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Sommario del 02/01/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa alla Chiesa del Gesù. P. Bellucci: per i gesuiti occasione per tornare alle fonti della propria spiritualità
  • Tweet del Papa: Dio non si rivela nella potenza, ma nella debolezza di un neonato
  • Il card. Vallini: il Papa chiede alla sua diocesi di Roma di mettere al centro la gratuità
  • Mons. Feroci: Papa Francesco vuole che Roma sia la capitale dell’aiuto al prossimo
  • Vaticano, incontro sulla Siria. Mons. Sorondo: necessaria tregua e corridoi umanitari
  • Nomina episcopale di Papa Francesco in Uganda
  • Oltre 6 milioni e 600mila i fedeli presenti agli incontri con Papa Francesco in Vaticano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Somalia, gli Shabab rivendicano attentato. Mons. Bertin: popolazione emargini estremisti
  • Sud Sudan: al via i colloqui tra governo e ribelli, ma gli scontri non si arrestano
  • L'Ue apre le frontiere del lavoro a romeni e bulgari. Boeri: vantaggi per i Paesi che li accoglieranno
  • Il titolo Fiat vola in Borsa: governo e sindacati ottimisti
  • Capodanno: i lampedusani aprono le case ai profughi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Centrafrica: appello congiunto all'Onu dell'arcivescovo e dell'imam di Bangui
  • Situazione ancora critica nel nord del Centrafrica
  • Terra Santa. Il patriarca Twal: "Lavorare per una pace giusta e duratura"
  • Siria: la cittadina cristiana di Maaloula segno della crisi della civiltà araba
  • Pakistan. I leader religiosi: il 2014 sia un “anno della pace” nel Paese
  • India: in vigore la nuova legge anti-corruzione
  • Usa: gennaio, mese dedicato alla povertà. Le iniziative dei vescovi
  • Gran Bretagna. L’arcivescovo anglicano Welby: lotta alla povertà, priorità del nuovo anno
  • Taizé: prossimo incontro a Praga. L'invito del card. Duka
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa alla Chiesa del Gesù. P. Bellucci: per i gesuiti occasione per tornare alle fonti della propria spiritualità

    ◊   Domani mattina alle 9.00, Papa Francesco si recherà alla Chiesa del Gesù per celebrare la Messa nel giorno della ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù. La celebrazione avrà un carattere di ringraziamento per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 dicembre scorso, di Pietro Favre, primo sacerdote gesuita. Saranno presenti il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale vicario Agostino Vallini, il vescovo di Annecy, mons. Yves Boivineau, nella cui diocesi è nato Favre, e circa 350 gesuiti. Su questa giornata Sergio Centofanti ha sentito padre Giuseppe Bellucci, direttore dell’Ufficio stampa della Compagnia di Gesù a Roma:

    R. – La caratteristica più interessante, forse, è che sono stati scelti sei rappresentanti per le sei Conferenze dei provinciali in cui è divisa la Compagnia di Gesù. Rappresenteranno simbolicamente un po’ tutta la Compagnia. Alla fine della celebrazione, il Papa ha espresso il desiderio di salutare singolarmente tutti i gesuiti presenti.

    D. – Cosa significa per voi gesuiti la ricorrenza liturgica del Santissimo Nome di Gesù?

    R. – Il Nome di Gesù è il “Titolo” della Compagnia. Sant’Ignazio ha voluto che la Compagnia da lui fondata fosse insignita del Nome di Gesù. Per noi, quindi, è la festa principale. Che il Papa abbia scelto la festa di Gesù per ringraziare per questo nuovo santo e per celebrare con i gesuiti, a noi sembra estremamente significativo.

    D. – Quali sono le principali caratteristiche di questo nuovo santo, Pietro Favre?

    R. – Beh, intanto una profonda spiritualità, che potremmo chiamare la spiritualità di tutte le cose. Potremmo dire che è una spiritualità in cammino, perché lui ha viaggiato molto per l’Europa. E’ anche un precursore, in un certo senso, del dialogo ecumenico: ha lavorato molto nel tempo della Riforma e della Controriforma cattolica, ma sempre in uno spirito di dialogo, in un atteggiamento di comprensione. Credo, quindi, che in questo senso sia un santo estremamente moderno.

    D. – Con quale spirito accogliete il Papa gesuita?

    R. – Per noi, certamente, è un momento di gioia incontrare il Papa, un nostro confratello. C’è certamente attesa per il messaggio che lui vorrà darci. Direi poi che sia un momento opportuno anche per noi gesuiti di tornare alle fonti, all’origine della nostra spiritualità per approfondire quelle che, per Favre e per i primi compagni di Sant’Ignazio, sono stati i fondamenti della nostra vita come gesuiti.

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    Tweet del Papa: Dio non si rivela nella potenza, ma nella debolezza di un neonato

    ◊   Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet: “Dio – scrive - non si rivela nella forza o nella potenza, ma nella debolezza e nella fragilità di un neonato”.

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    Il card. Vallini: il Papa chiede alla sua diocesi di Roma di mettere al centro la gratuità

    ◊   Roma è unica, ma sarà ancora più bella se, con il nuovo anno, sarà più ricca di umanità. Le parole di Papa Francesco ai Vespri dell’ultimo dell’anno rappresentano una sfida per la diocesi di Roma. A sottolinearlo, al microfono di Luca Collodi, è il cardinale vicario Agostino Vallini:

    R. - Il Papa che visita le parrocchie, che raggiunge le periferie, vede anche i segni di povertà, di sofferenza ed anche il bene che c’è a Roma, ed è tanto. Questa nostra città negli ultimi 60 anni è cresciuta di più di un milione di persone; noi non abbiamo mai smesso di costruire chiese nuove nei nuovi quartieri. È chiaro che oggi, anche con l’immigrazione, non più dall’Italia ma dalle diverse parti del Sud del mondo e anche dai Paesi dell’Est Europa in numeri così rilevanti, vengono poste alla città questioni di accoglienza e di assorbimento sociale che stentano ad andare avanti. A questo si aggiunge la crisi economica generale e questo pone una serie di questioni che dal punto di vista pastorale stiamo affrontando ormai da anni, con la moltiplicazione delle iniziative della Caritas diocesana ed anche delle altre attività ed associazioni presenti a Roma. È chiaro che bisognerebbe a livello politico affrontare con maggiore coraggio i motivi della crisi.

