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Sommario del 20/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Francesco nel messaggio Urbi et Orbi: “l’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”
  • Il Papa alla Veglia pasquale : non temete, tornate ad incontrare Cristo!
  • Tweet del Papa: “Cristo è Risorto! Alleluia!”
  • Oggi in Primo Piano

  • Pasqua in Terra Santa. Il Patriarca Twal: ci sia pace per tutti i popoli
  • Pasqua in Ucraina: violata tregua nelle regioni filo-russe. Sparatoria con vittime a Slaviansk
  • Pasqua in Argentina. Il rettore della cattedrale di Buenos Aires: tanta la gente che si confessa
  • Pasqua nelle Filippine: riti e preghiere per la protezione dalle catastrofi naturali
  • Pasqua in Centrafrica. Suor Elianna: lasciamoci il male e le sofferenze alle spalle
  • Pasqua in Grecia. Caritas Atene: di fronte alla crisi non perdiamo la speranza
  • La Resurrezione di Cristo nell’arte: a confronto Piero Della Francesca, Raffaello e Caravaggio
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Messaggio di Pasqua del patriarca Kirill: “Rinasca il legame tra i popoli fratelli di Russia e Ucraina”
  • Apprezzamento di Toaf e del «Simon Wiesenthal Center» per le canonizzazioni di Wojtyla e Roncalli
  • Messaggio dei vescovi spagnoli per le elezioni Ue: “Europa, riscopri le tue radici!”
  • Puglia, al via tra pochi giorni le Ecclesiadi, olimpiadi delle parrocchie
  • In Svizzera, al via la prima campagna ecumenica a favore degli anziani
  • Senegal. Appello dei giovani studenti cattolici per la pace in Casamance
  • Il Papa e la Santa Sede



    Francesco nel messaggio Urbi et Orbi: “l’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”

    ◊   “L’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”, “con questa gioiosa certezza nel cuore”, nel giorno di Pasqua, Papa Francesco ha invocato la fine di ogni guerra e ostilità nel mondo e consolazione per tutte le persone in sofferenza. La sua voce è risuonata dalla loggia centrale della Basilica vaticana, nel tradizionale messaggio “Urbi et Orbi”, rivolto dopo la Messa celebrata in piazza San Pietro, affollatissima di fedeli, che hanno riempito anche via della Conciliazione. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Cristo è risorto, venite e vedete”: “è la Buona Notizia per eccellenza”, alla base della nostra fede e della nostra speranza”, ha ricordato Francesco.

    “se Cristo non fosse risorto, il Cristianesimo perderebbe il suo valore; tutta la missione della Chiesa esaurirebbe la sua spinta, perché è da lì che è partita e che sempre riparte”.

    E’ questo “il messaggio che i cristiani portano al mondo”:

    “In Gesù, l’Amore ha vinto sull’odio, la misericordia sul peccato, il bene sul male, la verità sulla menzogna, la vita sulla morte”.

    E dunque, “in ogni situazione umana segnata da fragilità, peccato e morte, la Buona Notizia non è soltanto una parola ma una testimonianza di amore gratuito e fedele:”

    “è uscire da sé per andare incontro all’altro, è stare vicino a chi è ferito dalla vita, è condividere con chi manca del necessario, è rimanere accanto a chi è malato o vecchio o escluso…”

    “Questa è la gioiosa certezza nel cuore” di ogni cristiano:

    “l’Amore è più forte, l’Amore dona vita, l’Amore fa fiorire la speranza nel deserto”.

    Il Papa ha quindi invocato il Risorto:

    “Aiutaci a cercarti affinché tutti possiamo incontrarti, sapere che abbiamo un Padre e non ci sentiamo orfani; che possiamo amarti e adorarti”.

    Aiutaci - ha chiesto - a sconfiggere “la piaga della fame”, aggravata da “conflitti” e da “immensi sprechi di cui siamo spesso complici”; a “proteggere gli indifesi”, specie “bambini”, “donne”, “anziani”, a volte sfruttati e abbandonati; ad assistere i fratelli colpiti dall’epidemia Ebola in Guinea Conakry, Sierra Leona e Liberia o affetti da “tante altre malattie”, diffuse “anche per l’incuria e la povertà estrema”; consola - ha aggiunto - quanti sono lontani dai propri cari, “strappati” “ai loro affetti”, come i sacerdoti e laici sequestrati; conforta i migranti, che hanno lasciato le proprie terre per sperare in un futuro migliore, vivere con dignità e professare liberamente la fede.

    “Ti preghiamo, Gesù glorioso, fa’ cessare ogni guerra, ogni ostilità grande o piccola, antica o recente!”.

    Francesco non ha dimenticato i Paesi percorsi da conflitti e discordie, in particolare la Siria, perché quanti soffrono “possano ricevere i necessari aiuti umanitari”:

    "Le parti in causa non usino più la forza per seminare morte, soprattutto contro la popolazione inerme, ma abbiano l’audacia di negoziare la pace, ormai da troppo tempo attesa!".

    E ancora ha chiesto di confortare le vittime delle violenze fratricide in Iraq, di sostenere la ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi e perché si fermino gli scontri nel Centrafrica, gli attentati terroristici in Nigeria, le violenze in Sud Sudan, e perché gli animi “si volgano alla riconciliazione” in Venezuela. Poi un pensiero speciale all’Ucraina:

    “perché tutte le parti interessate, sostenute dalla Comunità internazionale, intraprendano ogni sforzo per impedire la violenza e costruire, in uno spirito di unità e di dialogo, il futuro del Paese”.

    Infine una preghiera per il mondo intero:

    “Per tutti i popoli della Terra ti preghiamo, Signore: tu che hai vinto la morte, donaci la tua vita, donaci la tua pace!”.

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    Il Papa alla Veglia pasquale : non temete, tornate ad incontrare Cristo!

    ◊   "Non temete, tornate ad incontrare Cristo !" : questa l’intensa esortazione lanciata ieri sera da Papa Francesco, durante la Veglia pasquale presieduta in una Basilica Vaticana gremita di persone. In particolare, il Pontefice ha incoraggiato i fedeli a tornare « alla radice della fede », senza avere paura, per « lasciarsi abbracciare dalla misericordia » di Dio. Nel corso della celebrazione, il Papa ha amministrato i sacramenti di battesimo, cresima e prima comunione a dieci catecumeni : cinque italiani e cinque provenienti da Bielorussia, Senegal, Libano, Francia e Vietnam. Il servizio di Isabella Piro :

    Mettiamoci in cammino!

