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Sommario del 12/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: chi vive l'Eucaristia aiuta il prossimo e cerca il perdono di Dio
  • Vescovi bulgari in visita "ad Limina". Mons. Proykov: famiglia ed evangelizzazione, grandi sfide di questa piccola Chiesa
  • Oltre 20 mila fidanzati dal Papa il 14 febbraio. Mons. Paglia: giovani controcorrente che desiderano amare "per sempre"
  • Nomine episcopali di Papa Francesco
  • Accordo Santa Sede-Ungheria: scambio degli Strumenti di ratifica
  • Pontifica Accademia per la Vita, assemblea generale sul tema "Invecchiamento e disabilità"
  • Concordato. Mons. Galantino a 30 anni dalla revisione: Cei concorre all'unità dell'Italia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria, 100 morti ad Hama. Tessari (Caritas): corridoi umanitari sono obiettivi politici
  • Centrafrica: Amnesty denuncia violenze degli anti-Balaka. Ponte aereo del Pam per aiuti alimentari
  • Sicurezza e cooperazione al centro del summit tra Turchia, Pakistan e Afghanistan
  • Appello della Comunità di Sant'Egidio: subito la pace in Colombia
  • Giornata contro uso minori nei conflitti: oltre 250 mila i bambini soldato
  • A 40 anni dal Convegno sui "mali di Roma" riparte il viaggio di solidarietà nelle periferie della capitale
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Coree. Seoul e Pyongyang: al via i colloqui più importanti degli ultimi 7 anni
  • Sud Sudan: nuovo round di negoziati per il Sud Sudan
  • Il Cairo: il patriarca Tawadros chiede all'Europa di aiutare l'Egitto
  • Congo: nuovo attacco dei ribelli ugandesi nella Provincia Orientale
  • Burundi: si aggrava il bilancio delle inondazioni a Bujumbura
  • Congo Brazzaville: i vescovi chiedono una riforma del sistema scolastico
  • Iraq. Governatore di Bassora: aiuteremo i cristiani a tornare nella loro terra
  • Svizzera: preoccupazione delle Chiese per l’esito del referendum contro l’immigrazione di massa
  • Guatemala: appello della Chiesa contro il narcotraffico
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: chi vive l'Eucaristia aiuta il prossimo e cerca il perdono di Dio

    ◊   Un cristiano che viva realmente la Messa non può non preoccuparsi di chi ha bisogno di aiuto. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, davanti a circa 30 mila persone. E un altro criterio di autenticità, ha aggiunto il Papa, riguarda la volontà di sentirsi bisognosi del perdono di Dio e pronti a perdonare gli altri. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La Messa non è cosa per cristiani da salotto. Un rito sociale da officiare a cadenza settimanale, dove si va a incontrare gli amici invece che Gesù, e che non accende nel cuore nessun desiderio di spezzare il pane che si è ricevuto con chi non ha cibo né per il corpo né per l’anima. La catechesi del mercoledì di Papa Francesco è, come spesso accade, una luce che va a caccia delle piccole e grandi ipocrisie che si annidano nella vita cristiana. L’argomento, come la settimana scorsa, è sempre il Sacramento della Eucaristia, ma visto dal versante pratico di quei tre “segnali” che, afferma il Papa, “ci dicono se noi viviamo bene l’Eucaristia o non la viviamo tanto bene”. Primo “indizio”, spiega, è “il nostro modo di guardare e considerare gli altri”, se cioè simile o meno all’atteggiamento di Gesù, che amava stare con le persone e “condividere” i loro desideri o problemi:

    “Io che vado a Messa come vivo questo? Mi preoccupo di aiutare, di avvicinarmi, di pregare per coloro che hanno questi problemi? O sono un po’ indifferente? O forse mi preoccupo di chiacchierare: ‘Hai visto come era vestita quella o come è vestito quello’?… Alle volte, si fa questo dopo la Messa o no? Si fa! E quello non si deve fare! Dobbiamo preoccuparci per i nostri fratelli e sorelle che hanno un bisogno, una malattia, un problema”.

    E la concretezza di Papa Francesco individua subito, tra le tante, un paio di categorie di persone che certamente hanno bisogno di aiuto:

    “Pensiamo - ci farà bene oggi! – a questi fratelli e sorelle che hanno oggi problemi qui a Roma, problemi per la pioggia, per questa tragedia della pioggia, e problemi sociali del lavoro e chiediamo a Gesù, a questo Gesù che noi riceviamo nell’Eucaristia, che ci aiuti ad aiutarli".

    Secondo indizio, il perdono. Si va a Messa, afferma il Papa, per la grazia “di sentirsi perdonati e pronti a perdonare”. L’Eucaristia non è la liturgia per chi si “ritiene o vuole apparire migliore degli altri”, ma di chi ha bisogno “di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio”:

    “Se ognuno di noi non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore, ma meglio che non vada a Messa! Perché noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Gesù, partecipare alla sua redenzione, al suo perdono. Quel ‘Confesso’ che diciamo all’inizio non è un ‘pro forma’, è un vero atto di penitenza! Io sono peccatore e confesso! Così inizia la Messa”.

    Terzo e ultimo segnale, avverte Papa Francesco, riguarda il rapporto tra la celebrazione eucaristica e “la vita delle nostre comunità cristiane”. L’Eucaristia, ripete, è un dono, “un’azione di Cristo”, non una commemorazione umana di ciò che Lui ha fatto. Quindi, è dall’Eucaristia che sgorga “la missione e l’identità stessa della Chiesa”, il che comporta una responsabilità:

    “Una celebrazione può risultare anche impeccabile dal punto di vista esteriore, bellissima, ma se non ci conduce all’incontro con Gesù, rischia di non portare alcun nutrimento al nostro cuore e alla nostra vita. Attraverso l’Eucaristia, invece, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia, così che in ogni comunità cristiana ci sia coerenza tra liturgia e vita: questa coerenza tra liturgia e vita”.

    Al momento dei saluti, affettuoso e ammirato è stato il saluto rivolto, tra gli altri, da Papa Francesco al cardinale Miloslav Vlk, definito “vecchio lottatore e difensore della fede nella Repubblica Ceca”, presente in questi giorni a Roma per la visita ad Limina dell’episcopato del suo Paese. E sempre con lo sguardo rivolto alla fede dei popoli slavi, il Papa ha terminato l’udienza generale parlando dell’imminente festa liturgica dei Patroni d’Europa, i Santi Cirillo e Metodio, che dell’area slava furono primi evangelizzatori, auspicando che la loro testimonianza aiuti i giovani “a diventare in ogni ambiente discepoli missionari”, incoraggi gli ammalati a offrire le sofferenze “per la conversione dei peccatori” e sia di esempio ai nuovi sposi nel fare del Vangelo la “regola fondamentale” della vita familiare.

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    Vescovi bulgari in visita "ad Limina". Mons. Proykov: famiglia ed evangelizzazione, grandi sfide di questa piccola Chiesa

    ◊   Inizia domani in Vaticano la visita “ad Limina” dei vescovi della Bulgaria. La comunità cattolica del Paese è piccola nei numeri ma viva e dinamica. Sulle sfide di questa Chiesa nella società attuale, ascoltiamo il presidente della Conferenza episcopale bulgara, mons. Christo Proykov, al microfono di Desislava Tanceva:

    R. - La Chiesa cattolica in Bulgaria vive la sua testimonianza cristiana in una società che presenta molte sfide. Ci sono quelle comuni a tutti i Paesi europei, come il consumismo, il relativismo, l’edonismo, la mancanza dei valori fondamentali per la vita umana. Ma ci sono anche alcune sfide tipicamente “bulgare” ereditate dal passato regime sovietico, come ad esempio la diffusa ignoranza del fatto religioso, anche tra chi si considera cristiano. La situazione non è facile, ma direi che è favorevole per gettare le reti dell’annuncio e per seminare la Parola di Dio.

    D. – Quale realtà si vive all’interno della comunità cattolica?

    R. - Fra i cattolici e le tre diocesi dei due riti esiste una forte collaborazione. Si organizzano incontri ed esercizi spirituali per i giovani. Questo offre ai nostri giovani che vivono nelle piccole comunità parrocchiali sparse nelle diverse città della Bulgaria un ricco scambio di esperienze. In estate si organizzano incontri nazionali per giovani e adulti. Periodicamente vengono anche promossi incontri per le famiglie e altri gruppi, guidati dal Movimento dei Focolari. La pastorale silenziosa del tempo delle persecuzioni viene gradualmente sostituita da una pastorale attiva, capace di valorizzare la ritrovata libertà religiosa. Nella Chiesa si cerca un coordinamento sempre più ampio in ambito liturgico, catechistico, caritativo e vocazionale. Esiste il Consiglio Nazionale dei Superiori delle Comunità dei religiosi e delle religiose, che rende possibile la collaborazione fra gli ordini religiosi. Fra i nostri fedeli non ci sono problemi dottrinali e gli insegnamenti della Chiesa vengono generalmente accettati. Il recepimento delle indicazioni conciliari cresce costantemente. Per il 50° anniversario del Concilio Vaticano II sono state pubblicate le traduzioni in bulgaro dei documenti conciliari, del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (quella del Catechismo già c’era), dei libri Benedetto XVI su “Gesù di Nazareth”. In questo momento si sta traducendo Youcat e l’Esortazione apostolica di Francesco “Evangelii Gaudium”. I rapporti di collaborazione fra noi tre vescovi dei due riti sono cordiali e i contatti fra i nostri fedeli sono frequenti e fruttuosi.

