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Sommario del 08/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: il Battesimo va sempre ricordato, ci rende portatori di speranza
  • Il saluto di Papa Francesco a don Alessandro De Sanctis, il parroco più anziano d'Italia
  • Il 19 gennaio il Papa visiterà la chiesa romana del Sacro Cuore di Gesù realizzata da Don Bosco
  • Il Papa incontra mons. Galantino
  • Nomina episcopale in Brasile
  • Il card. De Paolis inaugura il Capitolo dei Legionari di Cristo: verso nuove Costituzioni e nuovi vertici
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nel 2013 aumentate le persecuzioni contro i cristiani
  • Siria: i rischi delle operazioni di smaltimento dell'arsenale chimico
  • Iraq, si combatte a Falluja ancora nelle mani di Al-Qaeda. In fuga migliaia di civili
  • Vent'anni fa il genocidio in Rwanda. A Kigali il ricordo delle vittime
  • Grecia. Cerimonia per l’inaugurazione della presidenza di turno del Consiglio Ue
  • Dietrofront del governo sul blocco degli scatti agli insegnanti
  • Depenalizzazione cannabis. Federazione comunità terapeutiche: costi sociali enormi
  • Strasburgo condanna l'Italia: un diritto il cognome materno. Il parere dell'avvocato Cerrelli
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. L'arcivescovo Hindo: "Ginevra 2" non trasformi il Paese in uno Stato islamista
  • Egitto: l'ex Presidente Morsi di nuovo in tribunale
  • Centrafrica. Il vescovo di Bossangoa: "Sono atti criminali e non scontro religioso"
  • Sud Sudan: sacerdoti cattolici e pastori protestanti in prima linea nel salvare vite umane
  • Haiti: a quattro anni dal sisma, aiuti Caritas per 20 milioni di euro in 146 progetti
  • Venezuela. Plenaria dei vescovi mentre il popolo “vive nella paura e nella crisi sociale”
  • Bangladesh: appello alla pacificazione dell'arcivescovo di Dacca
  • Costa d'Avorio. I vescovi: il 2014 sia l'anno della coesione sociale
  • Camerun: seminario annuale dei vescovi sulla Caritas nella nuova evangelizzazione
  • Disoccupazione giovanile in Italia oltre il 41%, peggior dato dal 1977
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: il Battesimo va sempre ricordato, ci rende portatori di speranza

    ◊   Il Battesimo non è una formalità, ma un atto che va sempre ricordato perché porta nella vita di un cristiano il dono di una speranza “che nessuno può spegnere”. Con questi pensieri, Papa Francesco ha inaugurato all’udienza generale di questa mattina, in Piazza San Pietro, un nuovo ciclo di catechesi dedicate ai Sacramenti. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Tra le date importanti della vita, il cristiano ne ha una che è certamente bella, anzi “felice”: quella del proprio Battesimo. E dunque è una data che va ricordata e, se serve, riportata a galla dai recessi della memoria. Con un sorriso rischiarato dal sole freddo che inonda Piazza San Pietro, Papa Francesco si cala ancora una volta nei panni del catechista per sollecitare chi lo ascolta a quel “compito” più volte affidato, nei mesi scorsi, alla folla delle udienze del mercoledì: ricordare la data in cui si è stati battezzati. Perché quello – ripete più volte – “è un giorno di festa”:

    “Il rischio di non saperlo è di perdere la memoria di quello che il Signore ha fatto in noi, la memoria del dono che abbiamo ricevuto. Allora finiamo per considerarlo solo come un evento che è avvenuto nel passato — e neppure per volontà nostra, ma dei nostri genitori — per cui non ha più nessuna incidenza sul presente. Dobbiamo risvegliare la memoria del nostro Battesimo”.

    Ma serve risvegliare questa memoria? È "davvero necessario il Battesimo per vivere da cristiani e seguire Gesù?”, si chiede il Papa, calandosi con realismo, e com’è suo costume, nei panni di chi non ha le certezze della fede:

    “Non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Non è lo stesso, un bambino battezzato o un bambino non battezzato: non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli”.

    Essere battezzati, dice Papa Francesco con le parole di San Paolo, è “essere rivestiti di Cristo”, si diventa “nuovi” pur con “i nostri limiti, con le nostre fragilità”. E inoltre, soggiunge, “siamo portatori di una speranza nuova”:

    “La speranza di andare sulla strada della salvezza, tutta la vita. E questa speranza niente e nessuno può spegnere, perché la speranza non delude. Ricordatevi, è vero questo: la speranza nel Signore non delude mai. Grazie al Battesimo, siamo capaci di perdonare e di amare anche chi ci offende e ci fa del male; riusciamo a riconoscere negli ultimi e nei poveri (…) il volto di Gesù”.

    Battesimo vuol dire anche far parte di una comunità antica di duemila anni, i cui membri sono legati da vincoli di amore e dove il dono di un Sacramento è sempre un atto che mostra condivisione e unità. Per questo, afferma Papa Francesco…

    “…nessuno può battezzarsi da sé! Nessuno. Possiamo chiederlo, desiderarlo, ma abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci conferisca questo Sacramento nel nome del Signore. Perché il Battesimo è un dono che viene elargito in un contesto di sollecitudine e di condivisione fraterna. Sempre nella storia, uno battezza l’altro, l’altro, l’altro… è una catena. Una catena di Grazia (…) un atto di filiazione alla Chiesa”.

    Al termine delle catechesi in sintesi e dei saluti ai vari gruppi linguistici, Papa Francesco ne ha rivolto fra gli altri uno particolare ai bambini degenti dell’Istituto nazionale per la Ricerca e la cura dei tumori di Milano, non senza aver dato il benvenuto ai calciatori della Sampdoria - presentatigli dal cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco - e agli artisti del “Golden Circus” di Liana Orfei, applaudendo e sorridendo alle acrobazie del piccolo spettacolo allestito per lui sul sagrato della Piazza.

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    Il saluto di Papa Francesco a don Alessandro De Sanctis, il parroco più anziano d'Italia

    ◊   Al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha salutato il parroco più anziano d’Italia: don Alessandro De Sanctis, 95 anni, da 72 alla guida della parrocchia di Filettino, nel Frusinate. “95 anni? E dove li hai nascosti?”: così il Papa ha salutato l’anziano sacerdote, congedandolo con una richiesta: “Santo uomo, preghi per me”. Don Alessandro ha consegnato al Pontefice una lettera scritta di suo pugno con una penna stilografica. Ascoltiamo la testimonianza di don Alessandro, raccolta in Piazza San Pietro da Antonella Pilia:

    R. - Stavo un po’ trepidando, perché pensavo che quando il Papa è sceso giù stesse per andar via… mi dispiaceva perché nella lettera che gli ho scritto, dicevo: “Spero che il Signore mi dia la grazia di poter baciare la mano al nono Papa della mia vita!”. Quindi ho avuto questa grazia dal Signore.

    D. - Cosa rappresenta per lei Papa Francesco?

    R. - Rappresenta una novità. Il fatto che entri in contatto con la gente in questa maniera così umile e semplice è una cosa che veramente trascina. Gli ho detto: “La aspettiamo a Filettino!”. E lui mi ha risposto: “Speriamo di poter venire!”. Chissà se questa speranza potrà realizzarsi! E chissà se io ci sarò ancora quando mai un evento del genere si potrà realizzare!

