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Sommario del 28/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il card. Comastri: Karol Wojtyla santo coraggioso che ha vissuto nell’obbedienza al Vangelo
  • Mons. Beschi: Giovanni XXIII aveva il dono di rendere le persone migliori
  • Il sindaco Marino: "Una festa straordinaria"
  • Le voci dei fedeli in san Pietro dopo la visita ai due Papi santi
  • Dal Papa i reali di Spagna: confronto su missione della Chiesa locale e crisi internazionali
  • Il Papa prende parte alla riunione del Consiglio degli 8 cardinali
  • Rinuncia episcopale in Bangaldesh
  • Il Papa ai giovani: una vita alla grande non è una vita per forza felice, Gesù è gioia vera
  • Tweet di Papa Francesco: l’inequità è la radice dei mali sociali
  • Riunione Commissione vigilanza sullo Ior: elaborare linee portanti della propria azione
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Grave il sindaco filorusso di Kharkiv colpito da un attentato
  • Negoziato israelo-palestinese. L'analista Ferrari: momento decisivo
  • Sudafrica in festa, 20.mo della democrazia. Mons. Slattery: resta un'eco di apartheid
  • Sant'Egidio. Convegno “Da Giovanni XXIII a Francesco: ebrei e cristiani in dialogo”
  • Istat. Cresce la fiducia dei consumatori. Il peggio è passato, ma resta sofferenza
  • Aiom e Coni lanciano raccolta fondi contro il cancro
  • Nei cinema il docufilm sul Papa "Francesco da Buenos Aires"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Metropolita Marayati: Aleppo di nuovo nella morsa della guerra
  • Egitto: pena di morte per i Fratelli musulmani e guida suprema
  • Centrafrica: evacuati da Bangui gli ultimi musulmani. Critiche del governo
  • Centrafrica. Il vescovo di Bossangoa: “I musulmani di Bangui sono ostaggio di jihadisti”
  • Obama nelle Filippine: accordo di cooperazione militare Washington-Manila
  • Mons. Sako: "In Iraq tra 10 anni ci saranno solo poche migliaia di cristiani"
  • Messico: seminarista rapito e ucciso nella Settimana santa
  • Bolivia: bambini venduti per sfruttamento sessuale e lavorativo e per la vendita di organi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il card. Comastri: Karol Wojtyla santo coraggioso che ha vissuto nell’obbedienza al Vangelo

    ◊   “I santi non ci chiedono di applaudirli, ma di imitarli”. Questa esortazione di Giovanni Paolo II è risuonata, stamani in Piazza San Pietro, per bocca del cardinale Angelo Comastri nella Messa di ringraziamento per la Canonizzazione di Karol Wojtyla. Alla celebrazione hanno preso parte decine di migliaia di fedeli polacchi, guidati dal cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, che ha espresso gratitudine a quanti hanno permesso lo svolgimento del memorabile evento della Canonizzazione dei due Papi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    E’ tutto vero! All’indomani del giorno mai visto, decine di migliaia di pellegrini sono tornati in Piazza San Pietro come per “toccare” nuovamente con mano l’evento senza precedenti avvenuto 24 ore prima. I due Papi Santi, dagli arazzi, continuano a guardare sorridenti il Popolo di Dio. E il cielo è meno scuro, qualche raggio di sole riesce a farsi spazio tra le nuvole spazzate dal vento.

    Impossibile leggere nel cuore di chi si ritrova nella grande Piazza, ma certamente “gratitudine” è il sentimento che accomuna molti dei presenti. E gratitudine al Signore, per il dono della Santità che si rinnova nella vita della Chiesa, è proprio stato il cuore della Messa presieduta dal cardinale Angelo Comastri, davanti ad almeno 80 mila fedeli, tantissimi i polacchi che – prima di tornare a casa – ancora una volta hanno voluto ringraziare al pastore che li ha guidati per 26 anni da Roma e prima ancora da Cracovia. Proprio l’attuale arcivescovo della diocesi cracoviense, il “segretario di una vita” di Giovanni Paolo II, il cardinale Stanislaw Dziwisz, ha voluto ringraziare quanti si sono prodigati per le Canonizzazioni dei due Papi, a partire da Francesco e Benedetto XVI. E, tra gli applausi della folla, ha messo l’accento sull’amore di Karol Wojtyla per l’Italia, la sua “seconda patria”:

    A nome dei miei connazionali, ringrazio oggi l’Italia e tutti i suoi abitanti per aver accolto tanto cordialmente, anni fa, Karol Wojtyła, come vescovo e papa, arrivato a Roma 'da un paese lontano'. L’Italia è diventata per lui una seconda Patria. Oggi sicuramente Giovanni Paolo II la benedice dall’alto, come anche benedice la Polonia e il mondo intero. Nel suo cuore hanno trovato posto tutte le nazioni, le culture, le lingue”.

    Durante la celebrazione, accompagnata dal coro di Cracovia, il cardinale Comastri - vicario del Papa per la Città del Vaticano - ha sottolineato la straordinaria testimonianza di San Giovanni Paolo II, “roccia nella fede”, difensore coraggioso della famiglia “progetto di Dio”, e della vita umana contro la cultura dello scarto e dell’egoismo. Papa che ha dato voce agli esclusi, che ha ridetto con la sua vita la bellezza del sacerdozio, che si è lasciato guidare da Maria sulla via della fede e che ha saputo parlare al cuore dei giovani come “un padre vero”, “un educatore leale”. Il cardinale Angelo Comastri è riandato, dunque, con la memoria all’8 aprile del 2005, giorno dei funerali di Karol Wojtyla, quando il vento dialogò con le pagine del Vangelo posato sulla bara del Papa santo:

    “Tutti in quel momento ci chiedevamo: ‘Chi era Giovanni Paolo II? Perché l'abbiamo così tanto amato? La mano invisibile che sfogliava l'Evangeliario sembrava dire: ‘La risposta è nel Vangelo! La vita di Giovanni Paolo II è stata una continua obbedienza al Vangelo di Gesù: per questo – ci diceva il vento! – per questo lo avete amato! Avete riconosciuto nella sua vita il Vangelo di sempre: il Vangelo che ha dato luce e speranza a generazioni e generazioni di cristiani!’”.

    “Oggi – ha detto – sappiamo che quel presentimento fu un'ispirazione, perché la Chiesa” attraverso Papa Francesco “ha riconosciuto la santità di Giovanni Paolo II”. E proprio a lui, al Santo che non ha avuto paura, il cardinale Comastri ha chiesto di pregare per la Chiesa che ha tanto amato, affinché non tema di spingersi "coraggiosamente nel sentiero della fedeltà eroica a Gesù”.

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    Mons. Beschi: Giovanni XXIII aveva il dono di rendere le persone migliori

    ◊   Molti fedeli bergamaschi hanno partecipato stamani nella chiesa romana di San Carlo al Corso, dove Papa Roncalli era stato ordinato vescovo, alla celebrazione eucaristica di ringraziamento per la Canonizzazione di Giovanni XXIII. La Santa Messa è stata concelebrata da mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, e dal cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Giovanni XXIII è Santo. “La proclamazione di questo dono davanti alla Chiesa e al mondo – ha detto mons. Francesco Beschi – alimenta la speranza che scaturisce dal Vangelo e da coloro che lo testimoniano in modo luminoso”:

    “Noi vogliamo raccogliere questo dono che è innanzitutto la consapevolezza della ricchezza, del tesoro di fede della terra in cui lui è nato. Un tesoro che, dobbiamo riconoscere, si è conservato anche se sentiamo tutto l’impegno di rinnovare, di alimentare questa fede. Un dono preziosissimo, poi, viene dai tratti di Papa Giovanni, quindi di questa sua capacità di incontrare il cuore di ogni persona: ogni persona si è riconosciuta incontrata da lui”.

