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Sommario del 17/12/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: terroristi disumani, non si fermano neanche davanti ai bambini

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Il Pakistan si è svegliato sotto shock dopo l’orribile strage perpetrata ieri dai talebani in una scuola per figli di militari a Peshawar. A tutto il Paese e ai familiari delle vittime è arrivato alto l’appello del Papa, all’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro in cui ha espresso il suo dolore per il massacro di ieri in Pakistan, così come per le vittime del terrorismo a Sydney, in Australia, e nello Yemen. 144 le vittime di ieri in Pakistan, tra loro 132 tra ragazzi e bambini, la maggior parte al di sotto dei 15 anni. Oggi nel Paese è il primo di tre giorni di lutto nazionale. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Il dolore del Papa
“Ora vorrei pregare insieme con voi per le vittime dei disumani atti terroristici compiuti nei giorni scorsi in Australia, in Pakistan e nello Yemen. Il Signore accolga nella sua pace i defunti, conforti i familiari, e converta i cuori dei violenti che non si fermano neppure davanti ai bambini”.

Il dolore del Papa è intenso, il suo sguardo drammatico ci riporta alle scene di terrore e di morte vissute ieri in Pakistan e alla tragedia sfiorata oggi, con due esplosioni fuori da una scuola femminile sempre a Peshawar, che però non avrebbero provocato vittime, perché la scuola in segno di lutto era chiusa. Oggi nel Paese è il giorno dei funerali delle piccole vittime della furia talebana, e ora è ovunque stato di massima allerta, soprattutto nelle scuole. “E’ il nostro 11 settembre”: scrivono i quotidiani pakistani.

Sospesa moratoria pena di morte
La sospensione della moratoria sulla pena di morte per i reati legati al terrorismo, e dunque la reintroduzione dell’impiccagione ferma dal 2008, è la prima delle misure predisposte dal governo di Nawaz Sharif, all’indomani del massacro. Allo stesso tempo Islamabad cerca il sostegno afghano, e sarà il capo di stato maggiore pakistano a chiederlo alle autorità di Kabul, dalle quali ci si aspetta l’estradizione, una volta arrestato, di Maulana Fazlullah, leader del TTP, il gruppo talebano autore della strage. E i terroristi tornano a farsi sentire, promettendo nuovi attentati per vendetta. Andrea Carati ricercatore alla statale di Milano, dove insegna relazioni internazionali, e Associate Research Fellow all’Ipsi, Istituto per gli studi di politica internazionale:

Crudeli e indipendenti
R. – Da un lato è vero che se si arriva a scegliere un target così debole - come una scuola popolata per la gran parte da bambini, da ragazzini – questo è un segnale di debolezza. Però un segnale di debolezza da cui non si può trarre la conclusione che i talebani pakistani siano in qualche modo disorientati al punto di pianificare attentati terroristici così efferati. Anzi al contrario io credo che i talebani pakistani a questo punto siano quasi del tutto indipendenti rispetto alla leadership storica dei talebani e quindi quelli che fanno capo alla Mullah Omar si presentino sempre con maggiore efficacia, come una vera e propria fazione politiche che ha in mente di giocare un ruolo centrale nella politica del Pakistan.

D. – Il fatto che i talebani afghani abbiano preso le distanze, abbiano condannato un crimine di questo tipo contro i bambini, che cosa significa?

R. – Il gruppo che noi chiamiamo abitualmente “talebani” in realtà è una galassia, un universo molto composito di gruppi frammentati e non solo lungo la divisione che negli anni si è fatta sempre più chiara tra la leadership storica, quella del Mullah Omar – che fa capo a Quetta, sempre in Pakistan – rispetto alla nuova generazione di talebani che si è formata invece negli anni dell’intervento internazionale in Afghanistan delle aree tribali del Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Progressivamente,  i talebani pakistani sono diventati una fazione indipendente, per cui è secondaria la riconquista del poter a Kabul, mentre è diventato primario l’obiettivo di conquistare il potere o comunque avere un ruolo politico in Pakistan. Non solo: in realtà anche la parte politica, diciamo la parte dei talebani pakistani, è a sua volta divisa al proprio interno, in particolare dopo l’uccisione del 2013 del leader Hakimullah Mehsud con un attacco dei droni. L’uccisione del leader ha diviso ulteriormente i gruppi talebani pakistani al loro interno in almeno una decina di fazioni, in alcuni casi anche sul piano tribale e quindi anche con obiettivi e strategie molto differenti fra loro.

Stessa retorica di Al Qaeda
D. – I talebani hanno definito la strage un trailer per rappresaglia: questo significa che il Pakistan si dovrà aspettare degli attacchi mostruosi come quello di ieri?

R. – Questo attacco è stato il più violento, il più sanguinoso, quello che ha creato più morti nella storia del Pakistan, però si inserisce in una continuità di attentati terroristici nella stessa zona del Pakistan e che hanno riguardato la storia recente degli ultimi anni. Quindi, senz'altro la lotta politica fra i talebani che utilizzano naturalmente – come sappiamo – i mezzi del terrorismo e le autorità di Islamabad è una nota destinata a continuare nei prossimi anni. Sulla definizione, questa macabra definizione, di questo attentato come un “trailer”, in realtà c’è una continuità e un richiamo tipico di quasi tutti i gruppi jihadisti di presentare i loro attentati terroristici come una sorta di rappresaglia, di restituzione di uno scenario di violenza che loro sostengono di subire giorno per giorno. E’ la stessa retorica jihadista che usava al-Qaeda di fronte all’11 settembre, in cui si cercava di sostenere sostanzialmente che si erano portati in America uno scenario che gli Stati Uniti creavano in Medio Oriente e in altri luoghi… E’ una retorica ricorrente di presentare i propri attentati, la propria violenza come lo specchio di un’altra violenza o degli occidentali o, in questo caso, delle autorità e delle forze armate pakistane.

Prima alleati poi nemici
D. – Le cosiddette scuole che formerebbero le nuove leve per questi gruppi di terroristi si sa dove sono, ma non vengono colpite: il male non viene estirpato alla radice, questo è ciò che si sente ripetere… E’ così? Il governo di Sharif è troppo debole o non interviene come dovrebbe per altre ragioni?

R. – Questo tipo di critiche al governo di Sharif non vanno confuse con la critica, diciamo, di più di lungo periodo che si è mossa al Pakistan, in particolare ai Servizi segreti pakistani, che hanno aiutato negli anni Novanta e poi anche successivamente, dopo l’intervento americano nel 2001 in Afghanistan, i talebani. I talebani negli anni Novanta e poi, potenzialmente, anche dopo l’intervento americano sono sempre stati intesi come un potenziale governo alleato, un governo amico in Afghanistan, nel quadro più generale del contenimento o di un eventuale guerra contro l’India. Quindi, c’è stato un rapporto stretto sul piano storico, negli ultimi due decenni, fra i servizi Segreti pakistani e i talebani. Però, le cose si sono complicate incredibilmente negli ultimi anni, perché i talebani – soprattutto la frangia pakistana dei talebani – si sono rivelati un nemico interno straordinario. Quindi, si può certo accusare i governi pakistani degli ultimi 15-20 anni per l’ambiguità che hanno tenuto nei rapporti con i talebani, però questo tipo di talebani – quelli pakistani – sono percepiti in modo crescente come un nemico vero interno del Pakistan, su cui le autorità centrali hanno intenzione di fare una battaglia frontale. 

