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Sommario del 20/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Concistoro. Il Papa: famiglia disprezzata e maltrattata, ma è cellula fondamentale della società
  • La relazione del card. Kasper al Concistoro al centro del briefing di padre Lombardi
  • Il Papa: per conoscere Gesù non basta il catechismo, bisogna seguirlo come discepoli
  • Pontificia Accademia della Vita. Il Papa: "no" a cultura dello scarto per anziani, malati e disabili
  • Tweet del Papa: “Signore Gesù, rendici capaci di amare come te”
  • Nomine episcopali in Francia, Stati Uniti e Uganda
  • Prefazione del Papa al libro “Povera per i poveri”: “profitto e solidarietà” un legame virtuoso da riscoprire
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Altri 37 morti in Ucraina: evacuata la sede del governo
  • Proteste antigovernative in Venezuela: Obama chiede la liberazione delle persone arrestate
  • Il card. Raï: crisi in Siria è guerra di Stati sunniti contro Stati sciiti, cristiani minacciati
  • Libia al voto per eleggere l'Assemblea Costituente
  • Famiglia fra le priorità del futuro governo: lo chiede il Forum delle Associazioni Familiari
  • Un patto tra le religioni contro la violenza: l'appello lanciato in un convegno di Sant'Egidio
  • Esorcisti: in Sicilia incontro di formazione per sacerdoti
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Ucraina: le Chiesa europee "seriamente preoccupate" per escalation della violenza
  • Coree: in un clima di commozione sono iniziate le riunificazioni familiari
  • Nigeria. Boko Haram alza il tiro: assaltata la casa del responsabile militare del sud
  • Sud Sudan: il nunzio chiede il coinvolgimento della società civile nei colloqui di pace
  • Qatar: in due anni, morti 500 migranti indiani nei cantieri per i Mondiali 2022
  • India. Metà della popolazione indiana in stato di povertà: le risposte della Chiesa
  • Filippine: la Chiesa sull'inefficienza del governo nell'aiuto alle vittime del tifone
  • Spagna: dopo l’ennesima strage di immigrati a Ceuta, appello Caritas all'Ue
  • Argentina: incontro delle diocesi della Patagonia sul beato Brochero
  • Primo incontro dei tre Ordinariati personali per gli ex anglicani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Concistoro. Il Papa: famiglia disprezzata e maltrattata, ma è cellula fondamentale della società

    ◊   L’Ora Terza ha dato il via stamani nell’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, al Concistoro straordinario che vede riuniti i cardinali con Papa Francesco per riflettere sul tema della Famiglia. Dopo il saluto del cardinale decano Angelo Sodano, il Papa ha tenuto un breve intervento. A seguire, la relazione introduttiva del cardinale Walter Kasper e gli interventi liberi dei porporati. La riflessione si concluderà domani sera. Sabato 22 febbraio, nella Solennità della Cattedra di San Pietro, si svolgerà nella Basilica Vaticana il Concistoro per la creazione di 19 nuovi cardinali. Sull’intervento del Papa il servizio di Sergio Centofanti:

    La famiglia – ha affermato il Papa - “è la cellula fondamentale della società umana. Fin dal principio – ha proseguito - il Creatore ha posto la sua benedizione sull’uomo e sulla donna affinché fossero fecondi e si moltiplicassero sulla terra; e così la famiglia rappresenta nel mondo come il riflesso di Dio, Uno e Trino”:

    "La nostra riflessione avrà sempre presente la bellezza della famiglia e del matrimonio, la grandezza di questa realtà umana così semplice e insieme così ricca, fatta di gioie e speranze, di fatiche e sofferenze, come tutta la vita".

    "Cercheremo di approfondire – ha detto ancora il Papa - la teologia della famiglia e la pastorale che dobbiamo attuare nelle condizioni attuali". Ma occorre farlo - ha precisato - "con profondità e senza cadere nella ‘casistica’, perché farebbe inevitabilmente abbassare il livello del nostro lavoro":

    "La famiglia oggi è disprezzata, è maltrattata, e quello che ci è chiesto è di riconoscere quanto è bello, vero e buono formare una famiglia, essere famiglia oggi; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità. Ci viene chiesto di mettere in evidenza il luminoso piano di Dio sulla famiglia e aiutare i coniugi a viverlo con gioia nella loro esistenza, accompagnandoli in tante difficoltà e anche con una pastorale intelligente, coraggiosa e piena d’amore”.

    Il Papa ha rivolto il suo particolare benvenuto a quanti saranno creati cardinali sabato prossimo: “li accompagniamo con la preghiera e l’affetto fraterno". Infine, ha ringraziato a nome di tutti il cardinale Walter Kasper “per il prezioso contributo” offerto dalla sua introduzione.

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    La relazione del card. Kasper al Concistoro al centro del briefing di padre Lombardi

    ◊   Sull’inizio dei lavori del Concistoro straordinario, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha tenuto un briefing per i giornalisti. Lo ha seguito Paolo Ondarza:

    Padre Lombardi ha innanzitutto invitato i giornalisti a meditare sulle brevi parole con cui il Papa ha aperti i lavori del Concistoro:

    "... perché sono state lungamente pensate dal Papa, enunciate in un modo preciso e dicono una impostazione, un orientamento, un’attesa del Papa per il lavoro di questi giorni".
    Il Papa – ha ribadito padre Lombardi – invita ad una riflessione profonda che non si perda nella casistica delle singole situazioni con la consapevolezza che la famiglia è oggi in una condizione difficile. Al Concistoro non partecipa mons. Loris Francesco Capovilla, segretario personale di Giovanni XXIII, che – ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana – è stato salutato da un lungo applauso. Circa 150 i presenti in aula questa mattina. Solo due gli interventi seguiti all’articolata relazione, di circa due ore, del cardinale Kasper, “fatta ad uso dei padri” e che dunque “non sarà pubblicata”:

    "Io l’ho trovata di una grande sintonia con quello che il Papa dice nelle sue parole introduttive. I fedeli, in situazioni spesso divenute difficili, hanno bisogno di tempo e di accompagnatori pazienti sul loro cammino".
    Una prospettiva molto ampia, teologicamente fondata, quella del testo del porporato tedesco, che si colloca come un ouverture nel cammino verso il prossimo Sinodo, ha detto padre Lombardi; al centro non c’è una messa in discussione della dottrina della Chiesa ma una riflessione nuova a partire dal Vangelo sulla famiglia nell’ordine della creazione e della redenzione, con uno sguardo attento anche ai problemi della pastorale di oggi. La famiglia è indicata come via privilegiata della nuova evangelizzazione, Chiesa domestica, banco di prova della nuova pastorale, via del futuro. Nel testo non si accenna specificamente alle unioni tra persone omosessuali. Spazio invece ai temi della validità del matrimonio e dei divorziati risposati:

    "Si tratta di tenere insieme il binomio inscindibile della fedeltà alle parole di Gesù e della misericordia, della comprensione della misericordia di Dio, nella vita delle persone e quindi nell’azione pastorale della Chiesa".

    I lavori del Concistoro proseguono anche nel pomeriggio. Nuovo appuntamento di padre Lombardi con i giornalisti domani alle 13.00.

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    Il Papa: per conoscere Gesù non basta il catechismo, bisogna seguirlo come discepoli

    ◊   Gesù si conosce seguendolo, prima che studiandolo. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina in Casa Santa Marta. Ogni giorno, ha spiegato, Cristo ci domanda "chi" Lui sia per noi, ma la risposta è possibile darla vivendo come suoi discepoli. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    È una vita da discepolo, più che una vita da studioso, che permette a un cristiano di conoscere davvero chi sia Gesù per lui. Un cammino sulle orme del Maestro, dove possono intrecciarsi testimonianze limpide e anche tradimenti, cadute e nuovi slanci, ma non solo un approccio di tipo intellettuale. Per spiegarlo, Papa Francesco prende a modello Pietro, che il Vangelo del giorno ritrae contemporaneamente nelle vesti di “coraggioso” testimone – colui che alla domanda di Gesù agli Apostoli: “Chi dite che io sia per voi?”, afferma: “Tu sei il Cristo” – e subito dopo in quelle di avversario, quando ritiene di dover rimproverare Gesù che ha appena annunciato di dover soffrire e morire, per poi risorgere. “Tante volte”, osserva il Papa, “Gesù si rivolge a noi e ci domanda: ‘Ma per te chi sono io?’”, ottenendo “la stessa risposta di Pietro, quella che abbiamo imparato nel catechismo”. Ma non basta:

    “Sembra che per rispondere a quella domanda che noi tutti sentiamo nel cuore – ‘Chi è Gesù per noi?’ – non è sufficiente quello che noi abbiamo imparato, studiato nel catechismo, che è importante studiarlo e conoscerlo, ma non è sufficiente. Per conoscere Gesù è necessario fare il cammino che ha fatto Pietro: dopo questa umiliazione, Pietro è andato con Gesù avanti, ha visto i miracoli che Gesù faceva, ha visto il suo potere, poi ha pagato le tasse, come gli aveva detto Gesù, ha pescato un pesce, tolto una moneta, ha visto tanti miracoli del genere. Ma, a un certo punto, Pietro ha rinnegato Gesù, ha tradito Gesù, e ha imparato quella tanto difficile scienza – più che scienza, saggezza – delle lacrime, del pianto”.

    Pietro, prosegue Papa Francesco, chiede perdono a Gesù e nonostante ciò, dopo la Risurrezione, si sente interrogare per tre volte da Lui sulla spiaggia di Tiberiade, e probabilmente – dice il Papa – nel riaffermare l'amore totale per il suo Maestro piange e si vergogna nel ricordare i suoi tre rinnegamenti:

    “Questa prima domanda – ‘Chi sono io per voi, per te?’ – a Pietro, soltanto si capisce lungo una strada, dopo una lunga strada, una strada di grazia e di peccato, una strada di discepolo. Gesù a Pietro e ai suoi Apostoli non ha detto 'Conoscimi!' ha detto ‘Seguimi!’. E questo seguire Gesù ci fa conoscere Gesù. Seguire Gesù con le nostre virtù, anche con i nostri peccati, ma seguire sempre Gesù. Non è uno studio di cose che è necessario, ma è una vita di discepolo”.