    Papa Roncalli – ha aggiunto il vescovo di Bergamo – aveva il dono di far germogliare, nelle persone, i semi della fraternità e della solidarietà:

    “Papa Giovanni aveva il dono di suscitare la parte migliore di ciascuna persona che avvertisse la sua parola, il suo gesto, il suo magistero. E poi, mi sembra assolutamente doveroso – nel senso che è un dovere morale – raccogliere appunto il rapporto tra questa grande intuizione spirituale di Papa Giovanni – docilità allo Spirito, come dice Papa Francesco – in relazione al Concilio. Quindi, parlare di Papa Giovanni vuol dire anche continuamente attingere di nuovo a questa grande esperienza di Chiesa che traccia la strada per il futuro”.

    Durante l’omelia, mons. Beschi ha letto il messaggio che ieri ha consegnato a Papa Francesco, in risposta a quello che il Santo Padre aveva rivolto alla comunità bergamasca, esortata a custodire la memoria del terreno in cui è nata la santità di Papa Roncalli, ad accogliere il cambiamento e a camminare con convinzione lungo la strada tracciata dal Concilio. Si tratta – ha spiegato il vescovo di Bergamo – di un invito che richiede in risposta un’autentica testimonianza:

    “L’invito è molteplice. Mi sembra di poter dire che la comunità bergamasca, anche nella storia attuale, sia disponibile a raccogliere questi inviti. Si tratta effettivamente di non lasciare questo fatto soltanto alla bellezza della celebrazione, ma di portarlo, poi, nella nostra vita quotidiana. E’ quello che mi auguro. Debbo dire che ci confido con grande convinzione”.

    Il cardinale Dionigi Tettamanzi ha infine ricordato che la vocazione alla santità interpella ogni cristiano:

    “Diciamo grazie al Signore per questa santità che è una ricchezza per la Chiesa e per l’umanità. Ma il vero problema è ciascuno di noi, che ha un disegno grandioso da parte di Dio: quello di renderci tutti santi. Cambierebbe la Chiesa, perché sarebbe più evangelica. Ma cambierebbe anche la nostra società, nel segno di una maggiore solidarietà e giustizia, con un’attenzione particolare a chi soffre”.

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    Il sindaco Marino: "Una festa straordinaria"

    ◊   Un ringraziamento a tutti coloro che si sono adoperati per la sicurezza ed assistenza in questa festa della fede è stato espresso dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, che Papa Francesco ha voluto salutare e ringraziare personalmente, facendolo salire sulla jeep bianca che ha fatto il giro della piazza. L’intervista è di Luca Collodi:

    R. - E’ una festa straordinaria! Davvero una città bellissima, con un clima sereno. Ancora una volta il Santo Padre è stato straordinario con le sue parole e con le riflessioni, che hanno attirato l’attenzione di tutto il pianeta.

    D. - Sindaco Marino, l’abbiamo vista salire sulla papamobile per salutare Papa Francesco, alla fine della cerimonia…

    R. - Sì. Mi è passato accanto e mi ha chiesto di salire per un saluto. Ci siamo abbracciati e scambiati qualche parola. Io gli ho detto: “Ha visto, Santo Padre, ce l’abbiamo fatta!”.

    D. - Notiamo come il senso religioso delle persone sia in grado di cambiare, ancora oggi, la vita di una grande città come Roma…

    R. - Assolutamente sì! Io guardavo dal sagrato di San Pietro questa enorme distesa di volti, di colori dei vestiti, di bandiere… Insomma, io direi forse che qualcosa ancora di maggiore della religiosità: la spiritualità che si percepiva. E la spiritualità credo che appartenga a tutti: a coloro che hanno la fede, a coloro che non la hanno. Roma riesce davvero ad essere il centro della spiritualità del mondo.

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    Le voci dei fedeli in san Pietro dopo la visita ai due Papi santi

    ◊   Una lunga coda sotto la pioggia per entrare in una basilica di san Pietro a festa, aperta dal primo pomeriggio e fino a tarda sera, per visitare le tombe dei due Papi santi. E’ ciò che hanno vissuto molti pellegrini, ieri, dopo la partecipazione alla Messa, insieme a tanti romani, in mattinata rimasti a casa per far posto a chi arrivava da più lontano. Dentro a san Pietro uno scorrere continuo davanti all’altare dove è sepolto Giovanni Paolo II e alla teca dentro la quale è visibile il corpo di Giovanni XXIII. Ma sentiamo il commento a questa giornata di alcuni di loro, al microfono di Adriana Masotti:

    R. - Io ho un ricordo particolare di Papa Wojtyla per le lotte che ha sostenuto del sindacato e dei lavoratori polacchi. Io rappresento i lavoratori della mia azienda e molte volte me lo sono sentito molto vicino, l’ho sentito vicino alle nostre lotte, alle lotte dei lavoratori.

    R. - E’ stato un grandissimo personaggio che ha cambiato un po’ le sorti dell’Est Europa. E’ stato lui, al di là di tante altre cose… E’ stato un personaggio grandissimo!

    R. - Hanno attirato molte persone verso la Chiesa con il loro comportamento: per tutto! Tutti e due.

    R. - E’ stata una grandissima emozione. Io posso parlare per Giovanni Paolo II che ha accompagnato la mia infanzia fino alla mia adolescenza, alla mia giovinezza. Per me è stato un grandissimo Papa. Lo porterò sempre nel cuore. Sicuramente!

    R. - Noi siamo romani adottivi. E’ un evento fuori dal normale: è una cosa stupenda! Poi io di Papi qui ne ho vissuti parecchi…

    D. - Mi dica una cosa su Giovanni XXIII…

    R. - Giovanni XXIII ha tolto tutto quello che c’era prima, riguardo ai sacerdoti: quella rigidità… E poi il Concilio Vaticano II dice tutto.

    R. - Per me come Papi hanno segnato la storia del mondo. Per primo Papa Giovanni XXIII è andato in visita alle carceri e Papa Wojtyla gli è andato dietro… Li hanno già fatti santi, ma non una volta sola, diecimila volte bisogna farli santi.

    D. - Cosa pensa di questa doppia canonizzazione?

    R. - Molto importante! Molto importante la canonizzazione; molto importante i due Papi presenti e molto importante Francesco, perché è bravo.

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    Dal Papa i reali di Spagna: confronto su missione della Chiesa locale e crisi internazionali

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto stamani i reali di Spagna, re Juan Carlos e la regina Sofia. Durante il colloquio - informa una nota della Sala Stampa vaticana - “sono state rilevate le buone relazioni tra la Santa Sede e la Spagna, che sono andate sempre più consolidandosi secondo lo spirito degli Accordi del 1979”. In tale contesto, prosegue la nota, “si è fatto riferimento ad alcune questioni di attualità che riguardano la missione della Chiesa nella società e la situazione del Paese”. Non è mancato, infine, “uno scambio di vedute su tematiche di carattere internazionale, con particolare riferimento ad alcune situazioni di crisi”.

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    Il Papa prende parte alla riunione del Consiglio degli 8 cardinali

    ◊   Ha avuto inizio, questa mattina, la quarta riunione di Papa Francesco con il "Consiglio di Cardinali", voluto dal Santo Padre per aiutarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana. Questa riunione con gli otto porporati consultori si concluderà il 30 aprile.

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    Rinuncia episcopale in Bangaldesh

    ◊   In Bangladesh, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all'ufficio di ausiliare dell'arcidiocesi di Dhaka, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Theotonius Gomes, della Congregazione della Santa Croce.