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Francesco: missione della famiglia è migliorare il mondo

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Ogni famiglia cristiana accolga e faccia crescere, nella normalità della vita quotidiana, la presenza di Gesù al suo interno, così rendere migliore il mondo. Con questo auspicio Papa Francesco si è congedato dalle folle delle udienze generali, nell’ultimo appuntamento del 2014: sono stati circa un milione e 200 mila le persone che complessivamente hanno preso parte alle catechesi del mercoledì. Il Papa ha proseguito la riflessione sulla famiglia, ribadendo che questo tema accompagnerà i prossimi mesi fino al Sinodo di ottobre 2015. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Ogni presepe lo insegna in modo silenzioso: la più bella storia del mondo – quella che la storia dividerà in un prima e in un dopo – comincia in modo socialmente invisibile alla periferia “malfamata” del grande impero. In un assolato mercoledì di metà dicembre, a una settimana dal Natale, Papa Francesco “entra” nella casa della Famiglia di Nazaret e si guarda attorno per riconsiderare ciò che di quel piccolo nucleo spesso sfugge e che invece ha un valore esemplare inestimabile.

Dio ha scelto una famiglia
Il primo dato di fatto è che per dare il via al “nuovo inizio” della storia universale, Dio – nota il Papa – “ha scelto di nascere in una famiglia umana”. La “storia più santa e più buona”, osserva, prende vita ai margini della storia dei potenti e, in modo ancor più singolare, Gesù – il Messia venuto a salvare il mondo – resta a far vita di famiglia “in quella periferia per trent’anni”:

“Ma uno dice: 'Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata? Ha perso trent’anni!'. E lui ha voluto questo. Il cammino di Gesù era in quella famiglia (...) I cammini di Dio sono misteriosi. Ma quello che era importante lì era la fa-mi-glia! E quello non era uno spreco, eh! Erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto … La famiglia”.

Famiglie, fate spazio a Gesù
Nei secoli, l’arte, la letteratura e la musica hanno provato a immaginare lo straordinario normale di Nazaret, quella routine familiare che i Vangeli, “nella loro sobrietà”, dice Papa Francesco, non hanno descritto. Se lo avessero fatto, prosegue, “ci saremmo inteneriti” al racconto di Gesù adolescente, e le mamme avrebbero imparato molto dalle “premure” di Maria e i papà dallo stile di vita di Giuseppe. Ma anche senza il resoconto spicciolo, dalla casa di Nazaret – afferma il Papa – giunge un insegnamento che non passa mai di moda:

“Ciascuna famiglia cristiana – come fecero Maria e Giuseppe – può anzitutto accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo. Facciamo spazio nel nostro cuore e nelle nostre giornate al Signore. Così fecero anche Maria e Giuseppe, e non fu facile: quante difficoltà dovettero superare! Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale. La famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”.

La famiglia rende “normale” l’amore
Lungi dal diventare banale, l’ordinarietà di quel lungo periodo di Gesù a Nazaret mostra anche quale bellezza possano avere i rapporti tra madri, padri e figli. “Come accadde in quei trent’anni”, conclude Papa Francesco, così “può accadere anche per noi: far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia”:

“Da allora, ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo. E questa è la grande missione della famiglia: fare posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni, che Gesù è lì. Accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente il quella famiglia. Che il Signore ci dia questa grazia in questi ultimi giorni prima del Natale”.

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Un tango per Francesco, 2.500 ballerini gli fanno gli auguri

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Piazza San Pietro ha vissuto una mattinata di festa attorno a Francesco per i suoi 78 anni. Prima dell’udienza, durante il giro di saluto, il Papa si era fermato a spegnere le candeline su una torta offertagli da un gruppo di sacerdoti. Poi, alla fine dell’udienza generale, l’area antistante la Piazza ha visto 2.500 ballerini di tango esibirsi in una “milonga”. Il servizio di Marina Tomarro

Un ballo che vale un abbraccio
E’ sulle note della celebre e struggente musica argentina che accompagna il tango, che migliaia di appassionati di questo ballo, hanno voluto augurare buon compleanno a Papa Francesco. Perché il Pontefice spesso ha detto di amare questa danza, tipica della sua terra e di averla ballata da giovane. Un invito partito questa estate su alcuni social network e che pian piano è diventato un evento che ha coinvolto migliaia di persone. Cristina Camorrano organizzatrice di questo omaggio al Papa:

R. – E’ un ballo di pace. Il messaggio che io voglio mandare non è tanto il ballo, la sua tecnica, la bravura o la non bravura o la difficoltà di questo ballo, che si dice sia un ballo complesso. Il messaggio è quello dell’abbraccio: noi che balliamo il tango sappiamo bene che la cosa fondamentale e l’essenza di questo ballo è l’abbraccio. Quindi, un grande abbraccio al Papa per il suo compleanno.

Ma ascoltiamo i commenti di alcuni tangueri che hanno partecipato all’ iniziativa.

R. – E’ stata una cosa stupenda questa. Partita in agosto… La proposta è stata accolta subito da tutti con un entusiasmo incredibile. Il Papa ci ha veramente catturati! E questo legame Tango-Argentina-Papa, secondo me è stata una occasione stupenda!

Auguri al Papa "tanguero"
D. – Oggi è il suo compleanno: cosa auguriamo a Papa Francesco?

R. – Che riesca a portare il messaggio di pace che tutti attendiamo con ansia.

R. – Condividere un momento di gioia tutti insieme, perché la musica è unione e quindi è il mondo.

R. – Noi siamo di Rovigo… E’ stata una esperienza fantastica! Molto emozionante. Quindi: “Tanti tanti auguri, Papa Francesco!

D. – Un Papa tanguero?

R. – Un Papa che ha portato il vento della Pampas. E’ meraviglioso!

R. – Da tanguera gli auguro un abbraccio grandissimo…

R. – Portare tanta pace, perché ne abbiamo bisogno, soprattutto in quei popoli che sono molto più poveri di noi. Noi siamo comunque fortunati. Con un grande abbraccio, il nostro abbraccio, quello dei tangueri.

"Dio benedica la sua missione"
E tanti erano anche i fedeli accorsi in Piazza San Pietro per augurare al Papa buon compleanno. Ascoltiamo alcuni commenti:

R. – Vengo da Venezia. Gli auguro ancora tantissimi giorni e tantissimi anni. Che Dio benedica la sua missione in mezzo al Popolo di Dio e che Dio sia sempre con lui.

R. – Di proseguire così e darci l’esempio. E’ un grandissimo Papa e tutti gli vogliamo un gran bene. E’ uno di noi.

R. – Lo sentiamo vicino come un fratello, come un papà… E’ un dono per tutti! La sua umiltà, la sua gioia… Lui crede in questi valori ed aiuta.

R. – Auguriamo a Papa Francesco che nella Chiesa, nel cuore della Chiesa il Bambino Gesù possa trovare una famiglia con calore e con molto affetto. Come lui ci ha insegnato, andando alla periferia e accogliere la gente tra di noi, noi come sacerdoti insieme ai laici facciamo parte della famiglia della Chiesa.

R. – (Coro di bambini) “Tanti auguri Papa Francesco! Buon Compleanno!”.

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Francesco compie 78 anni. Auguri di Hummes: avanti con le riforme

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Oggi, 17 dicembre, Papa Francesco compie 78 anni. Tanti gli auguri che stanno giungendo al Pontífice da tutto il mondo: ascoltiamo quelli di un suo caro amico, il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, presidente della Commissione Episcopale per l’Amazzonia, raggiunto telefonicamente a San Paolo da Cristiane Murray

R. – A me piacerebbe tanto essere a Roma per dare un abbraccio amico e fraterno, nel suo 78.mo compleanno, all’amato Papa Francesco. Preghiamo per lui. Tutti noi vogliamo dirgli che siamo con lui e soprattutto per questi grandi progetti che lui ha davanti a sé: il progetto della riforma della Chiesa. Un progetto urgente e necessario, la riforma della Chiesa. Vogliamo dirgli che siamo accanto a lui per partecipare a questa riforma e siamo sempre molto solidali con lui. Formuliamo per lui i voti che abbia buona salute sempre, che Dio lo consoli sempre, che Dio gli dia il coraggio e la forza per andare avanti. E anche, che abbia la gioia e la felicità, in questo lavoro, in questo ministero, anche se è sempre difficile. Questo lavoro è molto faticoso, questo suo ministero petrino. Noi vogliamo abbracciarlo, baciarlo e pregare per lui in modo molto speciale.

