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Sommario del 25/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: bimbi affamati nei campi profughi e i fabbricanti d’armi fanno festa
  • Il Papa alle famiglie: con la vostra preghiera la Chiesa compia un vero discernimento
  • Nomine episcopali di Papa Francesco in Polonia e Irlanda
  • Tweet del Papa: i battezzati sono chiamati a diventare nel mondo un Vangelo vivente
  • Card. Pell: migliore gestione dell'economia vaticana andrà a vantaggio dei poveri
  • Signis. P. Spadaro: non si torna indietro da Internet, evangelizzare cultura digitale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina. Il patriarca Shevchuck: abbiamo bisogno della solidarietà internazionale
  • Ucraina: rischio separatismo nelle regioni russofone
  • Israele bombarda una postazione militare di Hezbollah al confine tra Libano e Siria
  • La Corea del Sud annuncia la creazione di un comitato per la riunificazione
  • Tratta e sfruttamento dei minori nel Rapporto di "Defence for children"
  • Coldiretti: 30enni, 1 su 2 mantenuto dai genitori. Riscoperta l'agricoltura
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • S. Egidio: vanno avanti i negoziati per la pace in Casamance
  • La Custodia di Terra Santa moltiplica il suo impegno caritativo in Medio Oriente
  • Perù: l’arcivescovo di Huancayo condanna il razzismo e le discriminazioni
  • “Cibo per tutti”: è il tema di un seminario promosso da Caritas italiana
  • L’arcivescovo di Singapore: pregare sul posto di lavoro, segno di testimonianza cristiana
  • In Abruzzo, grandi preparativi per la Festa di San Gabriele dell’Addolorata
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: bimbi affamati nei campi profughi e i fabbricanti d’armi fanno festa

    ◊   Bimbi affamati nei campi profughi, mentre i fabbricanti d’armi fanno festa nei salotti. E’ l’immagine forte che Papa Francesco ha evocato nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Tutta l’omelia del Pontefice è stata un accorato appello per la pace e contro ogni guerra, nel mondo come in famiglia. Il Papa ha ribadito che la pace non può essere solo una “parola” e ha esortato tutti i cristiani a non “abituarsi” allo scandalo della guerra. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Da dove vengono le guerre e le liti in mezzo a voi? Papa Francesco ha preso spunto dalla Lettera dell’Apostolo Giacomo, nella Prima Lettura, per levare una vibrante condanna di tutte le guerre. E commentando i litigi tra i discepoli di Gesù per chiarire chi fosse il più grande tra loro, ha subito evidenziato che quando “i cuori si allontanano nasce la guerra”. “Ogni giorno, sui giornali, troviamo guerre – ha constatato con amarezza – in questo posto si sono divisi in due, cinque morti”, in un altro luogo altre vittime:

    “E i morti sembrano far parte di una contabilità quotidiana. Siamo abituati a leggere queste cose! E se noi avessimo la pazienza di elencare tutte le guerre che in questo momento ci sono nel mondo, sicuramente avremmo parecchie carte scritte. Sembra che lo spirito della guerra si sia impadronito di noi. Si fanno atti per commemorare il centenario di quella Grande Guerra, tanti milioni di morti… E tutti scandalizzati! Ma oggi è lo stesso! Invece di una grande guerra, piccole guerre dappertutto, popoli divisi… E per conservare il proprio interesse si ammazzano, si uccidono fra di loro”.

    “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?”, ribadisce il Papa. “Le guerre, l’odio, l’inimicizia – ha risposto – non si comprano al mercato: sono qui, nel cuore.” Ha così ricordato che quando da bambini, nel catechismo, “ci spiegavano la storia di Caino e Abele, tutti noi eravamo scandalizzati”, non si poteva accettare che uno uccidesse il fratello. Oggi, però, “tanti milioni si uccidono tra fratelli, fra di loro. Ma siamo abituati”. La Prima Guerra Mondiale, ha detto ancora, “ci scandalizza, ma questa grande guerra un po’ dappertutto”, un po’ “nascosta, non ci scandalizza! E muoiono tanti per un pezzo di terra, per una ambizione, per un odio, per una gelosia razziale”. “La passione – ha soggiunto – ci porta alla guerra, allo spirito del mondo”:

    “Anche abitualmente davanti a un conflitto, ci troviamo in una situazione curiosa: andare avanti per risolverlo, litigando. Col linguaggio di guerra. Non viene prima il linguaggio di pace! E le conseguenze? Pensate ai bambini affamati nei campi dei rifugiati… Pensate a questo soltanto: questo è il frutto della guerra! E se volete pensate ai grandi salotti, alle feste che fanno quelli che sono i padroni delle industrie delle armi, che fabbricano le armi, le armi che finiscono lì. Il bambino ammalato, affamato, in un campo di rifugiati e le grandi feste, la buona vita che fanno quelli che fabbricano le armi”.

    “Cosa succede nel nostro cuore?”, ha ripetuto. L’Apostolo Giacomo, ha detto il Papa, ci dà un consiglio semplice: “Avvicinatevi a Dio ed Egli si avvicinerà a voi”. Quindi, ha avvertito che “questo spirito di guerra, che ci allontana da Dio, non è soltanto lontano da noi” è “anche a casa nostra”:

    “Quante famiglie distrutte perché il papà, la mamma non sono capaci di trovare la strada della pace e preferiscono la guerra, fare causa… La guerra distrugge! ‘Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Forse non vengono dalle vostre passioni?’. Nel cuore! Io vi propongo oggi di pregare per la pace, per quella pace che soltanto sembra sia diventata una parola, niente di più. Perché questa parola abbia la capacità di agire, seguiamo il consiglio dell’Apostolo Giacomo: ‘Riconoscete la vostra miseria!”.

