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Sommario del 22/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: serve esame di coscienza per vincere malattie curiali

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La Curia Romana sia “un piccolo modello della Chiesa”. E’ l’auspicio che Papa Francesco ha rivolto ai suoi più stretti collaboratori in Vaticano, ricevuti nella Sala Clementina per gli auguri di Natale. Il Pontefice ha enumerato i 15 mali curiali che, ha detto, richiedono una cura paziente e perseverante per essere guariti. Tra le malattie indicate dal Papa: la rivalità e la vanagloria, il mal coordinamento e l’alzheimer spirituale e ancora il funzionalismo e la malattia dei circoli chiusi. L’indirizzo d’omaggio è stato rivolto dal cardinale decano Angelo Sodano. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Non si può arrivare al Natale senza aver fatto un esame di coscienza. Questo, annota Francesco, vale per tutti i fedeli e ancor più deve valere per chi, come avviene nella Curia Romana, vive a stretto contatto con la Sede Apostolica. E' bello, afferma in apertura del discorso, pensare alla Curia Romana come “a un piccolo modello della Chiesa” cioè a un corpo “sano” e “vivo”, armoniosamente unito a Cristo.

“Essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia - come la Chiesa - non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un impiegatista): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato lontano”.

Un catalogo delle malattie curiali
Lo Spirito di Dio, prosegue, “unisce e lo spirito del maligno divide”. Di qui l’origine di quel “catalogo delle malattie” curiali che Papa Francesco enumera per accostarsi bene al Sacramento della Riconciliazione. Il primo dei mali è “la malattia del sentirsi immortale, immune o addirittura indispensabile”. Quel “complesso degli eletti”, prosegue, che “deriva spesso dalla patologia del potere”:

“Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr. Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti”.

Martalismo e “Alzheimer spirituale”
C’è poi la malattia del “martalismo”, “dell’eccessiva operosità” che, come accade a Santa Marta, ci fa trascurare Gesù, “la parte migliore”. Grave anche la “malattia dell’impietrimento mentale e spirituale” che, spiega, ci fa “perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono”. Quindi si è soffermato sull’“eccessiva pianificazione e del funzionalismo”:

“Quando l'apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscono, diventando così un contabile o un commercialista”.

“Preparare tutto bene – sottolinea – è necessario ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione”. Non si può “addomesticare” lo Spirito Santo, ha aggiunto a braccio. Francesco critica così la malattia del “mal coordinamento” e “dell’Alzheimer spirituale”, ossia di chi, “avendo perso la memoria” dell’incontro con il Signore, diventa “sempre di più schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani”.

Rivalità e vanagloria
Francesco torna poi a dire “no” alla “malattia della rivalità e della vanagloria, quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita”, questi – ripete con San Paolo – sono “i nemici della Croce di Cristo”. Il Papa si sofferma dunque su quella che definisce la “malattia della schizofrenia esistenziale”:

“E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete”.

Il terrorismo delle chiacchiere
“La conversione – è il suo avvertimento – è al quanto urgente e indispensabile per questa grave malattia”. Quindi, torna a stigmatizzare le chiacchiere, la mormorazione e i pettegolezzi. “E’ la malattie delle persone vigliacche – afferma il Papa – che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle”. E ribadisce: “Guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere”. Ancora, la denuncia della “malattia di divinizzare i capi” di chi corteggia i superiori “per ottenere la loro benevolenza”:

“Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr. Mt 23:8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo”.

Al tempo stesso, prosegue, questa “malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione”.

L’aiuto del sano umorismo
C’è poi la malattia dell’indifferenza verso gli altri e quella della “faccia funerea”, ovvero delle “persone burbere e arcigne” con gli altri. In realtà, rileva, la “severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé”:

“Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di S. Thomas More”.

Traslochi e circoli chiusi
Da evitare anche la “malattia dell’accumulare”. Qualcosa che succede, spiega, “quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale ne suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro”:

“Un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la cavalleria leggera della Chiesa. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: questa sarebbe la cavalleria leggera della Chiesa?! I nostri traslochi sono un segno di questa malattia”.

Malattia, avverte il Papa, sono anche “i circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso”. Un male che “con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro” e causa “tanto male, scandali”. Il Papa parla di “autodistruzione”, di quel “fuoco amico dei commilitoni” che è “il pericolo più subdolo”. Infine, il male del “profitto mondano, degli esibizionismi” quando l’apostolo “trasforma il suo sevizio in potere”. E’ la malattia di chi cerca “insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo” si è capaci di “screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste”.

Lo Spirito Santo aiuta la guarigione
Questi mali, è la riflessione del Papa, sono un “pericolo per ogni cristiano” e “possono colpire sia livello individuale sia comunitario”. E sottolinea che solo lo Spirito Santo può “guarire ogni infermità”, e sostenere “ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione”:

“La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura”.

Il Papa, che ha chiesto a tutti di pregare la Vergine Maria per essere sostenuti nel sanare “le ferite del peccato” e affinché “la Chiesa e la Curia” siano “sane e risanatrici” ha voluto concludere con un pensiero sul ruolo dei sacerdoti:

“Una volta ho letto che: i sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma anche molto vera perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che cade a tutto il corpo della Chiesa”.

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Il Papa a dipendenti vaticani: Natale, occasione per curare ogni ferita

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Dopo l'incontro con la Curia, Papa Francesco si è recato nell'Aula Paolo VI per rivolgere gli auguri natalizi ai dipendenti vaticani e ai loro familiari. Prendendo spunto dall’etimologia della parola “Curia”, ha esortato a trasformare il Natale “in una vera occasione per ‘curare’ ogni ferita e per “curarsi” da ogni mancanza. Il servizio di Sergio Centofanti

Papa Francesco ha voluto incontrare e salutare anche quanti lavorano senza farsi vedere in Vaticano, i cosiddetti invisibili: i giardinieri, gli addetti alle pulizie, gli uscieri. La prima esortazione è stata quella di curare la vita spirituale, il rapporto con Dio, perché “è la colonna vertebrale di tutto ciò che facciamo e di tutto ciò che siamo. Un cristiano che non si nutre con la preghiera, i Sacramenti e la Parola di Dio, inevitabilmente si appassisce e si secca”.

Occorre poi soprattutto - ha detto - "curare la vita famigliare dando ai figli e ai propri cari, “non solo denaro, ma soprattutto tempo, attenzione e amore”:

“La famiglia è un tesoro, i figli sono un tesoro. Una domanda che i genitori giovani possono farsi: ‘Io ho tempo per giocare con i miei figli, o sempre sono impegnato, impegnata e non ho tempo per i figli?’. Lascio la domanda. Giocare con i figli: è tanto bello. E questo è seminare futuro”.