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    Il 19 gennaio il Papa visiterà la chiesa romana del Sacro Cuore di Gesù realizzata da Don Bosco

    ◊   Papa Francesco, domenica 19 gennaio, visiterà nel pomeriggio la parrocchia romana del Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio, nei pressi della Stazione Termini. La parrocchia è affidata ai Salesiani. Il Papa celebrerà la Messa. La chiesa, per incarico di Papa Leone XIII, è stata realizzata da San Giovanni Bosco grazie alle generose offerte dei fedeli cattolici e consacrata dall’allora cardinale vicario Lucido Parocchi il 14 maggio 1887. Benedetto XV, l’11febbraio 1921, ha elevato la chiesa alla dignità di Basilica minore. Una grande statua del Redentore in bronzo dorato troneggia sulla cima del campanile. Sarà la quarta parrocchia romana visitata da Papa Francesco: il 26 maggio scorso si era recato nella chiesa dei Santi Elisabetta e Zaccaria, il primo dicembre nella parrocchia di San Cirillo Alessandrino e il 6 gennaio nella chiesa Sant'Alfonso Maria de' Liguori per la visita privata al presepe vivente.

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    Il Papa incontra mons. Galantino

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio, segretario generale ad interim della Conferenza Episcopale Italiana.

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    Nomina episcopale in Brasile

    ◊   Il Santo Padre ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Belém do Pará (Brasile) padre Irineu Roman, C.S.I., finora vicario episcopale della Regione São João Batistae parroco della parrocchia Santa Edwiges a Belém do Pará, assegnandogli la sede titolare vescovile di Sertei. Padre Irineu Roman è nato a Vista Alegre do Prata, diocesi di Caxias do Sul, il 10 agosto 1958. Ha emesso la professione perpetua il 2 gennaio 1988 nella Congregazione di San Giuseppe (Giuseppini del Murialdo) e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 1° gennaio 1990. Dopo aver compiuto gli studi elementari presso i Seminari della Congregazione dei Giuseppini (1973-1978), ha frequentato il primo anno di Filosofia presso la Facoltà Imaculada Conceição di Viamão (1979) e il secondo anno presso l’Università di Caxias do Sul (1980). Ha iniziato il Corso di Teologia presso l’Instituto Teológico do Norte do Paraná, a Londrina (1984) e l’ha concluso presso la Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre (1985-1987). Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: direttore del Seminario Giuseppino di Fazenda Souza, a Caxias do Sul (1990-1991); direttore del Seminario Giuseppino di Ana Rech, a Caxias do Sul (1992-1994); vicario parrocchiale della parrocchia Santa Rita de Cássia a Planaltina, arcidiocesi di Brasília (1995-1998) e direttore del Seminario per le vocazioni adulte (1996); direttore ed economo della Comunità religiosa di Planaltina (1996-1998); parroco della parrocchia Santa Edwiges a Belém, arcidiocesi di Belém do Pará (dal 1999).

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    Il card. De Paolis inaugura il Capitolo dei Legionari di Cristo: verso nuove Costituzioni e nuovi vertici

    ◊   Al via oggi pomeriggio a Roma il Capitolo generale straordinario della Legione di Cristo. A presiedere la Messa inaugurale, il delegato pontificio, cardinale Velasio De Paolis. Alle 18.30 la celebrazione, nella Cappella del Centro di studi Superiori della Legione di Cristo. I lavori del Capitolo saranno invece ospitati nella sede della direzione generale della Congregazione. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “E’ arrivato il momento”, così il cardinale De Paolis il 4 ottobre scorso annunciando per l’8 gennaio il Capitolo Generale, previsto non prima di tre anni, “il tempo necessario”, aveva sottolineato, per percorrere quel cammino impegnativo di purificazione e rinnovamento spirituale e procedere quindi alla revisione delle Costituzioni e all’elezione di un nuovo governo della Legione di Cristo. Ricordiamo che il cardinale De Paolis, nel giugno 2010, era stato nominato da Benedetto XVI e confermato nel giugno scorso da Papa Francesco, delegato pontificio per la Legione di Cristo, a seguito delle gravissime vicende di condotta immorale che hanno coinvolto il fondatore della Congregazione, p. Marcial Maciel Degollado, allontanato nel maggio 2006 da ogni ministero pubblico, e che hanno arrecato profonde ferite e serie conseguenze nella vita e nella struttura della Legione. Padre Maciel è morto nel 2008.

    Il testo dell’omelia del cardinale De Paolis alla Messa inaugurale, che si svolgerà in forma privata senza la presenza dei media, sarà resa disponibile dopo la celebrazione. Domani mattina saranno quindi aperti i lavori del Capitolo, cui parteciperanno oltre i membri di presidenza - il delegato pontificio e due dei suoi consiglieri personali - una sessantina di padri capitolari ed alcuni consacrati e consacrate e laici del movimento di apostolato Regnum Christi, che condivide il carisma della Congregazione. Si prevede una prima fase del Capitolo della durata di circa 20 giorni, a porte chiuse, dedicata alla revisione del testo costituzionale e all’elezione del nuovi vertici della Legione di Cristo, che saranno resi pubblici. Quindi una seconda fase dei lavori per affrontare diversi temi della vita della Congregazione. Con ogni probabilità il Capitolo verrà chiuso entro la fine di febbraio.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Con una riflessione sul battesimo Papa Francesco inaugura un ciclo di udienze generali dedicate ai sacramenti.

    In cultura, Lucetta Scaraffia recensisce la biografia di Oriana Fallaci scritta da Cristina De Stefano.

    La morte di Eusebio: Pierluigi Natalia ricorda le gesta del grande calciatore.

    Marcello Filotei su “Le parole che sono importanti”.

    Un articolo di Jorge Milia, che sarà pubblicato in rete sul sito di Alver Metalli «Terre d’America», su un neologismo usato da Papa Francesco nella Evangelii gaudium.

    La solennità dell’Epifania: la storia dei magi raccontata da Benedetto XVI nel libro sull’infanzia di Gesù edito nel 2012.

    Fabrizio Bisconti sull’iconografia dei sapienti di Oriente.

    Il vescovo di Foligno, Gualtiero Sigismondi, sulla missione degli sposi cristiani.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo l’Iraq: offensiva dell’esercito contro Al Qaeda.

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    Oggi in Primo Piano



    Nel 2013 aumentate le persecuzioni contro i cristiani

    ◊   Le persecuzioni contro i cristiani sono aumentate nel 2013: è quanto emerge dall'Indice Mondiale delle Persecuzioni 2014, che classifica i 50 Paesi più colpiti dal problema, realizzato dall'associazione Portes ouvertes France, una Ong di sostegno ai cristiani perseguitati. Durante una conferenza stampa a Parigi, il direttore Michel Varton ha precisato che per persecuzione si intende non solo violenza fisica, ma anche pressioni, divieti o discriminazioni legati a motivi religiosi. Associazione apolitica, fondata nel 1976, Portes Ouvertes France realizza l'Indice dal 1997. Il servizio di Roberto Piermarini.

    Nel 2013, nota l'Ong, c'è stato un aumento generalizzato delle persecuzioni; in Africa, in particolare nella cintura del Sahel, c'è stato una sorta di "inverno cristiano proprio nei Paesi che hanno vissuto la 'primavera araba'". La Corea del Nord si conferma, per la dodicesima volta consecutiva, il Paese in cui per i cristiani vivere è più pericoloso e precario; al secondo posto la Somalia, dove tribù e clan musulmani perseguitano i cristiani. La situazione non migliora nei Paesi attraversati dal vento della 'primavera araba'. Siria ed Egitto, innanzitutto: la Siria, passata dall’11° al 3° posto, detiene il triste primato del numero di cristiani assassinati (più della Nigeria, secondo notizie di stampa); l'Egitto è il Paese dove i cristiani hanno subito più violenze. L'estremismo islamico si conferma il fattore più insidioso. L'aumento delle persecuzioni si nota particolarmente negli Stati in cui il potere centrale stenta ad assumere pienamente il suo ruolo: oltre alla Somalia e alla Siria, l'Iraq, l'Afghanistan, il Pakistan, lo Yemen e ora anche la Repubblica Centrafricana. Altri Paesi in cui i cristiani sono sotto pressione, le Maldive, l'Arabia Saudita, l'Iran, la Libia, l'Uzbekistan, il Qatar. Associazione apolitica, fondata nel 1976, Portes Ouvertes France realizza l'indice dal 1997.