    Quella miseria, ha proseguito, da cui vengono le guerre: “Le guerre nelle famiglie, le guerre nel quartiere, le guerre dappertutto”. “Chi di noi ha pianto – ha domandato ancora – quando legge un giornale, quando in tv vede quelle immagini? Tanti morti”. “Le vostre risa – ha detto riprendendo l’Apostolo Giacomo – si cambino in lutto e la vostra allegria in tristezza…”. Questo, ha detto, “è quello che deve fare oggi 25 febbraio” un “cristiano davanti a tante guerre, dappertutto”: “Piangere, fare lutto, umiliarsi”. “Il Signore – ha concluso – ci faccia capire questo e ci salvi dall’abituarci alle notizie di guerra”.

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    Il Papa alle famiglie: con la vostra preghiera la Chiesa compia un vero discernimento

    ◊   Il sostegno della preghiera. Lo invoca Papa Francesco nella Lettera alle famiglie in vista dell’Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, convocata per il prossimo ottobre sul tema “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. Nel testo - firmato il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al Tempio - il Pontefice ricorda infatti che oggi “la Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo affrontando anche le nuove urgenze pastorali” che riguardano le famiglie. Il servizio di Giada Aquilino:

    Per rivolgersi alle famiglie, Papa Francesco sceglie di presentarsi direttamente “alla soglia” di casa loro. Lo fa ricordando che il prossimo Sinodo coinvolge l’intero “Popolo di Dio”, dai vescovi ai sacerdoti, dai consacrati ai laici delle Chiese particolari del mondo, che partecipano attivamente alla sua preparazione “con suggerimenti concreti e con l’apporto indispensabile della preghiera”. Questo chiede, in sintesi, il Pontefice alle famiglie del mondo.

    “Il sostegno della preghiera - scrive - è quanto mai necessario e significativo”, specialmente da parte di quelle che definisce “care famiglie”. L’Assemblea sinodale infatti è dedicata in modo speciale a esse, alla loro “vocazione e missione nella Chiesa e nella società, ai problemi del matrimonio, della vita familiare, dell’educazione dei figli e al ruolo delle famiglie nella missione della Chiesa”. L’esortazione del Santo Padre è quindi a “pregare intensamente lo Spirito Santo, affinché illumini i Padri sinodali e li guidi nel loro impegnativo compito”. La preghiera delle famiglie per il Sinodo dei vescovi sarà, nelle parole del Papa, “un tesoro prezioso che arricchirà la Chiesa”. L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, nella presentazione della Lettera del Pontefice, nota proprio come l’intento del Santo Padre sia quello di far sì che le famiglie non siano “semplicemente l’oggetto di un’attenzione”, bensì “anche il soggetto” del cammino sinodale, “visto che della Chiesa sono la parte preponderante”, “segnate dal Sacramento del Matrimonio”.

    Papa Francesco spiega poi che, dopo il Sinodo straordinario, il prossimo anno ci sarà quello ordinario, sempre dedicato alla famiglia. A seguire, nel settembre 2015 si terrà anche l’Incontro mondiale delle Famiglie a Philadelphia. L’auspicio del Pontefice è dunque che, “attraverso questi eventi, la Chiesa compia un vero cammino di discernimento e adotti - prosegue - i mezzi pastorali adeguati per aiutare le famiglie ad affrontare le sfide attuali con la luce e la forza che vengono dal Vangelo”.

    Ricordando la festa della Presentazione di Gesù al tempio, quando la Madonna e San Giuseppe, col Bambino, incontrarono due anziani, Simeone e Anna, il Papa ripropone l’immagine di “due giovani genitori e due persone anziane, radunati da Gesù”, perché - scrive - “Gesù fa incontrare e unisce le generazioni”: “Egli - aggiunge - è la fonte inesauribile di quell’amore che vince ogni chiusura, ogni solitudine, ogni tristezza”. Nel cammino familiare, nota il Santo Padre, si condividono “tanti momenti belli”, dai pasti al riposo, dal lavoro in casa al divertimento, dalla preghiera ai viaggi, ai pellegrinaggi, alle azioni di solidarietà. Tuttavia, “se manca l’amore manca la gioia, e l’amore autentico ce lo dona Gesù: ci offre la sua Parola, che illumina la nostra strada; ci dà il Pane di vita, che - ricorda Papa Francesco - sostiene la fatica quotidiana del nostro cammino”.

    In questo quadro, è ancora mons. Paglia a sottolineare come “se non ci fossero le famiglie, la parola di Gesù - la parola della Chiesa, la parola del Papa - sull’amore sponsale che è capace di aprirsi all'agape di Dio per tutti, apparirebbe astratta, velleitaria, inefficace”. Ecco perché, conclude il presidente del dicastero per la famiglia, il Pontefice chiede “aiuto” alle famiglie cristiane, chiede loro “di sentire la responsabilità della loro missione in questo nostro tempo così confuso e inquieto” e dice loro: “La nostra lettera siete voi”.

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    Nomine episcopali di Papa Francesco in Polonia e Irlanda

    ◊   In Polonia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare dell’arcidiocesi di Poznań, presentata da S.E. Mons. Zdzisław Fortuniak, per sopraggiunti limiti d’età.

    In Irlanda, il Papa ha nominato vescovo di Derry mons. Donal McKeown, finora ausiliare della diocesi di Down and Connor, trasferendolo dalla sede titolare vescovile di Cell Ausaille.

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    Tweet del Papa: i battezzati sono chiamati a diventare nel mondo un Vangelo vivente

    ◊   Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Tutti noi battezzati siamo discepoli missionari. Siamo chiamati a diventare nel mondo un Vangelo vivente”.

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    Card. Pell: migliore gestione dell'economia vaticana andrà a vantaggio dei poveri

    ◊   “Se facciamo un uso migliore delle risorse a noi affidate possiamo migliorare la nostra capacità di sostenere le buone opere della Chiesa, in particolare le nostre opere per i poveri e gli svantaggiati”. L’affermazione è del cardinale George Pell, che ieri Papa Francesco ha messo a capo, come prefetto, della nuova Segreteria dell’Economia, organismo cui faranno capo tutte le attività economiche e amministrative della Santa Sede e del Vaticano. Le parole del porporato sono state diffuse oggi dal sito dell’arcidiocesi di Sydney, che il cardinale Pell guidava da 12 anni e che ora si appresta a lasciare per assumere in pianta stabile a Roma le responsabilità derivanti dal suo nuovo incarico.