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    Il Papa ai giovani: una vita alla grande non è una vita per forza felice, Gesù è gioia vera

    ◊   Essere ragazzi che non voltano le spalle a Gesù come il "giovane ricco". O, anche se lontani come il "figliol prodigo", hanno "il coraggio di ritornare” per sentire da Lui “l’abbraccio della misericordia”. Ed essere ragazze capaci di donare al mondo ciò che è più tipicamente femminile, tenerezza e pace, a imitazione della Madre di Gesù. Sono inviti che Papa Francesco rivolge ai giovani di Buenos Aires, in un videomessaggio inviato in occasione della loro Giornata regionale della gioventù, svoltasi sabato scorso nella capitale argentina. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Il giovane ricco, quello furbo e il giovane morto. E le donne, maestre di tenerezza in una Chiesa che è “femminile” come loro, come Maria. Nel videomessaggio ai giovani argentini, sviluppato con una freschezza di linguaggio molto coinvolgente, Papa Francesco parte da alcuni esempi di giovani che nel Vangelo hanno incrociato la strada di Gesù e ne analizza il comportamento. Parlo di loro, spiega all’inizio ai ragazzi, “perché ‘fate chiasso’ ve l’ho già detto, di ‘non avere paura di niente’ ve l’ho già detto, di ‘essere liberi’ ve l’ho già detto “. Dunque, il discorso del Papa si impernia sul gioco di luci-ombre determinato dal confronto tra i “giovani Apostoli” di Gesù – alcuni di loro lo erano, dice – e altri, come ad esempio il “giovane ricco”, che con la sua “vita impeccabile” da “bravo ragazzo” rifiuta di donare i suoi averi ai poveri e di seguire il Maestro, perché "avvinghiato alla mondanità":

    “Y se fue con su plata…
    E quel ragazzo è andato via triste perché aveva un mucchio di soldi e non voleva rimetterci per Gesù. E se n’è andato con i suoi soldi e con la sua tristezza. I primi [cioè gli Apostoli - ndr] avevano la loro gioia, quella bella allegria che l’incontro con Gesù donava. Egli invece se n’è andato con la sua tristezza”.

    Certo, riconosce Papa Francesco, anche gli Apostoli “cedettero” – “Pietro lo rinnegò, Giuda lo tradì, gli altri scapparono” – ma successivamente, sottolinea, “lottano per restare fedeli a quell’incontro, l’incontro con Gesù”. Non così il figliol prodigo della parabola, che Papa Francesco chiama il “giovane furbo” e che, sostiene, “ha voluto scrivere da solo la propria vita”, ha “voluto prendere a calci le regole della disciplina paterna”, “e se l’è spassata per bene” finché – lui, figlio del padrone – “che aveva una vita alla grande, ha conosciuto quello che mai aveva conosciuto prima: la fame”:

    “Pero Dios es muy bueno. Dios aprovecha nuestros fracasos...
    Ma Dio è molto buono. Dio approfitta dei nostri fallimenti per parlarci al cuore. Dio non ha detto a questo giovane: ‘Sei un fallito, guarda cosa hai combinato!”’. Lo fa ragionare. Dice il Vangelo che il giovane ‘è rientrato in sé’: ‘Cosa me ne faccio di questa vita? La baldoria non mi è servita a nulla’. (...) Ed è tornato. La sua grande sorpresa – e gli prese un colpo – è stata che il padre lo stava aspettando da anni. (…) E questo grande peccatore, questo grande sperperatore di tutto il guadagno di suo padre, ha incontrato qualcosa che non aveva mai conosciuto: l’abbraccio di misericordia”.

    Terzo esempio, il “giovane morto”, figlio unico di una madre vedova, che Gesù incontra uscendo dalla città di Naim, mentre il corteo funebre va a seppellirlo. In questo caso, nota Papa Francesco, “Gesù ebbe pietà della madre, non del ragazzo. Ma il ragazzo, grazie alla madre, ha ottenuto il miracolo ed è risorto”. Poi, il Papa si mette nei panni della ragazze che lo ascoltano e scherza sul fatto di aver preso esempi per “maschi”. E trova delle parole belle e delicate per parlare dell’essere donna in ottica cristiana, persone come Maria, capaci di portare tenerezza, pace, gioia:

    “La mujer tiene una capacidad para dar vida...
    La donna ha una capacità di dare vita e di dare tenerezza che noi maschi non abbiamo. Voi siete donne di Chiesa. Della Chiesa o ‘dello’ Chiesa? No, non è ‘il’ Chiesa, è 'la' Chiesa. La Chiesa è femminile, è come Maria. E’ quello il vostro posto. Essere Chiesa, conformare la Chiesa, essere insieme a Gesù, dare tenerezza, accompagnare, far crescere. Che Maria, la Signora della carezza, la Signora della tenerezza, la Signora della Prontezza nel servire, vi indichi il cammino”.

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    Tweet di Papa Francesco: l’inequità è la radice dei mali sociali

    ◊   Tweet di Papa Francesco, lanciato sul suo account @Pontifex: “L’inequità è la radice dei mali sociali”.

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    Riunione Commissione vigilanza sullo Ior: elaborare linee portanti della propria azione

    ◊   Si è riunita, stamani, presso la sede dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior), la Commissione Cardinalizia di Vigilanza “per elaborare le linee portanti della propria azione”. Inoltre, informa una nota della Sala stampa vaticana, “si è deciso che la Commissione di Vigilanza si riunirà in via di principio tre volte l’anno, a meno che non intervengano particolari circostanze che richiedano altri incontri”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “Canonizzazione programmatica”.

    L'audacia di Wojtyla e l'eredità di Roncalli: la riconoscenza dei fedeli polacchi e bergamaschi.

    Quanta storia in un giorno solo: l'avvenimento sui media internazionali e sulla rete.

    Avanti per incontrare Gesù: messaggio del Papa ai giovani argentini.

    Il pioniere: il cardinale Kurt Koch su Paolo VI, il Concilio e l'apertura del dialogo con gli ebrei.

    Quel basco donato a Roncalli: il cardinale Roger Etchegaray, vice decano del collegio cardinalizio, insignito della Gran croce della Legion d'onore.

    Abu Mazen condanna la shoah.

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    Oggi in Primo Piano



    Grave il sindaco filorusso di Kharkiv colpito da un attentato

    ◊   Gravemente ferito in un attentato il sindaco filo russo della città di Kharkiv, a 40 chilometri dal confine russo-ucraino. La notizia è arrivata dopo il rilascio di uno degli otto osservatori dell’Osce sequestrati venerdì scorso nell’est dell’Ucraina: si tratta dello svedese che ha una forma di diabete. Gli altri – annunciano i gruppi filorussi – sono "prigionieri di guerra". Il presidente dell’Osce chiede l’immediato rilascio di tutti, mentre i sequestratori intendono scambiarli con miliziani in mano a Kiev. A questo punto ci si chiede se dobbiamo purtroppo parlare di conflitto ormai scoppiato. Nell’intervista di Fausta Speranza, l’opinione del docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento, Daniele De Luca:

    R. – Sicuramente sembra, almeno da qui e dalle notizie che arrivano, un conflitto a bassa intensità ma sempre pronto a esplodere. La situazione sul terreno è sicuramente molto, molto tesa. Anche il sequestro-rapimento-detenzione degli osservatori Osce – non riesco ancora a trovare un termine adatto – sicuramente alza la tensione. Sembra che nessuno tra i protagonisti principali, intendo soprattutto Putin, la vuol portare alle estreme conseguenze; però, si stanno muovendo per vedere che cosa si possa conquistare sul terreno senza sparare troppi colpi.

    D. – Le potenze studiano, elaborano, quasi quasi – possiamo dire – fanno una partita a scacchi… Ma poi sul terreno ci sono vari miliziani, vari gruppi: potrebbe sfuggire di mano la situazione?

    R. – Dalle immagini che si vedono, non sembrano tanto miliziani improvvisati: le armi, il modo di comportarsi, le divise sembrano di forze… Non voglio parlare di forze "regolari", ma comunque sicuramente con un addestramento e una supervisione di forse regolari, sia da una parte, sia dall’altra. Quindi, è questo che forse, sì, preoccupa, ma tranquillizza un po’ di più: il fatto che siano forse comunque supervisionate, dovrebbe evitare colpi di testa di miliziani estremisti.