Curare i rapporti con gli altri, “trasformando la fede in vita e le parole in opere buone, specialmente verso i più bisognosi”. Curare il parlare “purificando la lingua dalle parole offensive, dalle volgarità e dal frasario di decadenza mondana”. “Curare le ferite del cuore con l’olio del perdono, perdonando le persone che ci hanno ferito e medicando le ferite che abbiamo procurato agli altri”.

E ancora, curare il lavoro “compiendolo con entusiasmo, con umiltà, con competenza, con passione, con animo che sa ringraziare il Signore”. Curarsi poi “dall’invidia, dalla concupiscenza, dall’odio e dai sentimenti negativi che divorano la nostra pace interiore e ci trasformano in persone distrutte e distruttive”.

C’ è poi l’esortazione a “curarsi dal rancore che ci porta alla vendetta e dalla pigrizia che ci porta all’eutanasia essenziale, dal puntare il dito che ci porta alla superbia e dal lamentarsi continuamente che ci porta alla disperazione”:

“Io so che alcune volte, per conservare il lavoro, si sparla di qualcuno, per difendersi. Io capisco queste situazioni, ma la strada non finisce bene. Alla fine, saremo tutti distrutti, tra noi, no?, e questo no, non serve. Ma, chiedere al Signore la saggezza di saper mordersi la lingua a tempo, eh? per non dire parole ingiuriose, che dopo ti lasciano la bocca amara”.

Il Papa invita a “curare i fratelli deboli: ho visto tanti begli esempi tra di voi, in questo, e vi ringrazio e complimenti! Cioè, curare gli anziani, i malati, gli affamati, i senzatetto e gli stranieri perché su questo saremo giudicati”.

Infine, “curare che il Santo Natale non sia mai una festa del consumismo commerciale, dell’apparenza o dei regali inutili, oppure degli sprechi superflui, ma che sia la festa della gioia di accogliere il Signore nel presepe e nel cuore”. “Immaginiamo – ha detto - come cambierebbe il nostro mondo se ognuno di noi iniziasse subito, e qui, a curarsi seriamente e a curare generosamente il proprio rapporto con Dio e con il prossimo”, “se guardassimo all’altro, specialmente al più bisognoso, con gli occhi della bontà e della tenerezza, come Dio ci guarda, ci aspetta e ci perdona; se trovassimo nell’umiltà la nostra forza e il nostro tesoro! E tante volte abbiamo paura della tenerezza, abbiamo paura dell’umiltà!”:

Questo è il vero Natale: la festa della povertà di Dio che annientò se stesso prendendo la natura di schiavo (cfr. Fil 2, 6); di Dio che si mette a servire a tavola (cfr. Mt 22, 27); di Dio che si nasconde agli intelligenti e ai sapienti e che si rivela ai piccoli, ai semplici e ai poveri (cfr. Mt 11, 25); ‘del Figlio dell'uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti’ (Mc 10, 45)”.

“Ma è soprattutto – ha osservato - la festa della Pace portata sulla terra dal bambino Gesù”:

“La pace che ha bisogno del nostro entusiasmo, della nostra cura, per riscaldare i cuore gelidi, per incoraggiare le anime sfiduciate e per illuminare gli occhi spenti con la luce del volto di Gesù!”.

Quindi ha concluso:

“Non voglio finire queste parole di auguri senza chiedervi perdono per le mancanze, mie e dei collaboratori, e anche per alcuni scandali, che fanno tanto male. Perdonatemi. Buon Natale e, per favore, pregate per me!”.

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India: Papa Francesco crea la diocesi di Kuzhithurai

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In India, Papa Francesco ha creato la nuova diocesi di Kuzhithurai, per dismembramento della diocesi di Kottar, rendendola suffraganea della sede metropolitana di Madurai, e ha nominato come primo vescovo padre Jerome Dhas Varuvel, salesiano, finora maestro dei novizi. La nuova diocesi ha una superficie di 915 kmq, con 855 mila abitanti, dei quali 264.222 cattolici. Le parrocchie sono 100, 123 “Mission Stations”, 101 sacerdoti diocesani, 30 sacerdoti religiosi, 2 fratelli religios, 267 Religiose e 73 seminaristi. La cattedrale sarà la chiesa con sede a Thirithuvapuram, Kuzhithurai, dedicata alla Santissima Trinità. Mons. Dhas Varuvel è nato il 21 ottobre 1951 a Paduvoor, Diocesi di Kottar. Ha frequentato la Carmel Secondary School di Nagercoil. Dal 1967 al 1968 ha seguito il Corso Pre-universitario presso lo Scott Christian College di Nagercoil. Dal 1968 al 1970 ha frequentato il Seminario Minore presso il St. Aloysius Seminary di Nagercoil. Ha studiato Filosofia presso il Sacred Heart Seminary di Poonamallee (1970-1973). Nel 1976 decise di entrare tra i Salesiani di Don Bosco. Dopo aver completato il pre-noviziato (1976-1977) e il noviziato (1977-1978), ha emesso la professione religiosa temporanea il 24 maggio 1978. Il 24 maggio 1981 ha emesso i voti perpetui. Dal 1981 al 1986 ha studiato Teologia presso i Salesiani a Roma. Ha un Baccellierato in Economia e in Teologia e una Licenza in Pedagogia presso la Pontificia Università Salesiana in Roma. È stato ordinato sacerdote da San Giovanni Paolo II il 2 giugno 1985. Appartiene alla Provincia Salesiana di Chennai, Tamil Nadu. Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1985-1986: Completamento degli studi presso la Pontificia Università Salesiana (Roma); 1986-1990: Vice-Rettore del Noviziato in Vellakinar; 1990-1992: Rettore del Pre-Noviziato in Tirupattur; 1992-1994: Rettore del Pre-Noviziato in Maiyam; 1994-1996: Decano dello Studentato Salesiano di Trichy;

1996-2001: Parroco-Rettore della Con-Cattedrale di Madras-Mylapore; 1999-2003: Consigliere Provinciale; 2001-2002: Direttore di Kalvi Solai di Tirupattur; 2002-2003: Direttore di Kalvi Solai di Ennore; 2003-2010: Direttore del Mount Don Bosco in Thalavadi; dal 2010: Maestro dei Novizi in Yeallagiri Hills, Diocesi di Vellore.

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Card. Sarr lascia, mons. Ndiaye nuovo arcivescovo di Dakar

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In Senegal, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Dakar presentata per raggiunti limiti di età dal cardinale Théodore-Adrien Sarr. Al suo posto, Francesco ha nominato mons. Benjamin Ndiaye, finora vescovo di Kaolack.