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I detenuti italiani: auguri Francesco, sei sempre con noi

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Anche i detenuti italiani fanno gli auguri di buon compleanno a Papa Francesco. Centinaia le lettere con le quali moltissimi si stringono affettuosamente intorno al Pontefice e lo ringraziano per i suoi continui sforzi in favore di un miglioramento della loro difficile situazione detentiva. Federico Piana ne ha parlato con don Virginio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri: 

“Francesco è con noi nella cella”
R. – Dalle lettere che arrivano continuamente quasi tutti i giorni, si vede chiaramente che si augurano che il Papa continui a vivere a lungo e che la sua forza che sta mettendo sia nella vicinanza a loro, sia rispetto ai loro familiari – ma in generale al mondo dell’amministrazione e della giustizia e con proposte piuttosto forti come l’abolizione dell’ergastolo, la pena di morte, il modo di amministrare giustizia – in modi diversi ha aperto il cuore attirando grandissima gratitudine da parte di tutti: e direi non solo delle persone detenute, ma da parte di tutti gli operatori che sentono il Papa molto vicino al cammino di cambiamento della giustizia.

D. – In questa giornata, cosa vogliono dire i carcerati a Papa Francesco?

R. – Lo ringraziano perché ha fatto riscoprire a molti la vicinanza di Dio: dà il senso che Dio non li abbandona che Dio – come dice lui -  è assieme a loro, nella loro cella. Dà il senso si una partecipazione alla sofferenza, alla ricerca di speranza di moltissime persone. Credo che questa sia la cosa più forte. Poi lo ringraziano perché è vicino anche alle loro famiglie, perché manda loro le benedizioni , perché sente la loro fatica di crescere. Credo che questi siano i sentimenti maggiori. Poi, lo ringraziano per tutte le preghiere che fa per loro e, dall’altra parte, promettono continuamente che anche loro si ricordano di lui nella preghiera.

In tre metri quadrati
D. – Ragioniamo un po’ sul carcere, perché la situazione è ancora drammatica. Ci avviciniamo a Natale e molti vivono ancora in cella con cinque, sei, sette, dieci persone…

R. – Bisogna dire che qualcosa è migliorato. Non bisogna guardare solo le cose che non vanno, bisogna vedere anche i lati positivi. Molte le carceri che si sono riequilibrate dal punto di vista del sovraffollamento. Ce ne sono altri, soprattutto nelle grandi città, in cui si fa veramente ancora fatica. Credo che il problema più grande non sia guardare se ci sono i tre o quattro metri quadrati: è la vivibilità complessiva dell’essere in carcere e soprattutto la possibilità di pensare se c’è un futuro positivo per la propria vita. Su questo Papa Francesco ha detto delle cose importantissime mandando dei messaggi ai giuristi. Anche quanto a scritto a Latina, anche lì, fondamentalmente diceva: guardate che sono con voi perché la vostra vita migliori.

Riconciliare più che punire
D. – Questi interventi di Papa Francesco potranno pian piano risolvere qualche cosa? C’è la possibilità di ripensare un po’ il sistema carcere, quello giudiziario per evitare il carcere a persone che magari potrebbero stare a casa ai domiciliari?

R. – Sì, io spero che accolgano il suo messaggio, anche se è veramente faticoso cambiare la mentalità che passa da una giustizia che attribuisce semplicemente delle pene in carcere, a una giustizia riconciliativa, cioè quello che sta chiedendo abbondantemente. Un conto è mantenere delle persone semplicemente in carcere – pur con i cambiamenti, con il miglioramento del carcere – un conto è vedere che fare giustizia vuol dire anzitutto riconciliare degli uomini che hanno fatto del male a qualcuno. Papa Francesco lo ha detto molto chiaramente parlando anche delle vittime.

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Nomine episcopali in Brasile e Francia

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Rio do Sul, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Augustinho Petry. Al suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote Onécimo Alberton, finora parroco della parrocchia “São Paulo Apóstolo” a Criciúma. Mons. Alberton è nato il 16 febbraio 1965 nella città di Orleans, diocesi di Tubarão. Ha frequentato il Corso di Filosofia presso l’Universidade do Sul (UNISUL) in Tubarão (1980-1983) e quello di Teologia presso l’Istituto Teologico di Santa Catarina (ITESC) in Florianópolis (1987-1991). Inoltre, ha frequentato un Corso di specializzazione in Psicopedagogia presso la FAFIM in Viamão. Il 27 settembre 1992 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale ed è stato incardinato nella diocesi di Tubarão. Nel 1998, con l’erezione canonica della diocesi di Criciúma, è passato a tale circoscrizione ecclesiastica. Ha svolto i seguenti incarichi: Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora da Natividade” in Cocal do Sul, diocesi di Criciúma; Formatore nel Seminario minore e maggiore di Criciúma; Rettore del Seminario di Teologia “Bom Pastor”, con sede a Florianópolis; Presidente della “Organização dos Seminarios e Institutos Filosófico-Teológicos do Brasil” (OSIB) a livello del Regionale Sul IV.

Sempre in Brasile, il Pontefice ha nominato vescovo di Cruz Alta il sacerdote Adelar Baruffi, del clero della diocesi di Caxias do Sul, finora vicario parrocchiale della Parrocchia "Santo Antônio" a Bento Gonçalves. Il neo presule è nato il 19 ottobre 1969 a Garibaldi, nella diocesi di Caxias do Sul. Entrato nel Seminario Minore diocesano "Nossa Senhora Aparecida" di Caxias do Sul, ha seguito gli studi medi e superiori. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso l'Università di Caxias do Sul (1988-1990) e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul (1991-1994). Il 12 gennaio 1995 ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale ed è stato incardinato nella diocesi di Caxias do Sul. Ha ottenuto la Licenza in Antropologia Teologica e Teologia Spirituale presso la Pontificia Facoltà Teologica del "Teresianum" a Roma (2000-2001) e ha seguito corsi per Formatori di Seminario in Brasile (CNBB) e a Santiago di Cile (CELAM). Ha svolto i seguenti incarichi: Assistente spirituale, Coordinatore dei Formatori e Rettore del Seminario Minore e del Corso Propedeutico, Rettore del Seminario Maggiore, Coordinatore della Pastorale Presbiterale diocesana, Vicario Parrocchiale e Membro del consiglio dei Presbiteri e del Collegio dei Consultori.