    D. – In ogni caso, il conflitto sarebbe una guerra civile…

    R. – Sì, partirebbe come una guerra civile, però il rischio che possa estendersi sicuramente c’è. Certo, estendendosi, bisognerebbe vedere quali potrebbero essere i protagonisti. L’Ucraina sicuramente, la Russia probabilmente… E bisognerebbe vedere anche gli altri attori in gioco che al momento parlano soltanto di sanzioni: parlo di Stati Uniti, parlo di Unione Europea… Però, bisogna vedere poi cosa potranno o potrebbero pensare di fare nel momento in cui ci fosse una guerra "calda".

    D. – Dichiarazioni come quelle della Timoshenko che parla di “Ucraina presto nella Nato”, certo non aiutano…

    R. – No, non aiutano assolutamente. Probabilmente è una ricerca di protezione. Però, una Ucraina all’interno della Nato inasprirebbe moltissimo i rapporti tra Est e Ovest. Perché se è vero che uno dei timori è proprio quello, cioè che l’Ucraina passi sotto la Nato e che quindi un sistema difensivo molto forte, molto potente dal punto di vista missilistico sia alle porte della Russia, questo potrebbe portare a un’azione diversa da parte della Russia. Anche la questione delle sanzioni dev’essere valutata adeguatamente. Credo che l’Unione Europea abbia detto di essere favorevole a sanzioni, ma queste sanzioni potrebbero anche rivolgersi contro l’Unione Europea stessa. Quindi, la situazione è abbastanza in fieri ed è da tenere sotto controllo.

    D. – Intravede, invece, mosse che si potrebbero fare per riportare la situazione al tavolo di negoziati seri, dopo gli Accordi di Ginevra?

    R. – Probabilmente, un sedersi di nuovo al tavolo delle trattative potrebbe essere molto, molto utile. Capisco però che prima di sedersi a quel tavolo le parti stiano cercando di conquistare sul terreno il maggior spazio possibile.

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    Negoziato israelo-palestinese. L'analista Ferrari: momento decisivo

    ◊   “Il crimine più odioso contro l'umanità nell'era moderna”. Così, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha parlato della Shoah, precedendo di qualche ora la giornata di oggi in cui Israele, come ogni anno, ricorda i sei milioni di ebrei uccisi durante le persecuzioni naziste: stamani, l’intero Paese si è fermato per due minuti, rendendo omaggio alle vittime. Le dichiarazioni del presidente palestinese – dopo l’accordo con Hamas per un governo di unità nazionale, siglato la scorsa settimana a Gaza - sono però state giudicate come una mossa propagandistica dal premier israeliano Benyamin Netanyahu. Per un commento alle affermazioni di Mahmoud Abbas, ascoltiamo Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – L’ha fatto perché si è convinto sicuramente che quanto aveva detto precedentemente era un errore: più che rinnegare le precedenti dichiarazioni, le corregge. Perché oggi sta cercando di "vendere" disperatamente quello che sembra, almeno a molti osservatori, un accordo fragilissimo - e non è la prima volta che ci prova, credo che sia la quarta – e cioè quello che ha raggiunto nei giorni scorsi con Hamas. L’idea, insomma, che non esistano due Palestine, ma che ne esista una sola e che lui possa essere il garante anche della posizione di Hamas, nell’eventualità e nella speranza di un futuro rilancio del negoziato di pace.

    D. – Queste dichiarazioni possono essere dirette oltre che ad Israele, oltre che ad Hamas, anche ad un’opinione pubblica internazionale come, ad esempio, gli Stati Uniti?

    R. – E’ un segnale lanciato a tutti, lanciato ad Hamas, lanciato a Israele, agli Stati Uniti che stanno cercando di rilanciare questo negoziato che, in questo momento, piaccia o non piaccia, è praticamente morto: bisogna quindi rianimarlo. In fondo, il segnale che Abu Mazen lancia a tutti è un segnale di disponibilità.

    D. - Israele ha già detto che le affermazioni di Abu Mazen non sono compatibili con la pace siglata con Hamas. Allora a che punto siamo?

    R. - Israele in questo momento ha un governo molto particolare con Netanyahu "prigioniero" in pratica della destra dello schieramento politico israeliano. Però io credo che le ragioni di speranza, più che legate all’attuale esecutivo e agli attuali equilibri di governo israeliano, siano legate ad una nuova generazione che sta affiorando dappertutto, sia in campo israeliano, sia in campo palestinese: una nuova generazione che non sente queste pesanti eredità del passato, in cui lo scontro era nel dna di ciascuno, ma sente la voglia di credere in qualcosa che si possa costruire assieme. E penso che Abu Mazen si sia anche fatto forza di qualcosa che è, in effetti, una novità: abbiamo continuato a pensare che Hamas fosse il movimento più estremista a Gaza; in effetti oggi non è più così, rispetto ai nuovi estremisti. Tutti questi elementi, se li mettiamo insieme, dovrebbero farci pensare che esista una possibilità per un colpo di reni, per rilanciare il negoziato.

    D . – Che tempi ci sono per il negoziato?

    R. – Perché riparta, sono brevissimi. Questo potrebbe essere il momento decisivo per dire: le cose stanno lentamente cambiando, c’è una nuova volontà, sediamoci intorno a un tavolo e torniamo a discutere. Ricominciare il negoziato non dico che significhi risolverlo, ma sarebbe un grande passo avanti.

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    Sudafrica in festa, 20.mo della democrazia. Mons. Slattery: resta un'eco di apartheid

    ◊   Giornata di festa nazionale in Sudafrica dove ieri si sono ricordati i 20 anni dalle prime elezioni democratiche vinte dall’African National Congress e che decretarono Nelson Mandela primo presidente nero della storia del Paese. Allora il voto, caratterizzato da uno svolgimento pacifico, segnò la fine dell’apartheid per il Sudafrica lacerato da anni di divisioni interne tra bianchi e neri. Ieri il presidente Jacob Zuma ha ricordato con emozione “il sangue, il sudore e le lacrime” versate per guadagnare “il prezioso diritto” al voto il 27 aprile 1994. Il prossimo 7 maggio il Paese andrà nuovamente alle urne, per una riflessione Linda Bordoni ha intervistato l’arcivescovo di Pretoria mons. William Slattery:

    R. – This is 20 years of democracy that we have enjoyed since 1994-2014. …
    Sono 20 anni di democrazia di cui stiamo godendo dal 1994 al 2014. Per la prima volta, partecipano a queste elezioni “The born free”, i "nati liberi", cioè quelli che sono nati dal 1994 in poi. Si tratta di elezioni che sicuramente vincerà il partito al governo in Sudafrica, l’African National Congress: si presenta infatti con una presenza del 65% in parlamento e non c’è motivo di pensare che possa perdere questa maggioranza. Però, in questo momento in cui sembra raggiunta l’indipendenza politica in Sudafrica, non è stata adeguatamente raggiunta la giustizia economica per tutti. Il presidente Zuma, rivolgendosi al parlamento, ma anche nei discorsi che ha tenuto durante la campagna elettorale nel Paese, ha sempre ripetuto: “Abbiamo da raccontare una bella storia”, e questo sicuramente è vero. Ci sono stati grandi miglioramenti nella vita delle persone in Sudafrica, in particolare per quella maggioranza di africani che per secoli ha subito l’apartheid anche se, come “sistema legalizzato”, è esistito per una cinquantina d’anni. Prima, comunque, era esistita una sorta di segregazione legale per molti, molti anni… Quindi, certamente per la maggior parte delle persone la vita è migliorata: l’istruzione ora è per tutti ed è obbligatoria. I servizi sanitari sono migliorati… I rapporti tra Stato e Chiesa sono liberi: noi siamo liberi, assolutamente liberi, di esercitare il nostro ministero. Il Sudafrica vive però una situazione particolare perché nel Paese esistono seimila Chiese indipendenti. Noi rappresentiamo il 6,5% della popolazione e in questo abbiamo dato un contributo importante al Sudafrica. Nel 1995, 55 tra i maggiori ospedali del Sudafrica erano ospedali cattolici: oggi è uno. All’epoca, curavamo l’istruzione del 20% della popolazione sudafricana, in particolare nelle zone rurali. Oggi, il governo gestisce da solo l’istruzione. Quindi, abbiamo buoni rapporti con il governo, lo ringraziamo per quello che ha fatto ma allo stesso tempo, se lei mi chiedesse delle attuali condizioni sociali in Sudafrica, io direi che ancora esiste una grande disuguaglianza e questo è un problema grande. Soprattutto i giovani risentono di questo, c’è grande insoddisfazione nel Paese. Il Sudafrica è il Paese con la maggiore differenza di benessere e guadagno al mondo, tra i ricchi – soprattutto bianchi – e la maggioranza africana, che ancora è sostanzialmente nera. Ci sono ancora molte ferite dell’apartheid da curare: l’apartheid ancora riecheggia nella vita quotidiana, in Sudafrica…