    D. – Forse oggi la politica ha perso l’idea di servire una comunità e questo forse potrebbe rendere difficile anche politiche di integrazione e di solidarietà; penso alla Roma dei quartieri dove un tempo la solidarietà era una caratteristica molto forte…

    R. – Sì, certo. Lo dico con sofferenza perché mentre parlo con lei, come pastore, mi sento anche cittadino: purtroppo – l’ha ripetuto l’altra sera anche il presidente della Repubblica – noi abbiamo bisogno di una classe politica che abbia più a cuore tali situazioni e che non perda tempo quando si tratta di affrontare questioni e riforme così urgenti. Questo certamente non avvicina le persone alla politica che, non dimentichiamolo mai, Paolo VI definiva come “la più alta forma di carità sociale”. Se tutti noi lavorassimo, ognuno con la sua parte – chi nelle strutture istituzionali e di governo, chi in mezzo alla strada come i cittadini – se cooperassimo per il bene di tutti! Certo, questa è una visione di vita diversa. Oggi facciamo fatica a vederla.

    D. – Roma ha una grande ricchezza: il suo patrimonio spirituale e culturale e lo ha ricordato anche il Papa. Secondo lei non c’è il rischio che Roma diventi un museo a cielo aperto e non una città viva?

    R. – E’ vero, ci sono trasformazioni: Roma oggi è una città cosmopolita, multietnica e multireligiosa, però è anche vero che la Chiesa, la comunità cristiana è presente sul territorio in maniera diffusa e capillare, anche con grande impegno sotto il profilo prima di tutto della testimonianza della vita cristiana e poi della carità. Non c’è parrocchia, non ci sono iniziative associative che non sentono il bisogno di farsi prossimi, particolarmente in questo tempo, ma io direi sempre; naturalmente non si riesce poi a soddisfare tutta la mole di bisogni che oggi abbiamo. Certo, però è cresciuta la coscienza di carità, ma non basta la carità: ci vogliono criteri di costruzione della società civile, quelli che Papa Benedetto XVI richiamava nella "Caritas in veritate". Il concetto di “gratuità” deve entrare anche nella vita sociale, nei rapporti di lavoro che non possono essere soltanto gestiti da una visione “mercantile” dell’interesse e dell’utile.

    D. – La Chiesa di Roma come si sente impegnata nel contribuire alla vita spirituale ma anche civile della città di Roma?

    R. – Il nostro cammino pastorale va proprio in questa direzione: ormai, sono cinque anni dopo l’esperienza della missione cittadina - in occasione del Giubileo - in cui noi ci siamo posti nuovamente, in maniera costante, il bisogno di sviluppare una pastorale missionaria, cioè una pastorale che riporti la proposta cristiana della fede al fondamento della vita. In questo senso il cammino, seppur lento rispetto alla proposta, è un cammino che guadagna spazio.

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    Mons. Feroci: Papa Francesco vuole che Roma sia la capitale dell’aiuto al prossimo

    ◊   A Roma sentiamo forte il "contrasto" tra “bellezza artistica e disagio sociale”. Le parole di Papa Francesco ai Vespri del 31 dicembre hanno avuto un ampio risalto. Il vescovo di Roma ha, infatti, sottolineato quale dovrebbe essere il patrimonio più prezioso della Città Eterna: l’amore verso il prossimo e dei bisognosi in particolare. Su questo appello del Papa, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:

    R. – La prima cosa è la sua attenzione, la sottolineatura - e lo fa sempre! – ad aprire gli occhi. Credo quindi che sia molto giusto che lui, a noi cristiani di Roma, faccia vedere la ricchezza di questa città, che ha una storia così grande e importante. Ci ha fatto vedere sì la ricchezza, ma anche ci dice: “Voi che vivete qui, in questa città, non dovete chiudere gli occhi!”. Credo che questa sottolineatura – l’importanza ossia di saper aprire gli occhi – è un tema che sta a cuore a Papa Francesco: prendere coscienza dei nostri fratelli, perché ci appartengono. Mi sembra che per Roma abbia molta importanza questa parola del Papa.

    D. – “A Roma - ha sottolineato il Papa – c’è una bellezza artistica unica”: evidentemente il Papa però ci ricorda che la prima bellezza è la persona, le persone che vivono a Roma…

    R. – Credo che il Papa ci voglia dire questo! Ci sono tante persone che vengono a Roma, attratti da una cultura millenaria: vengono qui e tornano nei loro Paesi, dicendo di aver visto delle bellezze uniche. E questo lo sappiamo tutti quanti. Ma – come ci dice il Papa e quello che dovremmo dire tutti quanti – noi vorremmo che tutti i turisti che vengono a Roma, tornino nei loro Paesi non solamente dicendo: “Ho visto una bella città", ma "Ho visto anche una umanità, un’attenzione, una solidarietà, un’attenzione agli ultimi, ai poveri”. Lui vuol dire questo. Ci suggerisce di essere attenti alla persone, perché nella persona – e ce lo dice tante volte – è presente Cristo.

    D. – La Roma dell’anno nuovo – ha detto il Papa – avrà un volto ancora più bello se sarà ancora più ricca di umanità. Questo è un impegno che il vescovo lancia ai suoi fedeli, ai fedeli della sua diocesi…

    R. – Mi sembra che sia uno stimolo ancora più forte! Noi come Caritas abbiamo ricevuto nel periodo di Natale, probabilmente sotto la spinta della parola di Papa Francesco, tantissime richieste di persone che volevano mettersi al servizio dei poveri e degli ultimi nelle mense, nell'animazione dell’ultimo dell’anno. Noi abbiamo dovuto stoppare, abbiamo dovuto dire di no a tante persone, perché altrimenti sarebbero stati molti più i volontari di quanto potevano essere gli ospiti nei pranzi e nei cenoni che abbiamo fatto in questo periodo. Questo mi sembra sia un segnale molto, molto bello: persone che si interrogano e che, dietro la parola del Papa, si mettono anche in moto e si mettono a disposizione e al servizio degli altri.

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    Vaticano, incontro sulla Siria. Mons. Sorondo: necessaria tregua e corridoi umanitari

    ◊   Centoventiseimila morti e 300mila orfani in tre anni di conflitto: sono i drammatici numeri della crisi siriana che ancora non vede soluzione. Di quanto sta accadendo nel Paese si discuterà in Vaticano il prossimo 13 gennaio nel corso di un workshop: “Siria - si può restare indifferenti?”. L’incontro è stato promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze, tra i partecipanti, l’ex premier britannico Tony Blair ed il premio Nobel per la pace Mohammed El Baradei. Al microfono di Benedetta Capelli, ce ne parla il cancelliere dell’Accademia, mons. Marcelo Sánchez Sorondo:

    R. – L’incontro è in linea con l’impegno dimostrato dal Papa: ricordo il suo digiuno nel momento in cui la situazione era drammatica e la sua lettera al presidente Putin, allora presidente del G20, nella quale si chiedeva ai governi interessati di riconsiderare il tema del bombardamento ... un gesto che - come sappiamo - ha ottenuto l’effetto desiderato. Adesso ci sarà un prossimo incontro, Ginevra 2. Quindi, vogliamo promuovere un evento per studiare un po’ le soluzioni e offrire al Papa qualche elemento in più.