Negli Stati Uniti, Papa Francesco ha nominato vescovo di Burlington mons. Christopher J. Coyne, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Indianapolis. Il presule è nato il 17 giugno 1958 a Woburn (Massachusetts). Ha frequentato la “University of Lowell” dove ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia e il “Saint John Seminary” di Brighton dove ha conseguito il “Master of Divinity” nel 1990. Ha ottenuto la Licenza (1990-1993) e il Dottorato (1993-1995) in Sacra Liturgia presso il Pontificio Ateneo San Anselmo a Roma. È stato ordinato sacerdote il 7 giugno 1986 per l’arcidiocesi di Boston. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vice Parroco della “Saint Mary of the Hills Parish” a Milton (1986-1989); Professore presso il “Saint John Seminary” (1995-2002); Direttore diocesano dell’Ufficio Liturgico (1999-2002); “Cabinet Secretary for Public Relations and Spokesperson” dell’arcidiocesi di Boston (2002-2005); Parroco della “Our Lady Help of Christians Parish” a Newton (2005-2006); Parroco della “Saint Margaret Mary Parish” a Westwood (2006-2011). Nominato Vescovo titolare di Mopta ed Ausiliare di Indianapolis il 14 gennaio 2011, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 2 marzo successivo. È stato Amministratore Apostolico dell’arcidiocesi di Indianapolis dal 2011 al 2012. In seno alla Conferenza Episcopale è stato recentemente eletto Presidente del “Committee on Communications” ed è Membro del “Committee on Evangelization and Catechesis” e del “Subcommittee on Certification for Ecclesial Ministry and Service”. Oltre l’inglese, parla l’italiano.

In Svizzera, il Papa ha accettato la rinuncia di mons. Martin Gächter all’ufficio di ausiliare della diocesi di Basel, presentata per raggiunti limiti di età.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un piccolo modello della Chiesa: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso di Papa Francesco alla Curia romana.

Vite alla deriva nel Mediterraneo: tratti in salvo settecento migranti abbandonati in mare aperto dagli scafisti.

Un Natale di pace: il cardinale Gualtiero Bassetti ricorda la preghiera di Benedetto XV.

Giocando con il nemico: Andrea Possieri sulla tregua improvvisa di fine dicembre 1914.

Brace ardente sull’altare: Manuel Nin illustra la Natività del Signore nei poemi di Efrem il Siro.

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Oggi in Primo Piano



Obama ammette l’ipotesi lista nera per Pyongyang

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Nel braccio di ferro tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, Obama non nega più l’ipotesi di rimettere Pyongyang nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo ma modera i toni, mentre dall’altra parte arrivano vere e proprie minacce. Intanto la Corea del Sud denuncia tentativi di violazioni informatiche anche ai propri siti nucleari e la Cina interviene con parole di condanna per gli hacker. Ci riferisce nel servizio, Fausta Speranza: 

"Risponderemo in modo proporzionato, ma si è trattato di un atto di vandalismo cibernetico, non di un atto di guerra". Con queste parole il presidente Usa sembra ridimensionare la tensione scoppiata dopo l’attacco hacker alla Sony Pictures, che l’FBI attribuisce al regime coreano. In ogni caso, Obama ammette ora che Washington può tornare a considerare la Corea del Nord nella lista nera dalla quale era stata cancellata per facilitare i colloqui a sei sul nucleare coreano. Parliamo di 6 anni fa. Da parte sua, Pyongyang, nega responsabilità ma alza invece il tono: minaccia un confronto con gli Usa, in tutte le zone di conflitto, compresi gli spazi di cyber-guerra. Di interessante c’è che si fa sentire la Cina, alleato storico della Corea del Nord: Pechino condanna ufficialmente proprio in queste ore tutte le forme di cyber attacchi anche se non nomina la Sony e la Corea del Nord.  Resta da dire della polemica interna agli Stati Uniti: dopo l’attacco informatico, la Sony Pictures ha bloccato l'uscita di 'The Interview', il film satira sul leader Kim Jong un,. E qualcuno parla di autocensura. 

Per capire la posizione della Corea del Nord e il nuovo ruolo della Cina, Fausta Speranza ha intervistato la professoressa Rosella Ideo, studiosa di storia politica e diplomatica dell'Asia Orientale: 

R. – Si tratta un po’ di una  “war of words” - una guerra di parole - come dicono negli Stati Uniti. Cioè a dire che la Corea del Nord ha negato di essere dietro a questo attacco al film, perché qui si tratta di questo famoso “The interview”, il film americano che si prendeva gioco del leader Kim Jong Un: la Sony che l’ha prodotto ha avuto questo hackeraggio violento. Quindi, la Corea del Nord ha negato e noi non sappiamo esattamente cosa sia successo. Sappiamo soltanto che gli Stati Uniti stanno passando dalla politica che chiamavano “la pazienza strategica” a una politica di pressioni sempre maggiori. In questo aiutati anche dalla Cina, che si è dichiarata “contrariata” da questo atteggiamento eventuale dei nordcoreani.

D. – Prof.ssa Ideo, è l’ennesimo passo di distanziamento della Cina dalla Corea del Nord?

R. – Da quando, esattamente un anno fa, è stato giustiziato lo zio di Kim Jong Un, nel giro di pochi giorni – sorprendendo veramente tutti i cinesi stessi, i sudcoreani e quindi tutti i servizi segreti di questo mondo –  la Cina ha indurito decisamente la sua posizione nei confronti della Corea del Nord, tanto è vero che risulta che abbia assolutamente ridotto o negato addirittura quelli che sono i prodotti energetici, che servono alla Corea del Nord per sopravvivere. Da un anno, praticamente, questi rifornimenti non arrivano, etc.. Direi che c’è stato un indurimento della posizione cinese nei confronti di questo alleato che ha sostenuto per un ventennio in termini politici e diplomatici e soprattutto economici. Tra l’altro, non c’è stata alcuna visita di Kim Jong Un, il giovane dittatore, in Cina: cosa, questa, che dà anche un’idea di quelli che sono i rapporti tesi fra questo grandissimo Stato e l’alleato ribelle. Si può definire in questi termini.

D. – Intanto, sullo sfondo ci sono i negoziati a 6 sul nucleare coreano…

R. – Direi che questi negoziati hanno rivelato tutti i loro limiti. Quindi, adesso si cerca di riannodarli e questo faceva soprattutto comodo alla Cina, che era il grande mediatore tra la Corea del Nord e – diciamo la verità – gli Stati Uniti d’America. Gli Stati Uniti si sono resi conto che la Corea del Nord non avrebbe mai abbandonato il nucleare, che è anche logico, perché è l’unica carta i nordcoreani hanno per non essere inglobati o dalla Cina o dagli Stati Uniti, insieme alla Corea del Sud. E tutti si sono resi un po’ conto che questa denuclearizzazione della Corea del Nord non può avvenire, a meno che non ci sia proprio una caduta del governo attuale.