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    Siria: i rischi delle operazioni di smaltimento dell'arsenale chimico

    ◊   A pochi giorni dalla conferenza di pace "Ginevra 2", in Siria continuano gli scontri armati. I ribelli di diversi gruppi anti-Assad hanno espugnato ad Aleppo il quartiere generale dei rivali miliziani qaedisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil). Intanto, la comunità internazionale guarda con apprensione allo smaltimento dell’arsenale chimico di Damasco. Una nave danese, carica di gas e liquidi, si sta recando in Italia, dove una unità americana prenderà in consegna il materiale per poi renderlo inerte. Sui rischi di questa operazione, Giancarlo La Vella ha intervistato il gen. Mario Arpino, capo di Stato Maggiore della Difesa italiana dal 1999 al 2001:

    R. – Gli esperti si sono subito meravigliati quando sono stati annunciati tempi molto brevi per smaltire un arsenale chimico così grande. La cosa non è affatto semplice, né sotto il profilo procedurale, né sotto il profilo ecologico e ambientale. Diciamo che l’analogia è un po’ quella che può essere fatta con lo smaltimento delle scorie nucleari: è molto facile produrre questi materiali, ma è molto più difficile liberarsene.

    D. – L’arsenale chimico siriano verrà distrutto in mare. Ma siamo sicuri che non ci sarà nessun effetto inquinante?

    R. – Credo che non sapremo mai esattamente cosa succederà di queste armi. Sicuramente, è importante che siano state portate fuori dalla Siria: in un Paese così poco esteso sicuramente non avrebbero potuto essere smaltite. Adesso, dovrebbero prenderle in carico navi americane – così è stato detto – per smaltirle in acque internazionali. Anche qui, la cosa è sicuramente fattibile, ma non è semplice. In genere le tecniche, ripeto, si rifanno a quelle delle scorie nucleari, per cui vengono isolate, cementificate, oppure ricoperte di vetro e isolate in questo modo. Certo, una volta liberato, questo gas da qualche parte va a posarsi, anche se i tempi di dissolvimento sono infinitamente più rapidi di quelli delle scorie nucleari.

    D. – Quindi, non possiamo dire in senso tecnico che i gas o i liquidi chimici su cui si opera verranno resi inerti? Cioè, saranno sempre attivi sia pur neutralizzati…

    R. – Sì, saranno sempre attivi, ma non in grado di nuocere. Invece, i materiali che sono già immagazzinati, cioè già stivati dentro le bombe esplosive, naturalmente non possono subire questo processo: gli ordigni devono essere fatti brillare e questo verrà fatto in un luogo aperto, in un luogo molto lontano, in grandi distese o in fondo al mare: può essere anche questo un metodo per farlo. E, naturalmente, la degradazione avviene nell’ambiente, poi: marino, aereo o terrestre che sia. E questo avviene in tempi rapidi, in 24/30 ore, non c’è più traccia. Più difficile, invece, è smaltire le riserve liquide o chimiche di questi armamenti: in questo caso, appunto, si parla di trattamento analogo alle scorie nucleari.

    D. – Qualche pericolo?

    R. – Non direi. Certo, in un momento in cui si parla tanto di ecologia, fa specie pensare che si possa dissolvere nell’ambiente materiale così pericoloso…

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    Iraq, si combatte a Falluja ancora nelle mani di Al-Qaeda. In fuga migliaia di civili

    ◊   Ancora sangue in Iraq. 7 donne e 5 uomini sono stati uccisi ieri a Baghdad, nel quartiere orientale di Zayuna, mentre a un posto di blocco a Samarra, a nord della capitale, uomini armati hanno ucciso 7 poliziotti. Sono gli ultimi episodi di sangue registrati dopo giorni di grandissima tensione per la conquista da parte di uomini di Al-Qaeda della città di Falluja, che dista circa 50 chilometri da Baghdad. L’esercito regolare sta ancora tentando di riprendere il pieno controllo della città, dove anche oggi si sono verificati scontri. Secondo la Mezzaluna Rossa migliaia di civili sono fuggiti dalla città. In ogni caso resta una situazione di grande instabilità. Fausta Speranza ne ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss:

    R. – All’atto del ritiro americano dall’Iraq si pensava che il governo di Baghdad sarebbe rimasto fedele al progetto di creare un sistema di divisione del potere abbastanza inclusivo e rispettoso delle aspettative dei sunniti. Questo, in effetti, era stato uno dei risultati ottenuti dagli americani. Qualcosa deve essere andato storto dopo il rimpatrio del contingente americano e questo ha sicuramente contribuito a permettere agli elementi jihadisti di tornare forti nel cosiddetto “triangolo sunnita”, in cui comunque Al-Qaeda aveva avuto problemi in virtù dell’estremismo delle sue politiche. Quindi, c’è una situazione molto complessa: il governo iracheno vuole ripristinare la sovranità su queste zone sfuggite al suo controllo e all’interno di queste zone operano anche milizie che intendono sgombrare l’area da Al-Qaeda senza, per altro, sottomettersi al governo di Baghdad. In questo momento c’è molta confusione.

    D. – Al di là dell’emergenza Falluja, quanto è preoccupante ancora la minaccia di Al-Qaeda in Iraq?

    R. – In realtà, sicuramente c’è un grosso problema che deriva anche da questa convergenza che si è verificata tra gli elementi qaedisti, operanti tanto in Iraq quanto in Siria. Ma tutto ciò riflette anche un problema di fondo, cioè che in questi Paesi non si è riusciti a creare un sistema di governo soddisfacente anche per tutti coloro che sono rimasti in qualche modo esclusi dalla gestione del potere ed i cui diritti spesso non hanno trovato adeguata soddisfazione nelle politiche dei rispettivi governi.

    D. – Quanto la situazione in Iraq va pensata nel contesto del dramma della Siria?

    R. – Ci sono dinamiche locali e dinamiche regionali. Ritengo che la nuova politica americana di riconciliazione con l’Iran abbia creato premesse differenti: non è un caso che in questo momento gli Stati Uniti stiano sostenendo gli sforzi del governo di Baghdad, tesi a recuperare il controllo sul “triangolo sunnita”; ma di qui ad immaginare un coinvolgimento più forte occidentale e statunitense in primo luogo sul terreno ce ne corre. Ritengo che si cercherà di rimanere il più possibile esterni a quanto accade in questi territori, sperando che un equilibrio di forza e di potenza soddisfacente riesca ad emergere sul terreno da sé.

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    Vent'anni fa il genocidio in Rwanda. A Kigali il ricordo delle vittime

    ◊   Al via in Rwanda il programma di commemorazioni per i 20 anni dal genocidio del 1994. Secondo l’Onu, almeno 800 mila persone, perlopiù della comunità tutsi, vennero barbaramente uccise. Con l’abbattimento dell’aero su cui viaggiava l’allora presidente, Juvénal Habyarimana, il massacro perpetrato da estremisti hutu si prolungò dal 7 aprile fino alla metà di luglio. A pesare, anche un lungo silenzio della comunità internazionale. Ieri, a Kigali, è stata accesa una torcia in memoria delle vittime del genocidio, che per tre mesi attraverserà tutto il Paese. Poi, comincerà un periodo di lutto nazionale. Sull’eccidio, Daniele Scaglione ha scritto il libro “Rwanda. Istruzioni per un genocidio” e sta preparando un ulteriore saggio al riguardo. Giada Aquilino lo ha intervistato:

    R. – Quando pensiamo al genocidio del ’94, forse facciamo fatica a immaginare cosa sia stato. Non è stato solo la morte di tantissime persone e di molte altre ferite: è stato un Paese raso al suolo. Vedere che oggi il Rwanda riesce, ad esempio sugli Obiettivi del millennio, a essere molto più in linea di altri Paesi in via di sviluppo è davvero impressionante. In vent’anni, ha fatto dei progressi strepitosi sul piano sociale ed economico. Ciò non toglie che ci siano ancora dei problemi di divisione, dei problemi di diffidenza all’interno della stessa popolazione e anche un problema politico, nel senso che ci s’interroga su quale sarà il futuro, quale sarà il dopo Kagame, l’attuale presidente.