    D. - Come hanno accolto i fedeli bulgari l’elezione di Papa Francesco?

    R. - Come in tutto il mondo, la rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino è stata una grande sorpresa. L’elezione di Papa Francesco è stata accolta con gioia sincera e filiale. I fedeli sono particolarmente attratti dal suo atteggiamento amorevole verso le persone più deboli nella società. Il suo muoversi con naturalezza e il coraggio con cui affronta i problemi e le questioni difficili e importanti conquistano la simpatia di molti. Noi vescovi bulgari siamo particolarmente felici di essere stati chiamati ad incontrare Papa Francesco dopo il nostro incontro con Papa Benedetto XVI in occasione della nostra ultima visita “ad Limina” e i nostri fedeli aspettano con gioia di sentire da noi, al nostro rientro, quanto abbiamo vissuto insieme con Papa Francesco.

    D. - Qual è la situazione della famiglia in Bulgaria?

    R. - Oggi più che mai la famiglia è messa a dura prova. Siamo testimoni di attacchi da tutte le parti. Si cerca di cancellare la sua identità e la sua dignità, degradandola ad una semplice convivenza. Nell’opinione pubblica in Bulgaria la famiglia viene ancora intesa come l’unione tra un uomo e una donna. La legge bulgara non riconosce i matrimoni fra le persone dello stesso, ma questa corrente di pensiero penetra anche nella nostra società e ciò crea nuove esigenze pastorali. Molte famiglie portano le ferite del divorzio. Il processo di secolarizzazione che sta radicandosi anche nella società bulgara, soprattutto tra le nuove generazioni, mette in seriamente discussione il fondamento dell’indissolubilità del matrimonio, come anche la stessa necessità di sposarsi. L’aborto si pratica con leggerezza e si pubblicizza la contraccezione. Sono poche le coppie che vivono la propria sessualità secondo gli insegnamenti della Chiesa e la causa di ciò è spesso una grande ignoranza, anche per la mancanza di un’educazione cristiana nelle famiglie di origine, frutto di 50 anni di ateismo di Stato durante i quali l’istruzione religiosa era molto limitata. Si sente un grande bisogno di una formazione cristiana delle famiglie. Cerchiamo di fare il possibile attraverso corsi di preparazione al matrimonio; corsi ed incontri periodici per le famiglie; corsi di catechismo per adulti e incontri di formazione per i giovani sul Magistero della Chiesa riguardante questi temi. Quest’anno abbiamo in progetto di organizzare degli incontri nazionali delle famiglie.

    D. - Quali sono i rapporti con la Chiesa ortodossa?

    R. - La Chiesa ortodossa rappresenta la grande maggioranza in Bulgaria. Conosco il nuovo patriarca Neofit da tanti anni. E’ una persona di fede profonda, intelligente e molto erudita. Abbiamo accolto con gioia la sua elezione un anno fa, e penso che la Chiesa ortodossa abbia fatto una buona scelta. I rapporti con lui sono sinceri e di stima reciproca. Nonostante ciò, a livello istituzionale sarebbe auspicabile fare molto di più per i nostri rapporti e contatti. Ma a livello dei laici i contatti e la collaborazione sono fruttuosi.

    D. - Come affronta la Chiesa cattolica in Bulgaria la crisi economica attuale?

    R. - Il termine crisi è molto ampio: si parla di crisi economica, ma c’è anche la crisi spirituale, quella umana, quella d’identità. Direi che in fondo è crisi umana. Penso che nel mondo d’oggi l’uomo si stia smarrendo, non ci sono più valori non negoziabili, ma la dittatura del relativismo che soffoca l’essere umano. Solo guardando verso Gesù si può uscire da questa crisi antropologica. La Chiesa cattolica in Bulgaria si impegna con la sua pastorale per salvare quest’uomo.

    D. La Chiesa è in difficoltà? Come si sostiene?

    R. - Dal punto di vista economico, la Chiesa cattolica in Bulgaria non riceve alcun finanziamento da parte dello Stato. I sacerdoti vivono delle offerte per le Messe e delle offerte e donazioni occasionali, oltre che del sussidio annuale della Congregazione per le Chiese Orientali e degli enti stranieri che sostengono le Chiese più povere. Ma tutto ciò spesso non basta per tutte le necessità urgenti e ogni sacerdote si deve arrangiare per cercare altri fondi. Ciò richiede tempo e forze che si potrebbero spendere per le attività pastorali. Inoltre, con la crisi economica ci sono sempre più poveri che dipendono dall’aiuto della Chiesa, e che purtroppo non sempre possiamo aiutare. La Caritas organizza alcuni servizi stabili, come la distribuzione gratuita delle medicine, pasti caldi a diverse decine di poveri in diverse città, quest’anno fra loro ci sono anche i profughi dalla Siria e da altri Paesi. A Sofia abbiamo un ambulatorio medico gratuito per le persone povere. Presso l’Esarcato Apostolico, con l’aiuto del programma di Cor Unum “100 progetti”, è stato creato un centro diurno per le madri, che crescono i figli da sole. Abbiamo il centro diurno “Annunciazione” per i disabili Ci sono progetti per l’assistenza domiciliare agli anziani, programmi per i tossico-dipendenti, per gli anziani, per i senzatetto e per i rifugiati. Nell’aiutare i bisognosi non facciamo differenze. Nonostante le gravi difficoltà economiche, la Chiesa incoraggia la gente ad aiutare gratuitamente per i poveri.

    D. – L’ultima domanda: qual è la presenza della Chiesa nei media e quale il loro ruolo nella nuova evangelizzazione?

    R. - Oggi i media cattolici sono mezzi importanti per svolgere la missione della Chiesa. Tramite Internet si può comunicare, evangelizzare, aiutare tante persone a intraprendere il cammino di conversione. La Chiesa ha una buona presenza in rete. Le diocesi e molte parrocchie hanno una pagina Internet, ma certamente anche la pagina più bella non può sostituire mai il rapporto diretto tra le persone. Ci sono dei blog, gruppi di amici su Facebook, il sito che riporta le notizie della Chiesa locale e universale, e naturalmente il sito della Sezione Bulgara della Radio Vaticana. Secondo la legge in Bulgaria, la Chiesa ha il diritto ad un certo spazio su TV e radio, per le feste. Altre volte viene interpellata per esprimere pareri su questioni di attualità e partecipa a tavole rotonde e rilascia interviste. Tutte queste sono occasioni diffondere il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa. Inoltre, quando ci sono avvenimenti importanti per la vita della Chiesa universale, i mass media mostrano interesse, come è stato per esempio quando il Papa Benedetto XVI si è ritirato e per l’elezione di Papa Francesco, che attira sempre di più l’attenzione dei media in senso positivo. Una certa risonanza ha avuto nei media un evento organizzato dall’Accademia delle Scienze Bulgara per ricordare il 50° anniversario della fine del Pontificato di Papa Giovanni XXIII, che aveva vissuto in Bulgaria per dieci anni nel secolo scorso come Legato apostolico. E’ stata seguita con interesse anche la celebrazione dei 50 anni dell’Enciclica “Pacem in Terris”, che per l’occasione è stata tradotta e pubblicata in bulgaro, ed è stata molto apprezzata. Come dice Papa Francesco, i mass media sono un dono di Dio, e facendone un buon uso possono contribuire tanto al Regno di Dio.

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    Oltre 20 mila fidanzati dal Papa il 14 febbraio. Mons. Paglia: giovani controcorrente che desiderano amare "per sempre"

    ◊   Più di 20mila fidanzati provenienti da 28 Paesi si ritroveranno venerdì 14 febbraio in Piazza San Pietro per incontrare Papa Francesco. L’evento, promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, inizierà alle 11 e sarà coronato dal dialogo che i fidanzati potranno instaurare con il Papa. L’udienza si concluderà con una preghiera appositamente composta per questa occasione. Sarà possibile seguire l'incontro in diretta sulla Radio Vaticana. Secondo mons. Vincenzo Paglia, presidente del dicastero per la famiglia, “il successo numerico dell’iniziativa, assolutamente imprevedibile solo tre settimane, fa mostra che ci sono giovani controcorrente che desiderano che il loro amore duri per sempre e sia benedetto da Dio, anche se il mondo in cui vivono non crede che i legami durino in eterno e che è bene che ciascuno pensi a se stesso”. Stefano Leszczynski ha intervistato lo stesso mons. Vincenzo Paglia:

    R. – Io credo sia importante cogliere che c’è un desiderio profondo di edificare una famiglia, di affrontare insieme il futuro in un mondo nel quale - spesso ormai - si crede che sia impossibile, troppo difficile oppure che ci si debba sposare quando tutti i problemi sono risolti, perdendo quindi quel sogno di costruire assieme un futuro per sé e per i propri figli.

    D. – La Chiesa dà una grande importanza ai fidanzati: è un interessamento per la famiglia in divenire o c’è un significato particolare nel seguire così attentamente i fidanzati?

    R. – Io credo che sia una grande conquista di questi anni, di questi decenni l’aver "inventato" questo percorso di preparazione al matrimonio, perché quelli che vengono partecipano tutti ai corsi cosiddetti prematrimoniali. Certo bisogna perfezionarli, bisogna poi soprattutto accompagnarli dopo la celebrazione del matrimonio. Ma non c’è dubbio che in un mondo cosiddetto liquido – liquido vuol dire che i sentimenti vanno e vengono, perché poi alla fine sono sentimenti egocentrici – l’amore vuol dire costruzione, vuol dire passione comune, vuol dire anche fatica. Ecco perché è importante che la Chiesa ponga attenzione a questo momento della vita, perché è il momento nel quale si gettano le fondamenta: e una casa se è ben fondata, resiste alle intemperie, che inevitabilmente avverranno nel corso degli anni.

    D. – Ci sono tanti episodi di violenza, tanti episodi di maltrattamento. Cos’è che manca nella società per garantire un sano rapporto tra uomo e donna, soprattutto nella vita familiare?

