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Sommario del 22/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Appello del Papa per la Conferenza di pace sulla Siria: non si risparmino sforzi per la fine delle violenze
  • Siria, Conferenza di Montreux. Mons. Tomasi: si giunga ad un cessate il fuoco immediato
  • Il Papa all'udienza generale: le divisioni tra i cristiani sono "uno scandalo" da superare
  • Messaggio del Papa al Forum di Davos: intollerabile la fame nel mondo, tutelare bene comune e dignità umana
  • Tweet del Papa: mi unisco alla Marcia per la vita a Washington, rispettare i più vulnerabili
  • Allo studio viaggio del Papa in Corea del Sud ad agosto
  • Il presidente dello Ior: progressi significativi in materia di trasparenza e lotta al riciclaggio
  • Mons. Laffite: l'Africa sa custodire vita e famiglia come beni comuni della società
  • 70° sbarco di Anzio: quando Pio XII aprì le Ville Pontificie agli sfollati
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Centrafrica, le nuove autorità al lavoro per la riconciliazione
  • Arena di pace e disarmo 2014: torna a Verona l'appuntamento del pacifismo italiano
  • Reato di clandestinità: Caritas soddisfatta per il voto di abrogazione del Senato
  • Pakistan. Sempre più cristiani accusati di blasfemia, Asia Bibi rimane in carcere
  • La storia di Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia nel 1983, raccontata in un libro dalla figlia Caterina
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: i curdi proclamano un governo autonomo nel nord-est del Paese
  • Ginevra 2: il Jesuit Refugee Service chiede più sostegno ai profughi
  • Messaggio del patriarca Kirill a Ginevra 2
  • Sud Sudan: appello del vescovo di Wau: “Subito il dialogo”
  • Ucraina. L'arcivescovo Shevchuk: fermate il bagno di sangue
  • Irlanda: soddisfazione dei vescovi per la riapertura dell'Ambasciata presso la Santa Sede
  • Egitto: i vescovi esprimono apprezzamento per la nuova Costituzione
  • Pakistan: nuovi attentati per bloccare le vaccinazioni anti-poliomielite
  • Pakistan: il desiderio dei cristiani di essere uniti nella vita quotidiana
  • Brasile: compie 30 anni il Movimento “Sem Terra”
  • Tanzania: il card. Pengo chiede più sicurezza per chiese e luoghi di culto nel Paese
  • Domenica senza lavoro: appello europeo per la tutela della vita privata e familiare
  • Slovacchia: i 90 anni del card. Korec, simbolo dell'evangelizzazione nel periodo comunista
  • Il Papa e la Santa Sede



    Appello del Papa per la Conferenza di pace sulla Siria: non si risparmino sforzi per la fine delle violenze

    ◊   Gli occhi del mondo e le speranze di un intero Paese, semidistrutto da una guerra sanguinosissima, sono fissi da oggi sulla Conferenza di pace per la Siria, aperta in Svizzera a Montreux e, dal 24 gennaio, in prosecuzione a Ginevra. Ad accompagnare il delicato lavoro della diplomazia, si è levato questa mattina da Piazza San Pietro anche l’appello di Papa Francesco, che ha chiesto ogni sforzo per mettere la parola fine a questo dramma. Le prole del Papa e gli aggiornamenti di cronaca nel servizio di Fausta Speranza:

    “Prego il Signore che tocchi il cuore di tutti perché, cercando unicamente il maggior bene del popolo siriano, tanto provato, non risparmino alcuno sforzo per giungere con urgenza alla cessazione della violenza e alla fine del conflitto, che ha causato già troppe sofferenze”.

    Per la Siria, che in 3 anni di conflitto ha visto oltre 130mila morti e milioni di sfollati, il Papa chiede “un cammino deciso di riconciliazione, di concordia e di ricostruzione”. Papa Francesco chiede la partecipazione di tutti i cittadini con una raccomandazione:

    “Ognuno possa trovare nell'altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare”.

    C’è da dire che a Montreux la tensione è alta. "Oggi è un giorno di una speranza fragile ma concreta", così ha iniziato il suo intervento Ban Ki-moon, segretario generale dell'Onu. Duro l'attacco della delegazione del Governo siriano che non ha risparmiato accuse a chi, anche tra i presenti - è stato precisato - non ha cercato alcuna soluzione per la Siria. L’opposizione ha risposto invitando tutti i cittadini siriani ad abbandonare il regime. Inoltre, il presidente della Coalizione nazionale siriana, Jarba, ha definito “i mercenari internazionali presenti in Siria l'altra faccia di Assad". Ha citato il terrorismo portato dall'Iraq, gli Hezbollah", "le forze iraniane". John Kerry, segretario di Stato americano, ha riconosciuto, nel suo intervento, che la Conferenza di Montreux ha tutte le carte in regola per operare il cambiamento verso la pace. L’Alto rappresentante dell’Ue, Ashton, ha ricordato che gli eventi in Siria sono “spaventosamente unici”. Molto concreti gli interventi delle delegazioni italiana e francese: hanno chiesto l'immediato cessate il fuoco e corridoi umanitari. Della Conferenza ha parlato anche il presidente iraniano, che non si trova a Montreux: da lontano ha affermato che "alcuni Stati che sponsorizzano il terrorismo e sono responsabili dell'instabilità della regione sono presenti a Ginevra 2”. Poi, però ha aggiunto che se la Conferenza dovesse contribuire a portare pace e stabilità, l'Iran sarà felice del risultato".

    La guerra forse "più sporca" dei nostri tempi. Con queste parole definisce il conflitto in Siria l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, dicastero da tempo particolarmente attivo sul fronte della solidarietà verso le famiglie siriane. Il pensiero del presule raccolto da Stefano Leszczynski:

    R. - Le guerre sono sempre sporche e brutte. La Siria probabilmente è la guerra più brutta e più sporca di questo tempo, perché sta coinvolgendo in maniera sempre più ampia le persone più deboli, quelli meno fortunate in un Paese, o meglio un’area, che avrebbe bisogno di maggiore serenità. E’ una polveriera incredibilmente pericolosa... Ecco perché il Papa - che non solo ha intuito, ma che crede nella forza della preghiera e del dialogo - è all’origine di un processo che quantomeno cerca di evitare il peggioramento della situazione. Come non ricordare quella preghiera di quattro ore in Piazza San Pietro, quella sera… Che grazie a Dio toccò il cuore di tutti, anche di aveva in mano le sorti delle azioni militari.

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    Siria, Conferenza di Montreux. Mons. Tomasi: si giunga ad un cessate il fuoco immediato

    ◊   Anche la Santa Sede è stata invitata a partecipare alla Conferenza di Ginevra 2. La Delegazione è composta da mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, e mons. Alberto Ortega Martín, officiale della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati. Al microfono di Gabriele Beltrami, mons. Silvano Maria Tomasi:

    R. - La Conferenza Internazionale di Montreux sulla Siria, è chiamata Ginevra 2, è la continuazione dello sforzo della comunità internazionale di trovare una via d'uscita per far cessare la violenza in Siria. La situazione è estremamente complessa perché ci sono vari interessi a livello globale, a livello regionale, tra l'Arabia Saudita e l'Iran, a livello interno della Siria dove le varie minoranze e le forza esterne che si aggiungono all'opposizione creano un sistema di destabilizzazione che è difficile a risolvere. Lo sforzo è di cercare di trovare un filo che lega come interesse comune tutti questi tre livelli di conflittualità e non è facile. Per cui ci sono delle incertezze nella varie alleanze, nelle varie composizioni di presenza di delegati che possono parlare con una certa autorevolezza come rappresentanti di parti reali del conflitto in corso.

    D. - Quali obiettivi di massima porterà avanti la vostra delegazione?

    R. - L'incontro di Montreux, che poi continuerà in maniera più discreta, ma più efficace, si spera, a Ginevra per un tempo indeterminato, ha come obiettivo di mettere a fuoco la buona volontà e un senso di fiducia reciproca tra i vari contendenti in questo conflitto per vedere di mettere fine alla violenza. Obiettivo primo è finire con questa violenza continua che ha fatto più di 130.000 morti, che sta distruggendo intere città, che ha creato milioni di rifugiati, più di un milione di bambini hanno attraversato la frontiera della Siria per cercare rifugio altrove, e ci sono certamente più di tre milioni di sfollati interni. Davanti a questa sofferenza enorme, diventa un appello alla coscienza della comunità internazionale trovare una strada per mettere fine alla violenza. Allora, il primo passo di un lungo viaggio potrebbe essere questa Conferenza di Montreux: dobbiamo sperare e pregare che veramente si arrivi a mettere un principio di negoziazione che porti ad un processo che, progressivamente, si allarghi alle varie questioni che sono sul tappeto.

    D. - In vista di questa Conferenza ha di recente incontrato il Papa: quali sono le priorità per il Pontefice?

    R. - Papa Francesco ha parlato varie volte sulla situazione della Siria, invocando il cessate il fuoco immediato, la ricostruzione attraverso la riconciliazione da una parte e dall'altra la solidarietà della comunità internazionale perché, attraverso la ricostruzione, si trovi anche impiego per questi giovani che altrimenti sono tentati di andare con una o con l'altra fazione, non avendo un futuro davanti. L'altra grande preoccupazione del Papa e della Santa Sede è la presenza dei cristiani nel Medio Oriente: è una presenza secolare che precede l'arrivo dell'Islam, ma allo stesso tempo è una presenza che si trova condizionata da varie forme di discriminazione e in questi conflitti tra i grandi poteri e i grandi gruppi, sunniti e sciiti ed altri, viene a pagare un prezzo sproporzionato.

    D. - Come giudica il tentativo, poi sfumato, del segretario generale dell'Onu di coinvolgere tutti al tavolo di Montreux?

    R. - Ho visto Ban Ki-moon che ha parlato alla Conferenza del disarmo e lui ha ancora fiducia che da quest'incontro sulla Siria possa nascere qualcosa di costruttivo, di positivo. Certo, ci sono dei condizionamenti che riflettono gli interessi di poteri regionali o internazionali diversi e, quindi, all'ultimo minuto, per salvare il salvabile, ha ritrattato l'invito fatto all'Iran di partecipare, ma a lungo andare è chiaro che tutte le forze che sono presenti sul territorio devono essere consultate e devono essere convinte che hanno una responsabilità nel portare avanti una ricerca della pace, di mettere fine alla violenza.