    D. – Di fatto, perché si arrivò al genocidio?

    R. – C’è stata una divisione fra hutu e tutsi creata artificialmente, innanzi tutto dai colonizzatori - i tedeschi in primissima battuta e i belgi successivamente - come modo per governare il Paese. L’idea è stata quella di mettere i tutsi a governare. Poi, a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60, la situazione si ribalta. Gli hutu, che sono la maggioranza e che si sentono vittime di decenni di sfruttamento, si rifanno contro i tutsi e ne determinano l’espulsione all’estero di parecchie decine di migliaia. Tutta questa comunità tutsi all’estero si organizza per rientrare, prima provando con la via diplomatica, poi con la via della lotta armata, della guerra, cominciata nell’ottobre del 1990: questo è un punto di svolta verso il genocidio. Tutti gli anni, infatti, che vanno dal ’90 al ’94 sono stati anni di odio e di incitamento alla violenza contro i Tutsi e ciò ha avuto come focolaio proprio questa guerra che i Tutsi stessi dall’estero avevano voluto per tornare nel loro Paese.

    D. – Quello che colpisce ancora oggi è la violenza generalizzata che ci fu allora...

    R. – Sì, colpisce. Ma colpisce soprattutto il fatto che questa violenza non sia stata spontanea, perché c’è stata veramente un’organizzazione precisa, meticolosa, dalla propaganda dei giornali alla distribuzione di armi, all’addestramento. Una cosa su cui non dobbiamo farci ingannare è l’idea che questa violenza sia stata perpetrata con armi tradizionali, tipo machete. Certo, c’è stato anche il machete, ma non è il simbolo di quel genocidio. Il simbolo è rappresentato dagli enormi carichi di armi che hanno reso il Rwanda, grande come la Lombardia, il terzo Paese importatore, in termini assoluti, di armi in Africa. E qualcuno ha venduto queste armi, qualcuno ha prestato i soldi perché il Rwanda potesse diventare un arsenale spaventosamente pronto al massacro. E questo qualcuno siamo "noi" Paesi occidentali fondamentalmente, non altri.

    D. – Giovanni Paolo II invocò la fine del massacro. Nel maggio del ’94, disse al Regina Caeli: “Basta con il sangue”, affermando che purtroppo anche dei cattolici si erano resi responsabili del genocidio. Papa Wojtyla disse: Dio attende da tutti i rwandesi “un risveglio morale, il coraggio del perdono e della fratellanza”. Vent’anni dopo, che segnali ci sono?

    R. – Giovanni Paolo II fu il primo capo di Stato ad usare la parola “genocidio” in maniera pubblica. Rispetto al perdono, alla fratellanza e alla riconciliazione, bisogna andare ancora a ricostruire le responsabilità fino in fondo. Ci sono stati esponenti del clero, non solo cattolico, che sono stati complici del genocidio. Ce ne sono stati altri che invece si sono fatti ammazzare pur di difendere le persone a rischio di massacro. E non sono pochi: sono stati 103 i preti uccisi, proprio perché durante i massacri del ’94 hanno cercato di nascondere e difendere le potenziali vittime. Ma il perdono è stato anche l’elemento portante dei tribunali tradizionali, i cosiddetti gachacha, che in lingua originale vuole sostanzialmente dire “prato”: un posto dove i rwandesi a milioni sono andati a fare i processi a livello popolare. Alla vittima veniva chiesto di perdonare i responsabili delle violenze e ciò è stato molto difficile per i sopravvissuti. Parlando con molti rwandesi, ho capito però che questi processi, che alcuni chiamano “seduta psicanalitica di massa”, sono stati indispensabili per dirsi: “ricostruiamo tutto quello che è successo e poi proviamo ad andare avanti”.

    D. – Lei oggi sta curando un altro saggio sul Rwanda, un dialogo a due voci...

    R. – Per me, è stato molto interessante confrontarmi con una ragazza, che si chiama Françoise Kankindi, presidente dell’organizzazione “Bene Rwanda”, che era in Italia al momento del genocidio. La sua presenza, infatti, era veramente un monito importante, che ci portava a dire: il genocidio non è lontano. Con Françoise, stiamo cercando di ricostruire questa vicenda, con un libro che uscirà a fine marzo, per la ricorrenza del 6-7 aprile. E stiamo ragionando anche su cosa è cambiato, approfittando del fatto che Françoise è tornata in Rwanda parecchie volte da allora, per vedere come si è sviluppato il suo Paese e come è mutato.

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    Grecia. Cerimonia per l’inaugurazione della presidenza di turno del Consiglio Ue

    ◊   Oggi, ad Atene, prende avvio ufficialmente il semestre greco di presidenza dell’Unione Europea. Nel pomeriggio, il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, e altri esponenti dell'esecutivo di Bruxelles partecipano a una serie di incontri con il governo greco. Poi, questa sera, l'Athens Concert Hall ospiterà la cerimonia di inaugurazione. Il servizio di Fausta Speranza:

    Atene al timone del Consiglio dell’Unione Europa da oggi, con tutta l’ufficialità del caso. Ma la Grecia resta un’osservata speciale: il 15 gennaio, torneranno infatti ad Atene i rappresentanti della troika (Fmi, Ue e Bce), nell’ambito del processo di risanamento dei conti previsto dopo la scoperta di profonde incongruenze nelle dichiarazioni economiche fatte a Bruxelles. Dal punto di vista politico, va detto che la coalizione dei due partiti – centrodestra e socialista – procede con una risicata maggioranza governativa. In ogni caso, l’occupazione resta in Grecia la principale emergenza ma è anche tra le assolute priorità per tutta l’Unione Europea. Delle necessità e del contributo che Atene può dare, Giandonato Caggiano, docente di diritto dell'Unione Europea presso l'Università di Roma Tre, dice:

    R. – Certamente, la questione dell’occupazione e del lavoro, le questioni economiche, non necessariamente finanziarie, rappresentano le priorità. Dopo una fase nella quale hanno prevalso i meccanismi di stabilizzazione dell’euro – meccanismi-garanzia del sistema bancario – è chiaro che a questo punto le priorità sono quelle di consentire aggiustamenti, flessibilità rispetto al 3% fissato a Maastricht per il rapporto tra Pil e reddito lordo. C’è la necessità di consentire investimenti produttivi che possano generare nuova occupazione. E’ evidente che vi sia poi una prospettiva di crescita delle strutture istituzionali. E’ evidente pure che la crisi abbia spostato l’asse verso il Consiglio dei ministri, ridotto conseguentemente il potere di iniziativa della Commissione e ridotto ancora conseguentemente anche la capacità del parlamento europeo di essere presente su alcuni temi, anche se ovviamente non tutto è andato male.