    Ci vuole, insiste Papa Francesco, “un incontro quotidiano con il Signore, tutti i giorni, con le nostre vittorie e le nostre debolezze”. Ma, aggiunge, è anche “un cammino che noi non possiamo fare da soli”. È necessario l’intervento dello Spirito Santo:

    “Conoscere Gesù è un dono del Padre, è Lui che ci fa conoscere Gesù; è un lavoro dello Spirito Santo, che è un grande lavoratore. Non è un sindacalista, è un grande lavoratore e lavora in noi, sempre. Fa questo lavoro di spiegare il mistero di Gesù e di darci questo senso di Cristo. Guardiamo Gesù, Pietro, gli apostoli e sentiamo nel nostro cuore questa domanda: ‘Chi sono io per te?’. E come discepoli chiediamo al Padre che ci dia la conoscenza di Cristo nello Spirito Santo, ci spieghi questo mistero”.

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    Pontificia Accademia della Vita. Il Papa: "no" a cultura dello scarto per anziani, malati e disabili

    ◊   “‘Invecchiamento e disabilità’. E’ un tema di grande attualità che sta molto a cuore alla Chiesa”. Lo sottolinea il Papa nel Messaggio inviato a mons. Carrasco De Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, riunita da ieri in Assemblea nel 20.mo di fondazione. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Studiare, informare e formare” su questioni di biomedicina e diritto in relazione alla promozione e difesa della vita. Questo il mandato di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia per la Vita, sorta l’11 febbraio 1994, chiamata a svolgere un lavoro “spesso faticoso perché richiede di andare controcorrente, sempre prezioso perché attento a coniugare rigore scientifico e rispetto per la persona umana”: lo sottolinea Papa Francesco nel suo messaggio, soffermandosi sul tema “Invecchiamento e disabilità”, scelto per suggellare i 20 anni di attività.

    “Nelle nostre società – osserva Francesco – si riscontra il dominio tirannico di una logica economica che esclude e a volte uccide e di cui oggi moltissimi sono vittime, a partire dai nostri anziani”, specie se malati o disabili. Da qui la “cultura dello scarto". Qualcosa di più e di nuovo rispetto a sfruttamento e oppressione: esclusione. “Gli esclusi” sono “rifiuti, avanzi”. Se la salute è “un valore importante” – spiega il Papa – non determina però il “valore di una persona”, così anche “non è di per sé garanzia di felicità”, che può esservi invece “in presenza di una salute precaria”. “E la più grave privazione che le persone anziane subiscono – denuncia il Papa – non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore”. A questa deriva si oppone la famiglia “maestra di accoglienza e solidarietà”, dove s’impara “a non cadere nell’individualismo ed equilibrare l’io con il noi”, e s’impara “che la perdita di salute non è una ragione per discriminare alcune vite umane”.

    “Una società è veramente accogliente” – conclude Francesco – quando riconosce che la vita “è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità, nella malattia grave e persino quando si sta spegnendo”; quando insegna che la chiamata alla realizzazione umana non esclude la sofferenza, anzi, insegna a vedere nella persona malata e sofferente un dono per l’intera comunità”.

    Intanto, oggi a Roma, presso l’Istituto Augustinianum, prende il via il Workshop della Pontificia Accademia per la Vita, dedicato ad “Invecchiamento e disabilità”. I lavori si concluderanno domani con l’intervento di mons. Zygmut Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, sul tema “Chiesa e persone anziane disabili. Fabio Colagrande ha intervistato mons. Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita:

    R. – Credo che la cosa specifica della Chiesa sia sempre svegliare la dimensione trascendente. Dobbiamo renderci conto che la nostra vita, i nostri problemi, vanno collocati in un contesto nel quale c’è qualcosa di più, al di là di noi stessi: Dio. Questa è la cosa fondamentale. In questo senso, ritengo che sia molto importante ricordarsi di quella espressione di Gesù nel Vangelo: "L'avete fatto anche a me".

    D. – Papa Francesco ha condannato più volte la cultura dello scarto, diffusa oggi, che tende a escludere i disabili e gli anziani…

    R. – Mi pare sia un’espressione molto indovinata. Io direi che è una variante di quel termine “cultura della morte” che introdusse il Beato Giovanni Paolo II. Ci sono cose che effettivamente vengono usate, poi non servono più e si gettano. Questo non si può trasferire al mondo degli esseri umani. E’ assolutamente inammissibile.

    D. - Ci sono atteggiamenti sociali in particolare che bisogna contrastare in questo campo?

    R. – Penso di sì. In primo luogo, l’indifferenza. Penso che uno dei mali della nostra cultura, della nostra società, nel terzo millennio, sia l’indifferenza, più che l’incredulità. E’ l’atteggiamento più importante da combattere in questo momento.

    D. - Che significato assume il 20.mo anniversario della vostra Fondazione nell’attuale contesto ecclesiale, sociale?

    R. – Ci permette di guardare un po’ indietro, vedere il percorso che abbiamo fatto quando Giovanni Paolo II volle istituire l’Accademia. Credo dobbiamo continuare sulla linea che abbiamo seguito fino ad adesso, che è fondamentalmente quella di aiutare a capire le reali dimensioni, radici, circostanze in cui nascono tutti questi fenomeni che riguardano la vita umana. La maggior parte di questi sono straordinari! Basti pensare in questi 20 anni a tutti i progressi della medicina, delle discipline biomediche. In generale, è una cosa della quale possiamo essere più che soddisfatti e guardare al futuro con speranza. Noi abbiamo la particolarità di poter studiare e affrontare queste cose in totale autonomia, non siamo influenzati da fattori economici, dall’opinione pubblica, non siamo soggetti ai cliché. Però, vorrei dire anche un’altra cosa. Il nostro intento non è solo di formare le intelligenze: consideriamo che sono temi nei quali è assolutamente fondamentale mettere il cuore. Quando si tratta della vita umana, soltanto con teorie, ipotesi, sillogismi, con ragionamenti, il percorso che possiamo fare è molto breve, non dura tanto. Sono temi che è necessario anche affrontare con il cuore.

    D. – Cambiando tema, preoccupano in questo momento il diffondersi di legislazioni che autorizzano l’eutanasia, estendendola addirittura ai minori. Come spiegare, secondo lei, questa cultura contraria alla vita?

    R. – Io non sono molto convinto che sia una cultura contraria alla vita, in quanto mi sembra che sia un fenomeno abbastanza focalizzato, solo che è focalizzato nelle stanze del potere. E’ qualcosa che viene imposto servendosi anche di tutto un lavoro di propaganda, di manipolazione dell’opinione pubblica. Questa legge vorrebbe risolvere eventuali problemi, soprattutto di sofferenza, che in realtà si risolvono in un’altra maniera e molto meglio. La morte non è una soluzione in nessun caso.

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    Tweet del Papa: “Signore Gesù, rendici capaci di amare come te”

    ◊   Papa Francesco ha lanciato questo tweet sull’account @Pontifex: “Signore Gesù, rendici capaci di amare come te”.

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    Nomine episcopali in Francia, Stati Uniti e Uganda

    ◊   Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha nominato ausiliare di Miami mons. Peter Baldacchino, del clero dell’arcidiocesi di Newark, finora cancelliere della “Missio sui iuris” di Turks and Caicos e parroco dell’“Our Lady of Divine Providence” sull’Isola di Providenciales, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vatarba. Il neo presule è nato il 5 dicembre 1960 a Sliema (Malta). Dopo aver frequentato la scuola elementare di “Saint Francis School” a Msida (1966-1971) e la scuola secondaria di “Mount Carmel College” a Santa Venera (1971-1978), ha ottenuto una diploma in Scienze presso l’Università di Malta (1984) e di Perito Elettronico presso la “Umberto Calosso Trade School” a Santa Venera (1984-1986). Ha lavorato come manager tecnico di un impianto di imbottigliamento (1980-1989). Come seminarista del “Redemptoris Mater Archdiocesan Missionary Seminary” a Kearny (New Jersey), nell’arcidiocesi di Newark (U.S.A.), ha proseguito gli studi ecclesiastici presso la “Seton Hall University” a South Orange, ottenendo il “Master of Divinity” (1990-1996). Ordinato sacerdote il 25 maggio 1996 per l’arcidiocesi di Newark, ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale dell’“Our Lady of Mount Carmel” a Ridgewood (1996-1999), Cancelliere della “Missio sui iuris” di Turks and Caicos (dal 1999) e Parroco dell’“Our Lady of Divine Providence” sull’Isola di Providenciales (dal 2000). Il 30 marzo 2009 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Oltre all’inglese, parla il maltese, l’italiano, lo spagnolo e il creolo.

    In Francia, il Papa ha nominato vescovo di Amiensmons. Olivier Leborgne, finora vicario generale della diocesi di Versailles. Mons. Leborgne è nato il 13 novembre 1963 a Nantes, nella diocesi omonima. Ha compiuto gli studi secondari a Meulan e ha frequentato la Scuola Superiore di Commercio di Rouen. Nel 1984 è entrato nel Seminario Saint-Sulpice di Issy-les-Moulineaux, dove ha ricevuto la formazione sacerdotale. Dopo l’ordinazione, si è iscritto alla Facoltà di Teologia dell’Institut Catholique di Parigi, ottenendo la Licenza in Teologia. E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1991, per la diocesi di Versailles. Ha ricoperto gli incarichi seguenti: Vicario parrocchiale a Elancourt- Maurepas (1991-1996); Responsabile diocesano per la pastorale giovanile (1996-1998); Parroco della parrocchia Sainte-Bernadette a Versailles (1998-2003); Vicario episcopale, incaricato della formazione (2003-2004). Dal 2004 è Vicario generale.

