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Sommario del 14/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: i cristiani non siano legalisti, la fede non è peso sulle spalle della gente
  • Discorso al Corpo Diplomatico. Il teologo Coda: il Papa esorta a superare logiche individualistiche
  • Udienze di Papa Francesco
  • Tweet del Papa: diciamo sempre grazie a Dio, anzitutto per la sua pazienza e misericordia
  • Incontro tra mons. Parolin e Kerry. P. Lombardi: Medio Oriente e Africa in primo piano
  • Card. Tauran: in Siria cessino violenze subito e senza condizioni. Fiducia in "Ginevra 2"
  • Incontro in Vaticano sull’alcoldipendenza. Mons. Sorondo: un problema sottovalutato
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Egitto. Scontri e vittime nel giorno del referendum per la nuova Costituzione
  • Centrafrica. Suor Dalva: dopo anno di violenze la situazione è peggiorata
  • Barcone carico di sud sudanesi, in fuga dalle violenze, affonda nel Nilo Bianco: oltre 200 morti
  • Ordine di Malta. Fra' Festing ai diplomatici internazionali: siamo destinati a crescere
  • Ergastolo ostativo. Don Pozza: si arrivi a offrire ai rinchiusi a vita una data di fine pena
  • Italia. Primo Rapporto su povertà sanitaria: bisogni crescono ma donatori di farmaci sono pochi
  • Una cena per i poveri della zona Vaticano: "Grazie al Papa, ci vuole bene"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: scontri a Bozoum. Si allunga la scia di violenze
  • Ecumenismo: al Fanar Bartolomeo I incontra l'arcivescovo Welby
  • Usa: i vescovi chiedono una politica più umana verso gli immigrati
  • Tunisia. Mons. Antoniazzi: le sfide della piccola comunità ecclesiale
  • Mozambico: gli scontri esercito-Renamo causano centinaia di profughi
  • Bangladesh: islamisti uccidono giovane cattolico. Aveva denunciato le violenze anticristiane
  • Iran: nel periodo natalizio arrestati cristiani nelle "chiese domestiche"
  • Francia: atti vandalici contro le chiese. Il card. Vingt-Trois: pochi messaggi di sostegno
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: i cristiani non siano legalisti, la fede non è peso sulle spalle della gente

    ◊   Quattro modelli di credenti, per riflettere sulla vera testimonianza del cristiano. Nella Messa mattutina alla Casa Santa Marta, Papa Francesco si è ispirato alle figure presenti nelle Letture del giorno per sottolineare che la novità portata da Gesù è l’amore di Dio per ognuno di noi. Quindi, ha messo in guardia da atteggiamenti ipocriti o legalisti che allontano la gente dalla fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Papa Francesco si è soffermato, nella sua omelia, su quattro modelli di credenti, prendendo spunto dalle Letture del giorno: Gesù, gli scribi, il sacerdote Eli e i suoi due figli, anch’essi sacerdoti. Il Vangelo, ha osservato, ci dice qual era “l’atteggiamento di Gesù nella sua catechesi”, “insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi”. Questi ultimi, ha affermato, “insegnavano, predicavano ma legavano la gente con tante cose pesanti sulle spalle, e la povera gente non poteva andare avanti”:

    “E Gesù stesso dice che loro non muovevano queste cose nemmeno con un dito, no? E poi, dirà alla gente: ‘Fate quello che dicono ma non quello che fanno!’. Gente incoerente… Ma sempre questi scribi, questi farisei, è come se bastonassero la gente, no? ‘Dovete fare questo, questo e questo’, alla povera gente… E Gesù disse: ‘Ma, così voi chiudete – lo dice a loro! – la porta del Regno dei Cieli. Non lasciate entrare, e neppure voi entrate!’. E’ una maniera, un modo di predicare, di insegnare, di dare testimonianza della propria fede… E così, quanti ci sono che pensano che la fede sia cosa così…”.

    Nella Prima Lettura, tratta dal Libro di Samuele, ha quindi affermato, troviamo la figura di Eli, “un povero prete, debole, tiepido” che “lasciava fare tante cose brutte ai suoi figli”. Eli era seduto davanti a uno stipite del Tempio del Signore e guarda Anna, una signora, “che pregava a suo modo, chiedendo un figlio”. Questa donna, ha affermato il Papa, “pregava come prega la gente umile: semplicemente, ma dal suo cuore, con angoscia”. Anna “muoveva le labbra”, come fanno “tante donne buone” “nelle nostre chiese, nei nostri santuari”. Pregava così “e chiedeva un miracolo”. E l’anziano Eli la guardava e diceva: “Ma, questa è una ubriaca!” e “la disprezzò”. Lui, ha ammonito il Papa, “era il rappresentante della fede, il dirigente della fede, ma il suo cuore non sentiva bene e disprezzò questa signora”:

    “Quante volte il popolo di Dio si sente non benvoluto da quelli che devono dare testimonianza: dai cristiani, dai laici cristiani, dai preti, dai vescovi… ‘Ma, povera gente, non capisce niente... Deve fare un corso di teologia per capire bene’. Ma, perché ho certa simpatia per quest’uomo? Perché nel cuore ancora aveva l’unzione, perché quando la donna gli spiega la sua situazione, Eli le dice: ‘Vai in pace, e il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto’. Viene fuori l’unzione sacerdotale: pover’uomo, l’aveva nascosta dentro e la sua pigrizia… è un tiepido. E poi finisce male, poveretto”.

    I suoi figli, ha proseguito, non si vedono nel passo della Prima Lettura, ma erano quelli che gestivano il Tempio, “erano briganti”. “Erano sacerdoti, ma briganti”. “Andavano dietro al potere, dietro ai soldi – ha detto il Papa – sfruttavano la gente, approfittavano delle elemosine, dei doni” e “il Signore li punisce forte”. Questa, ha poi osservato, “è la figura del cristiano corrotto”, “del laico corrotto, del prete corrotto, del vescovo corrotto, che profitta della sua situazione, del suo privilegio della fede, di essere cristiano” e “il suo cuore finisce corrotto”, come succede a Giuda. Da un cuore corrotto, ha proseguito, esce “il tradimento”. Giuda “tradisce Gesù”. I figli di Eli sono dunque il terzo modello di credente. E poi c’è il quarto, Gesù. E di Lui la gente dice: “Questo insegna come uno che ha autorità: questo è un insegnamento nuovo!” Ma dov’è la novità, si chiede Papa Francesco? E’ “il potere della santità”, “la novità di Gesù è che con sé porta la Parola di Dio, il messaggio di Dio, cioè l’amore di Dio a ognuno di noi”. Gesù, ha ribadito, “avvicina Dio alla gente e per farlo si avvicina Lui: è vicino ai peccatori”. Gesù, ha ricordato il Papa, perdona l’adultera, “parla di teologia con la Samaritana, che non era un angiolino”. Gesù, ha spiegato ancora, “cerca il cuore delle persone, Gesù si avvicina al cuore ferito delle persone. A Gesù soltanto interessa la persona, e Dio”. Gesù, ha evidenziato, “vuole che la gente si avvicini, che lo cerchi e si sente commosso quando la vede come pecora senza pastore”. E tutto questo atteggiamento, ha rilevato, “è quello per cui la gente dice: ‘Ma, questo è un insegnamento nuovo!’”. No, ha osservato il Papa, “non è nuovo l’insegnamento: è il modo di farlo, nuovo. E’ la trasparenza evangelica”:

    “Chiediamo al Signore che queste due Letture ci aiutino nella nostra vita di cristiani: tutti. Ognuno nel suo posto. A non essere legalisti puri, ipocriti come gli scribi e i farisei. A non essere corrotti come i figli di Eli. A non essere tiepidi come Eli, ma a essere come Gesù, con quello zelo di cercare la gente, di guarire la gente, di amare la gente e con questo dirle: ‘Ma, se io faccio questo così piccolo, pensa come ti ama Dio, come è tuo Padre!’. Questo è l’insegnamento nuovo che Dio chiede da noi. Chiediamo questa grazia”.

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    Discorso al Corpo Diplomatico. Il teologo Coda: il Papa esorta a superare logiche individualistiche

    ◊   "Serve un impegno comune per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di edificare la pace. Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé stessi". E' questo uno dei passaggi centrali del discorso che Papa Francesco ha rivolto ieri al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Per un commento, ascoltiamo don Piero Coda, teologo, preside dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. - Nel Papa si sente vibrare la compassione, che diventa indignazione, per le ferite che vengono inferte a tanti fratelli e a tante sorelle, a partire dai più deboli, dai più emarginati. Ma questo sentimento profondo di compassione con chi è vittima della violenza, dell’odio, dell’emarginazione e di indignazione contro quei meccanismi sociali e quelle perversioni di sentimenti che escludono qualcuno, diventano in lui proposta concreta di un atteggiamento spiritualmente rinnovato, convertito all’azione di Dio nella storia e proprio per questo un atteggiamento che si modula su una relazione di apertura, di prossimità. Il Papa parla - è una bellissima espressione, che riprende dal suo discorso a Lampedusa - di "responsabilità fraterna". Responsabilità fraterna vuol dire che l’altro non è indifferente, non è escluso dal cerchio della mia vita, ma l’altro vi fa parte: io sono responsabile dell’altro. Questo è il sentimento di una cultura dell’apertura, della prossimità, dell’incontro di cui - in modo molto forte, in modo molto concreto - il Papa parla.