    D. – In tutto questo, quale contributo potrà dare la Grecia?

    R. – Io penso che quello della Grecia possa essere un contributo anche simbolico, perché è il Paese che più ha subito i meccanismi istituzionali e non solo dell’Unione, ma anche a livello internazionale, del Fondo monetario. Quindi, la Grecia sa benissimo quale possa essere il cambiamento di rotta nel rapporto tra riforme economiche e riforme politiche. Credo che la Grecia rappresenti bene una conseguenza palpabile, fisica, della variante del "format" che ha assunto l’Unione Europea in questo periodo. E penso che la Grecia possa condurre – diciamo al di fuori dei meccanismi soltanto ed esclusivamente dell’Unione bancaria e della stabilizzazione dell’euro – l’azione dell’Unione Europea verso argomenti, settori e materie che siano più incentrate sullo sviluppo, sull’occupazione, sugli investimenti. Parlo di tematiche che possano essere sottratte alla tagliola del 3%, in cui Pil e debito impediscono di dare stimoli alla ripresa economica, come invece hanno fatto negli Stati Uniti, come ha fatto Obama. Ovviamente, negli Usa c’è una situazione che permette ancora di avere la sovranità sulla moneta e quindi diciamo la possibilità di stampare moneta, cosa che in Europa non è più possibile!

    D. - Presidenza greca e poi presidenza italiana…

    R. - Appunto, la presidenza greca precede poi quella italiana e ci sono tutti i segnali per quella italiana. La presidenza italiana del semestre sarà sicuramente caratterizzata da questi temi: lo hanno già detto sia il presidente del Consiglio Letta, sia un po’ tutte le forze politiche. Direi che proprio tutte le forze politiche chiedono una modifica della guida dell’Europa. Io credo che incredibilmente la improvvisa ondata inflattiva della Germania possa contribuire a una revisione più ponderata dell’equilibrio istituzionale. E’ abbastanza curioso che si succedano queste due presidenze. C’è da essere fiduciosi che ciascuno sappia imporre la propria agenda nel senso dello sviluppo economico.

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    Dietrofront del governo sul blocco degli scatti agli insegnanti

    ◊   Gli insegnanti non dovranno restituire i 150 euro percepiti nel 2013, in seguito blocco degli scatti. Lo ha deciso una riunione a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Enrico Letta, il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, e il ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza. Saccomanni parla di un problema di “comunicazione” tra Ministeri. Soddisfazione dei sindacati, che però chiedono al governo di agire subito. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Soddisfazione della maggioranza e del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, per il dietrofront del Ministero dell’economia sul blocco degli scatti. L’opposizione parla di nuova “figuraccia” del governo. Ma il ministro dell’Economia, Saccomanni, si giustifica: ''C'è stato un problema di comunicazione. Il Ministero dell'economia e delle Finanze (Mef) è solo esecutore. Aspettavamo istruzioni che non ci sono pervenute'' dalle strutture competenti. In una nota il Tesoro precisa di emettere i pagamenti in base alle indicazione dell'Istruzione, avvisato a dicembre dal Mef del blocco degli scatti. Il sindacato degli insegnanti Gilda chiede però di passare subito ai fatti. Il coordinatore Rino Di Meglio:

    “Attendiamo che all’espressione di intenzione politica da parte del governo, che apprezziamo, faccia seguito uno strumento politico con cui si corregga l’errore. Comunque, andiamo avanti e arriveremo fino allo sciopero, se il governo non mantiene l’impegno di farci arrivare in brevissimo tempo al recupero dello stato del 2012, perché siamo nel 2014!”

    L'Associazione italiana maestri cattolici sottolinea l’attenzione dimostrata dal premier Letta e dal ministro Carrozza. Ora, però, si apre un altro capitolo, quello degli Ata, in sostanza i vecchi bidelli, a cui sono stati chiesti indietro i soldi già dati con un accordo del 2011 per mansioni che vanno oltre i normali compiti. Francesco Scrima, segretario di Cisl scuola:

    “Noi impugneremo questo provvedimento perché è ingiusto, iniquo e offensivo. Riguarda il personale Ata, personale che ha delle retribuzioni tali che gridano vendetta al cielo!”.

    L’accordo prevedeva un incentivo economico da un minimo di 600 euro a un massimo di 1.800 annui. Ora, gli Ata dovranno restituirli.

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    Depenalizzazione cannabis. Federazione comunità terapeutiche: costi sociali enormi

    ◊   Si riapre in Italia il dibattito sulla depenalizzazione della cannabis, dopo la proposta antiproibizionista dell’assessore leghista lombardo, Gianni Fava, e la presentazione di un disegno di legge da parte del senatore del Pd, Luigi Manconi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La legalizzazione della cannabis torna nel dibattito politico. Il proibizionismo – afferma Nichi Vendola, presidente nazionale di Sel – “è manna dal cielo per i trafficanti”. Per il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (Forza Italia), si tratta invece di vecchie questioni che “l’evidenza scientifica e il buon senso avrebbero dovuto definitivamente chiudere”. Contrario alla depenalizzazione della marijuana anche il segretario del Pd, Matteo Renzi, che esorta però a rivedere la legge Fini-Giovanardi e a reintrodurre “la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti”.

    I favorevoli alla legalizzazione della cannabis sottolineano che la fine del proibizionismo sarebbe un duro colpo per la criminalità organizzata e porterebbe otto miliardi euro all’anno nelle casse dello Stato. Il dibattito sulla depenalizzazione si è riaperto, in varie zone del mondo, dopo i recenti provvedimenti presi da diversi Stati americani e dall’Uruguay, diventato il primo Paese ad aver legalizzato la produzione e la vendita della marijuana. I derivati della cannabis non provocherebbero, inoltre, effetti particolarmente nocivi per la salute e potrebbero anche essere usati per applicazioni terapeutiche.

    Per i contrari alla legalizzazione della cannabis, si tratta invece di una sostanza altamente nociva. Sul sito del Ministero della salute si ricorda, in particolare, che i derivati della cannabis “danneggiano l'apparato respiratorio e quello immunitario”. Causano inoltre l'aumento del battito cardiaco e mal di testa, “influiscono sulla memoria e sulla capacità di concentrazione”. L'assunzione in dosi elevate può inoltre comportare “l'insorgere di paranoie e manie di persecuzione”. La legalizzazione della cannabis – sottolinea Marco Cafiero, consigliere della Federazione italiana delle comunità terapeutiche – non è una soluzione:

    R. – È un modo per abbassare la guardia sul problema, in nome di altri problemi che sono legati al sovraffollamento carcerario, a una criminalizzazione del consumatore.

    D. – C’è dunque chi chiede di depenalizzare la marijuana e chi, come il segretario del Pd, Matteo Renzi, chiede di rivedere l’equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti introdotta con la legge Fini-Giovanardi…

    R. – Io cerco sempre di non banalizzare mai nel dire che, necessariamente, il consumo di sostanze leggere porta inevitabilmente al consumo di sostanze pesanti. Però, sicuramente, stiamo parlando di una sostanza che non produce alcun effetto positivo, ma altera le coscienze e, in qualche modo, riduce l’aspetto valoriale sotteso a uno stile di vita sano.

    D. – Il dibattito si è riaperto dopo le recenti decisioni dell’Uruguay e di alcuni Stati degli Usa, che hanno legalizzato la vendita della cannabis…

    R. – Io esprimo una certa cautela, non tanto nel censurare il comportamento di altri Stati, ma quanto nell’attuare una politica del genere su un nostro territorio che è totalmente diverso per cultura e per problematiche. Il costo sociale che comporterebbe un provvedimento del genere avrebbe sicuramente un effetto distruttivo ed economicamente pesante per la società.