    Sì : è proprio il cammino, il camminare verso Cristo la parola che conclude l’omelia di Papa Francesco per la Veglia pasquale. Ma è una conclusione che è anche un nuovo inizio, perché « camminare » vuol dire andaere in Galilea « dove tutto era iniziato », dove Gesù aveva chiamato i pescatori ed essi lo avevano seguito. Andare in Galilea vuol dire « rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio ».

    “Non abbiate paura! Non temete!” (…) “Andare in Galilea” significa qualcosa di bello, significa per noi riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana. Tornare in Galilea significa anzitutto tornare lì, a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. È da quella scintilla che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle. Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona e mite.

    Ma dopo il Battesimo, sottolinea il Papa, nella vita del cristiano c’è anche un’altra Galilea, “una Galilea più esistenziale: l’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo”, che ci ha chiamati a seguirlo e a partecipare alla sua missione:

    In questo senso, tornare in Galilea significa custodire nel cuore la memoria viva di questa chiamata, quando Gesù è passato sulla mia strada, mi ha guardato con misericordia, mi ha chiesto di seguirlo; andare in Galilea significa recuperare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi si sono incrociati con i miei, il momento in cui mi ha fatto sentire che mi amava.

    E poi il Pontefice rivolge una domanda diretta al cuore di ogni cristiano:

    Oggi, in questa notte, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia Galilea? E fare memoria, andare indietro col ricordo. Dov’è la mia Galilea? La ricordo? L’ho dimenticata? Cercala e la troverai: lì ti aspetta il Signore! Sono andato per strade e sentieri che mi hanno fatto dimenticarla? Signore, aiutami: dimmi qual è la mia Galilea; sai, io voglio ritornare là per incontrarti e lasciarmi abbracciare dalla tua misericordia. (…) Non è un ritorno indietro, non è una nostalgia. È ritornare al primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo, e portarlo a tutti, sino ai confini della terra. Tornare in Galilea, senza paura.

    Intensa e suggestiva, la Veglia pasquale presieduta dal Pontefice era iniziata nell’atrio della Basilica Vaticana, con il rito della benedizione del fuoco e dell’accensione del cero pasquale. Poi, il lento e cadenzato ingresso del Papa in San Pietro, in una Basilica raccolta in silenzio e completamente al buio. Solo dopo il canto del “Lumen Christi”, ripetuto per tre volte, le luci si sono accese, poco alla volta, con la fiammella delle candele che passava da un fedele all’altro.

    Quindi, per i dieci catecumeni, è giunto il momento di ricevere battesimo, cresima e prima comunione: palpabile la gioia e l’emozione sui loro volti, dal più piccolo – Giorgio, 8 anni non ancora compiuti – al più grande, il vietnamita Matthew, 58 anni. A tutti loro, Papa Francesco ha donato un bacio di pace.

    Al termine della Messa, infine, il Papa ha voluto rivolgere ai tanti fedeli presenti i suoi auguri per la Santa Pasqua:

    Carissimi fratelli e sorelle, auguro a tutti voi buona e santa Pasqua, con la gioia del Gesù Risorto. E andare avanti senza paura e con la voglia di tornare alla prima Galilea per incontrare il Signore. Buona Pasqua!

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    Tweet del Papa: “Cristo è Risorto! Alleluia!”

    ◊   “Cristo è Risorto! Alleluia!” L’annuncio pasquale di Papa Francesco lanc iato nel tweet odierno, a rimarcare la Buona Notizia per eccellenza.

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    Oggi in Primo Piano



    Pasqua in Terra Santa. Il Patriarca Twal: ci sia pace per tutti i popoli

    ◊   “Non dobbiamo vergognarci di testimoniare il Cristo risorto”. E’ il cuore del messaggio del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, per la Pasqua 2014, pronunciato nella Messa di risurrezione alla Basilica del Santo Sepolcro. Parole che risuonano forti nei luoghi di Gesù, che non conoscono ancora pace. Stamani, infatti, a Gerusalemme sono avvenuti scontri fra palestinesi e reparti della polizia israeliana nella spianata della Moschee. Malgrado le tensioni, la Messa pasquale, con la processione solenne, è stata affollata da fedeli e pellegrini. Il servizio di Ada Serra del Franciscan Media Center:

    E’ il patriarca stesso a proclamare il Vangelo davanti all’edicola, che conserva la tomba vuota del Cristo. Nell’omelia, mons. Fouad Twal ricorda i drammi che affliggono la Terra Santa: famiglie costrette a emigrare, città distrutte, chiese profanate, sacerdoti rapiti. Ciononostante, la risurrezione “ci dona una Luce che non dobbiamo tacere” afferma il patriarca:

    “Spero che la Chiesa universale si senta un po’ corresponsabile di questa pace, di questa comunità cristiana, di questa gioia”.

    Alla celebrazione al Santo Sepolcro partecipano i cristiani di Terra Santa, ma anche tanti pellegrini arrivati a Gerusalemme per vivere la Settimana Santa nei luoghi e nei giorni in cui tutto è avvenuto.

    “Staying in Jerusalem…
    Stare a Gerusalemme significa avere l’opportunità’ di uno sguardo più vicino su come Gesù’ ha vissuto la sua Passione”.

    “Yo vengo de Extremadura…
    Io vengo dall’Estremadura e lo sto vivendo come se fosse qui Gesù Cristo ed è stata per me un’esperienza emozionante”.

    La Pasqua quest’anno cade in contemporanea per cattolici e ortodossi. A Gerusalemme, i riti si celebrano tutti nella basilica del Santo Sepolcro. La stessa che tra un mese ospiterà il grande incontro ecumenico con Papa Francesco, che ilo prossimo maggio visiterà Giordania, Territori palestinesi e Israele. Come ricorda ancora mons. Twal:

    “Stiamo già preparando l’arrivo del Santo Padre, che è un uomo di pace, un uomo di serenità, un uomo di vicinanza a tutti quanti”.

