolare vescovile di Balecio. Il neo presule è nato il 22 febbraio 1967 a Monaco di Baviera. Ha compiuto gli studi filosofici-teologici presso le Università di Bamberg e di Innsbruck. È stato ordinato sacerdote il 26 giugno 1993, incardinato nell’arcidiocesi di Bamberg. Dopo il servizio pastorale in diverse parrocchie a Bayreuth, Hannberg e Weisendorf, nel 2006 è stato nominato Parroco del raggruppamento parrocchiale di Erlangen Nord-West. Nel 2007, è stato nominato Vice-rettore del Seminario Maggiore di Bamberg e membro della Commissione liturgica diocesana. Nel 2008, infine, è stato nominato anche Vice-Rettore del Seminario di Würzburg e Responsabile della pastorale vocazionale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Giudici ma soprattutto pastori: Papa Francesco al tribunale della Rota romana.

    Cooperazione per rafforzare la pace: l’arcivescovo Dominique Mamberti per i trent’anni delle relazioni diplomatiche fra Santa Sede e Stati Uniti.

    Così s’impara a guardare con gli occhi dell'altro: Gregory J. Fairbanks sui rapporti con il Consiglio ecumenico delle Chiese e l’Alleanza battista mondiale.

    Con Cristo diviso in realtà siamo morti: Gennadios Zervos, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, sottolinea che il cammino ecumenico è indispensabile per rispondere ai bisogni dell’uomo.

    Giocare in attacco e sudar la camiseta: Jorge Milia spiega come parla Jorge Mario Bergoglio.

    Come al tempo degli apostoli: Cristian Martini Grimaldi illustra la diffusione del cristianesimo in Corea dopo la persecuzione del 1801.

    Quel paradiso nascosto nel cuore del lazzaretto di Milano: Giuseppe Langella sulla simbologia della due città nei “Promessi sposi”.

    La maestà del tornare alla vita: l’iconografia della resurrezione di Tabita nella basilica di San Pietro.

    Dalla mummia in poi: l’inviata Rossella Fabiani sulla settimana del cinema egiziano ed europeo di Luxor.

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    Oggi in Primo Piano



    Triplice attentato in Egitto. Almeno 5 morti, rivendicazione di un gruppo jihadista

    ◊   Una serie di attentati ha scosso stamattina il Cairo, con un bilancio di almeno 5 morti e 50 feriti. Tre le esplosioni avvenute nella capitale egiziana, proprio nel giorno in cui ricorre la vigilia del terzo anniversario della caduta del regime di Hosni Mubarak. In uno degli attacchi “sono stati utilizzati - riferiscono i militari - almeno 500 chilogrammi di esplosivo”. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    A rivendicare via Twitter gli attentati, il gruppo jihadista Ansar beyt el Makdes, già autore di numerose violenze nel Sinai. “Questo attacco – si legge nel testo – è diretto contro le forze di sicurezza, infedeli e sanguinarie”. Un chiaro monito ai militari, colpevoli della deposizione del presidente Morsi e dell'eliminazione dalla scena politica dei Fratelli Musulmani. Attacchi che giungono – e non è un caso – alla vigilia del terzo anniversario della caduta del regime di Hosni Mubarak, e che fanno piombare la capitale egiziana nel terrore. E’ la prima volta, infatti, che il Cairo subisce un attentato con un’autobomba, caricata con almeno 500 chilogrammi di tritolo, a cui sono seguite altre due deflagrazioni, causate da ordigni esplosivi. Abdeen, Dokki, e Talebiya sono i quartieri colpiti. In tutti e 3 i casi ad essere prese di mira sono state strutture della polizia. A Talebiya l’esplosione più grave, perché si è verificata sulla strada principale che porta alle piramidi di Giza. Il bilancio – tengono a precisare i soccorritori – è purtroppo provvisorio. In queste ore, infatti, si sta lavorando tra le macerie sotto le quali potrebbero esserci altri morti. A Bab al Khalq, l'esplosione ha danneggiato anche il museo islamico e sventrato altri palazzi circostanti.


    Il Cairo, dunque, piomba nel terrore. Per la prima volta un’autobomba entra in azione in città. Un segnale non certo di distensione, in un momento particolare per questo Paese, che sta cercando una già difficile strada verso la normalizzazione. Ne abbiamo parlato con Ugo Tramballi, inviato del quotidiano “Il Sole 24 Ore”:

    R. - Non è la prima volta che accade un attentato di questo genere. Ce ne sono già stati altri nelle scorse settimane: questo è più sofisticato! Dimostra anche una preparazione militare e una volontà di colpire gli obiettivi che è molto, molto pericolosa.

    D. - Ad essere prese di mira, infatti, sono le forze di sicurezza, le stesse che stanno tracciando - diciamo - la strada del cambiamento. Tutto questo può rallentare questo processo?

    R. - Le forze di sicurezza non stanno tracciando la strada del cambiamento, ma - al contrario! - stanno ritornando e facendo ritornare l’Egitto a prima di Piazza Tahrir, tre anni fa. E questo è il problema! Non si può non tenere conto che questo fondamentalismo e questo terrorismo islamico siano anche la conseguenza delle politiche dei militari egiziani, del generale al-Sisi, che hanno tolto qualsiasi spazio politico, democratico e civile ai Fratelli musulmani: una frangia dei quali, fatalmente, si sente attratta dal terrorismo politico.

    D. - A rivendicare via Twitter gli attentati di questa mattina è un gruppo jihadista che è già autore di numerosi attacchi nel Sinai. Chi sono?

    R. - Oramai non c’è un solo elemento: oramai questi gruppi jihadisti sono una specie di internazionale del terrore islamico che si muove dove c’è terreno fertile: hanno combattuto in Iraq, in Afghanistan, in Siria. Il Sinai era il ventre molle da tempo e da molto tempo anche con la colpevole responsabilità del governo dei Fratelli musulmani e ora dal Sinai queste forze si riverberano anche in queste città immense, come il Cairo. Non dimentichiamo che comunque i Fratelli musulmani avevano e continuano ad avere un amplissimo consenso popolare, molto capillare, sia nelle campagne che nelle grandi città.

    D. - C’è ancora spazio per il dialogo o è davvero troppo tardi?

    R. - Temo di no! Temo che oramai si vada sempre di più verso lo scontro e sempre più forte. Io temo che il generale al-Sisi, che ha già anticipato le elezioni presidenziali per il mese di marzo, anziché la prossima estate, si candiderà: e non solo si candiderà alla presidenza e prenderà un voto plebiscitario, ma si candiderà senza dimettersi dalle Forze Armate. Quindi avremo un generale che comanderà in un Paese importantissimo ed essenziale per il Mediterraneo.

