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Sommario del 05/02/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: l'Eucaristia è pane che salva, ogni bimbo riceva la Prima Comunione
  • Il Papa nomina mons. Gangemi nunzio apostolico in Mali
  • Abusi su minori. Mons. Tomasi a Comitato Onu: testo già scritto, impostazioni ideologiche
  • Mons. Laffitte: in Africa la famiglia è forte e rispettata più che in altri continenti
  • Madrid. A p. Lombardi il Premio "Bravo" per il suo lavoro a capo della Sala Stampa Vaticana
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Olimpiadi di Sochi: Putin schiera 40 mila uomini per garantire la sicurezza
  • Sud Sudan. Msf mette in salvo i pazienti dell'ospedale di Leer: "270 mila senza cure"
  • Coree, si sblocca negoziato su riunificazioni familiari. P. Cervellera: Nord affoga nella povertà
  • Inimmaginabili orrori: il primo rapporto Onu sulla violenza contro i bimbi in Siria
  • Lotta allo spreco alimentare: necessaria presa di coscienza più forte del problema
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Il grido di un gesuita olandese ad Homs: "Stiamo morendo di fame"
  • Libano. Documento della Chiesa maronita: usciamo insieme dalla crisi
  • Brasile. Il card. Filoni: uscire dai propri confini, annunciare il Vangelo, edificare la Chiesa
  • Sochi: oltre 100 religiosi alle Olimpiadi. Kirill benedice gli atleti russi
  • Scozia: preoccupazione delle Chiese cattolica e presbiteriana per il sì ai matrimoni gay
  • Francia. I vescovi: "Non si legifera opponendo i francesi ai francesi"
  • Colombia: il presidente Santos in visita ai vescovi riuniti in Assemblea plenaria
  • Colombia: scoppia scandalo delle intercettazioni illegali. Minacce al processo di pace
  • Myanmar. Nuovo vescovo di etnia chin: segno di unità per la Chiesa e la nazione
  • Filippine. Card. Tagle: alla luce del Vangelo, laici protagonisti della “santificazione” del mondo
  • Nigeria: 80 morti nelle ultime 24 ore per violenze in 4 Stati
  • Si è spento a Roma il padre gesuita Michele Simone, politologo di "Civiltà Cattolica"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: l'Eucaristia è pane che salva, ogni bimbo riceva la Prima Comunione

    ◊   Il pane che “ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre”. Sono le parole con cui Papa Francesco ha parlato dell’Eucaristia, durante l’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro. “È importante”, ha affermato tra l’altro, che tutti i bambini si “preparino bene” e ricevano la Prima Comunione. Da Papa Francesco anche un nuovo appello alla solidarietà per gli alluvionati in Italia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    C’è un giorno in cui si diventa cristiani, ed è quello del Battesimo. Ma c’è un giorno preciso in cui quel dono diventa anche un “cibo” da mangiare, almeno ogni domenica, per nutrire la fede acquisita col Battesimo, ed è la Prima Comunione. Nell’ennesimo mercoledì piovoso, Papa Francesco si fa di nuovo catechista tra i circa 25 mila “coraggiosi” che lo seguono da Piazza S. Pietro a dispetto del clima, con la sola, doverosa, variante dei malati radunati al coperto e al caldo in Aula Paolo VI, salutati dal Papa prima dell’udienza e poi attenti davanti al maxischermo che ne rimanda le immagini. L’altare, “che fa pensare a un banchetto”, la Croce che indica il sacrificio di Cristo su quell’altare e l’ambone che dimostra come anche la Parola proclamata sia “cibo” sono tutti elementi, afferma Papa Francesco, che rendono tangibile l’importanza della mensa eucaristica:

    “Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci ha fatto con l’Eucaristia! E’ un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a Messa la domenica, andare a Messa non solo per pregare, ma per ricevere la Comunione, questo pane che è il corpo di Gesù Cristo e che ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre. E’ bello fare questo (…) Per questo la domenica è tanto importante per noi. E con l’Eucaristia sentiamo questa appartenenza proprio alla Chiesa, al popolo di Dio, al corpo di Dio, a Gesù Cristo”.

    Papa Francesco punta il faro della sua catechesi anche sui riti visti mille volte durante la Messa e forse per questo da tanti non più veramente compresi. A partire dall’offerta che Gesù, nell’Ultima Cena, fa del suo corpo e del suo sangue:

    “Il gesto di Gesù compiuto nell’Ultima Cena è l’estremo ringraziamento al Padre per il suo amore, per la sua misericordia. ‘Ringraziamento’ in greco si dice ‘eucaristia’. E per questo il Sacramento si chiama ‘Eucaristia’: è il supremo ringraziamento al Padre, che ci ha amato tanto da darci il suo Figlio, per amore”.

    “Da questo Sacramento dell’amore scaturisce ogni autentico cammino di fede, di comunione e di testimonianza”, sottolinea ancora il Papa, per il quale la Messa è dunque “ben più che un semplice banchetto” e certamente ben più che una ripetitiva liturgia:

    “’Memoriale’ non significa solo un ricordo, un semplice ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo Sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. L’Eucaristia costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con Lui e con i fratelli”.

    Chiediamo allora a Dio, conclude Papa Francesco, “che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il cuore del Padre”:

    “E questo si fa durante tutta la vita, ma si incomincia a farlo il giorno della Prima Comunione. E’ importante che i bambini si preparino bene alla Prima Comunione e che nessun bambino non la faccia, perché è il primo passo di questa appartenenza a Gesù Cristo, forte, forte, dopo il Battesimo e la Cresima”.

    Al termine dell’udienza generale, dopo i saluti ai vari gruppi linguistici, Papa Francesco ha ricordato ancora una volta le persone colpite dalle alluvioni di questi giorni in Italia: “Vi siamo vicini – ha detto – con il nostro sforzo, con la nostra solidarietà e con il nostro amore”. Quindi, ricordando la memoria di Sant’Agata, vergine e martire, ha indicato la sua virtù eroica ai giovani, perché comprendano “l’importanza della purezza e della verginità”, agli ammalati perché accettino “la croce in spirituale unione con il cuore di Cristo" e ai nuovi sposi, perché siano incoraggiati “a comprendere il ruolo della donna nella vostra vita familiare”.

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    Il Papa nomina mons. Gangemi nunzio apostolico in Mali

    ◊   Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Mali l’arcivescovo Santo Gangemi, finora nunzio apostolico in Guinea.

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    Abusi su minori. Mons. Tomasi a Comitato Onu: testo già scritto, impostazioni ideologiche

    ◊   La Santa Sede ha accolto con sorpresa le osservazioni conclusive del Comitato Onu per i diritti del fanciullo presentate oggi a Ginevra, che lanciano dure accuse al Vaticano sulla questione degli abusi su minori commessi da esponenti del clero. L'organismo delle Nazioni Unite afferma che la Santa Sede continuerebbe a violare la Convenzione sui diritti dell’infanzia. Il Comitato critica il Vaticano anche per le sue posizioni sull'omosessualità, la contraccezione e l'aborto. Sulla reazione della Santa Sede a queste accuse, Sergio Centofanti ha intervistato mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente vaticano presso gli Uffici Onu a Ginevra:

    R. – Il Comitato della Convenzione per i diritti del fanciullo ha rilasciato ufficialmente oggi le sue conclusioni e raccomandazioni per i Paesi che sono stati esaminati durante questa 65.ma sessione e che sono Congo, Germania, Santa Sede, Portogallo, Federazione Russa e Yemen. La prima impressione: bisognerà aspettare, leggere attentamente e analizzare in dettaglio quanto scrivono i membri di questa Commissione. Ma la prima reazione è di sorpresa, perché l’aspetto negativo del documento che hanno prodotto è che sembra quasi che fosse già stato preparato prima dell’incontro del Comitato con la delegazione della Santa Sede, che ha dato in dettaglio risposte precise su vari punti, che non sono state poi riportate in questo documento conclusivo o almeno non sembrano essere state prese in seria considerazione. Di fatto il documento sembra quasi non essere aggiornato, tenendo conto di quello che in questi ultimi anni è stato fatto a livello di Santa Sede, con le misure prese direttamente dall’autorità dello Stato della Città del Vaticano e poi nei vari Paesi dalle singole Conferenze episcopali. Quindi manca la prospettiva corretta e aggiornata che ha visto in realtà una serie di cambiamenti per la protezione dei bambini che mi pare difficile di trovare, allo stesso livello di impegno, in altre istituzioni o addirittura in altri Stati. Questa è semplicemente una questione di fatti, di evidenza, che non possono essere distorti!