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Tunisia. L'88.enne Beji Caid Essebsi è il nuovo presidente

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E' il "laico", Beji Caid Essebsi, 88 anni, il nuovo presidente della Tunisia. Ha ottenuto il 55% circa dei consensi, battendo il candidato del fronte islamico, Moncef Marzouki, presidente provvisorio uscente. Diverse le proteste a cui i suoi sostenitori hanno dato vita. Quasi il 60% degli aventi diritto si è recato alle urne. Secondo alcuni osservatori, questo voto rappresenta un confronto tra laici e islamici. Su questo aspetto, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa: 

R. – Il voto sancisce quello che si era già capito dalle elezioni parlamentari dell’ottobre scorso, vale a dire che il nuovo capo dello Stato dovrà comunque dare l’incarico per formare il nuovo governo al partito vincitore nelle elezioni con la maggioranza relativa "Nida Tounes" e questo partito dovrà necessariamente comporre un governo, proprio con i fondamentalisti di Ennadah.

D. – Possiamo considerarla una prova di democrazia, questa consultazione, per un Paese che è stato il primo a sperimentare la "primavera araba"?

R. – Diciamo che la prova della democrazia, in Tunisia, incomincia proprio adesso, perché si tratterà di formare il governo di coalizione. Come sapranno intendersi due forse che fino ad adesso si sono sfidate? Come potranno intendersi nell’interesse nazionale? Questo è il vero interrogativo che da oggi in poi anche i tunisini si pongono.

D. – Che cosa rimane oggi delle istanze che durante la "primavera araba" portarono la popolazione a schierarsi contro l’allora presidente Ben Alì?

R. – Non molto, perché non si è – nel lungo processo di transizione – rinnovata una classe politica. C’è un dato significativo che in qualche modo fotografa questo stato di cose: la partecipazione al secondo turno è stata inferiore a quello precedente, ma c’è un piccolo dato, significativo. Nella circoscrizione di Sidi Bou Said, da dove partì quattro anni fa la cosiddetta “Rivoluzione dei Gelsomini”, proprio in quella circoscrizione si è avuto il tasso di partecipazione più basso di tutta la Tunisia. Come dire, il sintomo di una disillusione, probabilmente, che la rivoluzione potesse compiersi fino in fondo. Così sembra: non è stato.

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Centrafrica: 10 mila bambini soldato, in campo Save the Children

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Dall’esplosione della guerra civile nel dicembre 2012, nella Repubblica Centrafricana il numero di ragazze e ragazzi sotto i 18 anni reclutati dai gruppi armati è aumentato di quattro volte. Un fenomeno che ora coinvolge almeno 10 mila minori e che è stato fotografato dal rapporto di Save the Children “Intrappolati nei combattimenti”. L’organizzazione umanitaria è infatti in prima linea nel Paese africano nel recupero dei bambini soldato e ogni settimana circa 17 mila minori beneficiano dei suoi interventi. Per saperne di più Marco Guerra ha intervistato Filippo Ungaro portavoce di Save the Children Italia: 

R. - La situazione di guerra che sta colpendo il Paese da più di due anni ha fatto sì che il numero dei bambini soldato si sia quadruplicato: solo due anni fa erano circa 2500, adesso si parla di circa 10mila bambini soldato. È un fenomeno atroce; alcuni minori vengono rapiti, arruolati a forza, ma parte di loro si arruolano “volontariamente” perché sostanzialmente in una situazione di estrema povertà, carenza di strutture anche di tipo educativo, scolastico e anche di opportunità lavorative, i bambini, i ragazzi, non vedono altra scelta che non quella di arruolarsi per avere un pasto caldo e un certo riconoscimento sociale. In realtà poi vivono tutti i giorni delle atrocità incredibili: sono costretti a combattere in prima linea o fanno altri compiti; le ragazze hanno “il ruolo di mogli” dei principali combattenti, perché subiscono degli abusi sessuali.

D. – Si parla quindi di infanzie violate. È possibile recuperare questi bambini?

R. – Chiaramente sono delle situazioni molto difficili e molto particolari. Le violenze a cui assistono e sono i diretti protagonisti sono molto gravi. Il recupero psicologico di questi ragazzi è molto delicato, molto difficile. Alcuni di loro, poi quando tornano nelle loro comunità subiscono una forte stigmatizzazione, in particolar modo le ragazze che essendo state mogli, e quindi avendo subito degli abusi sessuali, non vengono considerate sicuramente di buon occhio. Tuttavia il recupero è assolutamente possibile con degli interventi specifici e mirati su questi ragazzi. Save the Children ha una lunghissima esperienza in questo senso.

D. – A tal proposito, ci puoi parlare di come opera Save the Children? Qual è il vostro intervento per questi ragazzi?

R. – Fondamentalmente si opera in due filoni: da una parte c’è un attento lavoro di recupero psicologico assolutamente necessario. Nella Repubblica Centrafricana abbiamo allestito degli spazi a misura di bambino nei campi di rifugiati e nel Paese per cercare di accogliere questi ragazzi e farli vivere con la necessaria protezione, soprattutto cercare  di recuperarli attraverso un gioco, percorsi educativi da un punto di vista psicologico. Dall’altra, c’è il reinserimento nelle comunità, che è ancora più delicato; lì si opera attraverso il reinserimento scolastico sempre accompagnato da un supporto psicologico attraverso dei corsi di formazione professionale. Attualmente ogni settimana aiutiamo circa 25mila persone tra cui 17mila bambini della Repubblica Centrafricana.

D. – E le istituzioni locali stanno cercando di recuperare questi bambini? La comunità internazionale ha ben presente questo dramma? Si ha intenzione di intervenire o ci sono ancora molti ostacoli per recuperare questa situazione?

R. - È un problema enorme ovviamente del Paese; è un problema enorme. È difficilissimo: sia per le comunità locali che quelle internazionali hanno ben presente la dimensione del problema. Purtroppo a livello internazionale i pregressi, in questo senso, sono un po’ lenti; soltanto nell’aprile del 2014 le Nazioni Unite hanno istituito questa missione  - Minusca - la cui priorità è la protezione dei civili con degli interventi specifici sulle donne e sui bambini. La missione prevede circa diecimila militari, quasi duemila poliziotti e – ahimè - soltanto sedici esperti di protezione dei bambini. Con grande ritardo la Minusca ha cominciato le sue operazioni sostanzialmente a novembre di quest’anno. Quindi i progressi per il momento sono molto lenti, andrebbero accelerati e andrebbero trovate delle risorse più importanti soprattutto per il recupero psicologico di questi bambini soldato.