    In Uganda, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Moroto, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Henry Apaloryamam Ssentongo, e ha nominato al suo posto padre Damiano Giulio Guzzetti, dei Missionari Comboniani, già missionario in Uganda. Mons. Guzzetti è nato il 15 luglio 1959 a Turate, nell’Arcidiocesi di Milano. Entrò in Noviziato con i PP. Comboniani nel 1983; emise la prima professione religiosa il 25 maggio 1985 e quella perpetua il 27 marzo 1989. Ha completato gli studi di Filosofia in Uganda, presso il Seminario Maggiore di Ggaba, Kampala (1986-1988), e quelli di Teologia in Kenya, presso il Tangaza College di Nairobi (1988-1989). È stato ordinato sacerdote il 23 settembre 1989. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1989-1994: Ministero pastorale in Italia, per l’animazione missionaria e la promozione vocazionale della sua Congregazione; 1994-2009: Vicario parrocchiale a Namalu e Naoi, e poi Parroco della parrocchia di Matanynella, nella Diocesi di Moroto; 1999-2002: Membro del Consiglio Provinciale della Congregazione dei Missionari Comboniani in Uganda; 2009-2014: Formatore nella Casa di Postulato della sua Congregazione in Uganda, Economo e docente presso il Queen of Apostles Philosophy Centre a Jinja; dal 2014: Destinato alla Provincia MCCJ dell’Italia. La Diocesi di Moroto (1965), suffraganea dell'Arcidiocesi di Tororo, ha una superficie di 14.857 kmq e una popolazione di 470.000 abitanti, di cui 229.368 sono cattolici. Ci sono 10 Parrocchie, servite da 35 sacerdoti (14 diocesani e 21 religiosi), 51 Fratelli Religiosi, 58 suore e 7 seminaristi.

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    Prefazione del Papa al libro “Povera per i poveri”: “profitto e solidarietà” un legame virtuoso da riscoprire

    ◊   “Tutti siamo preziosi per tutti”, scrive Papa Francesco nella prefazione al libro “Povera per i poveri. La missione della Chiesa” firmato dal prossimo cardinale Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Il volume sarà presentato martedì 25 febbraio. Il servizio di Roberta Gisotti:
    Povertà e ricchezza: condizioni del vivere umano che il Papa nella sua riflessione rilegge alla luce del Vangelo, evidenziando in particolare il legame prezioso e originario che unisce “profitto e solidarietà”, “una circolarità feconda fra guadagno e dono – sottolinea – che il peccato tende a spezzare e offuscare” e che è “compito dei cristiani riscoprire, vivere e annunciare a tutti”. “Quanto il mondo contemporaneo – aggiunge – ha bisogno di riscoprire questa bella verità! Quanto più accetterà di fare i conti con questo, tanto più diminuiranno anche le povertà economiche che tanto ci affliggono”. E non solo povertà economiche ma anche fisiche, spirituali, sociali, morali beneficiano della solidarietà altrui.
    “Originariamente – spiega il Papa – l’uomo è povero, è bisognoso e indigente”. Se alla nascita abbiamo bisogno delle cure dei genitori, in ogni epoca e tappa della vita ciascuno potrà “mai a liberarsi totalmente dal bisogno e dall’aiuto altrui”, e riuscirà “mai a strappare da sé il limite dell’impotenza davanti a qualcuno o qualcosa”. “Non ci siamo fatti da noi stessi e da soli non possiamo darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Il leale riconoscimento di questa verità ci invita a rimanere umili e a praticare con coraggio la solidarietà, come una virtù indispensabile allo stesso vivere”. Dunque “non temiamo – conclude Francesco – di riconoscerci bisognosi e incapaci di darci tutto ciò di cui avremmo bisogno, perché da soli e con le nostre sole forze non riusciamo a vincere ogni limite. Non temiamo questo riconoscimento, perché Dio stesso, in Gesù, si è curvato e si curva su di noi e sulle nostre povertà per aiutarci e per donarci quei beni che da soli non potremmo mai avere”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Pastorale coraggiosa e piena d’amore: Papa Francesco apre i lavori del concistoro straordinario dedicato alla famiglia.

    E’ l’abbandono la malattia più grave: messaggio del Papa per i vent’anni della Pontificia Accademia per la Vita, con un articolo di Adriano Pessina dal titolo “Oltre la censura della vecchiaia”.

    Ma voi chi dite che io sia?: messa del Pontefice a Santa Marta.

    Pepe e gli altri: intervista di Silvia Guidi alla giornalista e sociologa Silvina Premat, che racconta i suoi giorni tra i “curas vollero” di Buenos Aires, e un articolo di José Maria “Pepe” Di Paola sul prototipo del “villero”.

    Un articolo di Isabella Farinelli dal titolo “E il Papa si preoccupò del vescovo che pativa il freddo”: dal cammino ultramillenario delle diocesi umbre.

    Quando nel rito si esprime l’identità: il cardinale arcivescovo di Ezstergom-Budapest e primate d’Ungheria, Péter Erdo, sul processo di rinnovamento liturgico nelle Chiese orientali.

    Ucraina serve saggezza: dai leader religiosi appelli per la fine delle violenze.

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    Oggi in Primo Piano



    Altri 37 morti in Ucraina: evacuata la sede del governo

    ◊   Proseguono gli scontri in Ucraina: secondo fonti non ufficiali sarebbero almeno 37 i morti di questa mattina, ma le autorità locali parlano di 7 vittime. Il capo dell'amministrazione comunale di Kiev e facente funzione di sindaco, Makeienko, si è dimesso dal partito delle Regioni del presidente Ianukovich e ha detto di essere "disposto a fare qualunque cosa possibile per fermare il bagno di sangue e il fratricidio nel cuore dell'Ucraina". Il palazzo che ospita la sede del governo è stato evacuato per motivi di sicurezza. Oggi, in Ucraina è il giorno del lancio di misure eccezionali "antiterrorismo", secondo quanto annunciato dal Ministero della difesa, con il possibile intervento delle forze armate. Nato, Ue e Usa cercano di scongiurare l’intervento militare. I ministri degli Esteri europei sono in riunione straordinaria e si discute di possibili sanzioni. Londra ha convocato l'ambasciatore ucraino. Di tutt'altro avviso la Russia: il premier Medvedev ha dichiarato: non collaboreremo con un governo "zerbino", ma con autorità "legittime", "efficaci" e in grado di difendere "gli interessi dello Stato ucraino". Per sapere come la gente sta vivendo queste ore, Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente in Ucraina Danilo Eria, analista dell’Osservatorio per i Balcani:

    R. – Qui, la gente veramente adesso teme per il peggio. Anche perché gli ultimissimi sviluppi fanno segnare un arretramento delle forze di sicurezza – cosa piuttosto strana, visto che nei giorni scorsi, ieri e l’altro ieri, erano riusciti a prendere quasi interamente la piazza. Si teme che possa essere una mossa per spianare la strada all’intervento dell’esercito. Ma, al di là del fatto se questa cosa sia plausibile o no, dà il segno di come la gente tema ormai per il peggio.

    D. – Tra la gente, c’è la sensazione di un’Ucraina spaccata a metà?

    R. – No, in realtà no. C’è, al contrario, la sensazione di una grande compattezza. Anche le province orientali, tradizionalmente filorusse, vicine al partito del presidente, al Partito delle regioni, stanno manifestando solidarietà nei confronti dei manifestanti. C’è la sensazione di uno scollamento forte con la classe dirigente, anche con i leader delle opposizioni.

    D. – L’obiettivo è cacciare questa classe dirigente?

    R. - Sì, cacciare questa classe dirigente. L’obiettivo principale è il presidente Yanukovich, sia nella persona del presidente sia anche come simbolo di un’intera classe dirigente altamente corrotta – a detta della popolazione, a detta della gente – e, ripeto, totalmente lontana dalla realtà del Paese.

    D. – Danilo, tu sei in Ucraina da tempo: quali ti sembrano i problemi principali sulla pelle della gente?

    R. - L’economia dell’Ucraina è veramente sull’orlo del default e stiamo vedendo la moneta locale perdere contro il dollaro e l’euro ogni giorno. Questo si traduce subito in una diminuzione della capacità del potere d’acquisto della gente, già scarsissimo.

    D. – L’Ucraina è un Paese che da ex-Repubblica sovietica ha aperto al consumismo occidentale, pagando un caro prezzo in alcune generazioni. E' così?

    R. – C’è stato un passaggio rapido all’economia di mercato, senza creare in realtà una rete di protezione per la gente che vive con stipendi molto bassi.

    D. – Tu hai vissuto a Kiev le ore più calde e purtroppo anche più sanguinose: le scene più brutte che hai visto?

    R. – Ci sono state tante scene brutte di violenza, che venivano proprio dalla pancia della gente. Però, voglio dire qui che si sono viste anche tante scene di grande solidarietà. Nelle retrovie della piazza, che era un vero e proprio campo di battaglia, un vero e proprio assembramento militare, c’era tanta solidarietà: c’erano le donne che cucinavano, le ragazze che passavano a distribuire il cibo alla gente, punti di assistenza sanitaria improvvisati…

    D. – Danilo, dicci qualche frase che la gente ti rivolge? Cosa ti dice?

    R. – La cosa ricorrente che mi sento ripetere è che l’Unione Europea si sbrighi, faccia qualcosa. Che i diplomatici, i capi di Stato europei, la smettano di parlare e agiscano immediatamente per fermare quello che è un bagno di sangue.

