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Sommario del 29/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ai giovani di Taizé: aprite cammini di libertà

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Siate il sale di un mondo che ha bisogno di ritrovare il “sapore” di Dio. È l’augurio che Papa Francesco fa alle migliaia di ragazze e ragazzi che da oggi al 2 gennaio prossimo sono a Praga per il tradizionale incontro di preghiera di fine anno organizzato dalla Comunità di Taizé. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Memori dei martiri, capaci di immaginazione, disponibili ad annunciare il Vangelo. È ciò che Papa Francesco chiede a 30 mila ragazzi che affollano Praga per la 37.ma edizione dell’Incontro di Taizé. Quello che ogni fine d’anno unisce i giovani dell’est e dell’ovest europeo viene chiamato “Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra”, un percorso – indica il Papa nel suo messaggio – da vivere “nella preghiera e nel dialogo reciproco”. “Attraverso il suo Spirito, che abita in voi – scrive il Papa ai giovani – Cristo vi dona di essere sale della terra”, perché vuole “ridare al mondo il suo vero sapore” attraverso la “scoperta della bellezza della comunione” con Dio e tra i fratelli.

Cammini di libertà
Nel 1990, quando le macerie del Muro di Berlino erano ancora a terra, il pellegrinaggio di Taizé faceva tappa nell’allora Cecoslovacchia. Venticinque anni dopo, “nel momento in cui la Repubblica Ceca festeggia i 25 anni del suo ritorno alla democrazia, non dimenticate nella vostra preghiera – scrive il Papa – i martiri e coloro che manifestavano la loro fede, uomini e donne di buona volontà che hanno permesso, attraverso il dono gratuito di se stessi, talvolta a prezzo di grandi sofferenze, che il loro Paese ritrovasse un cammino di libertà”. Anche voi, prosegue Francesco, “siete invitati ad aprire camini di libertà donando voi stessi con la disponibilità di Maria di Nazareth, quando ha accolto dentro di sé la vita del Figlio di Dio. E’ questa vita che deve svilupparsi anche in voi”.

Viandanti creativi
Ma accogliere in sé la vita di Gesù è sempre un tutt’uno con il testimoniarla agli altri. E qui, il Papa assicura di nutrire “fiducia” nell’“immaginazione” e nella “creatività” dei giovani di Taizé, che permetterà al Vangelo di essere annunciato e ascoltato “con gioia” oggi nei loro Paesi. Francesco cita una sua espressione dell’“Evangelii Gaudium”, quella in cui tratteggia i giovani come “viandanti della fede” e “felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!”. Un pensiero ribadito nel viaggio apostolico in Turchia del novembre scorso, che il Papa sottolinea ai giovani riuniti a Praga in riferimento ai giovani ortodossi, cattolici e protestanti che, dice, “incontrerete negli incontri internazionali organizzati dalla comunità di Taizé: “Sono loro che oggi ci chiedono di fare dei passi in avanti per una comunione piena”.

I muri non hanno futuro
Molti leader religiosi e internazionali hanno voluto inviare il proprio saluto ai ragazzi riuniti a Praga e, in modo simile a quello di Papa Francesco, anche negli altri messaggi affiora il comune denominatore della riflessione sul valore della libertà e sul prezzo che essa è costata all’Europa per uscire dalla Guerra fredda.

“Per generazioni, l’Europa è stata divisa”, ricorda il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. “Oggi dobbiamo fare tutto ciò che ci è possibile, in tutto il mondo, per evitare nuove divisioni che seguono linee nazionaliste, ideologiche o razziste. In questo tempo di conflitti e di sfide, il mondo ha bisogno dei giovani che incontrino loro contemporanei ed anche persone più anziane ed incoraggiarli alla riconciliazione”.

Gioisco nel vedere ciò che accade oggi, gli fa eco il segretario generale della Federazione luterana mondiale, Martin Junge, “se si pensa che solamente una trentina di anni fa un simile incontro era impensabile. Che potente lezione: i muri progettati per mantenere le persone separate non durano, e le illusioni di sicurezza che si basano su muri non hanno futuro”.

Una razza senza frontiere
Da parte sua, il segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Olav Fykse-Tveit, guardando al lavoro per la pace in chiave ecumenica afferma che "l’appello allo sforzo dei cristiani per la pace deve esprimersi in una solidarietà cristiana reciproca, come cristiani, al servizio del bisogno di pace di tutti”.

“Coloro che accettano di essere a modello di Cristo diventano un popolo nuovo, una nazione che non figura su nessuna carta del mondo ma che esiste – rimarca l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby – in ogni paese del pianeta. Voi appartenente ad una nazione senza frontiere, senza eserciti e senza politici, senza lotte per il potere, senza odio e senza ostilità. Voi siete il popolo di Dio”.

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Taizé. Frère Alois: questi giovani sono una forza di pace

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Sono quasi duemila i volontari impegnati nell’organizzazione del 27.mo Incontro di Taizé che inizia oggi a Praga. Parrocchie e famiglie della città accoglieranno i partecipanti, ortodossi, cattolici e protestanti. Gli italiani il gruppo più  numeroso, dopo polacchi e ucraini. Filo conduttore dell’incontro le parole di Gesù ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della Terra”. Adriana Masotti ha chiesto a frère Alois, priore della Comunità, il perché del ritorno a Praga dopo l'esperienza di 24 anni fa: 

R. – Sì, siamo stati qui già nel 1990, l’anno dopo la rivoluzione in Cecoslovacchia. Adesso, la situazione è molto diversa. Dobbiamo cercare le ragioni che danno speranza all’Europa oggi e che danno speranza ai giovani, anche per credere ed avere fiducia in Dio e per vivere di questa fiducia. I cristiani nella Repubblica Ceca sono una minoranza e, forse, possiamo vedere cosa vuol dire vivere come una minoranza, ma come sale nella terra.

D. – Praga, poi, è proprio nel cuore dell’Europa e questo incontro vuol sottolineare questa unica famiglia…

R. – Sì, siamo riconoscenti anche ai popoli dell’Europa centrale e dell’Europa dell’Est, perché loro hanno creduto che l’impossibile poteva diventare possibile: la caduta del muro di Berlino. Oggi cerchiamo il modo di continuare la costruzione dell’Europa. Per l’incontro ci sono tanti giovani dell’Ucraina, della Bielorussia e anche della Russia e vogliamo esprimere loro la nostra solidarietà.

D. – C’è un tema che fa da filo rosso, da filo conduttore a tutto l’incontro di quest’anno...

R. – Il tema dell’incontro sono le parole di Gesù: “Voi siete il sale della terra”. Questo vuol dire che non siamo soltanto cristiani con le statistiche, i numeri, ma c’è una forza del Vangelo che possiamo vivere, impegnandoci per la pace, per la giustizia, ognuno dove vive. A Taizé non vogliamo creare un movimento organizzato, ma vogliamo rinforzare questa coscienza di essere dispersi nel mondo, ma nello stesso tempo che esiste una forza di pace e di giustizia in questo mondo.

D. – Il programma dell’incontro è molto ricco: preghiere, riflessioni, momenti di condivisione con le parrocchie, che ospitano i giovani, con le famiglie. Poi, il 31 dicembre, la Veglia di preghiera per la pace: un momento molto significativo, specie quest’anno…

R. – Sì, perché tutti noi soffriamo del fatto che non ci sia la pace in Medio Oriente e in Europa. Sarà qui anche un gruppo libanese e pregheremo con loro, che con grande coraggio hanno accolto tanti rifugiati dalla Siria, dall’Iraq. Siamo loro vicini, quindi, in questa situazione.