In Francia, Papa Francesco ha nominato vescovo di Pamiers il sacerote Jean-Marc Eychenne, finora vicario generale di Orléans. Mons. Eychenne è nato il 2 novembre 1956 a Pamiers, nella diocesi omonima. Ha compiuto gli studi primari e liceali nella regione parigina, dove la famiglia si era trasferito. Ha iniziato i corsi universitari di filosofia all’Università di Paris-Sorbonne. Entrato nella Communauté Saint-Martin, ha compiuto gli studi di filosofia e di teologia nel Seminario di Genova, ottenendo il Baccalaureato presso la Facoltà di Teologia di Milano. Nel biennio 1985-1986 ha preparato e sostenuto l’esame di Licenza in Teologia presso l’Università di Friburgo in Svizzera. E’ stato ordinato sacerdote il 4 luglio 1982. E’ stato incardinato nell’arcidiocesi di Genova e dal 1994 è membro del clero di Orléans. Dopo l’ordinazione, è stato Maestro dei novizi della Communauté Saint-Martin (1982-1985), e poi insegnante all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Genova e formatore dei seminaristi della Communauté Saint-Martin a Genova (1986-1987). Nel 1987, è stato mandato nella diocesi di Orléans, divenendo prima vicario parrocchiale di Madeleine di Orléans- Chécy (1987-1989), e in seguito Vicario episcopale per i giovani, con collaborazione nella parrocchia di Jargeau (1989-1995). Dal 1995 al 2004 è stato parroco di Saint-Yves de la Source, e dal 2004 al 2008, Vicario episcopale per la zona pastorale di Val-de-Loire et Sologne. Dal 2008 è Vicario generale della diocesi.

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Francesco completa Commissione tutela minori. Lombardi: buona notizia

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Papa Francesco, secondo quanto era stato previsto, ha nominato nuovi membri della Commissione per la tutela dei minori, scelti da diverse parti del mondo, così da avere un’ampia rappresentanza di diverse situazioni e culture. La prossima plenaria della Commissione avrà luogo, come già anticipato, dal 6 all’8 febbraio prossimi in Vaticano. Sul significato di queste nomine, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti

Rappresentati tutti i continenti
“E’ una buona notizia che adesso la Commissione sia completa nella sua costituzione e quindi possa programmare il suo lavoro in modo sistematico e con degli orizzonti importanti davanti a sé. Con questi nuovi membri, effettivamente, si raggiunge lo scopo che era desiderato, di avere dei rappresentanti delle diverse situazioni geografiche e culturali. Nel totale dei diciassette membri sono rappresentati tutti i continenti: adesso ci sono anche rappresentanti dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania, dell’America Latina, oltre che dell’Europa e dell’America settentrionale”.

Rappresentanza interdisciplinare
“E’ una rappresentanza molto interdisciplinare, anche questo è un aspetto importante. Ci sono persone competenti in psicologia, psichiatria, pedagogia, ricerca sociale, morale, teologia, diritto. Quindi, veramente, le diverse competenze sono coinvolte e questo permetterà di sviluppare poi anche il lavoro con ulteriori collaboratori o gruppi di lavoro in diverse parti, che possano fare riferimento a dei veri competenti membri della Commissione”.

Su 17 membri 8 sono donne
“Da notare è che su 17 membri, vi sono otto donne, e quindi, a parte il presidente, che è il cardinale O’Malley, la metà dei membri sono donne, di cui due religiose. Dei nove uomini che fanno parte della Commissione, cinque sono sacerdoti e quattro laici. Abbiamo quindi dieci laici, tra donne e uomini, che sono membri, integrano questa Commissione, che quindi appare molto ben composta, varia nella sua composizione. Certamente l’importante presenza delle donne è pure un segnale molto importante”.

Vittime di abusi tra i membri
“Tra le persone nuove che sono state nominate vi è anche un uomo, che è stato vittima di abuso e che tra l’altro conosce già, anche personalmente, il Papa, perché era una delle persone che hanno partecipato all’incontro con il Santo Padre, quando ha incontrato per diverso tempo delle vittime di abuso nei mesi scorsi. Abbiamo, quindi, adesso, una signora, l’irlandese Mary Collins, e l’inglese Peter Saunders. Abbiamo, dunque, sia una donna sia un uomo, che portano anche l’esperienza vissuta dell’aver subito questo grave trauma, questo gravissimo problema nella loro vita”.

Impegno Chiesa contro abusi
“La Commissione ha, non solo le competenze, ma anche le esperienze necessarie per affrontare veramente, con piena serietà, questa gravissima situazione e credo che dovremo proprio aspettarci un buon lavoro, che dimostra l’attenzione che la Chiesa vuol dare nell’affrontare nel modo più adeguato, anche nella varietà delle situazioni culturali, e non solo ecclesiali, questa piaga del nostro tempo”.

Questa la composizione completa della Commissione:

Cardinale Seán O'MALLEY, OFM Cap. - Presidente
Mons. Robert OLIVER (Usa)  - Segretario
Rev. Luis Manuel ALI HERRERA (Colombia)
Dr. Catherine BONNET (Francia)
Marie COLLINS (Irlanda)
Dr. Gabriel DY-LIACCO (Filippine)
Prof. Sheila the Baroness HOLLINS (Inghilterra)
Bill KILGALLON (Nuova Zelanda)
Sr. Kayula Gertrude LESA, RSC (Zambia)
Sr. Hermenegild MAKORO, CPS (Sud Africa)
Kathleen McCORMACK AM (Australia)
Dr. Claudio PAPALE (Italia)
Peter SAUNDERS (Inghilterra)
Hon. Hanna SUCHOCKA (Polonia)
Dr. Krysten WINTER-GREEN (Usa)
Rev. Dr. Humberto Miguel YÁÑEZ, SJ (Argentina)
Rev. Dr. Hans ZOLLNER, SJ (Germania)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Atti disumani: Papa Francesco prega per le vittime del terrorismo che non si ferma neppure davanti ai bambini.

In periferia il nuovo inizio della storia: all’udienza generale il Papa indica la normalità della vita a Nazaret come modello per tutte le famiglie.

E le pietre raccontano: Anna Foa sui monumenti costruiti in ricordo degli stermini nazisti.

Uomini e lupi: Jean-Michel di Falco sulla persecuzione dei cristia1ni nel mondo.

Un articolo di Carlo Pulsoni dal titolo “Quel Cavalcanti rappezzato tra le rovine”: Ezra Pound e la Biblioteca Vaticana.

Quando il ritorno è una festa: Claudio Toscani sul rapporto tra padre e figlio secondo Carmine Abate.

Gabriele Niccolò sull’arte di rimandare: da Demostene a Hugo passando per Amleto.

In cammino: il segretario generale Serge-Thomas Bonino spiega i programmi della Commissione teologica internazionale.

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Oggi in Primo Piano



Yemen: attacco a scuolabus, 25 vittime, gran parte bambini

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“Al Qaeda ha lasciato la sua impronta”. Non hanno dubbi i servizi di sicurezza dello Yemen, nel ricostruire la matrice dell’ultimo duplice attentato anti sciita nella provincia centrale di Al Bayda, ricordato anche da Papa Francesco nelle sue preghiere all’udienza generale. Due kamikaze a bordo di altrettante auto si sono lanciati prima contro uno scuolabus fermo a un posto di blocco, uccidendo almeno 15 bambini delle elementari, e poi nei pressi dell’abitazione di un leader locale, con un bilancio di altre 10 vittime. Nel Paese da tempo si assiste ad una violenta contrapposizione tra Al Qaeda, organizzazione terroristica a maggioranza sunnita, e miliziani sciiti Houthi che negli ultimi mesi hanno conquistato la città di Rada, sull'onda di una vasta offensiva scatenata dalla loro roccaforte nel nord, Saada. A settembre i miliziani hanno preso il controllo della capitale Sanaa e da lì continuano ad avanzare nel centro e nell'ovest del Paese. Giada Aquilino ha intervistato Renzo Guolo, docente di sociologia dell’Islam all’università di Padova: 

Sciiti bersaglio di Al Qaeda 
R. – Ancora una volta, come in altri contesti, purtroppo le vittime sono gli innocenti: in questo caso bambini. Si va a colpire un bersaglio che suscita un enorme impatto emotivo e anche mediatico. Allo stesso tempo, purtroppo, agli occhi degli attentatori - probabilmente qaedisti sunniti - questi non erano bambini, ma appartenenti ad una comunità religiosa specifica, quella degli sciiti, che oggi stanno sempre più guadagnando terreno all’interno del conflitto che divide da tempo lo Yemen e che come tali sono quindi considerati, indipendentemente dall’appartenenza di sesso e di età. Quindi il bersaglio erano gli sciiti: che poi questi fossero degli innocenti, agli occhi di chi persegue un preciso obiettivo strategico - di alimentare la conflittualità e di colpire duramente il nemico - poco importa.