    D. – Come rispondere in modo preciso alle singole accuse del Comitato Onu?

    R. – Non si può in due minuti rispondere certamente a tutte le affermazioni fatte - alcune molto scorrette - nel documento conclusivo del Comitato. La Santa Sede risponderà, perché è un membro, uno Stato parte della Convenzione: l’ha ratificata e intende osservarla nello spirito e nella lettera di questa Convenzione, senza aggiunte ideologiche o imposizioni che esulano dalla Convenzione stessa. Per esempio: la Convenzione sulla protezione dei bambini nel suo preambolo parla della difesa della vita e della protezione dei bambini prima e dopo la nascita; mentre la raccomandazione che viene fatta alla Santa Sede è quella di cambiare la sua posizione sulla questione dell’aborto! Certo, quando un bambino è ucciso non ha più diritti! Allora questa mi pare una vera contraddizione con gli obiettivi fondamentali della Convenzione, che è quella di proteggere i bambini. Questo Comitato non ha fatto un buon servizio alle Nazioni Unite, cercando di introdurre e richiedere alla Santa Sede di cambiare il suo insegnamento non negoziabile! Quindi è un po’ triste vedere che il Comitato non ha afferrato fino in fondo la natura e le funzioni della Santa Sede, che pur ha espresso chiaramente al Comitato la sua decisione di portare avanti le richieste della Convenzione sui diritti del fanciullo, ma definendo appunto e proteggendo prima di tutto quei valori fondamentali che rendono la protezione del fanciullo reale ed efficace.

    D. – L’Onu aveva detto in un primo tempo che il Vaticano aveva risposto meglio di altri Paesi sulla protezione dei minori: cosa è cambiato?

    R. – Nell’introduzione del rapporto conclusivo viene riconosciuta la chiarezza delle risposte provenute; non si è cercato di evitare nessuna richiesta fatta dal Comitato, in base all’evidenza disponibile, e dove non c’era una informazione immediata, ci si è ripromessi di provvederla in futuro, secondo le direttive della Santa Sede, e come fanno tutti i governi. Quindi sembrava un dialogo costruttivo e penso che debba rimanere tale. Perciò, vista l’impressione avuta dal dialogo diretto della delegazione della Santa Sede con il Comitato e il testo delle conclusioni e raccomandazioni, viene la tentazione di dire che probabilmente quel testo era già scritto e che non riflette gli imput e la chiarezza, se non in qualche aggiunta affrettata, di quello che era andato avanti. Perciò dobbiamo, con serenità e in base all’evidenza - perché non abbiamo niente da nascondere! – portare avanti la spiegazione delle posizioni della Santa Sede, rispondere agli interrogativi che ancora rimanessero, in modo che l’obiettivo fondamentale che si vuole perseguire – la protezione dei bambini – possa essere raggiunto. Si parla di 40 milioni di casi di abuso di bambini nel mondo: purtroppo alcuni di questi casi - anche se in proporzioni molte ridotte in confronto a tutto quello che sta avvenendo nel mondo – toccano persone di Chiesa. E la Chiesa ha risposto e reagito e continua a farlo! Dobbiamo insistere su questa politica di trasparenza, di non tolleranza di abusi, perché anche un solo caso di abuso di un bambino, è un caso di troppo!

    D. – Quindi, cosa può essere successo?

    R. – Probabilmente delle Organizzazioni non governative - che hanno interessi sull’omosessualità, sul matrimonio gay e su altre questioni - hanno certamente avuto le loro osservazioni da presentare e in qualche modo hanno rafforzato una linea ideologica.


    Di seguito pubblichiamo il comunicato della Sala Stampa vaticana sulla questione:

    Al termine della sua 65.ma sessione, il Comitato per i Diritti del Fanciullo ha pubblicato le sue Osservazioni Conclusive sugli esaminati Rapporti della Santa Sede e di cinque Stati Parte alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo (Congo, Germania, Portogallo, Federazione Russa e Yemen). Secondo le particolari procedure previste per le parti della Convenzione, la Santa Sede prende atto delle Osservazioni Conclusive sui propri Rapporti, le quali saranno sottoposte a minuziosi studi ed esami per pieno rispetto della Convenzione nei differenti ambiti presentati dal Comitato secondo il diritto e la pratica internazionale come pure tenendo conto del pubblico dibattito interattivo con il Comitato svoltosi il 16 gennaio 2014. Alla Santa Sede rincresce, tuttavia, di vedere in alcuni punti delle Osservazioni Conclusive un tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa Cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa. La Santa Sede reitera il suo impegno a difesa e protezione dei diritti del fanciullo, in linea con i principi promossi dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo e secondo i valori morali e religiosi offerti dalla dottrina cattolica.

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    Mons. Laffitte: in Africa la famiglia è forte e rispettata più che in altri continenti

    ◊   La nuova speranza per la difesa dei valori della famiglia viene dall’Africa. Il segretario del Pontificio Consiglio per la famiglia, mons. Jean Laffitte, è da poco rientrato a Roma dalla Repubblica Domocratica del Congo, dove a preso parte al Convegno dedicato a “La problematica dei valori della famiglia nella società congolese”, promosso dalla “Communauté Famille Chrétienne” con il sostegno della Conferenza episcopale locale. A mons. Laffitte, Stefano Leszczynski ha chiesto quale contributo possa dare la Chiesa africana nella difesa della famiglia:

    R. – Ci sono valori di cui la società africana è sempre stata segno e segno profetico. La famiglia è onorata in Africa. D’altro canto, però, ci sono difficoltà che riguardano le condizioni materiali, le condizioni di precarietà, di insicurezza di zone in cui c’è una forma di disordine civile. C’è comunque anche un entusiasmo attorno ai valori familiari. Quindi, ho visto famiglie intere cantare, impegnarsi nella vita cristiana, il desiderio della santità, lodare il Signore: la preghiera di lode è molto forte, è bella e stimolante in Africa. Ho visto veramente persone che sono impegnate nella pastorale familiare. La società congolese e certamente la società politica, il governo sono sottomessi anche a pressioni culturali, mediatiche o culturali, tali come le vediamo in altri continenti, in altri Paesi sia in Africa che altrove. Ma resistono. La porta del Paese è chiusa a qualsiasi tentativo di estendere il concetto di famiglia, per esempio all’unione di fatto tra persone dello stesso sesso.

    D. – E questo nonostante le pressioni internazionali, che spesso arrivano…

    R. – Sì, ma resistono, resistono. Le pressioni sono forti e ho potuto personalmente riferirmi a situazioni analoghe in Africa, in cui abbiamo visto Paesi minacciati di vedere l’aiuto promesso sospeso se non avessero messo in moto e in pratica delle riforme per promuovere – per esempio – il comportamento omosessuale, le coppie gay oppure tutti i programmi di salute riproduttiva, i quali includono anche programmi di educazione sessuale per bambini, che in verità trasmettono altri messaggi: messaggi che vogliono preparare una società futura, agendo e manipolando la sensibilità e la psicologia dei giovani. Quindi, la società congolese resiste ed è forte. C’è un ampio movimento familiare, che è estremamente promettente.

    D. – La presenza di valori così forte per quanto riguarda la famiglia in Africa e la pastorale familiare anche molto forte da parte della Chiesa africana porteranno sicuramente l’Africa a giocare un ruolo importante nel prossimo Sinodo per la Famiglia…

    R. – Penso che l’apporto e il contributo degli africani è sempre stato qualcosa di molto importante. Io ricordo che c’è stato un altro Sinodo, dedicato all’evangelizzazione in Africa, che ha dato luogo al testo dell’Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II, intitolata Ecclesia in Africa. In questo testo, appariva questa espressione straordinaria della Chiesa paragonata a una famiglia di Dio: la Chiesa come famiglia di Dio. Questo, per esempio, è un arricchimento del pensiero della teologia sacramentale e di ecclesiologia notevole. Il Papa Giovanni Paolo II era stato talmente colpito dall’uso di questa espressione da parte di padri africani che l’aveva ripresa nell’Esortazione Apostolica. Da quel momento, questo è stato un tema di approfondimento della teologia africana.

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    Madrid. A p. Lombardi il Premio "Bravo" per il suo lavoro a capo della Sala Stampa Vaticana

    ◊   “Il ‘portavoce’ è colui che incarna nella comunicazione pubblica di volta in volta il pensiero, i giudizi e le scelte della comunità della Chiesa”. Così si è espresso padre Federico Lombardi, direttore della sala Stampa Vaticana, nel ricevere oggi a Madrid il premio "Bravo" 2013, che gli è stato assegnato dalla Conferenza episcopale spagnola per aver reso “un valido servizio alla comunicazione della Chiesa” nell’avvicinare l’istituzione ecclesiale ai media. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Prima i ringraziamenti a nome di tutti i premiati in questa 42.ma edizione del Premio "Bravo", che si sono distinti “per il servizio alla dignità dell’uomo, ai diritti umani e ai valori evangelici”. “I comunicatori cristiani – ha detto padre Lombardi – hanno il privilegio di essere chiamati a un’attività, a un impegno che può unirsi in una sintesi profonda con il senso della missione della Chiesa”.