    Ascoltiamo ora il Patriarca latino di Gerusalemme approfondire, al microfono di Giada Aquilino, il significato della Pasqua in Terra Santa:

    R. – Come ogni Pasqua, è la Pasqua più bella del mondo e spero che ci farà fare un salto di qualità per avere più pace, più amore, più fedeltà al Signore. È una Pasqua, una Risurrezione, un passaggio da uno stato ad altro: speriamo che dopo ci sia più carità, più giustizia e più collaborazione da parte di tutti. Quest’anno poi, c’è un elemento in più, celebriamo tutti insieme: gli ebrei, che hanno la loro Pasqua, gli ortodossi e i cattolici. Questo era il desiderio del Signore, il suo ultimo testamento ed è il desiderio di tanti cristiani. Spero che, con l’arrivo del Santo Padre, questa volontà, questo desiderio di creare più comunione, più unità, più collaborazione sia sempre più grande nei cuori dei fedeli.

    D. - L’invito della Pasqua è alla speranza senza limiti in Dio, che apre un cammino in mezzo alla nostra sofferenza. Qual è la sofferenza della Terra Santa?

    R. - Le nostre sofferenze sono tante. Più di una volta ho chiamato questa Chiesa “La Chiesa del calvario”, a causa della situazione politica in atto, dell’occupazione militare israeliana che dura da 66 anni. Nonostante tutti gli interventi, gli incontri, le promesse, le risoluzioni, ci troviamo ancora in questa situazione politica, talmente difficile che influisce anche sulla situazione economica della gente: tanti si sono visti costretti ad emigrare, a lasciare la Terra Santa: tra questi, tanti giovani che hanno anche studiato. La definisco: “un’emorragia umana” senza fine. I nostri problemi sono tanti. Non possiamo dimenticare la situazione della Giordania, con un milione di rifugiati siriani tra famiglie, ragazzi, mamme, donne, bambini, anziani. La Chiesa insieme ad altri organismi umanitari fa di tutto per dare un aiuto, però la situazione rimane drammatica. Ma la nostra Chiesa è anche Chiesa della Risurrezione, della speranza, della gioia di vivere, di evangelizzare, di lavorare, di accogliere, di collaborare e di sperare sempre.

    D. - In questa Quaresima, il Papa ha sottolineato come Cristo si sia fatto povero arricchendoci con la sua povertà. Qual è il messaggio pasquale della Terra Santa per tutti i cristiani?

    R. - Vogliamo una pace per tutti; viviamo di povertà, di speranza, di gioia, di libertà. Siamo poveri in tutti i sensi! Abbiamo sempre fatto appello alla pace in Terra Santa, vogliamo la pace. Però non c’è una pace per un popolo senza che non ci sia anche per l’altro. Auguro la pace a tutti gli abitanti di Terra Santa che siano ebrei, musulmani o cristiani. Speriamo che il Signore con questa Risurrezione e con questa Pasqua ci dia quello che auguriamo: pace, serenità, calma per tutti e fiducia reciproca, che al momento manca.

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    Pasqua in Ucraina: violata tregua nelle regioni filo-russe. Sparatoria con vittime a Slaviansk

    ◊   In Ucraina è stata violata la fragile tregua per la Pasqua nelle regioni orientali russofone, offerta ieri da Kiev, che ha sospeso le operazioni militari contro i secessionisti. Stamane, infatti, almeno due miliziani filorussi sono morti in una sparatoria ad un posto di blocco, alle porte di Slaviansk. Immediato il commento indignato di Mosca che parla di provocazione dei nazionalisti ucraini. Sentiamo Marco Guerra:

    È di almeno due vittime confermate tra le fila dei secessionisti il bilancio della sparatoria ad un posto di blocco eretto da militanti filorussi vicino a Slaviansk, nell'Ucraina orientale, città totalmente sotto il controllo di milizie filorusse che presidiano il municipio, la polizia e la sede locale dei servizi segreti. Secondo un responsabile locale, ci sarebbe anche un morto tra gli assalitori, ma il numero reale delle vittime resta incerto. Si tratta dei primi scontri da quando a Ginevra il 17 aprile è stato firmato l’accordo – mediato da Usa, Ue e Russia - per far deporre le armi alle milizie. Immediata la reazione di Mosca: il governo russo parla di “provocazione” e accusa l’estrema destra ucraina che, dal canto suo, nega però ogni coinvolgimento nella sparatoria. E mentre il leader della milizia separatista di Slaviansk ha rivolto un appello a Putin per l’invio di truppe, al fine di proteggere la popolazione russofona, il ministro dell'Interno di Kiev, Avakov, ha annunciato che sta andando nella zona per ispezionare “le forze della guardia nazionale e le unità dei commando”. Intanto appare evidente che l’accordo di Ginevra lascia irrisolta la questione dell’assetto politico e del livello di autonomia delle regioni orientali ucraine filo-russe.

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    Pasqua in Argentina. Il rettore della cattedrale di Buenos Aires: tanta la gente che si confessa

    ◊   La Pasqua è un momento molto sentito anche in America Latina, una parte del mondo segnata ancora da violenza e diseguaglianze. L’anno scorso in febbraio, in un videomessaggio in vista di Pasqua, l’allora arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, ricordò che Gesù ha dato la vita per noi e che “Pasqua è Gesù vivo”. Su come si vive la Pasqua nella terra natale di Papa Francesco e sul cuore dei suoi messaggi per questa festa, Debora Donnini ha sentito padre Alejandro Russo, rettore della Cattedrale di Buenos Aires, per anni al fianco dell’allora cardinale Bergoglio:

    R. – El cardenal Bergoglio generalmente ...
    Il cardinale Bergoglio insisteva generalmente, nel messaggio di Pasqua, sulla Misericordia di Dio, un po’ come quello che adesso dice quando parla del perdono. A volte ha detto che Dio non si stanca di perdonare, che è stato praticamente anche quello che ha detto nel primo Angelus come Pontefice, domenica 17 marzo dello scorso anno.

