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Sommario del 16/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: diamo al santo popolo di Dio pane di vita, non pasto avvelenato
  • Mons. Tomasi: la Chiesa cattolica vuole essere di esempio nella protezione dell’infanzia
  • S. Sede e Convenzione per i Diritti dei Fanciulli. Il senso di un impegno. Nota di p. Lombardi
  • Chi visita la Casa pontificia trovi il calore di una famiglia: così il Papa agli Addetti di Anticamera
  • Giornata di preghiera per le vocazioni. Il Papa: aprire il cuore a Dio, il raccolto sarà abbondante
  • Altre udienze di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: preghiamo per la pace e cerchiamo di costruirla incominciando da casa
  • Iniziativa del dicastero per la Famiglia e Caritas Italiana per le famiglie siriane
  • Commissione teologica internazionale: violenza in nome di Dio corrompe la religione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Mons. Zenari: la comunità internazionale risponda al grido di dolore del Paese
  • Egitto. Il referendum approva la nuova Costituzione
  • Ucraina. Parlamento vota legge di bilancio senza dibattito in aula. Piazza in fermento
  • Giornata del dialogo cattolici-ebrei. I commenti di mons. Marco Gnavi e Renzo Gattegna
  • “Botteghe di Mestiere”, un‘opportunità per inserirsi nel mondo del lavoro artigianale
  • Convegno al Bambino Gesù: un paziente psichiatrico su tre, fra i minori, fa uso di droghe
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa: appello di pace dei vescovi di Nord America, Europa e Sud Africa
  • Siria: giovane cristiano ucciso e decapitato da jihadisti
  • Appello di Gregorios III per una campagna mondiale di preghiera per la pace in Siria
  • Thailandia. Proteste a Bangkok: negare il voto è "catastrofico”, urge un dialogo nazionale
  • Alluvioni nelle Sulawesi: 13 morti e 40 mila sfollati. Cattolici in prima fila nei soccorsi
  • Sud Sudan: appello del Consiglio delle Chiese per la cessazione degli scontri
  • Congo: plauso da Luanda per la vittoria di Kinshasa sui ribelli dell'M23
  • Francia: i vescovi contro qualsiasi revisione della legge sull'eutanasia
  • Iraq. A Baghdad, il patriarca Sako inaugura un ambulatorio per cristiani e musulmani
  • Venezuela. Card. Urosa: basta con la violenza e l'odio. Viviamo come veri figli di Dio
  • Panama: critiche della Chiesa alla campagna elettorale aggressiva e superficiale
  • India: nasce il Movimento delle donne cristiane per promuovere il ruolo della donna nella Chiesa
  • Senegal: 8 mila missionari di Dakar impegnati a portare ovunque “la gioia del Vangelo”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: diamo al santo popolo di Dio pane di vita, non pasto avvelenato

    ◊   Gli scandali nella Chiesa avvengono perché non c'è un rapporto vivo con Dio e con la sua Parola: lo ha affermato Papa Francesco nella sua omelia mattutina, durante la Messa presieduta a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Commentando la lettura del giorno e il salmo responsoriale, che raccontano una dura sconfitta degli israeliti ad opera dei filistei, il Papa osserva che il popolo di Dio in quell’epoca aveva abbandonato il Signore. Si diceva che la Parola di Dio era “rara” in quel tempo. Il vecchio sacerdote Eli era un “tiepido” e i suoi figli “corrotti, spaventavano il popolo e lo bastonavano”. Gli israeliti per combattere contro i filistei utilizzano l’arca dell’alleanza, ma come una cosa “magica”, “una cosa esterna”. E vengono sconfitti: l’arca è presa dai nemici. Non c’è fede vera in Dio, nella sua presenza reale nella vita:

    “Questo brano della Scrittura ci fa pensare come è il nostro rapporto con Dio, con la Parola di Dio: è un rapporto formale? È un rapporto lontano? La Parola di Dio entra nel nostro cuore, cambia il nostro cuore, ha questo potere o no, è un rapporto formale, tutto bene? Ma il cuore è chiuso a quella Parola! E ci porta a pensare a tante sconfitte della Chiesa, a tante sconfitte del popolo di Dio semplicemente perché non sente il Signore, non cerca il Signore, non si lascia cercare dal Signore! E poi dopo la tragedia, la preghiera, questa: ‘Ma, Signore, che è successo? Hai fatto di noi il disprezzo dei nostri vicini. Lo scherno e la derisione di chi ci sta intorno. Ci hai reso la favola delle genti! Su di noi i popoli scuotono il capo’”.

    Il Papa pensa agli scandali della Chiesa:

    “Ma ci vergogniamo? Tanti scandali che io non voglio menzionare singolarmente, ma tutti ne sappiamo… Sappiamo dove sono! Scandali, alcuni che hanno fatto pagare tanti soldi: sta bene! Si deve fare così…. La vergogna della Chiesa! Ma ci siamo vergognati di quegli scandali, di quelle sconfitte di preti, di vescovi, di laici? La Parola di Dio in quegli scandali era rara; in quegli uomini e in quelle donne la Parola di Dio era rara! Non avevano un legame con Dio! Avevano una posizione nella Chiesa, una posizione di potere, anche di comodità. Ma la Parola di Dio, no! ‘Ma, io porto una medaglia’; ‘Io porto la Croce’… Sì, come questi portavano l’arca! Senza il rapporto vivo con Dio e con la Parola di Dio! Mi viene in mente quella Parola di Gesù per quelli per i quali vengono gli scandali… E qui lo scandalo è venuto: tutta una decadenza del popolo di Dio, fino alla debolezza, alla corruzione dei sacerdoti”.

    Papa Francesco conclude l’omelia rivolgendo il suo pensiero al popolo di Dio:

    “Povera gente! Povera gente! Non diamo da mangiare il pane della vita; non diamo da mangiare - in quei casi - la verità! E persino diamo da mangiare pasto avvelenato, tante volte! ‘Svegliati, perché dormi Signore!’. Questa sia la nostra preghiera! ‘Destati! Non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto? Perché dimentichi la nostra miseria ed oppressione?’. Chiediamo al Signore di non dimenticare mai la Parola di Dio, che è viva, che entri nel nostro cuore e non dimenticare mai il santo popolo fedele di Dio, che ci chiede pasto forte!”.

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    Mons. Tomasi: la Chiesa cattolica vuole essere di esempio nella protezione dell’infanzia

    ◊   La Santa Sede, come altri Stati, discute oggi all’Ufficio Onu di Ginevra il rapporto sull’applicazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo. Il rapporto è stato presentato al Comitato sulla Convenzione da mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore vaticano presso la sede Onu di Ginevra. I punti salienti del suo intervento nel servizio di Alessandro Gisotti:

    La Chiesa cattolica vuole “diventare un esempio” nella lotta contro gli abusi e per la protezione dell’infanzia. E’ quanto sottolineato da mons. Tomasi, nel presentare il rapporto della Santa Sede al Comitato sulla Convenzione per i diritti del fanciullo. Il presule - riferendosi alle “Risposte scritte” alle domande rivolte dall’organismo Onu - ha presentato in modo dettagliato l’impegno della Chiesa per affrontare il crimine orrendo degli abusi, tanto a livello centrale della Santa Sede – con l’approvazione di Linee guida per le Chiese locali – quanto a livello di base, nelle diverse articolazioni ecclesiali, in particolare nelle strutture educative. Mons. Tomasi ha poi ricordato tutta una serie di strumenti approvati in questi ultimi anni, sia a livello interno che internazionale, per far fronte a questo “triste fenomeno”. Si tratta di un impegno, ha detto mons. Tomasi, portato avanti in prima persona dagli ultimi Pontefici, e in particolare da Benedetto XVI. E ora assunto da Papa Francesco, anche con l’annuncio della creazione di una Commissione per la Protezione dei Minori. “Non ci può essere mai giustificazione – ha ribadito l’osservatore vaticano – per alcuna forma di violenza e sfruttamento dei bambini”. Ed ha così enumerato i pilastri dell’impegno della Santa Sede per l’infanzia, così come presentati nel rapporto: la difesa della dignità del bambino in tutte le sue dimensioni e sin dal concepimento; il rispetto e la promozione dei diritti della famiglia dove il bambino si sviluppa; il diritto all’educazione dei figli da parte dei genitori e alla libertà religiosa. La Santa Sede, ha concluso mons. Tomasi, dà il benvenuto ad ogni “suggerimento che il Comitato voglia dare alla Santa Sede per la promozione” e il “rispetto dei diritti dei minori” e per la “efficace implementazione di quanto stabilito dalla Convenzione e dai suoi Protocolli”.

    Sull’importante sessione, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore vaticano presso la sede Onu di Ginevra:

    R. – Oggi, è in sessione il comitato della Convenzione dei diritti del fanciullo, è la 65.ma sessione di questo Comitato. L’obiettivo è di esaminare i rapporti di alcuni Stati: Russia, Germania, Santa Sede, Portogallo, Congo, Yemen. Questi hanno presentato un rapporto sull’applicazione della Convenzione sui diritti del fanciullo nel loro territorio. Si tratta di una richiesta per tutti i Paesi che hanno firmato la Convenzione; per cui anche la Santa Sede – che ha ratificato la Convenzione nel 1990 – ha l’obbligo di presentare un suo rapporto di come attua le esigenze, i principi e le direttive di questa Convenzione. Il Comitato presenta le sue osservazioni sul rapporto dato, dando così il via ad un dialogo tra lo Stato interessato e gli esperti del Comitato. La Santa Sede partecipa in questo esercizio come gli altri Stati, lo vede come una buona occasione per riaffermare i valori e le procedure della Convenzione, come ha dichiarato quando l’ha ratificata nel 1990. Quindi, è un momento utile per far avanzare la protezione dei bambini nel mondo.

    D. – Da alcune parti sono state rivolte critiche alla Santa Sede. Cosa risponde a riguardo?

    R. – Le critiche sono facili a farsi, alle volte hanno qualche fondamento reale; qualsiasi crimine è un male ma quando ci sono bambini coinvolti diventa ancora più grave. L’accusa alla Santa Sede che avrebbe ostacolato l’attuazione della giustizia, mi sembra essere un po’ campata in aria: impedire il corso della giustizia, in qualsiasi Paese, a detrimento della sua legittima giurisdizione sarebbe un’interferenza indebita ed ingiusta da parte di qualsiasi soggetto. La Santa Sede sostiene il diritto ed il dovere di ogni Paese a perseguire ogni crimine contro i minori; quindi, non regge la critica per cui si cerca di interferire od ostacolare il corso della giustizia. Al contrario, si vuole – come Papa Francesco insiste – che ci sia trasparenza e che la giustizia abbia il suo corso.

    D. – Quali sono le prospettive future su questo tema a Ginevra?

    R. – La Santa Sede è impegnata ad attuare i suoi obblighi internazionali, inclusi quelli che derivano dalla ratifica della Convenzione dei diritti del fanciullo. La Santa Sede prenderà in dovuta considerazione le osservazioni, i commenti, i suggerimenti che il Comitato di esperti della Convenzione vorrà fare. In questa maniera promuoverà non solo l’attuazione della Convenzione ma anche una attenzione più accurata e più efficace nella protezione dei bambini. Il Santo Padre Francesco ha già annunciato la creazione di una Commissione per la protezione dei minori; le indicazioni del Comitato saranno studiate attentamente da questa nuova Commissione in modo da rafforzare su tutto il fronte il servizio generoso che già le Chiese locali danno ai bambini; ma soprattutto l’impegno della Santa Sede nel suo territorio e per quanto le compete nel campo internazionale di sostenere tutti gli aspetti e gli elementi che aiutano veramente la formazione, la protezione e alla buona crescita dei minori, dei bambini del mondo.