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    Siria: strada in salita alla Conferenza di pace. Damasco minaccia il ritiro della delegazione

    ◊   Posizioni ancora distanti fra governo e opposizione siriana alla Conferenza di pace che, oggi, si è spostata a Ginevra, dopo la fase svoltasi a Montreux. Damasco non accetterà la richiesta dell'opposizione di formare un governo di transizione, ha dichiarato il ministro dell'Informazione, Omran Zoabi. Senza questo, invece, l’opposizione ribadisce che non avrà colloqui diretti. Gli incontri con le due delegazioni siriane si svolgono, dunque, separatamente. Il servizio di Debora Donnini:

    "Non accetteremo questa richiesta". E’ netta la risposta del governo siriano all’opposizione che chiede un esecutivo di transizione e ribadisce che non ci saranno colloqui diretti con Damasco fino a quando non adotterà formalmente il comunicato del 30 giugno 2012 della cosiddetta "conferenza di Ginevra 1" che chiedeva, appunto, la formazione di un governo di transizione. Netto anche il vice ministro degli esteri siriano, Faysal Miqdad: "Sogna - afferma - chi pensa di discutere la rimozione del presidente Bashar al Assad". I delegati siriani di entrambe le parti oggi non siedono, dunque, al tavolo delle trattative insieme, nonostante gli sforzi del mediatore delle Nazioni Unite e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, che nel pomeriggio incontra l’opposizione. In mattinata aveva parlato con la delegazione del governo di Assad, guidata dal ministro degli esteri siriano. Walid Muallem ha intimato che o il confronto diventerà serio entro domani o i rappresentanti di Damasco lasceranno Ginevra. Strada in salita, dunque, alla Conferenza dove prosegue comunque il lavoro della diplomazia.

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    Sud Sudan: firmata la tregua tra governo e ribelli

    ◊   Stop al conflitto in Sud Sudan. Dopo oltre un mese di combattimenti, siglato ad Addis Abeba il cessate il fuoco tra la delegazione del presidente Salva Kiir e quella dei ribelli fedeli all'ex vicepresidente Riek Machar. Secondo fonti delle Nazioni Unite, sono migliaia i morti e oltre mezzo milione i profughi. Il cessate il fuoco dovrà entrare in vigore nelle prossime ore, anche se stamani i ribelli hanno denunciato di avere subito un attacco. Notizia negata da fonti governative. Filippo Passantino ne ha parlato con il direttore di Nigrizia, Efrem Tresoldi, il mensile dei missionari comboniani dedicato al continente africano:

    R. - Bisogna tirare un sospiro per questo accordo sul cessate il fuoco che è stato raggiunto dopo settimane di dialoghi preliminari tra le due fazioni, quella fedele al governo di Salva Kiir e quella dei ribelli legati a Riek Machar, l’ex vice primo ministro. Quindi è senz’altro un passo positivo. Dobbiamo però essere molto cauti - come lo sono state tutte le agenzie - perché la tensione nel Paese rimane molto alta. A questo va aggiunto anche il fatto che c’è un certo scetticismo riguardante la possibilità di controllare effettivamente i vari gruppi ribelli del Paese, alcuni dei quali non sono più disposti a lasciare le armi e quindi ad obbedire a questo cessate il fuoco.

    D. - Serve qualcosa di più per ripristinare la pace nel Paese?

    R. - Bisogna vedere fino a che punto funzioneranno - come è previsto nell’accordo - i vari meccanismi di monitoraggio per l’implementazione dell'accordo stesso. Poi l’altra cosa, è assicurare che i corridoi umanitari vengano effettivamente realizzati in modo da poter portare soccorso a circa mezzo milione di sfollati. È importante, per fare di più, che ci sia veramente una presenza anche da parte della Comunità internazionale sul campo attraverso le varie organizzazioni di assistenza sanitaria e umanitaria e attraverso una presenza forte, politica in modo tale da sostenere questo processo di pace appena iniziato.

    D. - La liberazione degli 11 detenuti vicini a Machar è una buona condizione per il ritorno alla pace?

    R. - Senz’altro! Questo era uno dei punti più spinosi che ha ritardato l’accordo. Infatti il governo di Salva Kiir insisteva nel dire che non venivano liberati fino a quando ci sarebbe stato un legale processo nei loro confronti, mentre dall’altra parte volevano la liberazione immediata. Quindi questo scoglio potrebbe essere superato, anche se qui bisogna essere molto cauti, com pure il fatto che l’Uganda finalmente ritiri le truppe che sono state poste a sostegno del governo per la liberazione di almeno due città come Bentiu, Bor e forse Malakal.

    D. - Anche la Casa bianca ha espresso felicitazioni per il cessate il fuoco?

    R. - Anche questo è importante. È un segnale che dovrebbe provenire anche da altre cancellerie europee in modo tale che coloro che veramente amano e credono nella pace si sentano sostenuti da questa solidarietà internazionale.

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    Davos. Rohani: stop alle sanzioni e via libera a investimenti stranieri

    ◊   I "big" della politica e dell’economia mondiale, riuniti al Forum economico globale a Davos, fanno sapere di aver raggiunto oggi un’intesa per perseguire un mercato internazionale che non contrasti con le esigenze dell’ambiente, considerati i cambiamenti climatici. Dalle prime notizie, si tratterebbe di una dichiarazione congiunta tra Stati Uniti, Unione Europea con l’appoggio anche della Cina e di alcuni Paesi minori. L’obiettivo è portare l’iniziativa a livello del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Ma al centro dei dibattiti a Davos resta la questione della ripresa economica a livello mondiale. Fausta Speranza ne ha parlato con il prof. Carlo Altomonte, docente di politiche economiche all'Università Bocconi:

    R. – Prima della crisi, i tassi di crescita mondiale erano intorno al 5%, per Europa e Stati Uniti tra il 2% e il 3%, e ne stiamo uscendo con tassi di crescita che non saranno superiori al 4%, mentre l’Europa sarà all’1% e gli Stati Uniti intorno all’1.5-2%. Questo evidentemente impedisce un veloce riassorbimento della disoccupazione e preoccupa sulla tenuta dei sistemi di stato sociale.

    D. – I "grandi" dell’economia e della politica mondiale ne stanno discutendo, ma che cosa sta emergendo di concreto?

    R. – Il tema è ovviamente quello di come sostenere, da un lato, la crescita con tutto quello che ne consegue soprattutto in Europa in termini di riforme, e quindi in termini di sostegno alla ricerca, alla produttività. C’è un’iniziativa presentata dalla Commissione europea sull’industria per il rilancio della manifattura e lo sfruttamento delle nuove tecnologie: dovrebbe consentire di produrre anche nei Paesi avanzati a costi molto ridotti. Dall’altro lato, c’è tutto il tema della politica monetaria: cioè, quanto velocemente uscire dalle politiche monetarie iperespansive senza creare eccesso di volatilità sui mercati emergenti, come è capitato nello scorso mese di giugno–luglio, quando un solo annuncio della Banca Centrale statunitense, la Fed, ha fatto precipitare la valuta indiana del 30%. Quindi, bisogna evitare questa volatilità e gestire questa fase delicata di uscita dalla crisi sostenendo la crescita e impedendo, per l'appunto, questa volatilità.