    Poi, un lungo, articolato intervento sul ruolo e il lavoro quotidiano della Sala Stampa Vaticana, arricchito di riflessioni personali dettate dall’esperienza sul campo in anni intensi, appassionanti, di sfide e novità da sperimentare nel rapporto tra Chiesa e società odierna, in tutte le sue dimensioni. Un rapporto mediato in quel “luogo di incontro e servizio” per “rispondere alle attese dei comunicatori” e per “entrare in dialogo con loro”, così come venne concepita - negli anni del Concilio Vaticano II - la Sala Stampa Vaticana, che oggi conta circa 600 tra giornalisti, fotografi e cameramen accreditati permanenti, che sono diventati fino a seimila nei passaggio di Pontificato.

    Operatori dei media con atteggiamenti e posizioni molto diverse sul piano religioso, ideologico o politico verso il Vaticano. Ma “noi offriamo a tutti – ha rassicurato padre Lombardi – le stesse possibilità di informare bene, di capire i contenuti e le intenzioni che animano il Papa, i suoi collaboratori e la Chiesa. I giornalisti hanno la loro responsabilità e libertà nell’uso e nell’interpretazione delle informazioni e noi la dobbiamo rispettare”, “senza dimostrare preferenze per gli uni o per gli altri”. “Io credo – ha aggiunto – che la sala Stampa non può e non deve essere l’unica fonte di comunicazione vaticana”, ma debba puntare a essere “un punto di riferimento” “attendibile e sicuro”. Io “sono contrario – ha spiegato – a uno spirito di centralismo e di controllo eccessivo o ossessivo”. Ed “è giusto e normale che i giornalisti possano rivolgersi e parlare liberamente” con altri ecclesiastici.

    Infine, alcune sottolineature fatte con il cuore: per il portavoce vaticano – ha detto – avere “un atteggiamento amichevole e rasserenante, non è un lusso ma un dovere” verso tante persone che hanno un contatto con la Chiesa solo attraverso i media. Per questo, occorre un “linguaggio chiaro, semplice e comprensibile”, “essere se stessi”, “sempre veritieri e schietti”, dare risposta alle domande, senza “attendere troppo” per generare credibilità e fiducia, e curare “la tempestività” ad evitare di far crescere ondate di agitazione e lasciar diffondere “informazioni false o inesatte poi difficili da rettificare”. Infine, un invito alla riservatezza, che nel mondo attuale “non esiste o non è considerata un valore”. Ma poi non lamentiamoci – ha concluso – “se circolano notizie che noi stessi abbiamo dato”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Parola e pane: all'udienza generale Papa Francesco parla della Chiesa come sorgente della vita della Chiesa.

    Per la difesa dei diritti del fanciullo: comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.

    A Venezia inaugurata, dal segretario di Stato, una casa per i poveri.

    La solidarietà nasce con Adamo: il cardinale Gianfranco Ravasi sottolinea che è fondamentale riconoscere la persona umana quale figura centrale dell'economia.

    Insieme: in un'intervista di Cristiana Dobner, Alice von Hildebrand racconta l'incontro e il cammino con marito, il grande filosofo tedesco Dietrich.

    Miniatore singularissimo: Antonio Paolucci su Bartolomeo della Gatta, protagonista della Sistina quattrocentesca.

    Un gesuita prezioso: GianPaolo Salvini ricorda padre Michele Simone.

    Quello che i popoli asiatici amano ascoltare: il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio G. Tagle, sui testimoni che sono i primi evangelizzatori.

    Primo processo in Francia per il genocidio in Rwanda.

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    Oggi in Primo Piano



    Olimpiadi di Sochi: Putin schiera 40 mila uomini per garantire la sicurezza

    ◊   Massima allerta a Sochi, la località russa sul Mar Nero, che ospiterà dal 7 febbraio i Giochi olimpici invernali. Un evento che rischia di diventare una pericolosa cassa di risonanza per i gruppi terroristici. Specialmente quelli di matrice islamica provenienti dal Caucaso, che non si sono risparmiati negli ultimi mesi in minacce di ogni genere. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Francesco Tosato, analista di Affari militari presso il Centro studi internazionali:

    R. – La macchina della sicurezza, messa in campo dal Cremlino, è sicuramente poderosa dal punto di vista dei numeri, in quanto parliamo di circa 40 mila uomini tra le forze di polizia e le forze armate coinvolte, che avranno l’obiettivo di scongiurare qualunque tipo di attacco all’area dei Giochi e anche all’area immediatamente limitrofa. Da questo punto di vista, le Olimpiadi di Sochi segnano anche una modernizzazione di tutto quello che riguarda il comparto della sicurezza e protezione interna russa, perché saranno tra le Olimpiadi assolutamente più videosorvegliate della storia. Ci saranno, infatti, più di 1400 telecamere a controllare i siti dei Giochi e l’area della città di Sochi, più droni dal punto di vista della sorveglianza aerea. Anche tutto il comparto della sorveglianza elettronica sarà rinforzato, per scongiurare e anticipare qualunque tipo di azione ostile.

    D. – Il problema maggiore rischia di essere il Caucaso che, nonostante se ne parli poco, resta un’area tutt’altro che stabilizzata. Il pugno duro che ha utilizzato negli ultimi anni Putin non rischia di fare esplodere di nuovo questa regione?

    R. – L’area del Caucaso è da sempre una delle più critiche per la sicurezza della Federazione Russa, perché vi sono spinte di matrice fondamentalista islamica, che si innestano su spinte anche più tradizionalmente indipendentiste di popolazioni che fanno fatica a riconoscere l’autorità centrale di Mosca. Di certo, l’abbondanza di armi e la situazione di perenne instabilità e insicurezza della regione contribuisce a far sì che i livelli di sicurezza non siano sicuramente da considerare tra i più elevati, rispetto a quella che è invece la situazione della Russia interna.

    D. – Gli Stati Uniti hanno offerto il loro pieno sostegno alle autorità russe, inviando addirittura due navi nel Mar Nero. Può essere questa l’occasione giusta per far riavvicinare Washington e Mosca, le cui relazioni diplomatiche sono spesso soggette a frizioni di ogni genere?

    R. – Indubbiamente, possono contribuire a rasserenare un po’ il clima di fronte alla minaccia comune rappresentata dal terrorismo e soprattutto dal terrorismo di matrice islamica. Comunque sia, c’è da tener presente che la Russia vuole emergere da questi Giochi olimpici nuovamente come un attore di primaria importanza nel contesto internazionale, con maggior lustro e anche dimostrando la sua efficienza nell’ambito della protezione dei Giochi stessi. Conseguentemente, cercherà di fare in modo di essere il più possibile autosufficiente dal punto di vista della protezione dei Giochi.

    D. – Quanto la forte esposizione di Mosca, in situazioni tipo quella siriana, può attirare l’attenzione del terrorismo di matrice islamica anche internazionale?

    R. – Indubbiamente, il ruolo che Mosca svolge quale puntello del regime di Assad in Siria continua ad attirare le attenzioni di tutta la componente jihadista e terrorista e questo fa sì che la propensione a cercare di creare un evento, che possa rovinare le Olimpiadi, la vetrina di Putin sul mondo, è assolutamente forte. E’ altrettanto importante, però, considerare che la Russia è ben conscia di questo rischio e sta facendo di tutto per far sì che possano essere limitate al massimo le chance per i gruppi terroristici.

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    Sud Sudan. Msf mette in salvo i pazienti dell'ospedale di Leer: "270 mila senza cure"

    ◊   Nello Stato sudsudanese di Unity, “più di 270 mila persone non hanno accesso alle cure mediche”, a causa del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza a Leer, il cui ospedale fino a pochi giorni fa è stato l’unico pienamente funzionante nella zona. A denunciarlo è Medici Senza Frontiere (Msf), operativo nell’area da 25 anni. Nelle ultime ore, l'Onu ha lanciato un appello a reperire 1,27 miliardi di dollari per coprire le proprie operazioni umanitarie e quelle delle Ong presenti in Sud Sudan. Da metà dicembre, i combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vicepresidente, Riek Machar, in tutto il Paese hanno già causato oltre 700 mila sfollati interni e 112 mila rifugiati negli Stati limitrofi. Secondo osservatori internazionali, i morti potrebbero essere anche 10 mila. A fare un quadro della situazione a Leer è Stefano Zannini, fino allo scorso anno capo missione Msf in Sud Sudan. L'intervista è di Giada Aquilino:

    R. – A Leer, noi di Medici Senza Frontiere avevamo un ospedale da oltre 20 anni. La città era controllata dalle forze ribelli, l’esercito governativo ha poi sferrato un attacco per riprendere il controllo e la poca popolazione rimasta - tra cui anche il nostro personale medico-sanitario - ha deciso di abbandonare la città per non correre ulteriori rischi. Nel nostro caso, questo ha significato che i pazienti più gravi sono stati trasportati a spalla nella boscaglia, dove si trovano tutt’ora in cura, con il poco materiale che siamo riusciti ad evacuare.