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    Sant'Egidio. Convegno “Da Giovanni XXIII a Francesco: ebrei e cristiani in dialogo”

    ◊   “Da Giovanni XXIII a Francesco: ebrei e cristiani in dialogo”, il tema del Convegno in corso oggi a Roma. Tra i relatori gli storici Andrea Riccardi e Marco Roncalli, i cardinali Walter Kasper e Kurt Koch, i rabbini Riccardo Di Segni, David Rosen ed Abraham Skorka, il direttore generale del Gran Rabbinato d’Israele Oder Wiener. Un incontro che si svolge all’indomani delle Canonizzazioni di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, “due uomini coraggiosi” – ha sottolineato Papa Francesco – che “hanno conosciuto le tragedie del XX secolo ma non ne sono stati sopraffatti”. Roberta Gisotti ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, promotore del Convegno:

    D. – Quanto è contato il coraggio nel cammino di dialogo tra ebrei e cristiani, dal Concilio Vaticano II ad oggi?

    R. – Il coraggio è contato molto: il coraggio nutrito, nella storia di Karol Wojtyla, dalla conoscenza profonda del mondo ebraico vissuto a Cracovia, nella sua città, a contatto con tanti ebrei, suoi compagni di studio, suoi amici, e poi quegli ebrei che lui ha visto scomparire a migliaia, durante la Seconda Guerra mondiale e durante la Shoah. Questa storia personale di incontro con la sofferenza del mondo ebraico ha plasmato la vita di Karol Wojtyla che poi, da Papa, ha saputo in certo modo rivivere questa sofferenza del mondo ebraico e riaccoglierla nell’amicizia con il mondo cristiano. Io vorrei ricordare in particolare ciò che Papa Giovanni Paolo II ha fatto per stabilire, per la prima volta nella storia, relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele: la sua visita a Gerusalemme ma, prima ancora, la visita al Tempio maggiore di Roma e l’incontro con il rabbino Toaff. Tutto questo – questa storia di coraggio – è stata vissuto anche da Papa Roncalli, da Giovanni XXIII, che ha conosciuto anche lui la sofferenza degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale, quando era a Istanbul, e ne ha visti passare tanti e ne ha salvati molti. Ma soprattutto, Giovanni XXIII ha avuto il coraggio, ancora prima del Concilio, di far togliere quella definizione di “perfidi giudei” che era in una delle preghiere del Venerdì Santo. P piccole cose, che però hanno avuto un grande impatto nella storia dei rapporti tra l’ebraismo e il cristianesimo.

    D. – Quanto è importante, attraverso iniziative come questo Convegno, fare memoria storica dei rapporti tra ebrei e cristiani, dal Concilio ad oggi?

    R. – Questa mattina, il rabbino Rosen ha detto qualcosa di molto importante: “Cinquant’anni fa, non era nemmeno immaginabile lo stato delle relazioni – storiche, teologiche e soprattutto di amicizia – tra ebrei e cristiani, e questo è un fatto”, anche se ci sono tante questioni aperte, tante questioni da risolvere e altre che non saranno mai risolte per la diversità tra le due fedi. Ma certamente, l’essersi conosciuti meglio, l’essersi incontrati e aver compreso la sofferenza del mondo ebraico per noi cristiani ha avuto un significato anche di totale distacco dall’antisemitismo che c’è stato nei secoli passati. Ormai, il mondo cristiano è avviato a una grande solidarietà e a una grande amicizia con il mondo ebraico. Tanta strada è ancora da fare, ma oggi ci siamo incontrati e conosciuti e soprattutto abbiamo conosciuto la loro sofferenza.

    D. – In questo cammino di dialogo e di ricercata amicizia tra ebrei e cristiani sono stati e sono anche Paolo VI e Giovanni Paolo I, Benedetto XVI e oggi Papa Francesco…

    R. – Sì, certamente, vi è la grande sensibilità della Chiesa del Concilio, di cui Paolo VI è stato un artefice, avendo portato a compimento questo grande evento ecclesiale. E poi Giovanni Paolo I e Papa Benedetto XVI che ha, lui stesso, visitato il Tempio maggiore di Roma e tante altre sinagoghe nei suoi viaggi in Europa e soprattutto con il suo viaggio a Gerusalemme, in Terra Santa. E, su Papa Francesco si può dire che, essendo stato per tanti anni pastore di una grande città, di una megalopoli come Buenos Aires, dove vivono tantissimi ebrei – perché va ricordato che l’Argentina è stata luogo di rifugio degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale – ha stabilito relazioni di collaborazione e di amicizia che oggi non possono non rifluire nel suo Pontificato, nelle sue parole, nella sua coscienza e soprattutto nella sua guida della Chiesa.

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    Istat. Cresce la fiducia dei consumatori. Il peggio è passato, ma resta sofferenza

    ◊   Spiragli positivi per l’economia italiana nonostante il persistere di criticità sul fronte occupazionale. La fiducia dei consumatori è aumentata ad aprile fino a toccare il livello massimo da gennaio 2010. Lo rileva l'Istat, che registra un balzo dell'indice a 105,4 da 101,9 del mese di marzo. Solo pochi giorni fa, l’agenzia di rating Fitch ha promosso l’Italia facendo passare l’outlook del Paese da negativo a stabile. Al microfono di Paolo Ondarza, il commento dell’economista, Giacomo Vaciago:

    R. – Il dato conferma la diffusa percezione che l’economia italiana abbia smesso di peggiorare e che sia iniziata una ripresa. È da settembre dello scorso anno che gli indicatori Ocse dicono che c’è ripresa. Però, questo dato va ancora interpretato alla luce di un problema che non è risolto. La ripresa significa che chi andava bene va meglio, o anche che chi andava male ha smesso di peggiorare e inizia ad avere nuova speranza? Al momento, temo sia ancora una fase di passaggio in cui il peggio è passato, ma per alcuni c’è ancora molta sofferenza.

    D. – Questo dato positivo è confortato anche dalla recente valutazione delle agenzie di rating nei confronti dell’Italia. Il giudizio è un po’ più ottimista rispetto al passato...

    R. – Anche qui il problema è mantenere poi le promesse fatte. Con l’arrivo di un nuovo governo, due mesi fa, si è data enfasi soprattutto alle riforme che ritornano a far crescere. Basta flagellarsi per dimostrare ai mercati finanziari che abbiamo capito la lezione... Questo significa che c’è una nuova speranza, ma occorre che poi le cose si facciano. Attenzione: al momento sono tutte promesse.

    D. – Il dato concreto effettivamente ci fotografa ancora situazioni critiche. Ad esempio sul fronte occupazionale: cassa integrazione in aumento, disoccupazione giovanile record...