    D. – Sta emergendo un vero confronto a suo avviso a Davos?

    R. – Direi di no, nel senso che i mercati emergenti sono meno emergenti di prima. Scontano un po’ alcune debolezze strutturali, mentre i mercati avanzati sono sicuramente in una fase di ripresa più concreta. Quindi, quello che poteva essere inizialmente un disequilibrio negli anni scorsi – per la presenza dei Paesi emergenti che pensavano di aver capito tutto e quindi, in qualche modo, mal sopportavano la storica ingerenza dei Paesi avanzati – oggi si è attenuato. Forse, siamo tutti su posizioni un po’ più vicine e quindi questo ci consente di aprire un dialogo che, se secondo me, può essere interessante.

    D. – A proposito di Paesi emergenti, la presidente del Brasile, Rousseff, è arrivata al World economic forum di Davos per la prima volta dal suo mandato. Di solito, non mancava mai al social forum di Porto Alegre, considerato l’evento anti-Davos per eccellenza, ma non veniva a Davos. Che dire di questa presenza?

    R. – Come dicevo prima, stanno venendo a patti con la realtà dei fatti, nel senso che prima forse il Brasile si poteva permettere di non essere presente a Davos, mentre oggi – con un’economia che cresce poco più del 3% contro un potenziale del 5-6% – è evidente che il Paese abbia bisogno del sostegno degli altri e di essere ben dentro la gestione coordinata delle politiche post-crisi, altrimenti il Brasile ha non pochi problemi. Quello che sta un po’ emergendo è che i "Brics" storici non sono – diciamo così - ormai tanto di moda. Il Brasile ha problemi, la Russia ha i suoi problemi politici, l’India in vista delle elezioni sconta periodi di debolezza, la Cina è un punto interrogativo. Quindi, forse Davos oggi ci dice che anche altre economie emergenti più piccole e magari meno blasonate, ma che sono ben presenti a Davos, rappresentano realtà cui guardare con attenzione. Penso al Messico, all’Indonesia, al Cile, alla Turchia, all’Europa dell’Est... Si tratta di tutte economie che crescono di più del Brasile, della Russia, del Sud Africa per esempio, e che potrebbero rappresentare un punto importante d’uscita dalla crisi per l’economia mondiale.

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    Incendio in un residence di immigrati a Roma, P. La Manna: accoglienza sia dignitosa e sicura

    ◊   Ennesima tragedia dell’immigrazione. A Roma, un romeno è morto carbonizzato, ed altre tre persone sono rimaste ferite, a causa di un incendio scoppiato nella notte in un residence dove vivevano immigrati. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Quello in via Pieve di Cadore è uno dei tanti residence dove vengono ospitati extracomunitari. L’esplosione sarebbe stata provocata da una bombola di gas. Una persona è morta e tra i tre feriti c’è anche un poliziotto. Nel residence, formato da una serie di mini appartamenti ognuno di circa 35 metri quadrati, nel 2001 si verificò un incidente simile a causa dello scoppio di una bombola di gas, durante il quale morirono due persone. Sentiamo padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli:

    R. - Che sia avvenuto in un residence, quindi in una struttura “regolare”, è ancora più grave, perché se quella struttura è aperta all’accoglienza qualcuno ha la responsabilità di verificare che avvenga nel rispetto delle norme. È mancante quindi una volontà del nostro Paese di governare questo fenomeno.

    D. – Lei cosa chiede, una revisione della legge sull’asilo o anche differenti norme per l’accoglienza? Per esempio, dare più fondi ai comuni che poi gestiscono chi ha ottenuto anche lo status di rifugiato…

    R. – In Italia bisogna ricordare che non esiste una legge organica sulla materia dell’asilo politico dal 1951, quando l’Italia ha firmato la Convenzione di Ginevra. Inoltre, nella nostra Costituzione l’articolo 10 parla di protezione a quanti si vedono negati nei propri Paesi i diritti che in Italia sono riconosciuti. Quindi, mi piacerebbe chiedere una revisione di una legge che purtroppo non c’è. È sicuramente fondamentale che gli enti locali abbiano le risorse necessarie ad un’accoglienza dignitosa e contemporaneamente vanno attivati quei canali deputati al controllo che questa accoglienza sia innanzitutto sicura, rispettosa della dignità delle persone e dei loro diritti.

    D. – Esistono poi situazioni del tutto insicure come uno stabile occupato da immigrati alla Romanina. Come tutelare queste persone?

    R. – Quelle situazioni non dovrebbero esistere. L’anno scorso il nostro presidente della Repubblica, nel suo discorso agli italiani, manifestava il suo dispiacere, la sua vergogna per l’esistenza di quella situazione, evidenziata da un giornale straniero. Ora, a distanza di un anno, non è cambiato nulla. Questo è inaccettabile e rappresenta per noi una vergogna ed evidenzia ancora una volta la nostra vera povertà che è innanzitutto culturale e umana nell’accettazione di queste situazioni che rimangono tali fino a quando non c’è il morto, o l’incidente.

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    Presentato il Libro bianco su "Media e minori" stilato da Censis e Agcom

    ◊   Uno studio sistematico e di bilancio complessivo sul rapporto “Media e minori”. E’ questo il Libro bianco curato dal Censis per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’Agcom e presentato oggi a Roma. La ricerca rileva efficacia e limiti delle norme a tutela dei minori anche nel panorama internazionale e spiega i complessi effetti dei media sui ragazzi, dando ampio spazio al ruolo della famiglia e alle sfide che Internet pone alla società del futuro e ai suoi legislatori. Alla presentazione c’era Gabriella Ceraso:

    La ricerca incrocia sociologia, pedagogia, giurisprudenza e statistica e trae da questo la sua efficacia senza suggerire soluzioni, ma aprendo prospettive per migliorare le tutele dei minori sui media, tutele che risultano tuttora insufficienti. Su questo delicato rapporto, la prima parte della ricerca illustra lo stato degli studi internazionali e alcune delle questioni comuni emergenti, come l’uso di Internet per fare politica, i disturbi e le dipendenze legate ai videogiochi o gli effetti dell’abbondanza di contenuti cruenti e di cronaca nera nei media, come spiega Elisa Manna, curatrice del rapporto per il Censis:

    "Contenuti violenti nei diversi media possono favorire comportamenti aggressivi nell’immediato e indurre a una concezione violenta della vita, un processo di vittimizzazione - cioè la tendenza ad avere paura di tutto - e ancora più inquietante è l’effetto spettatore, cioè l’induzione di un atteggiamento di desensibilizzazione rispetto alla sofferenza".

    Ma di comune, a livello internazionale, emerge anche la certezza che la famiglia, in questo ambito, svolga un ruolo fondamentale:

    "La famiglia ha un enorme potere educativo ed è, di fronte alle altre influenze, certamente prioritaria. Deve essere però una famiglia che si sente forte, competente, in cui i genitori si sentono autorevoli, che hanno appeal sui figli. Non è da tutti...".