D. – Papa Francesco, di recente in Turchia, ha ricordato i giovani di Taizé, dicendo che sono proprio i giovani che chiedono alle Chiese di fare dei passi avanti verso la piena comunione. Che cosa ha suscitato in voi questa citazione del Papa?     

R. – Queste parole del Papa naturalmente sono state una grande gioia per noi, ma anche una chiamata per avanzare veramente con i giovani. Qui a Praga ci sono cattolici, ma anche protestanti, ortodossi, che vengono e vivono insieme la fede del Vangelo. Possiamo avanzare, possiamo metterci sotto lo stesso “tetto” e anticipare così l’unità che speriamo.

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Comincia da Pompei la visita di Papa Francesco a Napoli il 21 marzo

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È Pompei la “porta” che apre il terzo viaggio in Campania di Papa Francesco. Sabato 21 marzo 2015, comincerà, infatti, proprio dal Santuario mariano la visita del Pontefice a Napoli. Si tratta di una tappa breve ma intensa, con la quale il Papa intende affidarsi alla Vergine del Santo Rosario.

L’arcivescovo-prelato e delegato pontificio di Pompei, mons. Tommaso Caputo, ha comunicato ai fedeli di Pompei la notizia affermando che “la visita del Papa è un dono grande” per questa comunità la cui devozione mariana è anche alla radice del forte impegno della Chiesa di Pompei verso gli ultimi e i più bisognosi.

“Più che mai oggi – sottolinea il presule - le motivazioni di carità, legate intimamente alle esigenze di giustizia e rispetto della dignità di ogni persona, non sono venute meno. Oltre all’esultanza per la sua venuta, attendiamo che Papa Francesco ci indichi la strada da percorrere per essere ancora più vicini e più solidali con la nostra gente”.

Già il 21 ottobre 1979, San Giovanni Paolo II visitò assieme Pompei e Napoli, iniziando la sua visita proprio dal Santuario mariano, dove tornò il 7 ottobre 2003, per la chiusura dell’Anno del Rosario. Il 19 ottobre 2008 anche Papa Benedetto XVI ha visitato il Santuario di Pompei.

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Mons. Paglia: politica riporti famiglia al centro della sua azione

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Le famiglie si assumano la responsabilità di trasformare la società: questo l’appello di Papa Francesco nell’incontro, ieri nell’Aula Paolo VI in Vaticano, con le famiglie numerose. Un evento festoso cui ha partecipato anche mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Ascoltiamo il suo commento al microfono di Sergio Centofanti

R. – Io credo che la prima cosa da dover dire sia l’entusiasmo e la gioia che sprigionava da quell’Aula: dal Papa fino all’ultimo bambino. Davvero una festa della vita! Non dimentichiamo che c’erano anche alcuni non credenti.

D. – In questa festa, però, è arrivata forte la denuncia del Papa sulla non attuazione dell’art. 31 della Costituzione, che chiama le istituzioni a sostenere le famiglie, soprattutto quelle numerose…

R. – In effetti è stato quanto mai opportuno che il Papa abbia richiamato anche quelle intuizioni e quelle disposizioni della Carta Costituzionale, che in maniera lungimirante avevano compreso che le famiglie numerose sono il presente e il futuro di un Paese. Pensiamo a che cosa accadrebbe oggi in Italia se non ci fossero le famiglie con nonni, padri e figli… Quanti giovani che hanno perso il lavoro, se non ci fossero le famiglie, vivrebbero davvero in una tragedia senza risposta alcuna; e quanti anziani sarebbero abbandonati, se non avessero una famiglia numerosa che li accoglie, nonostante tutto. C’è tanto dibattito intorno alla questione costituzionale … Purtroppo su questo tema delle famiglie numerose non solo non c’è dibattito, c’è persino dimenticanza! Per questo credo che il richiamo del Papa sia particolarmente significativo e urgente.

D. – Che cosa può fare di più la politica?

R. – Deve aiutare quelle famiglie che avrebbero desiderio di avere dei figli e non li hanno per problemi di natura economica. Ma non basta questo: la politica deve anche aiutare – assieme alle altre istituzioni – una nuova cultura, una cultura della vita, dove non si scarti nessuno. Faccio un solo esempio: in Italia sta crescendo – e questo è paradossale – il numero delle famiglie composte da una persona sola oppure famiglie che hanno un solo figlio. E anche qui il futuro è dimezzato! Mi chiedo: fra 10 anni, questi milioni di figli unici, quando sentiranno dire “fratello” o “sorella”, si chiederanno: “Ma cosa vuol dire?”. Dobbiamo cambiare il vocabolario? La politica deve responsabilmente riportare la famiglia al centro delle sue preoccupazioni, perché riportare al centro dell’attenzione la famiglia è riportare al centro uno dei cardini dell’oggi e del domani della nostra società.

D. – La famiglia – ha detto altre volte il Papa – non solo non è sostenuta, ma non è mai stata tanto attaccata come oggi. Ecco, oggi alcune lobby vogliono farci credere che l’emergenza principale sia – per esempio – la cosiddetta omofobia, con il corollario della teoria del gender imposta a suon di soldi. Ma le vere emergenze – famiglia, giovani, lavoro, scuola – sono sempre più trascurate?

R. – Io credo che purtroppo stiamo correndo il rischio di fermare l’attenzione su aspetti particolari, trascurando davvero l’essenziale. Perché ci intestardiamo a costruire, a continuare ad edificare una società triste, povera di figli, priva di festa, pensando che la felicità sia quella di realizzare il proprio personale e individuale futuro? Non comprendendo che il futuro è “il noi”, non l’”io”. E’ una comunità di famiglie e non una miriade di monadi che si scontrano inevitabilmente l’una con l’altra.

D. – Infatti, il Papa parla di diritti individualistici che prevalgono sulla solidarietà, sulla famiglia, sul bene comune…

R. – Una tendenza, anche della giurisprudenza, a sottolineare unicamente i diritti individuali diventa complice di una cultura che indebolisce le società, che indebolisce “il noi” per rafforzare solo “l’io”. Per cui ogni desiderio individuale deve diventare legge: non importa se poi questo contrasta con i diritti della società e i diritti del noi, compresi i diritti della famiglia! Ecco perché penso che la crisi che stiamo attraversando sia una crisi eminentemente culturale. Io vorrei ricordare quello che sta accadendo per l’ecologia: non dimentichiamo che lo sfruttamento individuale della terra ha portato al disastro che vediamo. Io credo che sia indispensabile avere oggi la stessa attenzione verso la famiglia umana per evitare che accadano disastri drammatici sull’umano, sulla famiglia. Se esaltiamo troppo l’individualismo, finiamo per “inquinare” l’umano, per questo penso che sia indispensabile una rivoluzione anche spirituale per poter disegnare un futuro a misura del noi e non dell’io.