    R. – Il problema è che il Paese ha un disperato bisogno di tornare a crescere. Il fatto che tanti giovani in questo momento non abbiano possibilità di trovare lavoro e viceversa: stiamo ancora proteggendo lavori che non hanno futuro, perché questa è la drammatica situazione della crescente cassa integrazione, dove mettiamo in "frigorifero" operai, lavoratori in attesa di una ripresa che forse la loro azienda non avrà mai più... Mai come in questo momento – e non solo in Italia – vediamo che c’è chi sta bene e va meglio e chi sta male e sta peggio. C’è un problema di tenuta sociale.

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    Aiom e Coni lanciano raccolta fondi contro il cancro

    ◊   Parte domani la campagna di sensibilizzazione "La lotta al cancro non ha colore" lanciata da "Insieme contro il cancro" e AIOM per la prevenzione oncologica contro i tumori e dedicata alle popolazioni immigrate e alle fasce più deboli del nostro Paese. Alessia Carlozzo ha intervistato Francesco Cognetti, presidente di “Insieme contro il Cancro”, che ha illustrato le iniziative previste e l’importanza di questa campagna che vede lo sport in prima linea:

    R. – Abbiamo dati molto sicuri e certi. Purtroppo, le popolazioni più disagiate nel nostro Paese, italiani ma anche immigrati, hanno una maggiore incidenza di neoplasie. Questo è dovuto anche a fattori alimentari, stili di vita, fumo, cattiva alimentazione, sovrappeso, ma anche al fatto che questa parte della popolazione non si sottopone agli screening e quindi ai sistemi di analisi, di diagnosi precoce che di solito vengono coperti dai servizi sanitari regionali. Se si sottopone, lo fa in maniera poco frequente. Questa campagna, che parte domani sulle reti Rai con una serie di interventi, permetterà alla popolazione di dare il suo contributo. Diffonderemo degli opuscoli che abbiamo già preparato sia sugli stili di vita sulla diagnosi precoce. Tutto questo verrà tradotto nelle lingue principali, quindi in inglese, francese, spagnolo, romeno, cinese, greco ed arabo. Verranno prodotti dei video educativi e informativi e promuoveremo l’educazione di medici verso problemi dell’oncologia; medici che vivono nei Paesi di origine di questi soggetti. Il ricavato dei fondi che raccoglieremo attraverso i messaggi solidali da domani a domenica sarà destinato a questa campagna. Dunque, il numero è il seguente 45594 attivo dal 29 aprile fino al 4 maggio, quindi da martedì a domenica prossima.

    D. – Ci sono delle zone specifiche nelle quali si concentreranno le azioni della campagna?

    R. – Prevalentemente nelle zone del sud, quindi Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, dove purtroppo la diffusione degli screening è più bassa.

    D. – La campagna “La lotta al cancro non ha colore” presenta un forte legame con il mondo dello sport, infatti il momento clou della raccolta fondi sarà il 3 maggio durante la finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli. Qui verrà lanciato un appello a tutti i tifosi di calcio per aderire all’iniziativa. Come mai questa scelta di appoggiarsi al mondo dello sport? Come può secondo lei il calcio veicolare questo tipo di messaggi?

    R. – Il mondo dello sport, il calcio in particolare, è un ottimo veicolo di messaggi positivi, perché riesce a raggiungere strati della popolazione che noi non riusciamo a raggiungere. Abbiamo delle esperienze pregresse, perché con famosi calciatori siamo andati in giro nelle scuole di tutta Italia. C’è stata un’adesione entusiastica da parte degli studenti, soprattutto nelle scuole superiori. Se fossimo andati solo noi oncologi, probabilmente non avremmo avuto questo successo. Inoltre, il mondo dello sport non è estraneo ai problemi dell’oncologia perché purtroppo anche atleti o ex atleti si ammalano di tumori: di questi giorni è la notizia purtroppo dell'ex allenatore del Barcellona, Villanova. Quindi, proprio in questi giorni il mondo del calcio è particolarmente sensibile verso queste problematiche.

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    Nei cinema il docufilm sul Papa "Francesco da Buenos Aires"

    ◊   Da oggi e fino a mercoledì 30 aprile distribuito nelle sale di cinema italiane “Francesco da Buenos Aires – La rivoluzione dell’uguaglianza”, il film biografico sulla vita di Jorge Maria Bergoglio girato da Miguel Rodríguez Arias e Fulvio Iannucci: con immagini inedite e molte testimonianze si ripercorre la vita di Papa Francesco dall’infanzia all’età adulta, da quando era arcivescovo di Buenos Aires fino all’elezione al Soglio Pontificio. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Le foto in cui sorridente è ancora un bambino, quelle in cui studente di seminario si impegna a essere un medico delle anime. Poi gesuita, sacerdote e arcivescovo di Buenos Aires. Il docufilm – da oggi nelle sale italiane – si avvale di tante testimonianze inedite: la sorella María Elena, che si domanda “come lo chiamo adesso?” pochi istanti dopo il Conclave che lo ha eletto Papa, i compagni di studi che ne ricordano il senso dell’umorismo e il carattere forte, i rabbini amici che lo elogiano per la capacità di ascolto e dialogo, e tante immagini di repertorio che lo ritraggono impegnato come pastore nelle favelas più povere della capitale argentina per denunciare la povertà, gli abusi, il commercio umano, lo sfruttamento, le violenze. Il coregista, Fulvio Iannucci, spiega i motivi che hanno sorretto il suo lavoro:

    R. – Noi abbiamo avuto l’idea di avvicinare questa figura per capire realmente il cardinale Bergoglio, che era un uomo praticamente sconosciuto sia quando era cardinale a Buenos Aires, sia quando diventa Papa Francesco. Il film vuole proprio indagare queste tracce di semplicità e di umiltà, da quando era bambino fino ad un anno dal Pontificato.

    D. – Come avete scelto i testimoni che nel film raccontano e ricordano?

    R. – Li abbiamo scelti tra le persone che sono state i suoi collaboratori, ma soprattutto tra le persone di famiglia, tra gli amici di sempre e tra i compagni di scuola. Emerge esattamente la figura che noi vediamo tutti i giorni: una persona molto semplice, molto umile, capace di una cosa straordinaria che è l’accoglienza, il rispetto dell’altro, l’ascolto. Ecco, queste sono le tracce che poi tutti gli intervistati hanno confermato: è una persona sempre pronta all’abbraccio, all’accoglienza e all’ascolto.

    D. – Un Papa che tutti sentono vicino e amico…

    R. – In realtà, è proprio questo che noi descriviamo: questo cammino di Bergoglio, che è un uomo umile, sensibile e – prima ancora di identificarsi con un ruolo tanto importante come quello di Papa – è un uomo che ha lottato contro la povertà, avvicinandosi alle persone che vivono ai margini della società, quindi professando una Chiesa povera per i poveri. L’immagine che mi ero fatto seguendo le sue vicende attraverso i media è stata poi confermata in pieno dal nostro lavoro. Quello che pensiamo è che sia un Papa al servizio dei più poveri, dei più deboli, dei più piccoli. Posso dire che è l’uomo che sta veramente cambiando la storia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Metropolita Marayati: Aleppo di nuovo nella morsa della guerra

    ◊   Negli ultimi giorni si intensificano gli attentati, le incursioni dei ribelli e le operazioni di rappresaglia militare nella metropoli siriana di Aleppo. Una escalation che nella giornata di ieri ha sconvolto di nuovo anche i quartieri centrali e la stessa Città vecchia, dove i ribelli tentano di avanzare. Lo conferma all'agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati: “L'esplosione più grande” riferisce il metropolita Marayati “ha coinvolto la sede governativa locale della Camera di commercio, che un tempo era uno dei centri propulsori del dinamismo economico aleppino. La carica esplosiva piazzata per colpire l'edificio doveva essere molto grande, pietre e detriti sono stati scagliati a grande distanza. L'effetto si è sentito forte anche nei nostri quartieri, terrorizzando tutti. Sembrava un terremoto”.