    D. - Quali sono le proposte sulle quali discuterete?

    R. - Il cessate il fuoco per rendere possibile l’aiuto umanitario, per creare corridoi umanitari che al momento non ci sono; la cessazione della persecuzione contro i cristiani e dunque del cosiddetto “martirio interreligioso”. L’ideale sarebbe di promuovere la creazione di un’eventuale autorità transitoria al fine di organizzare delle elezioni. Loro hanno una Costituzione, ma la devono rispettare! E allo stesso tempo vogliamo contrastare la tratta delle persone, la prostituzione: temi cari al Papa insieme a quello della globalizzazione dell’indifferenza. Queste sono un po’ le nostre proposte ideali.

    D. - Lei ha parlato di Ginevra 2: ma, secondo, lei ci sono reali possibilità di trovare un'intesa tra i vari attori che discutono del bene della Siria?

    R. - Se si fa l’incontro è perché qualche possibilità c’è! Speriamo bene. È molto difficile, ma penso che - così come abbiamo evitato le bombe - qualcosa in questo incontro si potrà ottenere, almeno spero nella creazione di corridoi umanitari.

    D. - I numeri di questo conflitto sono veramente impressionanti. Il titolo del vostro workshop: “Siria - si può restare indifferenti?”, ovviamente li richiama. Il mondo è stato davvero indifferente di fronte alla tragedia siriana?

    R. - Il problema è che ci sono tanti interessi che si incrociano, tante responsabilità. Forse i diversi leader hanno guardato più ai loro interessi che non a quello comune, ovvero evitare i circa 130 mila morti ed i tanti bambini rimasti orfani, senza genitori. Per non parlare degli altri drammi delle famiglie, l’esodo della gente, specialmente dei cristiani. Tante persone - anche vescovi - sono scomparse. Insomma, la situazione è drammatica. Questo, evidentemente, mostra ancora di più quella che il Papa chiama “la globalizzazione dell’indifferenza”. È inspiegabile che nessuno possa mettere fine a questa guerra che dura da tre anni! Piuttosto, in questo momento, bisogna partire dal dramma e cercare di trovare una soluzione il prima possibile.

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    Nomina episcopale di Papa Francesco in Uganda

    ◊   In Uganda, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Tororo, presentata da mons. Denis Kiwanuka Lote, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato arcivescovo di Tororo mons. Emmanuel Obbo, della Congregazione degli Apostoli di Gesù, finora vescovo di Soroti (Uganda). Lo stesso presule è stato nominato amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della diocesi di Soroti.

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    Oltre 6 milioni e 600mila i fedeli presenti agli incontri con Papa Francesco in Vaticano

    ◊   Oltre 6 milioni e 600mila fedeli hanno partecipato ai vari incontri in Vaticano con Papa Francesco nel corso del 2013. Lo riferisce la Prefettura della Casa Pontificia sottolineando, tuttavia, che si parla di “dati approssimativi” che vengono calcolati sulla base delle domande di partecipazione agli eventi pervenute alla Prefettura e dei biglietti distribuiti, come pure su una stima sommaria delle presenze a momenti come l’Angelus o il Regina Coeli e le grandi celebrazioni in Piazza San Pietro, a partire dal marzo scorso. I dati non comprendono, dunque, gli incontri fuori dal Vaticano, vissuti dal Papa con una grande partecipazione di fedeli, come il viaggio apostolico in Brasile nel mese di luglio per la Gmg di Rio de Janeiro, le tre visite in Italia, a Lampedusa, Cagliari e Assisi, e le visite nella diocesi di Roma.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per una pace fatta in casa: Papa Francesco celebrando la giornata mondiale indica da dove ripartire per portare giustizia e verità a tutti gli uomini.

    Non lo vedo ma continuo a cercarlo: Maria Lucrecia Romera sulla storia insuperabile di Gesù in Jorge Luis Borges.

    Il secolo incapace di finire: il Papa e la fine del Novecento.

    Ciò che più desideriamo: un inedito di Paolo VI in occasione del Natale.

    Anna Foa recensisce il volume di Lucette Valensi "Stranieri familiari. Musulmani in Europa (XVI-XVIII secolo)".

    Il gesuita e l'astronomo che osservarono il Sole: Ileana Chinnici su due pionieri dell'astrofisica nell'Italia di fine Ottocento.

    Per non dimenticare: Alessandro Scafi recensisce la mostra, alla National Gallery di Londra, sui ritratti della Vienna del Novecento.

    Nuova missione del segretario di Stato statunitense in Vicino Oriente.

    Riforme e sacrifici dalla politica per un futuro di speranza: il messaggio di fine d'anno del presidente Napolitano.

    Il mensile "donna chiesa mondo" dedicato alla famiglia con il primo inserto per una teologia della donna.

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    Oggi in Primo Piano



    Somalia, gli Shabab rivendicano attentato. Mons. Bertin: popolazione emargini estremisti

    ◊   In Somalia sale a 11 morti il bilancio delle vittime dell’attentato di ieri all’Hotel Jazeera di Mogadiscio, rivendicato dagli islamici di al-Shabab. L’hotel si trova sulla strada che porta all’aeroporto di Aden Adde, frequentato da funzionari di governo e da stranieri. Elisa Sartarelli ha chiesto a mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, se crede ci sia il pericolo di nuovi attacchi terroristici:

    R. – Certamente continueranno questi attacchi finché le nuove autorità non avranno preso in mano veramente la situazione e finché la popolazione stessa non deciderà di rigettare questi elementi estremisti. Non è da escludere anche che vi siano delle formazioni che utilizzano il nome degli al-Shabaab ma che hanno interessi personali o di gruppo.

    D. – Le nuove istituzioni statali non hanno ancora il pieno controllo della situazione, ma dopo la sua visita a Mogadiscio lei aveva trovato dei segni di speranza…

    R. – Sì, ho trovato segni di speranza, soprattutto perché ho trovato delle persone, dei somali, disposti a sacrificarsi per il bene della propria nazione. Quindi rimane in me questa speranza, ma devo anche dire che le cose vanno molto più lentamente di quanto io immaginassi.

    D. – Quale può essere la strada per dare alla Somalia una stabilità?

    R. – Come ho detto altre volte, la perseveranza nel sostegno da parte della Comunità internazionale e allo stesso tempo all’interno della struttura statale stessa. Se da una parte la divisione, l’allontanamento del primo ministro Abdi Farah Shirdon, un mese fa, può essere un segno di democrazia - proprio perché è stato il Parlamento a bocciarlo - dall’altra parte sta ad indicare che c’è ancora della faziosità e che i Somali hanno bisogno di crescere in un senso di maggior unità tra loro stessi e che sappiano anche mettere da parte tutto questo tribalismo o faziosità che si presenta sotto forme diverse.