D. – Il Papa chiede alle famiglie di mobilitarsi, di essere protagoniste, non restando inerti di fronte ai mali che vedono…

R. – Assolutamente indispensabile! La famiglia deve tornare a riprendere in mano il suo destino, in tutti i modi, compresi quelli – come il Papa ieri diceva – delle reti familiari. E’ indispensabile ricostruire un tessuto solidale, perché le famiglie riscoprano la soggettività di cambiare la storia, di cambiare il mondo. I genitori non possono derogare al loro impegno educativo nei confronti dei figli, perché è anche così che trasformano la storia, aiutando i figli a crescere in maniera libera e responsabile. E in questo contesto mi permetto di dire che questo Sinodo che stiamo celebrando, più che scrivere un nuovo documento, che lo scriverà e certamente sarà importante, deve suscitare soprattutto una sorta di nuova primavera delle famiglie.

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Forum: sostegno famiglia indispensabile per rilancio del Paese

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Una grande speranza, una grande conferma. Così il presidente del Forum delle Associazioni Familiari Francesco Belletti commenta le parole rivolte questa domenica dal Papa alle famiglie numerose. Francesco ha ringraziato le famiglie per l’esempio di amore alla vita, custodita dal concepimento alla morte naturale, “pur con tutte le difficoltà e i pesi che le istituzioni pubbliche non sempre aiutano a portare”. Di qui l’appello alla politica perché a fronte della bassa natalità investa sulla  famiglia, cellula della società. Ascoltiamo il presidente del Forum Belletti al microfono di Paolo Ondarza

R. – Oggi, soprattutto nel nostro Paese, c’è una gravissima dimenticanza: parlare di una Costituzione che riconosce la famiglia come un valore di bene comune e avere poi scelte politiche ed economiche, che maltrattano la famiglia, è assolutamente drammatico. L’Italia è uno dei Paesi in Europa che ha il più alto tasso di bambini sotto la soglia di povertà, dovuto al solo fatto di nascere in famiglie numerose. Questo è scandaloso.

D. – Nonostante l’articolo 31 della Costituzione chieda un particolare riguardo per le famiglie numerose, ha ricordato Papa Francesco…

R. – Sono gli articoli più dimenticati della Costituzione: il 29, il 30 e il 31. Sono quelli in cui nel ’48 i padri costituenti vedevano la famiglia come un  pilastro della ricostruzione del Paese, cosa di cui c’è bisogno anche oggi. La politica, oggi, ha però, dimenticato quella grande intuizione. E, tra l’altro, in quel momento, laici, cattolici e marxisti si riconobbero in una grande alleanza di valore. Attorno alla famiglia si ricostruiva il Paese. Oggi la famiglia è a piè di lista, al massimo le si danno delle gentili concessioni, ma non si mette la famiglia al centro del rilancio del Paese. Invece, se il Paese è rimasto in piedi è grazie alla famiglia e se si vuole far ripartire il Paese bisogna ripartire dalle famiglie, non con politiche assistenziali, ma mettendola al centro.

D. – Fare figli è un investimento per lo Stato: questo lo hanno capito alcuni Paesi europei, ma in Italia è un concetto che sembra non arrivare alla politica…

R. – Penso alla Francia, che lanciò il quoziente familiare subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Non scelse il quoziente familiare quando c’erano soldi, lo scelse quando si trattava di ricostruire un Paese. E questa è la cosa drammatica: oggi in Italia un bambino sembra un bene privato, un bene voluttuario e non viene più riconosciuto che il vero capitale del nostro Paese sono le persone. Fra l’altro, sempre tornando alle famiglie numerose, una famiglia diventa più ricca quando gli arriva una nuova persona al suo interno, diventa più coesa, ha più relazioni. Certo, diventa più povera economicamente, perché il bambino costa. Ma lì dovrebbe intervenire lo Stato, per sostenere una famiglia che sceglie di accogliere la vita.

D. – La Francia nel dopoguerra ha scommesso sulla famiglia. Oggi, l’Italia, in questo periodo di pesante crisi economica deve ripartire dalla famiglia: questo è il vostro appello alla politica?

R. – Oggi la politica non sta costruendo la speranza del Paese, nonostante i grandi proclami. Rilanciare il Paese senza appoggiarsi alle famiglie è illusorio, perché di fatto proprio questi anni di crisi hanno dimostrato che sulla famiglia si tiene insieme un Paese. Purtroppo la nostra politica è sorda a questa prospettiva.

D. – Il Papa ha ricordato come la famiglia sia luogo in cui viene custodita la vita dal concepimento alla fine naturale, pur con tutte le difficoltà e spesso nell’abbandono da parte delle istituzioni…

R. – Mi aveva molto colpito l’intervento del Santo Padre il giorno di Natale, perché aveva ricordato senza ambiguità la necessità di accogliere la vita sempre e comunque, il grande dramma dell’aborto. E poi nelle nostre famiglie, l’esperienza quotidiana della cura, dell’accoglienza degli anziani, del non mandare un anziano in istituto, ma tenerlo dentro la famiglia. D’altra parte, Papa Francesco ha ricordato sempre che bambini e nonni sono l’indicatore della civiltà di un Paese: se vengono accolti e sostenuti vuol dire che il Paese è nella direzione giusta. Quindi le nostre famiglie, che hanno tentato in questi anni di crisi di sostituire, comunque, anche un welfare sempre più fragile, sono oggettivamente un luogo di grande solidarietà e soprattutto di legame tra le generazioni. Nel sociale si vede una guerra tra le generazioni: poco lavoro per i giovani, pochissima attenzione ai bambini. Invece le famiglie sono quelle che tengono insieme le generazioni.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Una speranza per la società: Papa Francesco sottolinea l'importanza delle famiglie numerose.

Lì è venuta la vera gioia di essere teologo: l'intervista di Luca Caruso a padre Stephan Horn già allievo e assistente di Joseph Ratzinger.

Stella in un cielo tempestoso: bilancio e prospettive del dialogo tra le religioni in un articolo del cardinale Jean-Louis Tauran.

Pensare in grande e guardare lontano: il segretario particolare di Giovanni XXIII, cardinale Loris Capovilla, ricorda lo scultore Piero Brolis che ha onorato la città di Bergamo.

Una storia per tutte le età: Emilio Ranzato recensisce "La Cenerentola" di Rossini diretta da Carlo Verdone.

Ciak crudele: Gabriele Nicolò sui grandi registi tra perfezionismo e ossessione.

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Oggi in Primo Piano



"Norman Atlantic": evacuati i passeggeri, 5 le vittime

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Sono stati tutti evacuati i passeggeri ancora a bordo del traghetto "Norman Atlantic", andato a fuoco all’alba di ieri delle coste dell’Albania intorno per un rogo scoppiato nella zona garage e ora alla deriva. Partito da Patrasso e diretto ad Ancona, trasportava 478 passeggeri, per lo più greci: quasi tutti sono ormai in salvo, mentre cinque sarebbero i morti accertati. “Nel giro di qualche ora contiamo di terminare le operazioni di salvataggio", ha detto il premier Renzi. Il servizio di Gabriella Ceraso

Il primo cadavere rinvenuto ieri, è quello di un uomo greco, morto mentre tentava di raggiungere la scialuppa di salvataggio, ma il governo di Atene e poi quello italiano, col premier Renzi, oggi confermano altre 4 vittime recuperate, per un totale di 5 su 478 passeggeri del "Norman Atlantic". “Il lavoro dei soccorritori è stato strepitoso”, dice Renzi, e in pieno accordo con Grecia e Albania, aggiunge il ministro degli Esteri, Gentiloni. Nel pomeriggio, gli aggiornamenti saranno affidati ai titolari di Difesa e Trasporti, Pinotti e Lupi, in conferenza stampa a palazzo Chigi. In mare intanto si lotta contro il tempo e l’avvicinarsi da nordest di una burrasca forza otto: la Marina militare con la San Giorgio fa da base per gli elicotteri che portano via i passeggeri, come ci spiega il sottocapo Alessandro Lentini :

R. – Insieme alla nave San Giorgio è arrivata da un paio di ore anche la nave Durand de la Penne, con un ulteriore elicottero. In totale dovrebbero essere sei al momento gli elicotteri della Marina Militare, che stanno operando sopra il traghetto. Ci sono anche le motovedette della Capitaneria, con due elicotteri e nove mercantili. Le previsioni sono quelle di terminare il soccorso il prima possibile, perché il mare tra questa notte e questa mattina si è calmato un pochino. Io mi auguro di terminare entro massimo due ore tutte le operazioni di soccorso.