    D. - Quali sono le urgenze concrete da porre subito in atto per i milioni di sfollati dalla Siria?

    R. - Ogni conflitto genera nuovi flussi di rifugiati e di sfollati interni: è penoso vedere adesso con l'inverno, in particolare, che è in corso, che nei campi di rifugiati ci sono delle sofferenze e, addirittura, delle morti dovute a mancanza di cure sufficienti. La comunità internazionale sta rispondendo, dando delle risorse all'Alto Commissario per i Rifugiati e, direttamente, attraverso la Caritas, o attraverso altre organizzazioni cattoliche, come la International Catholic Migration Commission. Però, la risposta efficace è quella di raggiungere la pace e dare la possibilità a quelli che vogliono ritornare, e speriamo che siano la maggioranza, alle loro case e di cominciare una vera ricostruzione, anche di quei quartieri che sono stati distrutti, o sono stati bombardati e che quindi c'è bisogno di una solidarietà internazionale concreta, cioè di molti soldi, per rimettere in piedi un'economia locale e una serie di condizioni, come l'abitazione, che possano permettere la ripresa di una vita normale.

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    Il Papa all'udienza generale: le divisioni tra i cristiani sono "uno scandalo" da superare

    ◊   Il nome di Cristo crea “comunione ed unità”; le divisioni tra i cristiani “sono uno scandalo”. Nel pieno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, è la riflessione di Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale, stamani in Piazza San Pietro. Ce ne parla Giada Aquilino:

    Una “iniziativa spirituale, quanto mai preziosa”, che coinvolge le comunità cristiane da più di cento anni. È la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in corso fino a sabato prossimo, festa della Conversione di San Paolo apostolo: lo ha ricordato il Papa, parlandone come un “tempo dedicato alla preghiera per l’unità di tutti i battezzati”, secondo le parole di Cristo: “che tutti siano una sola cosa”. A suggerire il tema di quest’anno, ispirato alla domanda di San Paolo ai cristiani di Corinto: “È forse diviso il Cristo?”, le Chiese e le Comunità ecclesiali del Canada, sotto la guida del Consiglio Ecumenico delle Chiese e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani:

    “Certamente Cristo non è stato diviso. Ma dobbiamo riconoscere sinceramente e con dolore che le nostre comunità continuano a vivere divisioni che sono di scandalo. La divisione fra noi cristiani è uno scandalo! Non c’è un’altra parola: uno scandalo”!

    Malgrado “la sofferenza delle divisioni, che ancora permangono”, il Santo Padre ha ricordato un tratto certo per tutti i cristiani:

    “Il nome di Cristo crea comunione ed unità, non divisione! Lui è venuto per fare comunione fra noi, non per dividerci. Il Battesimo e la Croce sono elementi centrali del discepolato cristiano che abbiamo in comune. Le divisioni invece indeboliscono la credibilità e l’efficacia del nostro impegno di evangelizzazione e rischiano di svuotare la Croce della sua potenza”.

    Sollecitando a seguire l’atteggiamento dell’apostolo Paolo nel “riconoscere con gioia i doni di Dio presenti in altre comunità”, l’invito del Pontefice è stato quello “a rallegrarci sinceramente delle grazie concesse da Dio ad altri cristiani”:

    “È bello riconoscere la grazia con cui Dio ci benedice e, ancora di più, trovare in altri cristiani qualcosa di cui abbiamo bisogno, qualcosa che potremmo ricevere come un dono dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle”.

    Sulla scia dei sussidi preparati quest’anno dal gruppo canadese, il Papa ha concluso esortando le comunità cristiane “ad incontrarsi per capire ciò che tutte possono ricevere di volta in volta dalle altre”:

    “Questo richiede qualcosa di più. Richiede molta preghiera, richiede umiltà, richiede riflessione e continua conversione. Andiamo avanti su questa strada, pregando per l’unità dei cristiani, perché questo scandalo venga meno e non sia più fra noi”.

    Nei saluti ai pellegrini giunti in Piazza San Pietro, il Pontefice – rivolgendosi tra gli altri ai fedeli di lingua araba, specialmente a quelli provenienti dall’Egitto – ha auspicato che “la fede non sia un motivo di divisione ma uno strumento di unità e di comunione con Dio e con i fratelli”:

    “L’invocazione del nome del Signore non sia ragione di chiusura ma via per aprire il cuore all’amore che unisce e arricchisce. Preghiamo perché il Signore conceda l’unità ai cristiani vivendo la differenza come ricchezza; vedendo nell’altro un fratello da accogliere con amore”.

    Il Santo Padre ha infine salutato i partecipanti all’incontro dei coordinatori regionali dell’Apostolato del Mare, con il cardinale Antonio Maria Vegliò, “esortandoli ad essere voce dei lavoratori che vivono lontani dai loro cari ed affrontano situazioni di pericolo e difficoltà”.

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    Messaggio del Papa al Forum di Davos: intollerabile la fame nel mondo, tutelare bene comune e dignità umana

    ◊   Dignità dell’uomo, economia al servizio del bene comune, inclusione sociale, lotta alla fame e attenzione ai rifugiati: sono questi i temi del messaggio inviato da Papa Francesco al Forum economico mondiale, in corso a Davos, in Svizzera, fino al 25 gennaio. Nel documento pontificio - indirizzato al presidente esecutivo del Forum, Klaus Schwab, e letto dal card. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace - il Papa auspica che l’incontro diventi “occasione per una più approfondita riflessione sulle cause della crisi economica” nel mondo. Il servizio di Isabella Piro:

    Per molte persone, la povertà è stata ridotta, ma ciò non basta perché persiste ancora “una diffusa esclusione sociale”: parte da questa constatazione il messaggio del Papa per Davos, in cui si sottolinea come tutt’oggi, “la maggior parte di uomini e donne continua a vivere ancora una quotidiana precarietà, con conseguenze spesso drammatiche”. La politica e l’economia devono, allora, lavorare alla promozione di “un approccio inclusivo che tenga in considerazione la dignità di ogni persona umana ed il bene comune”. “Non si può tollerare – scrive poi il Pontefice – che migliaia di persone muoiano ogni giorno di fame, pur essendo disponibili ingenti quantità di cibo che spesso vengono semplicemente sprecate”. Allo stesso modo, il Papa sottolinea che “non possono lasciare indifferenti i numerosi profughi in cerca di condizioni di vita minimamente degne, che non solo non trovano accoglienza, ma non di rado vanno incontro alla morte in viaggi disumani”. “Sono consapevole che queste parole sono forti, persino drammatiche – nota il Papa – tuttavia esse intendono sottolineare, ma anche sfidare” la capacità del Forum di fare la differenza. Quello che occorre, ribadisce il Pontefice, è “un senso di responsabilità rinnovato, profondo ed esteso da parte di tutti”, per “servire con più efficacia il bene comune e rendere i beni di questo mondo più accessibili per tutti”. Facendo sue le parole di Benedetto XVI nella Caritas in veritate, Papa Francesco sottolinea poi che l’equità non deve essere solo economica, bensì deve basarsi su una “visione trascendente della persona”, in modo che si possa ottenere “una più equa distribuzione delle ricchezze, la creazione di opportunità di lavoro e una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo”. Il messaggio del Pontefice si conclude con un appello forte: “Vi chiedo – scrive – di fare in modo che la ricchezza sia al servizio dell’umanità e non la governi”, nell’ottica di “un’etica veramente umana”, portata avanti da persone “di grande onestà ed integrità”, guidate da “alti ideali di giustizia, generosità e preoccupazione per l’autentico sviluppo della famiglia umana”. Giunto alla 44.ma edizione, il Forum di Davos vede quest’anno 2.500 partecipanti, tra cui circa 40 Capi di Stato e di governo. Non mancano il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Presenti anche numerose ong e diversi rappresentanti religiosi, cristiani, ebrei e musulmani. Per la Chiesa cattolica, oltre al card. Turkson, si segnalano i porporati John Onayekan, arcivescovo di Abuja, in Nigeria, e Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, nelle Filippine, oltre all’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin.

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    Tweet del Papa: mi unisco alla Marcia per la vita a Washington, rispettare i più vulnerabili

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet in coincidenza con la 41.ma Marcia per la Vita in programma a Washington, che ricorda la sentenza con cui la Corte Suprema legalizzò l’aborto negli Stati Uniti nel 1973. Questo il testo del Papa: “Mi unisco alla Marcia per la Vita a Washington con le mie preghiere. Possa Dio aiutarci a rispettare ogni forma di vita, in particolare i più vulnerabili”.

    Più di 10mila pellegrini hanno partecipato ieri sera al Santuario nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington all’annuale Veglia di preghiera, alla vigilia della 41.ma Marcia per la Vita. A presiedere la Messa di apertura, il card. Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Commissione episcopale per le attività pro-vita. La Veglia è proseguita dalla mezzanotte nella cripta con le confessioni, la recita del Rosario, la preghiera notturna e l'esposizione del Santissimo Sacramento. Quindi la Messa conclusiva, presieduta questa mattina da mons. Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, prima della marcia diretta alla Corte Suprema organizzata da diverse organizzazioni pro-vita. La Veglia e la Marcia sono il momento culminante della seconda edizione della “Novena di preghiera e penitenza”, che in questi giorni sta coinvolgendo tutte le diocesi statunitensi. Tra le varie iniziative previste la 10.ma “Camminata per la Vita sulla West Coast” che si terrà il 25 gennaio a San Francisco e alla quale sono attese 50mila persone. Il card. O'Malley nei giorni scorsi ha spiegato che la sentenza del 1973 rappresenta l’esempio più evidente di quella che Papa Francesco ha definito la “cultura dello scarto”. “Eppure – ha aggiunto – la nostra società relega l'aborto a una questione di scelta personale, spesso negando persino il riconoscimento della dignità umana dei bambini non nati”.