    D. – La Nato e l’Unione Europea hanno preso posizione… Anche Obama ha detto: no a ingerenze militari… Però, dall’altra parte, c’è la Russia che parla di tentativo di colpo di Stato da parte della piazza, così come dice il premier ad interim ucraino…

    R. – Indubbiamente, ci sono differenti letture di quello che sta succedendo ed è chiaro che le varie parti – in particolare penso alla Russia – cercano di vederla dall’altro lato e dipingere i manifestanti come terroristi che cercano di compiere un colpo di Stato. No c’è dubbio che ci siano violenti e facinorosi, chi cerca lo scontro tra i manifestanti, ma c’è gran parte della popolazione che chiede un cambio al vertice.

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    Proteste antigovernative in Venezuela: Obama chiede la liberazione delle persone arrestate

    ◊   In Venezuela, cresce la tensione per le proteste antigovernative. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha invitato al dialogo e chiesto la liberazione degli arrestati. Sei i morti finora per le manifestazioni, mentre continua lo scambio di accuse tra opposizione e maggioranza al governo. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Una settimana di proteste durissime in Venezuela, nate dai movimenti studenteschi di Caracas, contro il carovita, la violenza e l’insicurezza che regnano nel Paese. Contestazioni pro e contro l’esecutivo, che in questi giorni si sono macchiate di sangue: sei le vittime, l’ultima nello Stato meridionale di Bolivar. L’opposizione critica duramente l’azione della polizia ritenuta sproporzionata, il governo Maduro parla invece di strumentalizzazioni. I vescovi del Paese Latino Americano continuano ad invitare al dialogo, a sostenere il diritto alla protesta ed chiedono allo Stato di farsi carico delle proprie responsabilità. Sulla stessa linea il presidente Usa, Obama, che ha condannato le violenze e ha chiesto "la liberazione" delle decine di persone arrestate durante i sommovimenti di questi giorni. In questo scenario, i magistrati hanno deciso che Leopoldo Lopez, leader del partito antichavista "Volontà Popolare", resterà in custodia cautelare in carcere fino all’inizio del processo. Lopez, che ieri si è consegnato alle autorità, è accusato di omicidio e di incitamento alla violenza negli scontri di piazza della settimana scorsa a Caracas.

    Sulla situazione, un commento di Loris Zanatta, docente di Storia dell'America Latina all'università di Bologna:

    R. – Le contestazioni in Venezuela sono in qualche modo il frutto previsto e prevedibile di una situazione che già da tempo è allo stremo. I fari dell’opinione pubblica internazionale si sono spenti sul Venezuela alla morte di Chavez – personaggio che attirava l’attenzione di tutti quanti – e nei fatti la sua eredità è straordinariamente pesante. In poche parole, quello che accade è che da un lato abbiamo un sistema economico che è di gran lunga il più inefficiente di tutta l’America Latina – l’economia non cresce e l’inflazione è la più alta di tutta la regione – e dall’altro lato abbiamo un sistema politico straordinariamente autoritario, che oramai della democrazia ha ben poco.

    D. - L’opposizione chiede che il governo, lo Stato, facciano la loro parte. A questo punto, come bisognerebbe agire?

    R. – La mia opinione e quella di diversi osservatori, persino di alcuni ex ideologi della rivoluzione chavista, è che la cosa migliore sarebbe cercare di andare verso un governo di unità nazionale, perché la situazione è veramente drammatica e il rischio di una guerra civile con frattura delle Forze armate è tutt’altro che secondario.

    D. – E’ percorribile questa via?

    R. – Il punto è che non si vede come si possa giungere a una situazione di unità nazionale dal momento in cui il governo e il presidente in carica continuano ad autorappresentarsi come i fondatori di un ordine nuovo, che vede in ogni dissenso una sorta di tradimento della nazione. Difatti, quello che il governo sta facendo – a cominciare dai suoi attacchi agli Stati Uniti – è il tentativo di trascinare sempre nuovi nemici nella contesa in modo da presentarsi come il “custode”, in regime di “monopolio” della nazione, contro i nemici che attentano contro di essa.

    D. – Caracas accusa gli Stati Uniti di ingerenza e di sostenere le manifestazioni. Il presidente Usa Obama richiama al dialogo…

    R. – La premessa intanto è che l’influenza degli Stati Uniti nelle aree latinoamericane in genere, quindi anche in Venezuela, è infinitamente inferiore rispetto al passato. Poi, nonostante il violento antiamericanismo del governo venezuelano, in realtà esso conduce le sue politiche così ambiziose soprattutto attraverso gli scambi con gli Usa, che gli forniscono circa il 60% dei suoi introiti. Direi che proprio il governo venezuelano sarebbe ben felice di trascinare gli Stati Uniti dentro il conflitto, per poter chiamare così i venezuelani alla “union sacrée” contro “l’impero” che minaccia il Paese. In realtà, gli Stati Uniti hanno una lunghissima esperienza di questi modi strumentali di usare l’antiamericanismo. Quindi, francamente dubito che gli Stati Uniti abbiano intenzione di farsi trascinare in un conflitto in cui avrebbero tutto da perdere. In realtà, gli Stati Uniti con questa storia centrano veramente poco.

    D. – A questo punto, qual è lo scenario che si profila?

    R. – E’ veramente preoccupante. Da un lato, abbiamo un governo che si trova in grande difficoltà e che deve prendere misure impopolari, quando invece ha promesso per tutto il tempo alla sua popolazione la liberazione e l’emancipazione. È quindi difficile che il governo possa fare retromarcia. Se farà retromarcia nelle sue politiche economiche – come in parte ha già fatto – ha bisogno di coprirla con un’intensificazione della lotta contro il nemico politico. Questo vuol dire maggiore repressione, maggiore violenza che è proprio quello che sta succedendo. A sua volta, pone però grandi problemi all’opposizione. Un conto è l’opposizione di Henrique Capriles, che tutto sommato sarebbe disposto a una transizione democratica nel rispetto della Costituzione. Ma c’è il rischio che questa polarizzazione induca altri settori dell’opposizione a cercare altre vie più violente. In questo caso, il rischio di una guerra civile in Venezuela è tutt’altro che da scartare.

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    Il card. Raï: crisi in Siria è guerra di Stati sunniti contro Stati sciiti, cristiani minacciati

    ◊   Un accorato appello alla comunità internazionale perché compia passi concreti per la pace in Siria è stato lanciato dal cardinale libanese Béchara Boutros Raï. Il patriarca di Antiochia dei Maroniti ricorda le violenze che stanno devastando la Siria: una guerra di cui anche il Libano sta pagando le conseguenze, come gli attentati che si stanno susseguendo negli ultimi giorni. Ascoltiamo l’appello del patriarca libanese al microfono di Talal Yammine:

    R. – Basta distruzione! Basta gente che muore! Basta queste perdite su tutti i livelli! Nove milioni di siriani fuori dalle loro case, che vivono all’aperto … bisogna che la comunità internazionale abbia più responsabilità, ascolti di più la voce del Santo Padre che non cessa di invitarla a trovare soluzioni pacifiche. Questo noi lo sosteniamo con la preghiera: altrimenti, non sarà facile che questa Via Crucis possa finire … e noi in Libano – purtroppo – ne subiamo tutte le conseguenze.

    D. – La crisi siriana, secondo lei, sta provocando un lento ma inevitabile processo di distacco del Libano da Damasco?

    R. – Se si comprende il “distacco da Damasco” come distacco dal regime, non lo so; comunque, quello che sta avvenendo adesso, in questi giorni, è che il regime sta guadagnando terreno, giorno dopo giorno. Ma noi non vogliamo guardare a chi vince: noi vogliamo dire “basta alla guerra”, una guerra imposta e che proprio perché è imposta è uscita fuori dal suo binario. E’ iniziata, come in altri Paesi arabi, con il popolo che voleva le riforme; è diventata una guerra di Stati sunniti contro Stati sciiti che si combattono su questo territorio, ed è finita per essere una guerra tra diversi gruppi di fondamentalisti estremisti come al Qaeda, Daesh, al Nusra e mercenari di diversi Paesi occidentali e orientali. Non è più una guerra tra il regime e il popolo, e per questo noi vogliamo dire “basta!”. Bisogna che la comunità internazionale trovi le soluzioni perché questa non è una via verso le riforme politiche; non è una via verso la democrazia: è una situazione uscita fuori dal binario, come è successo in Iraq. Dov’è la democrazia che si voleva portare in Iraq? Adesso c’è una guerra civile tra sunniti e sciiti che tutti i giorni semina terrore e miete vittime innocenti. Allora, noi vogliamo rivolgere questo appello alla comunità internazionale, alla coscienza della comunità internazionale, affinché si ponga fine alla guerra.

    D. – Qual è oggi la condizione dei cristiani in Libano, alla luce di tutte le crisi che circondano il Paese – quella siriana, quella israelo-palestinese, ma anche quella interna, economica?

    R. – La guerra ha i suoi effetti su tutti i cittadini, cristiani e musulmani. La guerra non distingue. I cristiani come i musulmani, e tutti gli altri, in Libano e in Siria, come in Iraq e in Egitto, soffrono della guerra, della mancanza di sicurezza, mancanza di stabilità e quindi soffrono economicamente e socialmente. Questo è generale. In più, i cristiani sono minacciati dove ci sono gruppi fondamentalisti. Adesso, in Siria, i fondamentalisti minacciano i cristiani nominalmente: allora, i cristiani non possono vivere sotto le minacce e non sanno che futuro avranno …

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    Libia al voto per eleggere l'Assemblea Costituente

    ◊   Urne aperte in Libia per l’elezione dell’Assemblea Costituente, che sarà chiamata a redigere la nuova Costituzione del dopo Gheddafi, deposto nel 2011. Passaggio essenziale per disegnare il nuovo profilo istituzionale e politico del Paese nord-africano, ancora alla ricerca di una stabilizzazione dopo la rivoluzione che ha portato alla caduta del Rais. Il nuovo organismo sarà composto da 60 membri, rappresentanti della Tripolitania all'ovest, di Fezzan nel sud e della Cirenaica ad est, mentre sei seggi saranno riservati alle donne e altri sei alle minoranze etniche. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Arturo Varvelli, ricercatore Ispi ed esperto di politica libica:

    R. - È la seconda elezione del dopo Gheddafi. Viene, infatti, dopo quella del 2012 che aveva riscosso un buon successo popolare con tre milioni di iscritti e che si erano svolte in un clima quasi pacifico. Queste naturalmente si svolgono in un clima totalmente diverso rispetto a quelle di due anni fa. Hanno poi un valore simbolico diverso anche per la partecipazione popolare che avranno: già dagli iscritti a queste elezioni - circa un terzo di quelli che erano allora - capiamo che la disaffezione verso la democrazia dei libici sta prendendo piede.