Intanto, a Bari sono giunti in mattinata 49 naufraghi ,in buone condizioni di salute. La macchina dei soccorsi funziona dice ai nostri microfoni Lucia Di Lauro responsabile Protezione civile regionale pugliese:

R. – L’assistenza della movimentazione del vestiario e altro è della compagnia di navigazione. La prima assistenza alimentare, invece, su Bari è stata quella del Comune.

D. – Lei che idea si è fatta? Sta funzionando la macchina dei soccorsi?

R. – La macchina sta funzionando molto bene. Sono tutti in azione.

A Bari, ma anche a Brindisi, la procura ha aperto un’indagine: attraverso gli interrogatori si cercherà di chiarire modalità e gestione dell’emergenza a bordo. La società armatrice Visemar si è messa a disposizioni delle autorità. Per ora, il primo reato ipotizzato è naufragio colposo.

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Croazia. Ballottaggio Josipovic-Kitarovic, sfida aperta

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Elezioni presidenziali in Croazia: la sfida resta aperta tra i due favoriti, il presidente uscente, Ivo Josipovic, 57 anni, candidato del centrosinistra al governo, e la sfidante del centrodestra, Kolinda Graba Kitarovic, 47 anni, ex ministro degli Esteri, che ieri hanno passato il primo turno con un distacco di appena 24 mila schede. Josipovic ha conquistato il 38,5% dei voti, la Kitarociv il 37,2. Un risultato che non da certezze per il ballottaggio fissato l’11 gennaio. Roberta Gisotti ha intervistato Mauro Ungaro, direttore del settimanale “Voce Isontina”, dell’arcidiocesi di Gorizia: 

D. – Quali carte potranno giocare il socialdemocratico Josipovic e la conservatrice Kitarovic per vincere la partita?

R. – Innanzitutto, il distacco, come è stato sottolineato, è veramente minimo. Sarà quindi interessante vedere gli elettori di Ivan Sincic – questo nuovo leader dell’associazione “Scudo umano” che si è battuta contro gli sfratti e che è riuscito a raccogliere il 16%  – come si posizionerà. Diciamo che la discussione in questo momento è soprattutto legata a quello che potrà essere il futuro di una Croazia che si trova ad avere problemi economici davvero notevoli. Non dimentichiamo che il giornale “Economist” recentemente ha posto la Croazia tra i dieci Paesi con le peggiori economie nel 2014. Quindi, entrambi i candidati al ballottaggio dovranno senz’altro fare leva sulla voglia di riscatto del Paese e sulla possibilità di intravedere un futuro diverso.

D. – Sappiamo che l’assenteismo è stato molto alto, solo la metà degli aventi diritto ha votato. Che tipo di segnale è? E quale ruolo potrà giocare nel ballottaggio?

R. – Va senz’altro detto che il periodo delle elezioni era particolare, natalizio, in una realtà cattolica come quella croata e questo avrà portato un po’ di disaffezione. La sensazione però è che molti elettori siano rimasti alla finestra a guardare come sarebbe andato questo primo turno per esprimersi poi nel secondo. Diciamo che il discorso è ancora aperto, anche se Josipovic ha dalla sua un leggero vantaggio che però, rispetto ai sondaggi, è andato affievolendosi notevolmente.

D. – Che cosa ha scontentato di lui?

R. – Probabilmente, l’appoggio a quella che è l’attuale linea del governo. Josipovic ha fatto balenare l’idea di una seconda Repubblica basata su una riforma costituzionale completa, perché lui ha sempre detto che la Costituzione in vigore pone un freno allo sviluppo del Paese, soprattutto dal punto di vista economico. Evidentemente, però, l’appoggio al governo non è stato completamente "digerito" dagli elettori, che non gli hanno dato quella fiducia che lui si aspettava. Va anche detto, però, che il voto a Sincic appare più che altro un voto di protesta per influire su quelle che possono essere le decisioni di entrambi i candidati. Non dimentichiamo che Sincic con il suo movimento ha sempre dichiarato di battersi non contro la presenza della Croazia nell’Unione Europea, ma contro i "poteri forti" di Bruxelles, che anche in Croazia sono visti come quelli che pongono un freno all’economia del Paese.

D. – Questo voto di protesta che è andato al candidato Sincic sarà comunque preso in considerazione nei prossimi programmi elettorali?

R. – Senz’altro dovrà essere preso in considerazione. La Croazia dopo l‘entrata, nel luglio del 2013, nell’Unione Europa ha passato quello che poteva essere un momento di euforia e ora deve fare i conti con la realtà dell’Unione e quindi con un deficit che Bruxelles chiede di appianare e con delle sofferenze che ricadono sui cittadini. Certamente, questo voto di protesta dice che i croati si sentono profondamente europei, però non possono accettare nella loro vita quotidiana quelle restrizioni che la comunità europea quest’anno soprattutto gli ha imposto e che vedono ancora davanti.

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Termina missione Nato, Afghanistan non ancora pacificato

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La “più lunga guerra nella storia americana arriva a una conclusione responsabile”. Con queste parole il presidente statunitense, Barack Obama, ha salutato la conclusione della missione in Afghanistan dell’Isaf, la "International Security Assistance Force" della Nato che - dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 negli Usa - per 13 anni ha affiancato le forze di Kabul nella lotta contro i talebani. Ieri, nella capitale afghana, si è svolta una cerimonia "blindata" alla presenza del comandante dell’Isaf, il generale americano John Campbell. Dal primo gennaio 2015, dunque, la missione sarà rimpiazzata da una operazione internazionale, con compiti prevalentemente di formazione e assistenza delle forze di sicurezza locali. Ma quale bilancio tracciare di 13 anni di presenza Nato in Afghanistan? L'opinione di Marco Lombardi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e profondo conoscitore dell’area, intervistato da Giada Aquilino

R. – L’"exit strategy" si è modulata in maniera molto diversa rispetto alle ipotesi iniziali. Così è per questa missione, nel senso che 13 lunghi anni hanno visto Nato, Isaf, l’Alleanza e tutti i partecipanti attraversare momenti diversi e alterni di fortuna e di impegno. Quindi tirare un bilancio complessivo dei 13 anni è tanto difficile quanto avere una strategia di uscita omogenea. Certo, si è imparato che l’approccio strategico dell’andare, combattere per imporre un regime diverso dal precedente – magari quello che si intende essere democratico, che però non ha fondamenti culturali laddove si vuole andare ad innestarlo – forse è una strategia che deve essere rivista nel profondo.