D. – Viene da chiedersi come sia possibile uccidere dei bambini e poi annoverare tali violenze in una sorta di nuovo tragico capitolo della contrapposizione tra Al Qaeda, a la maggioranza sunnita, e miliziani sciiti…

R. – Il carattere di questo drammatico conflitto, che si traveste da simbologia religiosa, è sostanzialmente quello determinato dal fatto che gli sciiti sono considerati dai qaedisti sunniti come una sorta di eretici, di apostati: sono fondamentalmente considerati miscredenti e infedeli, al di là della loro proclamata appartenenza ad un ramo pur minoritario dell’Islam. Questa è la grande tragedia del tempo: il fatto che l’identità altrui venga considerata una sorta di passaporto per la sua eliminazione fisica, quando non coincide con la visione radicale: una sorta di nemico da eradicare completamente dal panorama, in quanto ostacolo all’affermazione del proprio progetto politico e religioso.

Ruolo di Arabia Saudita e Iran
D. – Che realtà sono poi di fatto Al Qaeda e le milizie Houthi?

R. – Al Qaeda è il ramo, in questo caso, dell’Aqap e cioè della branca che sta nella Penisola Arabica: comprende soprattutto fuoriusciti dall’Arabia Saudita e alcuni yemeniti locali, che combattano sostanzialmente avendo un duplice sguardo rivolto verso lo Yemen, ma anche a quanto accade in Arabia Saudita, nel senso che hanno trovato comunque rifugio nell’estremità meridionale della Penisola Arabica. Dall’altro lato, invece, le milizie Houthi sono sciite: gli sciiti sono sempre stati sostanzialmente emarginati dai regimi locali, sunniti, e quindi rivendicano un proprio spazio di autonomia politica e un mutamento di potere che potrebbe tradursi non solo nella conquista del potere dello Stato centrale, ma anche in una frantumazione territoriale. Però su questo ci sono interessi convergenti. Per capirci: l’Arabia Saudita è impegnata oggi in una dura lotta contro i qaedisti sul piano interno, ma ostacola gli sciiti in quanto li vede come stretti alleati dell’Iran, che è a livello macro-regionale il suo nemico principale nel Golfo. Quindi abbiamo un duplice conflitto che riguarda sunniti e sciiti, ma anche le potenze confessionali, o che si sono erette a tali come protettrici delle popolazioni sunnite locali, dentro un contesto in cui lo scontro riguarda anche il conflitto tra l’Arabia Saudita e l’Iran, che si svolge sia nel Golfo, sia - come sappiamo oggi - tra Siria ed Iraq.

Islam senza gerarchie
D. – Il Papa, a proposito di quanto accaduto in Australia, in Pakistan e nello Yemen, ha pregato perché si convertano i cuori dei violenti. Quanto sono importanti questi appelli, queste prese di posizione al di là del credo religioso, proprio davanti a contrapposizioni come - ad esempio - quella che c’è in Yemen?

R. – Sono sicuramente importanti perché fanno riferimento ad una comune natura umana, si potrebbe dire. Nel caso dell’Islam c’è però un problema, che è legato proprio alla sua natura e alla sua organizzazione socio-religiosa: l’Islam è una religione senza centro, non c’è una gerarchia. E questo ha delle conseguenze, perché si è sviluppato all’interno del mondo islamico, in questi ultimi decenni, un movimento che tende ad interpretare e a mettere in discussione la tradizione religiosa attraverso una lettura diretta dei testi e attraverso una lettura spesso anche distorta dei testi, come nel caso dei gruppi islamisti radicali. Quindi questo mette in crisi le autorità religiose musulmane tradizionali, che non riescono ad imporre, in qualche modo, quello che un tempo veniva chiamato il consenso della comunità, l’interpretazione della dottrina.

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Iraq, mons. Nona tra i profughi: servono case per famiglie

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Almeno 150 donne sono state messe a morte in Iraq dai miliziani del sedicente Stato islamico, nella provincia di al-Anbar, nel nordovest del Paese, dopo essersi rifiutate di sposare i jihadisti. Intanto, sono più di settemila i cristiani fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive verso la Giordania e le risorse disponibili per la loro assistenza finiranno entro due mesi. A lanciare l'allarme è la Caritas giordana. Stesso dramma stanno vivendo i rifugiati cristiani nel Kurdistan iracheno. Fra loro, c’è mons. Amel Shamon Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, che al microfono di Emanuela Campanile spiega necessità e stato d’animo di questo momento: 

Famiglie nei container
R. – Sicuramente, il problema più grosso per noi rifugiati è trovare le case per tutti. Questo è un grosso problema. Abbiamo centinaia di famiglie nei container e anche Aiuto alla Chiesa che soffre ha partecipato per circa 150 container, un container per ogni famiglia. Ma abbiamo anche un altro progetto: prendere le case in affitto e anche in questo Aiuto alla Chiesa che soffre ci ha sostenuto molto. Rimane il bisogno delle case, perché il numero delle famiglie rifugiate in Kurdistan è molto alto. Quindi, il problema più grosso è quello delle case.

D. – Come siete stati accolti dalle comunità di questa zona?

R. – Veramente non abbiamo nessun problema con le comunità locali di questa zona, né in quella dei curdi o di altre etnie. Perché non siamo solo noi i rifugiati. Ci sono anche altre etnie rifugiate qui, in Kurdistan, gli arabi sunniti, gli sciiti e altre… Ringraziamo Dio che non abbiamo nessun problema con le comunità locali.

Eravamo duemila
D. – A Mosul, la comunità cristiana quanto contava, in quanti eravate?

R. – Prima dell’ultima crisi, nella stessa città di Mosul, tutti i cristiani contavano circa 2.000 famiglie. Il numero non era preciso perché c’erano sempre le famiglie che andavano via, ma prima della crisi c’erano circa 2.000 famiglie.

D. – Che cosa chiedono queste persone al loro pastore, in un momento in cui il loro pastore condivide la loro stessa sorte?

R. – All’inizio della crisi, chiedevano sempre  cose materiali: trovare una casa, trovare qualcosa per mangiare… Ma col passare del tempo questi bisogni sono cambiati, perché  adesso ci chiedono del futuro: di quale futuro ci auguriamo qui dopo circa sei mesi, quale futuro possiamo avere qui, se torneremo alla nostra terra, alle nostre case o rimarremo qui. A queste domande non posso rispondere, perché non sappiamo cosa succederà in futuro. Ma abbiamo questi problemi e queste difficoltà e la nostra gente sta perdendo la fiducia nel futuro e in questa terra.

Se tarda soluzione, cristiani spazzati via
D. – Mons. Nona, Mosul è il nome che diedero gli arabi all’Antica Ninive, la capitale assira, citata anche nella Bibbia, una zona di appartenenza millenaria. E’ pensabile che la presenza cristiana venga spazzata via così, che cosa secondo lei potrebbe succedere?