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    Allo studio viaggio del Papa in Corea del Sud ad agosto

    ◊   Interpellato dai giornalisti sui prossimi viaggi internazionali di Papa Francesco, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha risposto che è allo studio un viaggio apostolico in Asia, in particolare in Corea del Sud, in occasione del grande incontro dei giovani asiatici che avverrà a metà agosto in questo Paese. Inoltre – ha affermato padre Lombardi – è stato rivolto al Papa un invito per una visita a Sarajevo, ma non c’è alcuna decisione del Papa e quindi nulla di operativo. Infine, un altro invito riguarda un viaggio nello Sri Lanka e nelle Filippine, che – ha detto padre Lombardi - è allo studio, ma non è in programma comunque nel 2014.

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    Il presidente dello Ior: progressi significativi in materia di trasparenza e lotta al riciclaggio

    ◊   Oggi lo Ior ha riferito, in un comunicato, i progressi compiuti dal programma per la trasparenza e la conformità alle norme internazionali in materia di lotta al riciclaggio del denaro. “Abbiamo lavorato molto duro” – afferma il presidente dello Ior, Ernst von Freyberg – “e sebbene ci sia ancora molto da fare è indubbio che ci stiamo muovendo sulla strada giusta e che abbiamo compiuto progressi significativi". Ma ascoltiamo lo stesso Ernst von Freyberg, al microfono di Stefan von Kempis:

    R. – In May 2013, we told the world that we would become completely compliant …
    Nel maggio del 2013, abbiamo detto al mondo che saremmo diventati completamente trasparenti e avremmo risposto alle richieste di adeguamento. In molti, allora, hanno detto: “Impossibile! E’ un’utopia!”. Invece, è molto possibile riformare un’istituzione come lo Ior e dare quindi al Santo Padre la possibilità di scegliere tra alcune opzioni per quanto riguarda il futuro dello Ior stesso. Parlando dell’adeguamento, abbiamo impiegato l’anno scorso per creare il sistema e per esaminare i nostri “clienti” in funzione di possibili irregolarità. Quando parlo di “sistema”, intendo un sistema che va oltre lo Ior, che si estende dallo Ior alle autorità vaticane e da queste alla collaborazione internazionale con altre autorità coinvolte nel grande impegno antiriciclaggio di denaro sporco. La nostra parte in questo sistema è avere procedure e guide che ci consentano di identificare transazioni sospette, di avere attuato le richieste dell’Aif, e formare il nostro staff a lavorare con questi sistemi. Il passo successivo è consegnare il risultato delle nostre indagini alle autorità, e noi abbiamo ampiamente migliorato questo procedimento nonché i contenuti delle nostre relazioni. A partire da qui si arriva quindi alla collaborazione internazionale che ieri è stata presentata in modo eccellente sul caso Scarano.

    D. – Per quanto riguarda il caso Scarano, le autorità italiane stanno lavorando sui risultati consegnati loro dal Vaticano nello scorso mese di giugno?

    R. – It is not for us to comment on individual cases. We have worked very hard …
    Non sta a noi commentare casi singoli. Noi abbiamo lavorato duro per adempiere alle richieste che ci erano state presentate, in fatto di adempimenti legali, e abbiamo consegnato tutto alle nostre autorità. Da quello che deduco dalla conferenza stampa di ieri della Procura di Salerno, le autorità italiane sono molto soddisfatte della collaborazione con le autorità vaticane. Loro riconoscono che il Vaticano persegue la stessa meta, e cioè il rafforzamento della legge.

    D. – Un caso come il caso Scarano si potrebbe verificare ancora nello Ior, oppure scatterebbe immediatamente un campanello d’allarme?

    R. – With the systems we have in place today, we would have alarm bells ringing …
    Con i sistemi che abbiamo attuato oggi, il campanello d’allarme suonerebbe immediatamente.

    D. – Qual è il nocciolo nella sua nuova guida antiriciclaggio? Qual è la chiave per comprendere da dove passino transazioni sospette?

    R. – The key is, to request very detailed data and to monitor transactions on two …
    La chiave è richiedere dati molto dettagliati e quindi monitorare le transazioni su due livelli: nell’immediato e poi attraverso un sistema di verifica. Ogni altra cosa non è argomento di discussione, perché lo scopo di una guida è quella di identificare le transazioni sospette, non dire loro come lo faremo.

    D. – A che punto è il processo di esame dei vostri “clienti”? Siete già a buon punto?

    R. – By the end of 2013, we had screened approximately 10.000 client relationships …
    Alla fine del 2013, avevamo verificato le posizioni di circa 10 mila “clienti”; ne rimangono ancora circa 8 mila.

    D. – La parte dei “clienti” maggiormente “a rischio” era stata esaminata già precedentemente?

    R. – We have obviously organized our work in that way, that the theoretically …
    Ovviamente, abbiamo organizzato il nostro lavoro in modo tale da esaminare prima di tutto i rapporti in teoria maggiormente a rischio.

    D. – Quali sono i prossimi passi?

    R. – In 2014, we have a lot of work to do on transparency and compliance. …
    Nel 2014 ci aspetta ancora molto lavoro sulla trasparenza e per l’adeguamento agli standard internazionali. Pur avendo fatto progressi maggiori di quanto ci si aspettasse, in generale, quando abbiamo iniziato l’anno scorso, non possiamo dire di avere finito. Noi stiamo aspettando che il Santo Padre definisca le finalità future dello Ior e, a seconda delle sue decisioni, lavoreremo per adeguare a queste le nostre operazioni.

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    Mons. Laffite: l'Africa sa custodire vita e famiglia come beni comuni della società

    ◊   La famiglia africana sa proteggere la vita che nasce come una valore. La convinzione è espressa da mons. Jean Laffitte, che da oggi a venerdì prossimo rappresenta a Kinshasa il Pontificio Consiglio per la Famiglia al Congresso promosso dalla “Communauté Famille Chrétienne” col titolo “La problematica dei valori della famiglia nella società congolese”. Il presule, che ha tenuto l’intervento inaugurale, è stato intervistato da Marie Duhamel sulle problematiche del Congresso alla vigilia della partenza per la Repubblica Democratica del Congo:

    R. – Le problematiche che incontrano le famiglie nel mondo intero oggi, in una cultura individualistica ormai diffusa, dove si dimenticano i valori familiari, sfortunatamente hanno anche il loro influsso su tutte le società africane e in modo particolare ciò è evidente nelle grandi metropoli, nelle grandi città del Congo come in altri Paesi africani. Quindi, il senso della mia missione è di rispondere all’invito della Conferenza episcopale congolese e del cardinale Monsengwo, che ha rivolto un invito ufficiale, come pure della Comunità delle famiglie cristiane. Gli organizzatori di questo importante congresso fanno parte dell’Università di Kinshasa.

    D. – Lei vuole incoraggiare la chiesa locale, questa comunità di Famiglie cristiane che si occupa molto della famiglia, ma intende anche dare un avvertimento nei confronti di queste problematiche che abbiamo, per esempio, in Europa a causa della secolarizzazione…

    R. – La secolarizzazione, ma direi anche l’introduzione di tematiche un po’ più ideologiche come l’idea del gender, il programma di educazione sessuale nelle scuole elementari e secondarie; programmi che sono finanziati e sponsorizzati da alcune fondazioni e organizzazioni internazionali. Comunque, il senso della mia missione, oltre a rispondere a un invito, è trasmettere un messaggio di speranza e di incoraggiamento, ampiamente orientato verso il bene della famiglia, della comunione coniugale familiare, dei legami di solidarietà fra i membri di una stessa famiglia, del ruolo della socializzazione progressiva dei membri della famiglia attraverso l’educazione e la preparazione dei giovani a svolgere un compito, un ruolo. La società africana favorisce e protegge alcuni valori che perdiamo un po’ di vista in alcuni Paesi. In particolare, l’accoglienza della vita, nei villaggi, nelle campagne e quindi il senso della vita umana, è percepito sempre come un dono del Creatore, un dono da custodire e da accogliere con gratitudine. Si vede come la famiglia, in senso ampio, e la società considerino le nuove vite un bene oggettivo della società. Quindi, un messaggio di speranza e un messaggio che sarà necessariamente realistico, per mettere in guardia contro le tentazioni dell’abbandono dei veri valori che fondano la società africana.


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    70° sbarco di Anzio: quando Pio XII aprì le Ville Pontificie agli sfollati

    ◊   All’alba del 22 gennaio di 70 anni fa, l’artiglieria alleata apriva il fuoco contro la costa laziale per preparare lo sbarco sulla spiaggia di Anzio. Il nuovo fronte di guerra provocò un’onda lunga di sfollati, migliaia dei quali ripararono nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, aperte come ricovero da Pio XII. Proprio la cittadina dei Papi fa memoria oggi pomeriggio di quegli eventi con una Messa – presieduta dal cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato Vaticano – e un successivo incontro nel Palazzo Apostolico. Al microfono di Alessandro De Carolis, il dott. Saverio Petrillo – per 27 anni direttore delle Ville – rievoca quei giorni di dramma e di solidarietà:

    R. – Appena avuta notizia dello sbarco, le popolazioni atterrite di Castel Gandolfo e dei Paesi vicini si precipitarono agli ingressi delle Ville. I castellani andarono direttamente verso il Palazzo, mentre gli abitanti di Albano, Ariccia e Genzano verso il cancello di Albano. Il Papa dette immediatamente l’ordine di aprire e far entrare tutti. Quindi, si improvvisò questo immenso “bivacco” di popolo, in alcuni periodi si contarono addirittura 10-12 mila persone all’interno delle Ville. Gli abitanti di Castel Gandolfo furono accolti nel Palazzo pontificio, gli altri nelle vari abitazioni sparse nella villa ed in particolare nel grande Collegio di Propaganda Fide, che successivamente – il 10 febbraio – fu bombardato. Malgrado monsignor Montini, allora sostituto della Segreteria di Stato, avesse avuto dagli alleati le più ampie assicurazioni sul rispetto della zona extra territoriale ci fu poi un bombardamento al confine di Albano dove morirono 18 suore nel Convento delle Clarisse, che come è noto si trova nelle Ville Pontificie, e a Propaganda Fide si contarono oltre 500 morti.