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    Strasburgo condanna l'Italia: un diritto il cognome materno. Il parere dell'avvocato Cerrelli

    ◊   Anche i genitori italiani devono avere il diritto di dare ai figli il solo cognome della madre. Lo afferma la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo con una sentenza che condanna l’Italia per aver negato tale diritto ad una coppia di Milano e impone l’adozione di misure legislative o di altra natura per rimediare alla violazione. I giudici europei definiscono anche non sufficiente, per superare la discriminazione verso le donne, la possibilità introdotta già nel 2000 di aggiungere a quello paterno il cognome della madre. Per un commento alla sentenza, Adriana Masotti ha sentito l’avvocato Giancarlo Cerrelli, vicepresidente dell’Unione Giuristi cattolici italiani:

    R. – Io, questa novità la vedo da una parte in modo positivo perché non si fa altro che legittimare la parità dei coniugi anche a donare il proprio cognome, soprattutto in determinate situazioni. Però, io riscontro anche dei rischi, dei lati negativi. Primo: il fatto che ci venga dall’Europa l’obbligo di dover legiferare e cambiare la nostra tradizione: questo non mi piace tanto, perché sarebbe stato più opportuno che il nostro Stato ci fosse arrivato per gradi e senza alcun obbligo dall’Europa. Secondo: il cognome paterno, in una famiglia legittima, ha un interesse: ha l’interesse alla conservazione dell’unità familiare, così come tutelato dall’articolo 29. E quindi, io credo che questa nuova possibilità possa creare anche un qualche disagio dal punto di vista anagrafico. Infatti, di solito il cognome paterno è quello che crea l’identità della famiglia, ed è importante soprattutto in un momento in cui la famiglia sta diventando un cellula sempre più liquida. Questa novità potrebbe essere anche un passo in più per procedere verso questa dissoluzione della famiglia legittima. E da questo punto di vista credo che ci sia poi anche un altro pericolo: oggi sentiamo molto spesso donne dire: “Io voglio un figlio tutto per me. Non mi interessa sposarmi, non mi interessa avere un uomo, voglio avere un figlio”. Quindi, si apre la strada anche ad altri tipi di situazioni che lascio immaginare, per fini non sempre orientati al bene del figlio.

    D. – Tra i rischi che possiamo vedere, ci può essere anche quello di un indebolimento della figura paterna, che oggi è già abbastanza indebolita, in quanto ad autorevolezza, oppure anche riguardo a decisioni come l’aborto, ad esempio, in cui non è detto che abbia voce in capitolo …?

    R. – Sì. Noi oggi abbiamo invece bisogno di recuperare la figura paterna perché è una figura identitaria, è una figura importante di riferimento del figlio. Oggi si parla tanto di assenza del padre: e allora, sembra che si stia andando verso una irrilevanza dell’uomo nel contesto familiare. Io capisco bene che la mater semper certa est, e quindi sappiamo che questo è l’unico riferimento certo. Però, questo togliere non la potestà – perché rimane – ma il cognome paterno, in definitiva credo farebbe male soprattutto ad un figlio che perderebbe in qualche modo anche l’identità della propria origine, della propria genealogia.

    D. – In Italia, a livello giuridico esiste ancora il concetto di capo famiglia e in che termini?

    R. – Diciamo che il nostro ordinamento prevede che i genitori abbiano la potestà familiare: entrambi i genitori hanno una potestà familiare. Quindi, la famiglia prende il nome del marito, dell’uomo ma non c’è più il capo famiglia nel senso che l’uomo ha una potestà e invece la donna ne ha di meno: la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha dato potestà ad entrambi i coniugi di avere – appunto – pari poteri nei confronti dei figli.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. L'arcivescovo Hindo: "Ginevra 2" non trasformi il Paese in uno Stato islamista

    ◊   I cristiani di Siria “sperano che la Conferenza di Ginevra 2 apra per la Siria prospettive di democrazia, libertà e uguaglianza”. Ma proprio per questo sono contrari a ogni deriva islamista che pretenda di imporre anche in Siria la Sharia come sorgente della giurisdizione corrente, riducendo la comunità cristiana al rango di “minoranza protetta”. Lo spiega a chiare lettere all'agenzia Fides l'arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, titolare della eparchia di Hassakè-Nisibi. “I cristiani” spiega l'arcivescovo “saranno contenti se la cosidetta rivoluzione aprirà il cammino alla democrazia e alla libertà. Ma adesso anche i gruppi d'opposizione legati al Free Syrian Army – che pure vengono presentati come moderati rispetto alle formazioni jihadiste – si sono riuniti sotto la bandiera islamista, e dicono che nella nuova Siria dovrà essere applicata la Sharia, perchè così vuole la maggioranza. Questa è una prospettiva che i cristiani non possono accettare”. A giudizio di mons. Hindo, “gli Usa, l'Arabia saudita, la Turchia favoriscono o accettano che si ripeta in Siria quello che è successo in Egitto, e abbiamo visto come è andata a finire”. Anche molti islamisti siriani sono legati alle posizioni dei Fratelli Musulmani. Ma i cristiani, secondo l'arcivescovo siro cattolico, non possono accettare questa involuzione, che li ridurrebbe nel ghetto delle minoranze tollerate e rappresenterebbe anche uno stravolgimento del percorso storico della nazione. “In Siria” insiste mons. Hindo “i cristiani sono sempre stati parte integrante della Patria comune, cittadini a pieno titolo, e non 'minoranza'. Dopo il protettorato francese, i siriani avevano scelto un sistema laico e democratico, prima che iniziasse il regime imposto dal partito Baath”. A chi si ostina a dire che i cristiani sono schierati con il regime di Assad, l'arcivescovo Hindo risponde con determinazione: “All'inizio le manifestazioni contro il governo chiedevano libertà, democrazia, fine della corruzione. Poi sono venuti da fuori a rubarci la rivoluzione. Il popolo siriano non vuole la barbarie e la tirannia travestite con parole religiose. E tra due mali, è umano scegliere sempre il minore”. (R.P.)

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    Egitto: l'ex Presidente Morsi di nuovo in tribunale

    ◊   L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi è stato condotto in tribunale per una nuova udienza del processo che lo vede imputato per le uccisioni di manifestanti durante gli scontri con le forze dell’ordine davanti al palazzo presidenziale, quando era a capo dello Stato. Le accuse si riferiscono agli episodi di violenza del dicembre 2012 durante le proteste scoppiate in seguito a un decreto presidenziale che ampliava i poteri di Morsi, deposto con un colpo di stato militare il 3 luglio 2013. Da allora - riporta l'agenzia Misna - i suoi sostenitori hanno tenuto manifestazioni con cadenza quotidiana per chiedere il suo reintegro come presidente democraticamente eletto. Negli scontri derivati dalla massiccia repressione messa in atto dal governo sono morte oltre un migliaio di persone e altre migliaia sono state arrestate. Il mese scorso Morsi è stato rinviato a giudizio insieme ad altre 34 persone con l’accusa di cospirazione con organizzazioni straniere per commettere atti terroristici in Egitto e divulgazione di segreti militari. Nel processo di oggi sono imputati anche altri 14 leader della Fratellanza musulmana, nuovamente bandita dall’attuale governo e dichiarata fuorilegge. Nonostante le assicurazioni delle autorità cairote per un processo equo e trasparente, i legali della difesa non sono riusciti finora a parlare congli ’imputati. (R.P.)