    D. - Papa Francesco ancora una volta - lo ha fatto spessissimo - è tornato sull’importanza che la società deve dare agli anziani e ai giovani. E poi quell’accenno fortissimo ai bambini, che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto; o ai bambini soldato, ai bambini violentati e uccisi nei conflitti armati…

    R. - Questo significa una cosa molto profonda: non possiamo tirarci indietro rispetto alla responsabilità che ci investe di fronte a tutti i casi in cui qualunque persona umana - dal concepimento fino all’espletamento della sua vita terrena - sia in qualche modo sfruttato. Mi sembra quasi di vedere una attuazione di quello che dice il Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes: occorre superare un’etica puramente individualistica; occorre prendersi carico, nella propria responsabilità, dell’altro, a partire dal più povero e a partire da quelle due dimensioni dell’esistenza, che sono rappresentati dai giovani e dagli anziani: chi entra in pieno nel gioco dell’esistenza della società e chi apporta alla società tutta la ricchezza della sua memoria, come lui dice, e della sua esperienza. Quindi è una sorta di rivoluzione copernicana nel modo di concepire il rapporto tra le generazioni nel forgiare una società in cui veramente la dignità della persona umana sia al centro.

    D. - Ha colpito, infine, il nuovo riferimento di Papa Francesco a Paolo VI: in questo caso lo ha citato nella frase “la pace non si riduce ad un’assenza di guerra”…

    R. - Certamente questo riferimento che viene dalla Populorum Progressio, che in qualche modo è stato un documento assolutamente profetico, di traduzione della spinta conciliare a far diventare l’etica evangelica un’etica di trasformazione del mondo nel segno della giustizia. E’ solo dalla costruzione di un ordine della giustizia e dell’amore che si costruisce una pace efficace e duratura. Questo implica la visione del Vangelo e dell’azione dei cristiani come lievito e fermento di trasformazione della vita sociale secondo la logica del Vangelo.

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    Udienze di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Severino Poletto, arcivescovo emerito di Torino; Sua Grazia Anthony Palmer, Bishop and International Ecumenical Officer for the Communion Evangelical Episcopal Churches; il card. Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, S.D.B., arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras); il card. Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

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    Tweet del Papa: diciamo sempre grazie a Dio, anzitutto per la sua pazienza e misericordia

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Diciamo sempre grazie a Dio, anzitutto per la sua pazienza e misericordia”.

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    Incontro tra mons. Parolin e Kerry. P. Lombardi: Medio Oriente e Africa in primo piano

    ◊   Si è svolto oggi, in Vaticano, un colloquio tra il segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, e John Kerry, segretario di Stato Usa. Il capo della diplomazia statunitense è impegnato, in questi giorni, in un tour diplomatico internazionale per favorire un accordo di pace tra israeliani e palestinesi e il buon esito della Conferenza “Ginevra 2” per la pace in Siria, in programma il 22 gennaio prossimo. Sull'incontro tra mons. Parolin e Kerry, ascoltiamo la dichiarazione del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:

    Questa mattina il segretario di Stato americano Kerry è venuto in visita in Vaticano e ha incontrato il segretario di Stato, Sua Eccellenza mons. Parolin. L’incontro è stato molto importante; è stato anche molto ampio, perché è durato un’ora e quaranta. Hanno partecipato, insieme al segretario di Stato americano, l’ambasciatore americano presso la Santa Sede, e tre membri dello staff del segretario di Stato; per parte vaticana, Sua Eccellenza mons. Parolin, che è segretario di Stato, e il segretario per i rapporti con gli Stati, Sua Eccellenza mons. Mamberti e altri due officiali della Curia competenti per gli argomenti trattati.

    L’incontro è stato molto fruttuoso e molto ricco anche di contenuti. Gli argomenti principali che sono stati affrontati sono state naturalmente le questioni del Medio Oriente e in particolare la situazione siriana, in vista anche della Conferenza di pace di Ginevra che è prevista per questo scorcio del mese di gennaio. Naturalmente sono state fatte presenti le preoccupazioni e gli auspici della Santa Sede, manifestati anche nel discorso del Papa di ieri al Corpo Diplomatico: il desiderio di una soluzione pacifica del conflitto e anche l’impegno per gli aiuti umanitari per le popolazioni così provate. Poi si è affrontato anche il tema dei negoziati tra Israele e Palestina, incoraggiandone evidentemente la prosecuzione e - si spera - il buon esito.

    Anche l’Africa è stata oggetto delle conversazioni. Conosciamo la situazione del Sudan, che è diventata così drammatica negli ultimi tempi: e ci si auspica che la mediazione che è in corso per un’intesa fra le parti possa giungere a buoni risultati.

    Si è toccato anche il tema degli Stati Uniti e da parte vaticana si è manifestata la preoccupazione della Santa Sede, in sintonia con i vescovi americani, per i temi che riguardano i regolamenti della riforma sanitaria in rapporto alla garanzia della libertà religiosa, dell’obiezione di coscienza. Si è parlato anche del piano del Presidente per contrastare la povertà e migliorare la situazione delle fasce più povere della popolazione.

    L’atmosfera è stata - come dicevo - positiva; un incontro costruttivo, importante, la cui stessa durata manifesta il significato che ha avuto.

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    Card. Tauran: in Siria cessino violenze subito e senza condizioni. Fiducia in "Ginevra 2"

    ◊   La “cessazione immediata delle violenze” in Siria è un “imperativo umanitario”, e rappresenta il “primo passo verso la riconciliazione”. È una delle affermazioni centrali contenute nel comunicato finale del Workshop sulla crisi siriana, organizzato e ospitato ieri a porte chiuse dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Ne parla al microfono di Hélène Destombes, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che ha aperto i lavori del Workshop:

    R. – Il s’agissait d’abord d’une rencontre qui avait pour but…
    Intanto, si trattava di un incontro il cui scopo era quello di consegnare al Santo Padre il punto di vista di esperti, di diplomatici e di esaminare come il Papa e i suoi collaboratori potessero contribuire ad accelerare l’avvento della pace in Siria. Abbiamo incominciato sottolineando l’importanza di “Ginevra 2”: il mondo si aspetta qualcosa di molto positivo da questa seconda riunione, chiede passi significativi verso la pace. Quello che è stato interessante è che molti esperti hanno detto che in definitiva, all’origine del conflitto in Siria ci sono soprattutto le divisioni nella Regione. Quindi, si sono evidenziati cinque punti concreti: il cessate-il-fuoco e la sospensione di ogni violenza …

    D. – Un cessate-il-fuoco immediato e senza condizioni…

    R. - …Immédiat e sans conditions, oui; l’aide humanitaire et couloirs pour…
    …Immediato e senza condizioni, certo. Poi, l’aiuto umanitario ed i corridoi affinché l’aiuto umanitario arrivi poi effettivamente alle persone che ne hanno bisogno. Poi, la ricostruzione materiale per incominciare, e la ricostruzione morale e spirituale del Paese. Quindi, la riconciliazione con il dialogo interculturale e interreligioso. Inoltre, tutti abbiamo molto insistito sulla necessità che a Ginevra siano presenti tutti gli attori della Regione ed oltre …

    D. – Tutti gli attori della Regione: quindi, compreso anche l’Iran?

    R. – Oui, parce que bien sur à la suite d’un accord qui vient de passer sur la…
    Sì, perché in seguito all’avvenuto accordo sul nucleare – che è stato un passo molto positivo – si spera che questo possa essere “contagioso”. E’ indispensabile quindi che ci sia anche l’Iran, a Ginevra 2.

    D. – Come la Santa Sede pensa di “pesare” su Ginevra 2?

    R. – Ah bien, ça dépend. Nous allons remettre aujourd’hui au Pape le résultat de …
    Ah bè, dipende. Noi, oggi consegneremo al Papa il risultato dei nostri lavori di ieri, e sarà lui a decidere quale gesto si possa compiere. Penso che ci sarà un’iniziativa della Santa Sede, ma quale possa essere, è impossibile dirlo oggi. Ma è certo che Ginevra 2 è un momento molto importante: o ci saranno risultati, o sarà la catastrofe!

    D. – La Santa Sede ha anche chiesto ancora una volta, con forza, che si fermi la consegna di armi alla Siria …

    R. – Oui, les armes et l’argent qui sert à acheter les armes, parce que c’est une…
    Sì, delle armi e del denaro che serve per comprare le armi, perché è una sorgente continua: questo denaro dovrebbe essere utilizzato, piuttosto, per soccorrere le vittime…

    D. – John Kerry, il segretario di Stato americano, è stato ricevuto da mons. Parolin, segretario di Stato, e da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati: è un segno che la Santa Sede ha un suo peso nelle decisioni importanti che riguardano questo nostro mondo? Che la voce della Santa Sede è ascoltata davvero dai leader del mondo?