    Almeno 21 civili sono rimasti uccisi nelle ultime ore da colpi di mortaio lanciati dai ribelli sui quartieri di Aleppo, controllati dall'esercito governativo. In reazione, i reparti militari fedeli a Assad hanno intensificato le operazioni contro le aree controllate dagli insorti per frenare la loro infiltrazione nei settori rurali e urbani sotto il controllo del regime.

    Nel frattempo, fonti curde riportano notizie su un accordo tra fazioni islamiste anti-Assad e milizie curde di autodifesa che potrebbe incidere sugli sviluppi del conflitto in molte aree del nord della Siria. Il cartello islamista Ahl al-Sham - che comprende gruppi islamisti come il Fronte Islamico e Jabhat al-Nusra – ha sottoscritto un armistizio provvisorio con le milizie curde delle Unità di Protezione Popolare (Ypg) ad Aleppo città e nelle zone rurali intorno alla metropoli.

    Gli islamisti si sono impegnati a limitare l'assedio alle aree in mano alle truppe governative. Le due entità che hanno sottoscritto l'accordo potranno utilizzare le strade e attraversare i checkpoint controllati dalla controparte, previa autorizzazione dei sui vertici militari. L'accordo rappresenta un cambio di scenario rispetto al passato, segnato in molte situazioni da scontri violenti tra le fazioni islamiste e le milizie curde. (R.P.)

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    Egitto: pena di morte per i Fratelli musulmani e guida suprema

    ◊   Sono stati condannati a morte 683 sostenitori dei Fratelli Musulmani compresa la guida suprema del movimento, Mohammed Badie: lo ha stabilito il tribunale di Minya, nell’Alto Egitto, nell’ambito del processo contro oltre 1.200 sostenitori della Confraternita. I giudici, come da prassi istituzionale - riferisce l'agenzia Misna - hanno deferito il caso al Gran Mufti d’Egitto, il cui parere è consultivo e non può comunque rovesciare la sentenza.

    Secondo il quotidiano Al Masry al Yom, tra i familiari degli imputati raccolti fuori dal tribunale si sono verificati malori e disordini. In molti hanno contestato il pronunciamento e intonato lo slogan “dov’è la giustizia?”.

    La stessa corte ha commutato in ergastolo la pena capitale a 492 attivisti e sostenitori dell’ex presidente Mohammed Morsi, parte di un gruppo di 529 condannati a marzo per aver attaccato un commissariato a Minya, causando la morte di un poliziotto.

    La sentenza – il cui pronunciamento definitivo è atteso a giugno – è destinata ad aumentare il clima di tensione nel Paese, teatro di una dura repressione nei confronti del movimento islamista, a un mese esatto dall’appuntamento con le urne per le elezioni presidenziali, previste il 26 e 27 maggio. La competizione consisterà in un faccia a faccia tra Hamddeen Sabahi, nasseriano esponente della sinistra laica, e Abdel Fattah al Sissi, uomo forte del Paese e orchestratore del colpo di stato contro Morsi, nel luglio scorso.

    Contro il voto, considerato “una farsa”si sono già espressi i Fratelli Musulmani – banditi dalla competizione e dall’arena politica in generale – che hanno invitato al boicottaggio. Dal canto suo il futuro presidente ‘in pectore’, al Sisi ha chiesto invece “un’affluenza senza precedenti alle urne, per il bene del Paese”.

    La bassa affluenza potrebbe essere infatti, l’unico ostacolo per l’elezione di al Sisi, già data per scontata dagli osservatori. Il referendum dello scorso anno sulla nuova Costituzione venne approvato con un voto plebiscitario: 98% di sì, ma solo il 39% degli aventi diritto andò a votare. (R.P.)

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    Centrafrica: evacuati da Bangui gli ultimi musulmani. Critiche del governo

    ◊   Sono stati evacuati da Bangui gli ultimi 1.300 musulmani bloccati da mesi e minacciati dalle milizie di autodifesa Anti-Balaka. L’operazione umanitaria - riporta l'agenzia Misna - è stata organizzata dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim) e dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) con l’obiettivo di “mettere in salvo cittadini di confessione musulmana e della comunità peul”, trasferendoli nelle città settentrionali di Kabo e Sido, nei pressi del confine col Ciad.

    La scorsa settimana, sempre sotto scorta della forza africana Misca e dei militari francesi di Sangaris, altre centinaia di civili hanno lasciato il quartiere del Pk12, diventato un’enclave da quando, nel dicembre 2013, miliziani Anti-Balaka avevano attaccato Bangui come rappresaglia per i soprusi inflitti per mesi dagli ex ribelli della Seleka, per lo più musulmani e stranieri (ciadiani e sudanesi).

    Ieri l’ultimo convoglio di 18 veicoli carichi di persone e di beni ha lasciato la capitale verso le 12 (ora locale). Ma altre centinaia di musulmani rimangono a Bangui, al Pk5, sotto la protezione dei soldati burundesi della Misca, dispiegata nel paese dallo scorso anno.

    Nel sud del Paese, in una quindicina di località sono tra 15.000 e 20.000 i musulmani isolati e direttamente minacciati dalle milizie di autodifesa, a maggioranza cristiana. Anche per loro le istituzioni umanitarie internazionali intendono procedere all’evacuazione, nonostante le critiche aperte del governo centrafricano e i timori di esperti dei diritti umani.

    “Consultazioni erano in corso con la comunità umanitaria internazionale, ma il governo non aveva ancora notificato la sua decisione. Siamo stati messi davanti al fatto compiuto. Abbiamo già preso alcune disposizioni per evitare che queste situazioni non si verifichino più in futuro” ha dichiarato il ministro della Sanità Marguerite Samba Maliavo. Le autorità di Bangui sono contrarie alla politica di “ricollocamento” anche se nei fatti non sono in grado di garantire la sicurezza dei cittadini minacciati dalle violenze.

    Critici anche i relatori speciali dell’Onu per i diritti umani degli sfollati e per le minoranze, secondo i quali “le persone coinvolte devono prendere una decisione autonoma”. Per Chaloka Beyani e Rita Izsak “l’evacuazione deve essere attuata solo se assolutamente necessaria per salvare vite umane e deve portare a uno spostamento di breve durata, con una prospettiva di ritorno a casa”.

    E’ invece cambiata la posizione della Francia che fino a qualche settimana fa considerava l’evacuazione della minoranza musulmana “un atto di partecipazione alla logica di epurazione etnico-religiosa attuata dagli Anti-Balaka”. Ma ora “la priorità è salvare vite umane. Quando le popolazioni sono in pericolo bisogna evacuarle” ha detto l’ambasciatore francese a Bangui. (R.P.)

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    Centrafrica. Il vescovo di Bossangoa: “I musulmani di Bangui sono ostaggio di jihadisti”

    ◊   La popolazione musulmana del “Km 5” di Bangui è presa in ostaggio da parte di elementi jihadisti che si sono infiltrati nella capitale della Repubblica Centrafrica: lo dice all’Agenzia Fides, mons. Nestor Désiré Nongo-Aziagbia, vescovo di Bossangoa. “Nessuno ne vuole parlare, ma è una realtà. Due giorni fa i jihadisti si sono scontrati con le truppe francesi dell’operazione Sangaris dispiegate a Bangui. La popolazione musulmana di Bangui, in particolare quella che vive al ‘km 5’, è presa in ostaggio dai jihadisti. È di pubblico dominio che la moschea centrale della città è diventata una polveriera, perché gli estremisti l’hanno trasformata nel loro arsenale” dice mons. Nongo-Aziagbia.