    D. - Un voto, infatti, che è stato anticipato da violenze, tensioni, divisioni… Quali sono i punti critici della Libia di oggi?

    R. - Il punto fondamentale è che l’autorità centrale non ha ancora il monopolio dell’uso della forza e non avendo questo controllo - ora diluito e distribuito tra tutte le milizie che controllano ancora il Paese - naturalmente non possiamo avere uno Stato come noi lo intendiamo. Il secondo motivo di preoccupazione è certamente quello legato ad una polarizzazione del confronto politico: da una parte abbiamo la Fratellanza Musulmana e le forze islamiste, che hanno una maggioranza all’interno del Congresso nazionale; dall’altra parte abbiamo invece le forze laiche, più secolariste che appoggiamo il governo di Zeidan e che si sentono usurpate del potere per la campagna che è stata fatta dalla Fratellanza Musulmana all’interno del Parlamento ma soprattutto da un confronto che è diventato molto più aspro tra le due componenti sotto l’influenza di quanto è avvenuto in Egitto nel luglio scorso.

    D. - La nuova carta costituzionale che caratteristiche dovrà avere per traghettare il Paese verso un futuro di normalizzazione e di crescita?

    R. - L’unica caratteristica che deve avere secondo me è quella di essere condivisa il più ampiamente possibile. Solo questo può essere un elemento formante della nuova nazione libica, tutto il resto è secondario. Sono secondarie anche le preoccupazioni sulla sharia: la sharia è uno degli elementi portanti, elemento emergente e di convergenza di molte forze politiche. Poi, naturalmente su come verrà inserita la sharia all’interno della Costituzione c’è un ampio dibattito: sarà l’unica fonte principale della legge? Chi deciderà se una legge del Parlamento è coerente con la legge della sharia? Tutte queste sono tematiche all’interno di una battaglia politica che ancora deve essere compiuta pienamente e questo sarà uno degli elementi caratterizzanti del futuro del Paese. Il punto fondamentale però è che sia una carta il più condivisa possibile da tutti, da tutte le forze politiche, dalle entità locali, tribali e dalle minoranze.

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    Famiglia fra le priorità del futuro governo: lo chiede il Forum delle Associazioni Familiari

    ◊   Sono giorni decisivi per il governo italiano, che sta per vedere la luce e una richiesta arriva dal Forum delle Associazioni Familiari: difendere la famiglia, soprattutto con una delega chiara. Lo spiega, al microfono di Debora Donnini, Francesco Belletti, presidente dello stesso Forum:

    R. – Chiediamo, prima di tutto, che ci sia un’esplicita delega politica per le politiche familiari, perché il governo Letta non aveva attribuito una delega e, quindi, l’azione di governo non ha assolutamente considerato i bisogni delle famiglie. Poi, come urgenza, un alleggerimento della pressione fiscale sulle famiglie con figli e questa è una priorità, perché sono le famiglie a essere state più schiacciate dalla crisi in questi cinque-sei anni e finora hanno solo pagato. Si tratta, dunque, di dare giustizia ed equità e non si tratta di fare interventi assistenziali.

    D. – Proprio questa mattina, il Papa ha sottolineato che la famiglia oggi è disprezzata, è maltrattata e invece ci è chiesto – ha detto – di riconoscere quanto sia bello formare una famiglia, essere famiglia...

    R. – Sì, è come se fosse la grande assente, cancellata dal dibattito pubblico. Poi, quando si tratta di vedere i dati economici, si vede che il risparmio delle famiglie è stato quasi azzerato, che le persone fragili trovano prevalentemente in famiglia sostegno. I servizi pubblici sono in arretramento, i Comuni non hanno più soldi, il lavoro non c’è più e dentro la famiglia, i bambini disabili, le persone anziane, i disoccupati, i giovani che non trovano lavoro, sono protetti. Per noi, quindi, è come un grande motore di sviluppo. Se restituiamo alle famiglie un po’ di possibilità di spesa, sicuramente rifaranno partire l’economia. E’ poi un problema di speranza e di futuro: una società, che non riesce più a fare figli, è come se avesse già dichiarato la propria resa. Un segnale politico forte, quindi, da un nuovo governo, che in pochi mesi vuole rifare l’Italia, non può escludere la famiglia tra le sue priorità assolute.

    D. – C’è un articolo su Avvenire di oggi in cui si parla del modulo "Inps Ap70", il modulo da compilare per ottenere la concessione dell’invalidità civile e delle relative erogazioni, in cui per i minori praticamente invece che “padre” e “madre”, si trova: “genitore 1” e “genitore 2”. Cosa pensate?

    R. – Siamo di fronte alla “burocrazia creativa”. Parlare di “genitore 1” e “genitore 2” è in fondo una banalità, ma c’è dietro un progetto intenzionale di cancellazione dell’idea di paternità e di maternità, che è un’idea fondante dell’umano, che sta alla radice della famiglia, ma anche alla radice del vivere civile. Molti Comuni stanno rimodulando le scuole... Sembra una conquista di civiltà non parlare più di padre e di madre, invece domandarsi se un bambino vuole riconoscersi nell’espressione “genitore 1” e “genitore 2” chiarisce subito che non esistono genitori 1 e 2, ma ci sono papà e mamme, padri e madri. Qui non si tratta di difendere una tradizione, si tratta di dare il nome alle cose.

    D. – Lei pensa che ci sia oggi un attacco alla famiglia?

    R. – Non è che sia io a pensarlo, è oggettivo. Ci sono dei gruppi di opinione, delle figure pubbliche e anche una grande presenza nei principali mass media che tendono a cancellare la famiglia. Di solito, infatti, si usa l’espressione “famiglia tradizionale”, mentre si parla delle “nuove famiglie”. Invece, la famiglia naturale, che è quella riconosciuta in tutta la storia, è un luogo in cui le persone – un uomo e una donna – si mettono insieme, aperte alla vita e con un impegno pubblico, passando dal matrimonio. Questa è la famiglia naturale. Oggi, invece c’è un’idea di artificiale. Ognuno fa come vuole: uteri in affitto, maternità surrogate... E' in atto una grande ideologizzazione di questo luogo insostituibile della vita umana, che è la famiglia. L’attacco c’è, quindi, e forse alle famiglie è chiesta una grande responsabilità pubblica. Bisogna che tutti i genitori si mettano in movimento e reagiscano a questo discorso ideologico, che è contro la famiglia e quindi anche contro l’umano, contro la dignità delle persone.

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    Un patto tra le religioni contro la violenza: l'appello lanciato in un convegno di Sant'Egidio

    ◊   Possono le religioni liberare dalla violenza? Uno degli interrogativi ai quali leader di tutte le religioni spesso sono chiamati a rispondere. Se ne è parlato a Roma, in un Convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio “Le Religioni e la Violenza”, al quale hanno preso parte personalità cristiane, ebree, musulmane, assieme a diplomatici, studiosi e analisti. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Fondamentalismo e terrorismo: sono gli elementi che possono contaminare le religioni a tal punto da non essere più veicoli di pace, bensì strumenti di morte. Alcuni dei conflitti che oggi si vivono in diverse parti del mondo, in alcune zone dell’Africa, del Medio Oriente o dell’Asia testimoniano il tentativo di dare giustificazione religiosa alla violenza. Come già altre volte in passato, anche in questa occasione le personalità chiamate a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio hanno, pur nella diversità di sfumature e accenti, confermato che nessuna religione legittima atti di violenza, che il nome di Dio non può essere usato per giustificare il terrorismo. “Oggi tutte le religioni, ha detto in apertura di Convegno il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, sono vittime di persecuzioni”, ma non bisogna neanche dimenticare il fatto che “gli appartenenti a tutte le religioni, compresi i cristiani, sono stati e sono fautori di violenza”. Dunque, è l'osservazione, “non possiamo eludere un esame di coscienza”. Occorre però rifiutare le teorie che “denunciano l’inevitabile connessione fra religioni – soprattutto quelle monoteistiche – e violenza religiosa”:

    “Oggi, abbiamo questo abuso delle religioni: spesso sono un pretesto, anche, per ragioni o interessi economici, politici, sociali. Ma la religione è per la pace, il nome di Dio è pace, e perciò la religione ci chiama alla pace, al riconoscimento dell’altro e all’apprezzamento dell’altro come uomo, come immagine di Dio. Una purificazione delle religioni stesse è anche un ripensamento dell’essenza della religione e una conversione del cuore. La pace sorge dal cuore”.

    La violenza indossa l’abito della religione laddove i diritti umani sono lesi, dove mancano i diritti economici, il rispetto dei diritti sociali e politici. E’ da qui - spiega Abdelfattah Mourou, vicepresidente del movimento Ennahdha, vincitore delle elezioni in Tunisia e artefice della nuova Costituzione - che si deve partire per fermare la violenza:

    Les causes de la violence, ce n’est pas la religion, c’est autre chose…
    Le cause della violenza non risiedono nelle religioni, sono un’altra cosa. Sono una dittatura, o una mentalità razzista, o aspetti economici, sociali che provocano problemi. Bisogna risolvere quei problemi per poter imporre la giustizia tra gli uomini, e imporre che non ci sia più violenza. Chiedere a persone indifese, povere, senza prospettive economiche, di sottomettersi alla legge - quella stessa legge che non riconosce i loro diritti - è un’ingiustizia nei riguardi di queste persone. Bisogna togliere loro il pretesto di usare violenza.