    R. – Ah, elle est entendue, oui : il n'y a pas de doute. Mais quelle soit suivie d’effets…
    Ah, che sia ascoltata, sì, non ci sono dubbi. Ma che poi ci siano anche i fatti, bè, questo non accade sempre. La Santa Sede è una potenza morale, questo non bisogna dimenticarlo. C’è tutta una Storia, una Storia diplomatica che ha il suo peso, evidentemente. E in generale la si ascolta. La grande popolarità di Papa Francesco fa sì che i leader politici siano sempre curiosi e un po’ impressionati da questa popolarità. E’ impressionante. Ieri ho citato le parole di Papa Pio XI alla vigilia della seconda guerra mondiale: era giovedì, 24 agosto 1939, il pericolo era imminente, ma ancora c’era uno spazio … “Niente è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Se lo avessero ascoltato, si sarebbero potuti evitare milioni di morti…

    D. – Si può affermare che davvero la diplomazia è al lavoro e che sta accelerando gli sforzi, per evitare che la situazione diventi sempre più tragica, nel Paese…

    R. – Ça c’est la responsabilité des leaders politiques et aussi des Nations Unies:…
    Questa responsabilità è dei leader politici e anche delle Nazioni Unite. Abbiamo insistito molto sull’importanza delle Nazioni Unite, ed io ne sono stato molto contento perché io sono uno strenuo difensore delle Nazioni Unite. Il capitolo 6 e il capitolo 7 dello Statuto delle Nazioni Unite indicano molto bene cosa si debba fare quando la pace sia minacciata, come lo è in questo caso. Penso che sia molto importante che i responsabili delle società non dimentichino che tutti hanno firmato lo Statuto delle Nazioni Unite e che questo Statuto avesse come scopo principale quello di evitare la guerra alle generazioni future. Ora, dopo 70 anni, ci si accorge che prima si combatte, e poi si dialoga: bisognerebbe fare il contrario. Dunque, credo che sia importante richiamare la rilevanza delle Nazioni Unite.
    D. – La Santa Sede ha detto di essere determinata a sostenere tutte le confessioni religiose e tutte le comunità che vivono in Siria, affinché esse possano trovare una nuova intesa. Come pensa di muoversi la Chiesa?

    R. – Les Chrétiens ont une responsabilité particulière dans la formation de la jeunesse …
    I cristiani hanno una responsabilità particolare nella formazione della gioventù basandosi sul dialogo; si tratta anche di ricostituire le istituzioni democratiche … bisogna quindi ritrovare questa convivialità.

    D. – Cosa rimane a lei dell’incontro di lunedì 13 gennaio?

    R. – Ce que je retiendrai c’est le climat dans le quel on a parlé, parce que rarement …
    Mi rimarrà l’atmosfera nella quale abbiamo parlato, perché raramente ho visto tanta amicizia, di fiducia reciproca. E’ stato molto bello. Ho incontrato persone di grandi qualità, grandi specialisti con la precisa preoccupazione di servire l’umanità e la causa della pace, in modo disinteressato e profondo. Malgrado il conflitto, malgrado le divisioni rimane sempre importante continuare su questa strada del negoziato e del dialogo.

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    Incontro in Vaticano sull’alcoldipendenza. Mons. Sorondo: un problema sottovalutato

    ◊   La dipendenza da alcol, le implicazioni etiche e morali legate a questo fenomeno e le strategie di prevenzione e di cura. Sono stati questi i temi al centro della Conferenza sul consumo dannoso di alcol, tenutasi oggi in Vaticano presso la Casina Pio IV, e organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il consumo pericoloso di alcol e l’alcoldipendenza rappresentano “un importante problema di salute pubblica e sociale”. Un problema sottovalutato – ha detto mons. Marchelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze – che riguarda ambiti cruciali come la famiglia, il contesto lavorativo e quello sociale. Il prof. Emanuele Scafato, presidente della Società italiana di alcologia, ha poi ricordato l’urgenza di rimuovere lo stigma sociale che etichetta l’alcol come un vizio e non come una malattia:

    R. – E’ una delle più importanti patologie che oggi, nel settore delle dipendenze, è stata identificata come prioritaria in termini di discussioni e soprattutto per l’individuazione di possibili soluzioni. L’alcoldipendenza va definita, prima di tutto, come una malattia e non come un vizio ed è, allo stesso tempo, un problema perché espone la persona al particolare rischio di non essere interessata a una riabilitazione, a una vita normale. Il senso di vergogna e il senso di esclusione che molto spesso avvolgono l’alcoldipendente creano una barriera. A questo, poi, si aggiunge una cultura del trattamento dell’alcoldipendenza che non è ancora uno di quei settori in cui ci sia una evidenza speciale dell’efficacia del trattamento. Un esempio: su un milione di alcooldipendenti, stimati in Italia dalla Società italiana di alcologia, appena 60 mila sarebbero in carico ai servizi. Quindi, è chiaro che si tratta di una punta di un iceberg, che necessità di essere capovolta.

    D. – Attraverso quali strumenti preventivi si può capovolgere questo trend?

    R. – Questo lo si può fare solo attraverso una massima attenzione a quella che è l’identificazione precoce del rischio alcol correlato, che è l’unica che può consentire all’individuo di incrementare la consapevolezza che il suo modello del bere è un bere che, sicuramente, va inquadrato in un contesto di patologia e di abitudine.

    D. – E tra le sfide determinanti ci sono quelle di contrastare il valore attribuito all’uso dell’alcol e di ridurre le pressioni mediatiche e sociali che incentivano a bere…

    R. – Perché tra il concetto di "consumo" di alcool e "uso" di alcool – quindi uso con la finalità di ottenere delle reazioni o meglio degli effetti sul proprio organismo, che può essere la disinibizione, l’euforia, fino poi ad arrivare addirittura alla depressione, perché l’alcool ha questo tipo di parabola – parliamo ovviamente di qualcosa che è stato costruito nel tempo. Oggi, noi abbiamo la molecola alcool pervasiva: troviamo bevande alcoliche un po’ dappertutto e il mercato offre veramente una varietà di bevande alcoliche, rispetto alle quali soprattutto le popolazioni più giovani sono attratte, anche da imponenti strategie di marketing. Quindi, pressioni sociali a bere sicuramente maggiori che in passato e soprattutto coinvolgenti una generazione che sicuramente è più vulnerabile: i giovani sino ai 18-20 anni non hanno maturato la capacità di distruggere l’alcol e quindi ne subiscono maggiormente gli effetti, soprattutto a livello celebrale, con una diminuzione delle capacità cognitive e di memoria. Ma poi sappiamo che l’alcol alla guida è la prima causa di morte tra i giovani in Italia, in Europa e nel mondo.

    In vista della Conferenza odierna, tenutasi in Vaticano, il ministro italiano della Salute, Beatrice Lorenzin, ha sottolineato che “un impegno particolare viene dedicato alle attività di prevenzione, per le quali sempre più spesso si adotta un modello di approccio intersettoriale e interdisciplinare collaborando anche con Istituzioni diverse da quelle sanitarie, secondo gli orientamenti dei più recenti piani e programmi nazionali”. Il ministro ha infine esprssso vivo apprezzamento per le iniziative e l’impegno che la Pontificia Accademia delle Scienze ha sempre dedicato a temi volti “alla promozione del benessere dell'individuo e al progresso della scienza”. Secondo le stime dell'Istituto Superiore di Sanità, nel 2011 le persone che hanno consumato bevande alcoliche in modalità “a rischio” sono state “oltre 8 milioni, di cui 6.200.000 maschi e 1.900.000 femmine”. Nonostante questi dati, l’Italia occupa il posto più basso “nella graduatoria europea relativa al consumo procapite di alcol”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per la pace in Siria: la conferenza "Ginevra 2" deve garantire la partecipazione inclusiva di tutte le parti coinvolte.

    Quattro modelli: Messa del Pontefice a Santa Marta.

    Una famiglia di nome Bergoglio: anticipazione di quanto pubblicherà, in una pagina speciale, la "Gazzetta d'Asti" il 17 gennaio.

    Quel linguaggio sperimentale chiamato mistica: Sylvie Barnay sul secondo volume, postumo, de "La fable mystique" dello storico e filosofo gesuita Michel de Certau.

    L'emozione e la regola: Sandro Barbagallo spiega come lo schivo Braque influenzò le avanguardie del ventesimo secolo.

    Liberati dalla seduzione del denaro: Timothy Radcliffe sui religiosi e il voto di povertà.