D. – La Nato, che in Afghanistan ha perso quasi 3.500 uomini dal 2001, ha ammainato la propria bandiera, ma le azioni dei talebani sono tutt’altro che finite, tant’è che gli stessi talebani si sono dichiarati vincitori sulla Nato. Che rischi ci sono ora?

R. – I talebani non hanno torto se alla fine l’essere vincitori o sconfitti si misurava sull’inserimento di un regime diverso e la sconfitta totale di chi precedeva. Sicuramente, si tratta di un Paese con un rischio diverso: se lo si pensava 13 anni fa come la culla di al Qaeda, oggi sicuramente non lo è più, quindi il rischio è quello di trovarsi oggi in un Centro Asia – anzi non è un rischio, ma una certezza – che è sempre più instabile, perché manca sia una politica interna comune ai Paesi ddell’area, sia una politica esterna globale rispetto a quello che è veramente l’ombelico del mondo per la geopolitica internazionale.

D. – L’Afghanistan ha un nuovo presidente, Ashraf Ghani, ma i disaccordi con il suo rivale Abdullah Abdullah non hanno permesso la formazione di un governo a tutti gli effetti. Cosa pesa su questa intesa mancata?

R. – Un presidente lo si fa facilmente, un governo lo si fa con molta più difficoltà. Quindi, la scommessa è sulla "governance" e non sulla presidenza ed è del tutto aperta, con estrema poca chiarezza in Afghanistan.

D. – A mancare, quindi, è una pacificazione generale. Però, di fatto, di cosa ha bisogno l’Afghanistan visto che a gennaio prende il via una operazione internazionale per l’aiuto e la formazione dell’esercito locale?

R. – Di una forma di riconciliazione nazionale, che i suoi cittadini vogliono, che abbia la possibilità di esprimersi con un metodo di governo che sia accettato dalla popolazione locale. Ricordiamo che l’inno afghano cita 14 gruppi etnici differenti, ci sono circa 600 tribù, le lingue ufficiali sono due, senza contare i dialetti e i codici tribali che sono numerosi. Questo è l’Afghanistan: non è un popolo, ma un insieme di popoli che calpestano la medesima terra. Quindi, il compromesso è proprio su questo: in che modo popolazioni che hanno questa forma di organizzazione e di dimensione culturale possono trovare una modalità di convivenza pacifica? L’Afghanistan da tale punto di vista è un laboratorio interessantissimo – perché la maggior parte del mondo è come l’Afghanistan – per capire quali sono le forme di governo possibili diverse da quelle che ancora conosciamo.

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Ucraina, Medio Oriente, Cuba: il 2014 anno di cambiamenti

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Dal punto di vista geopolitico internazionale, il 2014 è stato un anno che ha segnato cambiamenti significativi. Di nuovi confini geografici o di ridisegnati equilibri strategici, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. – La prima modifica che mi viene in mente è sicuramente la Crimea: il cambio di confine tra Ucraina e la Russia di Putin – azione che probabilmente era lì, sopita da molto tempo – è esplosa in tutta la sua drammaticità nei rapporti difficili insorti tra la Russia e l’Ucraina. Le popolazioni della Crimea lo hanno risolto con un referendum, ma sicuramente la Russia ne ha approfittato per farne uno dei suoi cavalli di battaglia.

D. – Non vogliamo assolutamente mettere sulle cartine geografiche il cosiddetto Stato islamico, perché pensiamo e speriamo che presto si dissolva. Però è un dato di fatto che al momento sia una realtà violenta sul terreno…

R. – E' una realtà violenta sul territorio e sottolineerei proprio la questione del territorio. Al momento, la questione dell’Isis la ritengo più interna al mondo islamico che una chiara e minaccia nei confronti dell’Occidente. Qui è come se ci fosse una quesitone di conquista della supremazia all’interno del mondo islamico. La creazione dello pseudo-Califfato è un problema per gli Stati dell’area e per la supremazia all’interno del mondo islamico. Faccio l’esempio di una strana alleanza che si è venuta a creare tra l’Iran e gli Stati Uniti o, se vogliamo, tra Iran e Arabia Saudita, Paesi che abitualmente non sono dalla stessa parte del tavole nelle trattative, ma che in questo caso ritengono che l‘Isis sia una chiara minaccia alla loro supremazia sia da un punto di vista ideologico che da un punto di vista strategico. A tutto questo possiamo aggiungere il ruolo di uno Stato che negli anni ha modificato moltissimo la sua politica estera: la Turchia, che a un certo punto negli ultimi mesi ha approfittato della presenza dell’Isis per risolvere ulteriormente vecchie questioni come quella dei curdi.

D. – A fine 2014 abbiamo registrato anche il passaggio storico per Cuba nei rapporti con gli Stati Uniti. Dunque, potenzialmente che rivoluzione vediamo?

R. – C’è la possibilità di nuove aperture. Sicuramente, Raoul Castro che tra l’altro – anche questi a volte sono i paradossi della storia – era stato negli anni acerrimo nemico degli Stati Uniti molto più di quanto non lo fosse suo fratello, è colui che ha chiaramente avvicinato Cuba all’Unione Sovietica e che invece adesso si trova a stringere la mano al presidente Obama, a intraprendere un’azione di scambio di prigionieri, di presunte spiee e quindi, finalmente dare l’avvio ad una chiara apertura commerciale e politica tra i due Paesi.

D. – Tra le questioni che rimangono aperte ci sono quelle dell’annosa questione delle isole, se appartengano al Giappone o alla Cina, e poi in Estremo Oriente la questione della Corea…

R. – Sì, queste sono questioni estremamente delicate, soprattutto quella della Corea, una questione irrisolta quella delle Corea del Nord, con "padrini" particolarmente forti che non se la sentono ancora di abbandonare il dittatore della Corea del Nord che coglie ogni occasione possibile per minacciare sia il Giappone che gli Stati Uniti. I "padrini" sono la Cina da una parte e la Russia dall’altra. Quest’ultima già molte volte si è dimostrata abbastanza critica nei confronti del regione di Pyongyang, soltanto che non se la sente di arrivare a una rottura definitiva. La Corea è una minaccia reale perché non ha una struttura politica chiara, gerarchica di difesa o di attacco, ma purtroppo tutto sembra nelle mani di una sola persona. I rapporti tra Cina e Giappone sono complicati sulla questione della sovranità di alcune isole, ma la Cina ha altri pensieri e probabilmente altre direttrici di sviluppo in campo diplomatico che dovrebbero minacciare meno il Giappone.

D. – Su questo scacchiere internazionale, il ruolo dell’Europa?

R. – Penso alla stessa questione tra Ucraina e Russia. A volte, però, quello che noto è la totale assenza di una politica chiara dell’Europa su questioni che molte volte sono lontane da noi, ma molte volte su questioni che sono molto vicine a noi e che costituiscono motivi di crisi per l’Europa stessa.

D. – Forse prima da citare è la quesitone immigrazione…

R. – Esatto, pensavo proprio a questo e soprattutto alla nuova politica dell’Europa nei confronti dell’immigrazione. La nostra Marina aveva la possibilità di arrivare sotto le coste africane e quindi portare un soccorso quasi immediato alle persone che venivano caricate sui barconi. La nuova politica europea – "Triton" – impedisce alla Marina di spingersi oltre le 30 miglia dalle acque territoriali italiane. Quindi, se si deve portare soccorso, lo si fa quando in molti casi è già troppo tardi.