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    S. Sede e Convenzione per i Diritti dei Fanciulli. Il senso di un impegno. Nota di p. Lombardi

    ◊   Sull'impegno del Papa e della Santa Sede per la protezione dei minori, in particolare presso la Sede Onu di Ginevra, la nota del nostro direttore, padre Federico Lombardi:

    Chi segue l’attività del Papa Francesco lo vede continuamente vicino ai fanciulli. Una delle immagini più frequenti e amate è quella che lo vede prendere fra le mani i piccoli bimbi che gli vengono presentati numerosissimi lungo il percorso fra la gente nelle udienze o lungo le strade. Ma bellissime sono anche le immagini degli incontri ogni mercoledì con le coppie degli sposi novelli e in particolare quelle dell’affetto con cui benedice le donne incinte, spesso facendo un segno di croce sul loro grembo. Numerosi sono poi i gruppi di bambini, spesso malati e gravemente malati, che egli incontra e saluta con parole e gesti particolarmente teneri e toccanti. Quale Capo dei 193 “Stati parte” della Convenzione sui diritti del fanciullo è un testimonial così efficace e un invito così forte all’amore per i bambini, non solo per i suoi connazionali, ma per tutti nel mondo?

    La Santa Sede ha aderito alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo (Convention on the Rights of the Child – CRC) adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre del 1989, ed entrata in vigore il 2 settembre 1990. Ad essa partecipano attualmente 193 “Stati parte”. Il Comitato per i Diritti del Fanciullo è l’organo di controllo e di monitoraggio della Convenzione, per l’attuazione e la promozione dei principi della CRC da parte degli Stati parte, ed è costituito da 18 membri, esperti indipendenti eletti dagli stessi Stati parte per un mandato di quattro anni (9 di essi vengono eletti ogni due anni, in modo da assicurare continuità ma anche cambiamento). Esso ha sede a Ginevra. Al Comitato vengono presentati i Rapporti periodici degli Stati che aderiscono alla Convenzione (in linea di principio il Rapporto dovrebbe essere quinquennale, ma di fatto gran parte degli Stati non rispettano tale scadenza). Il Comitato studia i Rapporti, può chiedere ulteriori informazioni a complemento dei Rapporti stessi e li discute con i Rappresentanti degli Stati parte. Questa è la prassi abituale, a cui si sottopongono tutti gli Stati parte. Il Comitato infatti non è un “tribunale” che abbia giurisdizione per “giudicare” gli Stati parte, ma è uno strumento costituito da loro stessi in base alla Convenzione, per monitorarne e controllarne l’applicazione.

    La Santa Sede ha ratificato la CRC il 20 aprile 1990 (è stata uno dei primissimi Stati!), e lo ha fatto a nome proprio e dello Stato della Città del Vaticano (SCV). Il 2 marzo 1994 ha presentato il suo Rapporto iniziale. Il 27 settembre 2011 ha presentato il suo Secondo Rapporto (dato il tempo trascorso si considera che formalmente esso includa il Secondo, Terzo e Quarto Rapporto, ma di fatto è il Secondo). Sulla base di questo e del precedente - e dopo aver ricevuto suggerimenti dal Gruppo delle ONG (Organizzazioni Non Governamentali) che partecipa al “procedimento alternativo di valutazione”- il Comitato ha proposto alla Santa Sede una serie di domande per ulteriore informazione, con la richiesta di rispondere “preferibilmente” entro il 1° novembre 2013. Essendo la scadenza non tassativa, gli uffici della Santa Sede hanno continuato a lavorare alle risposte nel mese di novembre, ed esse sono infine state inviate a Ginevra il 30 novembre. La data fissata dal Comitato per l’incontro con la Delegazione della Santa Sede, per discutere il Rapporto e le risposte integrative è appunto quella di oggi, nel corso della 65.ma sessione del Comitato (13-31 gennaio 2014).

    Per completezza di informazione è utile sapere che la Santa Sede ha anche ratificato due “Protocolli Opzionali” connessi con la Convenzione, cioè quello “sulla vendita dei fanciulli, la prostituzione infantile e la pornografia infantile” (OPSC) e quello “sul coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati” (OPAC). Ambedue sono stati ratificati dalla Santa Sede il 24 ottobre 2001. Nel primo caso la Santa Sede è stato l’undicesimo “Stato” a farlo, nel secondo il settimo. I relativi Rapporti iniziali sono stati presentati il 14 maggio 2010.

    La lettura complessiva dei Rapporti permette di avere un quadro dell’attenzione e dell’impegno vastissimo dedicato dalla Santa Sede, promuovendo le attività e la vita della Chiesa cattolica, al bene dei fanciulli, non solo con il suo insegnamento e la convinta difesa della dignità della persona umana fin dall’inizio della sua esistenza e nelle fasi in cui ha più bisogno di aiuto, ma anche con innumerevoli attività di educazione, di cura sanitaria, di sostegno delle famiglie e dei singoli fanciulli anche in situazioni difficili come le migrazioni, i conflitti, o la condizione di rifugiati. Si comprende quindi molto bene perché la Santa Sede abbia aderito fin dall’inizio con entusiasmo alla Convenzione e l’abbia tempestivamente ratificata.

    Comprensibilmente, nei suoi Rapporti, la Santa Sede richiama il fatto che la sua adesione alla CRC è accompagnata fin dall’inizio (cosa considerata normale nel diritto internazionale) da tre “riserve” circa la sua interpretazione, conseguenti alla sua natura e ai suoi principi (una sui metodi della “pianificazione familiare”; la seconda sui diritti dei genitori nel campo dell’educazione, della fede religiosa, dell’associazionismo e della vita privata; la terza sulla compatibilità con la natura e le leggi dello Stato della Città del Vaticano per quanto concerne l’applicazione della Convenzione in tale Stato).

    Sia il Rapporto, sia le Risposte integrative scritte alle domande di ulteriore informazione dedicano un’ampia parte introduttiva a spiegare e precisare la natura particolare della Santa Sede come soggetto di diritto internazionale che aderisce alla Convenzione, in particolare nella sua distinzione e nel suo rapporto con lo Stato della Città del Vaticano (che è “parte” anch’esso della CRC) e in rapporto alla Chiesa cattolica, come comunità dei fedeli cattolici sparsi nel mondo (che invece non è in alcun modo “parte” della CRC, ed i cui membri vivono sottomessi alle leggi degli Stati dove vivono ed operano); come pure a spiegare la natura particolare e specifica della legge canonica, propria della Chiesa cattolica e ben distinta dalle leggi civili degli Stati.

    Alla luce di queste premesse si comprende facilmente l’impostazione delle risposte scritte alle domande, risposte ampie, che manifestano piena disponibilità a collaborare al lavoro del Comitato, ma che indicano anche con precisione i limiti della competenza del Comitato stesso e degli impegni assunti dalla Santa Sede con l’adesione alla CRC. Non è raro infatti che le domande proposte – soprattutto dove si riferiscono alla problematica degli abusi sessuali su minori - sembrino presupporre che i vescovi o superiori religiosi agiscano come rappresentanti o delegati del Papa, cosa che è priva di fondamento. Così, ad esempio, si risponde che le domande su casi particolari di abusi verificatisi in istituzioni cattoliche in diversi Paesi del mondo (ad es. in Irlanda o in opere dirette dai Legionari di Cristo) non sono pertinenti al rispetto della Convenzione da parte della Santa Sede, trattandosi di casi su cui hanno giurisdizione – in base alle proprie leggi - i Paesi in cui essi si sono verificati. Analogamente, la Santa Sede non è tenuta, in forza della Convenzione, a rispondere a domande di informazione relative a procedimenti trattati in base alla legge canonica.

    Viene invece ribadito che “la Santa Sede è profondamente rattristata dalla piaga degli abusi sessuali, che colpisce milioni di fanciulli nel mondo intero, e lamenta che, purtroppo, alcuni membri del clero siano stati coinvolti in simili abusi”. Vengono poi date al Comitato ampie risposte circa l’impegno dedicato negli anni recenti dai Pontefici, dalle competenti istituzioni della Curia romana (in particolare Congregazione per la Dottrina della Fede e Consiglio per la Famiglia), nello stabilire rigorose ed efficaci norme e direttive per curare, contrastare e prevenire i gravissimi fenomeni di abuso sessuale nei confronti di minori, non escluso l’aggiornamento della legislazione dello Stato della Città del Vaticano in materia penale. Insomma, la drammatica problematica degli abusi sessuali su minori, vissuta nella comunità della Chiesa con indicibile sofferenza, è diventata banco di prova impegnativo della credibilità del suo impegno in favore dei fanciulli, e sotto la guida della Santa Sede ha portato a sviluppare una serie di iniziative e direttive assai utili anche al di fuori della comunità ecclesiale, nello spirito della Convenzione.

    Ampie ed efficaci sono pure le risposte (e ancor più le parti del Rapporto a ciò dedicate) circa la non discriminazione delle bambine rispetto ai bambini, come pure dei bimbi nati al di fuori delle unioni matrimoniali. Naturalmente, in tutta l’impostazione dei Rapporti e delle risposte date dalla Santa Sede appaiono chiaramente i principi della visione cattolica del rispetto della dignità della persona umana in tutta la sua esistenza, dalla concezione, all’infanzia, alle diverse fasi della crescita e della vita; il rifiuto di ogni discriminazione in base al sesso, già a partire dalla gravidanza e dall’infanzia; la dignità e i compiti della famiglia, fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, e gli stretti rapporti fra i diritti dei fanciulli e i diritti e doveri dei genitori; la visione profonda e integrale dell’educazione all’amore, assai più ampia di una limitata “educazione sessuale”; il rifiuto di una “ideologia del gender” che voglia negare il fondamento oggettivo della differenza e complementarità dei sessi e diventi fonte di confusione anche nel campo giuridico e della interpretazione della Convenzione stessa.

    Insomma: la convinta e tempestiva adesione della Santa Sede alla CRC è coerente con l’insegnamento e l’atteggiamento costante della Chiesa. E si può ben dire quindi che la Santa Sede è promotrice, con la sua azione, di una corrente immensa, diffusa in tutto il mondo, di amore e di servizio del bene dei fanciulli. La guida trascinante ed entusiasmante del Papa Francesco dà un nuovo ed evidente slancio a questo impegno.


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    Chi visita la Casa pontificia trovi il calore di una famiglia: così il Papa agli Addetti di Anticamera

    ◊   La Casa Pontificia è il luogo dove ogni membro della Chiesa sperimenta "calore familiare" e "sostegno" alla propria fede. Lo ha affermato questa mattina Papa Francesco nel ricevere in udienza gli Addetti di Anticamera, ovvero coloro che svolgono la mansione di accogliere gli ospiti in occasione di udienze, cerimonie e ricevimenti ufficiali. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La Casa del Papa in Vaticano è di tutti i credenti, ha Gesù per "padrone" e chi vi lavora è a servizio del suo messaggio d’amore universale. È in questo contesto, e con questa consapevolezza, che Papa Francesco intende il lavoro svolto da uno dei gruppi più antichi della Famiglia pontificia, gli “Addetti di Anticamera”, ricevuti con le loro famiglie. Il loro nome ufficiale è del 1968, quando Paolo VI lo utilizzò nel Motu Proprio Pontificalis Domus, ma gli storici fanno risalire a Clemente VIII, e quindi a oltre 400 anni fa, l’“embrione” di questo gruppo di uomini, all’epoca denominato “Cavalieri della Bussola”. Da questa lunga tradizione discende un dovere e una responsabilità, ma soprattutto – sottolinea Papa Francesco – una presa di coscienza:

    “Domandiamoci: di chi è la Casa Pontificia? Chi è il padrone di questa Casa? La Casa Pontificia è di tutti i membri della Chiesa Cattolica, che qui sperimentano ospitalità, calore familiare e sostegno per la loro fede. E il vero Padrone di casa è il Signore, di cui noi tutti siamo discepoli, servitori del suo Vangelo. Questo richiede che coltiviamo un dialogo costante con Lui nella preghiera, che cresciamo nella sua amicizia e intimità, e testimoniamo il suo amore misericordioso verso tutti”.

    Papa Francesco è riconoscente per il servizio svolto dagli Addetti di Anticamera in occasione di visite di Stato e udienze. “Voi siete di casa”, dice, e “apprezzo tanto la premura e la cordialità con cui svolgete il vostro lavoro, con spirito di accoglienza, animati dall’amore per la Chiesa e per il Papa”. Per questo, ribadisce, il vostro è un lavoro che ha bisogno di un’anima:

    “La liturgia di ieri ci ha presentato la figura del giovane Samuele che, abitando nel tempio di Gerusalemme, riconobbe la voce del Signore e rispose alla sua chiamata. Anche questi ambienti siano per voi luogo in cui ascoltare Dio che vi parla, che vi chiama a servirlo in modo sempre più maturo e generoso”.

