Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 03/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa nella Chiesa del Gesù. Il Papa: il gesuita, uomo inquieto perché instancabile nel cercare Dio
  • Padre Lombardi: il Papa ha manifestato ai Gesuiti la sua fraternità spirituale profonda
  • “Svegliate il mondo!”: su Civiltà Cattolica il colloquio tra Papa Francesco e i superiori dei religiosi
  • Nomina episcopale nella Repubblica Democratica del Congo
  • Tweet del Papa: Gesù Bambino rivela la tenerezza dell’amore immenso di Dio per ciascuno di noi
  • 50.mo visita Paolo VI in Terra Santa. Mons. Shomali: ha aperto una strada nuova per la Chiesa
  • Fides: 22 gli operatori pastorali uccisi nel 2013, in prevalenza sacerdoti dell'America Latina
  • Oggi in Primo Piano

  • Cresce la paura dopo l'attentato di Beirut. Mons. Hobeika: è scontro sunnita-sciita
  • India, barbara uccisione di una dodicenne. Mons. Machado: la vita dei poveri non conta nulla
  • Cambogia. Scontri tra polizia e lavoratori tessili a Phnom Penh: 5 morti, decine di feriti
  • Mons. Solmi: maggiori aiuti per le famiglie, tutelare i diritti attraverso il Codice Civile
  • Immigrazione: soccorsi nel canale di Sicilia oltre mille migranti
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sud Sudan, iniziati ad Addis Abeba i colloqui di pace: situazione umanitaria drammatica
  • Mauritania, annunciata creazione di un tribunale speciale contro il reato di schiavitù
  • Malaysia, sequestrate centinaia di Bibbie: riaperta questione su uso del nome “Allah” per i cristiani
  • Indonesia, un rapporto invoca piano nazionale urgente per debellare il terrorismo
  • Tradizionale viaggio dei vescovi di Nord America, Ue e Sudafrica in Terra Santa e Gaza
  • Venezuela. Il card. Urosa: il 2014 sia all’insegna del dialogo e della pace
  • L’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham ha il suo primo monastero femminile
  • Svizzera. Più di 23 mila risposte per il questionario sulla famiglia. I vescovi: segnale di dialogo
  • Il 5 gennaio la Chiesa belga celebra la “Giornata dell’Africa”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa nella Chiesa del Gesù. Il Papa: il gesuita, uomo inquieto perché instancabile nel cercare Dio

    ◊   Non avere altro nome nella vita, e non compiere altra azione, che non sia strettamente collegata a Cristo. È con questo auspicio che Papa Francesco ha concluso questa mattina l’omelia della Messa presieduta nella Chiesa del Gesù, nel giorno in cui la Chiesa festeggia la ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù, “titolo” dell’Ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola. Il Papa si è soffermato a lungo sulla figura di Pietro Favre, modello di santità sacerdotale nella Compagnia, canonizzato il 17 dicembre scorso. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Svuotati” perché pieni di Dio. Inquieti perché instancabili nel cercare Dio. Audaci perché capaci di una fede che sogna in grande, come sono i sogni di Dio. Insomma, uomini in perenne tensione per essere altri Cristo in terra. E non può essere altrimenti per uomini che Sant’Ignazio di Loyola radunò e raduna in una Compagnia che porta il nome stesso di Gesù. Papa Francesco riflette sul carisma del suo Ordine e lo fa concentrandosi su Pietro Favre, il confratello antico e modernissimo, proclamato Santo due settimane fa, che fu compendio vivente dei caratteri spirituali e apostolici che rendono un gesuita aderente al suo dover essere. A cominciare dal cuore, vuoto e svuotato per amore, come fu quello di Cristo:

    “Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli ‘svuotati’. Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine”.

    Inquieti fino a che punto? La verifica che Papa Francesco propone si basa su un confronto: un gesuita può chiedersi se “ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato”. In realtà, per chi milita nella Compagnia non c’è alternativa: “Bisogna cercare Dio per trovarlo – afferma il Papa – e trovarlo per cercarlo ancora e sempre”:

    “Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili”.

    È a questo punto che Papa Francesco chiama sulla ribalta Pietro Favre. Lui fu tutto questo, l’“uomo dei grandi desideri”, “spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto”, animato dal “vero spirito che muove all’azione”:

    “Abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio? Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio”.

    Pietro Favre, ricorda ancora Papa Francesco, spese una vita intera per avere “familiarità con Dio”, per avere un cuore trapiantato in quello di Gesù. E con questi sentimenti fu fautore di dialogo nell’Europa divisa dalla Riforma di Lutero, con l’arma tutta cristiana della dolcezza:

    “Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore!“.

    Di qui, la promessa finale del primo Papa gesuita della storia, a nome di tutta la Compagnia, di rimodellarsi sull’esempio del primo sacerdote gesuita della storia, il fratello Pietro che sotto l’influsso del “fascino” di Cristo compì, ha detto, vere e proprie “pazzie apostoliche”:

    “Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso”.

    inizio pagina

    Padre Lombardi: il Papa ha manifestato ai Gesuiti la sua fraternità spirituale profonda

    ◊   Tanti i gesuiti presenti alla Messa presieduta da Papa Francesco alla Chiesa del Gesù: tra di essi, anche il preposito generale della Compagnia, padre Adolfo Nicolás. Sul clima in cui si è svolta la Messa, Sergio Centofanti ha sentito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, anch’egli gesuita e presente all’evento:

    R. – La Messa si è svolta in un clima estremamente sereno, tranquillo e gioioso. Bisogna pensare che è la Festa del Nome di Gesù, quindi la festa “titolare” della Compagnia, che è dedicata appunto al Nome di Gesù, ed era molto bello poterla vivere insieme con il Santo Padre, tanto più adesso in questa occasione in cui è stato canonizzato da pochi giorni San Pietro Favre, che è il primo compagno di Sant’Ignazio. Ecco allora che eravamo anche aiutati a rivivere proprio l’ispirazione originaria della Compagnia di Gesù, la sua dedizione all’apostolato, ad un apostolato profondamente motivato dall’amore personale di Cristo.

    D. – Quali parole dell’omelia hanno più colpito?

    R. – Ci sono stati due temi: quello del Nome di Gesù come tale e quello della figura di San Pietro Favre come persona di grandi desideri. Lo spirito di San Pietro Favre è quello di coltivare veramente il grandissimo desiderio di far conoscere non solo il Nome di Gesù, ma l’amore di Dio per tutti, anche in situazioni difficili come quella in cui egli operava al tempo della divisione fra i cristiani. Quindi con un senso di riconciliazione, di dolcezza: un tratto molto caratteristico della personalità di questo Santo, che non ha fatto cose grandi da un punto di vista esteriore, ma cose grandissime da un punto di vista dell’operatività spirituale, dell’operare nei cuori, del far conoscere l’amore di Dio e riconciliare le persone divise proprio in forza di questo amore.

    D. – Il Papa ha definito il gesuita un uomo inquieto…

    R. – Certamente. E’ molto caratteristico il dinamismo della spiritualità della Compagnia di Gesù: cercare e trovare il Signore e la sua volontà, non per fermarsi, ma per continuare a cercarlo ancora. Una volta che è stato trovato il Signore, il Signore ti sorprende e ti chiama ancora più in là del punto in cui tu sei arrivato. Ecco, questo Dio che è ricco di sorprese, di cui il Papa spesso parla, è veramente una conoscenza di Dio che è molto caratteristica di una spiritualità dinamica, di cammino, come quella della Compagnia di Gesù e anche di Pietro Favre, che era, appunto, un pellegrino del servizio del Signore nell’Europa del suo tempo.