    “Tutte le religioni sono interpellate dalla violenza, sono tentate da essa, sono talvolta sopraffatte, mentre in altri casi resistono a essa e guariscono l’umanità dalla sua presa”. Così Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, in conclusione di Convegno:

    R. – Sono finite le ideologie e la violenza, i violenti, le organizzazioni violente si rivolgono alle religioni per essere legittimate: questo è il grande problema. Le religioni subiscono la seduzione, la pressione delle organizzazioni violente e noi abbiamo una violenza religiosa crescente. Vediamo in Centrafrica che oggi si parla di lotta tra cristiani e musulmani, ma la realtà è più complessa. E allora, le religioni non possono vivere chiuse nel loro angolo, ma si debbono prendere le loro responsabilità: delegittimare la violenza – primo; secondo, educare al rispetto per l’altro e soprattutto cancellare quella predicazione del disprezzo verso l’altro che è tipica di tanti mondi religiosi.

    D. – A chi identifica nell’islam la radice della violenza, cosa occorre rispondere?

    R. – Io credo che l’islam non sia la radice della violenza, anche se l’islam è fortemente tentato dalla violenza e fortemente coinvolto da un processo di violenze in alcune Regioni, in alcune parti del mondo, come vediamo in Siria. Io credo che tutte le religioni, in maniera virtuosa, debbano mettersi a riflettere.

    Le religioni hanno le loro armi per contrastare le spinte distruttive e sono il dialogo e la cooperazione, efficaci nonostante le profonde differenze. Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio:

    “Noi siamo stati sollecitati dalla stessa predicazione di Papa Francesco ad affrontare il tema della violenza nelle religioni. Ciò che appare, guardando il nostro mondo, è che questa violenza esiste, che questa violenza è forte e colpisce molti innocenti ed è anche in grado di attrarre tanti piccoli. Quindi, il fatto che uomini di religione, teologi, professori si mettano a discutere di come le ragioni della pace, invece, siano le vere ragioni delle religioni, può essere una grande educazione per molti”.

    Impagliazzo e Jerry White, del Dipartimento di Stato americano, leader della campagna internazionale contro le mine antiuomo, si sono ritrovati quindi sulla necessità di dar vita ad un “patto comune” delle religioni, delle culture e della diplomazia per sradicare la violenza e costruire la pace nel mondo.

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    Esorcisti: in Sicilia incontro di formazione per sacerdoti

    ◊   E' iniziato un incontro ormai fisso per i 35 sacerdoti esorcisti che svolgono il loro ministero in Sicilia. Alla sua decima edizione, l’incontro di formazione organizzato dal Centro regionale “Giovanni Paolo II” si tiene fino a sabato a Poggio San Francesco nella diocesi di Monreale. Si parlerà di possessioni e di vessazioni diaboliche, ma anche di pratiche esoteriche e di terapie alternative. Numerosi, negli ultimi anni, i furti sacrileghi e triplicati in Sicilia i casi di persone bisognose dell’intervento dell’esorcista, come conferma al microfono di Adriana Masotti, fra Benigno Palilla, esorcista, promotore dell’evento:

    R. – Io sono mancato da Palermo per sette anni, ma tornando ho notato una recrudescenza, per quanto riguarda la possessione e la vessazione, diciamo in maniera generale, di persone che hanno bisogno veramente dell’esorcista e quindi dell’esorcismo.

    D. – Oltre alla possessione vera e propria si parla anche di partecipazione a messe nere, sedute spiritiche, ricorso a maghi e cartomanti, terapie alternative. E nell’incontro di quest’anno si punta l’attenzione proprio su questo aspetto: le terapie alternative...

    R. – Ci sono delle terapie alternative che creano qualche problema. Fino a che punto hanno un loro valore scientifico e fino a che punto invece possano nascondere qualche situazione, qualcosa di magico, vorremmo approfondirlo attraverso persone esperte in questo campo.

    D. – Qual è il compito dell’esorcista? Quando entra in campo? Solo nel caso di possessione vera e propria oppure anche in altri casi minori?

    R. – L’esorcista interviene sia per quanto riguarda la possessione strettamente detta, cioè quando il demonio s’impossessa del corpo, sospende le facoltà di intelligenza, memoria e volontà. Questa è la forma più grave, ma noi interveniamo anche quando c’è la vessazione, cioè nel momento in cui dall’esterno il maligno agisce sulla persona attraverso idee e pensieri ossessivi, che possono essere una patologia, ma possono essere suscitati dal maligno. Interveniamo anche in caso d’infestazione diabolica, cioè quando una casa è infestata: armadi che si spostano da una parte all’altra, finestre e porte che si aprono da sole. Interveniamo anche quando oggetti nascondono a volte la presenza malefica del maligno. Venendo, infatti, a contatto con certi oggetti, l’individuo potrebbe avere delle conseguenze negative. Casi molto rari, evidentemente. Oppure interveniamo in caso di avversione nei confronti della Chiesa, cosa che nasconde a volte un’azione non ordinaria del maligno, come potrebbe essere una tentazione, ma qualcosa in più.

    D. – Immagino che l’esorcista lavori anche a contatto con degli specialisti...

    R. – Certo, io nel mio caso ho un’equipe medica, ho uno psicopatologo forense, una pedagogista, una psicologa, due medici generici. Adesso si è unito anche uno psichiatra, primario di un ospedale. Quindi, quando i casi sono più complessi, convoco l’equipe, con cui li esamino, e poi tiriamo le somme.

    D. – Con che animo lei svolge il suo ministero?

    R. – Tutto avrei voluto fare meno che l’esorcista, solo che il Signore mi ha chiesto questo servizio e per amore di Lui ho detto: “Va bene”. Non che io mettessi in discussione l’esistenza del diavolo, ma non m’interessava più di tanto. Poi, naturalmente, una volta nominato esorcista, ho dovuto cominciare a studiare, a partecipare a convegni nazionali e internazionali. Il cammino che stiamo facendo è molto interessante. Quello che mi sembrava amaro si è convertito in dolcezza dell’anima e del corpo. Adesso faccio questo servizio ben volentieri, trattandosi di persone che soffrono.

    D. – Fra Benigno, noi dobbiamo aver paura del diavolo?

    R. – No, assolutamente. È lui che ha paura di noi. Naturalmente lui cerca di crearci paure. Una volta mi ha detto: “Io questa notte verrò e ti bastonerò”. Adesso sono qui e ho notato che il Signore mi protegge. E lui che aveva fatto lo spavaldo ha aggiunto: “Effettivamente non posso fare niente contro di te, perché c’è un angelo che ti custodisce”. Non c’è da aver paura del maligno.

    D. – Ecco, sì, ma io intendevo come cristiani, nel senso di stare attenti a non cadere nelle tentazioni...

    R. – Nelle tentazioni d’accordo, ma anche per esempio evitare di aprire delle finestre pericolose. Un’eventuale seduta spiritica apre delle finestre pericolose. Partecipare ad un rito satanico è una finestra pericolosissima. L’esercitare la magia, quella vera è un pericolo grossissimo. Quindi lì bisogna stare attenti.

    D. – Come si spiega l’aumento di queste, non dico possessioni, ma comunque manifestazioni del diavolo, in diversi modi? Perché si sono aperte troppe finestre?

    R. – Probabilmente. Penso di sì. C’è un’aggressione, attualmente, che noto da parte del maligno, sia sul piano della semplice tentazione che su altri piani di azione straordinaria. Come spiegarlo? C’è da pensare che ci sia qualcosa che effettivamente facilita questa attività del maligno.

    D. – Quindi la prudenza è un modo per difendersi da questo pericolo?

    R. – La prudenza, il vivere costantemente in grazia, lo stare a contatto con il Signore, praticare i sacramenti, questo è come uno scudo che ci difende. Certe esperienze, che si fanno, di peccato, ma di un certo spessore, certo possono creare problemi anche sul piano dell’azione del maligno. Una cosa che vorrei dire a livello ecclesiale è questo: le persone tormentate dal maligno sono quelle più povere, che la Chiesa deve amare di amore e di predilezione. Sono i nostri vescovi che ce lo dicono. La domanda che io faccio: quale amore di predilezione noi abbiamo per queste persone? Nella preghiera dei fedeli domenicale si è mai fatta un’intenzione per queste persone? Il ritardo delle liberazioni: noto per esempio che ci sono casi per cui, nonostante preghi da 10 anni, la liberazione definitiva non è ancora avvenuta. E mi domando: perché? L’esorcismo è liturgia, è la Chiesa che prega, quindi è la Chiesa che libera. Conseguenza: se dietro l’esorcista non c’è una Chiesa orante e penitente, le liberazioni ritardano.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Ucraina: le Chiesa europee "seriamente preoccupate" per escalation della violenza

    ◊   Anche la Conferenza delle Chiese europee (Kek) si dice “seriamente preoccupata” per l‘escalation del conflitto in Ucraina. “La Kek - afferma Guy Liagre, segretario generale dell’organismo ecumenico che riunisce 115 Chiese di tradizioni ortodossa, protestante, anglicana di tutti i Paesi europei - sta esortando le sue Chiese membro a pregare affinché tutte le parti in Ucraina esercitino la massima moderazione dopo che più di 25 persone sono state uccise e molte altre ferite durante i violenti scontri a Kiev tra polizia antisommossa e manifestanti di questa settimana”. La Conferenza delle Chiese europee - riferisce l’agenzia Sir - “condanna fermamente le uccisioni” e si appella “a tutte le parti perché agiscano rapidamente per disinnescare le tensioni e trovare una soluzione pacifica alla crisi in atto”. “Invitiamo tutti a pregare perché con saggezza i capi utilizzino i negoziati piuttosto che la violenza per rompere l‘impasse che divide il Paese. Ci appelliamo a loro per trovare una soluzione politica alla crisi e stare uniti contro l‘ulteriore escalation del conflitto che colpisce tutti i segmenti della società”. (R.P.)