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    Sud Sudan: al via i colloqui tra governo e ribelli, ma gli scontri non si arrestano

    ◊   Non si fermano le ostilità in Sud Sudan: in due provincie del Paese, dove sono in corso violenti scontri tra forze fedeli al presidente Salva Kiir e i ribelli, è stato dichiarato lo stato di emergenza. Intanto, oggi prendono il via anche i colloqui informali tra le parti, mediati dall’Etiopia. Il servizio di Davide Maggiore:

    Lo stato di emergenza è in vigore negli stati di Jonglei e Unity, di cui i ribelli controllano i capoluoghi. È la prima volta, dall’inizio dei combattimenti - a metà dicembre - che il capo dello Stato, Salva Kiir, fa uso di questo potere. A Juba è stata costituita anche un’unità di crisi, affidata direttamente al vicepresidente James Wani Igga, mentre dal terreno giunge la notizia che migliaia di soldati governativi sono stati inviati a Bor, in Jonglei, nel tentativo di riprenderla dalle mani dei ribelli: i media locali hanno segnalato inoltre episodi di saccheggio, soprattutto ai danni di commercianti stranieri che si trovavano ancora in città. In questo clima sono arrivati in Etiopia, ad Addis Abeba, gli otto negoziatori governativi, che devono incontrare quelli scelti dal leader dei ribelli, Riek Machar, per iniziare i colloqui voluti dai Paesi della regione: la speranza dei mediatori è quella di arrivare almeno all’accordo per un cessate-il-fuoco.

    Nonostante le trattative faticosamente avviate, però, gli scontri si stanno estendendo ad altre parti del Paese. Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza del dott. Paolo Setti Carraro, di Medici con l’Africa–Cuamm, che opera nell’ospedale di Lui, città nella provincia di Western Equatoria:

    R. – Nelle ultime due settimane gli scontri hanno coinvolto principalmente cinque Stati a Nord e ad Est del Paese. Questa mattina, purtroppo, c’è stato uno scontro: c’è stata un’imboscata, ed è stato attaccato un accampamento di soldati, a cinque miglia circa da Mundri, grossa città della Western Equatoria. Quindi anche in questo Stato sembra che comincino i conflitti. Questo accampamento è stato attaccato da persone non identificate, che hanno sparato ai soldati che stavano riposando. Al momento abbiamo due morti e dieci feriti.

    D. – In che condizioni vi trovate a operare, a dover curare i feriti?

    R. – La situazione è questa: io sono l’unico chirurgo dell’ospedale, ho due tecnici di anestesia che mi assistono e poi c’è il personale infermieristico, sia nazionale sia internazionale. Quindi, la situazione è quella di dover far fronte a queste emergenze con uno staff in numero limitato.

    D. – Negli scorsi giorni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato anche un allarme appunto per la carenza di personale sanitario e il rischio che si possano diffondere epidemie, in seguito alla fuga del personale dalle zone in conflitto. Qual è la situazione umanitaria nell’area in cui lei si trova, nel Western Equatoria?

    R. – Quest’ospedale è un ospedale che serve tre contee, quindi circa 150 mila abitanti, ed è l’unico ospedale di queste tre contee. Più a Nord c’è l’ospedale di Yirol, dove in questo momento ci sono due medici italiani del Cuamm, che cominciano, anche loro, ad avere problemi, perché si sta combattendo a circa 20 km dalla città. Ci sono scaramucce un po’ in tutto il Paese. Il grosso problema è che la città di Bor, che era stata conquistata da Kiir tre giorni fa, è poi ricaduta nelle mani dei ribelli a distanza di 24 ore. Quindi, quello che ci si aspetta in questo momento è un’apertura di piccoli fronti sparsi per il resto del Paese e, forse, prossimamente un attacco a Juba, che sarebbe veramente un disastro umanitario. In questo momento soltanto da Bor sono fuggite, tre giorni fa, circa 25 mila persone. Tutti i centri delle Nazioni Unite, tutti i campi dell'Onu, accolgono sfollati e, al momento, sono circa 110 mila gli sfollati sotto la protezione delle Nazioni Unite. Ci sono dei grossi problemi di conflittualità, all’interno dei campi e tra l’interno e l’esterno dei campi: tentativi di vendette tribali, a cavallo dei confini dei campi; gente che esce e viene assalita; episodi di linciaggio all’interno dei campi tra persone di etnia diversa. E questo è un grossissimo problema per tutti quanti.

    D. - Migliaia di soldati in movimento. Nel Western Equatoria com’è la situazione?

    R. – La popolazione civile ha molta paura. Qui, la popolazione è prevalentemente moru e non ha nulla a che vedere né con i dinka né con i nuer. Sono, dunque, estranei allo scontro tribale. Soffrono, però, tale scontro, perché ci sono episodi di violenza sulle donne, di furti, di saccheggi di beni di prima necessità e quindi la gente sa che finirà con il pagare il prezzo di questi scontri, che non riguardano loro personalmente.

    D. – Dovrebbero cominciare oggi ad Addis Abeba dei colloqui preliminari...

    R. – Questa ipotesi di cessate-il-fuoco mi sembra abbastanza difficile da mantenere. Le truppe delle Nazioni Unite sono state rinforzate sulla carta, perché i contingenti arriveranno nella migliore delle ipotesi tra quattro o sei settimane dai Paesi confinanti.

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    L'Ue apre le frontiere del lavoro a romeni e bulgari. Boeri: vantaggi per i Paesi che li accoglieranno

    ◊   Fa discutere all'interno dell'Ue la fine delle restrizioni in tema di mobilità territoriale per i lavoratori di Romania e Bulgaria. Un percorso avviato sette anni fa e che ora secondo Regno Unito, Francia e Germania poterà ad una vera e propria migrazione di massa. Altri sostengono invece che lo spostamento riguarderà soprattutto i lavoratori specializzati così da beneficiare i Paesi che li accoglieranno. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro alla Bocconi di Milano:

    R. – Queste preoccupazioni ci sono sempre quando vengono tolte del tutto le restrizioni ai flussi migratori, però ricordiamoci anche quanto era successo in occasione del primo allargamento ad Est dell’Unione Europea: anche in quel caso ci furono preoccupazioni, ma la rimozione delle barriere alla mobilità dei lavoratori di questi Paesi non ha causato “quelle invasioni” che alcuni avevano paventato. In realtà si è trattato di un fenomeno molto più circoscritto e che, alla fine, ha dato benefici ai Paesi che hanno accolto questi lavoratori, a partire dal Regno Unito, l’Irlanda e i Paesi del Nord Europa.

    D. – La crisi economico-monetaria ha avuto pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro nel Vecchio Continente. Secondo lei, si sta andando verso la giusta direzione?