    D. – Come si vive quest’anno la Pasqua in Argentina? Ci sono tradizioni particolari?

    R. – Lo mas importante...
    La cosa più importante riguarda due situazioni concrete. Una è il Giovedì Santo: moltissima gente in diverse processioni – organizzate dalle parrocchie e dalle stesse arcidiocesi - si reca nelle sette chiese e si visitano i sette monumenti dedicati al Santissimo Sacramento. I movimenti, le associazioni, tutti vanno di chiesa in chiesa in adorazione del Santissimo Sacramento, secondo l’usanza spagnola dell’epoca coloniale. Poi, il Venerdì Santo, c’è una grande devozione alla Croce, alla Vergine dolorosa, e la gente silenziosamente fa il giro delle chiese per tutto il giorno. La notte del Venerdì Santo: la processione della Via Crucis. Tutto s’incentra sulla Passione, il Giovedì e il Venerdì. Poi per la Veglia pasquale la gente della parrocchia riempie le Chiese.

    D. – L’Argentina vive una situazione economica non semplice. Qual è l’annuncio che quest’anno la Chiesa argentina dà alla gente?

    R. – No ha sido nunca un ....
    Non è stato mai un Paese economicamente stabile ed è un Paese abituato a questo. L’annuncio della Pasqua è sempre lo stesso ed è propriamente il kerigma, l’annuncio di Gesù morto e risorto. Qui richiama l’attenzione la Via Crucis di Buenos Aires che vede la partecipazione di 20-30 mila persone, piova o non piova. E’ importante questa religiosità popolare, la devozione a Cristo Crocifisso, la devozione alla Vergine dei dolori. E’ alto anche il numero delle persone che si avvicinano durante la Settimana Santa al Sacramento della Confessione. Nelle grandi chiese ci sono quattro, cinque confessori che di continuo, dal mezzogiorno del Giovedì Santo fino alla notte del Sabato Santo, confessano. E nei Santuari anche di più, ci sono anche 10 sacerdoti che confessano costantemente.

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    Pasqua nelle Filippine: riti e preghiere per la protezione dalle catastrofi naturali

    ◊   La Pasqua nelle Filippine, primo Paese cattolico d’Asia, quest’anno assume un significato particolare, dopo il devastante passaggio nel novembre scorso del tifone Haiyan: più di 6 mila i morti, 30 mila i feriti e un migliaio i dispersi, oltre a danni incalcolabili soprattutto nella regione di Visayas. A sud di tale zona, c'è la grande isola di Mindanao, dov’è stato da poco siglato un accordo tra ribelli del Fronte islamico di liberazione Moro e governo filippino, per porre fine a 40 anni di guerriglia separatista. Sull’isola di Mindanao si trova padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime da 35 anni nelle Filippine e fondatore del movimento per il dialogo interreligioso ‘Silsilah’. A lui Giada Aquilino ha chiesto il significato di questa Pasqua:

    R. - Oggi nelle Filippine è una Pasqua di gioia, anche se purtroppo le calamità dei mesi scorsi sono state terribili. La gente ancora soffre. Durante il Venerdì Santo, in particolare qui a Zamboanga la gente per le strade ha pensato anche alla guerra che c’è stata da queste parti. Quindi: le sofferenze di Gesù sono unite a quelle della gente.

    D. - Questa è anche la prima Pasqua dopo il tifone Haiyan, che ha messo in ginocchio il Paese. Il Papa ha pregato ed ha inviato aiuti per le popolazioni colpite. Qual è la situazione nelle zone interessate?

    R. - La gente lentamente riprende la quotidianità. Purtroppo si tratta di calamità che vanno oltre ogni previsione e, per questo, c’è tanto da fare.

    D. - Tra l’altro il Venerdì Santo a Manila c’è stata una Via Crucis per invocare sicurezza e protezione dalle calamità naturali…

    R. – Sì ed è il tema che è stato mantenuto non soltanto a Manila ma in tutte le Filippine, perché nell’aria si respirano ancora questi disastri. Per il Venerdì Santo c’è la tradizione delle sette palabras, le sette parole dei Signore: molti hanno appunto messo in evidenza la sofferenza della gente e quella di Gesù.

    D. – E’ successo anche lì a Mindanao?

    R. - Certamente. A Mindanao, e specialmente qui dove mi trovo, a Zamboanga, c’è stata una guerra con tanti morti, centinaia di migliaia di sfollati. Ancora oggi vado ad assistere queste persone. Qui da noi poi la realtà è più differenziata, perché la popolazione è musulmana e cristiana: i musulmani non conoscono la Pasqua, sanno che è Pasqua perché i cristiani la celebrano. Quindi sta a noi cristiani proiettare la speranza del Cristo Risorto, che è Cristo dell’amore, Dio che ama tutti.

    D. - A proposito di Mindanao, a marzo scorso c’è stato lo storico accordo di pace tra il governo filippino e il Fronte islamico di Liberazione Moro. Cosa ha portato?

    R. - Un segno di speranza, però la strada è lunga, perché ci sono difficoltà a rispettarlo tra i vari gruppi islamici. Il governo comunque sta facendo di tutto perché questo accordo venga portato avanti dalle parti.

    D. - Lei si occupa di dialogo interreligioso. Che impegno è nelle Filippine?

    R. - È un impegno che porto avanti da 30 anni. Infatti, fra due settimane celebriamo il trentesimo del movimento ‘Silsilah’, per dire ancora una volta che il dialogo deve essere fondato davvero sull’amore di Dio e del prossimo.

    D. - A Pasqua Papa Francesco chiede di accogliere la grazia della Misericordia di Dio. Quale auspicio per le Filippine?

    R. - L’auspicio è quello che si superino davvero i conflitti e che ci si guardi l’un l’altro come fratelli e sorelle. Infatti inizieremo in questo periodo la costruzione di una nuova cappella. La croce sarà composta da due pezzi di legno raccolti nella zona dove c’è stata la guerra. Farò mettere questa frase: ”Father forgive”, “Signore perdona”.