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    Oggi in Primo Piano



    Egitto. Scontri e vittime nel giorno del referendum per la nuova Costituzione

    ◊   53 milioni di Egiziani sono chiamati alle urne oggi e domani per esprimersi sulla nuova Costituzione. Manifestazioni di protesta che incitano al boicottaggio sono state indette dai sostenitori del deposto presidente Morsi. Scontri si registrano in varie parti del Paese. Massime le misure di sicurezza per difendere il referendum monitorato da 17 mila osservatori. Massimiliano Menichetti:

    Una bomba, che non ha provocato vittime, ha aperto in Egitto la prima giornata referendaria. E’ esplosa in mattinata davanti a un tribunale al Cairo. Tutt’altro scenario a Beni Suef, 115 chilometri a sud della capitale, dove un giovane è rimasto ucciso in scontri tra forze di sicurezza e manifestanti filo-islamisti. Morto anche un ragazzo a Giza dove sono stati arrestati alcuni giornalisti di al-Jazeera impegnazti nelle riprese. Tafferugli si registrano in queste ore, in varie parti del Paese. E' il quadro in cui si svolge il referendum per la nuova Costituzione egiziana. Il documento bocciato dalla Fratellanza musulmana prevede tra l'altro: maggiori poteri per i militari, la sharia come fonte primaria di diritto e il divieto di costituire partiti politici basalti sulla religione, punto quest’ultimo che colpisce in particolare proprio la Fratellanza e i salafiti, che invitano al boicottaggio e alla manifestazione. Di voto come di un "dovere nazionale" parla, invece, il premier del governo ad interim, Hazem el-Beblawi. Smentita la notizia secondo cui elicotteri militari avrebbero lanciato al Cairo volantini che invitavano la popolazione a votare "sì" al referendum. Confermata invece la decisione della Commissione elettorale di aggiungere seggi per l'alta affluenza. Gli egiziani sono chiamati a valutare le modifiche apportate alla Carta fondamentale approvata nel 2012 sotto la presidenza di Morsi e sospesa dopo la sua deposizione, il 3 luglio scorso. Il 3 dicembre 2013, il testo è stato sottoposto per l'approvazione finale al presidente ad interim Adly Mansour dalla commissione di 50 membri presieduta dall'ex segretario generale della Lega Araba Amr Moussa che l'ha elaborata. Ridimensionato, nella Carta, anche il ruolo dell’università di al-Azhar che torna a non essere più tenuta a esprimere un parere sulla conformità delle leggi alla sharia. Per la componente cristiana della società egiziana la Costituzione “garantisce” in sostanza “la libertà di culto”. Massime le misure di sicurezza approntate per il referendum che coinvolge oltre 30mila seggi: più di 160 mila militari e 4.500 mezzi dell'esercito sono stati dispiegati per evitare episodi di violenza. I soldati saranno assistiti anche da 220 mila agenti di polizia più una forza di intervento rapido, composta da 200 squadre antisommossa.

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    Centrafrica. Suor Dalva: dopo anno di violenze la situazione è peggiorata

    ◊   Si acuisce la crisi in Centrafrica dopo le dimissioni, venerdì scorso, del presidente Djotodia, accusato dalla comunità internazionale di passività di fronte alle violenze che imperversano nel Paese. Con lui è uscito di scena anche il primo ministro Tiangaye, lasciando la guida del governo al presidente del Consiglio nazionale di transizione, Nguendet, che dovrà organizzare nuove elezioni. Un milione, secondo l'Onu, i civili sfollati ed oltre due milioni le persone bisognose di aiuto. Roberta Gisotti ne ha parlato con suor Dalva Maria Areia, missionaria brasiliana, superiora provinciale delle Suore comboniane del Centrafrica e Ciad, residente a Bangui, capitale centrafricana:

    D. – Quasi un anno fa, nel marzo 2013, l’ex presidente Djotodia, a capo della coalizione musulmana dei Seleka deponeva l’ex capo di Stato Bozizè. Suor Dalva, cosa è cambiato da allora?

    R. – La situazione è peggiorata rispetto a quella che stavamo vivendo in quel momento. E’ cominciata una fase di violenza molto grande. Questi uomini, venuti con l’ex presidente Djotodia, hanno cominciato a saccheggiare, a violentare le donne, a rubare nei magazzini, nei mercati e anche negli uffici del Paese. Questo ha provocato grande insicurezza e molta paura nella gente.

    D. – E’ difficile, quindi, credere al presidente ad interim, che ieri ha rassicurato: “L’anarchia nel Paese è finita”, rivolgendosi sia ai guerriglieri musulmani che alle milizie cristiane...

    R. – Credo che sia troppo presto per confermarlo. Anche se l’ex presidente Djotodia è partito, i suoi uomini, cioè la Seleka – si parla di 25 mila persone arrivate dal Ciad, dal Sudan, con qualche centrafricano – sono ancora nel Paese e sono armati.

    D. – Sappiamo dell’impegno della Chiesa, perché il conflitto non si radicalizzi in un conflitto interreligioso...

    R. – Giustamente, grazie a Dio, abbiamo una Chiesa con vescovi che hanno preso in mano veramente questa situazione. In questo momento, la diocesi di Bossangoa e la diocesi di Bangui, sono quelle che stanno soffrendo di più. E allora i nostri vescovi hanno denunciato alle persone che potevano aiutarci questa violenza enorme, cui stiamo assistendo in questo momento. Mi dispiace che la comunità internazionale e le persone che potevano aiutarci due o tre mesi fa non abbiano dato valore a queste voci. In questo mese, doveva esserci una riunione dei vescovi in Centrafrica, ma non c’è stata. Loro però hanno preparato un messaggio bellissimo, per invitare tutti i cristiani alla riconciliazione, al perdono e alla pace. Non si può costruire un Paese con questa violenza.

    D. – Quindi, la presenza delle forze internazionali – sappiamo che ci sono forze dell’Onu, forze francesi – è stata, possiamo dire, inutile dal punto di vista del contrasto delle violenze?

    R. – No, non posso dire che siano state inutili. Credo che se queste forze non ci fossero state sarebbe stato ancora peggio. Può darsi che loro dovessero prendere in mano prima la situazione. In questi giorni, nei quartieri si vedono tanti militari e noi ringraziamo perché queste forze oggi sono qui.

    D. – Che cosa sperare per il prossimo futuro? Nuove elezioni al più presto?

    R. – Sappiamo che oggi in parlamento hanno iniziato le consultazioni con i rappresentanti dei partiti e della società civile, per organizzare, preparare una lista di possibili candidati. La gente quindi aspetta un segno visibile che dia sicurezza, per tornare a casa.

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    Barcone carico di sud sudanesi, in fuga dalle violenze, affonda nel Nilo Bianco: oltre 200 morti

    ◊   La guerra che da metà dicembre dilania il Sud Sudan ha provocato nuove vittime. Oltre 200 persone, in fuga dai combattimenti tra ribelli dell'ex vice presidente Riek Machar e truppe governative fedeli al presidente Salva Kiir, sono morte annegate: il barcone che le trasportava è infatti colato a picco domenica scorsa nelle acque del Nilo Bianco, per il carico troppo pesante. La notizia si è appresa oggi. Tra le vittime, molte donne e bambini che cercavano una via di salvezza dopo che nella loro città, Malakal, nella parte nord-orientale del Paese, gli scontri si erano fatti sempre più violenti. Dei motivi che spingono tanti sud sudanesi a lasciare le loro case, Giada Aquilino ha parlato con suor Paola Moggi, missionaria comboniana appena rientrata da Juba, dov’era direttrice della Rete delle Radio Cattoliche del Sud Sudan e dei Monti Nuba:

    R. – A spingerli è la paura. Siamo testimoni di atrocità che, in effetti, sono sempre state commesse in Sud Sudan. Il problema del Sud Sudan è che ci sono state tante milizie. L’esercito sud-sudanese non esiste: esistono tante milizie che il presidente Salva Kiir ed altri generali hanno cercato di ricucire, ma ogni milizia è fedele al proprio generale o comandante. I sud sudanesi sanno che non sono rispettati, sono trucidati, hanno paura e scappano: c’era l’assedio di Malakal ed aspettavano che i ribelli attaccassero; poi ci sono stati scontri in un piccolo centro a Sud di Malakal. Tutto ciò crea, ovviamente, grande tensione e grande paura. La gente scappa perché vuole salvarsi.

    D. – Di fatto, poi, quali sono le condizioni di vita in Sud Sudan?

    R. – Si vive alla sussistenza. Il Sud Sudan è un Paese che è stato 50 anni in guerra – che cominciò nel ’55 – e ha avuto una tregua della cosiddetta Prima guerra di indipendenza soltanto dal ’72 all’83. Hanno ripreso poi a combattere dall’83 al 2005. Non ci sono infrastrutture ma solo una strada asfaltata che va da Juba al confine con l’Uganda, tutto il resto consiste in strade di terra battuta che divengono pressoché impraticabili durante la stagione delle piogge. È un Paese che ha appena due anni di vita – si è costituito il 9 luglio del 2011 – con tante zone ancora minate, perché la guerra ha seminato ordigni ovunque. Il Sud Sudan ha bisogno di anni per ricostruirsi, ha bisogno di anni per costruirsi perché parte da rovine, intese non soltanto come rovine di edifici, ma rovine "dentro le persone".

    D. – La Fao ha lanciato un nuovo allarme perché gli scontri minacciano di far aumentare fame e sofferenze. Cosa serve, oltre alla pace, per il Sud Sudan?