    In un’intervista rilasciata sul Sole 24 ore, il principale quotidiano economico-finanziario italiano, il neo prefetto spiega che il lavoro della Segreteria per l’Economia – sostenuto dal Consiglio per l’Economia – riguarderà la gestione “dei flussi finanziari dei singoli dicasteri, a partire dalla spending rewiev”. Ogni tre mesi, ha precisato il cardinale Pell, “ci sarà un controllo su entrate e spese” al fine di riformare il modo di programmare i bilanci dei singoli dicasteri. “Il criterio del bilancio cambierà”, osserva ancora nell’intervista al Sole 24 ore: “Oggi è troppo dispersivo, talvolta pecca di trasparenza. L’idea è l’innesto a tutti i livelli di ‘checks and balances’, ridando quindi unità al bilancio ma al contempo prevedendo maggiore autonomia di spesa dei singoli dicasteri, che oggi per comprare un blocco di carta devono compilare diversi moduli. È necessario sburocratizzare”.

    Sul Consiglio per l’Economia, che sarà composto da 8 cardinali e 7 laici, il cardinale Pell afferma peraltro – come riportato dal sito dell’arcidiocesi di Sydney – di aver “sempre riconosciuto la necessità per la Chiesa di essere guidati da esperti in questo settore” e di essere quindi “lieto” di lavorare quanto prima con i membri del Consiglio stesso. “Dobbiamo essere aperti alla consulenza di esperti e consapevoli – conclude –della possibilità di migliorare il modo in cui gestiamo la nostra amministrazione finanziaria”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Signis. P. Spadaro: non si torna indietro da Internet, evangelizzare cultura digitale

    ◊   Al via oggi a Roma il Congresso mondiale del Signis sul tema “I media per una cultura della pace: creare immagini con le nuove generazioni”. All’evento, che raduna oltre 300 comunicatori cattolici di 80 Paesi, prende parte anche l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Sul tema e l’importanza di questo incontro, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, il cui intervento aprirà oggi pomeriggio la sessione plenaria del Congresso:

    R. – La cultura della pace è molto importante, perché significa dare la possibilità alle persone di incontrarsi realmente. La pace permette l’incontro. In questo Congresso, tra persone che si occupano di comunicazione nel mondo, che vengono dal mondo cattolico, troviamo dunque persone che si confrontano sia sui temi, sia sulle appartenenze geografiche. Quindi, direi che sarà una grande occasione perché le persone possano discutere della comunicazione come veicolo, luogo, direi quasi ambiente, per vivere la pace.

    D. - Nel messaggio per l’occasione, il Papa sottolinea ed esorta i comunicatori cattolici ad affrontare la sfida più grande di “presentare la verità, la bellezza del Vangelo, in un linguaggio capace di toccare i cuori e le menti”. E’ una sfida appassionante…

    R. – E’ una sfida appassionante, perché tocca la spiritualità dell’uomo. Questo è un tema forte di questo Congresso Signis: la comunicazione non è qualcosa di esteriore, non è la semplice trasmissione esteriore di un messaggio preconfezionato. La comunicazione tocca la capacità di ogni uomo di relazionarsi con gli altri e grazie alla tecnologia della comunicazione si esplorano le grandi domande, come avviene oggi anche in Internet. Quindi, un tema forte che sarà trattato in questi giorni riguarda le dimensioni, le sfide etiche e spirituali della cultura digitale emergente.

    D. – Questo è proprio il tema del suo intervento che apre la sessione plenaria del Congresso. Può dirci qualcosa riguardo proprio questo tema?

    R. – Il tentativo che farò sarà quello di far comprendere come la Rete non sia un’opzione, è un momento importante della storia dell’umanità, per cui non si può tornare indietro. La cultura digitale esprime una condizione dell’uomo, quindi una dimensione spirituale, dove la tecnologia infonde, esprime bisogni e desideri che l’uomo da sempre ha avuto. Quindi, alla luce anche del Magistero di Benedetto XVI e di Papa Francesco sulla comunicazione cercherò di far comprendere la valenza e il valore spirituale profondo della cultura digitale, le istanze che emergono da una cultura digitale, che è una cultura che va evangelizzata.

    D. – Questo Congresso si caratterizza proprio per essere mondiale, universale. Quali aspettative si possono avere quando poi le persone che vi partecipano torneranno a casa?

    R. – Si avvia un processo che in realtà è già in corso da tempo e che questo Congresso metterà a fuoco ancora di più. Le aspettative sono grandi, ma nello stesso tempo la cosa migliore è non porci obiettivi precisi, perché quando le persone si incontrano creano situazioni originali. E certamente l’incontro di persone che vengono da tutti e cinque i continenti creerà una situazione, un contesto di riflessione molto aperto.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Lettera alle famiglie: Papa Francesco chiede di pregare per la prossima assemblea del Sinodo dei vescovi.

    Chi fa festa per la guerra: Messa del Pontefice a Santa Marta.

    Sono solo un’amanuense: intervista di Silvia Guidi e Anna Roda alla scrittrice Elena Bono, con una poesia inedita, del 18 settembre 2013, dedicata a padre Massimiliano Kolbe e a suor Edith Stein.

    Vivere lieti in un mondo triste: stralci dal libro di fratel Arturo Paoli “Cent’anni di fraternità”.

    Tra terra e cielo nella foresta di piazza San Pietro: Antonio Paolucci sul completato restauro del colonnato in tempo per le celebrazioni pasquali e le canonizzazioni dei due Papi.