    R. – C’è bisogno di riscoprire in un mondo individualista un amore che è definito non dall’affetto per sé, ma dal voler bene o meglio dal volere il bene dell’altro prima che quello di se stessi. In questo senso, una società che spinge troppo l’acceleratore sull’individualismo è una società che porta alla crudeltà, alla cattiveria. In questo senso la pastorale familiare o meglio l’educazione all’amore richiede ben altro di quello che si sta facendo in questo tempo, nel quale anche solo attraverso i messaggini si spingono ragazzine di 14 anni a suicidarsi… Io credo che dobbiamo essere molto, molto, molto pensosi a non scambiare l’amore per un sentimentalismo egocentrico.

    D. – Verrà anche letta una nuova preghiera, espressamente scritta per questo avvenimento. C’è un passaggio che la colpisce particolarmente o che lei ritiene di dover rimarcare in questa preghiera?

    R. – Un passaggio che io vorrei sottolineare è quando si chiede allo Spirito Santo di accendere in noi la passione per il Regno, il coraggio di scelte grandi e impegnative e la sapienza della tenerezza e del perdono. Questo passaggio della preghiera mi pare – come dire - un programma di come vivere il tempo del fidanzamento per fondare la casa sulla roccia dell’amore, che tutti sono invitati ovviamente ad edificare, a costruire.

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    Nomine episcopali di Papa Francesco

    ◊   Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Valença (Brasile), presentata da mons. Elias James Manning, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Nelson Francelino Ferreira, finora Vescovo titolare di Alava ed ausiliare di São Sebastião do Rio de Janeiro. Mons. Nelson Francelino Ferreira è nato il 26 febbraio 1965, a Sapé, nell’arcidiocesi di Paraíba. Dopo gli studi medi compiuti nel Seminario Arcidiocesano di Rio de Janeiro (1983-1985) ha studiato Filosofia presso la Facoltà Ecclesiastica di Filosofia "João Paulo II" a Rio de Janeiro (1983-1985) e Teologia presso l’Istituto Superiore di Teologia (1986-1994). Ha poi conseguito la Licenza e la Laurea in Teologia Pastorale presso la Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro (1994-2000). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 4 agosto 1990 ed è stato incardinato nell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro, nella quale ha svolto gli incarichi seguenti: Vicario parrocchiale della Parrocchia "São Luiz, Rei de França", in Costa Barros (1990); Vicario parrocchiale della Parrocchia "Sagrada Família", in Realengo (1990); Parroco della Parrocchia "São Marcos", nella Barra da Tijuca (1999-2005); Parroco della Parrocchia "Nossa Senhora da Glória", in Laranjeiras, nella città di Rio de Janeiro (2005-2010). Il 24 novembre 2010 è stato nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro e titolare di Alava, ricevendo l’ordinazione episcopale il 5 febbraio 2011.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo della diocesi di Caicó (Brasile) il Rev.do P. Antônio Carlos Cruz Santos, M.S.C., finora Superiore Pro-Provinciale della Società dei "Missionari del Sacro Cuore", con sede a Niterói. Il Rev.do P. Antônio Carlos Cruz Santos, M.S.C., è nato il 25 novembre 1961 nella città di Rio de Janeiro, arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro. Ha emesso la Professione religiosa il 2 febbraio 1988 nella Società dei Missionari del Sacro Cuore ed è stato ordinato sacerdote il 12 dicembre 1992. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso il Seminario "Paulo VI" di Nova Iguaçu (1984-1986) ed il Corso di Teologia presso la Facoltà dei Gesuiti a Belo Horizonte (1989-1992). Inoltre, ha ottenuto la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais. Nel corso del ministero sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Parrocchia "Pai Eterno e São José" a Rio de Janeiro (1993-1994); Formatore dei Juniores a Contagem, arcidiocesi di Belo Horizonte (1995-1997); Formatore dei Postulanti a Belford Roxo, diocesi di Nova Iguaçu (1998-2001); Maestro dei Novizi a Pirassununga, diocesi di Limeira (2003-2011). Attualmente è Superiore Pro-Provinciale della Società dei Missionari del Sacro Cuore, con sede a Niterói.

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    Accordo Santa Sede-Ungheria: scambio degli Strumenti di ratifica

    ◊   Lunedì scorso, 10 febbraio, nella sede del Parlamento ungherese a Budapest, mons. Alberto Bottari de Castello, nunzio Apostolico in Ungheria, e il ministro delle Risorse Umane di Ungheria, Zoltán Balog, hanno proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo tra la Santa Sede e l’Ungheria sulla modifica dell’Accordo firmato il 20 giugno 1997 sul finanziamento delle attività di servizio pubblico e di altre prettamente religiose («della vita di fede») svolte nel Paese dalla Chiesa Cattolica, e su alcune questioni di natura patrimoniale, che era stato firmato a Budapest il 21 ottobre 2013. L’Accordo è entrato in vigore con lo scambio degli strumenti di ratifica.

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    Pontifica Accademia per la Vita, assemblea generale sul tema "Invecchiamento e disabilità"

    ◊   Si terrà dal 19 al 22 febbraio prossimi, presso l'Istituto Agostinianum a Roma, l'Assemblea Generale della Pontificia Academia Pro Vita dedicata al tema “Invecchiamento e disabilità” che, nell'occasione, celebrerà anche il suo 20.mo anniversario dalla fondazione, ad opera del Beato Giovanni Paolo II con il Motu Proprio Vitae Mysterium (11 febbraio 1994). I lavori dell’Assemblea prevedono un Workshop che si svolgerà il pomeriggio del 20 febbraio e tutto il giorno seguente e sarà aperto al pubblico, in particolare a studiosi, ricercatori, operatori sanitari e studenti che siano interessati ad approfondire la tematica sotto diverse prospettive: teologico-filosofica, etica e medico-sanitaria, culturale e sociale. Come spiega il presidente dell'Accademia, mons. Ignacio Carrasco de Paula, “il raggiungimento della maggiore età di norma ha conseguenze importanti sulle capacità fisiche e intellettuali. Queste disabilità possono imporre delle modifiche alla vita di ciascuno e limitare l'autonomia della persona, aumentando i problemi quotidiani per l'individuo e la famiglia ma anche per la società. La Chiesa è chiamata ad una nuova riflessione su questo scenario per dare un contributo e un sostegno sempre più qualificato e adeguato”.

    Nelle tre sessioni del Workshop – “Disabilità e condizione umana”, “Invecchiamento verso la disabilità: i dati e i problemi” e “Invecchiamento verso la disabilità. Questioni etiche e proposte d'intervento” – saranno affrontate e discusse le questioni più attuali del dibattito odierno quali, ad esempio, il problema culturale e sociale dell'anziano disabile, i documenti internazionali a difesa dell'anziano, le malattie che possono condurre alla disabilità e l'assistenza medica (il care) di cui ha bisogno la persona malata, la dimensione antropologica e i principi etici da adottare da parte degli enti e degli operatori sanitari, i bisogni spirituali del disabile e l'attenzione particolare che la Chiesa rivolge agli anziani malati e disabili.

    I relatori saranno eminenti professori di alcune importanti università e centri di ricerca: A. Borovecki, R. Buchanan, F. Caretta, R. Colombo, R. Dell'Oro, V. Di Lazzaro, J.J. Garcia, S. Krajcik, M. Leonardi, E. Pérez Bret, A. Pessina, M. Petrini, A. Serani, M.-J. Thiel.e P. Marchiori (presidente della sezione di Brescia dell'Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica – AISLA). Concluderà i lavori mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Il programma completo dell'Assemblea e il modulo d'iscrizione al Workshop sono disponibili sul sito web dell'Accademia www.academiavita.org. È prevista la traduzione simultanea in quattro lingue: italiano, inglese, francese e spagnolo.

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    Concordato. Mons. Galantino a 30 anni dalla revisione: Cei concorre all'unità dell'Italia

    ◊   La Cei ribadisce il proprio apporto per rafforzare l'unità del popolo italiano. Lo ha affermato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, intervenendo a un Convegno al Senato a trent'anni dal Concordato del 1984. I particolari da Alessandro Guarasci:

    La Revisione del Concordato del 1984 dette impulso al dialogo tra Stato Italiano e Chiesa. A firmare l’intesa furono il segretario di Stato, il cardinale Agostino Casaroli, e il presidente del Consiglio, il socialista Bettino Craxi. Per mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, quell’accordo fu un ponte nei rapporti tra Stato e Chiesa. Un principio che vale ancora oggi:

    "La Conferenza episcopale si propone come figura concreta dell’unità della Chiesa, che concorre, a suo modo, a far crescere quella del popolo italiano, nel rispetto delle legittime diversità ed autonomie".

    Una collaborazione che si riflette anche nella gestione dei beni ecclesiastici e nel sostentamento del clero, tema che poi fu affrontato con un'apposita legge nel 1985. Da lì, nacque l'8 per mille, sistema tutt'ora valido. Ancora mons. Galantino:

    "La lungimiranza politica circa l’indubbio interesse collettivo alla introduzione di nuove moderne forme di finanziamento alle Chiese attraverso le quali si agevoli la libera contribuzione dei cittadini per il perseguimento di finalità e il soddisfacimento di interessi religiosi, sottolineata nella 'Relazione sui principi' del 1984, trova ancora oggi conferma nel favore che il nuovo sistema continua a incontrare da parte dei cittadini del nostro Paese".

    Nel pomeriggio, sono previsti gli interventi del segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, e il premier, Enrico Letta.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Un incontro che cambia la vita: all'udienza generale Papa Francesco parla ancora dell'eucaristia.