    R. – Ci sono delle differenze molto forti all’interno dell’Europa in quanto a condizioni del mercato del lavoro: abbiamo Paesi come la Germania, come l’Austria, dove la disoccupazione è molto bassa e addirittura quella giovanile è al di sotto delle due cifre; e poi abbiamo Paesi come la Spagna e l’Italia, dove purtroppo la situazione è molto grave. Credo che questo, il fatto cioè che vi sia maggiore mobilità del lavoro, sia un fatto positivo, che permetterà in qualche modo di livellare queste differenze molto forti: questi lavoratori andranno proprio dove il mercato del lavoro tira di più. Le altre cose che l’Europa sta facendo sono giuste: l’Unione bancaria è un passo davvero molto importante! Si procede però sempre molto lentamente… Bisognerebbe fare però molto di più soprattutto sul piano del coordinamento e della politica fiscale e poi riformando proprio il bilancio comunitario, che oggi è squilibrato perché va a sostenere delle attività – come, per esempio, ancora le risorse che vengono utilizzate per la politica agricola - che in realtà potrebbero essere meglio gestite a livello nazionale, mentre altre risorse comuni – a partire dalle infrastrutture, dalle politiche per l’ambiente, dalle politiche per la ricerca – andrebbero maggiormente potenziate e gestite a livello europeo.

    D. – La disoccupazione giovanile in Romania e Bulgaria è estremamente alta, ma in Europa la possibilità di trovare un lavoro per i giovani presenta molte differenze …

    R. – Innanzitutto i giovani che provengono da Romania e Bulgaria sono spesso delle persone altamente istruite e quindi i Paesi che ricevono queste persone ne beneficeranno grandemente. Per quanto riguarda poi le politiche per ridurre la disoccupazione giovanile, sono in realtà per lo più politiche che vanno gestiste a livello nazionale. Il fatto che vi siano delle differenze così forti tra diversi Paesi dell’Unione Europea lo dimostra: Paesi come la Germania e l’Austria riescono a gestire molto meglio la transizione dalla scuola al lavoro di quanto non facciano Paesi come l’Italia. Su questo bisogna assolutamente cambiare registro! A mio giustizio proprio l’esempio della Germania e dell’Austria ci dice che noi avremo bisogno di una formazione professionale avanzata anche a livello universitario di base, che faciliti proprio la formazione di quelle qualifiche intermedie che sono oggi altamente richieste anche dal nostro tessuto produttivo.

    D. – Proprio per abbattere queste differenze spesso si chiede di creare maggiore collegamento tra i luoghi di studio e quelli di lavoro...

    R. – Sì, penso che si debba agire in questa direzione, soprattutto. Noi abbiamo molte sedi universitarie sul territorio che non hanno probabilmente la forza e la capacità di raggiungere delle dimensioni tali per poter svolgere ricerca e didattica molto avanzata, ma possono sicuramente fare molto bene nel fornire una formazione professionale di base a contatto con le imprese, in cui lo studente passi metà del proprio tempo in università, nelle aule universitarie, e l’altra metà del suo tempo in azienda.

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    Il titolo Fiat vola in Borsa: governo e sindacati ottimisti

    ◊   Mattinata euforica in Borsa a Milano per il titolo Fiat, che è arrivata a guadagnare il 12%, dopo l’annuncio ieri dell’acquisto del 100% di Chrysler. I sindacati chiedono però alla casa torinese di rafforzare gli investimenti in Italia. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Un po’ tutti sembrano guardare con speranza alla nuova operazione della Fiat in terra Usa. I vertici dell’azienda in una lettera ai dipendenti assicurano che il nuovo gruppo sarà un modello di velocità e di efficienza. Per il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta "l'acquisto di Chrysler da parte di Fiat è la dimostrazione delle capacità dell'industria italiana sia in termini di immagini che sostanziali''. La Fiom-Cgil afferma che “prima di festeggiare”, serve “capire i termini dell'accordo”. Più ottimiste invece Uil, Ugl e Cisl. Il commento di Giuseppe Farina, segretario generale della Fim-Cisl:

    R. - É una notizia molto positiva per la Fiat, per i lavoratori della Fiat e per il nostro Paese, perché colloca la nostra industria nazionale in un contesto globale nuovo e in una dimensione nuova che aprirà nuove possibilità di mercato a livello internazionale.

    D. - Però, i dati ci dicono che il 2013 si è chiuso piuttosto male per la Fiat. Oggi, serve una svolta nella creatività italiana applicata alle automobili, secondo lei, anche e soprattutto in Fiat?

    R. - Tutti i nuovi prodotti sono quasi - più meno - stati definiti e da quelli che sono i risultati - penso alla 500, alla Panda - credo non ci sia un problema di qualità del prodotto Fiat, anzi: i successi che la tecnologia Fiat sta avendo anche negli Stati Uniti e in altre parti del mondo dimostrano che ci sono tutte le competenze e le capacità per produrre buone automobili. Il nostro problema è che c’è una crisi di consumi terrificante ed un governo che non sta reagendo come dovrebbe. Per cui oggi il vero pallino passa in mano al governo. La Fiat ha fatto degli investimenti, abbiamo un nuovo gruppo mondiale - che quindi guarda in modo più favorevole alle prospettive -, abbiamo fatto gli accordi sindacali, ci sono gli in investimenti in campo. Quello che manca è il mercato interno: quello europeo in generale, ma il mercato italiano in particolare. Ma questo dipende dalle politiche economiche del governo: se nessuno ha i soldi per acquistare macchine, diventa difficile chiedere alla Fiat di venderle.

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    Capodanno: i lampedusani aprono le case ai profughi

    ◊   Capodanno con due ospiti d’onore. Una famiglia di Lampedusa ha festeggiato l’inizio del 2014 con due giovani eritrei sopravvissuti ai naufragi del 3 e dell’11 ottobre. Si tratta di due dei 17 profughi rimasti nel centro di primo soccorso e accoglienza dell’isola siciliana. Il servizio è di Filippo Passantino:

    L’ultimo giorno dell’anno, sull’ultima isola in fondo all’Italia. Una mezzanotte speciale per Tami, soldato disertore di 23 anni, e Falus, 18 anni, l’unica donna rimasta al centro di accoglienza di Lampedusa in attesa di un interrogatorio giudiziario. Il loro 2013 è andato via con un cenone in una casa dell’isola, quella di Francesco Aiello ed Elisabetta Cappello. Al fianco dei due giovani eritrei, in libera uscita dal centro di accoglienza, c’erano tre generazioni di lampedusani. Tra luci, abbracci, presepi e cibo tutti insieme hanno rivolto lo sguardo al nuovo anno, come racconta Elisabetta Cappello, insegnante di lettere alla scuola media dell’isola:

    R. – Tutti e due avevano il sorriso negli occhi e soprattutto la ragazza con le bambine si è mostrata molto affettuosa: faceva loro le treccine! Abbiamo instaurato un bel rapporto. Penso che in un’isola, dove ancora vi è la presenza di ragazzi che purtroppo hanno vissuto una vera e propria tragedia, non ci fosse di meglio che far trascorrere loro una serata diversa, non lasciarli soli e stare insieme.