    D. – I servizi sanitari sono quindi sospesi al momento? Qual è la situazione dell’accesso alle cure in particolare?

    R. – A Leer, la situazione dell’accesso alle cure è inesistente, perché non ci sono altre strutture mediche che funzionano. E' anche vero che non ci sono persone, al di fuori dei militari, perché i civili sono tutti nella boscaglia. Nel Paese, invece, la situazione resta estremamente complessa, i bisogni sono enormi. Circa un milione di persone ha abbandonato i propri villaggi e le proprie case e il numero di organizzazioni presenti sul territorio è estremamente limitato.

    D. – Dal punto di vista sanitario, le emergenze più critiche quali sono?

    R. – La dissenteria e la malaria sono le due patologie principali che stiamo osservando. In alcuni campi, purtroppo, si registrano un incremento del tasso di mortalità e addirittura il propagarsi del morbillo. Da un punto di vista sanitario più generale, invece, l’accesso all’acqua potabile in quantità adeguata al momento è l’ostacolo più importante.

    D. – Dalle notizie che avete, perché si combatte ancora da metà dicembre ad oggi?

    R. – Si combatte per diverse ragioni. Per una questione di potere – le elezioni erano attese per il 2015 – e in questo quadro si inseriscono inoltre fattori etnici che storicamente rappresentano un problema nel Paese. La cosa più scoraggiante è che, nonostante sia stato raggiunto un accordo per un cessate-il-fuoco due settimane fa, i combattimenti continuano, le violenze continuano e decine di persone continuano a morire.

    R. – Al di là della contrapposizione tra etnie Dinka e Nuer, lo stato di Unity, dove c’è ancora lo staff di Medici Senza Frontiere, che zona è?

    D. – E’ particolarmente turbolenta, perché è la zona principale dei pozzi petroliferi: sostanzialmente fornisce sostentamento all’intero Paese. Un dato su tutti: il 98% delle risorse dello Stato del Sudan del Sud proviene dall’estrazione petrolifera.

    D. – L’Onu ha lanciato un appello proprio nelle ultime ore per reperire altri fondi e coprire così le azioni umanitarie in corso. L’appello di Medici Senza Frontiere qual è?

    R. - L’appello di Medici Senza Frontiere è rivolto sostanzialmente a due categorie: la prima ai mezzi di informazione affinché se ne parli, affinché si racconti e si dia visibilità a questo dramma in corso. Poi un appello va, ovviamente, a quelli che sono già nostri sostenitori e a quelli che non lo sono per contribuire a portare in Sud Sudan ancora più aiuti, ancora più medicinali, ancora più personale medico. Nell’ultimo mese e mezzo,l abbiamo fatto arrivare nel Paese oltre 180 tonnellate di materiale logistico e materiale medico e sono presenti sul territorio oltre tre mila operatori che lavorano instancabilmente ogni giorno.

    D. – Eppure, cosa succede quando poi strutture come quella di Leer rimangono di fatto chiuse?

    R. – Quello che succede nel peggiore dei casi è che vengano saccheggiate, distrutte e date alle fiamme da attori armati presenti sul territorio. Questo comporta due problemi. Prima di tutto, vengono perse possibilità di garantire cure immediate alla popolazione locale. Secondo, è che – anche qualora riuscissimo a ritornare, com’è successo a Bentiu qualche settimana fa – dovremmo ricominciare da zero e ricostruire la struttura o, nel migliore dei casi, ripulirla e per questo passeranno giorni.

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    Coree, si sblocca negoziato su riunificazioni familiari. P. Cervellera: Nord affoga nella povertà

    ◊   Potrebbe sbloccarsi definitivamente la questione della riunificazione delle famiglie della Corea, divise dalla guerra del 1950 tra Nord e Sud della penisola. La sessione di incontri dovrebbe avvenire dal 20 al 25 febbraio prossimi, secondo le condizione proposte da Seul e accettate da Pyongyang. Sullo sfondo, tuttavia, le pressioni della Corea del Nord affinché vengano sospese le operazioni militari tra Corea del Sud e Stati Uniti. Della situazione, Giancarlo La Vella ha parlato con padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia Asia News:

    R. - Sembra che il motivo fondamentale sia perché queste riunificazioni familiari permattono un’entrata di valuta straniera nel Nord, il quale ne ha molto bisogno. Teniamo presente che ormai la Corea del Nord è molto isolata, non riceve più aiuti da nessuno, nemmeno dalla Cina, che era pure il suo patron negli ultimi anni. La popolazione è disperata sia per le malattie sia per la fame, perciò la Corea del Nord è costretta, con il suo dittatore, ad aprirsi in qualche modo al mondo soprattutto e anzitutto ai loro fratelli della Corea del Sud che vengono minacciati tante volte, ma che sono fonte di tanto cibo e di tanti aiuti. E proprio questa situazione disperata, penso, stia portando a fare dei gesti di riconciliazione.

    D. - Dopo una separazione di oltre 60 anni, parlare di riunificazione ha poco senso pratico. Addirittura, i componenti delle famiglie forse neanche si sono mai conosciuti…

    R. - Riunificazione, attenzione: parliamo in pratica di visite delle famiglie del Sud alle famiglie del Nord. Ma ormai, molte di queste persone che sono state divise hanno 70, 80, 90 anni, quindi lo stesso muoversi diventa difficile. Tanto è vero che quest’anno è stato dato il permesso - e si sta cercando di vedere come realizzarlo - non solo di fare delle visite fisiche in Corea del Nord, ma avere dei contatti di tipo telematico.

    D. - Rimane sullo sfondo la questione irrisolta della vicinanza degli Stati Uniti a Seul, sempre mal sopportata da Pyongyang…

    R. - Anche quest’anno, in occasione delle riunificazioni familiari, si terranno le esercitazioni militari congiunte fra Stati Uniti e Corea del Sud. Stranamente, l’anno scorso Kim Jong-un ha preso come spunto queste esercitazioni militari per bloccare ogni rapporto con la Corea del Sud e quindi per bloccare le riunificazioni familiari. Quest’anno invece, le esercitazioni - che di per sé avvengono ogni anno - sembra non stiano creando alcun problema. Noi pensiamo che questo sia proprio dovuto alla situazione sociale molto difficile in cui sta annegando la Corea del Nord. Per cui, in questo disperato tentativo di stare a galla, chiude un occhio anche su questa questione ideologica degli Stati Uniti. Tenendo conto che, se la Corea del Nord fermasse davvero il suo programma nucleare, gli Stati Uniti hanno promesso una valanga di aiuti.

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    Inimmaginabili orrori: il primo rapporto Onu sulla violenza contro i bimbi in Siria

    ◊   Violenze raccapriccianti sui bambini siriani sono state denunciate oggi in un Rapporto delle Nazioni Unite, il primo di questo genere, a firma del segretario generale Ban Ki-moon che lancia gravissime accuse contro le forze di governo e di opposizione per violenze documentate tra marzo 2011 e novembre 2013. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Indicibili sofferenze: il rapporto delle Nazioni Unite apre così la lista degli orrori contro i bambini siriani che, in quasi quattro anni di conflitto, hanno subito violenze sessuali, mutilazioni, torture di ogni genere, detenzione nelle carceri, esecuzioni sommarie, solo per citare alcune delle vessazioni. Sono piccoli, molto, e sono massacrati quotidianamente, in questi anni ne sono stati uccisi circa 11 mila. Vengono arruolati a titolo diverso da entrambe le parti in lotta: sebbene non vi siano conferme ufficiali, sembra certo l’utilizzo di bambini molto giovani come scudi umani, nei combattimenti o in atti di terrorismo, e l’accusa dell’Onu è rivolta alle forze di governo e ai gruppi affiliati all’esercito libero siriano, che reclutano bambini anche tra rifugiati nei paesi vicini. “Ora basta!” è il grido del segretario dell'Onu, Ban Ki-moon, e di tutti coloro che chiedono la protezione di questi bimbi. Marco Guadagnino, responsabile programmi internazionali di Save The Children:

    R. - Sono due anni e mezzo che ripetutamente proviamo a ricordare il dramma di questi bambini, che vengono uccisi e che purtroppo vengono arruolati o costretti alla fuga. Alla vigilia del quarto anno di guerra, tutto questo non è più accettabile ed è importante che questa volta, a firma di Ban Ki-moon, le Nazioni Unite intervengano in maniera così forte. Vorremmo però sottolineare che questi orrori che vengono documentati dal Rapporto Onu non sono altro che la punta dell’iceberg delle indicibili sofferenze che i bambini in Siria stanno vivendo ormai quotidianamente. Troppo spesso, purtroppo, si dimentica che ci sono bambini ridotti alla fame, che da mesi, da anni, non possono più usufruire di alcun servizio sanitario, le scuole sono distrutte… Qualsiasi cosa, in questo momento in Siria, in qualche modo è contro i bambini.