    Un nuovo modo di guardarsi: il segretario di Stato sui trent'anni dalla firma del nuovo concordato tra Italia e Santa Sede.

    Addestrate a morire e uccidere: cresce in Pakistan il fronte delle donne attentatrici suicide.

    Comunicato congiunto della commissione bilaterale tra la Santa Sede e lo Stato d'Israele a conclusione della riunione plenaria di ieri.

    Ore 9.45: Montecassino è rasa al suolo. Nel settantesimo anniversario del bombardamento alleato - il 15 febbraio 1944 - un articolo di Mariano Dell'Omo, la lettera inviata dall'arcivescovo di Milano, cardinale Ildefonso Schuster, all'abate Gregorio Diamare, il resoconto di quest'ultimo a Pio XII e la trascrizione del messaggio radiofonico del nuovo abate di Montecassino, padre Ildefonso Rea (dopo la presa di possesso avvenuta l'8 dicembre 1945).

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    Oggi in Primo Piano



    Siria, 100 morti ad Hama. Tessari (Caritas): corridoi umanitari sono obiettivi politici

    ◊   Alla conferenza di pace per la Siria "Ginevra 2" prosegue lo stallo anche nel terzo giorno di negoziati. La Russia ha detto che bloccherà la risoluzione sugli aiuti umanitari proposta dai Paesi occidentali, perché porrebbe le basi per eventuali operazioni militari. Intanto, nella città assediata di Homs sono riprese le operazioni di evacuazione dei civili e la consegna di viveri, dopo la sospensione decisa ieri. Infine, si segnalano bombardamenti governativi sulla città di Yabroud, mentre, secondo diverse fonti, oltre 100 persone sono state uccise in massacri a sfondo religioso nella regione di Hama. Per un’analisi della drammatica situazione umanitaria, Marco Guerra ha sentito Silvio Tessari, responsabile dell’ufficio per il Medio Oriente di Caritas Italia:

    R. - L’analisi che confermiamo è questa: è una situazione che si deteriora sempre più per la semplice ragione che non ci sono soluzioni in vista, come mi diceva il direttore della Caritas Siria. C’è un andamento a "onde", per così dire, cioè ci sono dei giorni in cui la situazione sembra più calma, con poche automobili che escono dalla Siria, e altri invece in cui ci sono autobus pieni di gente che scappa proprio perché i focolai sono a macchie di leopardo. Per cui, abbiamo il paradosso: alcune zone sono così tranquille che la vita è quasi normale e altre zone in cui la situazione è orribile, questo è ciò che ci riferiscono. A Homs, in particolare, c’era gente che cominciava essere vicina a morire per la fame.

    D. - Perché l’evacuazione a Homs sta procedendo così lentamente?

    R. - Il centro storico di Homs è stato assediato per molti mesi. Il fatto che adesso ci sia una specie di corridoio che permetta di entrare nella città vecchia è però una strada di potere in più. E quindi questa viene vista come possibilità di acquistare maggior potere da entrambe le parti, sia dal governo che dalle opposizioni. Morale: non si sa esattamente a chi vadano gli aiuti. Questo è ciò che mi è stato detto. Il corridoio umanitario diventa una possibile di preda, no? Di viveri, di beni di prima necessità, e ogni parte ha interesse ad appropriarsene. Ecco perché non è facile che questi corridoi funzionino veramente e che la gente esca veramente, perché non tutti sono d’accordo su chi debba uscire prima. È addirittura un’occasione ulteriore di conflitto.

    D. - Non solo Homs, la Siria è tutta un focolaio. Quali sono le situazioni più critiche?

    R. - I conflitti più evidenti si riaccendono a momenti. Indubbiamente, la zona di Homs rimane la più critica, ma poi anche il nord, alcune zone di Aleppo… É una situazione che varia: ad esempio, al sud la situazione è più tranquilla, ma non ci si può mai aspettare un comportamento normale.

    D. - Al terzo giorno di colloqui del secondo round di "Ginevra 2" non emergono risultati positivi. Voi che cosa chiedete alla parti e alla comunità internazionale che sta negoziando?

    R. - Il commento dopo "Ginevra 2" da parte della Caritas Siria è proprio riassunto in tre parole: niente di speciale. Ginevra non ha praticamente avuto nessun effetto neanche di speranza, di prospettiva positiva per la popolazione locale, che naturalmente vede la situazione da questo punto di vista: finché le parti in conflitto non si mettono d’accordo, per noi sarà sempre peggio. Ci sono già diversi milioni di profughi all’estero, quattro milioni di sfollati interni. Quindi, per i prossimi mesi, se veramente non cambia l’impatto che la Comunità internazionale può avere sulle parti in conflitto, dobbiamo aspettarci ulteriori migliaia e migliaia di profughi che verranno prima nei Paesi vicini e poi anche altrove.

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    Centrafrica: Amnesty denuncia violenze degli anti-Balaka. Ponte aereo del Pam per aiuti alimentari

    ◊   Sempre più grave la crisi in Repubblica Centrafricana, teatro da quasi un anno di sanguinose violenze commesse prima dai ribelli Seleka - che nel marzo 2013 hanno portato al potere il loro leader, Michel Djotodia, dimessosi poi il mese scorso - ed ora dalle milizie anti-Balaka. Il Programma alimentare mondiale (Pam) ha lanciato un ponte aereo tra Douala, in Camerun, e Bangui per portare cibo ad almeno 150mila persone nelle prossime settimane, ma l’emergenza alimentare nella zona – secondo l’Onu – riguarda almeno un milione e 300mila persone. Ad aggravare il quadro, la denuncia di Amnesty International, con un rapporto pubblicato oggi: le forze internazionali schierate in Repubblica Centrafricana, si legge, “non sono riuscite a impedire” gli attacchi delle milizie anti Balaka condotti nel tentativo di “pulizia etnica nei confronti dei musulmani”, soprattutto nella parte occidentale del Paese. Ce ne parla Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International-Italia, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - Certamente è una pulizia etnica massiccia, con omicidi settari ed una violenza senza fine che oltre settemila soldati della forza internazionale di peacekeeping non riescono a fermare. I peacekeeper si trovano nella capitale Bangui e in altre zone a nord e a sud-ovest della città, ma le milizie anti-Balaka che stanno perseguitando la comunità musulmana sono soprattutto nell’ovest del Paese dove le forze internazionali non ci sono.

    D. - Le milizie anti-Balaka controllano molte zone del Paese precedentemente nelle mani delle forze Seleka, le quali a loro volta avevano preso il potere con la forza nel marzo scorso, macchiandosi di violenze contro i non musulmani. Quindi siamo di fronte a un degenerare della violenza?

    R. - Possiamo chiamarlo il secondo tempo della violenza, perché quando le forze Seleka hanno preso il potere poi si sono rese responsabili per mesi e mesi - fino a quando non sono arrivati i peacekeeper, a dicembre - di violenze nei confronti delle comunità cristiane. Questo è il secondo tempo della violenza, la rappresaglia.

    D. - Sulla stampa internazionale si legge di violenze che vengono generalizzate in attacchi delle milizie anti-Balaka, etichettate come cristiane, e attacchi dei ribelli Seleka, a maggioranza musulmana. Testimonianze sul posto riferiscono però che si tratta di giochi di potere…

    R. - Non c’è dubbio che siano giochi di potere, perché è evidente che le forze Seleka, che erano a predominanza musulmana, hanno preso il potere cacciando l’ex presidente Bozizé, il quale per fedeltà etnica e geografica ha promosso la costituzione di queste forze anti-Balaka. Su questa divisione politica si è innestato un conflitto molto forte. Nel marzo 2013, è stata la prima volta nel Paese di un presidente musulmano e questo ha prodotto un acuirsi delle divisioni. Il risultato è un Paese nel quale l’odio e il sospetto sono ormai profondi. Ci vorranno anni per superare questa fase.

    D. - Quindi Amnesty International cosa chiede alla comunità nazionale?

    R. - Bisogna prendere il controllo delle forze anti-Balaka, riportarle sotto quel minimo di potere che c’è, punire i mandanti della violenza oltre che i responsabili, e distribuire i soldati francesi e quelli dell’Unione africana nel Paese in modo razionale.

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    Sicurezza e cooperazione al centro del summit tra Turchia, Pakistan e Afghanistan

    ◊   “Una pace sostenibile nel cuore dell'Asia”. E’ la sfida e slogan del trilaterale al via oggi ad Ankara. Seduti intorno ad un tavolo i presidenti di Turchia e Afghanistan, Abdullah Gul e Hamid Karzai, il premier pachistano Nawaz Sharif e quello turco Recep Tayyip Erdogan. Previsti fino, a venerdì, una serie d’incontri anche tra i ministri degli Esteri dei tre Paesi, vertici militari e uomini d'affari. Al centro del summit, l'ottavo dal 2007, la sicurezza nella regione, la cooperazione a livello economico e politico. Il servizio di Massimiliano Menichetti:


    In piena crisi politica, guardando all’Europa, la Turchia ospita l’ottavo summit con il Pakistan e l’Afghanistan. Sfida centrale: la stabilizzazione dell’area asiatica. Continui infatti gli attacchi dei terroristi in Afghanistan, Paese che il prossimo 5 aprile andrà alle presidenziali e che vedrà, entro la fine dell’anno, il ritiro delle truppe di coalizione internazionale. Pesante anche la situazione pakistana dove i talebani continuano la mattanza di vite con decine di attentati, nonostante la dura repressione del governo. Il commento di Pietro Batacchi direttore di Rivista italiana difesa:

    R. – E’ un onesto tentativo, ma che sconta la realtà internazionale. Il significato di questo summit va letto alla luce di un fatto molto semplice: il disimpegno della Nato dall’Afghanistan, la mancanza ancora dell’accordo bilaterale sul post-2014 tra lo stesso Afghanistan e gli Stati Uniti che potrebbe creare un pauroso vuoto di sicurezza. Per cui, alla luce di questa incertezza è chiaro che ci sono una serie di attori, tra cui la Turchia, che cercano e cercheranno di riempire in qualche modo questo presumibile vuoto di sicurezza.