    D. – Il ragazzo ha raccontato che non aveva mai vissuto un Capodanno così e la ragazza si è detta per la prima volta felice di stare a Lampedusa...

    R. – A mezzanotte abbiamo brindato e poi ci siamo fatti gli auguri. Abbiamo detto che speravamo in un 2014 pieno di pace e pieno di serenità.

    D. – Durante la serata non si è parlato dei tragici naufragi che hanno vissuto. Il 2014 dei due giovani, sostengono i lampedusani, deve essere il tempo della speranza, il tempo di una nuova vita...

    R. – Sinceramente non abbiamo chiesto niente di proposito, anche perché avevamo capito che la ragazza non aveva voglia di parlare del terribile episodio. Invece, avevo parlato in classe con Tami, che quindi già conoscevo. Abbiamo fatto, infatti, un progetto sull’immigrazione e ho fatto sì che gli alunni potessero ascoltare l’esperienza di uno dei sopravvissuti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Centrafrica: appello congiunto all'Onu dell'arcivescovo e dell'imam di Bangui

    ◊   Nonostante l’intervento delle truppe francesi e di quelle africane, la situazione nella Repubblica Centrafricana, rimane precaria. “La Repubblica Centrafricana è ancora sull'orlo di una guerra dagli aspetti religiosi” avvertono mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, e Omar Kobine Layama, imam della capitale centrafricana, in un appello congiunto pubblicato dal quotidiano francese “Le Monde” e ripreso dall'agenzia Fides. “Più di due milioni di persone hanno disperatamente bisogno di aiuto, e circa 40.000 persone sono ammassate nell’area dell’aeroporto di Bangui, senza riparo né servizi igienici” scrivono i due leader religiosi che lanciano un appello per l’invio urgente nel Paese “di una forza dell’Onu per il mantenimento della pace dotata delle risorse necessarie per proteggere i civili in modo soddisfacente”. Nel frattempo la rete delle Caritas si è mobilitata per portare soccorso alle persone vittime del caos e della violenza. La Caritas degli Stati Uniti (Catholic relief services), con l’appoggio di quella francese (Secours Catholique), ha avviato un programma a favore di Bossangoa, città nel nord del Paese, dove dall’inizio dei combattimenti decine di migliaia persone si sono rifugiate nei pressi della missione cattolica. Il programma, che durerà fino ad agosto, prevede anche la distribuzione di aiuti ad un altro sito, dove la maggior parte degli sfollati sono musulmani. (R.P.)

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    Situazione ancora critica nel nord del Centrafrica

    ◊   “È ancora molto critica la situazione nella provincia di Ouham, nel nord della Repubblica Centrafricana, e in particolare nei dintorni delle città di Bossangoa e di Bouca. A Bouca, circa 700 case, ossia metà della città, sono state bruciate. Circa 500 persone sono all’interno della scuola della Missione cattolica della città, mentre alcune famiglie musulmane hanno trovato rifugio presso la casa dell’Imam locale. A Bossangoa, con la stagione delle piogge, le poche équipe che lavorano in ambito igienico-sanitario stanno lottando per non lasciare che lo spazio antistante alla Missione cattolica, dove 28.000 persone hanno cercato rifugio, si trasformi in una palude”. A ricordarlo - riferisce l'agenzia Sir - è Medici Senza Frontiere (Msf). “Sono passati quasi due mesi da quando le persone hanno abbandonato le proprie case per paura di morire, e si sono stabilite qui. Adesso sono ancora in questo campo che ha raggiunto una popolazione pari a quella di una piccola città. Non ci sono abbastanza ripari, cibo, acqua o adeguati servizi igienici disponibili”, dichiara Ellen Van Der Velden, capo missione di Msf per la Repubblica Centrafricana. “La possibilità di focolai di malattie aumenta ogni giorno che passa e la situazione nutrizionale nel campo è preoccupante”, aggiunge. “Facciamo tutto il possibile - spiega Van Der Velden -, soprattutto per rispondere ai bisogni medici di questa zona, ma le agenzie umanitarie devono adattare la propria strategia all’emergenza in corso”. “Vediamo sempre più persone che, durante il giorno, lasciano il campo per lavorare le loro terre o andare a venderne i prodotti al mercato. Devono farlo per sopravvivere. Hanno ancora troppa paura di tornare alle loro case in modo stabile, temono nuovi attacchi”, prosegue. “Oltre che per la popolazione del campo, siamo estremamente preoccupati per tutte le persone che sono fuggite, ovvero la maggioranza, e che non riusciamo a raggiungere. Crediamo, infatti, che ci siano centinaia di migliaia di persone che non si sono fermate in nessuno dei campi ma sono scomparse e devono cavarsela da sole. Queste sono le persone che avrebbero più bisogno di aiuto, ma al momento sono sole”. Msf porta avanti 7 progetti regolari a Paoua, Carnot, Zemio, Boguila, Batangafo, Kabo e Ndélé, e attività di emergenza a Bossangoa, Bria e Bouca. A Bossangoa, Msf fornisce assistenza medica d’emergenza nell’ospedale, assistenza sanitaria e assistenza umanitaria nei tre Campi, inclusi interventi igienico-sanitari e supporto nutrizionale. A Bouca, Msf garantisce cure di emergenza medica, assistenza sanitaria di base, ostetricia, cliniche mobili e invia pazienti all’ospedale di Batangafo. (R.P.)

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    Terra Santa. Il patriarca Twal: "Lavorare per una pace giusta e duratura"

    ◊   “La nostra Terra Santa ha bisogno di fraternità tra i popoli, tra gli ebrei, i cristiani e i musulmani. Sappiamo già che molti uomini e donne di buona volontà lavorano duramente al servizio di una terra più fraterna, per una pace giusta, duratura, equa e sicura”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, celebrando ieri nella Città santa la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. “La nostra vocazione di cristiani - ha ricordato il patriarca - esige che ci mettiamo al servizio dei nostri fratelli, dei nostri Paesi, per contribuire alla loro crescita. Sul piano sociale e umanitario, molte associazioni cattoliche lavorano generosamente per venire in aiuto agli abitanti di Gaza, ai numerosi rifugiati siriani che giungono nella nostra diocesi. La pace cui dobbiamo mirare, il Cristo risorto ci chiama a trasmetterla soprattutto in questa terra devastata dai conflitti ormai da molti anni” ha aggiunto mons. Twal che ha esortato i religiosi della Terra Santa, cristiani e non, “a costruire una pace sociale duratura, senza abbandonare la nostra fede, ma avendo un atteggiamento di apertura nella verità e nell’amore, saldi nella nostra fede e nella gioia di condividerla, sapendo tuttavia adattare il nostro discorso, perché possa essere ascoltato e capito. La nostra fratellanza deve impregnare la nostra cooperazione nella missione per il bene comune al di là delle rivalità e delle gelosie”. Il patriarca si è poi soffermato sul tema della famiglia definita “la prima cellula in cui si forgia la fraternità". "Conto su tutti voi nell’anno nuovo ormai vicino, che è posto sotto il segno della famiglia in vista del Sinodo straordinario di ottobre 2014, consacrato a questo tema. La famiglia - ha concluso - può partecipare alla costruzione di un nuovo umanesimo di fratellanza in contrapposizione alla globalizzazione dell’indifferenza e la nostra Chiesa deve rilevare le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione come ci invita il documento di preparazione al Sinodo. (R.P.)