R. – Può succedere che la situazione rimarrà così. Per noi è molto importante il tempo. Quanto più rimarremo in questa situazione senza trovare una soluzione, tanto più perderemo le nostre famiglie, perché tutti i giorni ci sono famiglie che ci lasciano, che vanno via. Speriamo di restare, anche se come piccola comunità, ma avere la speranza che rimarremo qui.

D. – Ci stiamo avvicinando a Natale, un periodo in cui dovrebbe risorgere la speranza, un periodo in cui bisognerebbe anche, come cristiani, pregare di più…

R. – Certo. Noi attendiamo con gioia la nascita del nostro Signore Gesù fra i nostri rifugiati, fra i nostri fedeli cristiani, ma anche con tanta preghiera. Ci stiamo preparando a celebrare il Natale con gioia, con una fede forte. Nessun ostacolo può farci lasciare la nostra fede. Noi cristiani, soprattutto i cristiani dell’Iraq, abbiamo lasciato di tutto per non lasciare la nostra fede e per questo siamo orgogliosi della fede cristiana, siamo orgogliosi di essere cristiani, nonostante viviamo in una situazione molto difficile. La nostra vita cristiana è più importante di tutte le altre cose. Speriamo che il Signore quest’anno nasca fra la gente, fra i nostri cristiani, e che troveremo presto la soluzione per la nostra situazione.

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Il conflitto in Libia. Allarme di Mali, Ciad e Senegal

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In Libia, giornalmente si registrano scontri armati tra le opposte fazioni. Mentre l’Onu esorta al dialogo, cresce nei Paesi limitrofi la preoccupazione. I presidenti di Ciad, Mali e Senegal hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinché intervenga contro i gruppi islamici attivi nel sud del Paese, che minacciano la stabilità dell’intero Sahel. Sul rischio di regionalizzazione del conflitto libico, Giancarlo La Vella ha sentito Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, l'Istituto di Studi di politica internazionale: 

Due schiaramenti contro
R. – In realtà, questa regionalizzazione del confronto sta avvenendo già da diversi mesi, cioè da quando la polarizzazione politica si è trasformata in polarizzazione militare con almeno due schieramenti – ma sono diverse le fazioni alleate in questi due schieramenti al momento – che si stanno affrontando sul territorio libico. C’è un coinvolgimento internazionale, perché naturalmente gli interessi non sono solamente interni, ma internazionali. Si tratta ovviamente di interessi economici, la Libia è un Paese molto ricco. Ed è questa la visione che coinvolge soprattutto, da una parte, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati nello sponsorizzare, ad esempio, il governo di Tobruk e le forze del generale Haftar, e dall’altra parte vediamo invece altri attori, come la Turchia, il Qatar, sponsorizzare invece il governo di Tripoli. Quindi, questo coinvolgimento c’è già.

D. – C’è il rischio che, oltre a quello della regionalizzazione, come in Siria ed in Iraq prenda piede lo Stato islamico?

R. – Questo sta già avvenendo, perché ci sono degli emissari dello Stato islamico e ci sono, in particolare, delle fazioni che si sono apertamente dichiarate jihadiste e si sono messe sotto il "cappello" dell’Isis. Tuttavia, io non lancerei un allarme di questo tipo, perché le forze radicali sono fra loro frammentate.

Idee per una mediazione
D. – Da escludere dunque un intervento internazionale sul terreno?

R. – Secondo me, sarebbe negativo in questo momento. In realtà, quello che ci vuole è un’opera di mediazione tra queste potenze regionali e quelle europee e Stati Uniti, affinché si insista sulla possibilità di ristabilizzare il Paese attraverso la via di un dialogo nazionale e attraverso un’opera di moderazione tra le parti: riconvochiamo le parti in causa e cerchiamo di metterle intorno a un tavolo negoziale. Certamente, bisogna avere idee, spunti. Bisogna avere un’iniziativa politica più incisiva, ma bisogna anche ricordare che questo è il presupposto per la stabilità di un Paese. Dove ci sono Stati falliti, proliferano jihadismi. Le strade brevi di interventi armati, non hanno mai risolto il problema, anzi, mi pare l’abbiamo sempre più complicato.

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Caritas Polonia: a Natale aiutiamo bambini in Iraq e Siria

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Un posto vuoto alla tavola imbandita per il Natale perché un povero possa sedervi. E' una delle antiche e belle usanze della Polonia legate alla festa del 25 dicembre. Il direttore della Caritas polacca, Marian Subocz, racconta delle iniziative di solidarietà e senso della comunità che si stanno preparando nel Paese, alcune delle quali hanno coinvolto anche Papa Francesco. L'intervista è di Corinna Spirito: 

R. – L’iniziativa più conosciuta in Polonia è proprio la candela del Natale. È un’opera di aiuto ai bambini per la vigilia di Natale perché da noi, durante la vigilia, la famiglia si raduna per cenare insieme e si lascia sempre un posto libero per qualcuno bisognoso. Quando abbiamo ricostruito le strutture della Caritas dopo la caduta del comunismo, abbiamo deciso di riempire questo posto vuoto con la candela della Caritas, cioè con i soldi ricavati dalla vendita della candela si aiutavano i bambini. Dal 1993 fino ad oggi, abbiamo venduto più di 20 milioni di candele e con il ricavato abbiamo raccolto abbiamo aiutato più di un milione di bambini. Questi hanno potuto così passare le vacanze, abbiamo comprato medicinali, cibo per loro. Poi, nel 1996 abbiamo deciso di offrire una parte di quanto raccolto ai bambini che si trovano nei Paesi più poveri. Ad esempio, quest’anno abbiamo deciso di aiutare i bambini in Iraq e in Siria. Dal 2000, questa azione è diventata anche ecumenica: abbiamo invitato la Chiesa ortodossa, i protestanti  e la diaconia. Facciamo questa azione insieme.

D. – Sappiamo che quest’anno ci sarà anche un intervento di Papa Francesco…

R. – Il Santo Padre, la terza domenica di Avvento, ha acceso la candela della Caritas polacca e siamo molto contenti che proprio lui abbia riconosciuto questa opera. Ma sono tanti i gesti che il Santo Padre ha compiuto, non sono solo quello che riguarda la candela. Per esempio, c’è l’altra azione in Polonia, il cosiddetto “pacchetto nobile”. Lo scopo di questa azione è quello di aiutare persone bisognose, anziane, che vivono da sole e la famiglie con molti figli: 805 mila persone hanno partecipato. È stata anche una sorpresa per noi qui in Polonia, perché anche il Santo Padre ha mandato un pacchetto per una famiglia con otto bambini tramite il nunzio in Polonia.

D. – Una tradizione molto importante in Polonia è quella dei Re Magi. In cosa consiste?

R. – In Polonia, come del resto accadeva anche in Italia, in Francia, si facevano le cosiddette rappresentazioni natalizie, nelle chiese o nelle scuole. Però, nel 2000 è venuta l’idea di essere presenti nello spazio pubblico. Allora, hanno organizzato un corteo con i Re Magi per la prima volta a Varsavia al quale ha partecipato tanta gente. Quest’anno, già 187 città hanno preso parte a questo corteo. Lo scopo prima di tutto è ridare la gioia della tradizione, cantare insieme le canzoni di Natale e sottolineare i valori della famiglia e quelli comunitari.

D. – La vicinanza fa sentire ai polacchi la crisi in Ucraina in maniera ancora più forte rispetto al resto del mondo. La Caritas come si sta impegnando in questo senso?