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    Centrafrica. Il vescovo di Bossangoa: "Sono atti criminali e non scontro religioso"

    ◊   Le comunità cristiane e musulmane “sono ostaggio della logica criminale” dei gruppi che si stanno affrontando nella Repubblica Centrafricana, afferma mons. Nestor Désiré Nongo Aziagbia, vescovo di Bossangoa, in un messaggio rivolto ai fedeli in occasione del Natale. Ripercorrendo la recente storia del Paese, il vescovo ricorda che proprio un anno fa nel dicembre 2012 la ribellione Seleka avviava la sua offensiva che l’avrebbe portata nel marzo 2013 a cacciare l’ex Presidente Bozizé da Bangui. “I cambiamenti promessi da questi venditori di illusioni non hanno portato altro che sofferenze al popolo centrafricano” denuncia mons. Nongo Aziagbia. “Stupri, omicidi, rapimenti a fini estorsivi, furti, incendi di campi e abitazioni, atti di vandalismo contro le strutture amministrative, annientamento della memoria storica con la distruzione degli archivi comunali, saccheggi delle strutture ecclesiali, profanazione delle chiese. Il quadro è sinistro, la desolazione è ovunque”. Le file della Sekeka sono state integrate da banditi “che si sono attribuiti gradi militari che indossano con arroganza”. In reazione alle violenze subite, la popolazione si è costituita in milizie di autodifesa denominate anti balaka (“anti machete”, in riferimento all’arma usata da Seleka per mutilare e uccidere le proprie vittime), eredi di gruppi già presenti fin dagli anni ’90 per combattere il banditismo. Gli scontri tra Seleka e anti balaka sono ormai degenerati in una logica criminale della quale a farne le spese è la popolazione. “Occorre assolutamente uscire da questa sciagurata mescolanza che consiste nell’assimilare gli anti balaka ai movimenti cristiani e i seleka ai musulmani” afferma mons. Nongo Aziagbia. “In effetti non tutti gli anti balaka sono cristiani e non tutti i cristiani sono anti balaka. Lo stesso accade per i seleka e i musulmani”. La logica della rappresaglia ha costretto centinaia di migliaia di civili alla fuga. A Bossangoa, scrive il vescovo “la città è ormai ridotta in due punti: il vescovado dove sono stipate circa 50.0000 persone e la scuola Liberté dove sono rifugiati gli oltre 8.000 sfollati dalla comunità musulmana. A Bouca circa 3.500 persone sono accolte nella locale missione”. (R.P.)

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    Sud Sudan: sacerdoti cattolici e pastori protestanti in prima linea nel salvare vite umane

    ◊   Secondo le testimonianza raccolte da don Mark Opere Omolm, un sacerdote sud sudanese, e inviate all’agenzia Fides, diversi religiosi di entrambe le etnie Dinka e Nuer, si sono adoperati per proteggere e salvare diverse vite umane nel corso della guerra inter-tribale che sta insanguinando il Sud Sudan. “Quello che queste persone hanno fatto merita di essere raccontato al pubblico per sottolineare con forza il ruolo che le Chiese possono giocare nel plasmare il futuro del nostro Paese” dice don Mark. Ecco gli episodi riportati dal sacerdote: “Abraham Makuac, un pastore evangelico della tribù Dinka, ha salvato la vita di diversi Nuer durante gli scontri a Juba. Pur avendo perso un fratello, brutalmente ucciso durante gli scontri, egli ha aperto la sua casa e la chiesa per nascondere civili innocenti. Micheal Abang, un pastore presbiteriano della tribù di Shilluk, si è adoperato per salvare diverse vite durante gli scontri a Malakal. Ha aperto la Chiesa per ospitare gli sfollati e proteggere i Dinka e Nuer. All'indomani degli scontri, è stato visto partecipare al recupero e alla sepoltura dei corpi delle vittime. Padre Paulino Lual, dell’Ordine Francescano e di origine Dinka, ha creato una rete di volontari Dinka per proteggere la popolazione Nuer ad Aweil. Questo sacerdote è noto per il suo coraggio e fermezza nel condannare il tribalismo, la corruzione e ogni sorta di male sociale del Paese. Padre Lual ha pure rischiato di essere ucciso da alcuni soldati della sua tribù, irritati per la protezione che questo uomo di Dio dava alla popolazione di origine Nuer. Don Joseph Makuei, un prete cattolico Nuer, ha organizzato un gruppo di volontari del suo gruppo etnico per proteggere e salvare i Dinka a Bentiu. Il sacerdote insieme con i volontari, ha accompagnando personalmente i membri della comunità Dinka presso la locale sede dell’Onu per ottenere protezione”. (R.P.)

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    Haiti: a quattro anni dal sisma, aiuti Caritas per 20 milioni di euro in 146 progetti

    ◊   A 4 anni dal sisma che il 12 gennaio 2010 sconvolse Haiti con oltre 220mila vittime e 300mila feriti, Caritas italiana rende noto oggi un rapporto che illustra i 146 progetti di solidarietà realizzati in accordo con la rete internazionale e la Caritas haitiana, per un importo di quasi 20 milioni di euro, pari a circa l‘80% dei circa 25 milioni raccolti grazie alla colletta straordinaria promossa dalla Cei il 24 gennaio 2010. La maggior parte dei progetti sono attivi nelle zone colpite (dipartimenti Ovest, Sud-Est e Grand’Anse) e coinvolgono tutte le 10 diocesi. Molteplici gli ambiti di intervento: assistenza sfollati, sostegno istruzione, progetti in area idrico-sanitaria, socio-economica e di sviluppo agricolo. I destinatari diretti degli interventi realizzati da Caritas italiana sono stati: oltre 48.000 persone (tra cui quasi 600 bambini) nell’ambito degli aiuti immediati; circa 24.000 persone nell’ambito della ricostruzione; oltre 36.000 persone nell’ambito socio-economico; oltre 10.000 persone nell’ambito idrico-sanitario; oltre 4.000 persone (di cui 1.900 bambini e giovani) per animazione/educazione. La strategia attuale di Caritas italiana in Haiti, dopo la fase di prima emergenza, si delinea secondo cinque linee prioritarie: “sostegno agli organismi della Chiesa locale, in una visione di cooperazione solidale tra Chiese sorelle”; “sostegno allo sviluppo socio-economico, per promuovere una progressiva autonomia delle comunità coinvolte nei progetti”; “rafforzamento della struttura organizzativa dei partner locali, per migliorarne le capacità proprie di pianificazione e di gestione”; “sostegno all’educazione”; “attenzione continua alle urgenze”, ad esempio l’intervento per fronteggiare il propagarsi del colera. Caritas italiana, che ha inviato degli operatori in loco, proseguirà la sua azione ad Haiti seguendo queste linee d’azione, rafforzando l’accompagnamento con la Caritas nazionale haitiana e le Caritas diocesane locali. La rete internazionale Caritas ha finora aiutato oltre un milione e mezzo di persone in Haiti. (R.P.)

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    Venezuela. Plenaria dei vescovi mentre il popolo “vive nella paura e nella crisi sociale”

    ◊   E' in corso l'Assemblea plenaria della Conferenza episcopale venezuelana (Cev) per il suo incontro numero 101. I lavori si sono aperti ieri e si concluderanno domenica 12 gennaio. Secondo la nota pervenuta all’agenzia Fides, durante questo incontro i vescovi esamineranno la situazione nazionale ed ecclesiale del Paese. Un evento importante su cui si soffermeranno, è la preparazione alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. L'apertura dell'Assemblea è stata presieduta da mons. Diego Padron, arcivescovo di Cumana e presidente della Cev. Era presente anche mons. Rüdiger Feulner, Incaricato d'Affari della nunziatura apostolica in Venezuela, in rappresentanza del nuovo nunzio mons. Aldo Giordano, che inizierà la sua missione fra un mese. Nel suo discorso di apertura, mons. Diego Padron ha sottolineato diversi elementi. Riguardo al panorama ecclesiale si è soffermato sull'arrivo di Papa Francesco, sulla pubblicazione della sua prima Esortazione apostolica, sulle linee guida lasciate da Papa Francesco al Celam, come sulla Missione Continentale; quindi ha ricordato il Congresso Missionario Americano a Maracaibo (Cam 4), che ha dato nuova spinta all'impegno missionario nel continente e la Giornata Mondiale della Gioventù, in Brasile. Passando al panorama nazionale, il presidente della Cev ha citato la situazione di crisi e di paura in cui vive la popolazione del Venezuela; i problemi sociali che il governo ancora non risolve; la mancanza di generi alimentari, anche quelli minimi necessari; la corruzione fra i politici e lo scontro polarizzato dei gruppi politici. Come elemento positivo ha ricordato l'incontro del Presidente della repubblica con i deputati dell'opposizione, anche se ci sono ancora prigionieri politici e non c'è un vero dialogo e un sincero perdono fra le parti. Infine l’arcivescovo ha parlato della preparazione ai 150 anni della nascita del Servo di Dio José Gregorio Hernández, rilevando l'impegno della Cev per questo evento storico, culturale e religioso. (R.P.)