    Il consumo e l’offerta dei media, quantitativa e qualitativa, cioè seconda e terza parte della ricerca, sono quelle più innovative, rispetto a un’ultima parte dedicata agli aspetti normativi nazionali e internazionali. L’analisi del consumo è suddiviso per fascia d’età. Primo, quello dei bambini, fino a 13 anni, visto dai genitori e non privo di contraddizioni:

    "I genitori hanno interiorizzato l’idea che debbono controllare quello che i ragazzi fanno con i vari media. Loro dichiarano di farlo, ma in realtà - dalla ricerca sui figli - emerge che questo non è vero. I bambini hanno libero accesso ai diversi media, c’è un minimo di controllo solo per Internet verso i bambini più piccoli e il parental control viene usato da una percentuale che oscilla tra il 9-20% (per i maschi il 9%)".

    Poi, il consumo analizzato è quello degli adolescenti, fortemente condizionati dai media nei loro schemi cognitivi in relazione ad amore, amicizia e sessualità. Gli adolescenti come fruizioni e preferenze si orientano su programmi di svago e narrazioni, dunque relax, e rifuggono risse, faziosità e elementi di disturbo. Ancora Elisa Manna:

    "Non vogliono che gli arrivino contenuti che loro considerano fastidiosi, per esempio su Internet temono molto di restare invischiati in attività illegali. Però, una percentuale molto elevata gioca a poker on-line. Credo che la centralità di questo tema, per lo sviluppo delle nuove generazioni, meriti una legge quadro. Un intervento normativo in cui si riprendano tutte le fila del discorso: dalle commissioni di cinema che danno il nullaosta in maniera impropria al Comitato media e minori, che ha bisogno di uno strumento più forte tra le mani che gli dia più incisività, al Consiglio nazionale degli utenti e alla stessa Agcom. È la normativa complessiva che va rivista per essere veramente efficace".

    Di vigilanza parla anche l’Agcom: sicuramente, non serve solo l’aspetto sanzionatorio, dice, ma occorre collaborazione tra scuola e famiglia e soprattutto occorre un mutamento culturale che miri alla prevenzione, come spiega Giulio Votano, curatore della ricerca per l’Agcom:

    "Nel senso di munire di strumenti per l’uso consapevole dei media e anche per la conoscenza degli strumenti di tutela".

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    Unità dei cristiani. L'esperienza di una reverenda anglicana: è cammino di "guarigione"

    ◊   Il cammino verso l’unità dei cristiani visto alla stregua di un percorso di “guarigione”. È la lettura – figlia di una profonda esperienza professionale e spirituale – che dà del dialogo ecumenico la rev.da Mary Styles, una delle assistenti del parroco della Chiesa anglicana di Roma di Ognissanti. Philippa Hitchen l’ha intervistata alla vigilia della conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani:

    R. – Well, I am still working in a bit of a training capacity…
    Sono ancora un po’ in formazione sotto la guida del reverendo padre Jonathan Boardman, faccio parte dello staff. Svolgo un lavoro di predicazione, di cura pastorale, guido studi sulla Bibbia… Tutte cose che rientrano negli impegni di un sacerdote di parrocchia.

    D. – Lei viene dal campo della medicina. È un bel passo, dalla medicina alla vita ecclesiale. Come è successo?

    R. – That was what I did as my first career, and certainly…
    Questa è stata la mia prima professione e sicuramente è la mia grande passione, quella di guarire, in generale. La mia famiglia si è trasferita a Roma 13 anni fa, con l’idea di tornare indietro dopo soli due anni e riprendere quindi la nostra vita, così io sarei tornata alla mia professione medica. Non è stato così. Alla fine, per una serie di ragioni, siamo rimasti qui e nel periodo in cui siamo stati qui ho sentito la chiamata di Dio a lavorare nella Chiesa. E’ stato un percorso lungo, che si è concluso con la mia ordinazione. Sento forte nella mia vocazione la necessità di guarire: una delle più forti frustrazioni alla fine della mia carriera di medico era che mi rendevo conto di trattare sintomi fisici, mentre avrei dovuto trattare la persona nel suo insieme. Questa è stata una frustrazione per il medico, eppure amavo tanto la medicina. Quindi, vivo questa chiamata come un completamento della vocazione iniziale alla medicina: condurre le persone alla guarigione definitiva, portarle a Gesù Cristo e portarle alla mensa di Cristo.

    D. – Lei gestisce una liturgia della guarigione settimanale presso la chiesa di Ognissanti…

    R. – It’s not weekly, at the moment, it is monthly…
    In questo momento non è ancora settimanale, ma mensile; si svolge una liturgia eucaristica molto tranquilla che comprende le preghiere di guarigione: imponiamo le mani alle persone, preghiamo per la loro guarigione e amministriamo l’unzione.

    D. – Questa immagine della guarigione ha una sua rilevanza particolare proprio nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani…

    R. – Yes, and again it is the essence of it…
    Sì e ne è anche l’essenza, e ricorre in moltissime delle letture che abbiamo ascoltato questa settimana, perché si lega all’ascolto della chiamata di Gesù e all’incontro con Gesù. Penso che questa debba essere alla base della nostra guarigione: noi siamo tutti cristiani e siamo separati da mille particolari, ma tutti ci ritroviamo sotto il nome di Cristo. E credo che forse questa sia la chiave della nostra guarigione. L’altro elemento nella Lettura sulla quale tutti ci siamo concentrati, che è la Lettera di Paolo ai Corinzi. Nei primi versetti, egli ringrazia Dio per i doni che il Signore dà alla Chiesa, non per il modo in cui noi ne facciamo uso. La Chiesa di Corinto stava combattendo contro la disobbedienza e il caos, come stiamo facendo noi oggi… Loro erano divisi e noi lo siamo ancora. Magari, se utilizzassimo meglio i doni che Dio ci ha dato per edificare l’altro, piuttosto che tenerli per noi stessi, penso che questo porterebbe la guarigione alla comunità cristiana.

    D. – Sicuramente, la storia di Corinto e delle altre comunità ecclesiali dimostra che abbiamo sempre lottato contro la divisione e i conflitti. Quanto grande è la sua speranza, oggi, che possiamo veramente avvicinarci e iniziare a condividere più intimamente, anche intorno all’altare, alla mensa eucaristica?

    R. – Well, I am only a mere parish priest and so I can deal more...
    Io sono soltanto un semplice sacerdote di parrocchia e mi occupo di cose più semplici, non di questioni elevate. Però, giusto questa mattina ho tenuto uno studio biblico con un gruppo di donne di tante denominazioni diverse: cattoliche, anglicane, battiste, un paio di persone che non sono certe della loro fede, un cristiano ortodosso, un copto cristiano… Tutti ci siamo seduti attorno a un tavolo e abbiamo letto la Bibbia. E questa mattina, una volta di più, ci siamo resi conto che lo Spirito Santo è stato donato a noi tutti e noi siamo chiamati ad andare verso Cristo: questo è quello che ci unisce. E riunirsi intorno a un tavolo con un gruppo di donne, tutte concordi su questo, è stato per me il più grande segno di speranza che potremo realizzarlo.