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Feroci: Ripartire dalla preghiera per costruire una città dal volto umano

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Una preghiera per ripartire e costruire una città dal volto umano, dove la dignità, la giustizia e la solidarietà diventino valori condivisi e praticati. E’ l’obiettivo della veglia di preghiera che si svolgerà questa sera a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore. L’iniziativa, è stata voluta dal cardinale vicario, Agostino Vallini, e dal Consiglio episcopale della diocesi dopo le gravi vicende di corruzione che hanno investito nei giorni scorsi la capitale. Marina Tomarro ha intervistato mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma: 

R. – “Se il Signore non custodisce o costruisce la città, invano fatica il costruttore”. E allora, io credo che noi cristiani, davanti alle difficoltà che abbiamo visto purtroppo in questa nostra città, noi ci rivolgiamo al Signore per chiedere perdono e misericordia per i nostri sbagli: davanti alle difficoltà dei nostri fratelli, forse non siamo stati all’altezza. Quindi, il senso della preghiera è anzitutto una richiesta di perdono al Signore per la carenza del nostro impegno, ma poi anche perché il Signore ci dia la forza e lo spirito suo affinché possiamo essere veramente operatori di pace, di amore, di disponibilità e di servizio agli altri. Noi crediamo che nei poveri, negli ultimi, c’è presente il Signore: “Qualunque cosa farete al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatta a me!”. Questa certezza che il fratello povero ci appartiene, credo che sia fondamentale per noi credenti, per noi cristiani. Allora il vedere che proprio sulla pelle degli ultimi, dei poveri, qualcuno li abbia voluti utilizzare per i propri interessi ci ha veramente colpito. E poi credo che ci sia un altro aspetto: dovremmo chiedere al Signore la forza, perché il messaggio che da Roma parte verso il mondo intero è un messaggio molto negativo e destabilizzare. Noi vorremmo chiedere al Signore che abbia misericordia di noi, perché noi – noi romani – non abbiamo saputo mandare nel mondo il messaggio bello e grande della solidarietà e a Roma la solidarietà è molto, molto grande e ce ne è tanta! Noi vorremmo questa sera far sapere anche al mondo che c’è questa grande Chiesa di Roma che chiede al Signore l’aiuto per essere veramente fedele al suo mandato, di essere colei che presiede nella carità.

D. – In che modo, allora, è possibile restituire la fiducia nei romani verso una Roma che aiuta i poveri, che va incontro alla legalità e all’onestà?

R. – Innanzitutto, sottolineando che accanto a quello che è emerso di negativo c’è una realtà molto, molto positiva. Io, come direttore della Caritas, cammino a testa alta perché sono sicuro che intorno a me ho tantissime persone, operatori della Caritas e volontari che giorno e notte si impegnano con una ricchezza umana e spirituale molto, molto grande.

D. – Il cardinale Vallini parla anche di una “rinascita spirituale”: allora da che punto bisogna ripartire, secondo lei?

R. – Noi dobbiamo ripartire dal messaggio bello, ricco, profondo che ci ha dato Gesù e che ci hanno testimoniato nella storia tantissimi nostri fratelli. Basti vedere quello che è avvenuto qui a Roma, nella storia. Io ho davanti agli occhi quante persone veramente sono state di un esempio talmente grande e talmente forte… Noi adesso abbiamo riqualificato una casa famiglia per malati di Aids, perché ci sono stati dei laici che hanno messo a disposizione le loro sostanze. Noi stiamo riqualificando Via Marsala, dove ci sarà l’accoglienza, il dormitorio, la mensa, perché ci sono i privati, i laici che si sono messi a disposizione. Quindi, c’è una Chiesa che sta a servizio dei poveri e il povero è messo al centro dell’attenzione della Chiesa. Questa testimonianza mi sembra sia una testimonianza molto grande, molto bella e ci deve veramente rincuorare. C’è il bene! Il bene forse non si vede, forse dovremmo farlo vedere più, ma questo è la nostra forza.

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Mons. Bregantini: un presepe sul luogo della Messa del Papa

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A sei mesi dalla visita del Papa a Campobasso, questo pomeriggio nella capanna in cui lo scorso 5 luglio si è tenuta la Santa Messa, l’arcivescovo, mons. Giancarlo Bregantini, benedirà un presepio artistico al termine di una processione per il corso cittadino e lancerà l’idea di intitolare l’area a Francesco. Ancora forte l’eco delle parole del Pontefice con l’appello ai giovani “a uscire dal labirinto” e ad aspirare a cose grandi. Al microfono di Paolo Ondarza, mons. Bregantini spiega il significato della celebrazione di questa sera: 

R. – Gratitudine a questa immensa esperienza di grazia che abbiamo vissuto: vuole essere un ricordo, una memoria tenuta viva, affinché venga mantenuta questa forza d’animo che il popolo di Campobasso ha sempre avuto, recuperando anche i piccoli ma significativi segni di crescita che ci sono stati a sei mesi dalla visita del Papa.

D. – Ci sono stati questi segni di crescita: può parlarcene?

R. – Primo, c’è stata una maggiore capacità di prendere in mano i propri problemi. Secondo, la voglia di un’esperienza di crescita della realtà delle cooperative, specialmente l’accoglienza del mondo degli stranieri. C’è stata inoltre una crescita vocazionale inattesa dentro la realtà sia maschile che femminile della diocesi.

D. – Campobasso è stata una delle periferie italiane visitate da Papa Francesco durante l’anno. Come si prepara a vivere questo Natale?

R. – Raccogliendo il messaggi del Papa. Questo ci aiuta da uscire dal grigiore del labirinto – immagine sua – a recuperare quelle tre parole che lui ha consegnato ai giovani: coraggio, speranza e solidarietà. Questi tre doni danno all’esperienza che stiamo vivendo questa sera la continuità e la bellezza.

D. – Coraggio, speranza e solidarietà: un messaggio estremante positivo perché radicato nel Vangelo, a fronte di un’immagine negativa veicolata dai media rispetto al Molise…

R. – Si, ci sono state delle immagini, anche recenti, che godono nel delineare il negativo. C’è gente che crede di fare del bene gettando fango. Purtroppo, questo metodo non paga. Non paga perché oggi critichi A, domani critichi B, ma non fai crescere la gente, non dai il coraggio. Il limite di certe trasmissioni è proprio questo – non tanto le cose che si dicono, perché tutti abbiamo dei difetti. Roma ne è il segno, chi trasmette da Roma dovrebbe vergognarsi di accusare un’altra terra. Bisognerebbe dire :”Prima facciamo mea culpa noi”, ma soprattutto bisognerebbe far vedere immagini in positivo per spingere, come ha fatto il Papa, verso il futuro, verso il coraggio, verso una maggiore solidarietà questa terra, che già è marginale – come ha detto benissimo il Papa – e se non è accompagnata rischia di essere emarginata. Questo è il punto. Noi dobbiamo cambiare e trasformare la marginalità di questa terra in tipicità, cioè in risorse positive dicendo: “C’è un problema, ma c’è anche una capacità. C’è un’ombra, ma c’è una luce. C’è un limite, ma c’è un talento”. Questo è lo stile con cui il Papa ci ha aiutato a vivere e a combattere: la battaglia delle identità di un popolo che non nega i difetti, non nega il grigiore del labirinto, ma non resta dentro il labirinto. Questo è il limite in cui una certa cultura pessimistica, soprattutto inutile e sterile, rischia di mettere non solo il Molise ma tutta l’Italia, quasi che la denuncia dei mali fosse la soluzione dei mali. Non è affatto vero! Perché non basta denunciare che ho la febbre o che il medico mi dica: “Lei ha un tumore”. Io attendo dal medico il rimedio: attendo dall’ospedale la risposta. Questo è lo stile con cui vivere i problemi; questa è la grandezza del Papa!