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    Bangladesh: appello alla pacificazione dell'arcivescovo di Dacca

    ◊   La piccola minoranza dei cristiani bengalesi “porta un messaggio di speranza fra violenza e confusione”: lo dice in un colloquio con l’agenzia Fides l’arcivescovo di Dacca, mons. Patrick D’Rozario, descrivendo la situazione all’indomani delle elezioni politiche del 5 gennaio. “La situazione sociale e politica resta tesa. Come cristiani, non abbiamo vissuto particolari problemi ma un ordigno ha colpito una chiesa di Dacca, causando pochi danni e nessuna vittima. I cittadini cristiani bengalesi vivono questo momento tormentato per il Paese con tutti gli altri, pregando e sperando”. L’arcivescovo spiega: “Le elezioni, con la bassa affluenza e il boicottaggio dell’opposizione, non sono state un buon segnale per la democrazia: ma l’alternativa era il caos e dunque, fra le innumerevoli sfide e problemi: non c’era altra scelta”, prosegue. “Il pericolo dell’islamismo militante e radicale – sollevato dagli osservatori – è reale”, conferma il presule a Fides. “Nei mesi scorsi organizzazioni islamiche radicali hanno alzato la voce e alzato il tiro verso la politica: staremo a vedere come si evolverà la situazione. L’appello della Chiesa è sempre quello di pace e di riconciliazione per il Paese che, che attraversa una stagione di violenza, disordine e instabilità. In tale situazione, il nostro auspicio è che il nuovo anno possa portare prosperità e pace. In quanto piccola minoranza (i cristiani sono lo 0,5% su 165 milioni di abitanti, ndr), continuiamo a dare il nostro contributo soprattutto nell’istruzione, promuovendo valori come il dialogo, il rispetto dell’altro, l’armonia, la dignità umana”. Nelle elezioni politiche del 5 gennaio, il partito di governo, la “Awami League” del primo ministro Sheikh Hasina, ha ottenuto la maggioranza assoluta (secondo dati non ancora ufficiali: 105 seggi su 139), ma al voto ha partecipato solo il 22% degli elettori: infatti l’opposizione costituita dal “Bangladesh Nationalist Party” (Bnp) e dai suoi alleati, ha chiesto al popolo di boicottare le elezioni. Fra il 4 e 5 gennaio 19 attivisti del Bnp sono stati uccisi in scontri con la polizia in tutto il Paese. Manifestazioni di piazza che chiedono le dimissioni del governo, si susseguono da quattro mesi. Ad acuire la crisi, i processi contro alcuni esponenti del partito islamista “Jamaat-e-Islami”, alleato del Bnp, condannati dalla giustizia bengalese per crimini legati alla guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971. L’opposizione accusa Hasina di portare avanti i processi con il solo scopo di indebolire i suoi avversari politici. (R.P.)

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    Costa d'Avorio. I vescovi: il 2014 sia l'anno della coesione sociale

    ◊   Mons. Alexis Touably Youlo, vescovo della diocesi di Agboville e portavoce del Forum delle Confessioni Religiose della Costa d'Avorio, ha esortato tutti gli ivoriani a lavorare per il ripristino della coesione sociale, in modo che il 2014 sia l’anno di una "Costa d'Avorio riconciliata con se stessa”. Nell’ultimo decennio infatti, il Paese ha vissuto una crisi politico-militare che ha minato la coesione sociale. Il presule ha spiegato come sia necessario e urgente che tutti lavorino per ripristinare la fiducia e per seminare amore e fratellanza. Una fratellanza che trascende e supera le considerazioni di ordine etnico, politico o la religione. Mons Touably Youlo ha inoltre accolto positivamente gli sforzi del Capo di Stato, Alassane Ouattara, nella ricerca dell’armonia nazionale ed ha incoraggiato il moltiplicarsi delle iniziative che cercano di riunire i figli e le figlie del suo Paese. “La Costa d'Avorio è in marcia - ha detto il vescovo - ma affinché questa marcia sia davvero un successo, ha bisogno di tutti i sui figli e di tutte le sue figlie”. Aima Boikary Cheick Fofana, presidente del Consiglio superiore degli Imam (Cosim), dal suo canto ha accolto il grande lavoro svolto dal presidente ivoriano e lo ha invitato a proseguire le sue sfide. (G.P.)

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    Camerun: seminario annuale dei vescovi sulla Caritas nella nuova evangelizzazione

    ◊   E’ iniziato lunedì 6 gennaio, in una sala della cattedrale di San Pietro e Paolo di Douala, il 37.mo seminario annuale dei vescovi del Camerun, che quest’anno ha come tema “La Caritas nella nuova evangelizzazione”. A precedere il seminario, la messa domenicale, alla quale hanno partecipato numerosi fedeli, i preti della diocesi di Douala, e la quasi totalità dei vescovi e arcivescovi del Camerun. Si tratta del primo grande evento del 2014 che ha coinvolto la Chiesa del Paese africano. Secondo mons. Sébastien Mongo Behon, segretario generale della conferenza episcopale nazionale del Camerun (Cenc), il punto centrale di questo incontro annuale sarà l'esame della situazione dei poveri, dei rifugiati, dei bambini di strada, dei malati e di tutti coloro che soffrono. “Esamineremo la Caritas sotto due aspetti” ha precisato mons. Samuel Kléda, presidente della Conferenza episcopale, “quello della Caritas come amore manifestato verso il prossimo e quello della Caritas come gesto di carità” aggiungendo che in caso di difficoltà la Cenc potrà intervenire anche in campo socio-economico. Il tema del seminario di quest’anno permetterà di ricollegarsi alle parole che Michel Roy, segretario generale della Caritas International, ha detto durante un suo intervento al “Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” del 17 ottobre 2012: “L'esercizio della carità è un elemento costitutivo della natura della Chiesa. Non si può avere evangelizzazione senza carità”. Roy ha poi aggiunto che “la questione fondamentale per la Nuova Evangelizzazione non è solo il modo di predicare il Vangelo, ma domandarsi se il Vangelo che viene predicato è una buona novella per i poveri, e se noi, come Chiesa, lo rendiamo credibile.” Il 37.mo seminario annuale dei vescovi del Camerun si chiuderà domenica 12 gennaio. (A cura di Giulia Piemontese)

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    Disoccupazione giovanile in Italia oltre il 41%, peggior dato dal 1977

    ◊   Cresce ancora il tasso di disoccupazione in Italia toccando a novembre il 12,7%, in aumento di 1,4 punti in un anno. La disoccupazione giovanile raggiunge il 41,6%. Si tratta del dato peggiore dal 1977. Tra novembre 2007 e novembre 2013 i disoccupati sono più che raddoppiati e ora sono 3 milioni e 254 mila. Il tasso di disoccupazione giovanile nell'Unione Europea si è attestata al 23,6%. Fra i Paesi membri il livello di disoccupazione è più basso in Germania (7,5%) e Austria (8,6%), mentre è più elevato in Spagna (57,7%), Grecia (54,8%) e Croazia (49,7%).


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 8

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.