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    Coree: in un clima di commozione sono iniziate le riunificazioni familiari

    ◊   Alle 9 di questa mattina, 82 cittadini sudcoreani sono partiti per il monte Kumgang - nella provincia nordcoreana di Gangwon - per riunirsi con i propri familiari, divisi dalla guerra e dalla successiva divisione della penisola coreana. Sono circa 61 anni che non si vedono, e per moltissimi di loro oggi rappresenta la prima e unica opportunità di conoscersi. La stragrande maggioranza dei partecipanti a questi incontri è molto anziana. Si sono incontrati tutti ieri a Sokcho - riferisce l'agenzia AsiaNews - cittadina nei pressi del confine che separa la penisola coreana: anche se la registrazione ufficiale all'evento era prevista per le 2 del pomeriggio, quasi tutti sono arrivati all'alba. Insieme a loro 200 volontari e 12 staff medici, che seguiranno da vicino le condizioni di salute degli anziani. Le due Coree si sono accordate lo scorso 5 febbraio per tenere le riunificazioni in un resort sul monte Kumgang, costa orientale della Corea del Nord, dal 20 al 25 febbraio. Nonostante minacce di vario tipo e un continuo balletto diplomatico, gli incontri sembrano destinati a procedere come previsto. Si tratta delle prime riunificazioni dal 2010, dato che nel settembre 2013 esse vennero annullate un giorno prima del loro inizio dal governo del Nord. Le riunificazioni familiari sono iniziate per la prima volta nel 1985. Rappresentano un "gesto di buona volontà" da parte dei governi di Seoul e Pyongyang, che tuttavia non sono mai riusciti a renderle istituzionali. Per partecipare, i cittadini che possono dimostrare di avere un parente ancora in vita dall'altra parte del confine si sono registrati presso il ministero sudcoreano dell'Unificazione: all'inizio erano 130mila, oggi ne restano in vita poco più di 71mila. Da questa macro-lista, il governo di Seoul prepara diverse liste per ordine di anzianità e per grado di parentela: la precedenza viene data a chi è più anziano - ma può comunque sopportare i disagi fisici e mentali che queste riunificazioni comportano - e a chi ha parenti prossimi come figli o fratelli e sorelle. Dati questi criteri si arriva a una lista di circa mille nomi, e il ministero affida a un computer nel corso di una lotteria trasmessa in televisione la scelta casuale dei nomi che verranno inclusi nelle riunificazioni. A questi si aggiungono una serie di "riserve", che subentrano in caso di impreviste marce indietro dell'ultimo momento: chi partecipa viene poi escluso dalle liste. Sconosciuti invece i metodi di selezione applicati da Pyongyang. (R.P.)

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    Nigeria. Boko Haram alza il tiro: assaltata la casa del responsabile militare del sud

    ◊   Almeno 47 persone hanno perso la vita in un assalto di membri della setta Boko Haram nella città di Bama, nello Stato di Borno (nord della Nigeria). Gli assalitori hanno anche dato alle fiamme l’antico palazzo del Sultano locale. In precedenza - riferisce l'agenzia Fides - uomini della setta avevano teso un agguato al convoglio del governatore dello Stato di Borno, Kashim Shettima, mentre attraversava l’area. Il governatore è uscito illeso dall’imboscata stradale. Appartenenti di Boko Haram sono inoltre sospettati di aver attaccato la residenza del comandante della Joint Task Force (Jtf) nel Delta del Niger, il Maggiore Generale Tukur Buratai, nel villaggio di Buratai, sempre nello Stato di Borno. La Jtf è incaricata di proteggere le installazioni petrolifere nel sud della Nigeria, minacciate da altri movimenti armati che nulla hanno a che vedere con Boko Haram, che invece opera nel nord-est. In coincidenza con l’assalto all’abitazione del comandante della Jtf, il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha però minacciato di colpire anche il sud petrolifero della Nigeria, finora risparmiato dalle azioni della setta estremista. (R.P.)

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    Sud Sudan: il nunzio chiede il coinvolgimento della società civile nei colloqui di pace

    ◊   I colloqui di pace tra le due fazioni rivali, governo e ribelli, dovrebbero riprendere oggi nella capitale etiopica Addis Abeba, nonostante il rinfocolarsi dei combattimenti che hanno interessato Malakal, capoluogo dello Stato petrolifero dell’Alto Nilo. La situazione militare rimane ancora molto confusa, mentre le due parti si rimpallano le responsabilità della rottura della tregua raggiunta il 23 gennaio. In una dichiarazione all’agenzia Cisa di Nairobi, il nunzio apostolico mons. Charles Daniel Balvo, ha sottolineato che occorre coinvolgere la società civile nei negoziati di pace. “Se c’è una soluzione duratura ai problemi del Sud Sudan, occorre che i negoziati non coinvolgano solo il livello governativo ma anche la società civile” ha affermato il nunzio. “So che recentemente alcuni rappresentanti della società civile si sono recati per proprio conto ad Addis Abeba per i colloqui di pace, ma questi dovrebbero essere sempre coinvolti attivamente”. Mons. Balvo ha notato che la Chiesa sta facendo molto per aiutare la popolazione del Sud Sudan ma ha aggiunto che “è molto difficile promuovere lo sviluppo di una società dove intere generazioni di persone non hanno conosciuto altro che la violenza”. (R.P.)

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    Qatar: in due anni, morti 500 migranti indiani nei cantieri per i Mondiali 2022

    ◊   Circa 500 migranti originari dell'India sono morti in Qatar negli ultimi due anni, con una media di 20 decessi al mese. Molti di loro lavoravano nei cantieri di Doha, in preparazione dei Mondiali di calcio che si terranno nel 2022. I dati sono dell'ambasciata indiana in Qatar, che però non ha indicato le circostanze in cui i suoi connazionali hanno perso la vita. I numeri - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno scatenato nuove proteste da parte di attivisti per i diritti umani, che li hanno definiti "eccessivi". Il Qatar ha replicato, dicendo che questo tasso di mortalità è "nella norma". Secondo i dati, 237 indiani sono moti nel 2012, e 241 nel 2013. Nel gennaio 2014 le vittime sono state 24. Da quando la Fifa - nel 2010 - ha scelto il Qatar per i mondiali del 2022, i migranti indiani che hanno perso la vita sono stati 717. Ali Bin Sumaikh al-Marri, a capo del National Human Rights Committee del Qatar, si è difeso dalle accuse di violazioni dei diritti umani. "I numeri non sono esagerati - ha spiegato - se consideriamo che gli indiani rappresentano la più grande comunità del Qatar". Pur non esistendo un censimento ufficiale, secondo stime del governo più di 500mila migranti originari dell'India si trovavano in Qatar alla fine del 2012: essi rappresentano il 26% della popolazione. Nonostante le assicurazioni del governo e del comitato organizzativo di Doha 2022, osservatori internazionali e attivisti per i diritti umani mostrano preoccupazioni per la condizione in cui sono costretti a vivere e lavorare le centinaia di migliaia di migranti. In modo particolare preoccupa l'ormai consolidato sistema della kafala (sponsor): il lavoratore straniero è privato del passaporto e sottomesso al suo datore di lavoro, che impone salari minimi, orari e ritmi di lavoro disumani, divieto di licenziamento o espatrio. (R.P.)

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    India. Metà della popolazione indiana in stato di povertà: le risposte della Chiesa

    ◊   Sono 680 milioni i cittadini indiani, il 56% della popolazione, che non hanno i mezzi per soddisfare le loro elementari esigenze di sostentamento quotidiano e di accesso ai servizi di base: è quanto afferma un nuovo rapporto pubblicato dall’istituto di consulenza “McKinsey Global Institute” su commissione del governo indiano. Il Rapporto, pervenuto all’agenzia Fides, considera e indaga l’accesso a otto servizi di base: cibo, acqua, assistenza sanitaria, istruzione, servizi igienico-sanitari, alloggio, carburante e sicurezza sociale, Nel campo dell’accesso all’assistenza sanitaria, acqua potabile e servizi igienici, almeno il 40% della popolazione, nota il testo, è sotto uno standard minimo della dignità umana. Utilizzando specifici parametri, il rapporto fissa una linea minima di reddito pro-capite, necessario a soddisfare i servizi di base, a 1.336 rupie al mese. E afferma che, negli ultimi anni, il 56% della popolazione è al di sotto di questa soglia. Il testo fa una differenza tra popolazione urbana e rurale, indicando che 171 milioni di residenti urbani e 509 milioni di residenti in aree rurali sono al di sotto della linea minima. Di fronte a quella che è definita “povertà disumanizzante”, la Chiesa cattolica si impegna a “diventare una Chiesa dei poveri”, come hanno detto di recente i vescovi indiani. Come riferito a Fides dalla Commissione “Giustizia e pace” dei vescovi indiani, la comunità cattolica intende migliorare i propri servizi di istruzione, rendendo le scuole e gli altri istituti educativi più vicini ai poveri. Inoltre si punta a combattere la cultura del benessere, che porta a una “globalizzazione dell'indifferenza”, come l’ha definita papa Francesco. Altri settori di vitale importanza nell’impegno sociale della Chiesa sono: la lotta contro la corruzione, la promozione del “Food Security Bill” (che fissa la sicurezza alimentare per tutti), una speciale attenzione verso i deboli e gli emarginati, in particolare i dalit. (R.P.)