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Freddo, paura per i senzatetto. L'appello di Sant'Egidio

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In Italia è arrivata l'ondata di gelo e già si registra la prima vittima per il freddo: un clochard a Milano. Anche quest’anno, dunque, l’inverno si presenta come il grande nemico dei senzatetto: solo a Roma ben 2500 persone non hanno riparo. Al microfono di Corinna Spirito, Augusto D'Angelo, responsabile dei senza fissa dimora per la Comunità di Sant'Egidio, sottolinea la necessità di passare dalla cultura dell’emergenza alla cultura del progetto: 

R. – È una cosa che ci chiediamo con la Comunità di Sant’Egidio, perché questo problema del freddo e dell’inverno viene sempre affrontato con la parola “emergenza”. E abbiamo scoperto che attraverso l'emergenza si è aperta una crepa attraverso la quale il malaffare, la speculazione sul più debole, si è insinuata anche nelle amministrazioni. Ma noi sappiamo benissimo che l’inverno, il freddo vengono tutti gli anni, quindi penso che ci sia lo spazio per far sì che le azioni da fare per aiutare chi è senza fissa dimora, davanti al gelo e davanti al freddo, debbano essere programmate per tempo e realizzate.

D. – Quest’anno, se pensiamo alla città di Roma, c’è anche un ulteriore intoppo, quello delle indagini per “Mafia Capitale”…

R. – A Roma abbiamo calcolato, anche con i dai Istat, che le persone senza dimora sono 7800, di queste: 1560 trovano rifugio presso parrocchie, associazioni di volontariato, religiosi; 1200 presso dei centri convenzionati con Roma Capitale. Erano previsti 600 posti in più, che dovevano essere aperti all’inizio di dicembre per l’emergenza freddo, che appunto viene tutti gli anni. Le inchieste hanno bloccato quest’apertura. Pare che adesso ne abbiano aperti 300. Debbo dire che l’altra sera due senza fissa dimora hanno telefonato di fronte a me al numero verde e gli hanno detto che non c’erano posti. Questo vuol dire che attualmente si stima che a Roma circa 2500 persone non trovano riparo per la notte e altre 2000 vivono invece in alloggi di fortuna.

D. – Come si deve agire per evitare altri morti?

R. – Io le posso dire l’esperienza di Sant’Egidio che, nella sua dimensione non enorme, ha elaborato un suo modello. Quest’anno, come tutti gli ultimi anni, per il periodo invernale abbiamo aperto un piccolo spazio di accoglienza al centro di Roma, che dispone di un numero limitato di letti. Queste persone vengono accompagnate nei mesi fino alla primavera inoltrata, affinché man mano si superino i problemi che li hanno portati in strada. Alla fine ci siamo resi conto che l’80 per cento delle persone che passano per questa nostra iniziativa non tornano più in strada. Alla fine del periodo, infatti, rimuovendo le cause delle difficoltà, che qualche volta sono non avere assolutamente un lavoro - e allora trovando un piccolo lavoro - non avere un riparo - e allora trovando una stanza o un’altra soluzione - si riesce a far sì che l’essere senza fissa dimora non sia una condizione senza ritorno, ma possa essere soltanto una condizione di un periodo della propria vita. Per far questo ci vuole un’esigenza importante, che è quella di passare dalla cultura dell’emergenza alla cultura del progetto, cioè non far sì che si dia soltanto un tetto per il periodo invernale e poi non ci si pensi più, ma far sì che il momento di accoglienza invernale diventi il momento di rilancio delle vite delle persone più in difficoltà.

D. – E per le persone per cui invece, purtroppo, non ci sono letti, come si muove la comunità di Sant’Egidio?

R. – Noi, in questi giorni, stiamo incrementando la distribuzione di coperte. I nostri gruppi sparsi per le città vanno a trovare le persone, che noi andiamo a visitare settimanalmente per controllare come stanno. La sera del 31, poi, staremo con i nostri amici, in tutte le stazioni e in tutti i luoghi dove loro si trovano, per portare una cena calda, un gesto di vicinanza, per stappare con loro lo spumante della notte di Capodanno e anche lì portare nuovamente coperte, guanti, cose che possono servire per ripararsi dal freddo.

D. – Il singolo cittadino come può comportarsi invece per aiutare?

R. – Ieri ho ricevuto un sms di una mia collega di lavoro, la quale mi ha detto: “Questa sera, con i miei vicini di casa, del mio condominio, abbiamo deciso di portare una cena calda e delle coperte alle persone che stanno per strada e che vivono vicino a casa nostra”. Ecco, questa è una cosa che possono fare tutti; e, a mio giudizio, rientra anche in quella dimensione che ha indicato Papa Francesco, che è rivolta ai cristiani, ma è rivolta anche a tutti gli uomini di buona volontà, e cioè che di fronte ai poveri in questa stagione bisogna far provare la tenerezza e la consolazione di Dio; a tutti quelli che si incontrano. E i più deboli sono quelli da cui bisogna cominciare.

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In 2.500 fattorie sociali, al lavoro persone con disabilità

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Sono 2.500 le "fattorie sociali" in Italia, cioè aziende agricole che offrono un’opportunità di lavoro a persone con disabilità. Si coltivano frutteti, si curano le piante e si confeziona vino. L’azienda  agricola “La costa”, in provincia di Vicenza, ha allestito anche una mostra fotografica per sensibilizzare sul tema dell’inclusione. Dell'impegno ci parla, al microfono di Maria Cristina Montagnaro, il fondatore della fattoria sociale “La costa”, Osvaldo Tonello

R. – Adesso, in questa fattoria sociale di una quindicina di ettari abbiamo un vigneto e un uliveto. Quando ad esempio facciamo le bottiglie, mettiamo le etichette personalizzate e ogni bottiglia ha un’etichetta fatta dai ragazzi.

D. – Quanti ragazzi ospitate?

R. – La struttura è fatta per ospitarne una quindicina.

D. – Come aiutate la crescita di questi ragazzi?

R. – Dando a questi ragazzi un futuro, cioè facendoli sentire giusti, facendoli sentire importanti, come gli altri ragazzi.

D. – Quante bottiglie di vino biologico producono questi ragazzi con disabilità?

R. – Facciamo dalle 15 alle 18 mila bottiglie. Durante il giorno ci aiutano nel vigneto, nell’uliveto e nell’orto.

D. – Una mostra fotografica per aiutare i ragazzi con disabilità…

R. – E’ venuto un fotografo importante e assieme a lui abbiamo messo in piedi questa mostra fotografica, che partirà sia in Italia che in Inghilterra, “Every bot help”, cioè ogni bottiglia aiuta.

D. – Quali sono le caratteristiche della fattoria sociale?

R. – Lavorare nei campi, dare dignità a questi ragazzi e fare un prodotto che sia vendibile. E’ un anno che la fattoria sociale è partita e con la famiglia abbiamo messo in piedi un’associazione di ragazzi. Insegniamo loro la comunicazione facilitata, insegniamo a scrivere;,vanno a cavallo, fanno la" pet therapy".