    D. - Le torture che vengono descritte sono impressionanti soltanto a nominarle. Perché questa furia sui bambini che non hanno neanche dieci anni?

    R. - Ovviamente, non c’è risposta. E a questa follia noi dobbiamo assolutamente mettere un termine. Speriamo che alla ripresa dei negoziati a Ginevra, fra qualche giorno, almeno le pause umanitarie, i corridoi umanitari, il libero accesso alle città assediate consentano di andare incontro alle esigenze, ai bisogni dei bambini della Siria. Noi dobbiamo tenere sempre alta la guardia su quello che sta avvenendo ed è quello che denuncia l’ultimo Rapporto delle Nazione Unite. Dobbiamo pensare a tutti i bambini che in questo momento dobbiamo supportare, aiutare, perché sono i bambini che dovranno ricostruire la Siria. Quindi, soffermiamoci, purtroppo, sulle migliaia di bambini morti, ma lavoriamo contemporaneamente sui bambini che nei prossimi anni dovranno essere aiutati per rimettere insieme il Paese.

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    Lotta allo spreco alimentare: necessaria presa di coscienza più forte del problema

    ◊   Prima Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, oggi in Italia. A promuoverla è il Ministero dell’ambiente, che stamani ha convocato a Roma associazioni, enti di ricerca, aziende e imprese con il compito di elaborare un Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti (Pinpas). Quasi nove miliardi di euro l’importo a cui ammonta ogni anno lo sperpero, equivalente a oltre mezzo punto di Pil. Secondo un recente sondaggio, risulta che il 51,2% di frutta e il 41,2% di verdura vengono gettati quando sono ancora freschi. “Questa giornata è l’inizio di un percorso”, ha detto il ministro dell’Ambiente, Orlando, perché è necessario cresca la consapevolezza” del problema. Al microfono di Adriana Masotti, il direttore del Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna, prof. Andrea Segré:

    R. - Oggi, le due parole d’ordine sono: prevenzione e recupero. Dobbiamo facilitare questo recupero, perché c’è tanto cibo ancora buono che può sfamare chi non ce la fa e in Italia e nel mondo sono in tanti. Però, l’obbiettivo finale è prevenire, cioè non avere più sprechi. Da dove partire? Dalla nostra casa, perché in realtà lo spreco domestico è quello più rilevante. Quindi, come fare? Comunicazione: facciamo capire che buttando via un chilo di carne si buttano via ettolitri di acqua, ettari di terreno, kilowatt di energia, lavoro umano e soprattutto si producono dei rifiuti che ci costano. Quindi spesa consapevole, mangiare il giusto, usare bene il frigorifero… Una sorta di nuovo corso di economia domestica.

    D. - Al di là di ciò che ciascuno di noi può fare a casa propria, come prevenire lo spreco nelle aziende, lungo la filiera alimentare?

    R. - Oggi, sono stati convocati i portatori di interesse, ovvero tutti gli attori che partecipano alla filiera agroalimentare. Ognuno può fare qualcosa. Pensiamo al supermercato che ha un'eccedenza che deve smaltire, sapendo che si tratta comunque di un prodotto ancora buono che, se viene recuperato per fini solidali, non solo fa un’azione positiva, ma risparmia anche sulla tariffa dei rifiuti. Questo è l’approccio che è stato applicato. Io credo si possano raggiungere dei risultati concreti veramente nel breve periodo.

    D. - Tante sono le iniziative di solidarietà. Bastano?

    R. - Sono venute fuor tante iniziative, tanti progetti, tante azioni. Ecco, le dobbiamo coordinare, le dobbiamo facilitare. Qui, l’ottica di Pinpas, la sigla del Piano di prevenzione degli sprechi alimentari, deve essere partecipativa e cooperativa. Questo è quello che dobbiamo fare: unirci per combattere lo spreco. Non si tratta di fare allarmismi. Dobbiamo capire che l’ambiente, cioè la sostenibilità, il durare nel tempo e la solidarietà possono andare a braccetto se capiamo che la nostra casa ha due dimensioni: una piccola, cioè l’economia, e l’altra, più grande che è l’ecologia. La casa piccola, l’economia - che significa anche risparmio, sobrietà - deve stare, rispettandone i limiti e i confini, nella casa più grande, che è l’ecologia.

    D. - In questa decrescita dei consumi forse la crisi ci può aiutare…

    R. - È molto relativo l’aiuto che ci può dare la crisi, purtroppo perché è vero che compriamo di meno, spendiamo di meno, talvolta addirittura risulta che si mangino alimenti scaduti, ma questo poi va a scapito della nostra dieta. Del resto, il dato che abbiamo elaborato in "Waist Watch", l’osservatorio sullo spreco domestico, ci porta a dire che nel 2013 lo spreco in Italia vale mezzo punto di Pil, ovvero 8,7 miliardi. È chiaro che la crisi non può essere risolutiva e speriamo poi di uscirne in modo più consapevole e responsabile.


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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Il grido di un gesuita olandese ad Homs: "Stiamo morendo di fame"

    ◊   Ad Homs, nella città vecchia, si muore di fame. E' l'appello che padre Frans Van der Lugt, gesuita di 75 anni, vuole far giungere alla comunità internazionale. La scorsa settimana, proprio mentre ai colloqui di pace sulla Siria (Ginevra 2) si discuteva su possibili corridoi umanitari in alcune zone del Paese (anche ad Homs), è stato postato su internet un video con un'intervista al sacerdote che, seduto davanti all'altare della sua chiesetta, chiedeva al mondo di ricordare che i siriani stanno soffrendo e che diversi "impazziscono per la fame". La città vecchia di Homs , abitata da alcune migliaia di persone, è presieduta dai ribelli e da più di un anno - dal giugno 2012 - è sottoposta a un assedio che non permette i rifornimenti. In più bombardamenti e cecchini - riferisce l'agenzia AsiaNews - rendono difficile anche girare per le strade. Il fatto che il video provenisse dalla zona dei ribelli, ha spinto qualcuno a liquidarlo subito come una pubblicità di parte. In realtà, la testimonianza di padre Van der Lugt supera ogni partigianeria. Nato il 10 aprile 1938 in Olanda, padre Frans è entrato nella Compagnia di Gesù il 7 settembre 1959 ed è stato ordinato il 29 maggio 1971. Fa parte della Provincia gesuita del Medio Oriente. Vive in Siria dal 1966, al servizio in particolare dei giovani. A Homs è vicario episcopale (ma non vescovo) per i Latini della regione. Prima della guerra, "nella città vecchia vi erano 60mila cristiani". Ora egli si trova "solo con 66 fedeli". Dall'inizio della rivoluzione siriana padre Frans non si è mosso un solo giorno dalla residenza dei gesuiti, spesso presa di mira dal regime e dall'opposizione. In questa situazione precaria e rischiosa, egli ha accolto in modo fraterno musulmani e cristiani, pro-regime e ribelli. Decine di persone alloggiano con lui da mesi. Nella carestia che dura da più di un anno, ha sempre fornito da mangiare a tutti. Ma nell'ultimo periodo non ha più un pezzo di pane da dare, e ha visto morire di fame varie persone. "Cristiani e musulmani - dice nel video - viviamo in condizioni difficili e dolorose, e soffriamo soprattutto per la fame". Il sacerdote parla di aver visto bambini morire per mancanza di cibo e per mancanza di medicine. "Noi amiamo la vita - afferma - e non vogliamo morire o annegare in un oceano di morte e sofferenze". Un cartello giallo messo vicino all'altare riporta: "morire di fame è più doloroso che morire di armi chimiche". L'ironia amara si riferisce alla mobilitazione internazionale contro le armi chimiche usate in Siria e la freddezza con cui la scorsa settimana al Ginevra 2 non si è giunti ad alcun accordo sui corridoi umanitari proprio a Homs. Damasco permetteva a donne e bambini di lasciare la zona assediata. Gli uomini, invece, per uscire, dovevano registrarsi. I ribelli hanno avuto timore di vendette e le donne si sono dette contrarie a lasciare i loro mariti e in conclusione l'assedio continua, con il suo carico di fame e di pazzia. Secondo padre Van der Lugt, che è anche uno psicoterapeuta, la fame sta "rendendo la gente folle". "Alcuni ora soffrono di malattie mentali, neurosi, attacchi di panico, psicosi, paranoia e episodi di schizofrenia". In alcune interviste pubblicate sul Telegraph e sull'Orient le Jour, padre Frans mostra un certo scetticismo verso i dialoghi di pace, che dovrebbero riprendere la prossima settimana. Per lui, le delegazioni riunite nei grandi hotel di Montreux o di Ginevra "parlano di noi, ma non vivono con noi. Dovrebbero parlare di ciò che noi pensiamo e non di ciò che è buono per loro". Per il sacerdote è importante che il regime e i ribelli abbiano a crescere nella fiducia reciproca. "Se vi è fiducia, allora i dialoghi potranno essere produttivi. In caso contrario, non andranno mai avanti, che si tengano a Ginevra, Parigi, Londra o Honolulu". (R.P.)