    D. – Il Papa si è poi trattenuto a salutare i gesuiti: ce ne erano oltre 350 nella Chiesa del Gesù…

    R. – Sì. Sappiamo che è caratteristico del Papa avere questa attenzione e questa pazienza anche di salutare tutti, uno per uno. Qui c’erano tanti confratelli, i suoi, radunati in questa bellissima circostanza: ha voluto salutarli tutti in modo da manifestare la sua fraternità spirituale profonda.

    inizio pagina

    “Svegliate il mondo!”: su Civiltà Cattolica il colloquio tra Papa Francesco e i superiori dei religiosi

    ◊   La Civiltà Cattolica ha pubblicato oggi, in versione cartacea e digitale sul suo sito web www.laciviltacattolica.it, un lungo colloquio tra Papa Francesco e l’Unione superiori generali (Usg), avvenuto il 29 novembre scorso, al termine del quale il Pontefice ha annunciato che il 2015 sarà un Anno dedicato alla Vita Consacrata. Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista della Compagnia di Gesù, seduto tra i 120 superiori generali ricevuti dal Papa, ha registrato il colloquio libero e spontaneo, facendo una cronaca commentata dell’incontro. Sui contenuti principali di questa lunga conversazione - articolata in 15 pagine su “Civiltà Cattolica” – il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Bisogna formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca”: è uno dei passaggi più forti della conversazione tra Papa Francesco e l’Unione superiori generali. Un colloquio – come racconta padre Antonio Spadaro, cronista d’eccezione dell’evento – che doveva essere un semplice saluto e diventa invece un dialogo di tre ore sulle sfide principali che la vita religiosa e la Chiesa si trovano oggi ad affrontare. Tra i tanti temi trattati: la complessità della vita, fatta di grazia e di peccato; l’essere profeti nel nostro mondo, la fraternità, la denuncia della “tratta delle novizie”, cioè il massiccio arrivo di Congregazioni straniere che aprono case allo “scopo di reclutare vocazioni da trapiantare in Europa”. E ancora la denuncia di atteggiamenti quali ipocrisia e fondamentalismo, l’elogio della grande decisione di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso, l’importanza dei carismi, la necessità della tenerezza, del saper “accarezzare i conflitti”.

    Il tema toccato all’inizio della conversazione è stato l’identità e la missione dei religiosi. “La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi – avverte il Papa - è richiesta a tutti”. Tuttavia, “i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico”. E questa è la “testimonianza” che Papa Francesco si aspetta. “I religiosi – esorta - devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo”. “La vita – riconosce – è complessa, è fatta di grazia e di peccato. Se uno non pecca, non è uomo. Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la testimonianza che è chiamato a dare, ma anzi la rafforza”. Papa Francesco chiede di evitare il fondamentalismo e illuminare il futuro. E ribadisce la convinzione che “i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia”. “Stare nelle periferie – soggiunge – aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici”.

    Papa Francesco fa riferimento alla sua esperienza di gesuita. “Per capire – osserva – ci dobbiamo scollocare, vedere la realtà da più punti di vista differenti. Dobbiamo abituarci a pensare”. Il Papa ricorda una lettera del padre Pedro Arrupe per ribadire che il religioso deve “conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente. Se questo non avviene, allora ecco che si corre il rischio di essere astratti ideologi o fondamentalisti, e questo non è sano”. Il Papa rivolge in particolare il pensiero all’apostolato giovanile: “Chi lavora con i giovani – ammonisce – non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio”. “Oggi – prosegue – Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere inviati”.

    Ma qual è dunque la priorità della vita consacrata? “La profezia del Regno – risponde il Papa – che non è negoziabile”. Una profezia “che fa rumore” e che ha il carisma di “essere lievito”. Il Papa mette in guardia dalla tentazione di “giocare a fare i profeti senza esserlo”. E incoraggia a “cercare sempre nuovi cammini”, perché il carisma non diventi sterile. Riguardo alle vocazioni in crescita nelle Chiese giovani e all’inculturazione dei carismi, Papa Francesco sottolinea che “il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente”. “Ma così – afferma il Papa nel dialogo con i superiori generali – c’è il rischio di sbagliare, direte, di commettere errori”. È vero, ammette il Papa, è “rischioso”. “Faremo sempre degli errori, non ci sono dubbi. Ma questo – è la sua convinzione – non deve frenarci”. “Infatti – ribadisce – dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio”. E mette l’accento sulla necessità di introdurre nel governo centrale degli ordini e delle Congregazioni “persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma”. D’altro canto, spiega che “inculturare il carisma” è “fondamentale e questo non significa mai relativizzarlo”.

    Papa Francesco ha anche annunciato di aver chiesto alla Congregazione per la Vita Consacrata di riprendere in mano due documenti: il primo sulla vocazione dei religiosi che non sono sacerdoti. Il secondo documento citato, del quale è in corso una revisione, è Mutuae relationes sul rapporto tra vescovi e religiosi nelle Chiese locali. “Noi vescovi – afferma il Papa – dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono carismi che arricchiscono le diocesi”. Nel colloquio, riferisce padre Spadaro, si è dato ampio spazio al tema della formazione e alle sue priorità. “Il fantasma da combattere – avverte Papa Francesco – è l’immagine della vita religiosa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso”. Il Papa mette nuovamente in guardia dall’ipocrisia e dal clericalismo che possono minare già gli anni del noviziato. “Non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto”. E definisce l’ipocrisia, frutto del clericalismo, “uno dei mali più terribili”. Quindi, ricorda la “grande decisione” di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso. Questo, annota, “ci deve servire da esempio per avere il coraggio di assumere la formazione personale come sfida seria, avendo in mente il popolo di Dio”.

    La formazione, riprende il Papa, deve essere orientata non solamente alla crescita personale, ma al popolo di Dio, a coloro ai quali saranno inviati. “Pensiamo a quei religiosi che hanno il cuore acido come l’aceto – avverte – non sono fatti per il popolo”. E aggiunge: “Non dobbiamo formare amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino”. La formazione, ne è convinto, “è un’opera artigianale, non poliziesca”. E indica quelli che per lui sono i quattro pilastri fondamentali della formazione: “spirituale, intellettuale, comunitario e apostolico”: Pilastri, constata, che “devono interagire sin dal primo giorno di ingresso in noviziato”, “ci deve essere un’interazione”.

    Il Papa e i Superiori generali si sono, quindi, soffermati sul tema della fraternità e sul rischio dell’individualismo che si annida nelle comunità. “A volte – riconosce – è difficile vivere la fraternità, ma se non la si vive non si è fecondi”. Anche il lavoro “apostolico” per il Papa può correre il rischio di una fuga dalla vita fraterna, e “se una persona non riesce a vivere la fraternità, non può vivere la vita religiosa”. Il conflitto è inevitabile, prosegue, ma “va assunto: non deve essere ignorato. Se coperto, esso crea una pressione e poi esplode”. “A volte – afferma parlando dei religiosi – siamo molto crudeli. Viviamo la tentazione comune di criticare per soddisfazione personale o per provocare un vantaggio personale”. A volte, sostiene ancora, “le crisi della fraternità sono dovute a fragilità della personalità, e in questo caso è necessario richiedere l’aiuto di un professionista, di uno psicologo. Non bisogna avere paura di questo”. Mai, però, “dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello. Dobbiamo coinvolgere il cuore”. Il Papa chiede, ancora una volta, di saper “accarezzare i conflitti” con “tenerezza eucaristica”. “La tenerezza eucaristica – riprende – non copre il conflitto, ma aiuta ad affrontarlo da uomini”.