D. – Qual è il messaggio che volete dare ai ragazzi con disabilità e agli adulti con la vostra iniziativa?

R. – La vita va avanti, non bisogna arrendersi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Continuano le ricerche dell'aereo AirAsia scomparso

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Le ricerche sull'aereo AirAsia QZ8501 continuano, ma senza risultato. Bambang Soelistyo, capo dell'ufficio per la ricerca e il recupero ha dichiarato che in base alle informazioni, il velivolo potrebbe trovarsi in fondo al Mare di Java. Nel primo pomeriggio un aereo australiano ha rilevato alcuni oggetti in mare ma - secondo le autorità - non si tratterebbero dell'aereo.

Il dolore dei familiari
I familiari di molte delle probabili vittime - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono radunate nell'aeroporto di Surabaya e in quello di Singapore, aspettando notizie nel dolore. AirAsia ha aperto un numero di emergenza per avere informazioni su familiari o amici. Il numero è +622 129 850 801. Ieri all'Angelus, Papa Francesco ha espresso la sua vicinanza e affetto ai familiari delle vittime del disastro e a quanti sono impegnati nelle operazioni di soccorso.

Le ricerche
L'aereo AirAsia, un Airbus 320-200, era partito ieri mattina da Surabaya e doveva raggiungere Singapore. A un certo punto il pilota ha inviato un messaggio radio chiedendo di poter elevarsi a 11mila metri per evitare un denso cumulo di nuvole. Subito dopo l'aereo è scomparso dai radar. La ricerca del velivolo è andata avanti per tutta la giornata di ieri. Nella notte solo alcune navi hanno continuato a lavorare. Alle prime luci dell'alba tutte le navi e gli aerei di ricognizione hanno ripreso la ricerca.

162 persone a bordo
Nell'aereo scomparso vi erano 155 passeggeri: 137 adulti, 17 bambini e un neonato. La maggior parte di loro sono indonesiani, ma vi sono anche un britannico, un malaysiano, uno di Singapore e tre sudcoreani. L'equipaggio era formato da due piloti e cinque persone di servizio, tutti indonesiani eccetto un francese (il co-pilota). L'AirAsia è una compagnia low-cost con base in Malaysia. Il QZ8501 aveva solo sei anni e aveva volato per 26mila ore. Aveva subito un controllo tecnico lo scorso 16 dicembre.

Il 2014 anno difficile per gli aerei malesi
Nel marzo scorso un aereo della Malaysia Airlines con 239 passeggeri a bordo è scomparso durante un volo da Kuala Lumpur a Pechino. Un altro aereo della Malaysia Airlines è stato colpito in volo e precipitato mentre volava sull'Ucraina, uccidendo tutte le 298 persone a bordo. (R.P.)

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Convogli di aiuti iraniani destinati ai cristiani iracheni

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Convogli di aiuti iraniani attendono il permesso d'ingresso da parte del governo di Baghdad per entrare in territorio iracheno e essere distribuiti anche tra le comunità cristiane che hanno subito la pulizia etnico-religiosa imposta nel nord del Paese dai jihadisti de sedicente Stato Islamico (Is). Lo riferisce alle agenzie di stampa iraniane il parlamentare cristiano Yonatan Betkolia, rappresentante delle comunità assire e caldee al parlamento della Repubblica Islamica dell'Iran.

Aiuti per i cristiani di Erbil
Betkolia aggiunge che l'Iran ha già inviato aiuti umanitari alle minoranze religiose brutalizzate dai miliziani dell'Is, fin dal primo esplodere dell'emergenza. Adesso sono pronti a partire convogli umanitari con cibo, tende, vestiti e materiale medico-sanitario destinati anche ai cristiani che hanno trovato rifugio a Erbil e in altre aree del Kurdistan iracheno. Funzionari iraniani operanti nell'area - riferisce Betkolia - hanno già preso contatto con le locali comunità cristiane per coordinare la distribuzione degli aiuti.

Auguri dell'Iran per il Natale
Prima di Natale, l'ambasciatore iraniano a Amman Mojtaba Ferdowsjpour aveva visitato l'arcivescovo Maroun Lahham – vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato di Gerusalemme dei Latini – per esprimere a lui e a tutti i cristiani le proprie felicitazioni in occasione delle festività natalizie. Il diplomatico iraniano, in quell'occasione, aveva ribadito che “la Repubblica Islamica dell'Iran è pronta a assistere i cristiani dell'Iraq e della Siria per alleviare le loro sofferenze e i loro affanni”.

Ruolo dell'Iran nella crisi siro-irachena
“L'Iran” dichiara all'agenzia Fides l'Arcivescovo Lahham “ha assunto indubbiamente in Medio Oriente un ruolo cruciale. E' in contatto permanente con la Santa Sede, con la quale condivide dialoghi molto importanti. Speriamo che il contributo dell'Iran abbia effetti positivi nella ricerca di soluzioni alle crisi che tormentano le popolazioni dell'Iraq e della Siria". (G.V.)

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Premier Renzi: nel 2015 l'Italia deve tornare a correre

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"Il 2015 deve essere l'anno della ripartenza per l'Italia. Il Paese deve tornare a correre, ma i cambiamenti non arrivano con uno schiocco delle dita". Il premier Renzi - nel corso della conferenza stampa di fine anno che ha tenuto questa mattina - cerca di essere ottimista, a dispetto delle previsioni che indicano in sostanza una stagnazione per il prossimo anno. Dunque le riforme sono fondamentali, perché creano più lavoro e attraggono capitali, ma presto bisognerà cambiare anche le norme europee. Dunque più flessibilità, meno vincoli, anche per quanto riguarda gli investimenti.

La difesa della Jobs Act
Il cambiamento dell'Italia però, secondo il premier, passa anche attraverso il Jobs Act e l'inquilino di Palazzo Chigi afferma che è stato lui a togliere le norme sulla Pubblica Amministrazione dal provvedimento. Se ne parlerà nella riforma Madia. Ma, precisa Renzi, va licenziato chi si assenta ingiustamente, chi ruba. Non ci sarà comunque un prelievo sulle pensioni più alte.

Sul post Napolitano nessuno stallo
Sulla mancata elezione del Presidente della repubblica in Grecia, Renzi afferma di non temere un contagio dell'Italia sul fronte economico, e sottolinea di voler competere di più con Berlino che  con Atene. Sul post Napolitano, il Presidente del Consiglio precisa in modo secco che ci si penserà a tempo debito e non teme una situazione di stallo. Un ringraziamento poi ai soccorritori di chi è rimasto bloccato sul traghetto greco in Adriatico. Per Renzi è stata evitata un'ecatombe. (A cura di Alessandro Guarasci)

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Nigeria: Natale degli sfollati a Maiduguri tra speranze e paura

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Un Natale sotto assedio con gli sfollati sfuggiti alle violenze di Boko Haram. È quanto si è vissuto a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, nella Nigeria settentrionale, nelle cui strade le autorità hanno vietato dal 25 al 28 dicembre la circolazione degli automezzi per scongiurare eventuali attentati suicidi.

Affollata Messa di Natale
Nonostante il timore di attacchi terroristici “i fedeli sono accorsi numerosi alla Messa di Natale, la maggior parte dei quali sono sfollati dalle aree della diocesi comprese nello Stato di Adamawa (Pulka, Madagali, Gulak, MichiKa, Mubi) che hanno espresso la loro fede in maniera eloquente” riferisce all’agenzia Fides padre Gideon Obasogie, direttore delle Comunicazioni della diocesi di Maiduguri.