    La fiducia votata dal Parlamento al Governo guidato da Renzi.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina. Il patriarca Shevchuck: abbiamo bisogno della solidarietà internazionale

    ◊   Un appello forte alla solidarietà e all’attenzione internazionale verso l’Ucraina e la richiesta all’Europa a non difendersi dalla gioventù di Kiev, autrice della rivoluzione. A lanciarlo oggi Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, durante la conferenza stampa con i giornalisti presso la Sala Marconi della nostra emittente. Tema dell’incontro “La Chiesa e la società civile in Ucraina nella situazione di oggi”. Il srrvizio di Cecilia Seppia:

    Inizia con il rimarcare la forte identità europea del popolo ucraino, mons. Svjatoslav Shevchuk, ricostruendo gli ultimi episodi che hanno portato all’esplodere delle tensioni e delle violenze nel Paese. Parla del "Movimento di Maidan" e di quei ragazzi, per la maggior parte studenti, non appartenenti ad alcu"no schieramento politico, che hanno deciso - due mesi fa circa - di stare in piazza per dire “sì” all’Europa e manifestare dissenso contro le scelte del governo del deposto presidente Janukovic:

    “Così è cominciato il Maidan: la piazza affollata di centinaia di migliaia di persone, che stavano lì per protestare contro la violenza, per dire il loro 'no' allo spargimento di sangue e per confermare che quello che hanno presentato questi studenti è anche il desiderio della società ucraina. E così, giorno dopo giorno, il 'Maidan degli studenti' è diventato 'Maidan della società civile'. Io voglio sottolineare ‘civile’, non politica: non si trattava di sostenere né l’opposizione, né il governo, ma la propria identità”.

    Mons. Shevchuk parla anche del clima di festa che si respira oggi nelle strade, nonostante il dolore per le vittime. E poi racconta come le Chiese delle varie confessioni abbiano reagito a questo vento di rivoluzione. “Unità” e “solidarietà”, le parole chiave di una Chiesa che, da subito, scende proprio in quella piazza di Kiev, accanto alla popolazione, ribadendo il “no” alla corruzione, alla dittatura, al disprezzo della dignità umana:

    “Quando si è cominciata questa manifestazione per confermare la volontà europea, noi dovevamo essere coerenti! E questo vuol dire che quando i nostri fedeli ci hanno chiesto un’assistenza spirituale, di stare insieme con loro, noi siamo venuti. Così Maidan, sempre, in questi mesi, ha avuto una dimensione religiosa molto forte. La gente diceva: se la Chiesa non si presentasse lì, sarebbe un po’ strano, perché la Chiesa, le Chiese tutte fanno parte della società civile. Se loro veramente non si fossero presentate, allora questo avrebbe voluto dire che scappavano dalla società. Non è questa la missione della Chiesa! Così, fra queste tende della piazza, abbiamo costruito una tenda, una cappella, dove si celebrava l’Eucaristia e non solo per i cattolici, ma anche per gli ortodossi, anche i protestanti stavano lì per pregare”.

    Una Chiesa, dunque, che lancia appelli contro le violenze, ma agisce, oltre le parole: chiede incontri con i vertici di Bruxelles, con l’opposizione, con l’ex presidente Janukovic. Si fa mediatrice di pace. Poi, apre le porte delle cattedrali, che si trasformano in ospedali da campo per poter ricevere i feriti, che altrimenti sarebbero stati arrestati dalla Polizia:

    “Noi, cristiani di varie confessioni, abbiamo creato una rete clandestina di aiuto per chi era ferito, perché la gente non poteva accedere - senza paura di essere arrestata - agli ospedali pubblici. Così le nostre chiese, le nostre cattedrali, sono diventate ospedali clandestini. Io ricordo che in quei giorni, veramente freddi, quando abbiamo portato via in modo clandestino da Kiev i feriti, la gente che stava sulla piazza - quando la temperatura è scesa sotto i 20 gradi - era colpita dal freddo, con polmoniti… Un posto dove stavano, perché faceva caldo, era una chiesa luterana, proprio accanto all’edificio dell’amministrazione del presidente. E sono andato per visitarli e il pastore luterano mi ha detto: 'Beatitudine, non mi deve ringraziare per quello che stiamo facendo, perché noi protestanti abbiamo visto che è il Cristo sofferente che sta lì, sulla piazza!'.

    Infine, guardando ai recenti fatti di cronaca, all'allarme lanciato da più parti per l'emergere di istanze separatiste delle regioni russofone, mons. Shevchuk mette in guardia dal rischio di guerra civile, sottolineando però che esso non è interno alla popolazione, piuttosto esterno. Poi, lancia il forte e vibrante appello alla comunità internazionale e all’Unione Europea in particolare, perché apra le sue porte ai giovani ucraini:

    “Vorrei fare un appello, un appello alla solidarietà. Anzitutto, vorrei dire che gli europei si sveglino, perché quello che sta succedendo in Ucraina prima o poi toccherà a tutti voi. L'Ucraina è parte dell’Europa! Fin quando si continuerà a far finta che non succeda niente, non solo peggioreranno le cose in Europa orientale, ma questo provocherà anche grande sfiducia nei valori europei nei Paesi occidentali stessi. L'Unione Europea non deve avere paura di questa gioventù ucraina".

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    Ucraina: rischio separatismo nelle regioni russofone

    ◊   La radicale svolta politica in Ucraina, con la destituzione del presidente Yanukovich da parte del parlamento di Kiev, ha lasciato nel Paese un clima di forte tensione. Gli scontri tra forze dell’ordine e opposizione europeista durante le manifestazioni antigovernative dei giorni scorsi sono costati la vita a decine di persone. E in questo momento delicato, la Russia annuncia che non interferirà negli affari interni ucraini ed esorta anche l’occidente a osservare lo stesso atteggiamento. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    L’Ucraina piange gli 82 morti e gli oltre 720 feriti. Questo il bilancio, secondo il Ministero della salute, delle settimane di scontri di piazza che hanno sconvolto il Paese ex sovietico. E all’esortazione del ministro degli Esteri russo Lavrov risponde in prima persona il presidente della Commissione europea, Barroso: “Lancio un appello – ha detto parlando al parlamento di Strasburgo – a tutti i nostri partner internazionali, in particolare alla Russia, a lavorare assieme in modo costruttivo, per garantire un'Ucraina unita, che possa essere un fattore di stabilità nel continente europeo.