    Infine, Papa Francesco parla del tema a lui caro delle “frontiere” dell’evangelizzazione. Certo, spiega, ci sono quelle geografiche, ma anche “quelle simboliche” che “non sono prefissate e non sono uguali per tutti”. Il Papa torna ad indicare come priorità le realtà di esclusione, “dove vanno inviate le persone migliori, le più dotate”. La frontiera “culturale e quella educativa nella scuola e nell’università”, conclude, è una missione “chiave”. Parola che ripete tre volte. Una missione che, esorta Papa Francesco, richiede di annunciare Cristo anche affrontando situazioni familiari inedite e complesse.

    inizio pagina

    Nomina episcopale nella Repubblica Democratica del Congo

    ◊   Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Luiza (Repubblica Democratica del Congo), presentata da mons. Léonard Kasanda Lumembu, C.I.C.M., per raggiunti limiti di età. Gli succede il rev. Félicien Mwanama Galumbulula, docente universitario e secondo segretario aggiunto della Conferenza episcopale congolese (Cenco). Il rev. Félicien Mwanama Galumbulula è nato il 26 ottobre 1960 a Tshibala, nella Diocesi di Luiza. Dopo le scuole primarie a Tshibala (1968-1974) e quelle secondarie all’Istituto Popopu di Tshibala (1974-1980), ha compiuto gli studi di Filosofia al Seminario Maggiore Christ Roi di Kabwe (1980-1983), e di Teologia al Seminario Maggiore di Fano, in Italia (1983-1986). È stato ordinato sacerdote il 9 agosto 1987. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1987-1988: direttore spirituale e professore al Seminario propedeutico St Léon di Luiza; 1988-1992: direttore spirituale e professore al Seminario Maggiore Jean Paul II di Tschilomba; 1992-1996: dottorato in Missiologia alla Pontificia Università Gregoriana; 1996-2002: dottorato in Diritto Canonico alla Pontificia Università Lateranense; vice cancelliere della Diocesi di Rieti e vice parroco a Sant’Agostino, nella medesima Diocesi (2000-2001). Al suo rientro in Diocesi, ha lavorato soprattutto nel campo della formazione. Dal 2002: professore visitatore all’Università Cattolica del Congo; 2002-2004: professore al Seminario Maggiore di Malole-Kananga; 2004-2006: rettore a.i. del Seminario Maggiore di Malole-Kananga; dal 2005: professore all’Istituto Africano di Scienza Missionaria di Kinshasa; 2006-2008: segretario della Commissione Episcopale per gli affari giuridici della Cenco; dal 2008: secondo segretario generale aggiunto della Cenco.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: Gesù Bambino rivela la tenerezza dell’amore immenso di Dio per ciascuno di noi

    ◊   Il Papa ha lanciato stamani un nuovo tweet: “Gesù Bambino – scrive - rivela la tenerezza dell’amore immenso con cui Dio circonda ciascuno di noi”.

    inizio pagina

    50.mo visita Paolo VI in Terra Santa. Mons. Shomali: ha aperto una strada nuova per la Chiesa

    ◊   Il 4 gennaio di 50 anni fa, Paolo VI si recava in pellegrinaggio in Terra Santa. Per la prima volta un Successore di Pietro tornava nella Terra di Gesù. La visita, tre giorni vissuti con grande intensità da Papa Montini, rappresenta anche il primo viaggio internazionale dei Pontefici in età contemporanea. Per un ricordo su quello storico viaggio, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, che all’epoca della visita era un giovane seminarista:

    R. – Mi ricordo bene: era una mattinata molto fredda, quella in cui Paolo VI è venuto a Betlemme per celebrare la Messa alla Grotta della Natività. Io ero seminarista, avevo 14 anni… Siamo rimasti almeno un’ora e mezzo ad aspettare, nella Piazza della Natività, che arrivasse. Avevamo sentimenti di attesa e avevamo un grande desiderio di vedere il Successore di Pietro che veniva per la prima volta… dopo San Pietro. Nessun Papa era venuto prima! Dunque per noi era un evento veramente straordinario. Io l’ho visto rapidamente, non ho potuto salutarlo… Tutti volevano salutarlo, ma era impossibile. Dopo ho letto i suoi discorsi ed ho scoperto che erano veramente molto, molto profondi. Alcuni discorsi e alcune omelie sono diventati un “classico”, specialmente l’omelia che ha pronunciato a Nazareth sulla famiglia: possiamo ancora citarla come fosse ancora molto attuale.

    D. – Quel viaggio fu straordinario non solo per i cristiani, ma per tutti in Terra Santa…

    R. – L’intenzione di Paolo VI era quella di venire a visitare la Terra Santa, fare un pellegrinaggio. Ma per tutti è stato un inizio: ha aperto la strada alle visite successive.

    D. – Questa visita ha avuto anche un grande significato ecumenico, con l’abbraccio con il Patriarca Atenagora: lì davvero è stato un momento storico…

    R. – Questo è vero! Ha dato molto valore al suo pellegrinaggio l’incontro con Atenagora e il fatto che abbiano pregato insieme il Padre Nostro sul Monte degli Ulivi. Posso dire che fu Atenagora a prendere l’iniziativa di incontrare il Papa qui. Atenagora era commosso… Penso che questo, dal un punto di vista ecumenico, abbia reso la visita particolarissima.

    inizio pagina

    Fides: 22 gli operatori pastorali uccisi nel 2013, in prevalenza sacerdoti dell'America Latina

    ◊   Sono stati 22 gli operatori pastorali uccisi nel mondo nel 2013. In prevalenza si tratta di sacerdoti. Il maggior numero di omicidi si registra in America Latina. A rendere noti i dati è l’Agenzia Fides in un dossier con l’elenco di preti, religiosi e laici uccisi lo scorso anno. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Vite scandite dall’annuncio del Vangelo e spezzate da brutali omicidi. Sono quelle di 22 operatori pastorali, uccisi nel 2013, quasi il doppio rispetto ai 13 del 2012. Alle vittime del 2013 - 19 sacerdoti, 1 religiosa e due laici – si deve aggiungere un altro omicidio avvenuto nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio 2014 e costato la vita ad un parroco in California. Nella maggior parte dei casi si tratta di delitti scaturiti in seguito a tentativi di rapina o di furto, avvenuti spesso in contesti segnati da degrado morale, povertà economica e culturale. Per il quinto anno consecutivo è l’America Latina, con al primo posto la Colombia, il Continente con il maggior numero di operatori pastorali uccisi. In Africa sono stati assassinati un sacerdote in Tanzania, una religiosa in Madagascar, una laica in Nigeria. In Asia le vittime sono un sacerdote in India, uno in Siria e un laico nelle Filippine. In Europa è stato ucciso un sacerdote in Italia. Ascoltiamo Padre Vito Del Prete, direttore dell'agenzia Fides:

    “È vero che in America Latina ci sono più martiri per una questione di violenze fatte a causa dei furti; mentre in Africa molte volte dobbiamo pensare che avvengono per l’intolleranza religiosa: in Tanzania abbiamo don Evarist Mushi che è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre andava celebrare la Messa. Non dobbiamo dimenticare poi l’India dove abbiamo una persecuzione verso i gruppi cristiani, non perché l’India sia intollerante ma perché c’è una situazione di nazionalismo esasperato. Ha fatto molto scalpore la morte del rettore del seminario, don Kochupuryil, assassinato; anche un sacerdote a Trapani, in Sicilia, è stato colpito mentre dormiva nella sua canonica e non sappiamo ancora le motivazioni per cui è stato ucciso”.

    Nel 2013 è stato inoltre aperto il processo di beatificazione di sei missionarie italiane delle Suore delle Poverelle di Bergamo, morte nella Repubblica Democratica del Congo nel 1995 per aver contratto il virus dell’ebola pur di non lasciare la popolazione senza assistenza sanitaria. E’ stata poi conclusa la fase diocesana del processo di beatificazione di Luisa Mistrali Giodotti, uccisa nel 1979 nell’allora Rhodesia mentre accompagnava in ospedale una partoriente. Sempre nel 2013 è stato avviato il processo diocesano per la causa di beatificazione di padre Mario Vergara, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, e del catechista Isidoro Ngei Ko Lat, assassinati in odio alla fede in Myanmar nel 1950. E lo scorso 25 aprile è stato beatificato don Pino Puglisi, ucciso nel 1993 dalla mafia.