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    Dedicata a S. Ignazio di Loyola la seconda lettura teologica della diocesi di Roma

    ◊   E’ stata la figura di S. Ignazio di Loyola, con il suo “Racconto di un pellegrino”, la protagonista della seconda lettura teologica sui classici della spiritualità cristiana, che si è svolta ieri sera a Roma in sala della Conciliazione del palazzo Lateranense. Il ciclo di incontri, promossi dalla diocesi di Roma, si concluderà giovedì prossimo con una riflessione sul testo di Santa Teresa d’ Avila “Il castello interiore”. Ma sulla figura di S. Ignazio da Loyola, Marina Tomarro ha intervistato il gesuita padre Marko Ivan Rupnik, direttore del Centro Aletti:

    R. - Sant’Ignazio di Loyola è veramente un santo che ha raccolto un’immensità di doni di Dio in un momento storico preciso e li ha messi tutti, attraverso sé stesso, a servizio della Chiesa. In un momento di grande confusione, di tanti fraintendimenti, lui porta una luce del discernimento. In un momento in cui c’era un formalismo, una superficialità una non conoscenza delle cose, lui si mette a cammino con le persone a parlare delle cose di Dio: un colloquio personale, vedere dove la persona è, e da lì partire. Io penso ci sia un’infinità di queste caratteristiche che sono i doni che lui ha ricevuto ma che ha saputo trasmettere. La sua grandezza è anche al pedagogia. Lui è riuscito a formare i suoi.

    D. - Il cammino di Sant’Ignazio non è stato solo un cammino materiale, ma è stato soprattutto un cammino spirituale, di crescita...

    R. - Lui è davvero passato da un individuo totalmente preoccupato per sé stesso, per la sua perfezione, a una persona che ha capito che la propria volontà non è semplicemente da orientare verso un bene, ma è proprio quella di trasfigurarla. Cioè, non affermare la propria volontà, ma di accogliere quella di Dio. E questo è possibile solo attraverso il sacrificio della mia. Penso che questo sia il vero pellegrinaggio di Ignazio.

    D. - Papa Francesco spesso cita Sant’Ignazio nelle sue omelie. Ma qual è, secondo lei, l’insegnamento che lui ha adottato maggiormente di questo grande Santo?

    R. - Penso proprio questa lungimiranza, questa visione... Papa Francesco è un visionario come lo era Ignazio: una fede vissuta, riflettuta e arrivata alla sapienza. Papa Francesco parla da sapiente non da teorico complicato, da sapiente! E per questo, quando una persona arriva a una tale maturità, le cose diventato semplici, umili a volte, nell’amore e per questo bisogna stare attenti ai più piccoli.

    Il principio fondamentale di Sant’Ignazio è stato dunque il discernimento. Ma cosa vuol dire? Lo spiega Leonardo Becchetti, docente presso l’Università di Tor Vergata a Roma:

    R. - Discernimento vuol dire imparare a vagliare sulla base del contesto quelle che sono le scelte: se si tratta di scelte buone o scelte negative. E quindi, la spiritualità di Sant’Ignazio è molto adatta a leggere i segni dei tempi, quindi ad aprire alle novità del contesto per applicare a quelle novità i principi di sempre, ma in modo nuovo. Dai Gesuiti nascono continuamente cose nuove, idee nuove, nuovi movimenti o nuove applicazioni alla realtà dei principi ignaziani. Uno dei segni del discernimento è quello di cercare di capire come si realizza il rapporto tra Dio e l’uomo nella storia, un rapporto che evolve sempre, che cambia sempre e che va verso un suo compimento.

    D. - Secondo lei, qual è il messaggio di Sant’Ignazio che dal 1500 arriva fino ai giorni nostri?

    R. - Sono le specificità, le caratteristiche peculiari di questa spiritualità, ovvero quella del cercare e trovare Dio in tutte le cose e porsi nell’atteggiamento di curiosità e di dialogo anche con chi è lontano, con le diverse culture, usando quello che lui chiama il presupponendum, cioè il cercare di salvare l’argomento dell’altro che ho di fronte, piuttosto che condannarlo.

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    Wojtyla-Kluger, la Lev presenta il libro “Il Papa e l’amico ebreo” di Svidercoschi

    ◊   “Il Papa e l’amico ebreo. Storia di un amicizia ritrovata”. Questo il titolo del libro del vaticanista Gian Franco Svidercoschi presentato a Roma ed edito da Cairo e Libreria Editrice Vaticana. Il volume ricorda l’avvincente racconto di un’amicizia, quella tra Karol Wojtyla e Jerzy Kluger, tra un cattolico e un ebreo. E’ la storia di un’amicizia – spiega al microfono di Amedeo Lomonaco il giornalista Svidercoschi - che rappresenta anche il modello più autentico del dialogo tra cattolici ed ebrei:

    R. - Storie come questa amicizia fra il Papa e il suo amico ebreo sono già l’anticipazione di quello che dovrebbe avvenire: questa riconciliazione nei cuori, ma anche nell’azione comune, perché adesso sta risorgendo un certo antisemitismo. Un antisemitismo un po’ sociale, culturale, in cui si vede sempre il diverso anche nell’ebreo. Quindi è importante, invece, che ci sia questo rapporto di reciproca fiducia e di reciproco rispetto. Penso che sia importante partire proprio da storie come queste per capire come, attraverso l’amicizia, si possa creare un diverso tipo di relazione. Questo libro, andando in giro per il mondo, ha sollevato in ogni parte il ricordo di una tragedia antica, ma anche di una speranza nuova. E’ una cosa assurda pensare che la Shoa possa tornare, però può tornare un clima di intolleranza e di inimicizia. E’ bene, invece, che i giovani imparino a mettere da parte queste tentazioni.

    D. - C’è un’immagine forte di questa storia, di questa amicizia, un’immagine eloquente…

    R. - Credo che sia il loro rincontrarsi. Frequentano la stessa classe. Vivono la stessa vita fino al ’38-’39; si separano e si ritrovano 26 anni dopo, a Roma, per caso. Ma era un caso veramente o è stata la Provvidenza che ha riservato questo incontro? E in quel momento, quando si rincontrano, così normalmente - uno è arcivescovo di Cracovia e l’altro è un ingegnere ebreo, sposato, polacco - si ritrovano e c’è questa amicizia che ritorna, che spunta fuori improvvisamente. L’amico ebreo si confida con l’amico cattolico, tirando fuori quel tragico peso che si portava dentro dello sterminio della sua famiglia nei campi di sterminio…. Quel momento credo che sia un momento rappresentativo ed emblematico di questo rapporto fra ebrei e cristiani. E soprattutto quel saluto che io mettevo in bocca all’arcivescovo di Cracovia: “Speriamo che un giorno cristiani ed ebrei si possano riabbracciare così”, mi suggerisce la correzione Papa Wojtyla, dicendo: “che si possono ritrovare così”. E’ la stessa cosa che diceva il Concilio: il Popolo di Dio può ritornare alla comprensione del suo mistero solo ritrovando il suo legame spirituale con la stirpe di Abramo. E esattamente questo loro lo hanno vissuto nella loro carnalità, nel loro rapporto, nelle loro coscienze. Credo che sia un grande insegnamento per i giovani!