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    Filippine: la Chiesa sull'inefficienza del governo nell'aiuto alle vittime del tifone

    ◊   Il governo filippino non ha saputo fornire un "aiuto adeguato" ai parenti delle vittime e ai sopravvissuti del tifone Haiyan, che tre mesi fa ha devastato diverse aree delle Samar orientali e altre zone del centro del Paese. Il giudizio, durissimo, contro l'operato dell'esecutivo e del Presidente Benigno Aquino è di mons. Crispin Varquez, vescovo di Borongan, nella regione delle Visayas orientali. Il prelato - riferisce l'agenzia AsiaNews - sottolinea che oltre ai controversi dormitori di emergenza allestiti all'indomani del disastro, i progetti di ripresa sbandierati dal governo sono ancora fermi al palo, mentre le sofferenze della popolazione si fanno sempre più acute. Intanto Caritas Manila ha distribuito 70 milioni di pesos (quasi 1 milione e 600mila dollari) per fornire mezzi di sussistenza e generi di prima necessità agli sfollati. Mons. Varquez spiega di visitare con regolarità le aree colpite dal super-tifone, ma "per ora ho visto solo dormitori" che sono "le uniche cose" fatte sinora dal governo qui (nelle Samar orientali). Il prelato aggiunge che le vittime sono ancora in attesa dei programmi e delle iniziative promesse dall'esecutivo; i progetti sono fermi e a poco o nulla è servita la nomina dell'ex senatore Panfilo Lacson ad assistente del Presidente per la riabilitazione e il recupero. "Non vi sono case e mancano le basi per poter vivere" racconta il vescovo di Borongan, che imputa a Manila anche la colpa di mantenere le famiglie all'oscuro circa la reale situazione dei progetti e le tempistiche di attuazione. "Non so nemmeno quando partiranno - aggiunge - o se si trovano ancora allo stadio di progettazione. Non ne ho idea". Intanto una rete di attivisti, la Tindog People's Network, costituita da persone sopravvissute al tifone potrebbe presto intentare un'azione legale nei confronti dell'amministrazione Aquino, per i fallimenti e le incapacità mostrate nella gestione delle operazioni di soccorso e riabilitazione per le popolazioni colpite dal tifone. Intanto la Chiesa filippina continua l'opera di assistenza, come sottolinea padre Anton Pascual direttore esecutivo di Caritas Manila: "Abbiamo già finito le prime operazioni per fronteggiare l'emergenza - racconta il sacerdote a Radio Veritas - e abbiamo messo a disposizione 100 milioni di pesos (poco più di 2,4 milioni di dollari) per le popolazioni di almeno 10 province". Hanno da poco preso il via i programmi di recupero di medio e lungo periodo, per i quali i vertici dell'ente caritativo cattolico e della Chiesa locale hanno previsto un esborso iniziale di 70 milioni di pesos. Il denaro verrà usato per la costruzione di imbarcazioni, la ristrutturazione delle scuole e delle chiese, in particolare a Iloilo e Leyte. Abbattutosi sulle isole Visayas (Filippine centrali) lo scorso 8 novembre, Haiyan/Yolanda ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone e per un ritorno alla piena normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Ancora oggi vi sarebbero oltre 1.700 dispersi; il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il presidente Aquino ha voluto ridimensionare le cifre, sottolineando che le prime stime [superiori a 10mila] erano frutto della reazione emotiva alla tragedia e il numero dei morti non supera i 2.500. Del resto l'estensione del territorio, la sua frammentazione e la difficoltà nell'accedere in alcune aree hanno rappresentato un serio ostacolo agli interventi. Sono quasi 11 milioni gli abitanti che hanno subito danni o perdite a vario titolo, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse. (R.P.)

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    Spagna: dopo l’ennesima strage di immigrati a Ceuta, appello Caritas all'Ue

    ◊   “Una delle più gravi stragi di immigrati mai accadute”. I volontari della Caritas di Cadice, Ceuta e Asidonia Jerez hanno espresso così la loro profonda preoccupazione in seguito dell’ennesimo assalto alla frontiera dell'enclave spagnolo di Ceuta, in Marocco, da parte di centinaia di subsahariani che cercavano di passare in territorio europeo e che ha provocato la morte di 15 giovani. “Ci uniamo al dolore per la tragica scomparsa di questi ragazzi e al tempo stesso registriamo il fallimento di una società che non riesce a comprendere e ad intervenire per evitare inutili morti” recita il comunicato della Caritas locale. Nei giorni scorsi è sensibilmente aumentato il traffico di immigrati che cercano di varcare illegalmente la frontiera e i volontari sono in attesa di questi arrivi. La stessa polizia spagnola ha confermato che diverse migliaia di africani assediano Ceuta e Melilla per cercare di raggiungere il “sogno europeo”. Per questo hanno chiesto ai governi direttamente interessati, così come alla stessa Unione Europea, di adoperarsi affinché non si ripetano ulteriori inutili stragi. Hanno altresì auspicato che “le terre e le acque di frontiera non siano luoghi di sofferenza e di morte”. I responsabili delle Caritas hanno ricordato le parole di Papa Francesco pronunciate in occasione del naufragio di Lampedusa dell’ottobre scorso: “Viene la parola vergogna: è una vergogna!". La Dottrina Sociale della Chiesa, hanno spiegato, è chiara in questo senso: l’immigrato non è un problema o un ostacolo, ma una risorsa. Per questo deve essere accolto come persona e aiutato. Con lui anche i suoi familiari, per una piena integrazione nel nuovo tessuto sociale. Purtroppo la polizia locale, di fronte alle forti pressioni degli immigrati, ha reagito nei giorni scorsi sparando con proiettili di gomma e l’episodio ha suscitato una reazione piuttosto dura da parte del Commissario europeo per gli Affari interni Cecilia Malmstrom che ha espresso su Twitter la sua ''preoccupazione'' per le azioni compiute dalla Guardia Civile ed ha chiesto chiarimenti su quanto accaduto. (A cura di Davide Dionisi)

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    Argentina: incontro delle diocesi della Patagonia sul beato Brochero

    ◊   Si è svolto nella città di Rawson, capitale della provincia di Chubut (Argentina), l’XI Meeting regionale della pastorale delle diocesi che compongono la regione Patagonia-Comahue. L'incontro si è tenuto sul tema "Dal Beato Cura Brochero, approfondiamo la nostra vocazione di discepoli missionari". Aprendo i lavori, il vescovo della diocesi di Rio Gallegos, mons. Miguel Ángel D'Annibale, ha presentato la vita e l'opera di evangelizzazione del Cura Brochero, invitando i partecipanti a riflettere sull'impatto che potrebbe avere il suo esempio e la sua testimonianza nelle diocesi della Patagonia. Quindi ha presentato l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, invitando ad approfondirne la lettura. La nota inviata all'agenzia Fides riferisce che nei lavori di gruppo che sono seguiti, è stato analizzato il percorso fatto, la realtà di ogni diocesi e il lavoro da sviluppare quest'anno. Quindi sono stati proposti lavori e proposte di incontri di formazione congiunti, per la seconda metà dell'anno. Infine nella sessione plenaria è stato condiviso il lavoro fatto. Ciascuna diocesi ha partecipato con una rappresentanza composta da un massimo di 18 persone e con due delegati per ogni settore pastorale. Ogni giorno prevedeva il momento di preghiera, lo scambio di esperienze, un tempo di svago e, alla fine della giornata, la partecipazione all'Eucaristia. Le diverse Commissioni pastorali della regione della Patagonia-Comahue si incontrano una volta l'anno (o quando c'è un'emergenza pastorale) per uno scambio di strategie e metodi pastorali, in quanto condividono, in quasi tutti i campi, le stesse realtà sociali. All’incontro di quest’anno hanno partecipato i vescovi di Alto Valle del Rio Negro, Neuquen, San Carlos de Bariloche, Rio Gallegos, Comodoro Rivadavia), Viedma ed Esquel. (R.P.)

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    Primo incontro dei tre Ordinariati personali per gli ex anglicani

    ◊   Rafforzare i legami reciproci e analizzare la crescita e lo sviluppo comune: con questi obiettivi, si sono incontrati a Roma, dal 17 al 18 febbraio, i leader dei tre Ordinariati personali di Australia, Stati Uniti ed Inghilterra. Si è trattato – informa un comunicato della Conferenza episcopale inglese - del primo incontro comune tra i responsabili di tali strutture riservate agli ex anglicani che decidono di entrare nella Chiesa cattolica secondo quanto stabilito dalla Costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum Coetibus”, siglata nel 2011. Alla riunione tenutasi a Roma erano presenti i tre Ordinari: mons. Keith Newton dell’Ordinariato di Nostra Signora di Walsingham in Inghilterra; mons. Jeffrey Steenson dell’Ordinariato della Cattedra di San Pietro negli Stati Uniti, e mons. Harry Entwistle, dell’Ordinariato di Nostra Signora della Croce del Sud in Australia. “Ogni ordinariato è diverso – spiega mons. Newton – ma tutti noi condividiamo un obiettivo comune e molte sfide che ci troviamo ad affrontare sono le stesse per tutti”. “Questo incontro – continua – è una buona opportunità per capire a che punto siamo e come possiamo imparare gli uni dagli altri per il futuro”. L’auspicio, quindi, è quello che “d’ora in poi, ci si incontri almeno una volta l’anno”. Nel corso della riunione, i tre Ordinari hanno incontrato anche il cardinale designato Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, insieme ad altri officiali, per riferire sul percorso che gli organismi stanno compiendo. Ulteriori incontri si sono tenuti presso il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e il Centro anglicano di Roma, diretto dal rev. David Moxon, che è anche co-presidente della Commissione internazionale anglicano-cattolica. “La riunione di Roma – conclude la nota dei vescovi inglesi – si è svolta dopo che la Chiesa d’Inghilterra ha compiuto ulteriori passi avanti verso la creazione delle donne vescovo, un tema che ha ostacolato molto le speranze di unità tra le due comunioni”. A novembre scorso, infatti, il Sinodo della Chiesa anglicana inglese ha votato, con larghissima maggioranza, in favore delle donne vescovo. (A cura di Isabella Piro)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 51

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