    D. – Che tipo di assistenza ebbero quelle migliaia di sfollati che si ripararono nelle Ville?

    R. – La carità del Papa provvide a tutto. Dal Vaticano venivano inviate continuamente derrate alimentari, medicinali, vestiario, mezzi di trasporto, perché il direttore delle Ville Pontificie si trovò come unica autorità della zona a organizzare anche un po’ la vita di questa gente.

    D. – In quei giorni di guerra e distruzione, in qualche modo la vita fu più forte e il segnale lo diedero anche quelle decine di neonati che nacquero nelle Ville Pontificie…

    R. – Sì. Il particolare è che alle partorienti fu riservato addirittura l’appartamento papale. Quindi, nella stanza da letto del Papa nacquero una quarantina di bambini, che per riconoscenza a Pio XII furono per lo più battezzati come Pio o Eugenio.

    D. – Una storia senza una memoria che la ricordi sarebbe inutile. Cosa le suggerisce, 70 anni dopo, la memoria di quei giorni?

    R. – Intanto, un sentimento di riconoscenza alla Chiesa, perché la Chiesa come sempre è “maestra di umanità”, aperta a tutti. Per fare un esempio, a Palazzo Barberini c’era un posto di pronto soccorso creato proprio per sovvenire alle necessità degli sfollati e a questo posto di pronto soccorso arrivavano dall’esterno anche partigiani o militari tedeschi feriti. Questo per dire di come la Chiesa sia madre per tutti.

    D. – Cinquantasette anni di servizio, 27 dei quali come responsabile di una organizzazione complessa come la gestione delle Ville Pontificie, sono un’esperienza lunga e certamente particolare. Cosa le hanno lasciato?

    R. – Tutto, nel senso che ho cominciato che avevo 18 anni, esco che ne ho 74. Quindi, può immaginare, tutta una vita dedicata a questa missione, a questo ideale.

    D. – C’è qualche episodio che porta con sé nel cuore in particolare?

    R. – Tanto per citare gli avvenimenti più importanti, ho avuto la ventura di assistere a Castel Gandolfo direttamente alla fine di tre Pontificati. Due per morte – infatti Pio XII e Paolo VI sono morti a Castel Gandolfo – ed uno per rinuncia. Tutti abbiamo nella mente e nel cuore quel 28 febbraio quando alle otto di sera si è chiuso il portone del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo come simbolica chiusura del Pontificato di Papa Benedetto XVI.

    D. – Quali sentimenti accompagnano questi ricordi?

    R. – Sentimenti di riconoscenza al Signore, che mi ha permesso di vivere una vita così particolare, perché è un privilegio non comune quello di assistere così da vicino alla vita dei Papa e quindi alla vita della Chiesa.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L’urgenza della pace: nuovo appello di Papa Francesco per l’inizio dei negoziati sulla Siria

    Ricchezza al servizio di tutti: messaggio del Pontefice per il summit di Davos.

    Coincidenze e priorità in comune: Anthony Currer sulle relazioni con la Comunione anglicana e il Consiglio metodista mondiale.

    Quel lembo di terra chiamato ecumenismo: Alberto Fabio Ambrosio sulla Settimana di preghiera a Istanbul.

    Troppa luce: il cardinale Gianfranco Ravasi su quando Dio irrompe nella vita di ogni uomo.

    Ogni desiderio va esaudito: Cristian Martini Grimaldi sulla maternità in vendita.

    Fotoreporter che lasciano il segno: Gaetano Vallini recensisce l’ultimo libro di Mario Calabresi.

    Per interpretare l’uomo: il cardinale Velasio De Paolis spiega il contributo della teologia all’esperienza giuridica.

    Dostoevskij e il proprietario della gioia: il cardinale Angelo Comastri ricorda, a cinquant’anni dalla morte, Benedetta Bianchi Porro.

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    Oggi in Primo Piano



    Centrafrica, le nuove autorità al lavoro per la riconciliazione

    ◊   Non si ferma il conflitto in Repubblica Centrafricana: altri dodici corpi di vittime degli scontri armati sono stati scoperti a nord della capitale Bangui. Intanto ieri, a Roma, presso la comunità di S. Egidio, rappresentanti del mondo politico e della società civile centrafricana hanno ribadito l’impegno per la pace e il sostegno a Catherine Samba-Panza, nuova presidente ad interim. Sul suo ruolo in vista di una riconciliazione tra le fazioni, ascoltiamo, nell’intervista di Davide Maggiore, il vicepresidente dell’autorità nazionale elettorale, Godefroy Mokamanede:

    R. – L’élection de madame Samba-Panza constitue à n’en point douter …
    L’elezione della signora Samba-Panza costituisce senza alcun dubbio un punto forte nel processo di transizione. Nel suo discorso inaugurale, parlando come “madre della nazione”, si è rivolta ai diversi protagonisti armati chiedendo loro di deporre le armi; ha anche ricordato di comprendere le grida che sgorgano dai cuori degli uni e degli altri e ha promesso il suo impegno per riunificare tutti i figli e le figlie del Centrafrica.

    D. – Quindi sarà possibile una collaborazione della società civile con la signora Samba-Panza, al fine di raggiungere finalmente la pace nel Paese?

    R. – Oui, je crois que la société civile était très en avant dans le processus, …
    Credo che la società civile fosse già disposta a questo processo: infatti, posso dirle che non soltanto la società civile è stata totalmente integrata nel processo di elaborazione dei criteri per la designazione dei candidati, ma successivamente anche nel processo di discussione, perché è stata sollecitata a confrontarsi con tutti i potenziali candidati per individuare quale di loro incorporasse maggiormente la capacità di riportare la pace nel nostro Paese. E credo che la società civile sia veramente determinata a lavorare, mano nella mano, con la nuova presidente di transizione.

    D. – Quale ruolo può svolgere, d’altro canto, la comunità internazionale in questo processo?

    R. – Aujourd’hui la Rca a cette malchance de ne plus avoir d’Etat; donc …
    Oggi, purtroppo, la Repubblica Centrafricana ha la sfortuna di non avere più uno Stato; per questo noi contiamo fermamente sulla comunità internazionale affinché appoggino inizialmente le nuove autorità nel loro impegno a riportare sicurezza e pace, e in un secondo tempo a ristabilire l’autorità dello Stato su tutta la Repubblica e anche ad appoggiare lo Stato Centrafricano in modo tale che esso possa impegnarsi in un vero processo di sviluppo. Affinché si attuino i fondamenti per uno sviluppo durevole e vero e scompaia la miseria – uno dei mali che la Repubblica Centrafricana conosce e che forma l’origine dalla quale partono tutte le nostre crisi – noi ci aspettiamo di essere efficacemente accompagnati dalla comunità internazionale.

    D. – Per quanto riguarda la durata del periodo di transizione, si potranno tenere elezioni “credibili” alla data prevista?

    R. – C’est le terrain qui commande, comme on dit. …
    Come si dice: il tutto sarà determinato da quello che succede sul campo. Da una settimana, i membri dell’autorità nazionale per le elezioni stanno visitando tutte le prefetture della Repubblica Centrafricana per fare il punto della situazione. La prima tappa perché si possano svolgere elezioni credibili e trasparenti è il censimento degli elettori. Ora, nel momento in cui vi sto parlando, ci sono sfollati interni, ci sono rifugiati e noi stiamo riflettendo per capire come procedere per far tornare a casa gli sfollati, prima di iniziare il processo di censimento che è uno dei fattori determinanti per avere elezioni credibili e trasparenti.

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    Arena di pace e disarmo 2014: torna a Verona l'appuntamento del pacifismo italiano

    ◊   Verona torna a riunire il pacifismo. Il 25 aprile prossimo, associazioni laiche e religiose si riuniranno nell’Arena per quella che è stata definita “una giornata di resistenza e liberazione”, per chiedere agli italiani tutti di sostenere “il disarmo militare e la difesa civile”. L’iniziativa è stata presentata oggi a Roma. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Il mondo della pace torna in Arena. Dopo anni di assenza da Verona, il 25 aprile prossimo, l’intero popolo della pacifismo riproporrà i valori della resistenza e della liberazione, oggi incarnati nella nonviolenza e nel disarmo, da opporre alle enormi spese militari sostenute dall’Italia. “Arena di pace e disarmo 2014” è organizzata da una moltitudine di associazioni religiose e laiche, da esponenti della società civile, da singole persone che si riuniranno nell’anfiteatro del capoluogo veneto per una giornata di riflessione e di spettacolo, con la partecipazione di molti artisti. Svetteranno su di tutti le effigi di chi in passato ha testimoniato il pacifismo con il suo esempio di vita, come mons. Tonino Bello, padre David Turoldo, padre Ernesto Balducci. Tra gli organizzatori il Movimento Nonviolento, Massimo Valpiana è il presidente nazionale:

    R. – E’ un’arena di tutti e dove tutti, ognuno con le sue diversità e con le sue storie, quindi associazioni laiche, religiose, reti e anche singole persone, ci si ritrova per condurre insieme questa campagna per il disarmo – il disarmo militare, il disarmo dell’economia, il disarmo della politica – e per la costruzione di una vera difesa, come quella richiamata dall’art. 52 della Costituzione che è la difesa della patria. Ci siamo chiesti: “Quali sono oggi i veri nemici, che minacciano l’integrità nostra, delle nostre famiglie, della comunità nazionale?”. E la risposta viene spontanea da tutti: i veri nemici sono la povertà, la disoccupazione, la mancanza dei servizi sociali. Queste sono le vere cose che minano la nostra sicurezza. E per difenderci da questi nemici, da queste aggressioni, servono gli F35 o servono più fondi per i servizi primari della società, per dare casa a chi non ce l’ha, per dare scuola a chi non ce l’ha? Ecco l’Arena di pace: togliamo soldi dagli armamenti e investiamo queste risorse così liberate per la difesa e per costruire un futuro migliore per tutti noi, soprattutto per le nuove generazioni che oggi sono in un momento di difficoltà, di depressione, di mancanza di futuro.

    D. – In tanti anni di divisioni, perché in questo momento questa grande unità di intenti? Pensate forse che la politica vi offra più sponda di prima?