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    Libano. Documento della Chiesa maronita: usciamo insieme dalla crisi

    ◊   La Chiesa maronita è preoccupata per il destino del Libano e indica con chiarezza le vie da imboccare per salvare il Paese dalle spinte centrifughe che lo stanno minacciando. In un documento di 13 pagine e 4 capitoli reso noto oggi dalla Sede patriarcale di Bkerkè, in occasione della riunione mensile dei vescovi maroniti presieduta dal patriarca Bechara Butros Rai, vengono affrontati uno a uno tutti gli aspetti dell'attuale malessere libanese, e si propongono soluzioni per uscire dalla crisi. Nel primo capitolo - riporta l'agenzia Fides - il documento rivendica il ruolo avuto dalla Chiesa maronita nella configurazione dell'identità libanese, ancor prima della proclamazione dell'indipendenza nazionale. Nella seconda sezione si denunciano i processi di marginalizzazione dei cristiani nella vita politica e sociale nazionale, attraverso fenomeni come l'alterazione dei fragili equilibri istituzionali che regolano la rappresentanza delle varie comunità confessionali e le acquisizioni di proprietà immobiliari appartenenti ai cristiani da parte di gruppi finanziari con base in altri Paesi del Medio Oriente. Tra le piaghe che affliggono il Libano, viene denunciata con forza quella della corruzione e del clientelismo. Inoltre nel documento viene ribadito con insistenza in più punti che non possono esistere nel Paese eserciti privati o milizie armate legate a fazioni o partiti, con evidente riferimento a Hezbollah. Si stigmatizza la contrapposizione tra i blocchi politici che sta portando il Paese alla paralisi istituzionale, auspicando la sollecita creazione di un governo di emergenza che veda coinvolte tutte le componenti del quadro politico nazionale, per poi affrontare senza rinvii le prossime scadenze elettorali (elezioni presidenziali e politiche). Nel capitolo conclusivo, il documento presentato dal patriarca Rai chiama tutti i leader cristiani e musulmani a condividere un rinnovato patto d'onore per resistere insieme al terrorismo, al contagio dei conflitti regionali e continuare a difendere insieme la stessa identità libanese, fondata sulla convivenza pacifica e collaborativa tra gruppi etnici e confessionali diversi. (R.P.)

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    Brasile. Il card. Filoni: uscire dai propri confini, annunciare il Vangelo, edificare la Chiesa

    ◊   “La Chiesa di cui parla il Concilio è la comunità ecclesiale che, radicata nella storia, percorre i cammini degli uomini e delle donne di ogni epoca, fino al compimento della storia stessa. Il Concilio Vaticano II inquadra l’identità missionaria della Chiesa nel mistero trinitario e in quello cristologico, correlandola intrinsecamente con la salvezza compiuta in Cristo, di cui la Chiesa è segno e strumento”. Con queste parole il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, ha iniziato la sua seconda relazione al corso di studio che vede riuniti a Rio de Janeiro 97 vescovi brasiliani. Nel pomeriggio di ieri, il Cardinale si è soffermato sulla partecipazione delle Chiese locali alla missione ad gentes. Dopo aver richiamato quanto la costituzione Lumen Gentium afferma sulla natura missionaria della Chiesa, il cardinale ha sottolineato che “l’affermazione della natura ecclesiale essenzialmente missionaria va riferita alla Chiesa sia universale, sia locale e/o particolare”. La Chiesa, fedele al mandato del Signore e animata dallo Spirito, “continua a mandare araldi del Vangelo, fino a che le nuove Chiese siano pienamente costituite e continuino a loro volta l’opera di evangelizzazione”. Il Prefetto del Dicastero Missionario ha quindi enucleato tre passaggi, tra loro correlati, che indicano come la Chiesa locale possa partecipare alla missio ad gentes: “uscire dai propri confini, annunciare il Vangelo, edificare la Chiesa”. “L’espressione ‘uscire dai propri confini’ – ha spiegato - allude a un movimento che non equivale al solo lasciare uno spazio geografico per abitarne un altro... implica anche una dislocazione di tipo culturale... tale dislocazione culturale può avvenire anche all’interno di uno stesso territorio o in spazi virtuali”. Il secondo riferimento è al mandato missionario: “Inviato dal Padre, Cristo invia a sua volta i propri apostoli/discepoli, trasmettendo loro quel potere che lui stesso ha ricevuto dal Padre e donando loro il suo Spirito. Si tratta di un invio che vincola la Chiesa e i suoi membri in maniera non estrinseca, anche se le fasi, i tempi, i contenuti e le finalità della missione non dipendono dall’inviato, ma da colui che invia”. Quindi il card. Filoni ha sottolineato l’importanza di due aree per la partecipazione della Chiesa locale alla missio ad gentes: l’attenzione agli ambiti e la messa in atto di processi dialogici. Per sviluppare il tema dell’annuncio del Vangelo, il cardinale ha poi preso come riferimento il capitolo 2 degli Atti degli Apostoli, rilevando come elemento essenziale il concetto che “l’annuncio kerigmatico che crea la Chiesa-comunione interpella l’essere umano nella concretezza sia della propria esperienza personale, sia della propria appartenenza a uno specifico contesto culturale”, quindi ha ribadito “l’impegno della Chiesa locale in ordine all’inculturazione e contestualizzazione dell’annuncio evangelico”. Infine il concetto di edificare la Chiesa non è da intendere meramente dal punto di vista quantitativo, anzi, “la missio ad gentes richiede oggi un supplemento di riflessione sulla figura di Chiesa, individuandone tratti caratterizzanti che più adeguatamente ne esprimano la vera natura e missione nell’odierna temperie”. Indicando quindi tali tratti, il Prefetto del Dicastero Missionario ha parlato di “una Chiesa responsabile e accogliente”, “una Chiesa decentrata e dinamica”, “una Chiesa al servizio del Regno”. (R.P.)

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    Sochi: oltre 100 religiosi alle Olimpiadi. Kirill benedice gli atleti russi

    ◊   Oltre 100 religiosi delle cinque principali religioni mondiali lavoreranno durante le Olimpiadi invernali, che si aprono il prossimo 7 febbraio a Sochi. Saranno 'dispiegati' tra i due cluster in cui si concentrano le gare sportive: quello "costiero" ad Adler e quello "montano" a Krasnaya Polyana. "Oltre 100 persone sono in servizio per fornire aiuto psicologico e spirituale ai partecipanti, agli ospiti e agli spettatori dei Giochi (7-23 febbraio) e delle Paraolimpiadi (7-16 marzo)", ha fatto sapere l'ufficio stampa del comune di Sochi. Per la comunità ebraica sono a disposizione 12 rabbini provenienti da tutto il mondo e che parlano spagnolo, francese, inglese ed ebraico. La Federazione delle comunità ebraiche di Russia - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha inoltre assicurato che le mense del Villaggio olimpico serviranno anche cibo kosher. Nel cluster costiero, sono in funzione tre Centri interreligiosi, mentre ci sono alcune stanze di preghiera in quello montano. A quanto riporta Interfax, però, "non ci saranno servizi regolari". Intanto oggi, è atteso a Sochi il patriarca di Mosca, Kirill, che benedirà gli atleti della nazionale russa. Secondo quanto riferito dall'agenzia Ria Novosti, il primate ortodosso celebrerà un moleben (servizio di intercessione) nella chiesa "più olimpica" della regione, quella del Santo Volto di Cristo Salvatore, nella valle Imeretinsky. L'edificio è stato costruito proprio in occasione dei Giochi invernali, anche se gli storici locali affermano che nel punto in cui sorge questa chiesa, tra il IX e il X secolo - prima del battesimo della Rus' - si trovasse già un antico tempio bizantino. La chiesa è stata consacrata lo scorso 2 febbraio dal metropolita Isidore di Kuban. Per i cattolici vi è la parrocchia centrale di Sochi, dedicata ai Santi Apostoli Simone e Giuda e aperta nel 1997. Prima di allora, in città, vi era solo una piccola cappella, che era stata allestita presso il Centro culturale nazionale polacco. (R.P.)