    Desta poi preoccupazione la sorte di numerosi operatori pastorali sequestrati o scomparsi, di cui non si hanno più notizie. Tra questi un sacerdote colombiano scomparso da mesi e tre presbiteri congolesi agostiniani dell’Assunzione, rapiti nel Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2012. In Siria da tempo non si hanno poi più notizie del gesuita italiano Paolo Dall’Oglio, delle suore del monastero di Santa Tecla e dei due vescovi ortodossi di Aleppo. In Camerun è stato invece liberato il sacerdote francese “Fidei Donum”, padre Georges Vandenbeush, rapito lo scorso 13 novembre nella sua parrocchia nel nord del Paese.

    “In duemila anni sono una schiera immensa – aveva detto Papa Francesco all’Angelus lo scorso 23 giugno – gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo”. Ed è lunga lista dei tanti testimoni della fede di cui, forse, non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà il nome. “Pensiamo ai tanti fratelli e sorelle cristiani – aveva affermato il Santo Padre all’Angelus lo scorso 17 novembre – che soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Gesù è con loro. Anche noi siamo uniti a loro con la nostra preghiera e il nostro affetto”. Ancora Padre Vito Del Prete:

    “Attualmente c’è una persecuzione in atto. In tutti gli sconvolgimenti succeduti nel Medio Oriente e in altri Paesi come in Pakistan ed anche in India la religione cristiana è vista come qualcosa di importato, di occidentale. Non dobbiamo dimenticare – come ha ripetuto anche Papa Francesco – che ancora oggi i cristiani sono gruppi perseguitati. I cristiani vengono scacciati dai loro villaggi, qualche volta vengono torturati, anche imprigionati e qualche volta condannati a morte”.

    I 22 operatori pastorali, uccisi nel 2013, erano tutti accomunati da una missione: l’annuncio del Vangelo. Don José Francisco Vélez Echeverri, 55 anni, sacerdote diocesano, è stato trovato morto il 16 gennaio, con ferite di arma da taglio, nel cortile della sua casa nel quartiere El Albergue, a sud di Buga, in Colombia. Sempre in Colombia don Luis Alfredo Suárez Salazar è stato ucciso la mattina del 2 febbraio ad Ocaña, nel nord di Santander. Don José Ancizar Mejia Palomino, 84 anni, della diocesi di Buga, è stato trovato morto il 2 febbraio nella sua residenza, a Caldas, comune di Riosucio. Il corpo senza vita di don Néstor Darío Buendía Martínez, 35 anni, è stato ritrovato in una zona isolata del comune di Los Cordobas, circa 500 km a nord di Bogotà. Don José Antonio Bayona Valle, 48 anni, sacerdote diocesano dell'arcidiocesi di Barranquilla è stato ucciso la sera del 6 maggio con 18 coltellate. Sul suo corpo sono stati trovati segni di tortura.

    Padre Elvis Marcelino De Lima, 47 anni, nativo di Fortaleza (Brasile), della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth, è stato ucciso il 13 luglio 2013 da due ragazzi che lo hanno aggredito a scopo di rapina. Don Luis Bernardo Echeverri, e don Héctor Fabio Cabrera, rispettivamente parroco e viceparroco della parrocchia di San Sebastián del municipio di Roldanillo, nel dipartimento della Valle del Cauca, arcidiocesi di Cali (Colombia), sono stati uccisi nella loro abitazione nella notte tra il 27 ed il 28 settembre. Don José Ramón Mendoza, 44 anni, è stato assassinato da malviventi la sera di domenica 17 febbraio nello stato di Lara, in Venezuela. Don Anibal Gomez è stato trovato morto a Panama il 30 ottobre, all'ingresso dell’abitazione del vescovo emerito della diocesi di Colón-Kuna Yala. Don José Flores Preciado, messicano, è morto all'Ospedale Universitario nella città di Colima (Messico), dopo essere stato picchiato da ignoti nella chiesa di Cristo Re, dove confessava e celebrava la Messa tutti giorni. Sempre in Messico, don Ignacio Cortez Alvarez, parroco della chiesa “María Auxiliadora”, è stato ucciso nella sua abitazione nella città di Ensenada, nella regione di Baja California. Don Hipólito Villalobos Lima e don Nicolás De la Cruz Martínez sono stati trovati assassinati il 29 novembre nella casa parrocchiale di San Cristobal del comune di Ixhuatlán de Madero, nello stato di Veracruz (Messico).

    Don Evarist Mushi, 55 anni, è stato ucciso alle 7 del mattino di domenica 17 febbraio nella Cattedrale di San Giuseppe di Zanzibar, in Tanzania. Suor Marie Emmanuel Helesbeux, 82 anni, francese, è stata uccisa il primo marzo a Mandritsara, nel nord-est del Madagascar. Afra Martinelli, missionaria laica, è stata trovata nella sua stanza nel centro regina Mundi, in Nigeria, gravemente ferita alla nuca con un machete, molto probabilmente per un tentativo di furto.

    Il laico Dexter Condez, 26 anni, impegnato nella difesa dei diritti degli indigeni del gruppo Ati, è stato ucciso con otto colpi di pistola sull’isola di Boracaya, nelle Filippine, il 22 febbraio. Don Kochupuryil J. Thomas, rettore del Seminario Maggiore San Pietro a Bangalore è stato assassinato da ignoti nella notte fra il 31 marzo e il primo aprile all'interno dei locali del Seminario. Il sacerdote siriano François Murad, 49 anni, è stato ucciso a Gassanieh, nel nord della Siria, nel convento della Custodia di Terra Santa dove aveva trovato rifugio, domenica 23 giugno. Padre Richard E. Joyal, 62 anni, canadese, membro della Società di Maria, è stato ucciso il 24 aprile nella capitale di Haiti, Port au Prince. Don Michele Di Stefano, 79 anni, della diocesi di Trapani è stato ucciso a colpi di bastone nel proprio letto, in canonica, dove viveva da solo, nella notte tra il 25 e 26 febbraio.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Cresce la paura dopo l'attentato di Beirut. Mons. Hobeika: è scontro sunnita-sciita

    ◊   Un appello all’unità di tutte le parti in Libano e la preoccupazione per “l’escalation di violenza negli ultimi mesi”. Questo il commento del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon dopo l’attentato che ieri a Beirut Sud – roccaforte del partito sciita Hezbollah - ha provocato 5 morti e 77 feriti. Per una testimonianza, Davide Maggiore ha raggiunto telefonicamente nel Paese mons. Mansour Hobeika, vescovo di Zahle dei Maroniti:

    R. – C’è dappertutto una grande inquietudine, in tutte le confessioni, sia tra i musulmani che tra i cristiani, perché si teme che queste autobombe possano ripetersi, forse come avviene in Iraq. Le forze di polizia non hanno la possibilità di sorvegliare tutte le strade e tutte le auto. Dunque è una situazione che porta molta inquietudine tra i cristiani, ma anche tra i musulmani, sia sciiti che sunniti.

    D. – Quindi tutto il Paese è inquieto?

    R. – E’ una ripercussione dei fatti militari della Siria. Gli sciiti del Libano sono attivi nella guerra in Siria contro i sunniti: questo fatto si fa sentire anche in Libano, con una guerriglia sunnita-sciita. Questa è la causa delle inquietudini!

    D. – Lei ci descrive una situazione che è molto legata a quello che sta accadendo in Siria: quindi bisogna, prima di tutto, trovare la pace in Siria?

    R. – Esatto! Rimane comunque la speranza che le referenze internazionali – diciamo gli Stati Uniti e l’Europa – possano, anche attraverso le loro ambasciate in Libano, fare qualcosa in favore della pace. Finora abbiamo notato che sono stati desiderosi di mantenere la pace in Libano e senz’altro hanno fatto molto. Speriamo ora che continuino a fare del loro meglio, anche tramite l’Iran e l’Arabia Saudita, che sono entrambe influenti in Libano. Questi due Paesi possono influire nei due campi, quello sunnita e quello sciita, in Libano in favore della pace. Questo è quello che speriamo! Adesso abbiamo un governo provvisorio e non riusciamo a fare un nuovo governo e prossimamente – tra circa 4 mesi – avremo anche le elezioni presidenziali: tutto questo però non sta avanzando bene e non siamo sicuri che saremo in grado di fare questi due passi importanti.