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    Pasqua in Centrafrica. Suor Elianna: lasciamoci il male e le sofferenze alle spalle

    ◊   Anche il Centrafrica celebra la Pasqua, dopo oltre un anno di violenze, peraltro ancora in corso in alcune zone del Paese: giovedì scorso un sacerdote cattolico è stato ucciso nel Nord da miliziani vicini agli ex ribelli Seleka. La Repubblica Centrafricana - lo ricordiamo - è piombata nel caos nel marzo 2013, quando i Seleka portarono al potere Michel Djotodia, dimessosi a gennaio scorso per l’incapacità di fermare gli scontri intercomunitari. A seguire, poi, sanguinose azioni da parte delle milizie anti-Balaka. Sul significato della Risurrezione del Signore, ascoltiamo suor Elianna Baldi, missionaria comboniana italiana impegnata nel campo educativo a Bangui e direttrice delle Pontificie Opere Missionarie dell’arcidiocesi, intervistata da Giada Aquilino:

    R. – Vivere oggi la Pasqua è, innanzitutto, ricordarsi cosa significava farlo un anno fa. Sono infatti ancora molto vivi i ricordi di una città che era stata appena invasa, praticamente il giorno delle Palme, da migliaia di ribelli che circolavano dappertutto e facevano molta paura. Quindi quella dell’anno scorso è stata una Pasqua vissuta nel terrore, nella mancanza della consapevolezza di quello che stava succedendo e di dove si sarebbe andati a finire. Celebrare oggi Pasqua, quindi, per chi è ancora vivo, è farlo innanzitutto con un sentimento di grandissima gratitudine per essere sopravvissuti a questa devastazione del Paese. Certo, viverla a Bangui non è come viverla in altre zone del Paese, soprattutto verso il nord, sulla strada che conduce verso il Ciad, dove ancora qualche giorno fa la gente scappava nella foresta, coi movimenti dei soldati ciadiani che si stanno ritirando e con la paura e il terrore che gli scontri tra anti-Balaka e ciadiani o ex Seleka portino ancora morte.

    D. – L’arcivescovo di Bangui, assieme all’Imam presidente della Conferenza islamica centrafricana e al capo delle Chiese protestanti, ha fatto un lungo giro all’estero per dire che nella Repubblica Centrafricana non si sta combattendo una guerra di religione, ma un conflitto per il controllo del potere. Perché?

    R. – La stampa internazionale sta cercando di far passare questa idea del conflitto di religione per giustificare un certo numero di azioni. Ma il conflitto, veramente, è nato per il controllo del petrolio nel nord e di altre risorse del Paese. E’ stata molto importante, quindi, questa azione riunita delle Chiese per mostrare che qui i capi sono insieme e che anche il popolo non sta combattendo per motivi di religione. Una prova ne è, per esempio, che domenica scorsa la Giornata diocesana dei giovani, nella ricorrenza delle Palme, ha visto anche la partecipazione di una rappresentanza di giovani musulmani, per cercare insieme di guardare avanti verso un futuro di speranza per tutti.

    D. – Papa Francesco, che ha più volte pregato per la fine delle violenze in Centrafrica, chiede di accogliere la grazia della misericordia di Dio, lasciando che poi la potenza del suo amore trasformi l’odio in amore, appunto, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Com’è possibile, a Pasqua, in Centrafrica?

    R. – Questo è il messaggio che ripetono anche tutte le nostre autorità religiose. La realtà, però, è che i cuori delle persone sono molto feriti. Ora si parla, si discute per creare la disposizione degli animi. Ci vorrà del tempo. E’ importante che il messaggio sia chiaro, sia univoco e che aiuti le persone ad orientare lo sguardo verso quello che è l’unico, possibile, sensato futuro: un futuro di convivenza e di pace. A tal proposito, vorrei ricordare in questo momento l’episodio molto bello di un giovane confratello ugandese che, uscendo un giorno per andare a prendere i medicinali per i profughi della parrocchia, ha sorpreso dei giovani che stavano decidendo dove uccidere una ragazza, accusata di essere una ‘spia’ di un’altra comunità. Lui, di cuore, ha reagito, dicendo di non ucciderla e ha ricevuto una coltellata ad un ginocchio. E’ guarito, perché fortunatamente non è stata una cosa molto grave. Questo suo atto ha salvato la vita alla ragazza, ha scosso anche i ragazzi che avevano premeditato di attaccare un sacerdote e che sono poi andati pure a chiedere scusa. E’ stata una testimonianza forte per il gruppo di giovani per il quale il sacerdote lavora. E’ stato questo un segno di generosità, di amore, nella prospettiva pasquale di una pace vera, di un desiderio di lasciare il male e la sofferenza alle spalle.

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    Pasqua in Grecia. Caritas Atene: di fronte alla crisi non perdiamo la speranza

    ◊   Col perdurare della crisi economica, la Grecia vive una Pasqua essenziale, fatta di riti religiosi e consuetudini rafforzate negli anni. Nonostante nelle ultime settimane la disoccupazione abbia fatto registrare un leggero calo e il Paese sia tornato sul mercato dei capitali, con un'asta di titoli a cinque anni, non è ancora finito il periodo di austerity. Ce ne parla padre Andreas Vuccinos, direttore di Caritas Atene e vicepresidente di Caritas Hellas. L’intervista è di Giada Aquilino:

    R. – E’ una Pasqua molto difficile per la gente, perché la crisi economica è ancora forte: la situazione non si è risolta. Anzi: è molto grave e non c’è denaro. La gente adesso viene pagata l’ultimo giorno del mese: cioè lo Stato non paga prima di quella data. Allora non si prenderanno le pensioni, se non alla fine del mese: quindi molti non hanno le possibilità per festeggiare la Pasqua. Non possiamo festeggiare quando i pensionati non prendono la pensione, gli statali non hanno più la tredicesima, o come si chiama qui ‘il dono di Pasqua’.

    D. – Dal punto di vista della fede, come si celebrano i riti pasquali? Quest’anno la Pasqua cattolica e quella ortodossa coincidono…

    R. – In Grecia, come cattolici seguiamo il rito latino, però ormai ogni anno – fin dal 1971 – celebriamo la Pasqua lo stesso giorno della Chiesa ortodossa, perché abbiamo tante famiglie miste. La Chiesa ortodossa per tutto l‘anno segue il nuovo calendario gregoriano, ma per la Pasqua – per festeggiarlo insieme con le altre chiese ortodosse – segue il vecchio calendario. Quindi noi, come cattolici, per la Pasqua seguiamo le date ortodosse, fin dai tempi di Papa Paolo VI.