    D. – La Turchia è un Paese molto attivo in ambito internazionale…

    R. - In realtà direi che, al di là dell’attivismo, del gran da fare della Turchia sul piano internazionale, questo ha prodotto pochissimi risultati concreti. La crisi siriana è uno degli esempi più lampanti. Laddove Ankara cercava una partnership nuova con Assad, di rilanciare le relazioni tra i due Paesi, si è ritrovata con una bomba di profughi in casa, si è ritrovata con un aereo F4 abbattuto lo scorso anno dalla contraerea siriana. I rapporti tra la Turchia e la Siria del presidente Assad sono precipitati. Per cui c’è un certo velleitarismo nella politica estera turca.

    D. - Sia Afghanistan sia Pakistan si trovano a dover fare i conti pesantemente con il terrorismo…

    R. – Il Pakistan, se combatte i talebani e i pachistani in casa propria, in realtà, in Afghanistan dà supporto ai talebani. Una volta si chiamava il “grande gioco”; in realtà, adesso lo potremmo chiamare il “grande teatro delle ambiguità”, per destabilizzare sostanzialmente chi è il vero supporter del presidente Karzai, ovvero l’India, nemico giurato del Pakistan. Per cui, se guardiamo anche a questo vertice più che parlare di chi c’è, potremmo parlare di chi non c’è, ovvero l’Iran e l’India. Il terrorismo non è che una conseguenza di questa ambiguità, di queste contraddizioni create dalle stesse politiche estere di Turchia e di Pakistan.

    D. – In un contesto del genere è possibile parlare di stabilizzazione per l’Afghanistan?

    R. – Parlare della stabilizzazione dell’Afghanistan senza chiamare in causa India, Iran e, aggiungo, Russia, mi pare un esercizio di puro velleitarismo.

    D. - La situazione siriana, in questo momento, destabilizza fortemente l’area. La Turchia può comunque giocare ancora un ruolo?

    R. – Il caos siriano è oggettivamente qualcosa di intrattabile e di molto più grande delle attuali potenze e delle attuali garanzie di sicurezza che la Turchia può dare. Non ha margini per portare avanti una politica unilaterale in questi contesti. In Siria si sta combattendo una guerra civile di inaudita ferocia, in cui per procura e per interposta persona si combattono i due grandi nemici del Medio Oriente, cioè Arabia Saudita e Iran. La Turchia può solo pagarne le conseguenze, può limitarsi a cercare di arginare l’ingresso dei terroristi di Al Qaeda sul proprio territorio. Si naviga a vista.

    D. - L’economia può essere un collante al di là delle non trasparenze politiche?

    R. – Non ci può essere economia, non ci può essere prosperità economica senza sicurezza. Parlare di affari, senza che vi siano situazioni di stabilità e sicurezza nell’area, è fine a se stesso. Finché non si risolve il problema della Siria e non si stabilizza l’Afghanistan, i vantaggi economici non potranno essere apprezzati fino in fondo.


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    Appello della Comunità di Sant'Egidio: subito la pace in Colombia

    ◊   Cinqunt'anni di guerra, oltre 200 mila morti: sono i numeri del devastante conflitto in Colombia che non ha risparmiato nessuno, né bambini, né anziani, né donne. Una guerra combattuta anche dai più piccoli, arruolati come soldati, che vede ogni anno migliaia di rapimenti proprio in funzione della guerra civile. Ora, il Paese si trova di fronte alla possibilità di una svolta con il negoziato che dal 2012 si svolge all’Avana, a Cuba, tra il governo colombiano del presidente Santos e la guerriglia delle Farc. Cinque i punti dell’agenda, su due è stato raggiunto già l’accordo. La Comunità di Sant’Egidio oggi ha presentato un appello per la pace in Colombia, al quale hanno già aderito diverse personalità internazionali, tra loro anche i due premi Nobel per la pace, Esquivel e Desmond Tutu. Francesca Sabatinelli ha intervistato Marco Garofalo ,responsabile relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio:

    R. – E' un processo che si sta rivelando lungo, difficile, ma che rappresenta una grande novità per quel Paese che è afflitto da oltre 50 anni da un conflitto interno. La grande novità è che questo incontro – nonostante la durata – sta funzionando: sono stati raggiunti degli accordi importanti su due dei sei punti dell’agenda negoziale. Quindi, secondo noi, è oggi il momento giusto per esprimere il sostegno a questo sforzo di entrambe le parti. Sappiamo bene che ci sono stati nella storia di questo conflitto altri tentativi – l’ultimo quello del presidente Pastrana – di risolvere in maniera negoziale. Purtroppo, però, questo non si è mai avverato e anzi in molti hanno poi puntato sull’opzione militare. Oggi, questo negoziato offre segnali positivi sebbene, lo ricordiamo, è un negoziato confidenziale del quale si sa poco. Però, noi di Sant’Egidio, insieme a tutti quelli che hanno voluto firmare l’appello, vogliamo esprimere la solidarietà a chi ha puntato sul dialogo e ribadire il fatto che questa soluzione negoziale è l’unica possibile.

    D. – Sono stati raggiunti due "sì": uno è quello sulla partecipazione politica, ossia ci si impegna a far partecipare attivamente anche coloro che finora sono stati dalla parte delle guerriglia delle Farc. Qual è l’altro punto?

    R. – L’altro è quello sulle politiche agricole. Non si conoscono tutti i dettagli di questi accordi, però è stato comunicato un accordo di massima su questi due punti. Mi sembrano due fatti molto positivi: primo, perché l’agricoltura è molto importante per quel Paese e, secondo, perché è parte essenziale di ogni negoziato il fatto che chi fino adesso ha agito in una logica di opposizione armata possa rientrare in un dialogo politico. Lo abbiamo visto in molti conflitti, anche quelli in cui Sant’Egidio ha negoziato. Penso al Mozambico, ma anche alla stessa Colombia, dove sappiamo che antichi movimenti di guerriglia – ora non più esistenti – hanno poi dato origine a formazioni politiche. Quindi, non è una novità, ma è una cosa essenziale. Il terzo punto, quello che si sta per negoziare, riguarda le politiche di lotta alla droga e sappiamo quanto sia importante questo punto in un Paese che purtroppo è produttore di sostanze stupefacenti. C’è bisogno di riconvertire le coltivazioni, c’è bisogno di sostenere la popolazione contadina in questo, ma c’è bisogno anche dell’accordo, evidentemente.

    D. – Cinquant'anni di guerra, due anni circa dall’inizio di questo negoziato, voi sperate nel dialogo tra le parti. Qual è, però, la speranza che veramente vi supporta? Perché sappiamo benissimo che i trattati si possono fare, ma si possono anche non rispettare...

    R. – Questo è vero. E’ però anche vero che quando ci sono notizie positive bisogna insistere su queste e bisogna appoggiarle. Al contrario di altri episodi, questo negoziato sta avendo dei risvolti positivi e ci è sembrato – per averlo seguito con attenzione da molto tempo – che queste novità siano sostanziali e degne di fiducia. Certo, è vero, tutto si può smentire, anche le firme apposte il giorno prima. Però, a maggior ragione c’è bisogno di circondare quelli che stanno facendo questi sforzi di negoziazione di una simpatia internazionale. E le molte firme dell’appello lo dimostrano. Ricordo molti ex capi di Stato, fra cui il presidente Chirac, la presidente Mary McKally dell’Irlanda, il presidente di Capo Verde, i premi Nobel: c’è un sostegno morale a questo negoziato che noi oggi abbiamo la volontà di ribadire. E’ chiaro che un accordo generale di pace, che speriamo si ottenga a breve, avrà bisogno di una implementazione. Quello che intendiamo noi oggi dire è, proprio perché conosciamo, perché siamo presenti e perché conosciamo la storia di questo negoziato, qualora ci fosse bisogno noi siamo pronti per l’implementazione degli accordi. Ma per adesso si tratta solo di un sostegno morale e di simpatia a quelli che fanno sforzi di pace. Tutto il Sudamerica ha bisogno di una Colombia stabile e in sviluppo. Questo al momento non c’è, ma speriamo si possa raggiungere al più presto.



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    Giornata contro uso minori nei conflitti: oltre 250 mila i bambini soldato

    ◊   Sono ancora oltre 250.000 i bambini e gli adolescenti arruolati per combattere: dalla guerra in Siria ai conflitti ‘dimenticati’ in Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, la piaga è tutt’altro che estirpata. La denuncia viene dalla Coalizione Italiana Stop all'Uso dei Bambini Soldato, che in occasione dell’odierna Giornata internazionale contro l’uso dei minori nei conflitti lancia il nuovo sito www.bambinisoldato.it: si tratta di uno spazio interamente dedicato all’emergenza, per sollecitare l’opinione pubblica e le istituzioni di tutto il mondo alla ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, in vigore dal 2002. Ascoltiamo Marco Rotelli, segretario generale di Intersos, organizzazione che partecipa alla Coalizione Italiana, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Li chiamiamo “bambini soldato” ma è equivalente a dire “bambini nei conflitti armati”, ovvero quei minori che a vario titolo vengono reclutati o inseriti in maniera diretta o indiretta nelle forze armate regolari e molto spesso in quelle irregolari, nei gruppi ribelli armati. Lo dico perché nei numeri c’è un’enorme prevalenza di ragazze e ragazzine che vengono inserite per scopi non direttamente legati al combattimento ma di sfruttamento, a volte – purtroppo molto spesso – sessuale, da parte dei combattenti.