    “Svolto con questo spirito – chiosa il Papa – il vostro lavoro può diventare un’occasione per comunicare la gioia di far parte della Chiesa”.

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    Giornata di preghiera per le vocazioni. Il Papa: aprire il cuore a Dio, il raccolto sarà abbondante

    ◊   “Non dobbiamo avere paura”. Dio ha a cuore la realizzazione del suo progetto su di noi. Così Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, reso noto oggi. La Giornata ricorrerà domenica 11 maggio. Nel testo si ricorda che la vocazione matura nel campo ben coltivato dell’amore reciproco e nel contesto “di un’autentica vita ecclesiale”. Il servizio di Debora Donnini:

    Gesù percorreva i villaggi e vedendo le folle sfinite come pecore senza pastore, ne sente compassione. Allora dice ai suoi discepoli: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe”. Queste parole del Vangelo “ci sorprendono” - rileva Papa Francesco - perché normalmente occorre prima “arare, seminare, coltivare per poter poi, a tempo debito, mietere una messe abbondante”. “Gesù afferma invece che la ‘messe è abbondante’” perché è Dio che ha lavorato perché il risultato fosse tale. Quindi il campo è l’umanità, “noi”, prosegue il Papa, e l’azione che è causa del “molto frutto” è “la grazia di Dio”. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, il Papa ricorda quale è la dinamica: “sorge dentro il nostro cuore prima lo stupore per una messe abbondante che Dio solo può elargire; poi la gratitudine per un amore che sempre ci previene; infine l’adorazione per l’opera da Lui compiuta che richiede la nostra libera adesione ad agire con Lui e per Lui”.

    La preghiera che Gesù chiede alla Chiesa è dunque quella di accrescere il numero di questi “collaboratori di Dio”, come lo fu San Paolo. E l’Apostolo dice ai cristiani di Corinto che sono “campo di Dio”, “con la consapevolezza di chi ha sperimentato personalmente quanto la volontà salvifica di Dio sia imperscrutabile e l’iniziativa di grazia sia l’origine di ogni vocazione”. Papa Francesco cita anche i salmi da cui emerge che “noi siamo proprietà di Dio” e la vocazione del profeta Geremia nella quale Dio ricorda che veglia sempre su ciascuno e nella quale si utilizza l’immagine del ramo di mandorlo, che primo fra tutti fiorisce annunciando “la rinascita della vita in primavera”. “Tutto proviene da Lui ed è suo dono: il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro, ma – rassicura l’Apostolo – ‘voi siete di Cristo e Cristo è di Dio’”, sottolinea ancora il Papa rilevando che l’appartenenza a Dio avviene tramite il rapporto “unico e personale” con Gesù che il Battesimo ci ha conferito. “È Cristo, dunque, che continuamente ci interpella con la sua Parola – afferma il Papa - affinché poniamo fiducia in Lui, amandolo ‘con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza’”.

    Per questo “ogni vocazione, pur nella pluralità delle strade, richiede sempre un esodo da se stessi per centrare la propria esistenza su Cristo”: “sia nella vita coniugale, sia nelle forme di consacrazione religiosa, sia nella vita sacerdotale, occorre superare i modi di pensare e di agire non conformi alla volontà di Dio”. Si tratta, dunque, di “un esodo” e tutti sono chiamati ad adorare Cristo nel cuore per lasciarsi “raggiungere dall’impulso della grazia” contenuto nella sua Parola, che deve trasformarsi in servizio concreto al prossimo. “Non dobbiamo avere paura, scrive Papa Francesco: Dio segue con passione e perizia l’opera uscita dalle sue mani, in ogni stagione della vita. Non ci abbandona mai! Ha a cuore la realizzazione del suo progetto su di noi e, tuttavia, intende conseguirlo con il nostro assenso e la nostra collaborazione”.

    Quindi Papa Francesco si rivolge più direttamente a coloro che intendono “comprendere quale sia la propria vocazione” e li esorta a partecipare con fiducia “ad un cammino comunitario” ricordando che nessuna vocazione “nasce o vive per se stessa”. La vocazione matura nel campo dell’amore reciproco e nel contesto “di un’autentica vita ecclesiale”. Il Papa sottolinea poi che ci potranno essere ostacoli “fuori di noi e dentro di noi”, che tutto questo talvolta significa "andare controcorrente". E’ Gesù stesso che avverte che “il buon seme della Parola di Dio spesso viene rubato dal Maligno, bloccato dalle tribolazioni, soffocato da preoccupazioni e seduzioni mondane”. “Tutte queste difficoltà potrebbero scoraggiarci, facendoci ripiegare su vie apparentemente più comode”, scrive Papa Francesco che però ricorda che “la vera gioia dei chiamati consiste nel credere e sperimentare che Lui, il Signore, è fedele”. E con Lui possiamo aprire il cuore “a cose grandi”.

    Quindi il Pontefice chiede ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle comunità e alle famiglie cristiane di “orientare la pastorale vocazionale in questa direzione, accompagnando i giovani su percorsi di santità”, che esigono – afferma - “una pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone”. “Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa”, sottolinea citando la Lettera apostolica Nuovo millennio ineunte di Giovanni Paolo II. L’invito è dunque quello di disporre il cuore ad essere ‘terreno buono’ per portare frutto: quanto più “sapremo unirci a Gesù con la preghiera, la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, i Sacramenti”, “tanto più crescerà in noi la gioia di collaborare con Dio”. “E il raccolto- afferma Papa Francesco – sarà abbondante, proporzionato alla grazia che con docilità avremo saputo accogliere in noi”.

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    Altre udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il card. Roger Michael Mahony, arcivescovo emerito di Los Angeles (Stati Uniti d’America); il card. Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina); i membri della Presidenza della Conferenza dei Vescovi di Francia: Mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marseille, presidente; Mons. Pascal Delannoy, vescovo di Saint-Denis, vice Presidente; Mons. Pierre-Marie Carré, arcivescovo di Montpellier, vice Presidente; Rev. Olivier Ribadeau Dumas, segretario Generale. Il Papa ha ricevuto, inoltre, questa mattina in Udienza un Gruppo di Rabbini provenienti dall’Argentina.

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    Tweet del Papa: preghiamo per la pace e cerchiamo di costruirla incominciando da casa

    ◊   Papa Francesco ha lanciato questa mattina un tweet dal suo account @Pontifex: “Preghiamo per la pace, e cerchiamo di costruirla, incominciando da casa!”.

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    Iniziativa del dicastero per la Famiglia e Caritas Italiana per le famiglie siriane

    ◊   Dai campi di calcio arriva un ennesimo messaggio di pace per la Siria, soprattutto a pochi giorni ormai dall’attesa Conferenza di “Ginevra 2”. Autore del messaggio è il Pontificio Consiglio per la Famiglia che, assieme alla Caritas Italiana – e con l’adesione del Coni e della Lega Calcio di serie A – esporrà negli stadi, durante le partite in programma sabato e domenica prossime, uno striscione con la scritta “Venti di pace per le famiglie della Siria”. Nel comunicato col quale annuncia l’iniziativa, il dicastero vaticano cita a più riprese il recente discorso di Papa Francesco al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in particolare il passaggio che invoca una “rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto”, l’auspicio che la Conferenza “Ginevra 2” segni “l’inizio del desiderato cammino di pacificazione”, la denuncia di una guerra inaccettabile che colpisce “la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini” e, di conseguenza, “l’imprescindibile” e “pieno rispetto del diritto umanitario”.

    Il Pontificio Consiglio per la Famiglia ricorda anche che lo scorso ottobre, in occasione del Pellegrinaggio mondiale delle Famiglie alla Tomba di Pietro, il dicastero stesso e Caritas Italiana avevano già lanciato l’iniziativa di solidarietà “Le famiglie del mondo per le famiglie della Siria”, un progetto di durata annuale a sostegno di Caritas Siria, che prevede forniture di aiuti umanitari alle famiglie siriane in difficoltà, specie ai bambini, realizzazione di alloggi temporanei per le famiglie sfollate e un’offerta di assistenza medico-sanitaria a malati, bambini e anziani, per un totale di circa 5.400 famiglie siriane (oltre 20.000 persone).

    Gli stadi in cui verranno esposti nel fine settimana gli striscioni saranno quelli delle squadre ospitanti (Atalanta, Bologna, Catania, Chievo Verona, Genoa, Juventus, Milan, Sassuolo, Roma, Udinese), mentre “in contemporanea sui maxischermi – precisa il comunicato – sarà trasmesso uno spot di Federico Fazzuoli e Elisa Greco con immagini dei campi profughi libanesi”. “Il mondo dello sport – termina la nota del Pontificio Consiglio per la Famiglia – non dimentica situazioni dolorose che colpiscono, in Siria, come in altre parti del mondo, troppi innocenti: la partita della pace si può vincere insieme, con l’impegno di ognuno”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Commissione teologica internazionale: violenza in nome di Dio corrompe la religione

    ◊   “Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza”: è il titolo del documento pubblicato oggi dalla Commissione teologica internazionale, presieduta prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Gerhard L. Muller. Lo studio, elaborato in cinque anni di lavoro, è dedicato a confutare “la teoria diversamente argomentata di “un rapporto necessario fra il monoteismo e le guerre di religione”. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Si parte dalla domanda: in che modo “la teologia cattolica può confrontarsi con l’opinione culturale e politica che stabilisce un intrinseco rapporto fra monoteismo e violenza”? La risposta dei teologi – racchiusa in 40 pagine e ordinata in cinque capitoli – poggia anzitutto sulla “fede cristiana che riconosce nell’eccitazione alla violenza in nome di Dio la massima corruzione della religione” e nella convinzione “condivisa da moltissimi contemporanei, credenti e non credenti, che le guerre interreligiose, come anche la guerra alla religione, siano semplicemente insensate”.

    Osservano i teologi cattolici che la nozione di monoteismo è “ancora troppo generica quando sia usata come cifra di equivalenza delle religioni storiche” – identificate come Ebraismo, Islam, Cristianesimo – “che confessano l’unicità di Dio” e criticano la “semplificazione culturale che riduce l’alternativa fra un monoteismo necessariamente violento e un politeismo presuntivamente tollerante”. I teologi indagano poi sul “rapporto fra rivelazione di Dio e umanesimo non violento”, soffermandosi quindi sulle "pagine difficili" della fede biblica, dove “la rivelazione di Dio si trova coinvolta nelle forme della violenza fra gli uomini”. E ancora approfondiscono l’evento della morte e della resurrezione di Gesù, nella chiave della riconciliazione fra gli uomini”. Per cui, “la rivelazione iscritta nell’evento di Gesù Cristo, che rende apprezzabile la manifestazione dell’amore di Dio, consente di neutralizzare la giustificazione religiosa della violenza sulla base della verità cristologica e trinitaria di Dio”.

    Affrontano poi i teologi le “implicazione filosofiche del pensiero di Dio”, entrando nei “punti di discussione con l’odierno ateismo”. L’itinerario di ricerca si conclude con la certezza che “la rivelazione cristiana purifica la religione, nel momento stesso in cui le restituisce il suo significato fondamentale per l’esperienza umana del senso”. Da qui, l’invito finale dei teologi cattolici a “trattare sempre congiuntamente il contenuto teologico e lo sviluppo storico della rivelazione cristiana di Dio".

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un frutto che matura dove la terra è buona: le vocazioni come testimonianza di verità nel messaggio per la prossima Giornata mondiale.

    Un’eresia vera e propria: in prima pagina, sulla violenza in nome di Dio un editoriale del domenicano Serge-Thomas Bonino, segretario generale della Commissione teologica internazionale.

    Per un esame di coscienza: Messa del Papa a Santa Marta.

    Con l’amicizia di Francesco: Norbert Hofmann, segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, sul nuovo impulso al dialogo tra ebrei e cattolici.

    Dignità da tutelare: la Santa Sede e la Convenzione per i diritti del fanciullo.

    Tra colpa e redenzione: una riflessione di Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati italiana, sulle Confessioni di Agostino, che contengono le fondamenta dell'edificio religioso che ha dominato la cultura occidentale.

    I cristiani nascosti di Imamura: Cristian Martini Grimaldi a colloquio con i discendenti dei perseguitati in Giappone.