    Intanto, dopo la fuga del presidente Yanukovich, la formazione di un nuovo governo ad interim è stato posticipata a dopodomani. Lo ha annunciato il presidente incaricato, Turchynov, parlando davanti ai membri del parlamento, che inoltre ha lanciato un serio allarme separatismo per le regioni russofone nella parte ovest del Paese, da sempre vicine a Mosca e contrarie alla deposizione di Yanukovich. E si discute anche sull’ipotesi di elezioni anticipate, il 25 maggio prossimo. Secondo la Russia, un’ipotesi del genere viola l’accordo raggiunto la settimana scorsa tra Yanukovich e opposizione.

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    Israele bombarda una postazione militare di Hezbollah al confine tra Libano e Siria

    ◊   L'aviazione israeliana ha bombardato ieri sera un obiettivo del movimento sciita Hezbollah alla frontiera libano-siriana. La notizia è stata confermata da fonti della sicurezza libanese e da una ong siriana. Da parte sua, l'Osservatorio siriano dei diritti umani ha precisato che il bersaglio era una "base di missili" del partito sciita che, affiancando l'esercito di Bashar al-Assad, combatte contro ribelli siriani. Il bombardamento è stato invece smentito dalla televisione di Hezbollah "al Manar". Salvatore Sabatino ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni internazionali presso l’Università di Firenze:

    R. – Credo che sia essenzialmente una logica militare: Israele da sempre cerca di impedire in ogni modo il rafforzamento dell’arsenale militare di Hezbollah e, d’altra parte, in modo contraddittorio appoggia lo sforzo di Assad di mantenersi al potere.

    D. – Quali reazioni ci possiamo attendere, a questo punto, dagli Stati Uniti?

    R. – Gli Stati Uniti premeranno, immagino, sulla strada del percorso di pace, per quanto possibile, perché questo è davvero un discorso locale. C’è anche molta voluta ambiguità: gli attacchi vengono negati da Israele, negati da Hezbollah, negati dalla Siria.

    D. – E invece, quali sono i rischi che corre Israele in questa situazione di frizioni regionali?

    R. – Il rischio è che Hezbollah si rafforzi e soprattutto che sul confine tra Israele e Siria si crei una base operativa di qualcuno che potrebbe essere Hezbollah, ma potrebbe anche essere un movimento sunnita radicale, ostile a Israele.

    D. – Dopo gli attentati delle ultime settimane in Libano, questa operazione militare israeliana può ulteriormente complicare la vita al neo governo di Beirut, che invece è considerata una vera e propria scommessa di convivenza?

    R. – Credo che, da questo punto di vista, il governo libanese abbia un complicato rapporto con la Siria e che Israele sia assolutamente ininfluente. Anzi, per certi versi tenere a bada Hezbollah, in questo momento, può essere anche visto positivamente in Libano.

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    La Corea del Sud annuncia la creazione di un comitato per la riunificazione

    ◊   Annunciata dalla presidente sudcoreana, Park Geun-hye, la creazione di un comitato per la riunificazione della penisola. Nord e Sud rimangono però divisi e formalmente ancora in guerra. L’iniziativa è stata presentata nell’ultimo giorno di ricongiunzioni dei familiari separati dal conflitto del 1950. In contemporanea, si stanno intanto svolgendo le esercitazioni navali congiunte di Stati Uniti e Seul, fortemente contestate da Pyongyang. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Rosella Ideo, esperta di Storia politica e diplomatica dell’Asia Orientale:

    R. – Questa iniziativa mantiene, in un certo senso, quelle che erano state le promesse elettorali di questo primo presidente donna della Corea del Sud e va nella direzione di cercare di distendere i rapporti tra le due Coree, che sono molto tesi da quando c’è il muovo leader, Kim Jong-un. Bisogna vedere quanto questo sia realizzabile. E io direi che siamo ancora ben lontani da un’idea di riunificazione.

    D. – Questa riunificazione, tuttavia, potrà avvenire soltanto, lo ricordiamo, se verrà istituito anche un trattato di pace, perché le due realtà sono tuttora in guerra, anche se c’è un armistizio, peraltro contestato, per quanto riguarda la linea di confine sul 38.mo parallelo...

    R. – Il grande problema è che ad oltre 60 anni dalla fine della guerra di Corea, nel ’53, non è mai stato firmato un trattato di pace. Diciamo che la penisola coreana in Asia nord orientale rimane un punto caldo, oltre a tutti gli altri problemi che ci sono di carattere territoriale e storico tra Cina e Giappone e Giappone e Corea del Sud.

    D. – Dopo tre anni sono ripresi gli incontri, in un centro turistico nordcoreano, delle famiglie separate dalla guerra del ’50. Questi incontri sono solo formali o hanno un significato sostanziale?

    R. – Hanno un significato per questi anziani che vanno dai 70 ai 90 anni addirittura, e che sono sopravvissuti con la speranza di rivedere e riabbracciare i familiari divisi. Quindi, questo è importante per loro. I giovani, infatti, in Corea del Sud ad esempio hanno uno scarsissimo interesse a queste riunificazioni.

    D. – La presidente sudcoreana propone un comitato per la riunificazione. Rimangono, però, forti tensioni e in questi giorni sono in corso esercitazioni congiunte di Seul e Stati Uniti, fortemente contrastate da Pyongyang...

    R. – Sono anni e anni che ci sono manovre congiunte e tutte le volte che ci sono queste esercitazioni congiunte i nordcoreani le presentano come un prova generale della volontà d’invasione da parte di Stati Uniti e Corea del Sud, mentre il Sud e gli Stati Uniti le prospettano come semplicemente azioni difensive in caso di provocazione di Pyongyang.

    D. – Ma un gioco delle parti di questo tipo a chi serve?

    R. – Serve a molti. Serve agli Stati Uniti per controllare la Cina. Il Giappone vede assolutamente di malocchio una riunificazione, perché si troverebbe di fronte una sorta di Germania dell’Asia orientale, quindi un Paese molto forte. Già la Corea del Sud ha superato tecnologicamente il Giappone. E la Cina non vuole trovarsi gli Stati Uniti sulla porta di casa, perché è chiaro se un giorno dovesse esserci la riunificazione, avverrebbe nel segno del Sud capitalista. Quest’area del mondo ha delle tensioni incredibilmente forti e la situazione può anche non volutamente sfuggire di mano.