    D. – Generalmente come vengono reclutati?

    R. – Ci sono vari modi. Tra i più frequenti c’è il rapimento vero e proprio; altre volte vengono in qualche modo circuite le famiglie con garanzie legate alla sicurezza, con minacce e altro, per portar via i figli e sostanzialmente dedicarli a questo tipo di attività. Parliamo di numeri difficili da quantificare, nel mondo: sono probabilmente oltre 250 mila. Sappiamo che, proprio perché difficili da registrare, si tratta di numeri indicati per difetto: verosimilmente ce ne sono molti di più. Solo nella Repubblica Centrafricana, la cui situazione oggi è purtroppo di grande attualità, ne abbiamo oltre 6 mila. Noi abbiamo fatto un punto anche su altre due situazioni, certamente importanti, quella della Siria e quella del Sud Sudan: si parla di migliaia anche in questi casi. Ad esempio, in Sud Sudan, nei recenti violentissimi scontri nel periodo di Natale, la nostra stessa base è stata distrutta ad opera di bambini, di minori reclutati da forze che si opponevano alle truppe regolari. Ciò avviene proprio perché permette alle forze di opposizione di intervenire con persone che sono poi difficilmente giudicabili, qualora venissero prese. Possiamo fare un riferimento, però, anche ad azioni “virtuose”: recentemente, nel mese di gennaio, in Myanmar, il governo ha ottenuto che quasi un centinaio di bambini coinvolti nel conflitto armato fosse rilasciato dalle forze armate, risolvendo quindi una parte del problema. Se ne ha, in queste circostanze, un altro, di problema: quello della reintegrazione di questi ragazzi e ragazze per i quali, proprio in forza del loro vissuto, molto spesso particolarmente violento, la reintegrazione nelle famiglie e nella società diventa particolarmente difficile. Hanno infatti visto e commesso delle violenze difficili da elaborare e da accettare e sono considerati pericolosi dalla società. Quindi, nasce una necessità di sostegno alla reintegrazione che è tutt’altro che facile da portare avanti.

    D. - Hanno ratificato il Protocollo 153 Stati, ma anche tra questi Paesi c’è chi di fatto va a violare l’intesa?

    R. – C’è un enorme divario tra gli Stati che hanno firmato e ratificato questo Protocollo e la reale attuazione sul terreno. Abbiamo la Repubblica Centrafricana ma anche il Libano, il Pakistan e la Somalia sono considerati tra i Paesi con il maggiore divario tra la firma effettiva, legale del Protocollo e l’assolutamente scarsa attenzione al fenomeno, se non addirittura alla promozione del fenomeno. Ci sono altri Stati che invece non l’hanno affatto firmato e in questo momento commettono violazioni gravi al testo.

    D. – Quali casi oggi vengono maggiormente segnalati e denunciati e come?

    R. – Ovviamente, è molto difficile individuarli da un punto di vista formale. Molto spesso sono rapporti fatti da attori, tra cui organizzazioni non governative, presenti sul territorio, che sono in prossimità dei conflitti o comunque dei movimenti di queste truppe: quindi, vedono e testimoniano la situazione e cercano di fare delle stime. Faccio un esempio: a Intersos stesso a volte è successo, in Somalia, di vedere l’effettiva tendenza al reclutamento di bambini nei conflitti armati, da parte di elementi dell’opposizione. L’appello di questa Coalizione è dunque quello sostanzialmente di aumentare la sensibilità e la consapevolezza sul fenomeno.

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    A 40 anni dal Convegno sui "mali di Roma" riparte il viaggio di solidarietà nelle periferie della capitale

    ◊   Un viaggio di conoscenza, attraverso una serie di incontri nei quartieri della periferia di Roma, per comprendere i mali che affliggono queste aree della capitale e valorizzare i beni che le sostengono. E’ il percorso, che si snoderà nei prossimi mesi, presentato oggi durante la conferenza stampa tenutasi nella nuova sede della Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro. E’ stato anche rinnovato l’invito, come ha ricordato all'udienza generale Papa Francesco, a non essere indifferenti ai disagi sociali. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Sono passati 40 anni dal convegno sulla “responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma”. Quell’incontro pone, anche oggi, cruciali interrogativi. Mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana di Roma:

    R. – La sottolineatura che la diocesi ha voluto dare allora, e quindi anche promossa da don Luigi Di Liegro, è stata quella di domandarci - ognuno di noi si doveva domandare –: ‘Io, in quanto cristiano, come mi sento corresponsabile delle difficoltà dei miei fratelli?’ Oggi, a 40 anni, credo che anche noi dovremmo farci la stessa domanda, per non demandare sempre agli altri la responsabilità di quello che avviene intorno a noi. Credo che oggi, con l’impulso e la spinta di Papa Francesco, noi dobbiamo saper guardare quello che avviene intorno a noi. Il Papa parla di periferie e le periferie sono tante. Non sono solamente dove c’è carenza materiale e fisica. Oggi la periferia è proprio quella dove l’uomo non sa dare più una risposta agli interrogativi di fondo della propria vita.

    D. – Di fronte al diffondersi di questo tipo di periferia ‘esistenziale’, c’è anche una nuova risposta da parte della società?

    R. – Io vedo che ci sono tante persone sensibili che si mettono a disposizione nel volontariato in favore dell’altro. E mi sembra che cresca anche una dimensione di fede: l’altro è Cristo, l’altro fa parte della mia vita e della mia storia. Non guardare e non aiutare l’altro, significa non voler bene a se stessi.

    La città di Roma è profondamente cambiata ma sono ancora molteplici i mali che affliggono molti quartieri della capitale, soprattutto le periferie. Luigina Di Liegro, presidente della Fondazione Internazionale Don luigi Di Liegro:

    R. - Non ci sono le periferie, le baracche, ma certamente c’è un’inversione di benessere nella nostra società, dovuta ovviamente alla disoccupazione. Ci sono persone che si trovano anche - purtroppo - con gli sfratti. Si registra una situazione socio-sanitaria dove i servizi, che si erano tanto voluti, si trovano in grande difficoltà. Ci sono persone che lavorano nella pubblica amministrazione, ma i servizi non ci sono! Allora questi problemi sarebbero stati sollevati da mons. Di Liegro. Ma cosa possiamo fare? Io penso che don Luigi Di Liegro sia una ispirazione. Prima di tutto dobbiamo essere comunità, essere comunità vigile. Oggi in quale società viviamo? In una società dell’indifferenza?

    D. – Bisogna proprio recuperare quella direzione, verso cui andava mons. Di Liegro: dirigersi verso le periferie. Una indicazione, questa, più volte ricordata anche da Papa Francesco…

    R. – Dobbiamo veramente andare verso quella periferia. Dobbiamo creare comunità e non rimanere ognuno nella propria isola. Noi dobbiamo far sì che ognuno di noi si occupi della persona accanto; fare una catena, una catena che poi cresce. A quel punto, non c’è più periferia! La periferia è la persona accanto a noi. Dobbiamo far parte di questa soluzione: non possiamo delegare!

    Dopo 40 anni dallo storico convegno sui “mali di Roma” si terranno, nei prossimi mesi, incontri e conferenze nei quartieri della periferia romana per comprenderne le criticità e valorizzarne le opportunità. Paolo Masini, assessore allo Sviluppo delle Periferie, Infrastrutture e Manutenzione Urbana:

    R. - Vogliamo cogliere questa occasione non solo per ricordare, ma per rifare il punto. Oggi è l’avvio di un percorso per andare di nuovo a parlare con parroci e persone che, quotidianamente, fanno un lavoro enorme e spesso al nostro fianco. Andremo a San Basilio, a Ostia, a Pietralata … Pertanto parliamo dei mali e andiamo a conoscere quelli che non conosciamo, ma con gran parte di questi facciamo i conti tutti i giorni. Parliamo anche dei beni di Roma e delle tante persone che con grande coraggio, tutti i giorni, fanno un lavoro enorme.
    D. - Questo ‘viaggio’ nelle periferie romane sarà anche l’occasione proprio per dare nuove risposte e concrete da parte del Comune di Roma?

    R. - Questa è una battaglia importante che si vince solo se siamo insieme, se la parte migliore di questa società si mette insieme. Oggi è il caso classico: il Comune di Roma ha dato uno spazio per la sede della Fondazione Di Liegro, Fondazione Vodafone ha dato i soldi per ristrutturarla. Quello è lo schema: mettere insieme la parte migliore della società e costruire una società migliore. Stiamo lavorando su questa strada.