    Un articolo di Gian Carlo Perego dal titolo “Un Papa, un vescovo e i migranti”: a cento anni dalla morte di Pio X e Geremia Bonomelli.

    Se l’eremita scaccia il cavaliere: Jean-Pierre De Rycke sull'interpretazione del quadro di Pisanello.

    Sincletica e le altre: Mariella Carpinello sulla discendenza femminile di Antonio il grande.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Mons. Zenari: la comunità internazionale risponda al grido di dolore del Paese

    ◊   Delusione per il risultato della conferenza dei Paesi donatori della Siria tenutasi ieri in Kuwait. Il Segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, ha reso noto che l’ammontare dei fondi messi a disposizione, per far fronte all’emergenza umanitaria causata dalla guerra civile, è di due miliardi e 400 milioni di dollari, un terzo in meno rispetto a quanto sperato. E sempre dall’Onu arriva la denuncia di esecuzioni di massa nel nord del Paese per mano di gruppi jihadisti, tra i quali lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante legato ad al-Qaeda. Sul fronte diplomatico, intanto, a meno di una settimana dall’inizio della Conferenza di pace "Ginevra 2", s’incontrano oggi e domani a Mosca i rappresentanti governativi di Russia, Iran e Siria. Sulle difficoltà di far fronte efficacemente all’emergenza umanitaria, Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente a Damasco il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari:

    R. – L’aspetto umanitario dovrebbe avere la priorità. Non passa giorno in cui io non senta il grido di questa gente, che è sempre più povera e che, addirittura, muore di stenti. E’ una cosa che fa veramente impressione. E’ una situazione umanitaria che si aggrava di settimana in settimana, di giorno in giorno.

    D. – Come rispondere a questo grido di dolore?

    R. – Alle volte, io uso un’immagine per questa immane tragedia. Ho vissuto nove anni fa, infatti, quella dello tsunami in Asia e qui c’è stata veramente un’onda disastrosa, uno tsunami, che ha portato miseria e distruzione, che ha portato sofferenza e morte. Ecco, in risposta a quest’onda distruttrice occorrerebbe un’onda altrettanto forte, un altro tsunami positivo di solidarietà da parte di tutta la comunità internazionale. Occorre che la comunità internazionale, nel suo insieme, si faccia carico del grido che arriva da questa povera popolazione. Sono milioni e c’è bisogno di una risposta urgente della comunità internazionale, di una solidarietà particolare in questo momento.

    D. – Una risposta, secondo lei, che può venire dalla Conferenza di pace "Ginevra 2"?

    R. – Sarebbe necessario cominciare dall’imporre la cessazione della violenza e consentire l’accesso agli aiuti umanitari. Purtroppo, c’è una vasta zona ancora, in cui non possono arrivare gli aiuti umanitari, messi a disposizione dalla comunità internazionale. Certe province all’est, ma anche zone attorno a Damasco, sono accerchiate da mesi e mesi per colpa degli uni o per colpa degli altri. La comunità internazionale deve far pressione e le parti in conflitto devono rispondere a questo grido di sofferenza e di bisogno.

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    Egitto. Il referendum approva la nuova Costituzione

    ◊   Referendum sulla Costituzione in Egitto. Il fronte del “sì” avrebbe ottenuto il 98% dei consensi, l’affluenza si sarebbe attestata tra il 30 e il 50%. In due giorni di consultazioni e scontri tra Fratelli musulmani e Forza pubblica, 12 persone sono morte, un giovane cristiano è stato decapitato da gruppi islamisti. 444 gli oppositori arrestati. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    L’Egitto attende l’esito del referendum sulla nuova Costituzione, che cambia quella approvata sotto il deposto presidente Morsi. I dati ufficiali dovrebbero arrivare entro poche ore, ma già si parla di vittoria del fronte del “sì” con una "forbice" stimata tra il 95 e il 98%. L’affluenza secondo i media si è attestata tra il 33 e il 50%. I 247 articoli della nuova Carta fondamentale danno più potere ai militari che ieri hanno blindato con carri armati piazza Tahrir e Heliopolis, mentre elicotteri da combattimento Apache sorvolavano il centro del Cairo. A Giza, teatro ieri di violenti scontri, uomini armati hanno comunque aperto il fuoco contro alcuni seggi e in serata un attivista pro-Morsi è stato ucciso. Fermato anche un cameraman dell'agenzia Ap. In totale, sono stati 444 gli oppositori arrestati e 12 le persone rimaste uccise in due giorni di proteste e scontri con la Forza pubblica.

    Per un'analisi del voto in Egitto, abbiamo intervistato la prof.ssa Valentina Colombo della European Foundation for Democracy e ricercatrice di storia dei Paesi islamici all’Università Europea di Roma:

    R. - Questo è un “sì” che corrisponde a un “no” secco degli egiziani ai Fratelli musulmani e alla Costituzione precedente, quella marcatamente islamica. Questa Costituzione dà ampio spazio alla parità tra uomo e donna. E' una Costituzione nel cui preambolo si fa cenno praticamente a tutta la storia dell’Egitto, a partire dai Faraoni, compreso un cenno alla Vergine Maria, poiché si dice: ‘Il popolo egiziano ha accolto Gesù e sua Madre sul proprio territorio”. Quindi, diciamo è una Costituzione “rivoluzionaria” davvero, se la si confronta con le Costituzioni precedenti. Quindi, questo è un voto che dice ai militari: “Andate avanti! La direzione è questa”.

    D. - C’è chi dice che, comunque, il numero dei votanti è basso?

    R. - Però, se noi confrontiamo questi dati con il referendum precedente - quello del 2012 - dove l’afflusso alle urne era stato di un 32% circa, è decisamente superiore.

    D. - Rimane nella Carta fondamentale il riferimento alla sharia come fonte principale di diritto, però c’è un ridimensionamento…

    R. - Il limite viene posto dagli articoli stessi, dal contenuto stesso della Costituzione, che vuole perlomeno una interpretazione aperta, più riformatrice della sharia, più vicina a quelli che sono i diritti umani universali.

    D. - Molti osservatori dicono che il ritorno ai militari, in realtà, è un passo indietro, mentre altri sostengono che serve in questo momento la garanzia di stabilità. Ma, in realtà, il popolo egiziano ha cominciato un cammino, c’è un cambiamento in atto...

    R. - Io sono per la seconda tesi. I militari cercano di garantire la sicurezza interna del Paese. Hanno estromesso Mohamed Morsi, legato ai Fratelli musulmani, dietro una esplicita richiesta del popolo egiziano: non dimentichiamo i 30 milioni di firme raccolte dal Movimento Tamarrod, Ribellione. Quindi, è chiaro che l’esercito sa benissimo che non siamo più ai tempi di Nasser, ai tempi di Mubarak. L’esercito sa che oggi il popolo egiziano è consapevole della propria forza e sa che può dire “no”, sa che può dire “basta”. Quindi, il governo attuale - in mano ai militari - deve capire che deve iniziare ad attuare riforme dal basso. Solo così si potrà arrivare, con gli anni, a una vera transizione.

    D. - In questo processo, non rimane come una macchia il fatto che sia stato deposto l’ex presidente Mohamed Morsi dopo elezioni legittime?

    R. - I Fratelli musulmani sembravano garantire un futuro migliore agli egiziani, perché è sempre stata una associazione che lavorato dal basso: per cui, l’elezione di Morsi era un’elezione in nome della speranza e che lui potesse cambiare. Credo che, forse noi occidentali un po’ meno, ma tutti gli egiziani sì, siano consapevoli che potevano essere allontani solo ed esclusivamente da una azione forte come quella che c’è stata: altrimenti, nessuno sarebbe riuscito più a smuoverli. Si stavano muovendo - attraverso decisioni a livello legislativo - a incamerare sempre più forze, sempre più poteri nelle proprie mani.

    D. - Scoppia la “primavera araba”, la caduta di Mubarak e i Fratelli musulmani vengono visti come un soggetto con il quale si può dialogare, poi diventano estremisti. Questo doppio volto come si spiega?

    R. - C’è stato un grande fraintendimento. I Fratelli musulmani non possono essere definiti - come sono stati dalla stampa internazionale, ma non solo dalla stampa, ma anche dai governi - degli “estremisti moderati”. Basta leggere alcuni siti legati ai Fratelli musulmani e delle loro espressioni locali in questi giorni, ovviamente in arabo... E questo è l’altro problema, perché i Fratelli musulmani parlano in inglese in un certo modo e parlano in arabo in un altro. Ebbene, in uno di questi siti dei Fratelli musulmani, proprio ieri, è stato pubblicato un articolo in cui praticamente si dice che “l’Egitto è ormai terra cristiana” e in cui si dice chiaramente che i copti - i cristiani, quindi - hanno ordito un complotto con i militari - e ovviamente si introduce anche Israele, perché è sempre il Paese complottista per eccellenza! - per escludere, per uccidere i Fratelli musulmani.

    D. - Potremmo dire che i Fratelli musulmani hanno percorso la loro parabola politica?

    R. - Io credo che in Egitto sì. Stanno facendo un passo indietro, ma rimangono in Tunisia. Si stanno riorganizzando, a partire dall’Europa. Ormai, l’organizzazione dei Fratelli musulmani è un’organizzazione internazionale e globale e la loro base si sta spostando a Londra, laddove la situazione in Turchia non consente più loro di avere in Istanbul e in Ergodan - in crisi anche lui - un altro punto fermo.

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    Ucraina. Parlamento vota legge di bilancio senza dibattito in aula. Piazza in fermento

    ◊   Il parlamento ucraino, la "Verkhovna Rada", ha approvato la legge di bilancio per il 2014. Ma lo ha fatto senza alcuna discussione in aula a causa della protesta di alcuni deputati dell'opposizione, che stanno bloccando la tribuna del parlamento. Chiedono le dimissioni del ministro dell'Interno, Vitali Zakharcenko, considerato responsabile delle violenze della polizia sui manifestanti "europeisti". Solo 261 deputati su 450 si sono registrati alla seduta odierna. In piazza, restano le forti tensioni tra europeisti e filogovernativi. Fausta Speranza ha parlato con il prof. Aldo Ferrari dell’Università Ca Foscari di Venezia, che si occupa di Russia e Europa orientale anche per l’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:

    R. – Tra le dinamiche principali dell’Ucraina, c’è proprio questo confronto tra europeisti e non europeisti, che forse si possono definire filorussi. C’è naturalmente molto altro. C’è tutta una situazione economica, una situazione culturale complessa del Paese. Ma in larga misura la dinamica politica è proprio questa e si gioca sullo scontro di due diverse visioni del presente e soprattutto del futuro dell’Ucraina. E l’Ucraina tende ormai a diventare una sorta di campo di battaglia tra la prospettiva europea e la prospettiva russa, o meglio dell’Unione doganale euroasiatica. Sarebbe auspicabile che Unione Europea e Federazione Russa lavorassero insieme all’Ucraina per comporre le divergenze, che sono reali, che sono serie, in una collaborazione, anziché in una contrapposizione. Ecco, questo mi sembra manchi anche da parte europea.

    D. – Tra tutte le questioni, c’è anche la legge finanziaria da votare...

    R. – L’Ucraina è un Paese che ha serissimi problemi economici e un Paese la cui indipendenza resta precaria, non solo per la reale spaccatura culturale e storica tra le due anime del Paese, ma anche per una situazione economica che resta difficilissima, in gran parte per l’irrisolto problema politico con la Russia. L’Ucraina ha dei problemi strutturali: è un Paese totalmente importatore di energia. Quindi, da questo punto di vista, la legge finanziaria è un passo fondamentale per la stabilizzazione politica del Paese.

    D. – Era un po’ nelle cose, come dire, che l’Ucraina si trovasse in questa situazione di difficoltà tra Europa e Russia o qualche passo poteva essere diverso – penso alla posizione dell’Unione Europea e alle dinamiche russe – perché questo Paese non si trovasse a stare né di qua né di là?