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    Scozia: preoccupazione delle Chiese cattolica e presbiteriana per il sì ai matrimoni gay

    ◊   Qualche mese dopo Westminster, anche il Parlamento di Edimburgo ieri ha dato il via libera, con 105 voti su 180, ai matrimoni omosessuali. Le prime cerimonie si svolgeranno a ottobre e seguiranno quelle previste a marzo in Inghilterra. Come era già capitato a Westminster, lo scorso luglio, anche a Edimburgo sono state le élites politiche, sociali e culturali a volere, a tutti i costi, una legislazione contro la quale hanno firmato oltre 50.000 persone, in tutta la Scozia, e che è stata contrastata, fino all’ultimo momento, dalle due più importanti religioni del Paese, quella cattolica e quella presbiteriana, rappresentata dalla “Church of Scotland”. Sono stati, infatti, bocciati ieri diversi emendamenti che puntavano a proteggere individui e istituzioni che sostengono la concezione naturale del matrimonio. Secondo l’arcivescovo di Glasgow, Philip Tartaglia, “non è possibile predire, con precisione, quale impatto la legislazione sui matrimoni gay avrà sulla società in generale o sulla comunità cattolica. Non sembra che essa costringerà i sacerdoti cattolici o la Chiesa a celebrare matrimoni con persone dello stesso sesso. Tuttavia, non possiamo escludere l’eventualità che, in futuro, alcuni individui, inizino un’azione legale contro un sacerdote cattolico o la Chiesa perché non accettano di celebrare matrimoni gay”. (R.P.)

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    Francia. I vescovi: "Non si legifera opponendo i francesi ai francesi"

    ◊   “Non si può legiferare opponendo i francesi ai francesi”. Lo ha detto mons. Bernard Podvin, portavoce dei vescovi francesi, in una dichiarazione che appare oggi sul sito della Conferenza episcopale e ripresa dall'agenzia Sir. Mons. Podvin interviene sulla manifestazione della “Manif pour tous” di domenica scorsa e sul rinvio annunciato dal governo di non presentare almeno per il 2014 il progetto di legge sulla famiglia. “Di che cosa si tratta?”, chiede il portavoce. “Di un rinvio o di un ritiro? Di un rinvio a causa del calendario elettorale o di una presa di coscienza che il patto sociale non deve essere toccato quando si affrontano in profondità queste questioni?”. E a questo proposito, mons. Podvin ricorda che “la procreazione, la vita nascente, il fine-vita mettono in discussione ciò che l’uomo ha di più prezioso e di più fragile. È dunque profondamente legittimo che i cittadini si esprimano e li si ascolti. Che si smetta allora di ferire qualificando come 'bigotti' dei cittadini a pieno titolo. Ci sono tra loro numerosi giovani adulti” afferma mons. Podvin. (R.P.)

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    Colombia: il presidente Santos in visita ai vescovi riuniti in Assemblea plenaria

    ◊   Il Presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, si è recato ieri in visita ai vescovi riuniti a Bogotà per la XCVI Assemblea plenaria dell’episcopato colombiano. Il Presidente ha ringraziato la Chiesa cattolica per gli sforzi compiuti per la pace nel Paese, ed ha sottolineato l'impegno della Chiesa in materia di istruzione, sanità e promozione sociale in quasi tutto il territorio nazionale, rinnovando la richiesta di continuare in tale impegno nel post-conflitto. I vescovi colombiani e il Presidente Santos si sono incontrati per circa due ore, discutendo su questioni di particolare interesse per il Paese e che preoccupano la Chiesa, come la disuguaglianza e l'esclusione sociale, l'istruzione e la disoccupazione. La visita del Presidente rispetta la tradizione della Chiesa colombiana di condivisione le preoccupazioni con chi è al potere. Come vera novità di questo incontro, riferisce la nota pervenuta all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale, sono da segnalare le parole del presidente della Conferenza episcopale della Colombia e arcivescovo di Bogotà, il card. Rubén Salazar Gómez, che ha fatto cenno alla possibilità di un "post-conflitto" durante il quale la Chiesa riaffermerà il proprio impegno per vivere in una società giusta, riconciliata e in pace, e in cui le vittime del conflitto armato siano i principali destinatari. (R.P.)

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    Colombia: scoppia scandalo delle intercettazioni illegali. Minacce al processo di pace

    ◊   “Forze oscure” tramano contro il processo di pace fra il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia): è la denuncia che si è levata nelle ultime ore dal Presidente Juan Manuel Santos, dopo le rivelazioni della rivista ‘Semana’ sull’esistenza di un piano di spionaggio militare ai danni dei negoziatori dell’esecutivo impegnati nei colloqui con la guerriglia ospitati a Cuba. “Ho dato ordini immediati al ministro della Difesa e ai vertici militari affinché ci dicano fino a dove è potuto arrivare l’uso illecito dell’intelligence, ma soprattutto sapere chi c’è dietro e qual è il suo scopo” ha detto il capo dello Stato. “Visibilmente irritato”, scrive il quotidiano ‘El Espectador’, Santos ha ricordato che uno scandalo analogo – sotto il mandato del suo predecessore e oggi acerrimo avversario Alvaro Uribe (2002-2010) – lo portò a suo tempo a sciogliere il Das (Dipartimento amministrativo di sicurezza, servizi). “L’uso illegale dell’intelligence indebolisce quello legale e gli toglie il valore” ha aggiunto il Presidente, promotore di uno storico processo di pace avversato dai fedelissimi di Uribe, ma che rappresenta il suo “asso nella manica” alle elezioni del prossimo 25 maggio. Stando alla rivista ‘Semana’, “Andromeda” è il nome che l’esercito avrebbe dato a un Centro clandestino di spionaggio militare che avrebbe avuto come obiettivo principale i negoziatori del governo all’Avana, ma anche leader dell’opposizione, giornalisti, attivisti della società civile, funzionari dello Stato a vario titolo. Le ricerche per localizzare il sito clandestino, situato nel settore di Bogotá conosciuto come Galerías, secondo ‘El Espectador’ sarebbero state pesantemente rallentate. Il Centro sarebbe stato operativo già dal 12 settembre del 2012, otto giorni dopo che Santos aveva confermato l’avvio di contatti con le Farc per negoziare un accordo di pace. “Poco meno di un mese prima – scrive il giornale – l’ex Presidente Alvaro Uribe, che è contrario ai negoziati, aveva rivelato che il governo di Santos stava trattando con questa guerriglia”. All’interno di “Andromeda”, che dalla facciata si presenta come un ristorante-bar regolarmente registrato alla Camera di commercio, si offrivano fra l’altro corsi di sicurezza informativa, spionaggio, prevenzione di cyber-attacchi. Il responsabile del Centro sarebbe un capitano dell’esercito, di cui ‘Semana’ non fa il nome, appartenente alla Centrale di Intelligence tenica dell’esercito (Citec), uno dei pilastri della Direzione di Intelligence militare (Dinte); sarebbero coinvolti anche diversi civili. Il Citec aveva peraltro gestito parte dell’Operación Jacque (Operazione scacco) che nel luglio 2008 – con Santos al ministero della Difesa – aveva portato alla liberazione dell’ex candidata presidenziale Ingrid Betancourt, ostaggio delle Farc dal febbraio 2002. Molti restano gli interrogativi aperti, in attesa che “qualche testa cada nell’esercito” scrive la stampa colombiana: non è ancora chiaro, fra l’altro, chi abbia ordinato le intercettazioni e a quale scopo. (R.P.)