    R. – All’atto pratico, serve un’immediata cessazione delle ostilità; è questo che deve iniziare. Per il resto, il Sud Sudan ha due raccolti all’anno: la zona dell’Equatoria occidentale e la zona dell’Equatoria centrale sono fertilissime. Ovviamente, c’è l’emergenza fame perché le zone fertilissime non possono dar cibo alle zone non fertili: non ci sono strade, ma soprattutto se ci sono scontri la gente non può nemmeno coltivare. Quindi, quello che serve – dopo la fine degli scontri armati – è un processo di riconciliazione. Penso che questa riconciliazione possa essere fatta soltanto dalle Chiese e dai capi religiosi, perché negli anni passati si sono dimostrati come gli unici che hanno a cuore la popolazione: hanno rispetto, hanno una reputazione ed hanno ricevuto una fiducia che i capi politici non hanno.

    D. – Lei è stata per anni missionaria a Juba, ma il suo lavoro di responsabile della Rete delle Radio Cattoliche l’ha portata in tutto il Sud Sudan. C’è un ricordo particolare, un ricordo positivo di questa esperienza?

    R. – Quello che è meraviglioso è proprio la voglia della popolazione di ricostruirsi. Io non ho mai visto bambini tanto contenti di andare a scuola - con la seggiolina sulla testa - perché la scuola non c’era, intendo come struttura: hanno una gran voglia di imparare. Noi abbiamo fatto tantissima formazione dei giovani per i vari programmi; abbiamo nove stazioni radiofoniche ed ogni stazione deve parlare nella lingua locale. La prima esperienza di formazione l’abbiamo fatta con un corso per 16 giovani, che venivano da zone diverse del Sud Sudan, quindi si guardavano con grande diffidenza, avevano paura l’uno dell’altro, perché magari provenivano da zone in conflitto tra loro; ecco perché parlo del problema di “ricostruire la fiducia”. Abbiamo fatto molto accompagnamento per questi giovani e, alla fine dei tre mesi di corso residenziale, sono andati via che erano tutti amici tra loro.

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    Ordine di Malta. Fra' Festing ai diplomatici internazionali: siamo destinati a crescere

    ◊   Le principali crisi umanitarie sono state il cuore del discorso del Gran Maestro del Sovrano Ordine di Malta, Fra’ Matthew Festing che oggi ha ricevuto nella Villa Magistrale, sede dell'Ordine a Roma, gli ambasciatori dei Paesi con cui l’Ordine intrattiene rapporti diplomatici bilaterali, in tutto 104 Stati.Dal tifone nelle Filippine, alla guerra in Siria, Fra’ Festing ha ricordato tutte le aree di intervento medico-umanitario dell’Ordine. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Cinque milioni di euro a sostegno, nei prossimi due anni, delle popolazioni delle Filippine colpite dal tifone Haiyan, assistenza a circa 40 mila rifugiati siriani, molti dei quali ospitati nel centro di Khaldieh nel nord del Libano e a Kilis in Turchia. Sono alcuni degli interventi straordinari che nel 2013 hanno impegnato il Sovrano Militare Ordine di Malta, da ben 900 anni dal suo riconoscimento ufficiale, anniversario festeggiato nel 2013, in prima linea al fianco dei poveri e dei sofferenti, in qualità di più antico Ordine religioso ospedaliero laicale della Chiesa cattolica. Lo ha ricordato il Gran Maestro, Fra’ Matthew Festing, nel suo discorso al Corpo diplomatico accreditato presso l’Ordine, citando tra le altre aree di intervento anche Lampedusa, Congo e Uganda, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Mali, Haiti. Il Gran Maestro ha sottolineato la grande necessità di diplomatici, in un momento in cui "con i limiti della globalizzazione, assistiamo a un ritorno degli Stati, che richiede anche un ritorno dei diplomatici, perché la diplomazia è lo strumento preferito dagli Stati". Fra’ Festing non ha mancato di ricordare nel suo discorso la rinuncia nel 2013 di Benedetto XVI “che in tante occasioni ha dimostrato la sua vicinanza” alla missione e all’azione dell’Ordine, e l’elezione di Papa Francesco “il cui messaggio per la cura dei più bisognosi come asse privilegiato di azione” trova risonanza nel motto dell’Ordine: ‘obsequium pauperum”. Ecco come Fra’ Matthew Festing ha riassunto ai nostri microfoni l’azione dello SMOM nel 2013:

    R. – One of the thing…
    Il problema, molto spesso, è che le emergenze avvengono contemporaneamente – la Siria che avviene dopo le Filippine, che avviene dopo altre emergenze in Africa - e questo mette ovviamente una grandissima pressione sulle nostre attività in tutto il mondo. Dobbiamo essere in grado di reagire in maniera pronta e quindi dobbiamo rimanere in allerta. Quello che facevamo 900 anni fa in realtà è quello che continuiamo a fare oggi, tutti i giorni. E’, dunque, un’organizzazione che mantiene viva la sua missione antica, che l’ha accompagnata dalla nascita, ma è anche, al tempo stesso, un’organizzazione che si sa adattare ai tempi che cambiano, alle nuove esigenze, e quindi è un’organizzazione che è destinata a crescere, a continuare.

    D. – Le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di Papa Francesco, due eventi epocali nel 2013, per il mondo intero, e quindi anche per il Sovrano Ordine di Malta...

    R. – What is interesting I think…
    E’ molto interessante, perché in realtà si tratta di due persone, due uomini, con gli stessi obiettivi, ma con personalità molto diverse. Sicuramente, non assisteremo a dei cambiamenti radicali, rispetto alle dottrine della Chiesa, però sicuramente ci sarà una differenza nell’approccio ai problemi della Chiesa. Io sono convinto che, per quanto riguarda l’approccio di Papa Francesco alle questioni sociali, ci sia una grandissima sintonia con la missione dell’Ordine di Malta e di questo siamo ovviamente molto felici. Mi sento inoltre di dire che Benedetto XVI era un membro dell’Ordine e io gli sono particolarmente affezionato.

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    Ergastolo ostativo. Don Pozza: si arrivi a offrire ai rinchiusi a vita una data di fine pena

    ◊   La situazione delle carceri in Italia ha bisogno di una riforma complessiva che garantisca l’esercizio della giustizia, ma anche il rispetto della dignità dei detenuti. Su sollecitazioni più volte rinnovate anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la Commissione giustizia ha avviato oggi l'esame di un disegno di legge sulla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e la riduzione controllata della popolazione carceraria. Tra le proposte presentate da tempo all’attenzione del parlamento, anche quella che prevede l’abolizione dell’ergastolo ostativo, una forma di ergastolo che non contempla alcun termine alla pena detentiva, e neppure alcuna forma di beneficio o di permesso premio. Nella Casa di reclusione di Padova scontano l’ergastolo ostativo una trentina di detenuti. Ma con quali sentimenti questi uomini affrontano una pena senza fine? Adriana Masotti lo ha chiesto al cappellano dell’istituto, don Marco Pozza:

    R. – Con quali sentimenti è una cosa assai difficile poterlo dire, perché penso che solo chi lo sperimenta sulla propria pelle possa raccontare che cosa significhi svegliarsi ogni mattina e tutte le mattine per una vita intera, sapendo che non si potrai mai più uscire dalla realtà del carcere. Quindi i sentimenti che albergano dentro queste persone sono da una parte di una solitudine estrema, ma dall’altra parte c’è anche una sete di riscatto e una voglia di lottare per cercare di intravedere se non altro un barlume di speranza, un barlume di luce in fondo a questo tunnel, a questo “binario morto”, come lo chiamano loro.

    D. – Il carcere, infatti, dovrebbe essere uno strumento di punizione, sì, ma anche di rieducazione: questo vale, in questo momento, anche per gli ergastolani? Che senso ha, per loro, parlare di percorso di cambiamento, di conversione?

    R. – Certamente noi abbiamo, come racconta Roberto Benigni, la Costituzione più bella del mondo, ma poi questa Costituzione non sempre viene applicata. Per quanto riguarda gli ergastolani, la sfida è doppiamente ardua, perché anche qualora riuscissimo – come nel carcere di Padova tantissimi uomini e donne di buona volontà stanno cercando di fare – a intraprendere un percorso di rieducazione nei confronti di queste persone, per lo meno servirebbe loro poter sperare in una chance, attraverso la quale poter dimostrare che questa rieducazione è avvenuta.

    D. – Che significato assume per un ergastolano la parola "speranza"?

    R. – E’ il paradosso più grande. E' il paradosso che a volte diventa anche un contrappasso, perché raccontare la speranza e tenere accesa la speranza sapendo che per te non c’è speranza, non c’è speranza di futuro, non c’è speranza di riallacciare gli affetti di casa, non c’è speranza di tornare ad essere il padre che eri prima, non c’è la speranza di poter mostrare al mondo che tu non sei e non sarai e non sei stato il tuo errore, diventa da una parte una ghigliottina che ogni mattina hai lì, sul collo. Dall’altra parte diventa anche, però, da un punto di vista cristiano, forse l’ultima e l’unica grammatica che questo popolo ha tra le mani. Quando si parla della speranza, con i miei uomini, mi viene sempre in mente quella bellissima sfaccettatura della speranza che Benedetto XVI racconta appunto nell’Enciclica Spe salvi, quando lui dice che sperare nel futuro non significa solo attendere un domani, che arrivi qualcosa di bello, ma che già attendendo, il tuo presente incomincia a cambiare.