R. – La Caritas polacca è presente anche in Ucraina. Dà un aiuto concreto anche agli ucraini che soffrono a causa della guerra. Abbiamo mandato più di 10 mila pacchetti contenenti i generi necessari, cibo, vestiti… La situazione è molto, molto difficile. Allora, bisogna aiutare. Noi siamo sempre in contatto con la Caritas dell’Ucraina.

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Successo di audience per i 10 Comandamenti di Benigni

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Grande successo di pubblico per le due serate di Roberto Benigni su Rai Uno dedicate ai 10 Comandamenti. Oltre 20 milioni, in totale, i telespettatori nei due appuntamenti di lunedì e martedì. Antonella Palermo ha raccolto i commenti di don Germano Galvagno, biblista alla Facoltà teologica di Torino, del padre gesuita Gaetano Piccolo, docente di filosofia alla Gregoriana, e del pastore valdese Paolo Ricca, ai cui testi si è ispirato largamente Benigni: 

Don Germano Galvagno
R. – Partivo da un pregiudizio positivo nei confronti di Benigni, ero certo che non avrebbe venduto un prodotto casuale. Ho apprezzato molto tutto il lavoro a monte perché si intravedeva nella prima serata, presumo anche nella seconda, un grosso lavoro di riflessione e di preparazione. Questo l’ho apprezzato, come anche la sua ars poetica nel presentare tutto questo e nel coinvolgere in tutto questo.

D. – Padre Gaetano Piccolo, ha qualche perplessità?

R. – Sicuramente nessuno vuole mettere in dubbio il genio e l’estro di Benigni e sicuramente il grande merito è di aver parlato di vita spirituale in prima serata, quindi con un’audience incredibile. L’osservazione che io faccio è che l’immagine che è emersa della Chiesa è quella di un’organizzazione che in qualche modo ha volutamente manipolato il dato biblico e quindi ha rielaborato  per suo interesse aspetti di questo decalogo che invece andrebbe riportato alla sua purezza originaria. Quindi, tacendo in qualche modo tutto il percorso biblico che viene fatto e tra l’altro anche tutta la questione dell’elaborazione paolina. Ora, non è che questo venisse chiesto a Benigni ma in qualche modo mi sembra che volutamente sia stato taciuto per proporre i comandamenti come espressione di una religiosità laica. Questo mi sembra il limite, ma comprensibile: cioè, è un’operazione accettabile ma sulla quale però posso fare osservazioni.

D. – Don Germano Galvagno, quale l’utilità di questa operazione: a chi è servita principalmente?

R. – Penso sia servito a tutti. Poter dire che il parlare di Dio, dell’anima, della libertà, della vita, non sono temi da rimuovere, non sono temi pesanti e noiosi… Certo, ci vuole una capacità artistica e comunicativa straordinaria ma c’è qualcosa che interessa e c’è una credibilità che è legata all’artista ma l’artista ha avuto il coraggio di mettere in gioco temi grandi. In questo momento all’Italia può far bene respirare un orizzonte più grande rispetto ai problemi che pure sono notevoli e ci sono.

D. – Paolo Ricca, si è trattato di evangelizzazione?

R. – Ma sì, assolutamente. Di prima qualità, di prima qualità, proprio per la qualità del commento e, come ripeto, per il fatto che lui ha messo in luce l’aspetto evangelico: cioè, che questi Comandamenti sono una benedizione, una benedizione per l’umanità, una benedizione per le singole persone che vogliono cercare di metterli in pratica, sono una benedizione sia per chi crede e si affida a Dio, sia per chi, anche senza riferirsi a Dio, vuole vivere degnamente, vivere bene, non soltanto per sé ma anche per il prossimo. E quindi Benigni ha saputo collegare le due cose in maniera molto delicata, molto fine, molto bella, e ha restituito i Comandamenti alla loro vera natura: sono guide, indicazioni di  un cammino, sono come cartelli stradali che ti dicono che se vuoi arrivare a una certa meta devi seguire questa strada.

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Nella Chiesa e nel mondo



Massacro di Peshawar: la Chiesa invita a riscoprire l'unità

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“L’unica via, l’unica risposta al terribile massacro di Peshawar è riscoprire l’unità del Paese; è riscoprire il nucleo di umanità e di convivenza che fonda la nazione; è inviare un messaggio forte di unità contro la violenza e il terrorismo, che deve partire non solo dal governo, ma dal cuore di ogni cittadino pakistano”: è quanto dice all’agenzia Fides Mr. Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi cattolici pakistani, dopo l’attacco dei talebani pakistani a una scuola militare a Peshawar, avvenuto ieri. L’attacco ha fatto 142 morti, di cui 132 bambini, scioccando l’intera nazione.

Celebrazioni per Giornata lutto nazionale
Oggi Veglie di preghiera e incontri di riflessione sono organizzate in tutto il Pakistan, in una Giornata di lutto nazionale. Anche in molte chiese cristiane, riferiscono fonti di Fides, si prega e si veglia.

Interrogativi dopo il massacro
Nel colloquio con Fides, Chaudhry afferma: “Il massacro è un colpo al cuore della nazione e pone un interrogativo non solo al governo ma ad ogni cittadino. Dove stiamo andando? Quale Paese stiamo costruendo? Le Chiese e molte organizzazioni della società civile fanno la loro parte promuovendo pace, tolleranza, armonia, aiuti umanitari. Oggi urge riscoprire le radici della convivenza civile, sociale e religiosa in Pakistan”. Inoltre, prosegue, “si leva un forte interrogativo su quanti fomentano e usano l’integralismo religioso islamico”.

Condanna attivisti cattolici
Anche l’avvocato cattolico Mushtaq Gill Sardar, attivo difensore dei diritti umani, contattato da Fides, nota: “Condanniamo con forza questa atrocità. Da cristiani in Pakistan ci sentiamo uniti con i nostri concittadini musulmani, segnati dal dolore, e uniamo le nostre preghiere alle loro. Diciamo loro: piangiamo con voi i vostri cari e i vostri bambini. Siamo accanto a voi: la nostra comune umanità lo esige. Chiediamo al governo pakistano di attuare seri provvedimenti per sradicare il terrorismo e l'estremismo religioso dal Pakistan. E’ tempo di agire contro coloro che apertamente diffondono odio religioso, estremismo e terrorismo in nome della religione”. (P.A.)

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Natale in Siria tra paura e speranza

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“La tribolazione di oggi ci permette di dare al Natale il suo vero valore: testimoniare la fede in Cristo fino alla morte. Lo diciamo anche ai nostri fratelli in Occidente. È anche per loro, infatti, che offriamo le nostre sofferenze”. A parlare è il francescano Hanna Jallouf, siriano, 62 anni, parroco del villaggio siriano di Knayeh, nella valle dell’Oronte, vicino al confine con la Turchia. Una zona da tempo sotto il controllo dei jihadisti di Jabhat al-Nusra che si sono macchiati di violenze, vessazioni e soprusi ai danni della minoranza cristiana. Parole che acquistano un ulteriore significato alla luce dell’esperienza personale del religioso, sequestrato con altre persone lo scorso ottobre dai miliziani della fazione jihadista Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al Qaeda, e dopo qualche giorno rilasciato.

La celebrazione del Natale
In un’intervista all'agenzia Sir il religioso ripercorre quella vicenda e racconta come sarà il prossimo Natale nella parrocchia di san Giuseppe. “Da giorni - rivela il parroco - i nostri fedeli hanno cominciato a pulire le case, a preparare qualche dolce, per quel che si può, e rendere dignitosa la festa”. Le Messe si celebrano solo all’interno della chiesa. “Non possiamo uscire fuori dalla chiesa - dice il parroco -, a Natale non possiamo abbellire l’esterno della chiesa, fare il presepe e l’albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci il 24 dicembre”. “La nostra Messa di mezzanotte la celebreremo il pomeriggio per motivi di sicurezza. Mancheranno le luminarie, ma non fa nulla. In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace”.