    D. – Questo perché, diciamo, Corea del Nord e Corea del Sud in realtà diventano punti di conflitto e confronto a livello internazionale di altre forze...

    R. – Certamente, proprio la colonizzazione giapponese ha, dal 1910 al 1945, distrutto il tessuto economico, sociale e politico di questo Paese, che è arrivato ad essere diviso proprio per i configgenti interessi nazionali delle potenze che gli stavano intorno. Quindi, questa situazione della penisola coreana è una situazione che è un portato di quella che è stata la colonizzazione del Giappone, la più dura di tutte le colonizzazioni che abbiamo conosciuto. Da lì si spiegano gli attriti continui con il Giappone. Direi che quello che unisce i due Paesi sia un risentimento ancora vivissimo nei confronti del Giappone.

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    Tratta e sfruttamento dei minori nel Rapporto di "Defence for children"

    ◊   Presentato oggi a Roma il rapporto “Impact” di “Defence for children” sulla tratta e lo sfruttamento dei minori in Europa. Lo studio ha interessato quattro Paesi campione: Italia, Portogallo, Grecia e Cipro. “Defence for children” ha raccolto dati e interviste con altre tre ong europee, cercando cause ed effetti di un fenomeno sempre più in aumento. Il servizio di Elvira Ragosta:

    Frammentazione delle politiche che combattono la tratta minorile, discriminazione dei gruppi e assenza di pratiche di prevenzione. Questi i dati emersi dal rapporto, che ha formulato anche una serie di raccomandazioni ai Paesi sulla gestione di un fenomeno complesso, in particolare perché riguarda i minori. Tra i problemi c’è anche quello dei dati, come ha spiegato Pippo Costella di “Defence for children”:

    R. - I numeri sono uno dei problemi del sistema: i dati disponibili sull’infanzia e l’adolescenza sono tutti frammentati. Questo viene messo in luce dal Rapporto ed è peraltro una delle raccomandazioni prioritarie, che viene rivolta dalle Nazioni Unite al nostro Paese, proprio come uno degli elementi capaci di rendere vulnerabile il sistema e vulnerabili i minorenni che dovrebbero essere protetti da esso”.

    D. - Nello studio è stata anche affrontata la tratta minorile in relazione agli sbarchi di migranti a Lampedusa...

    R. - C’è una sovrapposizione tra la protezione dei minori, che tutti quanti dichiarano elemento fondamentale delle politiche e, invece, il controllo migratorio. Un minore spesso non è considerato come un minore, ma come un migrante. Quindi, viene assoggettato a una serie di pratiche, anche discriminatorie, che gli levano i contesti di protezione di cui avrebbe necessità”.

    D. - Ma quali sono le differenze, tra i quattro Paesi analizzati, nella gestione del fenomeno?

    R. - “In tutti i Paesi, che abbiamo osservato, ci sono dei tratti abbastanza comuni: la frammentazione delle politiche, la differenza tra la teoria e la pratica, questa sovrapposizione tra politiche e regimi migratori o anti migratori a istanze invece relative alla protezione dell’infanzia. In alcuni casi ci sono delle buone prassi, che però anche in conseguenza di tagli trasversali che ci sono stati in tutta Europa - alle risorse destinate alla protezione, al welfare, alle problematiche di carattere sociale - sono messe in forte crisi”.

    Sulla tratta e lo sfruttamento minorile in Italia è intervenuto mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes:

    “In questi anni, la crisi ha creato preoccupazione, in ordine della tutela dei diritti dei minori, in senso generale. Penso al 20% dei minori in Italia, che vivono in famiglie che sono in condizioni di povertà. Sappiamo che sono 9 milioni e questo elemento di vita della povertà diventa tante volte rischioso, perché genera abbandono sul piano della scuola. Dopo 40 anni, l’abbandono scolastico in Italia è in crescita e crea una serie di percorsi di devianza giovanile, dentro il quale c’è anche il rischio della prostituzione giovanile. Su 23 mila contatti con persone vittime di prostituzione, circa il 5% sono bambini. Credo che la comunità cristiana, ma anche la comunità civile, debba mettere in atto questa attenzione, questo ascolto, che poi si trasforma in protezione, con leggi che diano nuove strutture. Oggi, certamente, il tema del reddito di cittadinanza può andare incontro a quel 20 per cento di minori, che vivono nella povertà”.

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    Coldiretti: 30enni, 1 su 2 mantenuto dai genitori. Riscoperta l'agricoltura

    ◊   Più della metà dei trentenni italiani vive con la paghetta e tre su quattro vivono a casa con genitori. Uno su quattro accetterebbe un posto da spazzino o in un call center, mentre solo il 30% fa un lavoro coerente con gli studi svolti e la maggioranza sarebbe inoltre disposta ad espatriare per lavorare. È il drammatico spaccato offerto dalla prima Indagine Coldiretti/Ixè su “Crisi: i giovani italiani e il lavoro”, presentata stamane all’assemblea elettiva di Giovani coltivatori. Marco Guerra ne ha parlato con Rolando Manfredini, capo area Sicurezza alimentare della Coldiretti:

    R. - Purtroppo, moltissimi giovani sono senza lavoro e non lo trovano. Quindi, vengono sostanzialmente sorretti dalla famiglia: praticamente vivono con la paghetta dei genitori il 51 % dei trentenni italiani. Questo addirittura si alza al 79% se si considerano tutti gli under 34. Quindi, una situazione di questo tipo la dice lunga su come la crisi colpisca i giovani. Abbiamo visto come la disoccupazione giovanile sia a dei livelli ormai insostenibili: sta diventando un vero e grosso problema sociale. Quindi, il giovane non è certamente un ‘bamboccione’ che vuole rimanere in casa. Tra l’altro, proprio in una situazione che credo sia anche un po’ di vergogna, si adattano a fare dei lavori in casa per non essere proprio completamente di peso alla famiglia. Il 75% cerca di rendersi utile.