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Mons. Giudice lancia "Concilio Giovane" per spiegare Vaticano II

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Si chiama "Concilio Giovane" e mons. Giuseppe Giudice, vescovo della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, lo ha voluto per celebrare il 50.mo anniversario della conclusione del Vaticano II, per far riscoprire ai fedeli i suoi insegnamenti e il suo messaggio. Al microfono di Tiziana Campisi, mons. Giudice descrive questo cammino intrapreso dalla sua diocesi: 

R. – Innanzitutto è un compleanno, perché dobbiamo celebrare il 50.mo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, un evento che ha segnato la storia della Chiesa in senso positivo. Però tanti giovani, tante persone oggi l’hanno letto soltanto nei libri. Allora, per prepararci a questo 50.mo – l’8 dicembre 2015 – ho voluto indire questo concilio che ho chiamato “Concilio giovane”  e “non dei giovani”, proprio per dire che la giovinezza è di tutta la Chiesa. E la giovinezza della Chiesa è sempre opera dello Spirito Santo. Quindi, è riprendere un po’ lo spirito del Concilio proprio per ringiovanire, anche sull’esempio stupendo di Papa Francesco, un po’ la nostra Chiesa.

D. – Quali iniziative sono state pensate per questo Concilio giovane?

R. – Abbiamo scelto pochi momenti. Abbiamo fatto una scelta anche nella mia diocesi a Pagani, dove riposa il corpo di Sant’Alfonso Maria de Liguori, un grande dottore della Chiesa. Allora, per recuperare la loro spiritualità abbiamo scelto dalla sua vita o dalla sua esperienza pastorale dei momenti fondamentali: il Natale, la Passione del Signore, l’Eucarestia, la Madonna. Durante l’anno ci saranno dei momenti. Ad esempio, durante il tempo della Quaresima i giovani saranno impegnati con la chiesa in una settimana di evangelizzazione per poter parlare anche a chi sta fuori, a chi è lontano. Poi, abbiamo pensato al mese di maggio, perché la Madonna è molto presente nella nostra tradizione ma anche nella spiritualità alfonsiana, per recuperare questo rapporto con la Madonna non solo come Madre di Dio, ma attenta anche alla femminilità, alla donna; una donna certo non remissiva, non sottoposta, ma libera e perciò sa cantare. Poi, l’attenzione va anche all’Eucarestia, la visita al Santissimo Sacramento, mettere l’Eucarestia al centro…

D. – Lei cosa auspica?

R. – Ho invitato proprio a leggere insieme nelle comunità le quattro grandi costituzioni. Sono sicuro che se vengono lette con lo spirito giusto, quasi dettati nuovamente dallo Spirito, potranno rinnovare, cambiare le persone nelle nostre comunità. Ho grande fiducia nelle nostre possibilità che sono una risposta alla grande possibilità che il Signore dà ad ognuno di noi.

D. – Con quali parole inviterebbe ancora i suoi fedeli a prendere parte ai diversi momenti che sono previsti?

R. – L’invito che il Signore fa è “Venite alla festa”. Venite, e questo rispondere con il cuore, con la vita, perché tante volte rimaniamo ai margini, oppure gli invitati non erano degni; allora, bisogna ritornare ai crocicchi continuamente a invitare – e qualche volta a spingere – a far entrare nella sala coloro che rimangono fuori. È questo il compito missionario al quale non dobbiamo mai venire meno. Guai se perdessimo questo senso della fiducia e dello stupore!

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Nella Chiesa e nel mondo



Terra Santa: visita del patriarca Twal a Gaza

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700 cristiani di Gaza quest'anno hanno ricevuto da Israele il permesso per raggiungere Betlemme e celebrare la solennità del Natale nel luogo dove è nato Gesù. Ma saranno molti di meno quelli che potranno effettivamente raggiungere la città della Cisgiordania, viste le difficoltà quotidiane condivise dai cristiani di Gaza alla fine di un anno segnato nella Striscia dall'intervento militare israeliano che ha provocato migliaia di morti. Lo riferisce all'agenzia Fides il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, che ieri ha compiuto una visita pastorale a Gaza e ha celebrato la Messa nella parrocchia della Sacra Famiglia.

Gaza immagine dle vero Natale
“Ho trovato la nostra Chiesa unita” racconta a Fides il patriarca “con i nostri fedeli che vivono una comunione forte anche con i cristiani ortodossi. A Gaza non trovi la grandezza del mondo e la potenza effimera del mercato. C'è la piccolezza custodita dal Signore. Un piccolo gruppo di anime segnate da circostanze difficili e dolorose, che pongono la loro speranza in Gesù. E' l'immagine del vero Natale”.

La sofferenza dei bambini
Partendo da quello che ha visto a Gaza, il patriarca Twal allarga il suo sguardo alle prove vissute dalle popolazioni in tutto il Medio Oriente: “Ci ha sempre commosso leggere nei Vangeli che Maria e Giuseppe non hanno trovato posto nell'albergo, e che Gesù Bambino è nato in una grotta. Oggi, tra i milioni di rifugiati, ci sono tanti bambini che si augurerebbero di poter dormire in una grotta come quella in cui è nato il Salvatore. Per loro sarebbe quasi un lusso”. (R.P.)

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Vescovo di Aleppo: "Dal Natale ci aspettiamo dono della pace"

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“Anche noi desideriamo vivere un Natale di gioia e di consolazione seppur in mezzo a questa guerra ignobile che ci schiaccia ormai da quasi quattro anni. Molte madri piangono i loro figli, i loro coniugi dispersi o morti. Molte famiglie sono nel bisogno, soffrono la fame e il freddo, le bombe hanno distrutto le loro case, hanno annientato i loro mezzi di sussistenza”. È un passo del messaggio di Natale, riportato dall'agenzia Sir, di mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco melkita di Aleppo, città siriana al centro da oltre tre anni di uno scontro tra le forze fedeli al presidente Assad e quelle ribelli, tra cui anche i miliziani del sedicente Stato Islamico (Is). 