    R. – Purtroppo, questo essere un po’ di qua e un po’ di là è inscritto nella storia stessa del Paese, che ha avuto una parte occidentale inserita per secoli nell’Europa centrale, nell’Impero asburgico, nella Polonia, e una parte orientale che ha gravitato, almeno dal XVII secolo, intorno alla Russia, o meglio all’interno della Russia. Quindi, è chiaro che secoli di storia non si cancellano in pochi decenni, non si cancellano con un atto di indipendenza, che si vede adesso essere ancora precario, essere insufficiente. La storia stessa contrasta l’unità reale del Paese. Poi, errori sono stati commessi probabilmente da un lato e dall’altro. Da parte russa, è difficilissimo ammettere che l’Ucraina non sia parte del sistema russo. E’ molto, molto difficile. Kiev, da parte della stragrande maggioranza dei russi, è percepita non solo come una città russa, ma come la madre delle città russe. L’Ucraina è percepita come qualcosa di interno. Molti ucraini la pensano così, ma poi ci sono altri, soprattutto gli ucraini occidentali, che assolutamente non pensano la stessa cosa. Quindi laddove esistono queste spaccature interne ad un Paese su una questione così cruciale, come quella dell’identità nazionale, del collocamento storico e politico del Paese, è chiaro che la situazione non può che essere questa: di lacerazione. Detto questo, la politica dell’Unione Europea sembra un poco troppo ambiziosa e un poco strumentale nei confronti di questo Paese. Io non credo che l’Unione Europea abbia realmente la capacità di assorbire un Paese di queste dimensioni e con queste problematiche interne, in primo luogo economiche, in un’adesione così stretta. Fare promesse, quindi, indurre la parte antirussa della popolazione a questa radicalizzazione, a mio giudizio, non è una politica accurata, non è una politica oculata da parte europea. D’altra parte, c’è la Russia che usa le leve di cui dispone anche con prepotenza, per mantenere l’Ucraina sotto il proprio controllo, anzi, per aumentare ulteriormente questo controllo, perché se eventualmente l’Ucraina aderisse all’Unione doganale euroasiatica sarebbe un passo importante, forse irreversibile, verso un riavvicinamento alla Russia.

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    Giornata del dialogo cattolici-ebrei. I commenti di mons. Marco Gnavi e Renzo Gattegna

    ◊   Si celebra oggi in Italia la 18.ma Giornata nazionale per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, sul comandamento “Non rubare”. Per l’occasione, la Pontificia Università Lateranense, alle 17.30, ospita un incontro promosso dall’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della diocesi di Roma, con interventi del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, e l’economista Stefano Zamagni. Mons. Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo, racconta il significato di questo appuntamento al microfono di Antonella Pilia:

    R. – Si tratta di approfondire i rapporti con il mondo ebraico, che per noi non sono estrinseci ma intrinseci al dna della nostra vita, perché Gesù era ebreo, ha pregato con le Scritture ebraiche dentro la tradizione ebraica; perché l’Alleanza mai revocata con il popolo del Primo Testamento ci spinge a guardare all’orizzonte escatologico, all’attesa del Regno, e lo facciamo insieme a loro su una terra piena di problemi, non ultimo quello dell’antisemitismo, che vogliamo affrontare e vincere insieme. Siamo spiritualmente parenti: Giovanni Paolo II nel 1986, visitando la Sinagoga, usò un’espressione originale chiamandoli “i nostri fratelli maggiori”. Dunque non possiamo prescindere dalla fraternità e dall’amore gli uni per gli altri che, pur nelle nostre vocazioni diverse, ci richiama tutti al bene comune dell’umanità e al contributo che possiamo dare in maniera originale, se possibile, insieme.

    D. – Dal 2005 la riflessione verte sui 10 Comandamenti. Quest’anno si approfondisce l’ottavo Comandamento: “Non rubare” …

    R. – Viviamo in un tempo fortemente economicista, segnato da un certo individualismo; siamo portatori – cristiani ed ebrei – di un senso della vita connesso al suo aspetto religioso, verticale, di rapporto con Dio, dal quale discende anche il dono dei beni e del Creato. “Non rubare” è un imperativo biblico che ci vede insieme difendere la dignità dell’uomo e anche proporre a questa nostra società una via diversa. Tra l’altro, è una società che conosce anche le derive del male per ciò che riguarda i beni e la spoliazione degli altri: rubare non è solo sottrarre, ma è anche immiserire la vita di chi ha diritto alla dignità, anche attraverso il bene del lavoro, i beni che lo sostengono.

    D. – Perché è così importante riuscire a dialogare con i “fratelli maggiori” ebrei?

    R. – E’ importante per comprendere il mondo ebraico e capire anche qualcosa di Gesù dall’interno del Primo Testamento, dell’Antico Testamento. E’ importante perché lì dove ebrei e cristiani difendono insieme la vita ne godono tutti. Dove la vita degli ebrei viene minacciata, invece, viene minacciata la vita di tutti. L’antisemitismo, l’antigiudaismo, i segni di odio che hanno seminato dolore fino alla Shoah, durante la Seconda guerra mondiale, sono un grande monito che chiede una risposta alta e quotidiana, quindi diffusa e larga, ma anche profonda per le sue motivazioni. E’ questo il senso, anche, di questi colloqui tra ebrei e cristiani.

    D. – Per la prima volta la Giornata si svolgerà sotto il Pontificato di Papa Francesco, che ha anche annunciato il suo viaggio in Terra Santa. Qual è il personale apporto di Papa Francesco alla causa del dialogo tra ebrei e cristiani?

    R. – Papa Francesco ha già ricevuto ufficialmente il rabbino capo Riccardo Di Segni e delegazioni internazionali; soprattutto, da arcivescovo di Buenos Aires, aveva un rapporto strettissimo con il rabbino Skorka, con il quale in tanti colloqui e in tanta amicizia e fraternità ha affrontato i temi del vivere, del dolore, della morte, della vita, i temi della spiritualità … Dunque direi che è connaturale a Papa Francesco uno sguardo di simpatia, di interesse, di amore per il popolo ebraico che, come dicevo, affonda le radici in un vissuto molto intenso.

    Ma è possibile parlare di reali progressi nel cammino comune, reciproco, che si sta facendo in questo senso? Al microfono di Adriana Masotti il presidente dell’Ucei, Unione comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna:

    R. - Sì, il dialogo ebraico-cristiano ed ebraico-cattolico è in corso, ed è in corso - sappiamo benissimo - da circa 50 anni. I rapporti sono in fase positiva. Ci sono stati degli alti e bassi, ma il bilancio - secondo me - è abbastanza soddisfacente. Però è necessario a questo punto che questo dialogo esca dall’ordinaria amministrazione per addivenire ad una ancora maggiore comprensione, ancora maggiore accettazione di una convivenza assolutamente fondata sulla fratellanza e sulla collaborazione per risolvere i tanti problemi che ci sono nel mondo ancora da risolvere e tra gli altri problemi, c’è quello del fanatismo, del fondamentalismo. Ho letto molte dichiarazioni di Papa Francesco e in queste dichiarazioni il Papa ha usato parole molto chiare per condannare questi fenomeni. E’ andato anche oltre, perché ha sostenuto la pari dignità e il reciproco rispetto fra tutti gli appartenenti a diverse religioni, tanto che ha enunciato un proprio convincimento che sia necessario evitare qualsiasi forma di proselitismo. Ecco, questa è una presa di posizione - secondo me - importante, nuova e che può essere il punto di partenza proprio per questo salto di qualità, perché sappiamo tutti che nei secoli proprio il popolo ebraico è stato spesso sottoposto a pressioni e a tentativi di conversioni forzate.

    D. - Guardando a quello che è stato fatto finora, le viene in mente qualche gesto particolare o momento di amicizia più recente? Non so negli ultimi mesi, nell’ultimo anno che potremmo ricordare insieme…

    R. - Sì. Tutti i Papi - da Giovanni XXIII in poi - hanno compiuto atti significativi. Ci furono, per esempio, dei viaggi in Israele di Papi che davanti al Muro occidentale del Tempio di Gerusalemme, si sono soffermati in raccoglimento. Giovanni Paolo II inserì anche un messaggio fra i mattoni del Muro, perché quella è un’usanza ebraica. Poi da parte anche di Benedetto XVI ci sono state delle prese di posizione importanti: per esempio nei confronti di alcuni gruppi cattolici che avevano assunto delle posizioni antiebraiche. Adesso, Papa Francesco - anche lui, con quelle frasi che io le ho citato prima - sta dimostrando una volontà di guardare al futuro del mondo come un futuro di pace nel quale ognuno possa tranquillamente professare le proprie credenze, senza per questo dover subire alcuna forma di ostilità da parte degli altri.

    D. - Veniamo al tema di riflessione della Giornata di quest’anno: è il Comandamento “Non rubare”. Che cosa si vuole sottolineare riguardo a questo e a che cosa ci si vuole impegnare insieme?

    R. - A me sembra evidente che il “Non rubare” non è rivolto ai piccoli episodi di furto… La Giornata in sé vuole richiamare alla necessità che coloro che hanno responsabilità di comando e di direzione politica dei vari Paesi respingano qualsiasi forma di corruzione e qualsiasi forma di connivenza con gruppi privati, che possano tentare di sottrarre risorse pubbliche a proprio vantaggio. A me sembra che, guardando quello che succede sia in Italia che in tanti altri Paesi europei o americani, questa della corruzione o anche la connivenza con gruppi di delinquenza organizzata sia una lotta che ha una grandissima importanza per evitare un degrado, al quale si pagherebbe tutti un prezzo terribile!

    D. - Quali sono le iniziative più originali organizzate in Italia per questa occasione? Se ne vuole citare una…

    R. - Noi ci troviamo tra questa Giornata e il 27 gennaio che è il Giorno della Memoria. Quindi in questi giorni che uniscono questi due eventi, noi cerchiamo il consolidamento di tutte le alleanze possibili, affinché si verifichi una svolta per un futuro migliore e perché i nostri figli non debbano tornare a rivedere cose che sono state viste dai nostri padri!

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    “Botteghe di Mestiere”, un‘opportunità per inserirsi nel mondo del lavoro artigianale

    ◊   Favorire, dopo un periodo di tirocinio, l’inserimento lavorativo di giovani inoccupati o disoccupati con meno di 29 anni nei principali settori del “Made in Italy”. Questo l’obiettivo di “Botteghe di Mestiere”, iniziativa promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con il contributo del Fondo sociale europeo, e attuata dalla società “Italia Lavoro”. Entro il 30 gennaio prossimo, è possibile presentare la propria candidatura per partecipare, se selezionati, al prossimo ciclo di percorsi di tirocinio retribuiti e attivati, in tutta Italia, presso imprese artigianali. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La sapienza del lavoro artigianale, trasmessa durante periodi di tirocinio in imprese specializzate nei settori del “Made in Italy”, si può rivelare per i giovani - in questo tempo caratterizzato da una profonda crisi occupazionale - una concreta opportunità di lavoro. Facendo leva su un modello di formazione che offre la possibilità di una reale esperienza di apprendimento sul campo, l’iniziativa “Botteghe di Mestiere” intende anche favorire un processo di ricoperta dei mestieri artigianali. I tirocinanti, che riceveranno un rimborso mensile di 500 euro, potranno apprendere un mestiere a elevata componente manuale. In queste peculiari realtà produttive - presenti su tutto il territorio italiano - potranno anche acquisire conoscenze e competenze per trovare un’occupazione o per avviare, in proprio, un’attività artigianale. Un ambito, questo, in cui sono sempre più numerose le professioni legate al lavoro artigianale, che pur facendo parte della spina dorsale dell’economia italiana, rischiano di scomparire. Secondo un recente studio della Cgia di Mestre (Associazione Artigiane Piccole Imprese), l’elenco delle professioni in “via di estinzione” include, tra gli altri, pellettieri, falegnami, impagliatori, muratori, carpentieri, carrozzieri, riparatori di orologi, tipografi, elettricisti, sarti e tappezzieri. E in questi e altri settori artigianali lo specifico percorso di apprendistato proposto con l’iniziativa “Botteghe di Mestiere” può trasformarsi, soprattutto in tempo di crisi, in un’opportunità di lavoro. Gli aspiranti tirocinanti, in possesso dei requisiti richiesti per accedere alla selezione, potranno iscriversi attraverso il sistema informatico raggiungibile dal sito: www.italialavoro.it/amva.

    Su questa iniziativa che offre la possibilità di partecipare a un programma di apprendistato in mestieri a vocazione artigianale, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco il presidente e amministratore Delegato di “Italia Lavoro”, Paolo Reboani:

    R. - La filosofia di questo progetto è molto semplice. Nasce da due idee: la prima è di recuperare nei nostri giovani il valore del lavoro manuale e del lavoro artigianale, la seconda risponde al tentativo di recuperare questo filone, e l’idea del lavoro manuale, nelle produzioni più caratteristiche del “Made in Italy” che insistevano in quell’area.