    D. – Le è mai capitato di vedere un ergastolano morire in cella?

    R. – Purtroppo sì. Il dramma dei suicidi all’interno delle carceri è una delle piaghe più grandi.

    D. – A parte i suicidi, io proprio intendevo dire qualcuno che muore di vecchiaia, in carcere?

    R. – Bè, certamente. Anche poco tempo fa, due tre mesi fa, siamo riusciti se non altro, attraverso le forme lecite, a far passare a casa gli ultimi giorni di vita a una persona anziana che aveva sulle spalle decenni e decenni di carcere duro. Questa è l’unica speranza che loro hanno di uscire: arrivare alla fine della vita e passare le ultime ore tra le mura familiari, qualora ce l’abbiano ancora…

    D. – In che modo lei, come sacerdote, cerca di aiutare i condannati all’ergastolo nella quotidianità?

    R. – Certamente, io come sacerdote ho tra le mani un’arma che non pensavo assolutamente fosse di una potenza così imbarazzante, che è la Parola di Dio. In questo ultimo anno, noi sacerdoti che lavoriamo nelle carceri abbiamo un alleato ed è la persona di Papa Francesco: un uomo che dall’alto della sua autorevolezza non manca occasione di citare la figura del detenuto nei suoi discorsi. Quel giorno che il Papa a noi cappellani delle carceri ha affidato quella bellissima frase: “Dite ai vostri parrocchiani che nessuna cella è così isolata da impedire a Dio di andarli a trovare”, questo per noi è stata una ventata d’ossigeno. Mi piacerebbe raccontare che impennata c’è stata anche a livello di confessioni, dopo l’elezione di Papa Francesco… un Papa che a questa gente dice: “Dio non si stanca di perdonare: siete voi, siamo noi che ci vergogniamo di chiedergli scusa”.

    D. – Che cosa potrebbe aiutare gli ergastolani a sentirsi ancora vivi?

    R. – Una data di uscita. L’aiuto più grande sarebbe quello di poter vedere – magari anche a distanza di decenni – che lì in fondo c’è una data che si mette nel calendario.

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    Italia. Primo Rapporto su povertà sanitaria: bisogni crescono ma donatori di farmaci sono pochi

    ◊   Si intitola "Donare per curare" ed è il primo Rapporto sulla povertà sanitaria – e sulla donazione dei farmaci messa in atto per contrastarla – presentato oggi a Roma. L’iniziativa, che aiuta a comprendere meglio la crisi che il Paese sta attraversando e che invita la politica a scendere in campo con maggiore impegno per un Welfare più equo, è firmato dalla Fondazione Banco farmaceutico e dall’Osservatorio nazionale sulla donazione dei farmaci. Il servizio di Gabriella Ceraso

    Il segnale positivo è che esiste una filiera della donazione dei farmaci in crescita: +241%, dal 2007 al 2013, grazie soprattutto al boom delle donazioni aziendali, seguito dalla giornata di raccolta che tornerà il prossimo 8 febbraio e da iniziative private. Purtroppo, sono sempre di più anche gli italiani – specie donne e minori- – che si rivolgono al circuito della carità e la copertura ai bisogni cala: dal 55 al 43,2% in sette anni. Ciò è legato al vertiginoso aumento della povertà assoluta estesa a 4.8 milioni di italiani che, sui 16 euro circa al mese dedicati alla sanità, ne spendono più di 12 per i farmaci. Troppo e con troppa disparità rispetto alla media di 44 euro delle famiglie italiane. Annarosa Racca presidente di Federfarma:

    "L’aumento delle difficoltà delle famiglie si vede ogni giorno. La gente a volte rinuncia anche a comprare un farmaco se questo costa troppo; ci chiede magari dei due o tre farmaci che deve usare qual è veramente quello necessario. Ricorrono ancora di più al Sistema Sanitario Nazionale quando magari anni fa pagavano il farmaco di tasca propria. Noi continueremo a stare vicino alla gente adesso con nuove iniziative partite a Roma – ma che poi seguiranno a Milano ed in altre città – come anche il recupero dei farmaci non utilizzati, naturalmente validi ma non utilizzati che si possono riportare in farmacia. È un’iniziativa solo sperimentale, poco alla volta il recupero sarà però in più farmacie. Diamoci tutti da fare e cerchiamo veramente di dare di più".

    Ma la povertà non diminuirà nei prossimi anni, spiega il presidente delle Acli, Gianni Bottalico:

    "Non solo ci sono i nuovi poveri, ci sono le famiglie che stanno diventando povere ma soprattutto tra qualche anno ci saranno i nuovi pensionati – quelli che hanno maturato una pensione dal punto di vista contributivo – che saranno i pensionati con circa 1.200 euro. Questo vuol dire povertà nel nostro Paese".

    Il Rapporto evidenzia un’Italia dunque diseguale e divisa in cui sono le fasce deboli a pagare come conferma anche la Caritas italiana con il direttore, mons. Francesco Soddu:

    "Vi sono segnalazioni di indici di mortalità cinque volte maggiori in alcune fasce di popolazione povera rispetto a quella più ricca. Inoltre, lo stato di povertà si associa sempre a una maggiore incidenza di malattie anche per una maggiore esposizione ai fattori di rischio ambientali e legato agli stili di vita. Non dimentichiamo, a tale proposito, che nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium Papa Francesco ci ricorda – ai cristiani in modo particolare – che qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione benché parli di temi sociali, o critichi i governi".

    Come invertire dunque la tendenza? Alleanze, lavoro congiunto per cogliere le emergenze territoriali, interventi sulle falle del Sistema sanitario nazionale, ma una mano potrebbe darla anche il parlamento, ha sottolineato Paolo Gradnik, il presidente del Banco Farmaceutico:

    "I rappresentanti delle aziende, delle farmacie, dei produttori di farmaci generici hanno detto che loro potrebbero fare di più e vogliono fare di più con un piccolo sforzo legislativo che renda più facile la donazione di farmaci validi. Nella precedente legislatura, era già stato approvato da un ramo del parlamento. Adesso ha ripreso l’iter e ci sono diverse proposte. Altrimenti, a rimetterci è chi ha bisogno".

    Di certo, un Welfare come è ora non può reggere per il futuro dell’Italia. Ancora Gianni Bottalico:

    "La politica deve fare delle scelte, deve mettere in campo risorse economiche. Nel caso di priorità assoluta, noi abbiamo chiesto 900 milioni di euro proprio per dare la possibilità e rispondere ai primi bisogni oggi nel Pese. Questi 900 milioni però dovrebbero essere investiti e gestiti attraverso quel processo virtuoso che vede regioni che legiferano sul loro territorio, i Comuni che sono sul loro territorio e anche il Terzo settore che concorre, attraverso non solo i soliti servizi, a fornire opportunità. Se la risposta è che la politica arretra e lascia questa risposta soltanto al Terzo settore… Noi l’abbiamo fatto in questi anni, ma non ce la facciamo proprio più. Quando parliamo di povertà e disperazione, non è soltanto una questione economica ma c’è anche il rischio di una emergenza democratica rispetto a questo e qualche segnale lo abbiamo visto nel nostro Paese".

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    Una cena per i poveri della zona Vaticano: "Grazie al Papa, ci vuole bene"

    ◊   Erano un centinaio, ieri sera, gli indigenti assistiti dalla parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, che hanno preso parte a una festa di solidarietà offerta dai gestori di un bar di via di Porta Angelica. Rispondendo all’appello lanciato più volte da Papa Francesco a non dimenticare gli ultimi, i proprietari dell’esercizio commerciale hanno organizzato una cena per i poveri assistiti dalla Caritas della parrocchia vaticana. C’era per noi Tiziana Campisi:

    “Caro amico, sei invitato alla cena, offerta dal Bar Moretto che avrà luogo alle 19.30”: c’erano scritte queste parole nel biglietto che gli assistiti della Caritas della Parrocchia Sant’Anna in Vaticano hanno ricevuto qualche giorno fa. Antipasto all’italiana, lasagne, arrosto con patate e tiramisù il menù attorno al quale si sono ritrovati cattolici e ortodossi, ma anche musulmani e non credenti, in un gioioso clima d’amicizia. Ad accogliere i commensali mons. Francesco Gioia, presidente della "Peregrinatio ad Petri Sedem" - tra gli ideatori della festa di solidarietà - e padre Bruno Silvestrini, parroco di Sant’Anna. Una serata che ha trovato tutti unanimi: la solidarietà unisce e crea fraternità, ci hanno confidato in tanti:

    R. - Questa sera è bella! Un mio amico me lo ha detto…

    R. - Una cosa molto bella!

    R. - Io sono molto contenta, perché ci sono davvero tante belle cose per gente povera e anche molto povere. Con questa crisi il governo non pensa… E tutti vanno a chiesa a pregare: la Chiesa aiuta, capisce.