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    Nella Chiesa e nel mondo



    Coree. Seoul e Pyongyang: al via i colloqui più importanti degli ultimi 7 anni

    ◊   Per la prima volta dopo 7 anni, due delegazioni governative di Seoul e Pyongyang hanno aperto un round di colloqui bilaterali nel villaggio di Panmunjom, nella Zona demilitarizzata che dalla fine della guerra civile divide la penisola coreana. L'incontro - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato richiesto "a sorpresa" dal Nord e l'agenda dei dialoghi - che non è stata resa nota - prevede con ogni probabilità le riunificazioni familiari programmate per il 20 febbraio e la ripresa di una qualche forma di cooperazione economica. Fra alti e bassi, i due governi si incontrano diverse volte l'anno. Tuttavia, i colloqui aperti questa mattina sono guidati da due esponenti di alto rango: per Seoul il capo-delegazione è Kim Kyou-hyun, vice consigliere per la Sicurezza nazionale; la controparte del Nord è Won Tong-yon, funzionario di alto livello specializzato nei rapporti intercoreani. Prima del meeting, Kim ha dichiarato: "Si tratta di un'opportunità importante, c'è la possibilità di aprire una nuova era per la penisola coreana. Voglio partecipare con un atteggiamento aperto e con la mente libera, in modo da poter studiare bene queste aperture. Faremo ogni sforzo per procedere con le riunificazioni familiari così come programmato nei giorni scorsi". Le due Coree si sono accordate lo scorso 5 febbraio per tenere le riunificazioni in un resort sul monte Kumgang, costa orientale della Corea del Nord, dal 20 al 25 febbraio. Se gli incontri riusciranno a verificarsi, saranno i primi di questo tipo dopo oltre tre anni. Il giorno successivo (6 febbraio), i due governi si sono scambiati le liste con i nomi dei familiari scelti per le riunificazioni: si tratta di 85 persone da Seoul e 95 da Pyongyang. Tuttavia, sempre il 6 febbraio la Corea del Nord ha minacciato di non procedere con le riunificazioni "se le esercitazioni militari fra Corea del Sud e Washington dovessero avvenire come previsto". Le esercitazioni, che si svolgono ogni anno e coinvolgono i circa 12mila soldati americani di stanza in Corea, sono visti dalla "Casa Blu" - la residenza del presidente sudcoreano, al momento Park Geun-hye - come un asset strategico molto importante. Pyongyang le definisce "una provocazione militare", mentre Seoul e Washington insistono da tempo sul loro carattere "soltanto difensivo". Proprio le esercitazioni militari del 2013 spinsero il Nord ad annullare all'ultimo momento le riunificazioni familiari previste per settembre. Sono circa 73mila i sudcoreani che vogliono riabbracciare le proprie famiglie rimaste al Nord. Dei sopravvissuti alla guerra, il 9,3 % ha più di 90 anni; il 40,5 % più di 80 anni e il 30,6 % più di 70 anni. Il lato umano della vicenda è straziante: anche se i due governi cercano di evitare dimostrazioni pubbliche a favore delle riunificazioni, le storie degli anziani che sperano di rivedere i propri cari prima di morire appaiono ogni giorno sui giornali del Sud. (R.P.)

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    Sud Sudan: nuovo round di negoziati per il Sud Sudan

    ◊   Avviato ieri nella capitale etiopica, Addis Abeba, il secondo turno dei colloqui di pace tra le due fazioni rivali dell’Splm (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese, il partito di governo), rispettivamente capeggiate dal Presidente Salva Kiir e dall’ex vice Presidente Riek Machar, che hanno sprofondato il Sud Sudan nella più grave crisi dalla sua indipendenza. All’apertura dei colloqui - riporta l'agenzia Fides - il Primo Ministro dell’Etiopia, Hailemariam Desalegn, ha lanciato un appello ai leader sud sudanesi perché si impegnino concretamente a trovare un accordo prima che il Sud Sudan diventi il centro di un conflitto regionale, con il coinvolgimento degli altri Stati dell’area. In precedenza il Premier etiopico, che è Presidente dall’Igad, l’organizzazione regionale degli Stati dell’Africa Orientale incarica della mediazione, aveva criticato l’intervento dei militari ugandesi a fianco delle truppe governative contro i ribelli di Machar. Il rappresentante della South Sudan Council of Churches (l’organizzazione che raggruppa le principali confessioni cristiane del Paese) ha sottolineato l’urgenza di trovare una soluzione al conflitto: “Siamo stanchi della guerra” ha affermato. Il Sud Sudan è divenuto indipendente nel 2011, dopo un lungo processo al termine di un conflitto ventennale con il governo di Khartoum. (R.P.)


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    Il Cairo: il patriarca Tawadros chiede all'Europa di aiutare l'Egitto

    ◊   Il patriarca copto ortodosso Tawadros II ha ricevuto ieri sera i rappresentanti della delegazione dell'Unione europea presente in Egitto. All'incontro con il patriarca, avvenuto presso la cattedrale di san Marco al Cairo, hanno preso parte tra gli altri l'ambasciatore James Moran – a capo della delegazione Ue in Egitto – e la responsabile della delegazione per i diritti umani Karen Andersen. Nella conversazione con i rappresentanti Ue, Tawadros ha insistito sulla necessità che l'Unione Europea e tutta la comunità internazionale sostengano e accompagnino il cammino intrapreso dall'Egitto per uscire dalla crisi e riattivare il pieno funzionamento delle istituzioni democratiche. Lunedì scorso il Consiglio dell'Unione Europea, in un pronunciamento ufficiale dedicato all'attuale fase vissuta dall'Egitto, aveva espresso apprezzamento per “l'adozione della nuova Costituzione avvenuta con il referendum del 14 e 15 gennaio”, ma aveva anche lamentato “l'assenza di un processo pienamente inclusivo, la mancanza di tentativi volti a superare la polarizzazione della società e la chiusura degli spazi politici per le opinioni dissenzienti prima e durante il referendum”. Nel comunicato Ue veniva espressa preoccupazione anche riguardo alle misure di “giustizia selettiva contro l'opposizione politica”, con un evidente riferimento agli arresti che hanno colpito i leader e i militanti dei Fratelli Musulmani dopo la deposizione del Presidente Mohamed Morsi. (R.P.)

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    Congo: nuovo attacco dei ribelli ugandesi nella Provincia Orientale

    ◊   Più di 5.000 civili in fuga, una vittima, una decina di donne e tre bambini rapiti: fonti della società civile della provincia Orientale hanno riferito all’emittente Radio Okapi il bilancio dell’ultima ondata di attacchi da parte di uomini armati identificati come ribelli dell’Esercito di resistenza del signore (Lra). In base alla testimonianze raccolte - riferisce l'agenzia Misna - migliaia di abitanti del territorio di Niangara hanno abbandonato i propri villaggi nella zona di Manziga per trovare rifugio nel capoluogo di Nambia. Gli sfollati – originari dei villaggi di Sendebe, Nabakpa, Magombo, Kembele, Nawoko e Kpanga – hanno denunciato violenze ed esazioni dall’inizio del mese. Secondo la società civile di Niangara i ribelli ugandesi sarebbero inoltre responsabili di aggressioni ai danni di commercianti ambulanti e di furti di cibo. L’amministratore locale Jean-Pierre Moikima ha vietato alla popolazione di andare a caccia e di recarsi in luoghi non protetti dai militari. Un battaglione delle forze armate regolari (Fardc) di stanza a Nambia è stato incaricato di ristabilire la sicurezza nei villaggi bersagliati. Il mese scorso a Kpeletu, località del territorio di Bondo, nel distretto del Bas-Uelé, la ribellione ugandese è stata accusata del rapimento di un gruppo di 17 pescatori. Nella stessa zona, nel mese di dicembre gruppi di ribelli dell’Lra hanno compiuto saccheggi, devastazioni e ucciso tre civili nei villaggi di Baday e Nambala, costringendo alla fuga migliaia di persone. Nata in Uganda negli anni ’80 con l’obiettivo di rovesciare il governo di Kampala, la ribellione dell’Lra si è suddivisa in piccoli gruppi che dal 2005 effettuano incursioni nel nord-est del Congo, in Centrafrica e in Sud Sudan. (R.P.)

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    Burundi: si aggrava il bilancio delle inondazioni a Bujumbura

    ◊   Si aggrava di ora in ora il bilancio delle inondazioni che domenica sera hanno colpito il nord e l’est di Bujumbura. Fiumi di acqua, fango e detriti ma anche il crollo delle case hanno causato finora 67 morti accertati, 182 feriti oltre ad aver distrutto 3.700 abitazioni. Fonti governative e di polizia riprese dall'agenzia Misna, hanno però sottolineato che si tratta di un bilancio ancora provvisorio, destinato a crescere. Col defluire delle acque ,corpi senza vita vengono ritrovati quotidianamente nei quartieri densamente popolati di Kamenge, Kinama, Gihosha, Gasenyi e a Gatunguru, località del comune di Mutimbizi (nord-est), tra le zone più danneggiate dalle piogge torrenziali. Tuttavia le autorità non hanno ancora diffuso alcun dato sul numero di sfollati, stimati dalla Croce Rossa locale in almeno 10.000 come conseguenza della distruzione su vasta scala di abitazioni costruite in mattoni di terra essiccata che hanno ceduto al peso dell’acqua piovana e dei detriti di ogni genere. Le piogge hanno travolto tutto sul loro passaggio: bestiame, terreni coltivati, macchine, ponti e strade, privando interi quartieri di acqua potabile, luce e telefono. “La vita sta riprendendo pian piano il suo corso regolare. Abbiamo deciso di far seppellire i corpi delle vittime per scongiurare il rischio di malattie e epidemie. E’ stata la peggior calamità naturale nella storia della città” ha detto Saidi Juma, sindaco di Bujumbura, assicurando “l’aiuto materiale e il sostegno” del governo ai senzatetto. “Siamo stati letteralmente sommersi e il fango è entrato nel centro, nelle sale a piano terra, nella biblioteca e nella casa. Come tanti altri ci siamo trovati di fronte al disastro. La gente va da una parte all’altra a vedere se per caso tra le erbe, nei rigagnoli, nelle discariche impreviste, nelle distese vuote dei quartieri, si trova ancora qualche cosa da salvare”: scrive alla Misna padre Claudio Marano, che da 22 anni gestisce il Centro giovani di Kamenge. “Questa delle inondazioni è una delle tante prove a cui siamo stati messi di fronte – ha sottolineato il missionario saveriano – Purtroppo accade proprio in coincidenza con la settimana di appoggio al Centro, per salvarlo dalla chiusura (per mancanza di fondi, ndr) e per svolgere attività tra le varie religioni. Non abbandonateci!”. Il Centro giovani di Kamenge è in prima fila negli aiuti ai residenti dei poveri quartieri settentrionali – stimati in 400.000 persone – e in particolare ai suoi 42.200 iscritti, oltre ad aver contribuito alla riconciliazione tra le due principali etnie (hutu e tutsi) dopo la guerra civile. (R.P.)