    D. - Quali sono stati i settori produttivi e gli ambiti territoriali scelti per lanciare questa iniziativa?

    R. - Noi abbiamo fatto un progetto che ha scelto settori, o imprese, in ogni provincia d’Italia. Abbiamo coperto il “Made in Italy” tradizionale manifatturiero delle medie imprese. Abbiamo coperto il “Made in Italy” delle cosiddette “quattro A”: agricoltura, arredamento, abbigliamento, "automotive". Abbiamo coperto i settori delle panetterie, dell’alta pasticceria, della pesca, i servizi alle famiglie, alle imprese... Abbiamo sostanzialmente coperto, in tutti i territori italiani, uno o due settori.

    D. - Quali sono oggi, guardando al tessuto produttivo italiano, i settori che offrono maggiori opportunità di lavoro?

    R. - Dire qual è il paradigma è molto difficile. Io credo che, guardando alla mappa delle esigenze, abbiamo realtà molto differenziate. Vedo le caratteristiche del “Made in Italy” molto sviluppate, anche perché quelle sono caratteristiche che hanno anche buone prospettive di occupazione e di retribuzione; vedo i settori della meccanica più avanzata come l’altro punto interessante su cui lavorare. Ecco perché credo che, nelle prossime scelte che il governo dovrà fare, il rapporto scuola - lavoro, le transizioni e il lavoro di qualità - possano e debbano essere al centro di rinnovate politiche del lavoro rinnovate.

    D. - E all’iter del tirocinio, in diversi casi, è seguito anche un effettivo inserimento nel mondo del lavoro…

    R. - Noi abbiamo attivato quasi cinquemila tirocini in questo periodo. In alcune realtà, sappiamo esattamente che questi tirocini si sono trasformati in contratti di apprendistato all’interno delle aziende. Quindi, da questo punto di vista, sono anche abbastanza soddisfatto dell’impostazione dal punto di vista delle politiche del lavoro: quella di costituire il tirocinio come un effettivo percorso di prova all’interno di un percorso di formazione dentro l’impresa. Devo dire che le imprese hanno tutte reagito in modo positivo a questo tipo di impostazione.

    D. - Il tirocinio prevede un rimborso di 500 euro per ciascun ragazzo…

    R. - Noi abbiamo costruito lo strumento in maniera tale che il giovane potesse avere una sua borsa, e quindi non fosse uno sfruttamento come accade molte volte. Abbiamo controllato la qualità del tirocinio, quindi abbiamo scelto e visto le imprese. E abbiamo garantito alle imprese un minimo rimborso per le spese di carattere organizzativo e formativo che comporta il tirocinio.

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    Convegno al Bambino Gesù: un paziente psichiatrico su tre, fra i minori, fa uso di droghe

    ◊   Un paziente psichiatrico su tre, tra i minori, fa uso continuo di droghe. E’ questo uno dei dati presentati al Convegno svoltosi all'Ospedale Bambin Gesù di Roma dal titolo ”Disagio giovanile: individuare i soggetti a rischio e prevenire le difficoltà”. Il fenomeno dell’uso di stupefacenti in età pediatrica ha subito modificazioni nel corso degli anni se ne è discusso eplorando cause e possibili soluzioni. Eliana Astorri ha intervistato Federico Vigevano, direttore del Dipartimento di neuroscienze dell’ospedale romano:

    D. - Prof. Vigevano, qual è il legame tra l’uso di sostanze stupefacenti in età giovanile e disturbo psichiatrico?

    R. – Dai nostri dati, dai dati in letteratura, sappiamo che circa un terzo dei ragazzi che presentano severe patologie psichiatriche – in particolare psicosi, disturbo del comportamento e tentato suicidio – fanno uso di droghe. Quindi, la droga è considerata una causa, o concausa di queste severe patologie psichiatriche.

    D. – Cosa è cambiato negli ultimi anni nell’uso di stupefacenti da parte dei giovani per quanto riguarda l’età della prima assunzione e tipo di sostanza?

    R. – Sappiamo che circa il 20% dei ragazzi delle scuole medie-superiori ha avuto un contatto nell’ultimo anno con la cannabis; se analizziamo la cocaina si scende al 3% ed per altri oppiacei si scende a circa l’1,5%. Quello che sappiamo è che l’età del contatto è sempre più precoce, si scende fino ai 12-13 anni.

    D. – E’ noto il profilo-tipo del giovane che usa queste sostanze, mi riferisco alla situazione sociale in cui vive...

    R. – Sappiamo chiaramente che ci sono situazioni familiari ed anche caratteriali di questi ragazzi che sono a “rischio” per l’avvicinarsi alle droghe. Sicuramente situazioni di contrasti familiari, situazioni in cui c’è già un utilizzo di droghe da parte dei genitori. Sappiamo, per quanto riguarda i bambini, che certe particolari caratteristiche - come la sindrome da iperattività e disattenzione, o atteggiamenti oppositivi, provocatori – predispongono all’utilizzo poi di droghe. Noi vogliamo occuparci di questi bambini in età prepuberale. Questa è la novità della nostra attività: cercare di individuare precocemente i bambini che sono a rischio di abuso di droghe.

    D. – Come è possibile individuare questi soggetti a rischio, fare una diagnosi precoce e quindi prevenzione?

    R. – Ci vuole informazione a livello degli operatori sanitari: se tutti conosciamo bene la tipologia della famiglia, quali sono le caratteristiche dei bambini a rischio di questa evoluzione, intanto possiamo informare la famiglia, seguire le famiglie e fare un intervento precoce soprattutto in età prepuberale. Quando invece sono già ragazzi sui 13-14 anni, faremo gruppi di lavoro con ragazzi più o meno coetanei.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa: appello di pace dei vescovi di Nord America, Europa e Sud Africa

    ◊   Si è conclusa oggi a Gerusalemme con un appello di pace la visita del gruppo di coordinamento delle conferenze episcopali a sostegno della Chiesa Cattolica e dei cristiani nella Terra Santa. Il Coordinamento è composto da vescovi di Nord America, Canada, Sudafrica e dell’Unione Europea. L’iniziativa si svolge dal 1998 ogni anno nel mese di gennaio. "Siamo venuti in Terra Santa per pregare e sostenere la comunità cristiana e la causa della pace. A Gaza abbiamo visto la profonda povertà del popolo e la presenza coraggiosa delle piccole e vulnerabili comunità cristiane. Gaza - affermano i vescovi - è un disastro causato dall'uomo, uno scandalo scioccante, un'ingiustizia che chiede a gran voce alla comunità umana una risoluzione". I presuli chiedono ai leader politici a migliorare la situazione umanitaria della popolazione di Gaza, assicurando l'accesso alle necessità di base per una vita dignitosa, possibilità di sviluppo economico e libertà di movimento. "Nella situazione apparentemente senza speranza di Gaza, abbiamo incontrato persone di speranza. Siamo stati incoraggiati dalla nostra visita a piccole comunità cristiane, che giorno dopo giorno, attraverso molte istituzioni, raggiungono con compassione i più poveri tra i poveri, musulmani e cristiani. Continuiamo a pregare - dicono i vescovi - per sostenere i sacerdoti, i religiosi e i laici che lavorano a Gaza. Essi esercitano un ministero di presenza, si prendono cura dei bambini disabili e degli anziani, e educano i giovani. La loro testimonianza di fede, speranza e amore ci ha dato speranza. Questa è precisamente la speranza necessaria in questo momento per portare la pace, una pace che può essere costruita solo sulla giustizia e l'equità per entrambi i popoli. Palestinesi e israeliani hanno disperatamente bisogno di questa pace", scrivono i vescovi. "Ad esempio, nella valle di Cremisan il tracciato della barriera di sicurezza minaccia la terra agricola posseduta da generazioni da 58 famiglie cristiane. I colloqui di pace in corso arrivano in un momento critico. Ora è il tempo di assicurare che siano soddisfatte le aspirazioni di giustizia di entrambe le parti". Il coordinamento dei vescovi esorta i funzionari pubblici a diventare leader di speranza, non persone di ostruzione. "Chiediamo loro di ascoltare le parole di Papa Francesco, che ha recentemente detto al Corpo Diplomatico: "è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi e faccio voti affinché le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente". (R.P.)

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    Siria: giovane cristiano ucciso e decapitato da jihadisti

    ◊   Gruppi islamisti hanno ucciso e decapitato un giovane cristiano, ferendone gravemente un altro. L’episodio, avvenuto l’8 gennaio scorso, è stato riferito all'agenzia Fides da un sacerdote nella diocesi di Homs. I due, Firas Nader (29 anni) e Fadi Matanius Mattah (34 anni), stavano recandosi in automobile da Homs al villaggio cristiano di Marmarita. Un gruppo di cinque jihadisti armati ha intercettato il mezzo e ha aperto il fuoco sulla vettura. Raggiunta l’auto, i miliziani, notando che Fadi portava una croce al collo, lo hanno decapitato, piantando la croce nel suo petto. Hanno poi preso denaro e documenti, lasciando Firas per terra ferito, credendo fosse già morto. Firas, testimone oculare di quanto avvenuto, è invece riuscito a mettersi in salvo, raggiungendo a piedi la cittadina di Almshtaeih ed è stato poi trasferito all’ospedale di Tartous. Alcuni fedeli sono riusciti a recuperare il corpo di Mattah, portandolo a Marmarita, dove la comunità cristiana locale, nel lutto e nel dolore, ha espresso forte sdegno per l’orribile atto. Secondo un comunicato inviato a Fides dell’opera “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (Acs), la violenza contro i cristiani in Siria, nel rapido deterioramento dello scenario sul terreno, inquinato da migliaia di fazioni islamiste, sta diventando “una delle peggiori persecuzioni sopportate dai cristiani in questo scorcio del terzo millennio”. Secondo gli ultimi rapporti, oltre 600.000 cristiani – un terzo del totale dei fedeli siriani – sono sfollati all'interno del Paese o vivono da rifugiati in Paesi confinanti. I leader cristiani confermano l’esodo massiccio esodo dei cristiani dalla Siria, che potrebbe seriamente compromettere il futuro dei cristiani nella nazione. Come rileva Acs, a Homs, Marmarita e Hamat, la popolazione siriana, che include molti cristiani, vive grave disagio e ha urgenza di cibo, riscaldamento, riparo e medicine a causa del freddo pungente che peggiora la crisi umanitaria esistente per il conflitto. (R.P.)

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    Appello di Gregorios III per una campagna mondiale di preghiera per la pace in Siria

    ◊   Un appello alla preghiera per il successo della conferenza Ginevra 2, che tenterà di fermare il conflitto in Siria, è stato lanciato da Gregorios III Laham, patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti, alla vigilia dell'incontro, previsto per il 22 gennaio a Montreux, in Svizzera. Il patriarca chiede che momenti di preghiera siano celebrati quotidianamente nelle chiese, le case, le riunioni pastorali. "Uniamo la nostra voce a quella di Papa Francesco che in occasione dell'incontro con il Corpo diplomatico, il 13 di questo mese, ha espresso la speranza che Ginevra 2 segni l'inizio del desiderato cammino di pacificazione". "Che questo appello sia l'inizio di una campagna mondiale di preghiera per la pace in Siria, in Terra Santa, nel mondo arabo e nel mondo intero". In un documento annesso all'appello, Gregorios III ha espresso alcune considerazioni: "Preghiamo per una vera riconciliazione, a Ginevra 2, fra tutti i siriani e non solo per degli accordi di sicurezza e per aiuti umanitari. Certamente ne abbiamo grande bisogno, ma la chiave del successo di Ginevra 2 è in una riconciliazione di fede, umana, amichevole, nazionale, veramente siriana. Nel ringraziare tutti i Paesi che lavorano per la pace in Siria, desideriamo che i loro sforzi si concentrino perché la pace sia una pace siriana!". "Una unanimità nelle posizioni di Stati Uniti, Russia, Unione europea e in particolare di Francia, Gran Bretagna, Germania, Cina e Iran è una garanzia del successo di Ginevra 2. E' anche la condizione indispensabile per realizzare l'unità araba per la quale preghiamo. Questa duplice unità: occidentale - araba è la garanzia del successo di Ginevra 2. E' il vero mezzo per fermare il flusso di armi ai gruppi stranieri presenti in Siria e la corsa agli armamenti nella regione". Gregorios III, infine, annuncia che si terrà un incontro a Ginevra (15 - 17 gennaio) su iniziativa del Consiglio Mondiale delle Chiese, al quale egli parteciperà a fianco dei rappresentanti delle diverse Chiese del mondo intero. Dibattiti e scambi di opinioni saranno centrati sul ruolo della Chiesa in questo momento storico non solo per la Siria, ma per tutto il Medio Oriente e per la pace mondiale. (R.P.)