    D. – Le vorrei chiedere se c’è un messaggio che lei, come vescovo e come pastore, vuole far passare attraverso i microfoni della Radio Vaticana, rivolgendosi a chi ci ascolta...

    R. – Un messaggio di speranza nella Provvidenza e di speranza anche nei valori religiosi, sia musulmani che cristiani: ci sono dei valori che devono portare ad una certa intesa tra le due religioni. L’intesa ancora più urgente è quella tra sciiti e sunniti! Noi facciamo del nostro meglio per mettere in evidenza questa speranza nell’avvenire, altrimenti perderemmo la fiducia! Continuiamo a sperare e ad operare in questo senso, dicendo che questo estremismo non serve a costruire un avvenire buono per nessuno: l’estremismo è inutile anche gli stessi estremisti! Solo i valori positivi costruiscono l’avvenire!

    inizio pagina

    India, barbara uccisione di una dodicenne. Mons. Machado: la vita dei poveri non conta nulla

    ◊   Non accennano ad affievolirsi dolore, sgomento e orrore in India per la morte di una bambina di dodici anni che dopo aver subito per due volte violenza fisica nell’ottobre scorso è stata nuovamente attaccata giorni fa dai suoi aggressori che l’anno poi data alle fiamme. Da New Delhi, Maurizio Salvi:

    Ogni giorno dallo scorso 31 dicembre, quando la bambina ha cessato di vivere, manifestazioni di protesta e denuncia si sono svolte a Kolkata, la vecchia Calcutta capitale del West Bengala, ed anche a New Delhi. Va detto che il 2013 è stato un altro anno orribile per le donne indiane colpite quasi quotidianamente da episodi di violenza. Cercando di correre ai ripari per questa emergenza, il governo indiano ha inasprito le pene per i colpevoli di violenze sessuali e adottato una serie di misure protettive per le potenziali vittime, che però a nulla sono servite nel caso della giovane di Kolkata. Commentando l’accaduto Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, ha detto che questo ennesimo episodio indica che “è necessario intervenire per cambiare con urgenza la mentalità verso il bambino, le ragazza e le donne e porre fine a questi crimini brutali”.

    “Una notizia drammatica e inaccettabile” così mons. Felix Machado, presidente dell’Ufficio per il dialogo e l’ecumenismo della Conferenza episcopale indiana, sul caso della bambina uccisa. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

    R. - È un caso veramente tragico! È inaccettabile che una vita venga tolta in questo modo! Sono troppi questi casi, e mi dispiace che l’essere umano agisca come gli animali.

    D. - L’Unicef parla di più di 30 mila crimini commessi contro i bambini tra i 5 e i 18 anni in India nel 2011- inizio 2012. Come è possibile, in che contesto avvengono questi crimini?

    R. - Per vari motivi. Qualche volta le persone pensano che la legge sia nelle loro mani, che la vita dei poveri non conti niente e quindi possono controllarla. Un altro motivo è la mancanza di una crescita umana; c’è questo relativismo morale.

    D. - Quindi il problema è culturale?

    R. - È anche culturale, poi c’è la mancanza di educazione, il conflitto tra gruppi etnici, il sistema delle caste, cioè il castismo … I fattori possono essere molteplici. Quest’anno abbiamo parlato tanto; anche i giornali, la televisione hanno denunciato questi casi, ma nonostante questo, la violenza continua; in questo momento c’è frustrazione. Ma come possono continuare queste cose, malgrado l’elevata coscienza di questi tempi? L’anno scorso ne abbiamo parlato tanto, abbiamo denunciato le violenze e malgrado tutto questo, le violenze continuano.

    D. - Il governo indiano ha inasprito le pene per i colpevoli di violenze sessuali, però sono norme che non hanno avuto un esito …

    R. - Il governo aveva dichiarato la pena di morte per queste persone. In quanto cattolico, è inaccettabile togliere la vita ad una persona qualunque sia il motivo, non è giusto! Ma, nonostante questa pena, queste persone non hanno paura di compiere violenze, perché pensano che nessuno possa fargli nulla. E qui entra in ballo il castismo.

    D. - Cioè la divisione in caste…

    R. - Sì, perché chi appartiene alla casta alta, pensa di avere il potere completo sugli esseri umani che appartengono alla casta inferiore. Questa è la mentalità, questo castismo che rimane.

    D. - Che cosa fa la Chiesa in questo contesto e che cosa bisognerebbe fare?

    R. - La Chiesa parla sempre della dignità della persona umana. Dio ti ha dato la legge morale! Noi vogliamo dare sempre una formazione a coloro che si trovano nelle nostre scuole, nei nostri ospedali, nelle nostre chiese. Diciamo sempre questo: Gesù ama ogni essere umano, ha dato il suo sangue per ogni essere umano! Dobbiamo veramente rispettare ogni vita. Una volta ho detto che alla base di tutto c’è questo: in questa società, cosiddetta “secolare”, abbiamo perso il rispetto per ogni essere umano! Non abbiamo mantenuto questo rispetto! La Chiesa continua a parlare della sacralità della vita umana. Bisogna sempre difendere la dignità di ogni essere umano, dal concepimento fino alla morte!

    inizio pagina

    Cambogia. Scontri tra polizia e lavoratori tessili a Phnom Penh: 5 morti, decine di feriti

    ◊   Sono già cinque i morti e decine i feriti, a Phnom Penh, in Cambogia, a causa della polizia militare che oggi ha aperto il fuoco su centinaia di lavoratori tessili che manifestavano per un salario minimo più alto. Gli operai sono in protesta dallo scorso dicembre per ottenere un aumento delle retribuzioni minime a 160 dollari al mese, dagli attuali 80. Il governo di Hun Sen ha promesso di portare i salari a 95 dollari entro il prossimo aprile, una prospettiva che però non soddisfa i 650 mila lavoratori tessili cambogiani, spina dorsale del settore che sostiene le esportazioni nazionali. Ma quali sono le condizioni di questi lavoratori? Marina Tomarro lo ha chiesto a Debora Lucchetti, coordinatrice della Campagna internazionale “Abiti puliti” che difende i diritti fondamentali dei lavoratori nel settore tessile:

    R. – In Cambogia, ci sono migliaia di lavoratori che manifestano per chiedere un aumento del salario minimo: stiamo parlando di lavoratori e lavoratrici che guadagnano mediatamente 60 euro al mese, che è un salario assolutamente al di sotto della soglia di sopravvivenza. Noi abbiamo calcolato, asnsieme ai nostri partner asiatici, che un salario dignitoso equivarrebbe a circa 285 euro. Quindi, immaginate quale sia la differenza tra quello che questi lavoratori percepiscono e i loro bisogni fondamentali e i loro diritti. La situazione è caldissima ed è veramente preoccupante. Se pensiamo che questi lavoratori e queste lavoratrici – che peraltro sono parte del cuore pulsante dell’industria tessile internazionale e globale, che serve i grandi marchi della moda e dell’abbigliamento internazionale – semplicemente per aver richiesto un adeguamento del salario si sono trovati di fronte a uno Stato che addirittura ha aperto il fuoco...

    D. – Quali sono le condizioni in cui queste persone lavorano?

    R. – Parliamo in realtà non di lavoro, ma quasi di schiavitù. Si tratta di condizioni di lavoro che significano concretamente lavorare 12-13 ore al giorno, con turni massacranti, con straordinari praticamente obbligatori, perché proprio grazie all’accumulo di ore straordinarie si può portare a casa uno stipendio, un salario lievemente maggiore rispetto a quello minimo consentito per legge in questo momento. Si tratta di condizioni di insicurezza, di repressione sindacale, perché - come stiamo vedendo - non appena i lavoratori alzano la testa per chiedere quanto gli spetta, la risposta è la repressione, addirittura con le armi e con fuoco. Si stima che l’85% delle fabbriche tessili cambogiane appartengano, appunto, a investitori esteri, specialmente cinesi, taiwanesi, della Malesya, di Singapore… I principali marchi che lavorano e che si approvvigionano in questo Paese per i loro prodotti di abbigliamento e anche calzaturiero sono grandi marchi presenti nei corsi delle nostre città.