    R. - Una bella iniziativa. Me lo hanno detto degli amici di questa chiesa. Dormo per strada: non c’è lavoro, non c’è niente! Non ci sono proprio i soldi: che devo fare?

    D. - Riceve degli aiuti?

    R. - A dire la verità sì: almeno qualcosa da mangiare…

    D. - Questa sera è un po’ una risposta all’appello che il Papa ha lanciato dell’attenzione che bisogna avere all’altro, soprattutto alle persone più bisognose. Lei cosa ne pensa?

    R. - Io penso sia stata una cosa meravigliosa questa. Papa Francesco è talmente umano! Anche io, se potessi, aiutare tutta la popolazione. Purtroppo non posso, però è una cosa bellissima quelle che hanno fatto. Vedere queste persone è l’incontro con il Signore stesso! Quando io faccio qualcosa a qualcuno, vedo il volto del Signore in tutte queste persone. Un momento importante, questo, si.

    E tra i "bis" delle portate e i bicchieri di vino, per tutti anche un ricordo assai gradito: due piccole medagliette con le immagini di Maria e di Papa Francesco.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: scontri a Bozoum. Si allunga la scia di violenze

    ◊   Almeno 120 morti, centinaia di feriti e 14.000 sfollati: è il bilancio ancora provvisorio diffuso dalla Croce rossa centrafricana dopo le violenze intercomunitarie durate tre giorni nella città nord-orientale di Bozoum. Interi villaggi sono stati attaccati e devastati mentre 1300 case sono state incendiate. Protagonisti dei quello che viene considerato l’ultimo massacro di una lunga serie sono stati ex ribelli della coalizione Seleka (a maggioranza musulmana) e miliziani dei gruppo di autodifesa Anti-Balaka (a maggioranza cristiana). “Ancora una volta a pagare il prezzo più alto delle violenze sono stati i civili. Nei ranghi dei gruppi armati le vittime sono state cinque mentre le altre sono tutti civili innocenti. A questi morti si aggiungono distruzioni su vasta scala in un contesto già molto povero” denuncia all'agenzia Misna padre Cyriaque Gbate, segretario generale della Conferenza episcopale centrafricana (Ceca) contattato a Bangui. “Se i combattimenti sono cessati da alcune ore, a Bozoum la tensione rimane alle stelle. Il prefetto sta tenendo una riunione urgente con le autorità locali e i rappresentanti degli Anti-Balaka” dice ancora il prete centrafricano, sottolineando che “a scatenare la rabbia degli ex Seleka è stata la gioia manifestata dalla popolazione locale” dopo le dimissioni dell’ex presidente di transizione Michel Djotodia. La stessa fonte religiosa ha inoltre riferito che la scia di violenza ha raggiunto altre zone remote del vasto paese. Almeno 11 persone hanno perso la vita nella località meridionale di Mbata, non lontana dal confine con la Repubblica del Congo, dove i ribelli hanno anche appiccato il fuoco a decine di abitazione. Per vendicarsi la popolazione locale ha attaccato la moschea. Dalle ultime testimonianze che giungono dalla diocesi meridionale di Mbaiki risulta che centinaia di civili si sarebbero nascosti nelle foreste, temendo rappresaglie da parte degli ex-Seleka. Un altro fronte si è aperto nella zona di Beloko, al confine col Camerun, dove al termine di pesanti scontri gli Anti-Balaka sarebbero riusciti ad avere la meglio sulla coalizione ribelle e a prendere il controllo della frontiera. Finora alcun bilancio è stato diffuso in merito a quest’ulteriore epicentro di violenze e tensioni. Intanto oggi a Bangui si apre la prima sessione del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), chiamato ad eleggere entro 15 giorni il nuovo Presidente di transizione dopo le dimissioni venerdì scorso a N’Djamena di Djotodia e dell’ex primo ministro Nicolas Tiangaye, dietro pressione dei Paesi dell’Africa centrale. Nelle prossime ore saranno registrate le candidature degli aspiranti capi di Stato e in un secondo tempo i 135 deputati avvieranno consultazioni con forze politiche, gruppi armati, società civile e capi religiosi prima di procedere col voto. (R.P.)

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    Ecumenismo: al Fanar Bartolomeo I incontra l'arcivescovo Welby

    ◊   Il patriarca ecumenico Bartolomeo I ha ricevuto ieri al Fanar Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e leader spirituale della Comunione anglicana. L’incontro - il primo da quando Welby è stato intronizzato come arcivescovo di Canterbury circa un anno fa - si è svolto “in un clima di amicizia e calore”. Entrambi i leader hanno ribadito la loro intenzione di proseguire le relazioni, l‘importanza del dialogo teologico in corso e l‘impegno della Comunione Anglicana e della Chiesa ortodossa per “una maggiore cooperazione per una testimonianza comune in un mondo sempre più laico e pluralistico, in particolare in Europa”. I due leader - riporta l'agenzia Sir - hanno anche “espresso preoccupazione per l‘ingiustizia in molte parti del mondo e hanno pregato in particolare per i poveri, gli oppressi, e i rapiti in guerra, per la pace e la giustizia in tutto il mondo, in particolare in Medio Oriente, ma anche in altre parti del mondo”. Hanno inoltre “concordato di esplorare le modalità per reperire una maggiore consapevolezza sulle questioni ambientali nonché la difesa dei valori cristiani della dignità umana e dei diritti religiosi”. (R.P.)

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    Usa: i vescovi chiedono una politica più umana verso gli immigrati

    ◊   L'arcivescovo di Los Angeles, mons. José Gómez, si è espresso sulla necessità di continuare a premere per una revisione della politica sull'immigrazione negli Stati Uniti. Lo ha fatto chiedendo un approccio più umano verso gli immigrati: "Sono sempre, anzitutto, esseri umani". L'occasione è stata una conferenza sul tema dell'immigrazione tenuta nel centro conferenze del Rotary Club di Los Angeles, organizzata per concludere la Settimana nazionale della Migrazione, svoltasi dal 5 all’11 gennaio. L'obiettivo principale, secondo la nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, è stato quello di promuovere una maggiore consapevolezza della difficile situazione in cui vivono gli immigrati, in modo speciale i bambini. "Stiamo parlando di anime, anime umane, non di numeri, né di statistiche - ha detto l’arcivescovo nel suo intervento -. Stiamo parlando di padri di famiglia che, senza preavviso, non torneranno a casa per cena stasera. Sono genitori che non possono vedere le loro famiglie per un decennio". Mons. Gomez, nato in Messico, è diventato cittadino degli Stati Uniti nella seconda metà degli anni '40, e oggi è considerato una voce importante nell’impegno per la riforma dell'immigrazione. Molte volte si è espresso a favore del progetto di legge approvato l'anno scorso dal Senato che prevede la possibilità di avere la cittadinanza per circa 11 milioni di immigrati che vivono nel Paese senza documenti. La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti ha anche ribadito il suo sostegno a un progetto di legge completo. "Ci dimentichiamo delle persone che stanno morendo nel deserto, provando a raggiungere i nostri confini – ha detto ancora l’arcivescovo - o delle donne e dei bambini vittime dei contrabbandieri e dei trafficanti di esseri umani". Mons. Gomez ha denunciato anche le irruzioni degli agenti per effettuare i controlli sull’identità delle persone e altre azioni nella detenzione degli immigrati. "Accettiamo tacitamente una sottoclasse permanente di uomini e donne che vivono nelle periferie della nostra società - ha detto l’arcivescovo -. Hanno cura dei nostri figli, costruiscono le nostre case e puliscono i nostri uffici, raccolgono il cibo che mangiamo, ma non hanno nessun diritto, nessuna sicurezza". (R.P.)

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    Tunisia. Mons. Antoniazzi: le sfide della piccola comunità ecclesiale

    ◊   “Il nostro è un apostolato di vita: presentiamo Cristo cercando semplicemente di vivere seguendo i suoi insegnamenti” dice all’agenzia Fides mons. Ilario Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi. “Non possiamo infatti operare l’apostolato della parola, perché il cosiddetto "modus vivendi", una sorta di patto concordatario stipulato con lo Stato tunisino dopo l’indipendenza nazionale, non lo permette” spiega mons. Antoniazzi. “Tra l’altro nel 1964 delle oltre 100 chiese che fino ad allora la comunità cattolica tunisina possedeva, la maggior parte sono state espropriate dallo Stato. Attualmente abbiamo sole 5 chiese ed 8 scuole cattoliche” aggiunge l’arcivescovo. “Non possiamo nemmeno acquistare o cedere edifici o ricevere donazioni. Faccio un esempio: se una congregazione religiosa decide di chiudere un convento in Tunisia non può cederlo all’arcivescovado ma viene nazionalizzato. Ma questo non ci impedisce di vivere in armonia con il popolo tunisino” sottolinea mons. Antoniazzi. “La nostra comunità ecclesiale è composta essenzialmente di stranieri, la maggior parte dei quali sono studenti e lavoratori provenienti dall’Africa sub-sahariana. È una sfida pastorale impegnativa perché abbiamo calcolato che ogni anno perdiamo circa un quarto di fedeli, che rientrano nei loro Paesi di origine perché hanno completato gli studi o perché è terminato il loro contratto di lavoro. Questa perdita viene compensata da un quarto di nuovi arrivi. In pratica la nostra comunità si rinnova completamente nel giro di 4 anni” dice mons. Antoniazzi. “Quindi non è facile realizzare una programmazione pastorale su un arco di tempo così limitato: seminiamo ma non raccogliamo. Va bene così comunque. Ai fedeli che ritornano nei loro Paesi dico sempre di non dimenticare il bene che la Tunisia ha fatto loro anche sul piano spirituale”. Visto che la Tunisia celebra oggi il terzo anniversario della cosiddetta "rivoluzione dei Gelsomini" che ha portato alla deposizione del Presidente Ben Ali, chiediamo a mons. Antoniazzi un commento sulla situazione del Paese. “Il processo di transizione appare ancora lungo, vedremo quando verrà approvata la nuova Costituzione, dopo di che sono previste nuove elezioni. Ma occorre avere fiducia nei tunisini” conclude. (R.P.)