    D. - Quindi, la famiglia è diventata la vera rete di protezione sociale…

    R. - Immaginiamo cosa succederebbe se non ci fosse la famiglia: cosa accadrebbe dal punto di vista sociale, cosa farebbero questi giovani? Probabilmente, avrebbero anche un’attrazione per quelle che sono - e questo è importante dirlo - le attività illecite. Nel momento stesso in cui manca il lavoro, in cui manca la soddisfazione economica, in cui manca una traiettoria di futuro, è molto facile cadere in una rete delinquenziale.

    D. - Uno su tre non sa il nome del premier - questo colpisce molto! - e solo il 4% si impegna in politica…

    R. - Credo che questo rappresenti veramente una disillusione, proprio un rifiuto! E forse i giovani lo vivono in maniera ancora più accentuata rispetto agli adulti, rispetto ai genitori o ai nonni. Hanno addirittura perso, per certi aspetti, la voglia di ribellarsi… Ma anche fare politica è necessario: significa sviluppare la società. Se i giovani perdono anche questa prerogativa e non hanno più speranza, non credo che ci sia un grande futuro.

    D. - Voi, però, avete messo in luce - con questa ricerca - tante esperienze innovative nel settore dell’agricoltura, che hanno battuto la crisi…

    R. - I dati che noi abbiamo disponibili la dicono lunga su cosa può offrire e cosa offre l’agricoltura in termini assolutamente concreti. C’è la riscoperta, intanto, di attività di un certo tipo nella produzione del cibo, ma ci sono anche delle vere e proprie invenzioni: il fatto che ci si possa occupare di fare il muratore ecologico, di fare l’erborista, di essere tutor nell’orto in città… Certamente, l’agricoltura genera delle nuove professioni. La riscoperta dell’agricoltura in questo senso è fondamentale per il tessuto sociale che ha l’agricoltura e quindi per generare - anche in funzione dell’ottimismo, che tante volte manca – valore negli altri settori, dove si vede cosa sta succedendo, a parte le vendite dei grandi nomi dell’economia italiana. L’agricoltura - secondo noi - sta reagendo molto bene alla crisi e sta offrendo ai giovani alternative di successo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    S. Egidio: vanno avanti i negoziati per la pace in Casamance

    ◊   Nei giorni scorsi, una delegazione del governo del Senegal, inviata dal presidente Macky Sall, e una delegazione dell’Movimento delle Forze Democratiche della Casamance, inviata dal suo capo Salif Sadiò, si sono incontrate a Roma, nella sede della Comunità di Sant’Egidio, nel quadro dei negoziati per il ritorno della pace in Casamance. Le due delegazioni, dopo avere discusso il primo punto dell’agenda concordata il 3 novembre 2013, hanno approvato un documento relativo alle “Misure di fiducia reciproca’’. Di questo documento le due parti hanno deciso di notificare i seguenti punti: rendere pubblica la posizione del governo senegalese che ha già indicato per iscritto “che non esiste alcun mandato d’arresto contro Salif Sadio”; adottare misure che garantiscano la libera circolazione, nel quadro dei negoziati di pace, di Salif Sadio, capo del Movimento delle Forze Democratiche della Casamance e dei suoi delegati. Nello stesso spirito di instaurazione delle “Misure di fiducia reciproca”, le due parti – informa un comunicato di S. Egidio – si impegnano a tenere un comportamento che possa favorire i negoziati per il ritorno della pace in Casamance e ridurre le sofferenze delle popolazioni. Le due delegazioni si sono congratulate per lo spirito costruttivo e la sincerità che hanno prevalso durante questa sessione organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, che non si è risparmiata per il conseguimento del buon esito dei negoziati. Le due parti hanno concordato di continuare il loro lavoro a Roma, nella sede della Comunità di Sant’Egidio, secondo le date che verranno stabilite di comune accordo. (A.G.)

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    La Custodia di Terra Santa moltiplica il suo impegno caritativo in Medio Oriente

    ◊   La Custodia di Terrasanta, in collaborazione con l'Associazione pro Terra Sancta, ha attivato una serie di iniziative di solidarietà su tre fronti-chiave del Medio Oriente: quello siriano, quello della Striscia di Gaza e quello egiziano. Come sottolinea una nota - inviata a Fides dalla Custodia - in Siria, col prolungarsi del conflitto, i frati hanno creato quattro centri di accoglienza (Knayeh, Yacoubieh, Jser – El Chougour e Jdeideh) che ospitano circa 200 persone e provvedono alle esigenze di altre 4000 ogni giorno. Ogni mese circa 50 famiglie vengono aiutate a cercare nuove case. Gli 11 frati rimasti in Siria sono concentrati nelle aree di Aleppo, Damasco, Lattakiah e Knayeh. A Gaza, la parrocchia cristiana conta appena 250 cattolici. Il progetto lì sostenuto dall'Associazione pro Terra Sancta prevede sostegno economico alle famiglie e ai bambini cristiani di Gaza per far fronte alle necessità più immediate come l’acquisto di medicinali, la copertura di spese impreviste, il supporto economico per la frequenza scolastica. Un impegno particolare – prosegue l’agenzia Fides – viene profuso nel sostegno ai disabili della Striscia e a due centri di accoglienza per disabili presso la Parrocchia latina di Gaza City. In Egitto, i Francescani della Custodia tengono aperto il grande convento del Musky, già sede della grande parrocchia latina del Cairo, rimasta quasi vuota dopo la rivoluzione egiziana del 1952. Lì opera il “Centro di Studi Orientali Cristiani”, che con il patrimonio della sua biblioteca e la preziosa attività di assistenza allo studio e alla ricerca, rende un servizio culturale al mondo cristiano e musulmano. I frati del Cairo, oltre al lavoro di studio sulle comunità cristiane del Medio Oriente – conclude Fides – si adoperano nell’aiutare la gente del quartiere popolare del Musky, in particolare i bambini, i ragazzi e le famiglie più numerose, sovvenzionate nei loro bisogni primari, in particolare il cibo quotidiano e le spese mediche più urgenti. (A.G.)