    D. – Quali sono le condizioni di vita nel Paese, invece?

    R. – Le condizioni di vita sono sicuramente non semplici. Purtroppo, molti lavoratori abbandonano spesso le campagne per entrare nell’industria e nelle fabbriche proprio per cercare delle condizioni di vita migliori. Quindi è una situazione, per così dire, di classica guerra fra poveri. Una situazione in cui si va alla ricerca di un lavoro nell’industria, di un lavoro operaio per sfuggire a condizioni di vita difficili, molto spesso vincolate all’agricoltura… Il problema però è che non si incontrano condizioni di vita migliori, ma si va semplicemente a incrementare una situazione di sottosviluppo e di totale dipendenza da quelli che sono poi i poteri finanziari e gli investitori esteri, che non hanno alcun interesse a far in modo che questo Paese acquisisca una propria autonomia, sia economica, sia culturale, sia sociale.

    D. – Qual è il ruolo del governo in questa situazione così difficile?

    R. – In questo momento, il governo cambogiano sta venendo meno a un dovere fondamentale, che è quello di proteggere i propri cittadini da quegli abusi che appunto gli investitori esteri e la grande impresa compiono nei confronti dei propri cittadini ed abitanti. Quindi, il governo sta avendo una posizione molto difficile e molto dura, perché anziché trovare una mediazione, si allea con i poteri economici, arrivando addirittura a reprimere le istanze, che sono istanze di base, della sua popolazione. Quindi, una posizione decisamente inaccettabile.

    inizio pagina

    Mons. Solmi: maggiori aiuti per le famiglie, tutelare i diritti attraverso il Codice Civile

    ◊   Nel 2012, si trovava in condizione di povertà relativa il 12,7% delle famiglie residenti in Italia, con un aumento di 1,6 punti percentuali sul 2011. Per questo nel 2014 è necessario rafforzare le tutele fiscali e normative proprio a favore dei nuclei familiari. Di questo ne è convinto il vescovo di Parma Enrico Solmi, presidente della Commissione Episcopale per la Famiglia e la Vita, che interviene anche sulle unioni civili. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:

    R. – C’è necessità di uno sviluppo a carattere di tutela sulla vocazione educativa della famiglia, sui tempi della famiglia e il lavoro assicurato alla famiglia e, parallelamente, un’attenzione fiscale che colga la famiglia nella realtà di nucleo. Pertanto questa realtà va considerata con un’attenzione particolare: la famiglia che ha figli e che al suo interno ha delle situazioni di fragilità.

    D. - Troppo spesso la famiglia è stata considerata solo un ammortizzatore sociale su cui scaricare delle tensioni...

    R. - Da un lato, si richiede alla famiglia tutto un insieme di apporti e la famiglia consente di ammortizzare delle situazioni che altrimenti sarebbero esplosive. Penso, in particolare, alla difficoltà all’entrare nel mondo del lavoro; dall’altro lato, non c’è un aiuto alla famiglia perché possa continuare a compiere questo essenziale servizio e questa essenziale supplenza alla nostra collettività.

    D. - Secondo lei, serve anche una maggiore tutela dal punto di vista legislativo, normativo? Adesso, sempre più spesso negli ultimi giorni, si parla di unioni civili …

    R. - È chiarissima la deriva che viene data e proposta anche in Italia: il favorire progressivamente, attraverso sentenze, soluzioni di fatto, un riconoscimento delle unioni di fatto e anche delle unioni di persone omosessuali. Vorremmo che la legislazione, e direi soprattutto le sentenze, abbiamo un’attenzione a considerare il dettato costituzionale dei numeri 30 e 31 della Costituzione; una lettura serena e fruttuosa di questo, consentirebbe un dialogo che in questo momento non è possibile riscontrare e vedere. Prova ne sono anche le ultime affermazioni che sono rimbalzate sui mass media proprio ieri. Parlare di famiglia significa avere una relazione uomo-donna che si palesa, si ratifica davanti alla società: la famiglia che parte -appunto - da questo legame pubblico è eminentemente sociale.

    D. - Secondo lei si può trovare una forma di compromesso, in qualche modo? Su che punti?

    R. - Più che compromesso si può arrivare ad una tutela dei diritti e delle persone in quanto tali; diritti che vanno anche in considerazione della relazione che un uomo ed una donna non sposati possono intessere, e di una relazione che può essere arricchita anche dalla presenza di figli o - comunque - una relazione di aiuto che comprenda l’assistenza sanitaria, i beni delle due persone, quindi il discorso dell’eredità. Questo percorso è assolutamente fattibile facendo riferimento al Codice civile e ai diritti della persona. Codice civile che può essere anche adeguatamente modificato per fare spazio a queste situazioni che, oggettivamente, da un punto di vista numerico sono significative.

    inizio pagina

    Immigrazione: soccorsi nel canale di Sicilia oltre mille migranti

    ◊   Oltre mille migranti sono stati salvati la notte scorsa nel Canale di Sicilia dalle unità della Marina militare. L’operazione di salvataggio più rilevante è stata effettuata a sud di Lampedusa, dove sono stati soccorsi quattro natanti con a bordo 823 persone. Il servizio di Filippo Passantino:

    Riprendono i viaggi della speranza dalle coste nordafricane. La scorsa notte, le unità della Marina militare e gli elicotteri del dispositivo "Mare Nostrum" sono intervenuti nel Mediterraneo per le prime operazioni di salvataggio del 2014. Gli interventi sono stati effettuati a sud di Lampedusa. Nella serata di ieri, sono stati messi in salvo 233 migranti, che erano a bordo di un’imbarcazione di una decina di metri. Altro intervento nella notte, quando i mezzi aeronavali hanno soccorso 823 persone a bordo di quattro natanti, come racconta il contrammiraglio Francesco Sollitto, comandante del 29.mo Gruppo Navale:

    R. – Erano molto provati. Le condizioni del mare, seppur in miglioramento, erano ancora piuttosto severe. Quando li ho visti arrivare a bordo, alcuni di questi barcollavano ed erano molto infreddoliti. Sicuramente perché, soprattutto coloro che provengono dalla regione sub-sahariani, non hanno abiti per affrontare l’inverno e tantomeno una navigazione. E’ stato soccorso un barcone che è risultato, da diverse ore, alla deriva: su questa imbarcazione, su cui è intervenuta la nave anfibia San Marco, c’erano ben 136 migranti. Ma soprattutto erano famiglie, famiglie in cui c’erano mamme e bambini. Per l’esattezza, si parla di 23 donne e 46 bambini, molti dei quali erano in tenera età. Erano veramente infreddoliti e molto, ma molto timorosi ed è stato un intervento veramente delicato, perché si è dovuto affrontare con molta calma, attenzione e determinazione, perché l’imbarcazione fatiscente poteva veramente volgere al peggio tutto l’evento.