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    Siria: la cittadina cristiana di Maaloula segno della crisi della civiltà araba

    ◊   Il rapimento delle dodici suore dal loro convento di Maalula, in Siria, è il segno che "la civiltà araba è in crisi", come dimostra "la perdita di qualsiasi sensibilità religiosa" da parte dei rapitori. E' quanto sostenuto dall'arcivescovo maronita di Beirut, mons. Boulos Matar, nel corso di una messa celebrata lunedì nella chiesa di Mar Takla (santa Tecla), nella capitale libanese. Il rito - riporta l'agenzia AsiaNews - è stato celebrato nell'ambito di una riunione ecumenica di preghiera avente come intenzione il rapimento delle suore da parte di un gruppo fondamentalista musulmano. L'incontro - al quale hanno preso parte i vescovi Boulos Matar e Roland Abou Jaoudé (maroniti), Georges Saliba (siriaco ortodosso), Michel Kassarji (caldeo), Cyrille Bustros (greco-cattolico) et Youhanna Battah (siriaco-cattolico) e numerosi sacerdoti di tutte le Chiese - è stato organizzato da "Lumière d'Orient", uno dei canali del gruppo "Télé-Lumière", il direttore generale del quale, Jacques Kallassi, ha anche preso la parola durante la riunione. All'omelia, mons. Boulos Matar ha evocato la questione gravissima della "crisi di civiltà" che segna gli sviluppi militari della crisi siriana. Uno degli aspetti più gravi di tale crisi è proprio il rapimento delle religiose, così come quello dei vescovi Boulos Yazigi e Youhanna Ibrahim. "Alla luce di tali eventi - ha osservato - come non vedere chiaramente che una grave crisi di civiltà segna gli sviluppi che si producono in Siria e in altri Paesi della regione?". "Sono sviluppi che non si esprimono altrimenti che dalla perdita di ogni sensibilità spirituale da parte dei rapitori, che non hanno più il senso dei valori affermati dalla loro fede". "Ciò che accade non potrebbe essere descritto che come il rifiuto aperto ed esplicito della volontà di Dio. Questi segni dei tempi, questa crisi di valori non sarebbe accettabile da alcun arabo. Da quando si prendono in ostaggio delle donne? Questa azione è in totale contraddizione con la dignità della cultura e della civilizzazione araba e la sua reputazione di nobiltà". "Anche se si tratta di comportamenti individuali - ha concluso - resta il fatto che tali errori commessi direttamente da qualcuno non possono essere astratti dal contesto più globale nel quale avvengono e pongono in modo esplicito la questione dei rapporti che debbono esistere tra cristiani e musulmani nel Machrek e nel mondo". Da parte sua Jacques Kallassi ha affermato che "ciò di cui si deve avere timore, con l'estensione del conflitto, è che tutta una generazione cresca non credendo più a niente altro che il denaro, le armi, la forza e il dominio". "Ma noi non possiamo essere davvero costretti a partire. Noi abbiamo paura di ciò che diverrebbe questa regione se noi ce ne andassimo". (R.P.)

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    Pakistan. I leader religiosi: il 2014 sia un “anno della pace” nel Paese

    ◊   Il 2014 sia “un anno di pace e riconciliazione” in Pakistan: è l’appello lanciato dai leader cristiani e di altre comunità religiose, riunitisi in un incontro interreligioso a Lahore, nel nome del dialogo e dell’armonia. Come riferito all'agenzia Fides, mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore, ha rimarcato che “l’effetto del dialogo tra di noi è quello di renderci vicini l'uno all'altro, e di eliminare la paura e il sospetto”. “La nostra terra del Pakistan è molto fertile per il dialogo e crediamo nel Dio misericordioso che dà speranza e energia per vivere insieme. E’ bello vedere e sentire preghiere per la pace alzarsi da chiese, moschee, temli indù e sikh: questo contribuisce a creare una atmosfera di armonia nel Paese”. L’arcivescovo ha lanciato un appello perché “la luce di Dio illumini l'oscurità nei cuori, portando una speranza di pace ”. Fra i leder musulmani partecipanti, Sohail Ahmed Raza , capo della gioventù musulmana dell’organizzazione “Minhaj-ul-Quran” ha espresso l’auspicio che “il 2014 possa essere l'anno di una pace duratura in Pakistan”, mentre il mufti Muhammad Ashiq Hussain, capo della madrasa (scuola islamica) locale, ha parlato del messaggio di pace del Natale, affermando che gli incontri interreligiosi “aiutano i pakistani a crescere nel rispetto reciproco e a costruire un Pakistan prospero”. Il leader sikh Sardar Gernail Sing ha detto che “urge dire a tutti i nostri figli di essere vicini gli uni gli altri e di tenere accese le piccole luci della pace e della riconciliazione, perché il nostro Paese sia posto tranquillo dove vivere”. Anche il leader indù Bhagat Lal ha sottolineato che “è buona tradizione che leader e credenti di tutte le fedi continuino a incontrarsi spesso: siamo tutti pakistani e vogliamo la pace nella nostra patria”. L’incontro di Lahore è stato organizzato dal “Consiglio per il Dialogo Interreligioso”, organismo promosso da alcuni sacerdoti cristiani come padre Inayat Bernard e padre Francis Nadeem, che opera con l’intento di “creare un Pakistan pacifico, tollerante e luminoso”. (R.P.)