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    Mozambico: gli scontri esercito-Renamo causano centinaia di profughi

    ◊   Gli scontri tra le forze di sicurezza e i guerriglieri della Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana), hanno costretto alla fuga più di 4000 persone nella provincia di Sofala, nel centro-sud del Mozambico. In questa provincia, nella foresta di Gorongosa, a Satunjira, era collocato il quartiere generale della Renamo, conquistato dall’esercito il 21 ottobre. L’area circostante è stata evacuata dalla popolazione che si è riversata nella città di Gorongosa. Altri combattimenti sono stati segnalati nel sud del Mozambico, facendo temere un ulteriore inasprimento del confronto tra la Renamo e il governo guidato dal Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico). I due movimenti si sono combattuti in una guerra che ha devastato il Paese dal 1975 (anno dell’indipendenza) al 1992, quando a Roma le due parti hanno firmato gli accordi di pace, che hanno permesso alla Renamo di diventare un partito politico. Il 13 gennaio il governo ha annunciato che la Renamo non si è presentato ad una sessione negoziale prevista per quel giorno. Le due parti non sono riuscite ancora a trovare un’intesa su come proseguire la trattativa. La Renamo in particolare ha chiesto che tra i mediatori vi siano personalità straniere (tra le quali il vescovo ausiliare di Roma mons. Matteo Zuppi) e che alla trattativa partecipino osservatori provenienti da Usa, Cina, Portogallo, Capo Verde, Kenya e Botswana. Una richiesta finora respinta dal governo. Ad aggravare le condizioni di sicurezza c’è anche la piaga dei rapimenti di stranieri e di mozambicani benestanti. L’ultimo è un imprenditore di origine indiana rapito il 10 gennaio nel centro di Maputo. Gli importanti giacimenti di gas (e di carbone) del Mozambico stanno suscitando l’interesse di diversi Paesi, come il Giappone, il cui Premier, Shinzo Abe, è stato accolto a Maputo, il 12 gennaio. (R.P.)

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    Bangladesh: islamisti uccidono giovane cattolico. Aveva denunciato le violenze anticristiane

    ◊   Estremisti islamici hanno ucciso Ovidio Marandy, un giovane cattolico della comunità tribale dei Santal. L'omicidio è avvenuto sabato scorso a Gobindoganj nel distretto di Gaibandha (Bangladesh settentrionale). Originario della parrocchia di Beneedwar (diocese di Rajshahi), il giovane era il fratello minore di padre Samson Marandy, sacerdote cattolico della diocesi di Dinajpur. I suoi funerali - riferisce l'agenzia AsiaNews - si sono tenuti ieri nella chiesa parrocchiale di Beneedwar. Secondo il fratello e altri familiari, i radicali islamici hanno voluto punire il ragazzo, molto conosciuto nella comunità cattolica. Nei giorni scorsi Ovidio aveva organizzato una manifestazione nel suo villaggio per denunciare le violenze degli islamisti. Lo scorso 5 gennaio nelle diocesi di Mymensingh e Rajshahi, centinaia di estremisti islamici hanno assaltato le abitazioni dei cristiani colpevoli di aver votato alle elezioni politiche. Padre Proshanto Gomes, sacerdote locale, sottolinea che "Ovidio era molto coraggioso ed era famoso nella sua comunità Siamo scioccati da quanto accaduto". Padre Gomes sottolinea: "Votare è un diritto dei cristiani. Perché gli islamisti ci attaccano? Noi desideriamo la pace". (R.P.)

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    Iran: nel periodo natalizio arrestati cristiani nelle "chiese domestiche"

    ◊   Le autorità di sicurezza iraniane hanno arrestato quattro cristiani iraniani, riunitisi in casa per celebrare il capodanno con un momento di preghiera nella cittadina di Karaj. La polizia ha fatto irruzione, ha percosso e arrestato Sara Rahimi-Nejad, Mostafa Nadri, Majid Sheidaei e George Isaia, trasferendoli in un luogo sconosciuto. Come riferisce una nota inviata a Fides da “Mohabat News”, agenzia di informazione dei cristiani iraniani, gli agenti in borghese hanno sequestrato effetti personali, libri, appunti, computer, Cd e Dvd. Nei giorni scorsi i familiari dei quattro, recatisi al carcere di Evin per avere informazioni sui loro cari, sono stati allontanati. Durante il periodo natalizio, un altro gruppo di cristiani era stato arrestato: si tratta di Faegheh Nasrollahi, Mastaneh Rastegari, Amir Hossein-Nematollahi, Ahmad Bazyar e Hosseini, riunitisi in una chiesa domestica a Teheran. Secondo quanto riferiscono fonti dell'agenzia Fides, le pressioni sulla comunità cristiana iraniana si intensificano nel tempo di Natale e Capodanno: la polizia compie incursioni per scoraggiare i fedeli che si riuniscono nelle cosiddette “chiese domestiche”, considerate irregolari e pericolose e perseguite secondo le norme sulla sicurezza nazionale. Spesso la polizia cerca di estorcere confessioni in cui i detenuti cristiani ammettano di essere “pagati dall’estero per promuovere il cristianesimo in Iran”. Secondo un recente rapporto dell’Ong “Open Doors” l’Iran si colloca tra i primi dieci paesi al mondo dove i cristiani sono maggiormente perseguitati. (R.P.)

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    Francia: atti vandalici contro le chiese. Il card. Vingt-Trois: pochi messaggi di sostegno

    ◊   Non esiste solo l’antisemitismo del comico francese di origine africana Dieudonné M’Bala M’Bala. Non esistono solo le offese ad ebrei e musulmani. Anche le chiese cattoliche in Francia nell’ultimo anno sono state prese di mira e colpite da una serie di atti vandalici. Gli ultimi due si sono consumati nel giro di 15 giorni a Parigi. Il primo si è svolto nella chiesa della Madeleine il 20 dicembre scorso a pochi giorni dal Natale ed è stato opera di un’attivista delle Femen, il gruppo di femministe che si esibiscono a seno nudo in luoghi emblematici. L’altro atto vandalico si è consumato il 4 gennaio scorso: un uomo solo e “determinato” è entrato nella chiesa Sainte-Odile e nonostante la presenza di due fedeli che hanno cercato di fermarlo, ha distrutto 6 candelabri, il cero pasquale, ha colpito il tabernacolo, versato per terra l’acqua del battistero e gettato a terra una statua. Brucia ancora forte infine il ricordo degli atti vandalici che sono stati compiuti a giugno a Nantes dove la cattedrale era stata imbrattata con simboli satanisti e nazisti. Sebbene sia stata presentata immediatamente una denuncia alla prefettura della polizia, il cardinale arcivescovo di Parigi, André Vingt-Trois ha aspettato a reagire pubblicamente per non creare tensioni inutili e soprattutto per non attirare l’attenzione sul caso delle Femen. Poi nei giorni scorsi parlando alla radio della sua arcidiocesi, ha espresso un augurio che è stato poi riportato per iscritto: “il mio augurio per il 2014 è che la nostra società si pacifichi”. Ed ha aggiunto: “le provocazioni e la derisioni sono diventate come una seconda cultura. È un processo insano perché la cultura della derisione è la porta aperta a tutti gli eccessi”. Ciò però che ha sorpreso l’arcivescovo è stata la scarsità di reazioni a sostegno della comunità cattolica da parte dei politici. “Abbiamo ricevuto qualche messaggio”, ha detto il cardinale “ma sono colpito dal fatto che i grandi difensori della laicità non si siano manifestati. Era il momento di dimostrare che la laicità è la protettrice dei credenti e delle religioni. Ci sono voci che sono rimaste in silenzio. Avremmo apprezzato, se non delle dimostrazioni pubbliche, quanto meno dei gesti di chiara disapprovazione. Sono pertanto sorpreso che ce ne siano stati così pochi”. Sulla questione, interviene anche il portavoce della Conferenza episcopale francese monsignor Bernard Podvin: “La domanda - dice - di molti cattolici di essere trattati alla pari con altri cittadini feriti nelle loro fedi, è legittima. I poteri pubblici devono dare prova di fermezza e prendere le decisioni e le sanzioni necessarie”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 14

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