    “I jihadisti provengono da altri Paesi, in particolare dal Sudan e dal Ciad, e sono sostenuti dal generale Nouredine Adam, il numero due della coalizione ribelle Seleka”. La Seleka, cacciata da Bangui dalle milizie “anti balaka”, che continuano a condurre rappresaglie sulla popolazione musulmana accusata di aver aiutato i ribelli, si è installata nel nord del Paese. L’area maggiormente colpita dalla violenze della Seleka ricade nella diocesi di Bossangoa.

    “La situazione nella mia diocesi è la confusione totale” dice Mons. Nongo-Aziagbia, che alla vigilia di Pasqua era stato sequestrato da elementi di Seleka, mentre un suo sacerdote era stato ucciso il Venerdì Santo. “I ribelli continuano a uccidere e a depredare. Lo scorso weekend in un villaggio al confine con il Ciad, sono state uccise 4 persone, tra le quali ci sono 2 catechisti. A Nanga Boguila hanno assalito l’ospedale di Médecin Sans Frontièrs, uccidendo 16 persone che erano in riunione (secondo fonti di agenzia le vittime sono almeno 22, ndr.), tre membri di Msf e il resto notabili della località. Siamo in attesa di ulteriori dettagli su questo e altri episodi di violenza accaduti in altre aree della diocesi” conclude il vescovo. (R.P.)

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    Obama nelle Filippine: accordo di cooperazione militare Washington-Manila

    ◊   In concomitanza con la visita ufficiale di Barack Obama nelle Filippine, Manila e Washington hanno firmato un accordo di cooperazione militare, per contrastare l'espansionismo di Pechino nel mar Cinese meridionale e in tutta la regione Asia-Pacifico. Oggi il Presidente statunitense è giunto nella capitale filippina, ultima e più complessa tappa del suo tour asiatico che ha toccato nei giorni scorsi Malaysia, Corea del Sud, Giappone. Obama incontrerà l'omologo filippino Benigno Aquino e dovrà rassicurare gli alleati a Manila, preoccupanti dal crescente "imperialismo" cinese nell'area; tuttavia, al tempo stesso dovrà anche scongiurare uno scontro frontale con Pechino.

    Ad anticipare la visita di Obama - riferisce l'agenzia AsiaNews - la firma questa mattina di un accordo di cooperazione militare che autorizza una maggiore presenza di truppe statunitensi nel Paese del Sud-est asiatico. In sintesi, essa avrà una durata di 10 anni e garantirà un migliore accesso all'alleato americano a porti, basi militari e dell'aviazione sul suolo filippino. Al contempo le truppe statunitensi forniranno un migliore addestramento all'esercito di Manila e sostegno logistico.

    Per il ministro filippino degli Esteri Albert del Rosario si tratta di "una pietra miliare nella storia condivisa di una solida alleanza" fra i due Paesi e di un "innalzamento" di un "ulteriore livello" della cooperazione militare. Un rapporto essenziale "per la pace e la stabilità nella regione Asia-Pacifico". Tuttavia, la presenza di truppe straniere sul suolo filippino è fonte di contrasti, anche accesi. Nelle scorse settimane il vescovo ausiliare di Manila Broderick Pabillo era intervenuto sulla vicenda, sottolineando che "il sostegno di Washington alle Filippine contribuisce a "peggiorare" le contrapposizioni con la Cina. (R.P.)

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    Mons. Sako: "In Iraq tra 10 anni ci saranno solo poche migliaia di cristiani"

    ◊   Il patriarca caldeo iracheno, Louis Raphael Sako I, ha espresso la sua preoccupazione per il continuo calo della presenza di cristiani nel Paese: "Se non saranno prese delle misure, il numero dei fedeli nei prossimi dieci anni sarà di solo qualche migliaio".

    La comunità cristiana irachena - riferisce l'agenzia AsiaNews - contava più di un milione di adepti, 600 mila solo a Baghdad, ora se ne contano meno di 400 mila in tutto il Paese. Le principali cause di questa forte migrazione sono la scarsa sicurezza nel Paese, il peggioramento dell'estremismo islamico, le minacce di morte contro i cristiani e il sequestro delle loro proprietà da parte di gruppi armati.

    Inoltre, il patriarca sostiene che questo forte movimento di migrazione è dovuto anche dall'incoraggiamento da parte delle potenze occidentali, dichiarando che si tratto di un fenomeno spaventoso e preoccupante.

    Mar Sako, dopo aver visitato le comunità presenti in tutto il territorio nazionale, ha affermato: "I cristiani sono coloro che soffrono di più la recrudescenza della violenza in tutto l'Iraq. Ciò è dovuto al fatto che i cristiani non mantengono affiliazioni tribali, come invece fanno gli arabi musulmani. L'unica via che hanno per risolvere le controversie è attraverso il sistema legale iracheno, che è spesso criticato per la sua corruzione, ed è soggetto a manipolazioni politche". (R.P.)

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    Messico: seminarista rapito e ucciso nella Settimana santa

    ◊   “La comunità ecclesiale dell'arcidiocesi di Chihuahua, attraverso il nostro vescovo, mons. Constancio Miranda Weckmann, comunica con profondo rammarico la morte del nostro fratello in Cristo, Samuel Gustavo Gómez Veleta, alunno del Seminario arcivescovile di Chihuahua. Samuel Gustavo si trovava nel comune di Aldama, nella comunità in cui ha prestava il suo servizio missionario, egli apparteneva alla Parrocchia di San Girolamo". Il Seminario arcivescovile di Chihuahua - riporta l'agenzia Fides - ogni anno, in occasione delle celebrazioni della Settimana Santa, invia i seminaristi come missionari nelle diverse comunità rurali. Si tratta di una rilevante esperienza educativa e spirituale, che serve a rafforzare la vocazione al sacerdozio ministeriale di ciascuno dei nostri studenti.

    Samuel Gustavo Gómez Veleta, 21 anni, nativo della città di Chihuahua, era cresciuto nella parrocchia della Divina Provvidenza, frequentava il primo anno di filosofia nel Seminario arcivescovile. Il 15 aprile, Martedì santo, è stato trovato morto dopo essere stato rapito il giorno prima. Ai funerali del seminarista, l’arcivescovo ha lanciato un appello: "A tutti i cattolici di Chihuahua chiedo di collaborare per mettere fine a questo cancro della violenza e al disprezzo per la vita, perché vediamo con preoccupazione che cresce nella nostra società, creando sempre più insicurezza, paura e lasciandoci indifesi". (R.P.)

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    Bolivia: bambini venduti per sfruttamento sessuale e lavorativo e per la vendita di organi

    ◊   Continua a crescere silenziosamente il traffico di bambini della regione boliviana di Potosí, la più povera del Paese. Secondo un recente rapporto pubblicato dalla stampa locale, fino al 2012, ai trafficanti di due Paesi limitrofi, ne sono stati venduti 15 mila ad un costo che va dai 3 ai 5 mila dollari. Molte delle vittime vengono vendute a partire da 500 dollari, per essere sfruttate nei campi agricoli del nord dell’Argentina. Secondo la Polizia locale - riporta l'agenzia Fides - il fenomeno non esiste o non è mai stato denunciato.

    Nel sud del Paese, tratta e traffico di persone rimangono solo un segreto tramandato a voce. Nel 2011 a Potosí i bambini venivano comprati ad un prezzo che va da tre a sette dollari e si teme che circa 15 mila minori ogni anno abbiano oltrepassato illegalmente il confine verso l’Argentina, senza alcun ostacolo da parte delle autorità. Inoltre, molti dei bambini e dei giovani fino a 15 anni di età vengono venduti non solo per sfruttamento sessuale o lavorativo ma anche per la vendita di organi.

    La pena prevista per un caso di traffico umano è di 10 anni di carcere, come è accaduto a 4 donne che hanno preso parte alla vendita di una bambina di un anno di età, tra queste anche la mamma della piccola. Secondo i dati dell’Onu la tratta e il traffico di persone muove circa 40 mila milioni di dollari all’anno in tutto il mondo. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 118

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.