Speranze di pace
A dare conforto ai cristiani di Aleppo, scrive l’arcivescovo, sono “le notizie che vengono dall’Occidente e relative a Paesi che, incoraggiati da Papa Francesco, si stanno impegnando per trovare una soluzione negoziata alla guerra in corso”. “Giungono - prosegue il messaggio - echi di colloqui piuttosto positivi e distensivi. Speriamo che il nuovo anno sia segnato dalla riconciliazione e dalla concordia”. Con questa speranza nel cuore, mons. Jeanbart sottolinea anche gli sforzi compiuti per dare sostegno alle famiglie in difficoltà. Sostegno che proseguirà anche in futuro, afferma il presule, “grazie alla generosità di tanti”.

La Chiesa in aiuto dei poveri
Continuerà quindi l’assistenza alimentare, sanitaria e finanziaria per tutti coloro che sono rimasti senza lavoro, per i nuclei familiari poveri, tutto per “dare conforto ai fedeli, rassicurarli così che possano restare in città”. Inoltre, annuncia mons. Jeanbart, “abbiamo deciso quest’anno di approvvigionare con gasolio da riscaldamento oltre mille famiglie, un aiuto essenziale ad Aleppo, dove l’inverno è freddo”.

Natale di festa
Sarà anche un Natale di festa. “Il Natale è la festa della speranza e dell’accoglienza - si legge nel messaggio - per questo nelle chiese verranno organizzate feste e spettacoli soprattutto per i bambini. Soffriamo molto per tutto ciò che accade, tuttavia - conclude l’arcivescovo - aspettiamo con ansia e speranza che il Signore ci porti in dono la pace”.

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Iraq. Patriarca Sako ai profughi: "Non vi dimentichiamo"

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Rassicurare i profughi cristiani, la cui situazione "è ancora critica e tragica" perché non si intravede una "soluzione rapida" all'orizzonte, perchè essi "non sono abbandonati e soli", e non saranno dimenticati. È il messaggio che il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako rivolge alla comunità cristiana irakena e, in particolare, ai profughi che hanno abbandonato le loro case in seguito all'avanzata delle milizie del sedicente Stato islamico, per le imminenti festività di Natale. Nel documento, inviato all'agenzia AsiaNews, sua Beatitudine si rivolge ai fedeli di Mosul e della piana di Ninive, dove circa 500mila persone sono fuggite in seguito all'avanzata islamista, che ha fondato un Califfato e imposto la sharia.

I profughi non sono abbandonati
Vivere in una piccola stanza o dentro a furgoni allestiti dalla Chiesa, sottolinea Mar Sako, non è facile da un punto di vista psicologico; nella comunità è evidente il sentimento di "preoccupazione" per le loro case e le città, per i posti di lavoro perduti e per un futuro oscuro per i loro figli. Il patriarca caldeo aggiunge però che "non siete abbandonati e soli", le vostre sofferenze "non sono dimenticate".

Messa di Natale tra i profughi
Il patriarca chiede "a tutti i nostri fratelli e sorelle" di pregare e mantenere vivo "il coraggio, la speranza e la fiducia in Dio Padre"; egli conferma il proposito di celebrare la Messa di Natale in mezzo ai profughi, per esprimere così in modo concreto la vicinanza della Chiesa e la disponibilità nel prestare loro un aiuto continuo.

Il cristianesimo deve rimanere in Iraq
Nel messaggio mar Sako ringrazia quanti, in Iraq e all'estero, continuano ad aiutare e manifestare solidarietà alla comunità cristiana irakena. Il cristianesimo deve continuare a rimanere in questa terra benedetta, aggiunge, perché esso è un "messaggio di amore e tolleranza, come Cristo ha insegnato. Vogliamo vivere in pace e sicurezza", afferma il patriarca caldeo, che ricorda "la nostra terra, la nostra storia, la nostra identità, che sono la nostra terra promessa".

L'appello ai politici
Egli rivolge anche un appello alla politica e alla classe dirigente, perché tuteli "i diritti di tutti gli irakeni" e garantisca loro "dignità e giustizia", che sono "il fondamento della pace". Un obiettivo da raggiungere "attraverso una corretta educazione" e la formazione di menti aperte, che operino per "la convivenza e il rispetto dei valori della diversità e dei diritti umani". Come disse il Signore a Maria, Mar Sako si rivolge ai fedeli invitandoli a non avere paura. In questo Natale rinnoviamo la fede in Dio e la fiducia negli uomini di buona volontà, conclude il patriarca, perché in un cuore colmo di dolore nasca "una nuova alba di speranza". (J.M.)

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Libano: appello della Chiesa per profughi cristiani iracheni

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Sono più di 800 le famiglie cristiane irachene fuggite da Mosul e dalla Piana di Ninive che hanno trovato finora riparo in Libano. La loro condizione è quella degli “ultimi arrivati” in un Paese già destabilizzato dall'arrivo di più di un milione di profughi siriani. La maggior parte di loro - riferisce l'agenzia Fides - gravita nell'area di Beirut e ha trovato sostegno solo da parte della locale eparchia caldea. 

L'appello del vescovo
Mons. Michel Kassarji, vescovo di Beirut dei Caldei, ha diffuso un comunicato per sollecitare aiuti in favore delle vittime cristiane della “macchina cieca dell'estremismo religioso” che le ha costrette ad abbandonare le proprie case e i propri villaggi. I profughi cristiani iracheni arrivati in Libano – riferisce il vescovo caldeo - non hanno lo status dei richiedenti asilo, e vivono nella speranza di ottenere i permessi per emigrare nei Paesi occidentali. Non trovano lavoro, vengono sfruttati da chi approfitta della loro condizione di emergenza per rincarare gli affitti delle case, e sono privi di qualsiasi aiuto da parte delle istituzioni civili e delle Organizzazioni internazionali

Al collasso gli aiuti per i profughi
“L'impressione - afferma a Fides il sacerdote maronita Paul Karam, direttore di Caritas Libano - è che tutto il sistema di aiuti internazionali per i profughi siriani e iracheni sia sull'orlo del collasso. Non ci sono più risorse, e le organizzazioni umanitarie non riescono più a far fronte ad un'emergenza divenuta cronica”. (R.P.)

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Pakistan: Natale di solidarietà per le vittime di Peshawar

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Sarà un Natale in tono minore, vissuto con dignità e compostezza, per i cristiani in Pakistan. Il Natale 2014 sarà segnato da preghiere e forti accenti di solidarietà per le vittime della strage di Peshawar, dove i talebani hanno ucciso oltre 130 bambini in una scuola dell’esercito. Molte chiese hanno allestito altari con immagini delle vittime e ceri accesi.