Gli sfollati non possono celebrare il Natale
Buona parte dei 5.000 sfollati accolti a Maiduguri proviene infatti dalle aree dello Stato di Adamawa cadute sotto il controllo di Boko Haram. Queste persone, ricorda padre Obasogie “non hanno casa, non possono celebrare il Natale come al solito con i loro parenti e amici, o effettuare la tradizionale riunione annuale di famiglia, e sono costretti a vivere in uno stato di disperazione”.

Il Messaggio del vescovo di Maiduguri
Il messaggio di Natale del vescovo di Maiduguri. mons. Oliver Dashe Doeme “è stato di grande consolazione, ricordando che i loro disperati cuori diventano fondamento di una grande beatitudine perché i loro nomi sono scritti nel libro della vita in paradiso anche se stanno soffrendo sulla terra” riporta il direttore delle Comunicazioni sociali della diocesi di Maiduguri.

Natale celebrato con gioia
Nonostante le carenze nella sicurezza (anche perché si sono diffuse voci su terroristi suicidi travestiti da suore ndr.) il Natale è stato celebrato con grande gioia e fede nella città di Maiduguri” conclude padre Obasogie. Speriamo e preghiamo che le prossime elezioni nazionali avvengano in un clima pacifico e che la minaccia del terrorismo sia presto una cosa del passato”. (L.M.)

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Egitto: rafforzate misure di sicurezza per le festività copte

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Un piano straordinario per garantire sicurezza alle imminenti celebrazioni natalizie dei cristiani copti è stato messo a punto nei dettagli in una riunione dei responsabili delle forze di polizia e degli apparati di sicurezza, convocata ieri pomeriggio dal ministro dell'interno egiziano Mohammed Ibrahim.

Natale senza incidenti
Il ministro ha elogiato l'impegno profuso dalle forze dell'ordine per garantire tranquillità alle comunità cristiane che hanno già celebrato il Natale il 25 dicembre, e ha preso visione delle misure che saranno messe in campo per monitorare il territorio e sventare azioni terroristiche, aggressioni o intimidazioni a danno dei cristiani copti che celebrano il Natale il prossimo 7 gennaio.

Cosa prevede il Piano
Il piano prevede la distribuzione di pattuglie in prossimità dei luoghi di culto e in alcuni casi il blocco del traffico nelle aree intorno alle chiese. Il ministro Ibrahim ha ricordato che la collaborazione dei cittadini con le forze di polizia è un fattore decisivo per garantire successo a qualsiasi piano di sicurezza.

Il ricordo dell'attentato alla Chiesa dei Santi
E' ancora viva in Egitto la memoria dell'attentato consumato ad Alessandria d'Egitto la notte di Capodanno del 2011, quando l'esplosione di un'auto-bomba davanti alla chiesa dei Santi (Al-Qiddissine) provocò decine di morti. Successive indagini attribuirono quell'attentato a apparati legati al declinante regime di Hosni Mubarak. Intanto, la Lega dei figli di Wasti ha insignito con delle benemerenze quattro musulmani che alla fine di novembre avevano dato un contributo decisivo per neutralizzare un attentato organizzato da cellule islamiste contro la chiesa di Sant'Abanoub, nella città di al-Wasti. (G.V.)

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Pakistan. Comitato antiterrorismo senza minoranze religiose

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Le minoranze religiose sono prese di mira da gruppi terroristi ma non c’è nemmeno un membro delle comunità religiose di minoranza (cristiano o indù) nel Comitato formato dal Primo ministro per mettere in atto il Piano di azione nazionale contro il terrorismo: è quanto notano i leader cristiani e indù dopo che il Comitato, presieduto dal Primo Ministro Nawaz Sharif, ha tenuto la sua prima riunione a Islamabad.

Attacchi contro minoranze minaccia la sicurezza interna
I leader delle minoranze religiose ricordano, in un nota inviata all'agenzia Fides, che “attacchi contro le minoranze, conversioni forzate e attentati ai luoghi di culto sono pericolose minacce alla sicurezza interna”. Per questo notano con rammarico la mancata inclusione di rappresentanti delle comunità nel neonato Comitato.

Tolleranza zero verso il terrorismo
Il Comitato, guidato dal Presidente del Consiglio e composto da diversi ministri e leader politici, curerà la messa in opera del Piano d'azione, definito “un dovere nazionale”. La parola d’ordine è “tolleranza zero verso il terrorismo”. Il Premier ha dato il compito al Procuratore generale di tenere consultazioni con i leader politici per apportare eventuali modifiche legislative e costituzionali necessarie per l’attuazione del piano. “Il Pakistan non sopravviverà se il terrorismo non sarà sradicato”, ha detto Sharif.

Una risposta alla strage di Peshawar
Il Paese sta rispondendo in tal modo alla strage compiuta dai talebani pakistani a Peshawar in una scuola militare che ha fatto 148 morti, per la maggior parte bambini. Un'altra misura adottata è la reintroduzione della pena capitale per i terroristi in carcere: sono circa 500 le esecuzioni annunciate dopo la strage a Peshawar. La loro esecuzione era stata sospesa perché Islamabad, pur non avendo mai abolito formalmente la pena di morte dal Codice penale, aveva però adottato una moratoria a partire dal 2008. (P.A.)

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Vescovi svizzeri ai parlamentari: combattere nuove schiavitù

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L’appello del Papa a combattere le nuove schiavitù di cui ancora oggi sono vittime milioni di persone nel mondo riguarda anche la Svizzera. E’ il monito del presidente della Conferenza episcopale svizzera (Ces), mons. Markus Büchel, che, in una lettera aperta indirizzata ai parlamentari federali, richiama le responsabilità del Paese nella lotta contro tutte le forme di sfruttamento dell’uomo sull’uomo “per non essere più schiavi, ma fratelli”, come esorta il messaggio di Papa Francesco per la 48.ma Giornata mondiale della pace.

Siamo tutti chiamati ad assumerci le nostre responsabilità
Facendo eco alle parole del Santo Padre, il vescovo di San Gallo ricorda in particolare “i lavoratori e lavoratrici sfruttati in condizioni disumane; i migranti senza futuro; le donne e i bambini costretti alla prostituzione; le persone i cui organi sono venduti come semplice merce e i giovani arruolati con la forza dagli eserciti regolari o da gruppi terroristi e costretti ad uccidere in numerosi conflitti armati”.

“Il destino di questi fratelli e sorelle – sottolinea la lettera - riguarda anche noi”. Come afferma infatti il Papa, siamo tutti “chiamati ad assumerci le nostre responsabilità a favore di sistemi economici e commerciali giusti, sia come consumatori, che come imprenditori e come politici”. In particolare, il Santo Padre “chiama in causa le legislazioni nazionali sulle migrazioni, sul lavoro, sulle adozioni, sulla delocalizzazione delle imprese e sulla lotta contro la corruzione, ma anche il ruolo fondamentale delle organizzazioni intergovernative e internazionali che rendono possibile la collaborazione su questo fronte a diversi livelli”.

Rispettare gli accordi internazionali sottoscritti dalla Svizzera
Di qui l’appello rivolto dal presidente dei vescovi ai parlamentari a fare rispettare gli accordi internazionali sottoscritti dalla Svizzera, anche alla luce delle ferme parole rivolte da Papa Francesco alle istituzioni europee a Strasburgo. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 363

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.