    Alla base di un dialogo autentico c’è sempre una profonda conoscenza reciproca. Così Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma:

    R. - Non è un dialogo di tipo teologico, ma è un dialogo di tipo personale: è un’amicizia. Poi il caso ha voluto che questa storia, del tutto particolare, diventasse anche eccezionale per gli sviluppi che ha avuto. Però di queste storie ce ne sono tante ed è il dialogo di base: ciascuno può convivere con l’altro nel rispetto delle sue differenze.

    D. - Il dialogo scandito nella ‘carnalità’, cioè vissuto proprio quotidianamente…

    R. - Il primo livello, il livello fondamentale, è quello di ammirare l’umanità dell’altro, reciprocamente. Altrimenti, si rimane a livello di teologia, a livello di grandi sistemi, che peraltro non sono cambiabili.

    D. - Siamo alla vigilia di una giornata importante, la Giornata della memoria. Questa storia è uno dei tanti tasselli per leggere questa Giornata…

    R. - Sì, ci fa riflettere su come era il mondo prima, come è stato distrutto e come sarebbe opportuno che lo ricostruissimo. Sono tante immagini, di cui - appunto - la memoria non deve essere persa!

    Ultimo aggiornamento: 24 gennaio

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Messaggio del Patriarca Twal per la VI Giornata di preghiera per la pace in Terra Santa

    ◊   “Esprimo la mia più profonda gratitudine per il desiderio di tanti giovani di continuare ad elevare al Signore una sincera ed intensa preghiera per il dono della pace. Ne abbiamo tanto bisogno, in Terra Santa ed in tutti i Paesi del Medio Oriente affinché si plachi il rumore delle armi, delle ingiustizie, delle sopraffazioni”. È il messaggio che il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, ha rivolto alle associazioni giovanili che hanno promosso per domenica 26 gennaio, la Giornata di intercessione per la pace in Terra Santa, giunta alla sua VI edizione. Twal – riportano le agenzie Sir e Zenit - ha richiamato la Veglia di preghiera per la Siria voluta il 7 settembre scorso da Papa Francesco, sottolineando la “forza della preghiera”, per “implorare questo dono tanto prezioso quanto fragile, che è la pace”. Del Pontefice, il patriarca ricorda anche il Messaggio la Giornata Mondiale della Pace, in particolare dove il Papa afferma che “nella famiglia di Dio, in cui tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono ‘vite di scarto’. Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto per ognuno. È questa la ragione per cui non si può rimanere indifferenti davanti alla sorte dei fratelli”. La Giornata inizierà alle 7 del mattino a Gerusalemme, presso il Calvario, con una Messa e vedrà coinvolte più di 5mila città nel mondo, dove i giovani si riuniranno per 24 ore consecutive nella preghiera, in momenti di silenziosa adorazione eucaristica e nelle celebrazioni eucaristiche per implorare il dono della pace in Terra Santa. (L.Z.)

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    Messaggio degli episcopati europei per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

    ◊   In occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si concluderà domani, la presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), riunita a Genova, lancia un appello ai cristiani europei ad operare per una comune testimonianza nei vari ambiti della società. “Cristo non può essere diviso”, è il tema scelto quest’anno dal comitato interconfessionale organizzatore della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. "Cristo non può essere diviso è un invito a non servirci di Cristo per giustificare le nostre incomprensioni e le nostre divisioni. Cristo non si possiede - affermano i vescovi - ma si dà. La ricerca e l’accoglienza del messaggio cristiano non può che portare ad una comune testimonianza, al riconoscimento e all’accoglienza dei doni che il Signore ha voluto dare ad ognuno dei suoi fedeli come doni di tutta la Chiesa. Cristo non può essere diviso è una provocazione a portare in tutta la sua integrità - sottolinea il Ccee - l’annuncio di salvezza per l’uomo. E’ una provocazione a non rinchiudere la figura del Dio fatto uomo in rappresentazioni che non scalfiscono o giustificano le nostre comodità. Cristo non può essere diviso è uno stimolo per le nostre società in Europa, sempre più multiconfessionali, per una comune testimonianza della vicinanza di Dio all’uomo contemporaneo. Cristo non può essere diviso è un appello all’uomo europeo a non separare la dimensione religiosa della sua fede tra sfera pubblica e privata - continuano gli episcopati europei - a non disdegnare il dono della vita decidendo da sé quale vita sia degna di essere vissuta e quale no, a non lasciarsi guidare da false illusioni, ma a fare spazio alla speranza. Cristo non può essere diviso è infine una certezza - conclude il Ccee - che nulla potrà mai dividere l’amore che Dio ha per l’uomo. La Presidenza del Ccee guarda con attenzione alla situazione in Siria, in particolare quella delle comunità cristiane, e si unisce al Santo Padre nella preghiera per la pace. (R.B.)

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    Giordania. Missione sanitaria dell'Ospedale Bambino Gesù: assistiti più di 150 bambini

    ◊   Una missione sanitaria per i bambini siriani e palestinesi fuggiti in Giordania con le loro famiglie, in seguito alle violenze e al grave deteriorarsi della situazione politica e civile nel proprio Paese. L’iniziativa è figlia dell’accordo, siglato lo scorso ottobre, tra l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e l'Ospedale Italiano di Karak, fondato nel 1935 dall’Ansmi (Associazione Italiana per Soccorrere i Missionari Italiani) e gestito dalle Suore Missionarie Comboniane. La prima missione si è svolta dal 18 novembre al 2 dicembre e ha visto impegnato, a seguito della richiesta dell’Ospedale del luogo, uno specialista in neurologia e neuroribilitazione a Karak e un primo sopralluogo operativo presso i due campi di Mafraq: quello di Al Zatari, che ospita 115.000 profughi siriani e dove è stato allestito dal Governo Italiano un ospedale prefabbricato, e il campo di Jerash, dove vivono secondo le stime almeno 30.000 profughi palestinesi. Situata a circa 150 chilometri a sud di Amman, la città di Karak conta 60.000 abitanti. La provincia di Karak (300.000 abitanti) è la più povera del Paese e ospita numerosi lavoratori stranieri: egiziani, srilankesi, cinesi, pakistani, curdi, oltre ai rifugiati siriani, palestinesi e iracheni. I cristiani rappresentano circa il 5% di tutta la popolazione giordana. La missione ha individuato un gran numero di pazienti affetti da malattie neurogenetiche, come le neuropatie ereditarie. In tutto sono stati presi in carico più di 150 pazienti. Per 10 famiglie è stato predisposto uno screening genetico al fine di poter analizzare il materiale presso i laboratori di Roma dell’Ospedale. Il progetto continuerà nei prossimi mesi per sostenere in ulteriori ambiti specialistici – centrale quello della neuroriabilitazione - i bambini profughi siriani e le popolazioni locali. Prosegue contemporaneamente, grazie all’accordo siglato lo scorso novembre tra Bambino Gesù, Pontificio Consiglio Cor Unum e Caritas libanese, l’impegno in favore dei profughi siriani in Libano. Nonostante i problemi di sicurezza e metereologici (forti nevicate hanno colpito la zona nel mese di dicembre) l’unità medica mobile organizzata da Caritas Libano, a dicembre e gennaio, è riuscita a visitare circa 210 piccoli rifugiati siriani per un totale di quasi 900 prestazioni sanitarie. Le Attività Internazionali vedono attualmente impegnato il Bambino Gesù in 14 Stati con Centri clinico-chirurgici in Cambogia (Takeo) e Tanzania (Itigi), un reparto di urologia nell’ambito del progetto di trapianto renale in età pediatrica da donatore vivente in Vietnam (Hanoi), progetti di assistenza e formazione in Venezuela, Perù, El Salvador, Haiti, Macedonia e Palestina e con gemellaggi con altre strutture ospedaliere in Cile e Russia. (R.P.)