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    Thailandia. Proteste a Bangkok: negare il voto è "catastrofico”, urge un dialogo nazionale

    ◊   Negare la possibilità di votare, il 2 febbraio prossimo, data fissata per le nuove elezioni, è un prospettiva “potenzialmente catastrofica” e potrebbe innescare una violenza generalizzata. Per questo è urgente che la leadership tailandese avvii un “dialogo nazionale” il più possibile inclusivo, per restituire stabilità al paese. E’ quanto afferma l’ultimo rapporto dell’Internationl Crisis Group (Icg), prestigioso think-tank con sedi in numerosi Paesi del mondo. Secondo il rapporto, inviato all’agenzia Fides, se la campagna anti-governativa fa deragliare la prospettiva delle elezioni, il rischio è che si verifichi un “colpo di stato militare”. Il documento nota che le proteste si stanno propagando in ampie aree del paese. Il Partito Democratico, guidato dal segretario generale Suthep Thaugsuban, ha deciso di boicottare le elezioni e sembra determinato a spodestare il governo di Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex Primo Ministro Thaksin, in esilio. Si vuole dare vita a un “Consiglio del Popolo” di 100 rappresentanti che, per un periodo di diciotto mesi, possa attuare riforme strutturali come: decentramento, governatori eletti dal popolo, legge anti-corruzione , riforma della polizia. Dal 2005, tensioni politiche hanno animato un conflitto sociale in Thailandia, centrato spesso sulla figura del magnate Thaksin Shinawatra, che ha governato negli anni scorsi, poi esiliato. Nel 2011 la vittoria elettorale di sua sorella Yingluck ha mostrato che parte del paese era ancora con lui. A novembre 2013, i parlamentari del Partito Democratico si sono dimessi in massa e, il 9 dicembre, Yingluck ha sciolto il Parlamento, fissando le elezioni per febbraio. Ma il Partito Democratico oggi ha deliberato di boicottare le elezioni e di sostenere la protesta. I manifestanti hanno impedito la registrazione dei candidati in 28 circoscrizioni nel Sud del paese. La nazione, afferma il rapporto Icg, appare del tutto “polarizzata”. L’Icg invita il Partito Democratico “a perseguire il cambiamento politico non violento e nel rispetto dei diritti”, “a impegnarsi per il processo democratico, appoggiando un tavolo di dialogo” in cui presentare questioni come il decentramento e la riforma delle istituzioni, che vanno discusse a livello nazionale. (R.P.)

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    Alluvioni nelle Sulawesi: 13 morti e 40 mila sfollati. Cattolici in prima fila nei soccorsi

    ◊   È di almeno 13 morti e oltre 40mila sfollati il bilancio, ancora provvisorio, delle alluvioni e delle frane che hanno colpito l'isola di Sulawesi, nella parte settentrionale dell'arcipelago indonesiano. Le pesanti piogge hanno innalzato i fiumi, che hanno rotto gli argini e inondato ampie aree della città di Manado e dintorni, distruggendo abitazioni e spazzando via auto e motocicli. Decine di migliaia di persone - riporta l'agenzia AsiaNews - hanno abbandonato la zona e cercato rifugio in luoghi più sicuri; le autorità hanno allestito diversi Centri per accogliere i profughi, senza più casa né cibo a disposizione. Almeno un migliaio le abitazioni sommerse dalle acque. In prima fila nei soccorsi anche i cattolici, che hanno aperto le chiese ancora agibili per offrire un riparo provvisorio. Sutopo Purwo Nugroho, portavoce della Protezione civile indonesiana, definisce "massicce" le alluvioni che hanno colpito il Paese; egli aggiunge che le pesanti piogge hanno provocato numerosi smottamenti nelle zone montane. Funzionari della provincia di North Sulawesi confermano che il numero delle vittime è destinato ad aumentare, perché "ci aspettiamo ancora più acqua nei prossimi due o tre giorni". I danni maggiori si concentrano attorno alla città di Manado, capoluogo delle North Sulawesi, tuttavia, problemi si registrano anche in sei diversi distretti della provincia. Cinque vittime si sono registrate a Manado, altrettante a Tomohon e le altre tre nel distretto di Minahasa. Raggiunto da AsiaNews padre Markus Marlon, parroco a Manado, riferisce che almeno 12 chiese della zona sono invase dalle acque. Fra queste vi sono le parrocchie di Raja Damai, Ignatius, Perkamil, Tuminting, Kleak, Rike, Karombasan, Kembes, Tanawangko, Mokupa. "Il numero potrebbe aumentare - aggiunge - ma al momento non è possibile disporre di maggiori informazioni". La diocesi ha allestito un Centro di emergenza, diretto e gestito da padre Joy Derry. Il vescovo ha messo a disposizione alcune strutture, fra cui "cucine" di fortuna, per garantire cibo e generi di primo conforto alle vittime raccolte "nei campi di accoglienza di De La Salle, LSY Komo e Perkamil Church". In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa 7 milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione totale. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. Tuttavia, come in questo frangente, essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze. (R.P.)

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    Sud Sudan: appello del Consiglio delle Chiese per la cessazione degli scontri

    ◊   L’immediata e incondizionata cessazione delle ostilità e l’apertura di negoziati con la mediazione della comunità internazionale. E’ l’accorato appello rivolto dal Consiglio delle Chiese cristiane del Sud Sudan del Sudan, dove non si fermano gli scontri a sfondo etnico tra l’esercito del Governo del presidente Salva Kiir Mayardit e i ribelli legati all’ex vice presidente Rijek Machar. In un messaggio diffuso in questi giorni, i leader cristiani esprimono profondo dolore per una guerra fratricida che sta mettendo a repentaglio l’integrità stessa del giovane Stato africano ad appena due anni e mezzo dall’indipendenza da Khartum. “Siamo convinti di essere una nazione e un popolo unito dal destino, dalla speranza e dalla fede, una nazione che è un prezioso dono di Dio a tutti noi con tutte le nostre diversità”, si legge nel testo, firmato, tra gli altri, dall’arcivescovo di Juba Paulino Lokudu Loro. Di qui l’appello alle parti in conflitto a deporre immediatamente le armi e a consentire l’apertura di corridoi umanitari per soccorrere i civili, e alla comunità internazionale ad intensificare gli sforzi per una soluzione pacifica al conflitto. I leader cristiani sudanesi, da parte loro, ribadiscono l’impegno per la pace e a contrastare ogni forma di etnocentrismo che mina l’unità del Paese. (L.Z.)

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    Congo: plauso da Luanda per la vittoria di Kinshasa sui ribelli dell'M23

    ◊   Da Luanda è arrivato un plauso al governo congolese per la “vittoria totale” sulla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), sconfitto militarmente lo scorso novembre, e per la “stabilizzazione” del Nord Kivu. L’annosa crisi nell’est del Paese è stata al centro di un vertice dei capi di Stato e di governo della Conferenza internazionale sulla regione dei Grandi Laghi (Cirgl) che si è tenuto nella capitale dell’Angola. L’organismo regionale - riporta l'agenzia Misna - si è inoltre concentrato sul conflitto in corso in Sud Sudan e sulla difficile transizione in Centrafrica. Quasi un anno fa ad Addis Abeba, il 24 febbraio 2013, con il sostegno di Unione Africana, Cirgl e Onu, 11 Paesi della regione hanno firmato un accordo che sanciva una serie di impegni e obblighi per riportare la pace nella ricca e instabile provincia mineraria. Patti che vanno rispettati sia dalle autorità congolesi che da quelle della regione – in primis i confinanti Rwanda e Uganda – ma anche dalla comunità internazionale e dai partner occidentali che hanno interessi economici nel Kivu. “Dobbiamo impegnarci per la promozione della pace, della sicurezza e della stabilità per uno sviluppo effettivo dei nostri Paesi e delle nostre popolazioni” ha dichiarato George Rebelo Pinto Chikoti, ministro degli Esteri dell’Angola che ieri ha assunto la presidenza di turno della conferenza dei Grandi Laghi, nata 20 anni fa. Un passaggio di testimone ricevuto dall’Uganda e accolto con favore dalla stampa congolese. “Un cambiamento che rappresenta un auspicio sicuro di nuove prospettive di pace per la regione, in particolare per il Congo che ha pesantemente sofferto per la politica dello struzzo dei suoi vicini ad est, Uganda e Rwanda” scrive il quotidiano ‘Le Potentiel’. Secondo il giornale, sulla carta “la neutralità dimostrata finora da Luanda nei conflitti ricorrenti avrà il suo peso nella bilancia e dovrebbe consentire di risolvere fino in fondo ogni contenzioso per andare avanti con passo sicuro verso la sicurezza della regione”. Ma al di là dell’ottimismo emerso dal vertice e nelle ultime dichiarazioni rilasciate da Mary Robinson, rappresentante Onu nei Grandi Laghi, da Martin Kobler, capo della missione Onu in Congo (Monusco), e da Boubacar Diarra, rappresentante dell’Unione Africana, non mancano timori e critiche sul processo di pacificazione in atto in Nord Kivu. Pochi giorni fa un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che nonostante la sconfitta militare e la firma di un documento di pace a Nairobi il mese scorso, sul terreno l’M23 continua a reclutare e avrebbe ripreso le proprie attività nella regione dell’Ituri, ancora una volta con il sostegno di Kigali e di Kampala. Una secca smentita è arrivata da Bertrand Bisimwa, presidente dell’M23, che ha definito le accuse dell’Onu “informazioni non credibili”, assicurando che tutti i ribelli sono stati disarmati e accantonati. Ancora ieri la Monusco ha condannato la ripresa delle attività dell’ex ribellione, chiedendo ai Paesi vicini di “rispettare l’accordo di Addis Abeba per impedire la rinascita inaccettabile dell’M23”. A destare sospetto, secondo il generale Abdallah Wafy, vice rappresentante speciale dell’Onu in Congo, è il caso del capo ribelle Sultani Makenga “a spasso in Uganda mentre dovrebbe finire agli arresti per crimini di guerra” ma anche di “tutti quegli elementi armati rifugiati nei territori confinanti”. Nessuna reazione ufficiale è finora arrivata dall’Uganda. (R.P.)

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    Francia: i vescovi contro qualsiasi revisione della legge sull'eutanasia

    ◊   Ferma presa di posizione dei vescovi francesi contro qualsiasi revisione della legge sul fine vita che non abbia a cuore “il rispetto dovuto ad ogni persona in fin di vita”. È il Consiglio permanente dei vescovi di Francia guidato dall’arcivescovo di Marsiglia, mons. Georges Pontier a scendere in campo firmando una dichiarazione in cui la Chiesa cattolica di Francia ribadisce un secco “no all’accanimento terapeutico” e un no a qualsiasi atto volto ad “aiutare un malato a mettere lui stesso fine alla sua vita o deliberatamente causare la morte di un paziente su sua richiesta”. Il parere ovviamente - riporta l'agenzia Sir - si estende anche nei casi di “eutanasia senza consenso della persona divenuta incapace di esprimersi”. La Dichiarazione - dal titolo “Fine vita: per un impegno di solidarietà e di fraternità” - è stata pubblicata oggi, nel giorno in cui è atteso in Francia il pronunciamento di un tribunale amministrativo sulla giusta applicazione della Legge Leonetti nel caso di Vincent Lambert. La vicenda - molto simile a quella dell’italiana Eluana Englaro - vede protagonista un uomo di 38 anni da cinque anni in stato di minima coscienza a cui ieri il collegio dei medici ha deciso di sospendere nuovamente l’alimentazione e l’idratazione. I vescovi in realtà non fanno riferimento a questo caso specifico. Parlano invece nella Dichiarazione delle relazioni e degli avvisi pubblicati negli ultimi mesi in cui si chiedono miglioramenti alla legge Leonetti. “Migliorare la legislazione - scrivono i vescovi - non significa cambiarla radicalmente. L‘argomento è troppo serio per non procedere con prudenza”. La nota del Consiglio permanente usa termini molto duri definendo “inaccettabili” le pratiche eutanasiche e parlando di “decisioni inumane”. “Nessuno può deliberatamente causare la morte, anche su richiesta di una persona gravemente malata - aggiungono i presuli -, senza violare un divieto fondamentale, ‘Non uccidere’ che è uno dei più importanti requisiti morali di ogni società e, per i credenti, un comandamento di Dio. È il fondamento di tutta la vita sociale rispettosa degli altri, soprattutto dei più vulnerabili”. I presuli quindi pongono una domanda: chi dovrebbe diventare giudice delle vite che valgono di essere vissute?”. Ed aggiungono: “Ogni suicidio colpisce la solidarietà e la voglia di vivere del corpo sociale. È quindi urgente e necessario perseguire un vero e proprio impegno di solidarietà e di fraternità”. “Purtroppo le campagne mediatiche per promuovere una nuova legge contribuiscono a distogliere l‘attenzione dall’intraprendere riforme indispensabili” come l‘accesso alle cure palliative e il rafforzamento della solidarietà familiare e sociale”. (R.P.)