Appello di speranza e di pace
L’arcivescovo Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale, ha lanciato un appello perché la comunità cristiana rifletta sul messaggio di speranza e di pace, che il Natale porta con sé. In un messaggio inviato all'agenzia Fides, Peter Jacob, attivista cattolico per i diritti umani, riferisce che 11 parrocchie e diverse chiese nella città di Lahore hanno deciso di annullare o rinviare a dopo il 1° gennaio alcuni programmi ed eventi (concerti di canti natalizi, spettacoli, giochi) che erano previsti per celebrare il Natale.

Messaggio di fratellanza per il Pakistan
Secondo il diacono Shahid Mehraj, della cattedrale di Lahore, “nella comunità dei fedeli ci sono dolore e preoccupazione” per quello che viene visto come “un attacco al futuro del Pakistan”. A Natale, informa “dedicheremo una speciale cerimonia di accensione delle candele a coloro che hanno perso la vita nell'attacco”. “Natale porta un messaggio di speranza al mondo. La nascita di Cristo è stata segnata anche da un massacro di bambini innocenti da parte del re Erode. Nel contesto di questo spargimento di sangue, Cristo è nato come simbolo di speranza” afferma, ricordando le analogie con il contesto pakistano odierno. Per questo, conclude, “ora è tempo di diffondere il messaggio di amore e di fratellanza in Pakistan”.

Un Pakistan tollerante e pacifico
I cristiani ricordano che Muhammad Ali Jinnah, il fondatore del Pakistan, è nato il 25 dicembre, anche per questo il Paese dovrebbe riflettere sulla sua visione e sul Paese che Jinnah sognava: una nazione unita, aperta, tollerante, pacifica, libera dall’odio e dalla violenza. (R.P.)

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Taizè: Praga pronta ad accogliere 30 mila giovani

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Praga si prepara ad accogliere la pacifica invasione di giovani provenienti da tutta Europa. Il 29 dicembre, decine di migliaia di giovani dall’Est all’Ovest di Europa arriveranno a Praga in bus, treno, aereo o autostop. Tra questi giovani ortodossi, cattolici e protestanti: i più numerosi - riferisce l'agenzia Sir - verranno da Polonia, Ucraina, Italia, Germania, Francia, Croazia e Bielorussia.

L'ospitalità in parrocchie, scuole, famiglie
Qualche cifra: più di 30 mila persone parteciperanno all’incontro e saranno accolti nei quartieri di Praga, nelle città e nei paesi della regione. 65 i Paesi rappresentati dai giovani iscritti, senza contare i 1.950 giovani volontari che arriveranno due giorni prima per preparare l’accoglienza e organizzare la logistica. Gli italiani sono più numerosi degli altri anni e sono il gruppo più consistente dopo polacchi e ucraini. I giovani saranno accolti in più di 150 punti d’accoglienza predisposti nelle parrocchie delle diverse chiese e nelle scuole della regione e saranno poi ripartiti nelle famiglie ospitanti e nei luoghi di accoglienza collettiva. 17 chiese del centro storico di Praga apriranno le loro porte per la preghiera di martedì 30 a mezzogiorno e mercoledì 31 dicembre. 

I luoghi di preghiera a Praga
In ogni chiesa ci sarà una croce di Taizé dipinta espressamente in queste settimane da un gruppo di artisti sotto la direzione di Matej Forman. 5 sono i luoghi di preghiera preparati al Parco delle Esposizioni di Letnany e in virtù dell’affluenza annunciata, è stata allestita una tenda che può ospitare fino a 4.500 giovani. 14 rappresentanti del Consiglio delle Chiese ceche parteciperanno alla preghiera del 1° gennaio alle 19 nella cattedrale, trasmessa in diretta dalla televisione ceca. Il 30 dicembre la preghiera della sera sarà trasmessa in diretta dal padiglione 4 del Parco delle Esposizioni, grazie al segnale messo a disposizione dalla rete europea Ebu.

Le parole del Papa sugli incontri di Taizè
La mattina del 30 novembre, durante l’ultimo giorno del suo viaggio apostolico in Turchia, Papa Francesco ha evocato Taizé, parlando della ricerca della piena comunione tra le Chiese: “Sono i giovani - penso, ad esempio, ai moltissimi giovani ortodossi, cattolici e protestanti che si ritrovano negli incontri internazionali organizzati dalla comunità di Taizé - che oggi ci chiedono di fare dei passi avanti verso la piena comunione. E questo non perché ignorano il significato delle differenze che ci separano ancora, ma perché sanno vedere al di là, sono capaci di accogliere l’essenziale che già ci unisce”. (R.P.)

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Lussemburgo: memorandum corsi di religione scuole pubbliche

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Un memorandum comune per ribadire l’importanza e la necessità che ci siano corsi di religione nelle scuole pubbliche del Lussemburgo: a siglarlo, recentemente, sono stati i membri del Consiglio dei culti convenzionati del Paese, che riunisce cattolici, ortodossi, anglicani, protestanti e protestanti riformati, insieme a neo-apostolici, ebrei e musulmani. “La società lussemburghese – si legge nel memorandum – è segnata dal pluralismo culturale e religioso. Questa diversità è una ricchezza ed esige che le persone imparino a conoscersi, apprezzarsi, rispettarsi ed a costruire insieme la società di domani”. Per questo, “la scuola pubblica deve contribuire a questa educazione, essenziale per la coesione sociale” e “l’insegnamento delle religioni deve avere il suo posto nella scuola pubblica”. 

Conoscenza e rispetto tra religioni
I corsi scolastici, spiega quindi il memorandum, “permettono di conoscere le differenti religioni e di sviluppare la comprensione reciproca tra di esse”, insegnando agli alunni “il dialogo non come teoria astratta, ma come esperienza tra le persone”. Gli studenti devono avere l’opportunità di guardare “alle grandi figure di ogni tradizione” religiosa e di “cercare insieme i valori comuni”. Essenziale, inoltre, sottolineano i firmatari, che “si possa mantenere la libertà di scelta dei genitori di iscrivere i loro figli ai corsi di religione o ai corsi di formazione morale e sociale”.

Risposta ai bisogni sociali
“Questa iniziativa – spiega l’arcivescovo di Lussemburgo, mons. Jean-Claude Hollerich – non risponde ad un bisogno di finanziamenti, di presa di potere o di influenza. Essa, piuttosto, vuole essere una risposta alle necessità della società”. In questo senso, viene ribadito che l’obiettivo di tali corsi “non è in alcun caso quello della trasmissione delle diverse fedi, che resterà compito delle singole comunità. Il catechismo, ad esempio, continuerà ad essere insegnato nelle parrocchie”. Al contrario, la finalità dell’iniziativa è quella di “far conoscere ai giovani le diverse religioni, la loro storia ed i bisogni ai quali esse rispondono” all’interno delle singole società. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 356

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.