    R. – No, al contrario. Perché in questo momento il tema del disarmo non è al centro dell’agenda politica e i partiti politici, i responsabili delle istituzioni devono invece capire che tale questione è al centro dell’attenzione delle persone. E’ uno scandalo – la gente lo vive proprio come uno scandalo che in questo momento – che noi investiamo oltre 25 miliardi di euro per la difesa militare e gli armamenti, mentre non abbiamo i soldi per mettere in sicurezza le scuole dove vanno i nostri bambini. Quindi, è una richiesta non solo alla politica, ma ci mettiamo in gioco noi per primi, questa è la novità dell’Arena. Non è solo una manifestazione di volontà, una manifestazione di un’opinione, ma è un mettersi in gioco. Iniziamo una campagna: è una campagna politica e ognuno andrà via dall’Arena, quel giorno, avendo un compito da svolgere. L’obiettivo finale che vogliamo è l’opzione fiscale: la capacità per il cittadino di poter scegliere se finanziare la difesa militare armata tradizionale, o finanziare la difesa non violenta. Questo oggi già avviene, ogni cittadino può scegliere se finanziare con l’8 per mille la Chiesa cattolica, un’altra Chiesa o lo Stato. Con il 5 per mille possiamo scegliere a quale associazione affidare una parte dei nostri fondi. Il cittadino ha già la possibilità di indirizzare le tasse. Noi vogliamo farlo anche sul tema della difesa, perché siamo certi di rappresentare la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Se questa possibilità ci fosse, il 90% e più dei cittadini deciderebbe di dare i propri soldi per la difesa non violenta.

    Le Arene nascono negli anni ’80 per iniziativa dei "Beati Costruttori di Pace". Si ricordano quella del 1991, organizzata in opposizione alla guerra del Golfo, o l’ultima, quella del 2003, con l’invito a esporre dai balconi la famosa bandiera arcobaleno della pace, contro la guerra in Iraq. Iniziativa, quest’ultima, promossa da padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano è il primo firmatario dell’appello diffuso per questa edizione 2014 da oltre cento personalità del mondo della pace e del disarmo:

    R. – Viviamo in una società che si è totalmente appiattita: c’è bisogno proprio di risvegliare! Ha avuto ragione Papa Francesco a Lampedusa, quando ha detto: “Sono venuto a risvegliare le vostre coscienze!”. Per fortuna che abbiamo avuto la voce di un pastore capace di parlare al cuore della gente, sta parlando al cuore degli italiani, al cuore del mondo, risvegliando grossi valori. Penso che questi richiami lentamente riusciranno a far uscire le coscienze intorpidite degli italiani e farli un attimo ragionare. E’ importante come cittadini, ma soprattutto come Chiesa, incominciare a risvegliare le persone, ragionare e capire che l’espressione delle armi è solo una parte della follia umana. E’ tutto un sistema che ci sta portando alla morte! E’ importante allora quel richiamo alla resistenza, ai grandi valori di fondo, in fondo ai valori della vita.

    D. – E a quei valori della Costituzione italiana che voi sottolineate, il ripudio della guerra, primo fra tutti...

    R. – Esatto. Noi vogliamo riprendere, fra l’altro, le antiche Arene. Noi siamo partiti nell’86 con la prima, poi la famosa Arena del 1989 nella quale c’era il grande vescovo Tonino Bello, in piedi, fino a quella del ’91, con grandi testimoni come Balducci e Turoldo. Arene straordinarie che hanno segnato una generazione! Noi vogliamo riprendere in quello spirito, per rilanciare tutta la tematica della pace, il ripudio della guerra e soprattutto della follia italiana: nel 2012, abbiamo speso oltre 25 miliardi di euro, cui bisogna aggiungere i 15 miliardi per gli F35! Chi ne paga le spese sono i poveri, la scuola e la sanità. Ecco la follia. Ed è questo che noi vogliamo contestare.

    D. – Fondamentale per il movimento pacifista e per il movimento non violento anche arrivare ad un momento di autocritica, perché in questi anni la rete si è allentata, forse troppo…

    R. – Dobbiamo farla ed è verissimo! La critica fondamentale che io faccio al Movimento Nonviolento, che lavora sulla pace in Italia, e per me questo è il problema più grosso, è stata l’incapacità di mettersi insieme per avere un comune movimento, come abbiamo fatto per l’acqua per andare al referendum. Un comune movimento, con una segreteria nazionale, che parli a nome di tutti. Già è difficile sfondare su questo problema delle armi, quindi dobbiamo davvero farci una grande autocritica su questo e metterci di nuovo in movimento.

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    Reato di clandestinità: Caritas soddisfatta per il voto di abrogazione del Senato

    ◊   L’abrogazione in seconda lettura, ieri al Senato, del reato di clandestinità è un atto di civiltà che ci avvicina all’Europa: così si è espressa il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, dopo il voto che, a stragrande maggioranza, trasforma l’ingresso illegale da reato penale a illecito amministrativo punito con l'espulsione, come era previsto nella legge Bossi-Fini. Di tutt’altro parere esponenti della Lega, che hanno votato contro, e la Confederazione sindacale autonoma di Polizia, per la quale l’abrogazione è un deciso passo indietro che sancisce lo status di “colabrodo” delle frontiere dell’Italia. Adriana Masotti ha chiesto un commento a Oliviero Forti, responsabile del settore immigrazione della Caritas italiana:

    R. – Per noi, era una disposizione di legge che avrebbe dovuto essere abrogata il giorno successivo a quello in cui fu introdotta, perché avevamo capito fin dall’inizio che avrebbe solo portato guai. Innanzitutto per i cittadini stranieri, ma poi anche per tutto l’apparato amministrativo, che in questi anni hanno dovuto sopportare non solo lungaggini indescrivibili ma anche un carico, in termini di costi e di risorse, che diversi rapporti hanno evidenziato. Quindi, anche noi l'accogliamo con favore, anche se lo sforzo avrebbe potuto essere maggiore. Oggi, rimane il caso di recidiva il reato e noi avremmo voluto vederlo completamente abolito, anche perché – come si è detto anche nel passato – si tratta certamente di una norma che può avere solo un carattere di tipo amministrativo e non certamente penale.

    D. – Nelle carceri italiane ci sono immigrati condannati per il solo reato di clandestinità?

    R. – Guardi, soprattutto chi ha dovuto subire il contraccolpo di questa previsione sono i Centri di trattenimento conosciuti come Cie – Centri di identificazione e di espulsione – di cui tanto si è parlato anche negli ultimi tempi e che speriamo siano la successiva revisione di legge che verrà abrogata. Perché noi vogliamo che questo sia solo l’inizio di un percorso che ristabilisca non solo giustizia rispetto al tema del’immigrazione e degli immigrati, ma soprattutto una nuova politica volta a non vedere l’immigrazione solo come questione di sicurezza, così come è stato fino ad oggi, d’altronde. E quindi, chiaramente, i Cie – che sono popolati da queste persone – noi crediamo debbano essere superati. Bisogna andare verso la loro chiusura e questo è possibile solo partendo dall’abolizione di questo reato, così com’è stato previsto ieri al Senato.

    D. – Ma che cosa dire a chi pensa che togliendo questo reato si aprono le frontiere, le porte dell’Italia, a chiunque?

    R. – Questa preoccupazione non è assolutamente suffragata da alcun dato di fatto. Basti leggere gli ultimi rapporti che ci dicono come noi, fino a oggi, con questo reato ci abbiamo solo rimesso, anche economicamente. Quindi, evidentemente sono altre le misure. La prima fra tutte è quella di permettere in maniera legale, regolare, a queste persone di entrare nel nostro territorio. E’ evidente che fino a quando noi attueremo una politica di sostanziale chiusura delle frontiere, l’unica modalità per entrare nel nostro Paese, e quindi in Europa, sarà quella di un ingresso irregolare con tutto quello che ciò comporta. Quindi, incredibilmente basterebbe regolare l’immigrazione con un approccio che vada verso una regolazione legale dei flussi, cosa che fino ad oggi purtroppo non è stata fatta o è stata fatta in maniera insufficiente.

    D. – Per quanto riguarda i provvedimenti di espulsione, saranno possibili anche in mancanza del reato di clandestinità?

    R. – Ma questo è evidente: chi non ha i requisiti per rimanere sul territorio dello Stato deve essere allontanato, così come prevede la legge.

    D. – Per concludere, mi sembra che questo “sì” del Senato all'abrogazione cambierà probabilmente la vita per tanti, ma forse potrà cambiare la mentalità anche degli italiani. Almeno, questo è quello che ci si auspica…

    R. – Concordo, sì. Al di là del fatto che molti cittadini stranieri ne beneficeranno – in quanto non più soggetti a questo, mi passi il termine, “processo di criminalizzazione” – è evidente che l’investimento maggiore è quello sulla cultura che oggi, nel nostro Paese, rispetto al tema migratorio, ha avuto una battuta d’arresto, in alcuni casi anche una regressione. Quindi, speriamo che questo sia un segnale importante per molte persone – forse troppe – che pensano ancora che l’immigrazione costituisca solo un problema, per il nostro Paese.

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    Pakistan. Sempre più cristiani accusati di blasfemia, Asia Bibi rimane in carcere

    ◊   Maggiore sensibilizzazione internazionale sulla legge contro la blasfemia in Pakistan, dove aumenta sempre di più il numero dei cristiani accusati. A chiederlo sono le associazioni dei cristiani pakistani in Italia in un incontro organizzato a Roma, presso il Convento di Gesù e Maria, in occasione della “Settimana per l’unità dei cristiani”. Il servizio è di Elvira Ragosta:

    Da quando, lo scorso dicembre, la Corte federale della sharia ha chiesto al governo pakistano di applicare la morte come unica pena al reato di blasfemia, prima punita col carcere fino all’ergastolo, le minoranze cristiane sono seriamente preoccupate. Le associazioni dei pakistani cristiani in Italia denunciano che tale legge viene utilizzata spesso come strumento contro le minoranze nel Paese. Dei 32 casi registrati nel 2013, infatti, 16 vedono imputati cittadini di religione cristiana. Sul versante extra-giudiziale, le esecuzioni sommarie dei fondamentalisti, dal 1986 a oggi, sono state 2500. Marta Petrosillo dell’Associazione dei Pakistani Cristiani:

    "Non è prevista la volontarietà del soggetto per il reato di blasfemia contro il Corano. E’ sufficiente che una copia del Corano cada dalle mani, oppure che una persona calpesti un versetto del Corano riportato su di una rivista, o su un quotidiano per essere accusata - in un Paese dove solamente il 5% della popolazione parla arabo - e chiunque potrebbe calpestare, o danneggiare un foglio di giornale, senza sapere che questo contiene versetti del Corano".