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    Iraq. A Baghdad, il patriarca Sako inaugura un ambulatorio per cristiani e musulmani

    ◊   "Sono progetti e iniziative nel settore umanitario, che aiutano a diffondere lo spirito di collaborazione fra tutti i cittadini. E far capire che i cristiani sono membri autentici di questo Paese, che vogliono fare del bene a tutti". Così il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako ha voluto descrivere all'agenzia AsiaNews lo spirito che ha portato alla realizzazione di un ambulatorio medico a Baghdad, sostenuto con forza dal patriarcato caldeo e aperto a cristiani, musulmani e altre fedi religiose, senza alcuna distinzione o discriminazione. Il 13 gennaio scorso i vertici della Chiesa irakena hanno inaugurato il complesso ospedaliero di San Giuseppe, che sorge nell'area di Baladiyat, nella zona est di Baghdad. Alla cerimonia del taglio del nastro, effettuato da mons. Sako, hanno partecipato il nunzio apostolico Giorgio Lingua, vescovi, sacerdoti, suore, religiosi musulmani, esponenti del governo centrale e semplici cittadini, curiosi di osservare da vicino la rinnovata struttura. L'ambulatorio sorge in un'area della capitale a maggioranza sciita; in occasione della cerimonia inaugurale i vertici della comunità musulmana hanno voluto ringraziare i cristiani, sottolineando il ruolo della Chiesa "nella costruzione del Paese e nel diffondere i principi di pace e convivenza fra tutti i cittadini". Al riguardo il patriarca caldeo sottolinea che "i musulmani hanno già colto lo spirito dell'apertura dei cristiani verso tutte le religioni" e "soprattutto i musulmani stessi". L'ambulatorio, conclude mons. Sako, è "aperto a tutti senza eccezione". Durante la cerimonia inaugurale il vescovo ausiliare di Baghdad mons. Shlemon Warduni ha illustrato le varie aree, ringraziando quanti "hanno contribuito in modo attivo" alla realizzazione, in particolare l'Ufficio finanziamenti per i cristiani, Yazidi+ e i Sabei. Rivolto all'assistenza agli anziani quando, nel 2010, ha aperto per la prima volta i battenti, ora è diventata una struttura ambulatoriale a tutti gli effetti, anche se sono previsti ulteriori miglioramenti per il futuro. Attraverso questa iniziativa la Chiesa cattolica irakena ha voluto dar vita a un luogo "aperto a tutte le religioni" e "al servizio della società". Fonti del patriarcato caldeo spiegano che finora è stato inaugurato solo l'ambulatorio, ma nel prossimo futuro sarà completato tutto il progetto. Al momento non vi sono ancora stanze per i pazienti, ma solo studi per i medici delle varie specializzazioni. In un primo momento era stato pensato come una casa di riposo per anziani, ma non ha riscosso grande successo; per questo si è deciso di trasformarlo in un vero e proprio ospedale. Numerosi e positivi i commenti della comunità musulmana locale, che mostra di apprezzare un progetto "vitale" per la popolazione. Il complesso, diretto da Ghaleb Mansour, dispone di una piccola ma accogliente chiesa per le funzioni religiose, all'interno della quale si è tenuto il discorso inaugurale. L'ospedale di San Giuseppe diventa così un segno di "speranza" e "umanità" in un Paese spesso martoriato da violenze che in questi primi giorni del 2014 hanno raggiunto un livello preoccupante. Solo ieri sono morte oltre 70 persone in una serie di attentanti in diverse zone dell'Iraq. La tensione ha ormai raggiunto i livelli del biennio di sangue 2005/6: nel 2013 le vittime ufficiali sono state 8.868; da inizio mese, il bilancio dei morti ha quasi toccato quota 300. (R.P.)

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    Venezuela. Card. Urosa: basta con la violenza e l'odio. Viviamo come veri figli di Dio

    ◊   “Mettiamo da parte l'odio, l’egoismo, l’indifferenza e il rancore. Viviamo come fratelli, come veri figli di Dio”. E’ l’appello lanciato dall’arcivescovo di Caracas, card. Jorge Urosa Savino, durante la Messa celebrata nella cattedrale della capitale in occasione della Giornata Mondiale della Pace. "Non possiamo assistere a tanta violenza, a così tanti omicidi e a feroci scontri” ha detto il porporato ai fedeli venezuelani. Il messaggio dell’arcivescovo di Caracas viene a seguito della morte della modella e attrice Monica Spear, uccisa con il marito, Thomas Henry Berry, nel corso di una rapina avvenuta il 6 gennaio scorso. “Siamo chiamati a recuperare il sentimento di fraternità. E’ questo il grande messaggio di Gesù Cristo che Papa Francesco ha chiesto di fare nostro per il 2014”. Alla Messa erano presenti il Presidente della Conferenza episcopale venezuelana e arcivescovo di Cumana, mons. Diego Padrón Sánchez, unitamente al responsabile degli Affari generali della nunziatura apostolica, mons. Rüdiger Feulner e ai vescovi ausiliari della capitale, mons. Tulio Ramirez e mons. Jesus Gonzalez de Zarate. Nell’occasione il card. Urosa ha anche espresso le sue felicitazioni per la prossima creazione a cardinale del Segretario di Stato della Santa Sede, mons. Pietro Parolin, già nunzio apostolico in Venezuela prima della sua nomina più recente. “È per me una grande gioia" ha detto il porporato aggiungendo che “mons. Parolin è stato un grande amico e un grande nunzio in Venezuela. Sono sicuro che farà un ottimo lavoro come Segretario di Stato e come cardinale”. (A cura di Davide Dionisi)

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    Panama: critiche della Chiesa alla campagna elettorale aggressiva e superficiale

    ◊   Forti critiche e un appello al rispetto del Patto Etico Elettorale da parte del governo, dei politici e dei candidati sono contenuti nel Rapporto di Osservazione Elettorale Integrale, presentato della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale di Panama insieme a numerose organizzazioni sociali, civili e religiose del Paese. Il documento pubblicato ieri è il primo di una serie di rapporti sull’andamento del processo elettorale che si concluderà con i comizi del 4 maggio prossimo. In otto punti si segnalano forti squilibri nella presenza dei candidati nei mezzi di comunicazione che favoriscono solo i candidati di governo; mancanza di trasparenza sul finanziamento privato della campagna che crea sospetti sulla possibile influenza di organizzazioni e risorse illegali; discorsi incentrati più sugli attacchi personali e il “gioco sporco” tra i candidati piuttosto che proposte di soluzioni ai problemi dei panamensi. Le donne, gli indigeni, gli afrodiscendenti e i disabili continuano ad essere gruppi oggetto di emarginazione ed esclusione non solo sociale ma anche politica dove sono praticamente assenti e non rispettate le loro quote stabilite di partecipazione. Il rafforzamento della democrazia e lo sviluppo libero e trasparente delle istituzioni e organizzazioni sociali sono gli obiettivi del gruppo Patto Etico Elettorale 2014 formato da una quindicina di enti, che in questa prima osservazione esortano i politici e candidati a fare una campagna equa, trasparente, inclusiva che metta al centro delle proposte le persone e il bene comune di tutta la nazione. (A cura di Alina Tufani)

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    India: nasce il Movimento delle donne cristiane per promuovere il ruolo della donna nella Chiesa

    ◊   A 50 anni dal Concilio il ruolo della donna nella Chiesa in India continua ad essere subalterno e condizionato dai modelli patriarcali dominanti nella società indiana. Questa la conclusione di un convegno che ha visto riunite per quattro giorni a Bangalore 113 religiose e 7 religiosi. “La svolta del Concilio Vaticano II e il suo impatto sulle donne” era appunto tema dell’incontro, organizzato sotto gli auspici della Conferenza episcopale indiana. Secondo la dichiarazione finale citata dall’agenzia Cns, nonostante diversi documenti conciliari e post-conciliari parlino della pari dignità tra uomo e donna, resta ancora molto da fare “per passare da un rapporto di subalternità a un rapporto di collaborazione nella Chiesa e nella società” indiana. La questione è da tempo all’attenzione dei vescovi, che alla promozione del ruolo della donna nella Chiesa hanno dedicato la loro assemblea plenaria del 2008. Eppure, hanno evidenziato i partecipanti, poco è stato fatto per attuare le raccomandazioni scaturite da quella sessione. La sensibilità nella Chiesa in India alla questione femminile resta ancora bassa. La riprova è una recente indagine dalla quale risulta solo il 16% degli operatori pastorali indiani hanno letto il documento conclusivo della plenaria del 2008 e il 44% non ne conosce nemmeno l’esistenza. Proprio per rilanciare questa problematica, le religiose hanno deciso di istituire un Forum di donne cristiane. Il nuovo movimento, spiega la dichiarazione finale, sarà la “voce delle donne cristiane, dei poveri e di tutti gli emarginati” in India. (L.Z.)

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    Senegal: 8 mila missionari di Dakar impegnati a portare ovunque “la gioia del Vangelo”

    ◊   Circa 8 mila bambini e ragazzi dell’arcidiocesi di Dakar si sono incontrati nel segno della gioia del Vangelo e della Missione, domenica scorsa, festa del Battesimo di Gesù, al santuario nazionale di Popenguine. Come sottolinea padre Bruno Favero, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom), nel suo messaggio all’agenzia Fides, il pellegrinaggio dei ragazzi missionari viene organizzato da sette anni dalla Commissione diocesana delle Pom dell’arcidiocesi di Dakar, di cui è responsabile padre Joseph Toure, vicario episcopale per la zona urbana di Dakar, sta ormai diventando il momento forte e gioioso di tutta la pastorale dell’infanzia. “Il tema fortemente missionario, ispirato all’esortazione apostolica di Papa Francesco ‘Evangelii gaudium’, è stato accolto con gioia dai ragazzi, che si sono impegnati ad essere, nel loro contesto di vita, dei missionari di Gesù, abilitati dal Battesimo a portare la gioia del Vangelo nelle loro comunità, nelle loro famiglie e nella scuola” sottolinea padre Favero. Don Alfred Waly Sarr, rettore del seminario maggiore Libermann di Sebikotane, che ha presieduto la celebrazione eucaristica, ha saputo catturare l’attenzione dei ragazzi instaurando con loro un dialogo aperto e li ha invitati a vivere nella gioia del Vangelo ed a portare questa gioia a tutti. Davanti a questa “Chiesa del domani” costituita dai bambini, è stata alzata la voce contro i maltrattamenti dell’infanzia ed il suo sfruttamento. Con un gesto simbolico, alcuni adulti hanno chiesto perdono ai bambini per tutte le malvagità di cui sono stati oggetto. “Agli 8 mila ragazzi di Dakar – conclude padre Favero - occorre aggiungere le altre migliaia di ragazzi che in questo periodo hanno vissuto la festa dell’Infanzia Missionaria nelle loro diocesi: una Chiesa in cammino con la gioia del Vangelo!”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 16


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