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    India: per le elezioni i vescovi lanciano un appello contro la corruzione

    ◊   “L’India ha bisogno di politici onesti, che si dedicano con zelo al servizio, che si adoperano per una nazione libera dal crimine, priva di discriminazioni, dove non si soffre di fame, e libera dal demone della corruzione. Con l’approssimarsi delle elezioni generali, tutti i cristiani sono chiamati a dimostrare e attivare l’impegno sociale, per un’India giusta e pacifica”: è quanto afferma un appello diramato dai vescovi indiani in occasione delle elezioni che si svolgeranno a maggio prossimo. L’appello, inviato all’agenzia Fides, è firmato da mons. Yvon Ambrosie, vescovo di Tuticorin, e da padre Charles Irudayam, rispettivamente presidente e segretario esecutivo della Commissione per Giustizia, pace e sviluppo, in seno alla Conferenza episcopale dell’India (Cbci) L’appello nota che “quotidianamente la gente sperimenta sofferenza e disagi dovuti a malgoverno, cattiva amministrazione, truffe, scandali e corruzione. Come ha osservato il Pontificio Consiglio Giustizia e pace, la corruzione priva i popoli di un bene comune fondamentale, la legalità, annullando il rispetto delle regole, il corretto funzionamento delle istituzioni economiche e politiche e la trasparenza”. Inoltre, nota il testo giunto a Fides, “la corruzione ostacola la corretta erogazione delle risorse ai poveri, negando altri due principi della dottrina sociale cattolica: l'opzione preferenziale per i poveri e la destinazione universale dei beni”. I vescovi invitano tutti i cittadini a “essere consapevoli del diritto e anche del dovere di usare il loro voto per promuovere il bene comune”, scegliendo politici “che dimostrino integrità e saggezza, si impegnino contro ogni forma di ingiustizia e tirannia, contro il potere arbitrario da parte di un individuo o di un partito politico, contro ogni intolleranza”, dedicandosi al servizio di tutti " con sincerità ed equità, anzi con la carità”. La Chiesa in India – spiega il documento – intende contribuire a “costruire una società giusta e pacifica, ispirato al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa”. Per questo i vescovi invitano i cittadini ad “eleggere tra i partiti politici, nazionali o regionali, antichi o nuovi, rappresentanti che governino ispirandosi alla difesa della dignità umana, alla promozione dello sviluppo inclusivo, lavorando per il bene comune, la giustizia, la pace e la fraternità. Abbiamo bisogno di rappresentanti che siano interessati al benessere del popolo, che siano responsabili e trasparenti, che si impegnino a rendere l'India una culla di pace e prosperità”, conclude il testo. (R.P.)

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    Perù: appello della Chiesa in vista della sentenza sul contenzioso marittimo con il Cile

    ◊   “Niente trionfalismi e tanta serenità” è l’appello del presidente della Conferenza episcopale del Perù, mons. Salvador Piñeiro ai peruviani in attesa dell'imminente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja sul contenzioso marittimo con il Cile. Durante la 103.ma Assemblea plenaria dei vescovi peruviani che si è conclusa ieri, Mons. Piñeiro ha ricordato che la via più matura ed equilibrata seguita dai governi di Cile e Perù per risolvere la controversia sui confini marittimi, è stata quella “del dialogo, della disponibilità, senza odio nè risentimento”, il che rappresenta una garanzia di vocazione alla pace per ambedue i popoli. Lunedì prossimo, la Corte dell’Aja annuncerà la decisione sul reclamo presentato nel 2008 dal Perù sulla sovranità di un'area di circa 38 mila chilometri quadrati di mare. La disputa risale alla guerra del Pacifico del 1883, che finì con l’annessione da parte del Cile della regione costiera della Bolivia e di una parte del Perù meridionale. La richiesta presentata dal Perù sostiene che non esiste un trattato che regoli la questione dei confini, ma solo degli impegni sull’attività di pesca, firmati nel 1952 e nel 1954. Il Cile sostiene il contrario e punta al mantenimento dello status quo. Ancora oggi, il tema è molto sensibile e suscettibile di riaccendere tensioni tra le popolazioni che ormai convivono pacificamente nel territorio di confine. Il presidente dell’episcopato ha chiesto ai peruviani di “intendere la sentenza, qualunque essa sia, come un grande passo fatto da due governi, e di attenderla senza trionfalismi”, perche la pace nasce quando c’è l’amicizia tra i popoli. Mons. Piñeiro ha sottolineato l'atteggiamento di intesa e di collaborazione degli ex Presidenti Alejandro Toledo e Alan García con il capo dello Stato, Ollanta Humala Tasso per trattare - al di sopra delle proprie posizionI politiche - il tema del contenzioso e della sentenza dell’Aja. Ieri, nella sede del ministero di Affari Esteri si è svolta una riunione dei membri del Forum per il Patto Nazionale, di cui fa parte anche la Conferenza episcopale, per fare il punto della situazione prima del verdetto dell’Aja. Nel comunicato finale il Forum chiama a mantenere la calma in un clima di unità e concordia e ribadisce che la soluzione pacifica del contenzioso è garanzia di sviluppo e consolidamento dei rapporti con il Cile. (A cura di Alina Tufani)

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    Venezuele. Il card. Urosa: la mancanza di carta per i giornali mette in pericolo la democrazia