    Condannata all’impiccagione per blasfemia, resta ancora in carcere, dal 2009, Asia Bibi, la cristiana pakistana che non ha voluto contrattare con l’abiura religiosa la sua liberazione. Rahat Afza, advisor di Human rights watch:

    "Durante Natale ho visto i suoi figli e solo a vederli ti fa male: anche loro hanno diritto di avere una famiglia. Lei sta pagando senza aver commesso alcun peccato; non so per quali motivi".

    Ma come comunicano a livello internazionale i cristiani pakistani? Lo abbiamo chiesto ad Adan Farhaj della All Pakistan Christian League:

    "Ci troviamo in una situazione dove i network - Facebook ed i giornali on line - sono molto visibili e molto veloci ed in questo modo 'abbiamo i contatti'. Tante volte, nei Paesi molto poveri una persona non ha nemmeno un letto per dormire, ma riesce comunque a mettersi in contatto attraverso il cellulare o su Facebook. Quindi, i media sono, in primis, i mezzi da dove iniziare per farsi sentire ed avere contatti sia a livello pakistano, che a livello internazionale".

    Cosa può fare la Comunità Internazionale per garantire le minoranze cristiane in Pakistan? Attilio Tamburini dell’Osservatorio per la Libertà religiosa del Ministero degli Esteri:

    "Potrebbe fare moltissimo: potrebbe condizionare gli aiuti economici, gli interscambi commerciali al rispetto dei diritti umani; ma, purtroppo, non viene fatto quasi nulla perché ai diritti umani si fanno prevalere gli interessi economici".

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    La storia di Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia nel 1983, raccontata in un libro dalla figlia Caterina

    ◊   Presentato ieri a Roma il libro di Caterina Chinnici intitolato “E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte”. Il volume, edito da Mondadori, racconta la storia di suo padre, il giudice Rocco, ucciso dalla Mafia nel 1983. Il servizio di Davide Dionisi:

    Quel tragico 29 luglio 1983, la mafia mutò direzione. Scelse la via eclatante, quella che avrebbe dimostrato che nel braccio di ferro con lo Stato, comunque l’avrebbe spuntata. Così fece esplodere in Via Federico Pipitone, a Palermo, l’autobomba che uccise il giudice Rocco Chinnici, gli uomini della sua scorta e il portiere dello stabile dove il magistrato viveva insieme alla moglie e i figli. Oggi Caterina Chinnici, la più grande e anche lei magistrato, ha voluto raccontare quei momenti di ansia, di angoscia e di disperazione che hanno segnato una delle pagine più buie della storia italiana. E soprattutto ha voluto raccontare la storia di un servitore delle istituzioni e di come cambia una famiglia che ha vissuto il dolore della sua scomparsa:

    D. – Quanto ha contato nel suo lavoro, l’esempio di suo padre?

    R. – Mi sento di dire che è stato davvero determinante. Intanto, perché se io sono diventata magistrato è merito di mio padre. Lui mi ha trasmesso, fin da quando ero piccolissima, un grande amore, una grande passione per la magistratura e ho appreso, senza rendermene conto, senza che lui mi facesse delle lezioni, come si fa il magistrato: coniugando il rigore professionale con una grande umanità, che non deve mai essere dimenticata, nemmeno di fronte a chi ha commesso i più gravi reati. E quindi, io ho imparato crescendo a fare il magistrato, sono diventata magistrato con grande gioia di mio padre, e lui è diventato il mio modello e il mio riferimento e continua ad esserlo ancora oggi.

    D. – Perché un giovane che vuole diventare magistrato dovrebbe leggere la biografia di suo padre?

    R. – Bè, proprio per quello che ho detto: perché credo che potrà trovare un modello e penso anche uno stimolo. Papà era sempre vicino ai giovani magistrati: incoraggiava quelli che ancora stavano studiando ad impegnarsi, a intraprendere il concorso con impegno, con determinazione e con fiducia. E quindi io credo che possa essere un modello di magistrato, però al tempo stesso possa offrire ai ragazzi quello stimolo per decidere di intraprendere una carriera così impegnativa.

    D. – Se dovesse definire la mafia del 1983 e quella di oggi, come lo farebbe?

    R. – La mafia del 1983, con una parola, si potrebbe dire una mafia militarizzata, estremamente crudele, che non teneva in alcuna considerazione la vita degli altri e che per cancellare quelli che si ponevano come ostacoli al raggiungimento del potere e degli interessi economici non esitavano un attimo ad ucciderli e ad ucciderli con le modalità più brutali. Oggi la mafia è qualcosa di diverso: si è forse infiltrata nella nostra società, si confonde più facilmente e quindi è più difficile da perseguire per le istituzioni dello Stato, ma è certamente altrettanto pericolosa. Quindi, siamo passati ad una mafia più sofisticata che non usa più la violenza in quanto tale, ma comunque usa sempre lo stesso metodo: l’intimidazione, la prepotenza. E’ una violenza che non è più, però, quella militare.

    D. – Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino … quante persone ha incontrato lungo il suo cammino con i volti e con quella volontà di sconfiggere il male?

    R. – Ma, guardi, tanti, tanti … Nella mia vita io ho avuto il privilegio di conoscere tante di quelle persone, e poi il dolore di perderle. Io ricordo perfettamente Cesare Terranova, Gaetano Costa, il presidente Mattarella, che allora era presidente della Regione e venne ucciso; ho ricordo di Pio La Torre, il generale Dalla Chiesa … tutte queste persone io le ho conosciute! Poi, Falcone e Paolo Borsellino in particolare che io dico che fanno parte del mio patrimonio affettivo. Paolo Borsellino, che aveva questa coincidenza del giorno di nascita con mio padre, era una persona assolutamente simile a lui: aveva lo stesso tratto umano, aveva la stessa profonda generosità, lo stesso tipo di impegno nel lavoro. E infatti, io dico sempre che non è un caso se, quando io sono arrivata all’Ufficio istruzione, mio padre scelse per me, come magistrato affidatario – oggi diremmo tutor – proprio Paolo Borsellino: lui si riconosceva in quel giudice ed evidentemente mi ha affidata a lui con la sensazione di essere quasi lui ad introdurmi nel lavoro.

    D. – Come cambia una famiglia che ha vissuto un dolore così forte?

    R. – Bè, guardi, cambia tutto. Cambia tutto perché si ha un impatto con il dolore … io dico che alla morte non si è mai preparati, nemmeno quando è una morte purtroppo annunciata da una lunga malattia. Una morte improvvisa, ancora meno. Ma una morte improvvisa, con quelle modalità, così eclatanti e feroci, e con quella motivazione – Rocco Chinnici è stato ucciso solo perché faceva il suo lavoro e lo faceva per il bene comune nell’interesse dei cittadini – è un impatto violentissimo con il dolore. E il dolore richiede tanto tempo perché possa essere, mai dimenticato, ovviamente, mai colmato, ma metabolizzato e nel tempo accettato come compagno di vita, tanto da diventare una grande forza. L’impatto immediato, io dico, è di grande stordimento; poi c’è la rabbia: una rabbia fortissima perché non si può accettare una cosa del genere. Poco a poco da quella rabbia, forti dei valori che si hanno, forti della fede che mia madre – ma anche mio padre – aveva profondamente radicato e che ci hanno trasmesso e che ci ha sostenuto; forti di quello che era stato l’esempio di coraggio e di determinazione di mio padre che aveva comunque voluto vivere una vita quanto più possibile serena sotto il profilo familiare, abbiamo incominciato a ricostruire la nostra vita, partendo proprio dall’accettazione, dall’accettare – comprendendone le motivazioni più profonde, cioè l’impegno di mio padre – il fatto che lui stesso per primo avesse accettato il rischio, accettare quella morte e a poco a poco andare verso un cammino che ci ha portati a interiorizzare sempre di più quel dolore però, ripeto, a trasformarlo in un compagno di vita e in una grande forza. Però, non c’è dubbio che ancora oggi, a 30 anni di distanza dalla sua morte, i miei fratelli ed io, ormai adulti, ormai genitori a nostra volta, quel vuoto lo avvertiamo.

    D. – Cosa vuol dire avere un cognome come il suo?

    R. – Avere una grande responsabilità. Un’eredità decisamente impegnativa, tra l’altro poi per me che ho fatto lo stesso lavoro. Vuol dire, pur senza farsene condizionare, senza rimanerne schiacciati, ricordare sempre di dover essere all’altezza del nome che si porta, dei valori che quel nome tuttora testimonia. Però, devo dire che è un’eredità bellissima perché è un’eredità di valori, e credo che sia la più bella eredità che un padre possa lasciare ai suoi figli.


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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: i curdi proclamano un governo autonomo nel nord-est del Paese

    ◊   Alla vigilia della Conferenza internazionale sulla Siria convocata a Ginevra, i curdi siriani hanno compiuto un passo avanti verso la creazione di una entità politica autonoma nel nord-est del Paese, annunciando la formazione di un governo autonomo composto da 20 ministri. Secondo fonti locali consultate dall'agenzia Fides, nella nuova compagine governativa sono stati arruolati anche tre ministri cristiani siri, ai quali sono stati affidati i dicasteri dell'economia, della programmazione degli enti municipali e della commissione per i diritti umani. Il governo, presieduto da Akram Hissou, opererà dalla città di Qamishli e eserciterà la sua autorità in un'area che comprende anche la città di Hassakè. Il nuovo organismo politico comprende i ministeri degli esteri, della giustizia, della difesa e dell'educazione e ha annunciato di voler indire elezioni politiche entro quattro mesi. Esso appare dominato dal Partito curdo di Unione democratica (Pyd), la formazione curda prevalente in territorio siriano e allineata con il Pkk, il Partito che sostiene le istanze autonomiste curde in Turchia. Con l'operazione in atto, si consolida il predominio delle formazioni politiche e militari curde operanti nella regione della Siria dove la maggioranza della popolazione appartiene alla componente etnica curda. Nei giorni scorsi era stata respinta la richiesta dei curdi vicini al Pyd di partecipare con una propria delegazione alla conferenza di Ginevra 2 per poter esprimere le proprie attese sul futuro della Siria. (R.P.)