    D. – Lei ha parlato di una situazione ancora difficile in Grecia: eppure i recenti dati della disoccupazione mostrano un leggerissimo calo…

    R. – Quando ci sono un milione e 300-400 mila disoccupati, se anche un milione ha trovato lavoro questo non significa che si sia risolto il problema delle famiglie.

    D. – La Caritas come aiuta le famiglie?

    R. – Grazie anche alla Caritas italiana e altre Caritas, cerchiamo di aiutare i più poveri, che in maggioranza sono immigrati o profughi. Cerchiamo di dare una mano con i viveri, con la mensa che abbiamo ogni giorno. Possiamo soltanto aiutarli in questo modo. Non abbiamo molte possibilità, anche le nostre risorse sono limitate, a causa della crisi e delle tasse. Anche la Chiesa vive gli stessi problemi della gente.

    D. – Nel periodo pasquale, Papa Francesco ha più volte invitato ad unire le nostre sofferenze a quelle di Cristo per riscoprire la gioia di aiutate gli altri. Com’è possibile in Grecia?

    R. – Noi cerchiamo di farlo attraverso la gente che ci può aiutare. Però non sono più molte le persone, perché tutti quelli che ci aiutavano, ora non possono più farlo.

    D. – Con le parole di Papa Francesco, come è possibile sostenere e accompagnare chi fa più fatica?

    R. – Non dobbiamo perdere la nostra speranza. Speriamo sempre e noi - come cristiani - dobbiamo saper sopportare tutte le difficoltà economiche e sociali. Però non dobbiamo mai perdere la speranza! Il Messaggio del Papa per la Quaresima è stato per noi molto interessante e lo abbiamo distribuito alla gente per far vedere come il Papa parli sempre dei poveri e della situazione dei più deboli nella nostra società.

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    La Resurrezione di Cristo nell’arte: a confronto Piero Della Francesca, Raffaello e Caravaggio

    ◊   L’arte e la Resurrezione di Cristo trovano straordinari punti di intersezione in molti dipinti e affreschi. In questo servizio di Amedeo Lomonaco vi proponiamo un percorso iconografico attraverso le opere, in particolare, di Piero Della Francesca, di Raffaello e di Caravaggio.

    La vittoria del Risorto sulla morte è celebrata da molti, grandi artisti. Tra questi, Piero della Francesca nell’affresco “Resurrezione di Cristo”, eseguito tra il 1450 e il 1463, pone al centro la figura di Gesù e, più in basso, degli uomini che dormono alla base del sepolcro. Rodolfo Papa docente di Storia delle teorie estetiche presso la Pontificia Università Urbaniana:

    “In questo sacrificio che Cristo fa sulla Croce e che porta alla vittoria sulla morte, non c’è nessuno sforzo dell’uomo; è un gesto gratuito che Dio stesso fa nei confronti dell’uomo. Quelle figure che sono lì addormentate, ricordano il racconto di Matteo in quanto le guardie vengono poste lì, perché altrimenti si sarebbe detto che era stato portato via e che quindi la Resurrezione era semplicemente un artificio fatto dai seguaci di Cristo. Ma soprattutto quelle figure, rappresentate in quel modo, dicono anche delle cose estremamente interessanti perché tra quelle ce n’è una che, in modo particolare, porta le mani agli occhi. Sono addormentate, ma forse sono lì a dire che è indicibile; quello che sta accadendo è qualcosa di talmente fuori dalla portata dell’umano. Ed è così straordinariamente raccontato. Infatti il sepolcro – ed è quello il punto di vista interessante – che contiene il corpo di Cristo viene rappresentato come se fosse un sarcofago. Il punto di vista prospettico è dal basso, in modo tale che non vediamo il corpo di Cristo contenuto dal sarcofago, ma lo vediamo emergere dal sarcofago. Il sarcofago però è chiuso, proprio per sottolineare l’indicibile. Poi il fatto che ci siano due paesaggi alle spalle - uno brullo e uno rigoglioso - fa proprio capire il passaggio del tempo ma anche il passaggio spirituale, la dimensione profonda che c’è tra il momento della morte e il momento della Resurrezione, il momento del mondo devastato dal peccato e il mondo, invece, che viene riconciliato attraverso la figura di Cristo al Paradiso. L’uomo è addormentato, non fa nulla ed è lì addirittura armato contro Cristo. E Cristo salva tutti”.

    Anche nel dipinto “Resurrezione” di Raffaello, eseguito tra il 1501 e il 1502, la figura di Cristo è al centro. Ma rispetto all’affresco di Piero della Francesca, il Risorto si solleva dal sepolcro e ascende al cielo:

    “Il punto è esattamente questo: abbiamo una ripresa di quegli elementi pierfrancescani che vengono riorganizzati, riordinati da Raffaello che pone, però, un elemento, un altro punto di vista: Cristo non solo risorge, ma ascende al Cielo. Questo è un tema che vedremo anche in altri dipinti successivi. Per esempio, nel Polittico Averoldi di Tiziano c’è Cristo rappresentato insieme con quelle guardie che dovevano stare lì a controllare che nessuno trafugasse il corpo che in realtà, poi alla fine, diventano testimoni involontari della Resurrezione. Una Resurrezione che, non solo, allude all’ascensione al Cielo, ma addirittura al ritorno di Cristo in gloria sulle nubi nel momento finale, quello che precede il Giudizio. Quindi questo viene rappresentato come un momento unico: il Kairos, il momento giusto dell’incarnazione, è legato contemporaneamente anche alla Resurrezione e al tempo ultimo come se fosse ormai tutto un unico tempo. E per esempio nel Polittico Averoldi, come in realtà anche in Raffaello, la natura è ormai completamente trasfigurata e quindi è risarcita nella condizione originaria che è quella del Paradiso”.