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    India: in vigore la nuova legge anti-corruzione

    ◊   Con la firma, ieri, da parte del Presidente della repubblica Pranab Mukherjee, è diventata effettiva la legge anti-corruzione che crea tra l’altro un organismo di indagine e denuncia con ampi poteri. La firma è arrivata a circa due anni dall’inizio di una campagna portata sovente anche nel cuore della capitale da movimenti anti-corruzione alla cui guida si è messo Anna Hazare e che hanno mobilitato un gran numero di gruppi della società civile e milioni di cittadini in tutto il Paese. Azioni che hanno costretto la politica a impegnarsi per contenere fenomeni dilaganti con ampio impatto sull’opinione pubblica ma anche sull’immagine dei partiti e delle iniziative ad essi associati. La legge, tuttavia, ha avuto un percorso accidentato, in particolare per quanto riguarda l’organismo con ampi poteri, delegato a mettere sotto accusa politici e dipendenti pubblici a ogni livello. L’approvazione nel primo giorno dell’anno ha anche un forte significato simbolico, dato l’avvio di un anno elettorale che il Paese affronta con una prospettiva di cambiamento al vertice. Nonostante l’approvazione bipartisan della legge il mese scorso, infatti, è al momento il Bharatiya Janata Party, principale formazione dell’opposizione parlamentare, ad avvantaggiarsi del malcontento che il governo guidato dal Partito del Congresso ha suscitato in ampi settori della società. Corruzione e malaffare, insieme ai temi dello sviluppo sono infatti in cima ai programmi della campagna elettorale già in corsa. Una riprova è stato il voto che nel territorio della capitale New Delhi ha dato da ieri la premiership a Harvind Kejriwal, leader dell’Aam Aadmi Party (Partito dell’uomo comune), il cui programma si basa sull’impegno contro la corruzione, per maggiore sicurezza e giustizia. (R.P.)

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    Usa: gennaio, mese dedicato alla povertà. Le iniziative dei vescovi

    ◊   “Povertà negli Usa. Possiamo fermarla”. Si intitola così la campagna per la lotta all’indigenza promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti nel mese di gennaio. L’iniziativa, portata avanti in particolare dall’organismo della “Campagna cattolica per lo sviluppo umano”, prevede un’azione capillare e concertata tra tutte le diocesi del Paese. A partire da un calendario comune, infatti, che riporta dati, citazioni del magistero pontificio e spunti di riflessione, ogni Chiesa locale è chiamata a sviluppare iniziative proprie legate al territorio. Al giorno del 2 gennaio, ad esempio, si legge: “Negli Stati Uniti, 46.5 milioni di persone, pari al 15% della popolazione, vivono in povertà. Vi siete mai chiesti il perchè?”. I giorni seguenti, invece, sottolineano il legame tra la povertà, la disoccupazione e le migrazioni; ricordano le parole di Martin Luther King, il quale si batteva per promuovere la giustizia sociale e la dignità umana; invitano a pregare per tutti coloro che soffrono a causa delle difficoltà economiche. I vescovi, poi, ricordano il discorso pronunciato cinquant’anni fa, l’8 gennaio 1964, dall’allora presidente Lyndon Jonhsnon che, parlando sullo Stato dell’Unione, introdusse il concetto di “guerra alla povertà”. Centrale anche l’attenzione alla difesa della vita, particolarmente a rischio nei contesti di estrema indigenza, e a tal proposito il calendario episcopale ricorda che il 21 gennaio si terrà la tradizionale Veglia di preghiera per la vita nascente, “da tutelare a partire dal concepimento e fino alla morte naturale”. Nei giorni successivi vengono citati anche i tanti appelli lanciati da Papa Francesco una maggiore solidarietà. Infine si chiede a tutti i fedeli di “partecipare alla vita pubblica, per moltiplicare gli sforzi nella lotta povertà”. Il calendario, disponibile anche in spagnolo, è scaricabile dal sito www.povertyUSA.org oppure www.pobrezaUSA.org. (A cura di Isabella Piro)

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    Gran Bretagna. L’arcivescovo anglicano Welby: lotta alla povertà, priorità del nuovo anno

    ◊   L’arcivescovo anglicano di Canterbury ha esortato i fedeli, nel suo primo messaggio per il nuovo anno, a lottare contro la povertà nei propri quartieri. Justin Welby ha spiegato di non essere solito fare propositi che sa non potranno essere mantenuti, ma in questo caso, viste le tante persone che cercano di combattere l’indigenza, ci sono segnali di speranza. L’arcivescovo raccomanda, infatti, l’assunzione dell’impegno di provare a ”cambiare un po’ il mondo in cui viviamo” e ricordando Nelson Mandela, l’ex presidente del Sudafrica scomparso recentemente, ha aggiunto: "Nelson Mandela ha detto che occuparsi di povertà non è un atto di carità, ma un atto di giustizia, e che ogni generazione ha la possibilità di essere una grande generazione e noi possiamo essere quella grande generazione". L’arcivescovo Welby ha poi difeso il diritto della Chiesa anglicana d’Inghilterra a parlare di problemi legati alla politica, dicendo che è stata la sua fede a portarlo a fare interventi pubblici su argomenti d’attualità, e ha aggiunto che una delle più "grandi emozioni" del suo lavoro è essere parte di un organismo come la Chiesa che è “il collante che tiene insieme l'intera società”. (G.P.)

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    Taizé: prossimo incontro a Praga. L'invito del card. Duka

    ◊   Strasburgo ha salutato ieri i 30mila partecipanti all’incontro europeo dei giovani, che ha animato per cinque giorni la città francese, mentre dalla cattedrale gotica il priore della comunità ecumenica di Taizé, frère Alois, annunciava che il prossimo incontro si svolgerà a Praga dal 29 dicembre 2014 al 2 gennaio 2015: “Ci riuniremo in una città che si trova proprio nel centro dell’Europa”. L’arcivescovo di Praga, card. Dominik Duka, e il presidente del Consiglio ecumenico delle Chiese ceche, pastore Daniel Fajfr - riporta l'agenzia Sir - sono giunti a Strasburgo per sottolineare l’evento. Il card. Duka ha affermato: “Cari giovani amici, è con gioia che vi invito all’incontro internazionale dei giovani cristiani preparato dalla comunità di Taizé nella Repubblica Ceca, a Praga, città che si trova nel cuore dell’Europa e che, sin dall’inizio della nostra storia, è stata un centro spirituale e culturale non solo del nostro Paese, ma di tutta l’Europa centrale. Sarete accolti dal complesso monumentale del Castello di Praga - ha aggiunto il porporato - con la cattedrale di San Vito e le altre chiese cristiane che, per la loro esistenza, annunciano il Vangelo. I vostri fratelli e le vostre sorelle delle Chiese cristiane vi attendono per vivere insieme la fine dell’anno 2014 e l’inizio del 2015 a Praga, la Madre delle città”. L'evento di Strasburgo si è concluso come da tradizione nelle parrocchie d'accoglienza con le Veglie, le "feste dei popoli" e le celebrazioni d'inizio d'anno. La sera del 31 dicembre - riporta il quotidiano Avvenire - durante la preghiera comunitaria di Capodanno, frère Alois si è appellato alla "riconciliazione dei cristiani, perchè possa diventare un fermento di avvicinamento tra gli uomini e tra i popoli". Una comunione possibile "solo se mettiamo al centro il perdono - ha detto - ciò vale anche per creare la pace nella famiglia umana attraverso la terra". (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 2

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.