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    Ginevra 2: il Jesuit Refugee Service chiede più sostegno ai profughi

    ◊   Fare pressioni sul governo siriano e sull’opposizione per un cessate il fuoco immediato e una soluzione negoziata; consentire l’accesso e l’opera delle organizzazioni umanitarie sul terreno; aumentare il sostengo finanziario per i profughi: sono le raccomandazioni che il “Jesuit Refugee Service” (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati) invia alla comunità internazionale, alla vigilia della Conferenza di Ginevra 2, al via oggi. Il prezioso servizio del “Jesuit Refugee Service” (Jrs) in Siria si concentra principalmente su due fronti: aiuti di emergenza per i più bisognosi e attività educative. Tali sforzi intendono favorire la riconciliazione e migliorare la convivenza tra persone di diversa estrazione socio-economica e di fede. Attualmente, il Jrs in Siria offre supporto educativo e psicosociale a 9.800 fra bambini e donne. In totale, circa 200.000 persone sono aiutati dal Jrs a Damasco, Homs, Aleppo e nelle zone costiere della Siria. In una nota invita all'agenzia Fides, il Jrs, invita la comunità internazionale a “dare priorità a sforzi diplomatici per concordare una tregua e raggiungere una soluzione negoziata del conflitto. Questo processo – si afferma – deve includere la significativa partecipazione di gruppi della società civile siriana, al di là delle differenze sociali, religiose ed etniche”. Inoltre, prosegue il testo, “bisogna fare pressione sui belligeranti perché consentano le operazioni umanitarie e tutelino personale impegnato nell’assistenza”. Il Jrs chiede “di aumentare le risorse finanziarie destinate alle iniziative umanitarie e che i paesi ospitanti cooperino con le autorità per contrastare la crescente discriminazione e xenofobia”. (R.P.)

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    Messaggio del patriarca Kirill a Ginevra 2

    ◊   In vista di “Ginevra 2”, la Conferenza di pace sulla Siria al via oggi a Montreux, in Svizzera, il patriarca di Mosca Kirill ha indirizzato ieri un messaggio per chiedere ai partecipanti di compiere “tutti gli sforzi possibili per porre immediatamente fine alle ostilità senza condizioni” e permettere così l’inizio del dialogo tra tutte le parti in conflitto. “Siamo convinti che la Siria debba rimanere uno Stato in cui i diritti e la dignità delle persone di ogni nazionalità, gruppo etnico e religioso siano rispettati”, si legge nel messaggio che sottolinea come “la sicurezza e la libertà religiosa dei cristiani, che vivono in Medio Oriente da oltre 2000 anni e che sono parte integrante della società siriana, debba essere assicurata” insieme a quelle di tutti gli altri cittadini del Paese. Secondo il capo della Chiesa ortodossa russa, il primo passo urgente da compiere è la liberazione di tutti gli ostaggi, compresi i due metropoliti ortodossi Boulos al-Yazigi e Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, rapiti nell’aprile del 2013, e cinque religiose del convento greco-ortodosso di Santa Tecla a Maalula. Mentre la Chiesa ortodossa russa continua a pregare e ad assistere la martoriata popolazione siriana, essa chiede la mobilitazione di tutta comunità internazionale per portare aiuti umanitari urgenti alle vittime del conflitto. Il patriarca Kirill si rivolge quindi a tutte le persone di buona volontà perché fermino l’escalation della violenza e la mano dei gruppi terroristi presenti nel Paese. Infine, il pressante appello a chi “si è macchiato del sangue dei civili” a tornare alla ragione e a cessare immediatamente le efferatezze. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Sud Sudan: appello del vescovo di Wau: “Subito il dialogo”

    ◊   “Solo un dialogo sincero e senza precondizioni potrà riportare la pace”. È questo l’appello di mons. Rudolf Deng Majak, vescovo di Wau, nel primo giorno di un’Assemblea straordinaria della Conferenza episcopale del Sudan dedicata al conflitto armato cominciato a Juba il 15 dicembre. Intervistato dall'agenzia Misna, il presule ha ricordato la Seconda guerra civile del Sudan, conclusa nel 2005: “Anche con Khartoum sembrava impossibile raggiungere un’intesa ma dopo quattro anni di trattative fu firmato l’Accordo di pace globale”. La richiesta a tutte le parti in lotta, in particolare al presidente Salva Kiir e al suo ex vice Riek Machar, segnerà la discussione tra i vescovi e caratterizzerà il messaggio conclusivo dell’incontro. L’Assemblea straordinaria della Conferenza episcopale è in programma fino al 30 gennaio. I primi interventi sono stati del card. Gabriel Zubeir Wako e del nuovo nunzio apostolico in Sudan, mons. Charles Balvo. (F.P.)

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    Ucraina. L'arcivescovo Shevchuk: fermate il bagno di sangue

    ◊   “In nome di Dio, fermate il bagno di sangue!”. E’ l’accorato appello lanciato dall’arcivescovo maggiore di Kyiv-Haly, Sviatoslav Shevchuk, dopo gli scontri tra polizia e manifestanti anti-governativi nella capitale ucraina. “La violenza non è mai stata la strada per costruire uno Stato libero ed indipendente”, afferma la guida dei greco-cattolici ucraini in un messaggio diffuso in queste ore drammatiche per il Paese. Mons. Shevchuk si rivolge innanzitutto alle autorità ucraine, chiedendo loro di ascoltare il popolo e di evitare il ricorso alla violenza e alla repressione, e ai leader politici, richiamandoli al loro senso di responsabilità. Quindi l’appello a tutti i cittadini e associazioni, in particolare ai manifestanti, a tornare a forme pacifiche di protesta. Ai giudici l’arcivescovo di Kiev chiede invece di giudicare gli arrestati negli scontri secondo coscienza e verità. Infine, l’appello all’episcopato e al clero ucraini a vegliare sui fedeli annunciando il Vangelo della pace. (L.Z.)

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    Irlanda: soddisfazione dei vescovi per la riapertura dell'Ambasciata presso la Santa Sede

    ◊   Soddisfazione è stata espressa dai vescovi di Dublino per la decisione del governo locale di riaprire l’ambasciata d’Irlanda presso la Santa Sede. La sede diplomatica era stata chiusa il 3 novembre 2011: una misura, spiegò allora il ministro degli Esteri di Dublino, Eamon Gilmore – dovuta alla crisi economica e alla necessità di ricorrere a tagli in numerosi servizi pubblici per rispondere agli obiettivi del programma di salvataggio varato dall'Ue e dall'Fmi. “Nonostante l’ambasciata sia stata chiusa nel 2011 – ha affermato in una nota il Primate del Paese, card. Sean Brady – è importante ricordare che le relazioni diplomatiche tra l’Irlanda e la Santa Sede sono rimaste attive e produttive durante tutto questo tempo. L’attuale decisione del governo – ha ribadito il porporato – riflette positivamente il processo di dialogo tra Chiesa e Stato” e “in base ad un impegno condiviso per la giustizia, la pace, lo sradicamento della povertà, lo sviluppo internazionale e la salvaguardia del creato, proseguiremo nella cooperazione fruttuosa tra l’Irlanda e la Santa Sede per il bene comune”. Altrettanta soddisfazione è stata espressa dal nunzio apostolico nel Paese, mons. Charles Brown: “Si tratta - ha detto - di una decisione eccellente per il popolo irlandese che porterà benefici al Paese ed un importante contributo alle relazioni internazionali”. (A cura di Isabella Piro)

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    Egitto: i vescovi esprimono apprezzamento per la nuova Costituzione

    ◊   La nuova Costituzione egiziana, approvata con la maggioranza del 98% dei voti nel referendum tenutosi il 14 e 15 gennaio, è stata accolta con soddisfazione dai vescovi copto cattolici. Secondo un report di Aiuto alla Chiesa che Soffre inviato all’agenzia Fides, basato su interviste a mons. Kyrillos William Samaan, vescovo copto cattolico di Assiut, a mons. Antonios Aziz Mina vescovo di Guizeh (Giza) e a mons. Joannes Zakaria vescovo di Luxor, i vescovi hanno espresso il loro apprezzamento per il fatto che la nuova Costituzione garantisce i diritti fondamentali di tutti gli egiziani, senza distinzioni di razza, religione, sesso ed età. In particolare si sottolinea che la Carta, a differenza di quella del 2012, prevede particolari garanzie a donne, bambini e disabili. I vescovi inoltre confermano che i diritti dei cristiani sono ben rappresentanti nella nuova Costituzione. Mons. Samaan e mons. Zakaria rimarcano che la Costituzione impone al Parlamento di adottare in tempi rapidi una legge che regoli la costruzione di nuove chiese. Sotto i precedenti regimi, la costruzione di edifici di culto cristiani veniva sottoposta a processi burocratici pesanti che rallentavano di molto l’avvio e il procedere dei lavori. Il Preambolo della Costituzione afferma che il popolo egiziano “saluta la Vergine Maria e il suo Neonato proteggendoli nel corso della sua peregrinazione in Egitto, esprimendo rispetto e apprezzamento per la religione cristiana”. L’articolo 50 riconosce la civilizzazione egiziana nelle sue diverse componenti, egiziani antichi, copti e islamici, come una “ricchezza nazionale e umana che lo Stato si impegna a preservare e a mantenere”. (R.P.)