    Quello che nella lettura iconografica di Piero Della Francesca è indicibile, diventa incredulità nel dipinto realizzato da Caravaggio tra il 1600 e il 1601. Nella scena, contraddistinta da un estremo realismo, San Tommaso è incredulo e tocca il costato di Cristo. Ancora Rodolfo Papa:

    “Ma Caravaggio non è incredulo, come alcuni storici dell’arte hanno sottolineato. Quell’elemento, quella capacità di rendere toccabile quel corpo, è un punto fondamentale che va inserito nel momento culturale, storico in cui vive Caravaggio. Ci troviamo alla fine del secondo Manierismo, in un momento in cui si sta mettendo in pratica tutto quello che si è detto nei 1600 anni precedenti sull’utilizzo delle immagini. Le immagini hanno un compito fondamentale: non solo quello di educare, di far pregare, di dare un esempio morale, ma anche di contemplare, di vedere con gli occhi ciò che è invisibile a noi perché viviamo in un’altra epoca, in un altro tempo. E allora, il compito ultimo dell’arte non è solo quelle di vedere ma anche di farci – in qualche modo – toccare. In quel dito di Tommaso, noi abbiamo tutto il nostro sguardo, perché di fatto il corpo di Cristo – così come ci diceva Tertulliano – è il centro della nostra salvezza, “Caro cardo salutis”. E quella carne, Raffaello la dipinge in un modo, Piero della Francesca in un altro, Caravaggio confida di più sul colore e sul contrasto tra luce ed ombra. Ovviamente ogni epoca mette in risalto un elemento particolare che gli è più consono, più vicino. Ma io direi che l’elemento più proprio dell’arte cristiana è la rappresentazione dell’Emmanuele, cioè del Dio con noi, quel Dio che diventa visibile. La prospettiva nasce appositamente per questo, così come la teoria delle luci e dei colori. Le ombre e le prospettive non sono nient’altro che un’invenzione interna del cristianesimo per raccontare questo indicibile e invedibile, perché stando in un’altra epoca in un altro tempo non abbiamo l’opportunità di vederlo; ma è sempre presente, perché Cristo muore e risorge costantemente tutti i giorni”.

    Le opere d’arte – ha detto Papa Francesco lo scorso 19 ottobre ricevendo un’associazione di cattolici americani e europei, mecenati dei Musei Vaticani – “danno testimonianza delle aspirazioni spirituali dell'umanità, dei sublimi misteri della fede cristiana e della ricerca di quella bellezza suprema che trova la sua origine e il suo compimento in Dio”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Messaggio di Pasqua del patriarca Kirill: “Rinasca il legame tra i popoli fratelli di Russia e Ucraina”

    ◊   “Una preghiera particolare per i popoli di Russia e Ucraina, affinché la pace trionfi nella mente e nei cuori di quanti sono fratelli e sorelle secondo il sangue e la fede, affinché si ricostituiscano i legami perduti e rinasca la necessaria collaborazione”. È quanto chiede, nel suo messaggio pasquale, il primate della Chiesa ortodossa russa, il patriarca di Mosca Kirill, rivolgendosi a tutti i credenti ortodossi della Russia e all'intero mondo cristiano, che quest'anno celebra insieme la Santa Pasqua il 20 aprile. Kirill ricorda quindi che “annunciando l’amore di Dio che sorpassa ogni conoscenza, il cristianesimo unisce le persone, oltrepassando le frontiere tra popoli, culture e stati, poiché la luce di Cristo illumina ogni uomo”. Ma per fare questo, il patriarca di Mosca esorta tutti a rinnovare lo spirito con l’annuncio della Pasqua e a condividere la gioia con i familiari e col prossimo, mentre la Chiesa Ortodossa è chiamata a “compiere con zelo la sua missione di salvezza” e a “promuovere l’unità spirituale dei popoli che vivono nei Paesi di giurisdizione spirituale del Patriarcato di Mosca”. “Di anno in anno – afferma poi il primate ortodosso russo - il lieto annuncio della Risurrezione ci porta il suo suono di vittoria e ci spinge a render gloria al Dio e Salvatore che con la sua morte ha schiacciato la morte e ci ha resi partecipi della vita eterna che verrà”. Kirill ricorda dunque che la Pasqua “non è una bella leggenda, né un assioma teologico, né l’obbligo di adempiere un’antica tradizione. La Pasqua – dice il patriarca - è il nucleo e la sostanza del cristianesimo; è la vittoria che Dio ci ha donato”. La Resurrezione di Cristo va quindi accolta “come il più grande miracolo della storia umana (…) un avvenimento che cambia la vita (…), poiché la Resurrezione di Cristo, la Salvezza del mondo compiuta dal Signore, è la più grande gioia che una persona può provare”. “Per quanto difficile possa essere la nostra esistenza – spiega ancora il patriarca di Mosca - per quanto le prove della vita ci possano sopraffare, per quanto dobbiamo sopportare offese dalle persone e torti dal mondo che ci circonda, tutto questo è niente in confronto con quella gioia spirituale e quella speranza nella salvezza eterna che ci dona Dio”. Per questo motivo “la Pasqua di Cristo significa il trionfo della vita, trionfo della vittoria sulla morte, che porta amore, pace, rigenerazione spirituale”. Celebrando la Pasqua – aggiunge Kirill – “il Signore Risorto rinnova la natura umana, rafforza nelle prove, dà forza per compiere buone opere”. (M.G.)


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    Apprezzamento di Toaf e del «Simon Wiesenthal Center» per le canonizzazioni di Wojtyla e Roncalli

    ◊   "Il giusto delle nazioni Karol Wojtyla è certamente un uomo destinato da Dio ad assomigliare maggiormente alla sua immagine. Che il ricordo dei giusti sia di benedizione per tutti noi": in un’intervista all’Adnkronos, il rabbino capo emerito di Roma, Elio Toaff, parla della canonizzazione dell’amico Giovanni Paolo II, che si celebrerà, assieme a quella di Giovanni XXIII, domenica 27 aprile in piazza San Pietro. Alle canonizzazioni del 27 aprile dedica un articolo anche il «Simon Wiesenthal Center», una delle più grandi organizzazioni internazionali ebraiche per i diritti umani che si unisce ai cattolici di tutto il mondo nel riconoscere il notevole contributo dato alla storia da Papa Roncalli e da Papa Wojtyla. "Gli ebrei ricorderanno sempre Giovanni XXIII come la forza animatrice del concilio Vaticano II, che ha cambiato il modo con cui i cattolici hanno guardato le altre fedi, specialmente l’ebraismo". Dal canto suo Giovanni Paolo II, commenta il rabbino Abraham Cooper, decano associato del Centro, "è diventato il primo Papa a visitare una casa di culto ebraico, abbracciando il rabbino capo di Roma Elio Toaff e chiamando gli ebrei “fratelli maggiori” dei cristiani". Cooper ricorda poi altri due fatti per i quali Papa Wojtyla ha "un posto speciale nel cuore del popolo ebraico": la sua decisione di stabilire piene relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele e, durante la visita a Gerusalemme, il biglietto inserito nel Muro occidentale nel quale riconosceva il sangue ebraico di generazioni versato in nome del cristianesimo, pregando per il perdono. Un gesto che "non sarà mai dimenticato".