    D. – Da quali Paesi provengono?

    R. – Su questa imbarcazione, nello specifico, c’erano siriani, alcuni pakistani e marocchini soprattutto. Mentre negli altri interventi – perché nel corso della notte ce ne sono stati ben cinque – si è trattato di uomini provenienti principalmente dal Mali e da tutti i Paesi della Regione sub-sahariana, quindi Nigeria, Senegal…

    D. – Attualmente, i profughi che sono stati recuperati dove si trovano e dove saranno trasferiti?

    R. – I profughi sono stati tratti in salvo da diverse unità: è intervenuto il pattugliatore Sirio, la corvetta Urania, che ha fatto ben due interventi, la nave anfibia San Marco, come avevo detto. In questo momento li stiamo raccogliendo a bordo del San Marco. L’operazione contiamo di concluderla nel primo pomeriggio. Nel primo pomeriggio di domani, saranno trasferiti al Porto di Augusta.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    Sud Sudan, iniziati ad Addis Abeba i colloqui di pace: situazione umanitaria drammatica

    ◊   Sono iniziati oggi ad Addis Abeba, in Etiopia, i negoziati per un cessate il fuoco in Sud Sudan, con l'obiettivo di porre fine a tre settimane di scontri tra le forze del governo e i ribelli fedeli all'ex vicepresidente, Riek Machar, che hanno causato finora un migliaio di morti, secondo l'Onu. A mediare tra le due parti c'è l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), organizzazione di sei Stati dell'Africa orientale. Gli esponenti dei due fronti non hanno per ora avuto alcun colloquio faccia a faccia. "I colloqui diretti cominceranno domani o il giorno dopo - ha detto Yohanes Pouk, portavoce della delegazione dei ribelli - siamo pronti a discutere della fine delle violenze, è nell'interesse di tutti noi. Discuteremo anche di altre questioni importanti, relative alla spartizione del potere". Ma ogni ipotesi di cessate il fuoco è stata finora respinta. Da Juba, intanto, le forze ribelli continuano a scontrarsi con l'esercito regolare e hanno fatto sapere di essere vicine alla capitale Juba. Gli scontri hanno creato una grave emergenza umanitaria. Tra i più colpiti vi sono gli oltre 200.000 rifugiati sudanesi accolti nei campi di Yida e Ajuong Thok nello Stato di Unità. Una delle situazione più drammatiche si registra ad Awerial, nello Stato dei Laghi (nel centro del Sud Sudan) dove oltre 70.000 sfollati, in maggioranza donne e bambini, sono privi di assistenza.

    inizio pagina

    Mauritania, annunciata creazione di un tribunale speciale contro il reato di schiavitù

    ◊   Il governo della Mauritania ha annunciato la creazione di un tribunale speciale incaricato di perseguire i crimini della riduzione in schiavitù, una piaga tuttora molto diffusa nel Paese. Lo ha annunciato il presidente Mohamed Ould Abdel Aziz, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa nazionale (Ani) citata dalla Misna, nel discorso alla nazione pronunciato in occasione dell’inizio del nuovo anno. In Mauritania, tra gli ultimi Paesi al mondo ad abolire per legge la schiavitù nel 1981, il reato di riduzione in servitù è considerato ufficialmente un crimine dal 2012, che prevede fino a 10 anni di carcere. Le associazioni per i diritti umani, molto attive nel tentativo di contrastare il fenomeno, hanno lamentato finora uno scarso interesse da parte delle autorità, che non hanno mai verificato, con indagini sul campo, la pervasività e diffusione della schiavitù. A dicembre scorso, le Nazioni Unite hanno insignito del premio Onu per i diritti umani l’attivista anti-schiavitù Biram Dah Abeid, presidente dell’organizzazione ‘Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste de Mauritanie (Ira), da anni in prima linea a favore dell’abolizione della schiavitù. Nonostante le autorità di Nouakchott abbiano varato nel 2007 una legge che criminalizza la schiavitù, le stime più diffuse stabiliscono in 50.000 il numero di uomini, donne e bambini che vivono tutt’ora in stato di sottomissione forzata. Mentre gli schiavisti denunciati ottengono importanti sconti di pena e le forze dell’ordine spesso ostacolano l’abolizione effettiva, gli attivisti che denunciano il perdurare della pratica vengono invece criminalizzati.

    inizio pagina

    Malaysia, sequestrate centinaia di Bibbie: riaperta questione su uso del nome “Allah” per i cristiani

    ◊   In Malaysia, la polemica sull’uso del nome “Allah” per indicare Dio nei testi cristiani in lingua malese si riaccende, come pure l’opposizione alla sua proibizione sui mass media stabilita tempo fa dalla Corte Suprema. Le autorità addette alla tutela della fede islamica - riferisce la Misna - hanno sequestrato centinaia di Bibbie in possesso di un gruppo cristiano e hanno fermato due dei suoi responsabili. Il provvedimento, come temuto, riguarda una lettura radicale della decisione dei giudici, che avevano sentenziato la proibizione dell’uso di “Allah” da parte del settimanale cattolico diocesano di Kuala Lumpur e limitatamente alla sua edizione in lingua malese. Un verdetto accolto con soddisfazione negli ambienti islamisti e interpretato come vincolante per qualunque pubblicazione non islamica, incluse le versioni in lingua malese della Bibbia. Una interpretazione restrittiva che era stata smentita dal premier Najib Razak. dopo il pronuciamento di ottobre. Razak aveva allora rassicurato i cristiani e le altre minoranze che il verdetto non avrebbe toccato diritti e abitudini consolidati non in contrasto con la sensibilità islamica del Paese. La decisione dei funzionari del Ministero per gli Affari religiosi di sequestrare 300 copie della Bibbia pubblicate dalla Società biblica malese nello stato di Selangor, nelle vicinanze della capitale, riaccende timori di ulteriori iniziative di sapore persecutorio verso le fedi minoritarie.

    inizio pagina

    Indonesia, un rapporto invoca piano nazionale urgente per debellare il terrorismo

    ◊   I gruppi terroristi di matrice islamica radicale in Indonesia sono più deboli rispetto al passato, ma restano tuttora pericolosi. Per debellarli occorre, da un lato, uno sforzo coordinato della polizia e dall’altro un “programma nazionale di de-radicalizzazione” per smontare l’ideologia terrorista e promuovere l’educazione al dialogo e all’armonia a partire dalle scuole. E’ quanto afferma un nuovo rapporto pubblicato dall' “Institute for Policy Analysis of Conflict” (IPAC), think-tank con sede a Giacarta. Nel testo, inviato all’Agenzia Fides, si afferma che gli ordigni utilizzati negli attentati terroristici messi in atto nel 2013 dimostrano minori competenze tecnologiche e sono stati di minore efficacia distruttiva; e molti attentati sono, fortunatamente, falliti. Tuttavia “resistono le reti di estremisti che continuano a portare attacchi al sistema e a seminare odio”, che rimangono “una latente minaccia alla sicurezza nazionale”. Se l’impatto del terrorismo è di minore efficacia, il radicalismo è tuttora vivo: e per avere un reale successo nella lotta al terrorismo, l’Indonesia ha bisogno di un “programma di de-radicalizzazione” – afferma il rapporto – che non si limiti a “curare” le vittime dell’indottrinamento, ma che possa “prevenire la radicalizzazione”. L’Agenzia nazionale antiterrorismo ha avviato la costruzione di uno specifico “Centro di riabilitazione” per gli estremisti, già arrestati e condannati, al fine di permetterne il reinserimento nel tessuto sociale. Ma, secondo il rapporto, finora l’Indonesia ha tenuto un “approccio morbido”: le istituzioni statali dovrebbero lavorare meglio in concerto con le comunità e le istituzioni locali. Un punto nodale è costituito dalla scuola e dal sistema di istruzione, che dovrebbe educare le nuove generazioni a valori come pace, armonia e pluralismo, tipici della tradizione indonesiana. Secondo il testo, un altro ambito da monitorare, cruciale per la lotta al terrorismo, è, infine, il “cyberspazio”, dato che molti gruppi radicali utilizzano Internet per incontrarsi, per tenersi in contatto, per organizzare le loro azioni criminose.

    inizio pagina

    Tradizionale viaggio dei vescovi di Nord America, Ue e Sudafrica in Terra Santa e Gaza