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    Pakistan: nuovi attentati per bloccare le vaccinazioni anti-poliomielite

    ◊   Altri due attentati hanno colpito squadre di vaccinazione anti-poliomielite nelle regioni settentrionali del Pakistan, dove la difficoltà di attuare le campagne di vaccinazione stanno portando a una recrudescenza della malattia. Sono almeno sette i morti e nove i feriti per l’esplosione che ha colpito questa mattina, distruggendolo, un automezzo carico di poliziotti di scorta ai sanitari addetti alle vaccinazioni nel distretto di Charsadda. Le vittime – come riporta l'agenzia Misna - sono sei poliziotti e un bambino di passaggio. Secondo l’ispettore della polizia del distretto, Saeed Wazir, un ordigno confezionato con quattro-cinque chili di esplosivo era stato collocato su una bicicletta ed è stato fatto detonare a distanza. Nelle stesse ore, nella provincia del Punjab, a finire sotto attacco è stato un automezzo che trasportava una squadra di vaccinatori. Lievi i danni, l’autista e un’operatrice sanitaria sono rimasti feriti dai frammenti di vetro dei finestrini. (F.P.)

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    Pakistan: il desiderio dei cristiani di essere uniti nella vita quotidiana

    ◊   “L’unità dei cristiani va oltre il culto, gli incontri e le dichiarazioni: deve avere espressione tangibile nella vita di oggi giorno”: lo ha detto il vescovo anglicano mons. Manu Romal Shah, emerito di Peshawar, rivolgendosi a un’assemblea ecumenica di oltre 200 fra sacerdoti, suore, seminaristi, novizi e fedeli laici riuniti nei giorni scorsi nella cattedrale cattolica del Sacro Cuore a Lahore in occasione della “Settimana per l’unità dei cristiani” un servizio di preghiera inaugurale. Come riferito a Fides, i cristiani pakistani, delle diverse confessioni, vivono con fervore l’appuntamento annuale, verificando e riflettendo sul loro status nella società. Il vescovo ha spiegato: “Qualunque sia la libertà di religione che abbiamo in Pakistan, è importante che noi rendiamo la nostra unità visibile”. Essendo vescovo emerito di Peshawar, mons. Manu Romal Shah ha ricordato il tragico attentato del 22 settembre 2013, quando due esplosioni hanno fatto una strage nella “All Saints Church” di Peshawar. “I cristiani in tutto il Paese hanno espresso grande solidarietà e hanno aiutato le vittime attraverso visite, preghiere e sostegno finanziario. Ma non dovremmo avere bisogno di questi incidenti o le difficoltà per mostrare la nostra unità: dovrebbe essere forte anche in tempo di pace e di bene”, ha rilevato. L’arcivescovo cattolico di Lahore, mons. Sebastian Francis Shaw, che ospitava l’incontro, ha parlato di “nuova Pentecoste”, apprezzando e accettando “le differenza di ogni denominazione”. Mons. Shaw ha affermato che “quando accettiamo il Signore come nostro creatore, allora possiamo facilmente avvicinarci gli uni agli altri, perché ci riconosciamo come sue creature. Auspico che possiamo riscoprire e rafforzare le nostre relazioni, per essere testimoni efficaci con i fedeli di altre religioni in Pakistan”. (R.P.)

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    Brasile: compie 30 anni il Movimento “Sem Terra”

    ◊   Il Movimento dei lavoratori rurali brasiliani senza terra (Movimento dos Trabalhdores Rurais Sem Terra) raggiunge il traguardo dei 30 anni. E padre Savio Corinaldesi, missionario saveriano impegnato da tanti anni in Brasile, lo descrive all'agenzia Misna come “una luce”. “Odiato, esecrato, combattuto da coloro che odiano, esecrano e combattono il popolo. Ma ancora oggi ha un messaggio che tutti dovremmo ascoltare e mettere in pratica: il popolo sa risolvere i suoi problemi e lo fa quando si organizza”. Organizzazione contadina fra le più grandi al mondo, il Movimento dei “Sem terra” vide la luce fra il 20 e il 23 gennaio 1984 nella località meridionale di Cascavel, nel Paraná, un anno prima della fine della dittatura militare che governò il Brasile fra il 1964 e il 1985. L’obiettivo principale era e resta quello di trovare un pezzo di terra e un alloggio per la sopravvivenza del maggior numero di famiglie e ottenere una riforma agraria: il primo è stato raggiunto solo parzialmente, il secondo resta un’utopia. (F.P.)

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    Tanzania: il card. Pengo chiede più sicurezza per chiese e luoghi di culto nel Paese

    ◊   Il cardinale tanzaniano Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam, ha esortato le autorità governative ad impegnarsi di più per assicurare una pacifica convivenza religiosa e la libertà di culto nel Paese, attraversato da crescenti tensioni tra cristiani e musulmani. Intervenendo domenica a Tomondo alle celebrazioni per i 150 anni di presenza della Chiesa cattolica nell’isola di Zanzibar, il porporato ha sottolineato che lo Stato ha il dovere di intervenire tempestivamente per fermare ogni violenza a sfondo religioso. “Il Governo – ha detto – è tenuto ad assicurare la pace e la sicurezza dei luoghi di culto, siano essi moschee, templi o chiese”. Alla cerimonia, riporta il quotidiano “Daily News”, erano presenti una dozzina di leader religiosi, tra i quali il vescovo di Zanzibar, mons. Augostino Shao, e il nunzio apostolico in Tanzania, mons. Francisco-Montecillo Padilla, che, da parte sua, ha esortato i cristiani e tutti i credenti alla tolleranza: “Dobbiamo dimostrare amore, anziché odio”, ha detto. I vescovi tanzaniani hanno chiesto più volte alle autorità locali di garantire la sicurezza delle chiese e di altri luoghi di culto, periodicamente attaccati da gruppi armati. L’ultimo appello risale allo scorso Natale. La tensione interreligiosa, fomentata da gruppi islamisti locali, risulta elevata soprattutto nell’isola di Zanzibar, dove più del 90% degli abitanti è di fede musulmana. (L.Z.)

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    Domenica senza lavoro: appello europeo per la tutela della vita privata e familiare

    ◊   “Una domenica libera dal lavoro e orari lavorativi decenti rivestono un’importanza fondamentale per i cittadini e per i lavoratori in tutta Europa e non risultano necessariamente in contraddizione con la competitività economica”. È l’inizio dell’impegno-appello lanciato ieri da Bruxelles al termine della seconda conferenza promossa dalla European Sunday Alliance, cui aderiscono una cinquantina di sigle (associazioni, sindacati, movimenti della società civile) di tutti i Paesi Ue, fra cui la Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea. Dopo una giornata di discussioni nella sede dell’Euroassemblea, con 120 partecipanti che hanno toccato aspetti a carattere economico, sociale e culturale attorno alla “domenica senza lavoro”, il testo è stato sottoscritto da un gruppo di eurodeputati. “Specialmente negli attuali tempi di crisi socioeconomica - riferisce l'agenzia Sir - l’adozione di legislazioni estendenti l’orario di lavoro alla tarda serata, alla notte, alle festività nazionali e alle domeniche ha avuto conseguenze dirette sulle condizioni” dei lavoratori e delle piccole e medie imprese. Il testo riprende una definizione, anticipata già alla vigilia della conferenza: “La competitività ha bisogno di innovazione, l’innovazione ha bisogno di creatività e la creatività ha bisogno di ricreazione”. I componenti del Parlamento europeo che hanno firmato il documento si impegnano, qualora fossero rieletti, “ad assicurare che tutte le pertinenti normative Ue rispettino e promuovano la protezione di un giorno comune di riposo settimanale, che dovrà essere in linea di principio la domenica, al fine di proteggere la salute dei lavoratori e un miglior equilibrio tra vita familiare e privata e lavoro”. Inoltre si impegnano “a promuovere normative comunitarie che garantiscano schemi di orario lavorativo sostenibili, basati sul principio del lavoro decente come beneficio per la società, così come per l’economia nel suo complesso”. (R.P.)

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    Slovacchia: i 90 anni del card. Korec, simbolo dell'evangelizzazione nel periodo comunista

    ◊   Oggi compie 90 anni il card. Ján Chryzostom Korec, vescovo emerito di Nitra e personaggio di spicco della resistenza dei cattolici slovacchi sotto il regime comunista durato 40 anni, tra il 1950 e il 1989. Gesuita, consacrato vescovo clandestinamente nel 1951 all’età di 27 anni per assistere i cattolici durante la persecuzione, Korec divenne una personalità di riferimento della “Chiesa del silenzio” dell’allora Cecoslovacchia. Condannato nel 1960 a 12 anni di prigione, fu scarcerato nel 1968, durante di Primavera di Praga. Autore di più di 50 libri, con le sua attività intellettuale illuminò gli anni bui della censura ateista. Sotto il regime ordinò clandestinamente 120 sacerdoti e creò un’ampia rete di apostolato clandestino tra gli studenti. Come coordinatore dell’apostolato laico in Slovacchia, in collaborazione con Silvester Krcmery, Vladimir Jukl e altri, riuscì ad offrire una formazione apostolica e comunitaria a quasi 100 mila giovani dando uno straordinario contributo alla lotta pacifica per la liberazione del Paese dal regime totalitario. Dal 1991 al 2005 è stato vescovo di Nitra, creato cardinale nel 1992 da Papa Giovanni Paolo II, per il quale predicò gli esercizi spirituali nel 1998. Il cardinale Korec, che vive ancora a Nitra, come vescovo emerito, continua ad essere oggi una grande autorità morale e a godere ancora di un’altissima stima nell’opinione pubblica slovacca , come dimostrano diversi sondaggi. “Il Vangelo, diffuso dagli apostoli, dai santi, ecc., ha portato gioia al mondo. Oggi questa gioia continua ad essere annunciata da sacerdoti, insegnanti, madri e religiose generosi. La vita cristiana dovrebbe essere una vita di gioia silenziosa per i fratelli e le sorelle che vivono all’interno della Chiesa e questa gioia dovrebbe irradiarsi anche al di fuori della nostra comunità”, ha dichiarato il porporato al servizio stampa della Conferenza episcopale in occasione del suo genetliaco. Il compleanno sarà celebrato stasera presso il vescovado di Nitra, con un film biografico sulla sua vita, intitolato “Sulla cattedra del Metodio”, trasmesso dal canale televisivo nazionale. Le poste nazionali hanno inoltre emesso un francobollo commemorativo con questa dicitura: “In occasione dell’imminente 90° compleanno del card. Ján Chryzostom Korec, vescovo emerito di Nitra e figura simbolo della lotta della Chiesa cattolica per la libertà e la democrazia durante il regime comunista". (A cura di padre Jozef Bartkovjak)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 22

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.