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    Perù: l’arcivescovo di Huancayo condanna il razzismo e le discriminazioni

    ◊   “La discriminazione razziale è uno dei maggiori problemi nella nostra società, perché impedisce la parità dei peruviani nel rispetto della diversità”. Lo ha denunciato mons. Pedro Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo, commentando positivamente la campagna lanciata dal governo locale contro la discriminazione etnica e razziale. La campagna è stata promossa dalla “Piattaforma contro la discriminazione etnico-razziale” del Ministero della Cultura dopo che, durante una partita di calcio tra una squadra brasiliana e una peruviana, i tifosi di quest’ultima avevano rivolto insulti razzisti a uno dei giocatori brasiliani. Mons. Barreto ha ricordato che la Chiesa condanna gli atti discriminatori e razzisti in tutte le loro forme, perché offendono profondamente la dignità della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio. “La discriminazione aumenta la povertà e l’esclusione sociale e impedisce la reale costruzione di una cultura della pace e uno sviluppo fondato nell’uguaglianza”, ha aggiunto il presule, ricordando che il Perù è un Paese multietnico e multiculturale. “Non a caso - ha osservato – il patrono della giustizia sociale è San Martin de Porres, frate domenicano del XVI secolo e primo Santo afro-americano che ha sofferto la discriminazione della società del suo tempo. Il razzismo è un grande male che ha causato molto dolore nel mondo e anche oggi c’è bisogno di un dialogo franco e di un atteggiamento aperto alla conversione a partire dalla famiglia”, ha quindi sottolineato l’arcivescovo di Huancayo. In Perù, la discriminazione etnica e razziale è abbastanza diffusa soprattutto contro le popolazioni indigene e di origine africana, nonostante costituiscano la maggioranza della popolazione del Paese. (A.T.)

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    “Cibo per tutti”: è il tema di un seminario promosso da Caritas italiana

    ◊   Un seminario di approfondimento sui temi della campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro”. Lo promuove Caritas italiana, venerdì 28 febbraio a Roma (dalle 10 alle 13 presso Domus Pacis Torre Rossa Park Hotel), per “riflettere e condividere i temi portanti della campagna nazionale
elaborata dagli organismi, dalle associazioni e dai movimenti cattolici italiani: cibo giusto per tutti, una finanza a misura d’uomo, relazioni di pace”. L’iniziativa, informa l’agenzia Sir, vuole inoltre “orientare percorsi di partecipazione attiva, mobilitazione, formazione:
insegnanti, educatori e animatori sono le categorie interpellate, ma anche giovani imprenditori presenti nei diversi settori produttivi”. Introduce i lavori don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana; intervengono don Antonio Sciortino (direttore del settimanale “Famiglia Cristiana”), Gianfranco Cattai (presidente Focsiv) e Brunetto Salvarani (direttore di “Cem Mondialità”). (A.G.)

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    L’arcivescovo di Singapore: pregare sul posto di lavoro, segno di testimonianza cristiana

    ◊   L'arcivescovo di Singapore, mons. William Goh Seng Chye, invita il personale dipendente delle parrocchie, delle scuole e degli altri istituti cattolici della città-Stato a riunirsi e recitare la liturgia delle ore. “Come ben sapete - ha sottolineato di recente il prelato - il compito più importante per la Chiesa universale è l'impegno nella Nuova evangelizzazione che presuppone, prima di tutto, la conversione personale di ciascun cattolico, dal Papa ai vescovi, i sacerdoti, religiosi e i laici”.
    In una missiva inviata di recente alla comunità, di cui riferisce l’agenzia AsiaNews, mons. William Goh Seng Chye ha sottolineato che la sfida primaria “è il rinnovamento della nostra relazione personale con il Signore”. Assieme alla recita della liturgia delle ore, l'arcivescovo di Singapore invita i dipendenti degli istituti cattolici a riunirsi almeno una volta a settimana per lo studio della Bibbia, oltre che a “chiedere cinque gironi di ferie all'anno, per organizzare un ritiro spirituale”. A Singapore i cattolici sono oltre 200 mila, pari al 5% circa del totale della popolazione. La Chiesa locale vive una fase di crescita e dinamismo, che hanno portato alla recente apertura di un seminario, definito una vera e propria "pietra miliare" per la comunità locale. (A.G.)

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    In Abruzzo, grandi preparativi per la Festa di San Gabriele dell’Addolorata

    ◊   Giovedì prossimo, migliaia di pellegrini affolleranno il Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, in provincia di Teramo, in occasione della festa del Santo. La giornata inizierà alle 6.30 del mattino con la celebrazione del transito di San Gabriele, presieduta dal superiore generale dei Passionisti, padre Joachim Rego. Alle ore 11 la solenne celebrazione eucaristica sarà presieduta da mons. Michele Seccia, vescovo di Teramo-Atri. Nel pomeriggio, alle ore 18, l’ultima Messa sarà animata dalle parrocchie della forania di Isola del Gran Sasso. La festa liturgica di San Gabriele segna, come ogni anno, l’inizio dei grandi pellegrinaggi al Santuario, uno dei più frequentati in Europa, con oltre 2 milioni di presenze annue. Sono centinaia nel mondo le chiese a lui dedicate. Feste in onore di San Gabriele si celebrano ogni anno in molte parrocchie italiane e in varie nazioni, soprattutto in quelle dove è più forte la presenza di emigrati abruzzesi, in particolare in Australia, Canada, Usa, Venezuela, Cile, Brasile, Argentina, Uruguay, Belgio. In Italia, San Gabriele dell’Addolorata conta 22 chiese parrocchiali a lui intitolate, di cui 8 nella regione Abruzzo. Ci sono inoltre numerose cappelline, edicole dedicate al Santo, sparse in varie regioni italiane. (A.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 56


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