Nel villaggio la situazione è grave
“Ci hanno portato via le terre, le nostre case, abbiamo subito espropri. Io sono stato imprigionato - ricorda il parroco - insieme ad altre sedici persone del mio villaggio. Non ci hanno lasciato nulla, hanno portato via tutto - spiega il francescano parlando dei miliziani islamisti - una cosa orribile”. “Sopravviviamo perché vogliamo dire ai fondamentalisti che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte”, ribadisce padre Jallouf, che non lamenta problemi “con la popolazione locale con cui viviamo in pace. Abbiamo paura di questi fondamentalisti venuti da fuori che non conoscono la nostra tradizione di convivenza. Hanno provato a convertirci ma senza successo”. “Nella Messa di Natale alla mia comunità dirò che Cristo è la pace e solo da lui viene questo dono. Da Lui il coraggio e la forza per sostenere tanta sofferenza. Alla mia gente dirò, ancora una volta, di testimoniare pace, gioia e unità. Perché ne siamo certi: la Siria vedrà ancora il sole sorgere. La notte sta passando e una nuova alba è vicina”. (A cura di Daniele Rocchi)

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Indonesia: a Java islamisti contro il Natale

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Dozzine di estremisti islamici del distretto di Sukaharjo hanno attaccato tre Centri commerciali a Solo, meglio nota come Surakarta, nello Java centrale, perché vendevano oggetti, capi di abbigliamento e promuovevano eventi legati al Natale. Il gruppo si è rivolto ai proprietari e ai gestori delle attività commerciali, imponendo loro di non "forzare" i dipendenti di religione musulmana a indossare o utilizzare vestiario o altri elementi legati alla festa cristiana, in questo periodo di alta stagione per lo shopping. Dopo la provincia di Aceh, la sola in cui vige la sharia - riferisce l'agenzia AsiaNews - anche in altre zone dell'Indonesia cresce la visione radicale della fede e il proposito di introdurre norme o regolamenti in materia di costume derivati dalla legge islamica.

I raid dell'estremismo islamico
Dietro il raid dimostrativo, avvenuto lunedì sera, contro i negozi di Solo che esponevano elementi legati al Natale, vi sono cinque movimenti fondamentalisti locali: il Consiglio della sharia di Surakarta (Dsks), il Gruppo guerrieri islamici di Surakarta (Luis), le Brigate Al Ishlah, la Jemaah Anshorut Tauhid e la Jemaah Ansarus Sharia. Dopo aver fatto irruzione all'interno dei negozi, essi hanno imposto ai proprietari il divieto di far indossare o mostrare qualunque oggetto del Natale, anche se fatto per una mera ragione commerciale.

Altre intimidazioni anti-cristiane
Ma le intimidazioni dei leader islamici non si limitano ai negozianti: la scorsa settimana un leader musulmano di Jakarta ha intimato al presidente Joko "Jokowi" Widodo di non prendere parte ad alcuna celebrazione del Natale, promossa da cattolici o cristiani. Egli chiede anche celebrazioni di basso profilo, che non disturbi l'animo e la sensibilità dei musulmani. Intanto ad Aceh i divieti di celebrare il Natale sono legge: la scorsa settimana il sindaco di Banda Aceh Illiza Illiza Sa'aduddin Djamal ha pubblicato un regolamento comunale che proibisce ai musulmani di partecipare alle celebrazioni e alle funzioni del Natale in programma ad Aceh. 

Natale in Indonesia
Negli ultimi anni è divenuta prassi comune in Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, per il Natale e l'Anno Nuovo mostrare simboli della festa, anche fra i negozianti. Il portavoce del gruppo Endro Sudarsono ha detto che i tre negozianti hanno assicurato che faranno di tutto per "rivedere" la loro politica di vendita. (R.P.)

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Nigeria: nelle parrocchie 5.000 sfollati in fuga da Boko Haram

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È drammatica la situazione degli sfollati accolti a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno, nel nord della Nigeria, provenienti dalle aree cadute sotto il controllo di Boko Haram, mentre si teme che tra i rifugiati si siano nascosti terroristi di Boko Haram pronti a colpire nel centro della città. Lo afferma una nota inviata all’agenzia Fides da padre Gideon Obasogie, direttore delle Comunicazioni della diocesi di Maiduguri, il cui territorio comprende gli Stati di Borno, Yobe e alcune aree di quello di Adamawa.

Campi profughi saturi
“La situazione degli sfollati non è migliorata, perché le aree dello Stato di Adamawa attaccate in precedenza sono ancora sotto il controllo di Boko Haram” riferisce padre Obasogie. I nuovi attacchi hanno aumentato il numero delle persone rifugiate a Maiduguri e i Campi di accoglienza sono ormai saturi. “Il flusso di rifugiati accresce il rischio che membri di Boko Haram si mascherino da sfollati per entrare a Maiduguri” aggiunge.

L'opera del vescovo
Il vescovo di Maiduguri, mons. Oliver Dashe Doeme, si sta prodigando per offrire assistenza ai 5.000 sfollati accolti in tre parrocchie della città: la cattedrale di San Patrizio, la chiesa di Sant’Ilario e quella di Sant’Agostino. Incontrando gli sfollati, mons. Doeme li ha incoraggiati ricordando che quanti ci perseguitano “possono insultarci, ferirci, distruggere le nostre proprietà e privarci del lavoro, persino ucciderci, ma non potranno privarci della fede”. Il vescovo ha invocato la protezione della Vergine ed ha ascoltato i racconti dei rifugiati, diversi dei quali sono sfuggiti di poco alla morte, nascondendosi per giorni in montagna senza cibo e acqua potabile. Molti di loro hanno familiari dispersi, forse uccisi durante gli attacchi. Sono stati distribuiti agli sfollati sacchi di riso e di fagioli, olio, sale, coperte e reti antizanzara. (R.P.)

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Arcivescovo di Madrid sulla bellezza della famiglia

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“La bellezza e la verità della famiglia corrispondono al desiderio più profondo radicato nel cuore di ogni persona”: lo scrive l’arcivescovo di Madrid, mons. Carlos Osoro Sierra, in una Lettera pastorale diffusa in vista della Festa della Santa Famiglia, che ricorre il 28 dicembre. “Chiesa domestica, comunione di vita che nasce dal dono fedele e indissolubile dei coniugi – scrive il presule – la famiglia viene suggellata dalla presenza e dall’amore di Gesù Cristo”, colui che “rende possibile fondare la casa sopra la roccia”. Per questo, sottolinea l’arcivescovo di Madrid, “il Vangelo della famiglia è e sarà sempre una Buona Novella per il mondo e una fonte di gioia per tutti”.

Celebrazioni a Madrid
Quindi, il mons. Osoro Sierra invita tutti i sacerdoti ed i fedeli a partecipare alle diverse celebrazioni che si terranno il 28 dicembre a Madrid, senza dimenticare le famiglie più bisognose: “Mi appello alla vostra generosità – scrive il presule ai fedeli – in questo momento in cui tante famiglie soffrono a causa della carenza delle cose più necessarie ed in cui occorrono, da parte di tutta la Chiesa, comunione e carità”. Ricordando, poi, l’importanza dell’Eucaristia per la famiglia e della preparazione al matrimonio, l’arcivescovo di Madrid invita a guardare alla “Santa Famiglia di Nazaret”, fonte di “gioia e di speranza per tutte le famiglie”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 351

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.