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    Congo Brazzaville: i vescovi chiedono una riforma del sistema scolastico

    ◊   “L’educazione nazionale dovrebbe costituire una priorità per il Paese. Di fatto essa richiede una pluralità d’attori, l’implicazione di tutti: governo, insegnanti, sindacati, società civile, associazioni, Chiese”: è quanto hanno scritto in una dichiarazione i vescovi della Repubblica del Congo riuniti in assemblea generale la settimana scorsa a Brazzaville. Diverse le tematiche affrontate nel corso dei lavori, ma sull’educazione i presuli hanno voluto pubblicare un testo dal titolo “Educare o perire” per evidenziare quanto sia urgente la questione educativa nel Congo. La conferenza episcopale rileva programmi ormai inadeguati alla formazione, la mancanza di aggiornamenti per i formatori, strutture inadatte e scarsamente attrezzate. Le statistiche rivelano che circa il 70% degli studenti della scuola secondaria non superano l’esame di Stato ed è aumentato il tasso di non ammissione alle scuole superiori. Le scuole pubbliche sono misere e negli ultimi anni gli investimenti statali per la costruzione e la ristrutturazione delle infrastrutture scolastiche si sono rivelati insufficienti. I vescovi denunciano inoltre diplomi poco qualificanti dal punto di vista professionale e tecnico e mostrano preoccupazione per l’esitazione delle imprese ad assumere giovani che hanno studiato nel Paese. Per tale motivo i presuli chiedono una riforma del sistema educativo e plaudono all’Anno dell’educazione nazionale e della formazione qualificata voluto dal Capo dello stato. “Impegnarsi per la riforma del sistema educativo porta a dedicarsi seriamente all’avvenire del nostro Paese” scrivono i vescovi che auspicano anche sovvenzioni per le scuole della Chiesa cattolica perché possano funzionare non soltanto come strutture private. La dichiarazione della Conferenza episcopale congolese, che nasce dall’analisi del sistema educativo nazionale, è frutto dell’esortazione post-sinodale Africae Munus con la quale Benedetto XVI incoraggia i vescovi ad impegnarsi per favorire la scolarizzazione dei bambini da considerare una questione di giustizia. “Senza una riforma in profondità del sistema educativo – sottolineano i vescovi – è quasi impossibile aspirare allo sviluppo del Paese. (A cura di Tiziana Campisi)

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    Iraq. Governatore di Bassora: aiuteremo i cristiani a tornare nella loro terra

    ◊   Aiuteremo i cristiani a far ritorno nella provincia, concedendo loro un pezzo di terra da coltivare e creando al contempo opportunità di lavoro e di sviluppo per quanti sono fuggiti in passato per le violenze e la mancanza di sicurezza. È quanto ha sottolineato il leader sciita Majid Al-Nasrawi, dal giugno 2013 governatore di Bassora (nel sud dell'Iraq, al confine con il Kuwait), durante l'incontro con mons. Louis Raphael I Sako e i vertici della Chiesa caldea. Il summit è avvenuto la scorsa settimana, in concomitanza con i festeggiamenti per l'ingresso del nuovo vescovo mons. Habib Hormuz Al-Nofaly, nella diocesi irakena. Un momento di gioia e di festa per tutta la comunità cristiana, che ha accolto il nuovo pastore nel corso di una concelebrazione eucaristica. Il governatore di Bassora - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha voluto organizzare un pranzo solenne per rendere omaggio al patriarca caldeo e alla delegazione cristiana che lo ha accompagnato. Fra i presenti - oltre ai delegati del Consiglio provinciale - il nuovo vescovo della città, il nunzio apostolico in Iraq mons. Giorgio Lingua, il vescovo ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni, alcune suore caldee della Congregazione delle Figlie di Maria e altri prelati. Durante l'incontro Majid Al-Nasrawi ha espresso la sua "gioia" per la visita della leadership cristiana, confermando il forte legame che unisce la provincia con i suoi figli cristiani; egli ha inoltre esortato i vescovi a "convincere le famiglie a restare e favorire il rientro di quanti sono fuggiti". Il patriarca caldeo ha confermato l'attenzione posta dalla Chiesa irakena al sud del Paese, e in particolare la città di Bassora, testimone dei primi passi del cristianesimo nell'area con l'ingresso di San Tommaso Apostolo. La nomina di un nuovo vescovo, dopo 10 anni di vacanza, è la conferma di un rinnovato impegno verso la comunità cristiana locale. Ad accogliere e a salutare mons. Sako e i vescovi vi erano anche delegazioni provenienti di Nassiriya, dalla città di Ur, capi tribù e rappresentanze diplomatiche straniere fra cui quella statunitense, iraniana e turca. Durante la visita, la leadership caldea ha celebrato una Messa solenne nella chiesa di Mar Afram, pregando "per il bene di Bassora e per il suo nuovo vescovo", chiamato a contribuire allo sforzo comune per portare pace, amore e armonia nella regione. Nel corso della funzione mons. Sako ha più volte ricordato il bisogno di una "coesistenza pacifica" fra le diverse anime della città e della nazione. Mons. Habib Hormuz Al-Nofaly ha focalizzato l'attenzione sullo studio della Bibbia e ha auspicato che Bassora possa diventare "un modello" per le altre diocesi del Paese. Nella diocesi vi sono più di 200 famiglie cristiane caldee, oltre a piccole rappresentanze di cattolici e ortodossi siriani, cattolici armeni. Da tempo la Chiesa irakena è impegnata a contrastare l'esodo della comunità cristiana, che in dieci anni si è più che dimezzata. Prima dell'invasione americana e della caduta di Saddam Hussein i fedeli erano più di un milione mentre oggi, secondo stime recenti, sono circa 300mila. (R.P.)

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    Svizzera: preoccupazione delle Chiese per l’esito del referendum contro l’immigrazione di massa

    ◊   Delusione e preoccupazione. E’ questa la comune reazione delle Chiese cristiane svizzere all’esito del referendum contro l’immigrazione di massa” che con una maggioranza appena superiore al 50%, lunedì ha chiesto la reintroduzione di tetti massimi e contingenti per l’immigrazione di stranieri. Per il presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale svizzera (Ces), Thomas Wallimann-Sasaki, i risultati della consultazione proposta dal partito populista Udc, sono “l’espressione di un sentimento di paura che purtroppo distrugge il senso di solidarietà”. “La visione cristiana – afferma in un’intervista all'agenzia Sir - ci dice che non c’è lo straniero. Che siamo tutti fratelli e sorelle. Potrebbe risultare un linguaggio vecchio. Significa però che c’è una sfida a cui rispondere: non chiudersi in se stessi ma condividere le ricchezze e i problemi con gli altri. I risultati di questo referendum – aggiunge Wallimann-Sasaki - ci chiede il coraggio di una solidarietà, soprattutto verso gli svantaggiati e i poveri. Ci dice di non aver paura”. Grande il disappunto anche della Federazione delle Chiese protestanti svizzere (Feps) che ha espresso l’auspicio che almeno l’applicazione del testo avvenga nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda i ricongiungimenti familiari. Sull’esito del referendum svizzero si è pronunciato anche il Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc) che ha messo in guardia anche sugli “effetti indesiderati” di questo giro di vite contro l’immigrazione sull’economia del Paese. “Sosteniamo l’appello dei nostri membri in Svizzera, perché il Paese continui ad essere una terra di accoglienza”, ha dichiarato il segretario generale del Wcc Olav Fykse Tveit, ricordando che la stessa Wcc, che ha sede a Ginevra, si avvale della collaborazione di tanti stranieri. (L.Z.)

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    Guatemala: appello della Chiesa contro il narcotraffico

    ◊   “E’ terribile che in Guatemala non si rispetti più la vita”: questa la forte denuncia dell’arcivescovo di Santiago de Guatemala, mons. Oscar Julio Vian Morales, riferendosi all’uccisione di nove persone, tra cui due ragazze, avvenuta nella zona chiamata La Isla, a San Luis (Petén), tra venerdì e sabato scorsi. La nota inviata all'agenzia Fides da una fonte locale, riferisce le parole dell’arcivescovo nel consueto incontro con la comunità dopo la Messa domenicale, il 9 febbraio: "è il secondo massacro, perché nel maggio 2011 erano stati giustiziati 27 contadini. Quella volta l'aggressione fu attribuita agli Zetas, nella fattoria Los Cocos, a La Libertad, sempre a Petén". Secondo la stampa, le autorità hanno attribuito l'assassinio di queste nove persone ad una controversia per il possesso delle terre da parte dei narcotrafficanti. Mons. Vian Morales ha ricordato domenica che già da molto tempo, nella sua lettera pastorale “El Grito de la Selva” del 2000, aveva messo in guardia sul fatto che "Petén si stava riempiendo di narcotrafficanti, e nulla è stato fatto contro di loro. Petén era diventata terra di nessuno, adesso è terra di trafficanti di droga". All’epoca, dal 1996 al 2007, il presule era vescovo-vicario apostolico di Petén. Mons. Vian Morales ha aggiunto: "E' logico che dopo 14 anni ancora ci sia la lotta per il territorio e per il traffico di droga nella zona di Petén. Capisco anche che è difficile combattere questo flagello a causa dell'estensione delle frontiere con il Messico e con il Belize e anche per la poca sicurezza nella zona, ma chiedo che gli interventi si facciano con maggiore autorità". (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 43

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.