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    Myanmar. Nuovo vescovo di etnia chin: segno di unità per la Chiesa e la nazione

    ◊   Il nuovo vescovo Lucius Hrekung che, nella diocesi di Hakha, avrà la cura pastorale della popolazione delle minoranza etnica chin, a cui egli stesso appartiene, rappresenta “un segno di unità per la Chiesa e per l’interna nazione”: è quanto ha detto mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, principale ordinante del nuovo vescovo, celebrando una solenne celebrazione eucaristica domenica scorsa. Come riferisce all'agenzia Fides un nota dell’arcidiocesi di Yangon, alla santa Messa di ordinazione erano presenti 15 vescovi, centinaia di sacerdoti e religiosi, oltre 4.000 fedeli laici cattolici, numerosi cristiani di altre confessioni, venuti a gioire e pregare per il nuovo Pastore. Nell’omelia mons. Bo ha sottolineato il cammino dei cristiani nelle aree dove vivono le tribù chin: “La storia della diocesi di Hakha è la storia di 50 anni di cammino di fede del popolo. E’ stata avviata da vescovi, sacerdoti, religiosi e laici indigeni. Mons. Lucius è il frutto di questa storia, di persone che hanno tramandato e testimoniato la fede di generazione in generazione”, ha detto. L’arcivescovo ha rimarcato che “il cammino di fede non è mai senza ostacolI”, ricordando che “nel 2014, la Chiesa in Myanmar celebra 500 anni del suo cammino di fede. I nostri antenati – ha detto – hanno dato la loro vita per la fede. Durante il periodo buio della nazionalizzazione, le porte furono chiuse ai missionari. Siamo diventati deboli e abbiamo vissuto nella paura. Eppure abbiamo sempre confidato in Dio. Nella storia della Chiesa in Myanmar, abbiamo mantenuto la nostra fede”. Mons Bo ha elogiato il vescovo per aver scelto come suo motto “Venga il tuo Regno”: “Questa è la sua bussola, basata sulla fede; questa è la sua preghiera, che sarà sempre una buona notizia per tutti”. Le cattive notizie, invece, sono “le divisioni che indeboliscono la credibilità dell’evangelizzazione”. In questo senso – ha concluso – la Chiesa cattolica abbraccia tutte le tribù e le etnie presenti in Myanmar: Chin, Kachin, Kayah, Shan, Bamar, e altre, promuovendo armonia nella comunità cristiana e in tutta la nazione. (R.P.)

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    Filippine. Card. Tagle: alla luce del Vangelo, laici protagonisti della “santificazione” del mondo

    ◊   I laici devono portare gli esempi e gli insegnamenti del Vangelo nella vita quotidiana della nazione, perché è un loro compito essenziale partecipare in modo attivo alla "santificazione" del mondo. È quanto ha affermato il card. Luis Antonio Tagle, nel primo incontro per il 2014 dell'Assemblea pastorale generale dell'arcidiocesi di Manila (Magpas); il porporato ne ha sottolineato con forza la caratteristica distintiva, la "laicità", che permette loro di trasformare il mondo "dall'interno". La loro missione, aggiunge, è la ricerca del Regno di Dio impegnandosi "nelle questioni materiali" e svolgere "secondo il piano di Dio, senza allontanarsi o fuggire". Il riferimento - riferisce l'agenzia AsiaNews - è agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, in cui è emerso il richiamo forte alla conversione e all'opera dei laici nei vari settori in cui essi operano nella vita di tutti i giorni: politica, economia, scienza, comunicazione e tecnologia fra gli altri. Cambiare il sistema, farsi portatori di una cultura dell'integrità e dell'onestà, partecipare alla missione di salvezza della Chiesa. Sono questi, secondo il cardinale di Manila, i compiti affidati ai laici grazie alla loro posizione privilegiata di primi testimoni nel mondo e nella società. l prelato invita i fedeli a impegnarsi a fondo nelle "vicende materiali", anche laddove regnano "frode e corruzione", per diventare esempio di onestà e moralità. Seguendo i moniti dei padri conciliari, i laici devono fare il loro ingresso "nelle istituzioni del mondo, dove è forte la tentazione, perché possano trasformarle secondo la presenza di Gesù". L'arcivescovo di Manila invita a non aver paura di rimanere vittime di istituzioni corrotte, ma esorta piuttosto a "ripulirle dall'interno", rinnovando la società, la cultura, la politica e l'economia. I laici, avverte, possono "trasformare la cultura filippina, in una cultura di integrità e onestà", una cultura che fa prevalere il "bene comune" e non il mero egoismo. E non devono cadere in tentazione, ma mantenere una fede salda per "combattere le tentazioni" affidandosi alla forza "che proviene non da noi stessi, ma da Cristo". Infine, il card. Tagle ricorda che "l'apostolato laico è partecipazione attiva alla missione di salvezza della Chiesa" e per questo i fedeli devono impegnarsi con rinnovato vigore negli affari dello Stato. Il ruolo dei laici è sempre più importante, anche per sopperire alla mancanza di sacerdoti e religiosi; il porporato ricorda che vi è un prete ogni 30mila persone, per questo rinnova l'invito a una partecipazione sempre più attiva. "Dobbiamo mettere da parte l'idea che sono meno importanti perché non consacrati" conclude l'arcivescovo di Manila, secondo cui "ciascun battezzato è tutt'uno con Cristo e incardinato nella vita della Chiesa". (R.P.)

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    Nigeria: 80 morti nelle ultime 24 ore per violenze in 4 Stati

    ◊   Almeno 80 persone sono state uccise in una serie di attacchi commessi nelle ultime 24 ore in 4 Stati della Nigeria, Plateau, Kaduna, Yobe e Katsina. Nello Stato di Plateau 30 persone, in maggioranza donne, bambini e anziani, sono state uccise e 50 abitazioni bruciate in due attacchi perpetrati da una milizia Fulani nelle prime ore di oggi nei villaggi di Dajak e Atakar. Nel Plateau - riferisce l'agenzia Fides - da anni le contese tra i pastori Fulani e gli agricoltori locali per il controllo dei pascoli e dell’acqua sfociano in azioni violente. Sempre miliziani Fulani sono sospettati di essere gli autori degli assalti in altri due villaggi nello Stato di Kaduna che provocato la morte di 22 persone, tra cui un soldato e un poliziotto. Tutte le abitazione dei villaggi di Zangang e Mayit sono state distrutte. Nello Stato di Yobe, 18 commercianti sono stati uccisi in un agguato stradale da parte di una banda di criminali. Infine nella cittadina di Kankia, nello Stato di Katsina, una folla di giovani ha ucciso un Pastore della Ecwa (Evangelical Church of West Africa) accusato, senza prove, di aver ucciso una bambina di sei anni, il cui corpo mutilato era stato rinvenuto nei pressi della casa del Pastore. I giovani esagitati avevano cercato di linciare il Pastore, che si era salvato a stento. Ricoverato nel locale ospedale, è stato raggiunto dai suoi assassini che poi ne hanno bruciato il corpo. Anche la sua casa e la chiesa sono state date alle fiamme. (R.P.)

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    Si è spento a Roma il padre gesuita Michele Simone, politologo di "Civiltà Cattolica"

    ◊   Si è spento ieri a Roma il padre Michele Simone. Il religioso per molti anni ha firmato le analisi politiche del quindicinale dei gesuiti "Civiltà Cattolica". Protagonista della riflessione sulla presenza e l’impegno dei cattolici in politica, padre Simone è stato un punto di riferimento per il mondo cattolico con le riflessioni e i giudizi sempre acuti e documentati, spesso scomodi, mai incasellabili. Spesso interveniva ai microfoni della nostra emittente per commentare i fatti più significativi della politica italiana. Il funerale di padre Simone si terrà domani mattina alle 10.00 nella cappella della Civiltà Cattolica a Roma. Nato a Bari il 4 dicembre 1943, era entrato nella Compagnia di Gesù il 31 dicembre 1967. Dopo il noviziato a Vico Equense, compì due anni di magistero al collegio Di Cagno di Bari insegnando religione, mentre faceva anche gli studi di giurisprudenza all'Università statale. Dal 1971 al '73 completò gli studi filosofici a Gallarate, quindi un anno a Napoli-Cangiani per concludere gli studi universitari, poi il triennio teologico a Posillipo e l'ordinazione presbiterale il 4 giugno 1977 sempre a Napoli, quindi la licenza in teologia morale alla Gregoriana. Nel 1982 è inviato alla Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale per insegnare etica speciale e assumere la redazione di «Rassegna di Teologia». È poi inviato alla «Civiltà Cattolica» dove è scrittore e caporedattore dal 1985 al '97, quando diventa anche vicedirettore. Lavoratore instancabile, disponibile e preciso, si è occupato anche di molte pubblicazioni di confratelli scrittori dedicandosi a molteplici argomenti, ma in particolare alla società italiana, di cui ha redatto per quindici anni la cronaca politica. Dal 1997 al 2008 è anche membro della giunta e del Comitato scientifico delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Da alcuni mesi era in cura presso l'infermeria della residenza San Pietro Canisio per gravi disturbi neurologici. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 36

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