    ◊   L'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, ha chiesto al governo nazionale di mediare per risolvere il problema della carenza di carta per la stampa dei quotidiani che si verifica nel Paese, ricordando che la Costituzione garantisce il diritto all'informazione. Ha inoltre sottolineato che i media sono istituzioni “molto importanti” per una società libera e democratica. Il cardinale ha parlato a questo proposito mercoledì scorso, dopo l'apertura dei lavori della Commissione della Conferenza episcopale venezuelana incaricata della celebrazione del 150.mo anniversario della nascita del Venerabile Dr. José Gregorio Hernández, che si terrà il 26 ottobre 2014, e di ciò che riguarda la sua beatificazione. Parlando ai giornalisti, si legge nella nota inviata all’agenzia Fides, l'arcivescovo di Caracas si è detto preoccupato per la crisi che sta colpendo i giornali del Paese, date le difficoltà che incontrano per riuscire ad avere la carta necessaria per stampare i quotidiani, dopo che il governo ha bloccato le importazioni. "E' necessario che il Paese abbia canali di comunicazione in grado di segnalare ciò che accade, e i venezuelani devono godere il diritto ad essere informati di quanto avviene nel Paese e al di fuori di esso” ha detto il card. Urosa Savino, mostrando la soddisfazione della Chiesa per gli incontri tra Esecutivo, governatori, sindaci e rappresentanti dei media. A suo parere, solo il dialogo sincero, senza distinzioni politiche, riuscirà a dare soluzione ai molti problemi. Il card. Urosa ha concluso dicendo ai giornalisti che "la chiusura di un giornale è qualcosa di terribile! Non possiamo sprofondare nel buio della disinformazione, questo problema deve essere risolto nel più breve tempo possibile". (R.P.)

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    Sud Corea: prima uscita del futuro card. Yeom Soo-jung nel segno di Papa Francesco

    ◊   La prima uscita da “prossimo porporato” l’ha dedicata ai poveri e ai senzatetto. L’arcivescovo di Seoul, mons. Yeom Soo-jung, si è recato a Eun-pyong Village, struttura gestita dalla Caritas cittadina, per incontrare i poveri e per tener fede ad una promessa mancata a causa di un decesso improvviso di un confratello, quella di celebrare la Messa insieme a loro. Eun-pyong è un Centro che accoglie 900 persone senza fissa dimora, la maggior parte affetti da gravi patologie quali schizofrenia, diabete, epilessia e morbo di Parkinson. “Da ora in poi indosserò l’abito color porpora, il colore del sangue, del martirio. Il colore che testimonia la mia ferma disponibilità a morire per la fede” ha detto il porporato agli ospiti, con una richiesta precisa: “Ho bisogno delle vostre preghiere. Le vostre, in particolare, sono più forti perché provengono da chi soffre”. In prima fila, ad ascoltarlo, una cinquantina di poveri in carrozzina. Probabilmente il futuro cardinale ha scelto di mettere da parte il suo testo preparato per l’omelia e di parlare a braccio, puntando sulla “buona novella”. “Probabilmente in passato vi siete chiesti: Signore, perché mi fai soffrire? La verità è che Dio vi ha amato fin da quando siete venuti al mondo. Ricordatevi sempre di essere amati. Il Paradiso non è in un altro luogo o in un altro tempo, ma è sempre presente nei posti dove c’è amore e condivisione” ha sottolineato l’arcivescovo di Seoul. Al termine della celebrazione, mons. Yeom Soo-jung ha visitato i malati più gravi e, prima di lasciare la Caritas, ha voluto scrivere un messaggio significativo sul libro degli ospiti: “Possa questa Casa diventare il Regno di Dio”. I senzatetto sono da sempre nel cuore dell’arcivescovo di Seoul. Nel 1986, quando era parroco di Yeongdeungpo, avviò una mensa vicino alla stazione cittadina. Era l’unico presidio che distribuiva gratuitamente pasti a Yeongdeungpo. (A cura di Davide Dionisi)

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    Myanmar. Appello Onu: indagini “approfondite” sulle violenze contro i Rohingya

    ◊   Le Nazioni Unite lanciano un appello al governo birmano, chiedendo "indagini approfondite" sulla morte violenta di dozzine di Rohingya fra uomini, donne e bambini nella parte settentrionale dello Stato di Rakhine, a ovest del Myanmar. I fatti - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono avvenuti a metà mese e sono stati denunciati da Arakan Project, una ong attiva a difesa della minoranza musulmana; tuttavia il governo di Naypyidaw ha respinto con forza i racconti, smentendo le voci di attacchi e vittime fra i Rohingya. Sulla vicenda interviene oggi Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani, che invoca una "indagine rapida, imparziale ed esaustiva"; le Nazioni Unite hanno ricevuto "informazioni credibili" in base alle quali almeno 48 membri della minoranza musulmana sarebbero stati uccisi da inizio gennaio, in una nuova ondata di violenze divampata nell'area. Ye Htut, portavoce del presidente birmano Thein Sein e vice-ministro per l'Informazione, "si oppone con forza" alle affermazioni Onu, sottolineando che dati e fatti raccontati sono "totalmente sbagliati". Tuttavia, Stati Uniti e Gran Bretagna raccolgono l'allarme per le nuove vicende di sangue e parlano di vera e propria "discriminazione" da parte della maggioranza birmana contro la minoranza etnico-religiosa. Human Rights Watch (Hrw) aggiunge di aver ricevuto informazioni credibili, in base alle quali la polizia ha autorizzato l'arresto di tutti i Rohingya, uomini e bambini, al di sopra dei 10 anni. Secondo il rapporto Onu, il 9 gennaio scorso otto musulmani del villaggio di Du Char Yar Tan sono stati vittime di un attacco. Il giorno 13 alcuni Rohingya dello stesso villaggio avrebbero ucciso un poliziotto. La morte dell'agente ha scatenato la violenta risposta dei buddisti, sostenuti dalle forze di sicurezza locali, che hanno ucciso almeno 40 fra uomini, donne e bambini della minoranza. Dal 2011 il Myanmar ha avviato una lenta campagna di riforme in chiave democratica, dopo decenni di dittatura militare che hanno soffocato il Paese. Tuttavia, le continue violenze confessionali nell'ovest gettano più di un'ombra sul reale cambiamento di una nazione eterogenea e caratterizzata ancora oggi da focolai di guerra nelle aree delle minoranze etniche, in particolare al nord nello Stato Kachin. "Deploro la perdita di vite umane nel villaggio di Du Chee Yar Tan" ha aggiunto Navi Pillay, "e mi rivolgo alle autorità [...] perché sia fatta giustizia alle vittime e alle loro famiglie". L'alto funzionario Onu si rivolge al governo birmano, sottolineando che "rispondendo in modo rapido e deciso alla vicenda" ha una "opportunità per dimostrare trasparenza e responsabilità", rafforzando in questo modo "la democrazia e lo Stato di diritto in Myanmar". Dal giugno del 2012 lo Stato occidentale di Rakhine è teatro di scontri violentissimi fra buddisti birmani e musulmani Rohingya (800mila circa in tutto il Myanmar), che hanno causato almeno 200 morti e 250mila sfollati. Per il movimento attivista con base negli Stati Uniti Human Rights Watch (Hrw) nella zona è in atto una vera e propria "pulizia etnica" dal parte delle autorità. Il governo birmano considera la minoranza musulmana alla stregua di immigrati irregolari, provenienti dal vicino Bangladesh. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 24

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.