    ◊   “Comprendere la realtà sociale, politica ed ecclesiale della Terra Santa per sostenere con più efficacia la giustizia e la pace; supportare gli sforzi della Chiesa locale; aiutare la missione del nunzio apostolico riguardo agli accordi fondamentali”: è quanto si propone l’Holy Land Coordination (Hlc), il Coordinamento dei vescovi di Nord America, Canada, Sudafrica e Ue per la Terra Santa, che si ritroverà a Gerusalemme dall’11 al 16 gennaio per un appuntamento diventato ormai tradizionale. L’iniziativa, infatti – riferisce il Sir - si svolge dal 1998 ogni anno in gennaio. Il programma dei lavori prevede una visita di due giorni nella Striscia di Gaza, dove i vescovi incontreranno la piccola comunità cristiana locale ed esponenti della società civile, conferenze con ambasciatori e diplomatici della comunità internazionale con base a Tel Aviv, incontri con gli studenti dell’università di Betlemme e con i cristiani del villaggio di Beit Sahour. In agenda anche visite nella valle di Cremisan dove il muro israeliano minaccia la sussistenza di oltre 50 famiglie cristiane e progetti finanziati dalle diverse conferenze episcopali attraverso agenzie cattoliche. Di particolare interesse sarà il meeting con l’assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa e con il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, previsto per il 15 gennaio.

    inizio pagina

    Venezuela. Il card. Urosa: il 2014 sia all’insegna del dialogo e della pace

    ◊   “Preghiamo perché i dirigenti dei diversi settori della vita sociale e politica del Venezuela si sforzino sempre di dialogare, al fine di risolvere i problemi del Paese”: questo il cuore del messaggio per il nuovo anno diffuso dal card. Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas. Riprendendo, in particolare, alcuni spunti del messaggio del Papa per la 47.ma Giornata mondiale della pace – celebrata il primo gennaio sul tema “Fraternità, fondamento e via per la pace” – il porporato ha esortato i fedeli “a vivere come fratelli e a lavorare costantemente per la pace in famiglia, in comunità, sul lavoro, nella vita sociale e politica”. L’arcivescovo di Caracas ha inoltre evidenziato l’importanza di pregare per porre fine alla violenza ed ha ricordato che “la gioia, la serenità, la pace e la felicità si raggiungono solo seguendo il cammino della bontà e dell’amore, ascoltando e mettendo in pratica la Parola di Dio”. Sulla scia di quanto detto tante volte da Papa Francesco, quindi, il card. Urosa ha ribadito come “la felicità non si trova nel denaro, nel potere o nel soddisfare i propri desideri, bensì nell’ascoltare Gesù”. Un particolare augurio il porporato l’ha inoltre rivolto ai giovani, affinché “accolgano Cristo come loro maestro e modello, Colui che ci indica la vera via della felicità”. Per tutti i fedeli, infine, l’auspicio è che il 2014 permetta loro di “essere sempre strumenti di pace”. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    L’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham ha il suo primo monastero femminile

    ◊   L’Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham, istituito nel 2011 per accogliere i fedeli e il clero anglicano desiderosi di entrare nella Chiesa cattolica secondo quanto stabilito dalla Costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum Coetibus”, ha il suo primo monastero femminile. Si tratta del Monastero delle Suore della Beata Vergine Maria di Oscott Hill, a Birmingham, inaugurato ufficialmente il primo gennaio, Solennità di Maria Madre di Dio, in occasione del primo anniversario dell’ingresso delle religiose, già membri della comunità anglicana di Wantage, nell’Oxfordshire, in piena comunione con Roma. Il Decreto di erezione è stato letto durante una solenne Messa presieduta dall’Ordinario mons. Keith Newton nelle cui mani le dieci religiose hanno emesso la professione solenne. Nell’omelia, il presule ha evidenziato come la scelta del primo gennaio per inaugurare il monastero fosse quanto mai opportuna per segnare il nuovo inizio di una comunità religiosa affidata alle cure materne della Madre di Dio che, ha detto, ci insegna “in modo unico, ma semplice ed efficace, come essere discepoli di Suo Figlio”. Citando la descrizione di Paolo VI della Madonna come “Vergine solerte”, la cui fede discende dalla sua vita di contemplazione, mons. Newton ha ricordato che questa è la vocazione alla quale le religiose del nuovo monastero sono state chiamate: “Maria ci ha insegnato a ponderare il Mistero di Dio, per ascoltare la Sua voce nei nostri cuori. Per noi – ha concluso – sarete il cuore orante del nostro Ordinariato”. "Questa giornata è stata per noi un misto di grande solennità e di gioia profonda”, ha affermato, da parte sua, Madre Winsome chiamata da mons. Keith Newtona guidare la nuova comunità per un periodo di tre anni. “Avere la possibilità di rinnovare pubblicamente i nostri voti solenni e di condividere questo momento è stato un dono di Dio a ciascuna di noi e a tutta la comunità della Beata Vergine Maria”. (G.P.)

    inizio pagina

    Svizzera. Più di 23 mila risposte per il questionario sulla famiglia. I vescovi: segnale di dialogo

    ◊   Sono state oltre 23mila le risposte dei fedeli svizzeri al questionario sulla famiglia, proposto dall’Istituto di sociologia pastorale di San Gallo, in accordo con la Conferenza episcopale locale (Ces). Lo rendono noto i vescovi elvetici in un comunicato, in cui sottolineano come “le risposte abbiano superato le aspettative” e siano il segno di una “cultura approfondita del dialogo” sulle questioni riguardanti “la pastorale matrimoniale, familiare e la vita di coppia”. “Questa consultazione – spiega Arnd Bünker, direttore dell’Istituto – inaugura una nuova forma di comunicazione tra i fedeli ed i responsabili della Chiesa in Svizzera”, con l’obiettivo di “restaurare un legame di fiducia”. Tutto ciò grazie anche al magistero di Papa Francesco, poiché “molte persone si dicono positivamente sorprese dal vedere che il Pontefice si interessa delle loro situazioni specifiche”. Da ricordare che il questionario proposto dall’Istituto di sociologia pastorale è un vero e proprio sondaggio elaborato in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia, indetto da Papa Francesco dal 5 al 19 ottobre prossimi. Tale sondaggio invita i fedeli ad esprimere i loro auspici sull’Assemblea episcopale, quindi a guardare al futuro. In questo, tale questionario si differenzia dalle domande contenute nel documento preparatorio del Sinodo, diffuso il 5 novembre scorso, che mirano invece a delineare lo ‘status quo’ della Chiesa. I risultati di entrambe le consultazioni verranno comunque trasmessi alla Segreteria del Sinodo che, sulla base di essi, redigerà redatto l’Instrumentum Laboris, ovvero il documento di lavoro dell’Assemblea episcopale straordinaria. (I.P.)

    inizio pagina

    Il 5 gennaio la Chiesa belga celebra la “Giornata dell’Africa”

    ◊   “Insieme, confidiamo nel futuro”: questo lo slogan della “Giornata dell’Africa” che la Chiesa del Belgio si appresta a celebrare domenica 5 gennaio. L’evento, che ricorre ogni anno in prossimità della solennità dell’Epifania, mira alla solidarietà con i Paesi africani della Regione dei Grandi Laghi, in particolare Burundi, Repubblica democratica del Congo e Rwanda. Le collette raccolte durante le Messe del giorno, saranno quindi devolute alle popolazioni di tali Paesi. Ad occuparsi della distribuzione dei fondi sarà Missio, lo specifico organismo della Chiesa locale che si occupa di carità e solidarietà. “Poche nazioni – si legge sul sito della Conferenza episcopale belga – hanno inviato missionari in Africa quanto il Belgio”. Ma “per rendere possibile tale opera evangelizzatrice”, i missionari devono “poter contare su persone che sostengano efficacemente il loro apostolato”. Di qui, l’appello a contribuire generosamente all’iniziativa, che va avanti dal 2005. Notevoli i risultati raggiunti fino ad ora: basti citare i 31.200 euro inviati lo scorso anno in Rwanda e la grande campagna di preghiera portata avanti in tutto il Paese. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 3

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.