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    Messaggio dei vescovi spagnoli per le elezioni Ue: “Europa, riscopri le tue radici!”

    ◊   “Da Santiago ti lancio, vecchia Europa, un grido di amore: torna a ritrovarti. Sii te stessa. Scopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Rivivi quei valori autentici che fecero gloriosa e benefica la tua presenza tra gli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale in un clima di pieno rispetto delle altre religioni e delle genuine libertà”. Si apre con la citazione di questo vibrante appello, lanciato da Giovanni Paolo II nel 1982 a Santiago de Compostela, il messaggio dei vescovi spagnoli per le elezioni europee, in programma il 24 e 25 maggio prossimi. “I presuli iberici – si legge nel documento – invitano a partecipare a queste elezioni e fanno proprie le riflessioni diffuse dalla Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità Europea”. Rifacendosi, quindi, al documento della Comece, i presuli ribadiscono il loro “sostegno al progetto europeo” ed invitano le popolazioni ad un “dialogo costruttivo”, esortando gli aventi diritto a partecipare alle operazioni di voto, definite “un processo democratico che rafforzerà la nuova legislatura”. Guardando, poi, alla crisi economico-finanziaria che ha colpito molti Paesi a partire dal 2008, sempre in linea con la Comece, la Chiesa spagnola richiama l’attenzione sul crescente numero di nuovi poveri, ricordando che iquello cristiano è un “messaggio di speranza” e può rendere capace “ogni cittadino, ogni comunità ed ogni Stato membro dell’Ue di mettere da parte gli interessi particolari a favore del perseguimento del bene comune”. Di qui, l’esortazione a guardare alla virtù della “temperanza”, affinché l’economia, la politica e tutti i cittadini europei “imparino a vivere con meno ed a far sì che la condizione dei poveri migliori”. Al contempo, i presuli spagnoli ed i loro omologhi europei esortano a non sacrificare i principi di sussidiarietà, solidarietà e le tradizioni locali in nome dell’unità dell’Ue, perché “è necessario costruire un mondo nuovo che sia centrato sulla solidarietà”. Per questo, si invita a mettere in pratica una politica sociale ed economica che “guardi ad una visione dell’uomo radicata nel profondo rispetto della dignità umana”, perché “la vita umana deve essere tutelata dal concepimento alla morte naturale”, così come “la famiglia, componente fondamentale della società, deve beneficiare della stessa protezione”. Sulla questione delle migrazioni, inoltre, si ribadisce che “la responsabilità dell’accoglienza e dell’integrazione di migranti e richiedenti asilo deve essere suddivisa proporzionalmente tra gli Stati membri dell’Ue”, affinché i migranti siano trattati “con umanità” ed i loro diritti umani “siano scrupolosamente rispettati”, in nome di una “integrazione riuscita su tutto il territorio dell’Ue”. Altro punto fondamentale sottolineato dai vescovi spagnoli, insieme a quelli europei, riguarda la libertà religiosa: definita “elemento fondamentale di una società tollerante ed aperta”, essa include “la libertà di manifestare la propria fede in pubblico” ed è per questo che si raccomanda l’adozione, da parte dell’Ue, di linee-guida sulla “promozione e protezione della libertà di religione”. Infine, i presuli sottolineano la necessità di salvaguardare il Creato con una considerazione attenta ai cambiamenti climatici ed alle emissioni di Co2, e chiedono di tutelare la domenica come “giorno di riposo settimanale”. “L’Unione europea è ad un bivio – conclude il messaggio – È necessario forgiare il suo futuro in modo costruttivo”, perché “abbiamo tutti troppo da perdere se il progetto europeo fallisse”. (I.P.)

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    Puglia, al via tra pochi giorni le Ecclesiadi, olimpiadi delle parrocchie

    ◊   In Puglia prenderà il via tra pochi giorni la decima edizione delle “Ecclesiadi”, le olimpiadi sportive e ricreative tra le parrocchie della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, che quest’anno sono ispirate al tema “È più bello insieme”. Come riporta il Sir, 800 partecipanti iscritti, giovani e non, provenienti da 27 parrocchie, competeranno e si sfideranno in 40 discipline sportive tra cui calcio, calcetto, volley, atletica, nuoto, tiro con l’arco, ciclismo, tennis tavolo e giochi come scopa, briscola, burraco, con gironi per tesserati e non tesserati, maschile e femminile. L’iniziativa è promossa dall’Ufficio per la pastorale del tempo libero, sport, turismo e pellegrinaggi, dalla Pastorale giovanile, con il patrocinio dei quattro Comuni della diocesi, con la fattiva collaborazione dell’Azione Cattolica diocesana e dell’Anspi. Domenica 27 aprile nella parrocchia San Domenico (Molfetta), mons. Domenico Amato, vicario generale, nella Messa darà mandato agli organizzatori e ai partecipanti di avviare le Ecclesiadi. Mercoledì 30 aprile a piazza Meschino (Giovinazzo) la cerimonia d’apertura sarà officiata dal vescovo Luigi Martella. (D.M.)

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    In Svizzera, al via la prima campagna ecumenica a favore degli anziani

    ◊   “C’è un tempo per tutto”: si intitola così la campagna nazionale a favore degli anziani lanciata in Svizzera dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace, le Chiese protestanti e “Pro Senectute”, associazione assistenziale locale per la terza età. Un’iniziativa a carattere ecumenico che si verifica per la prima volta nel Paese. L’obiettivo, informa un comunicato dei vescovi, è quello di combattere “il tabù della vecchiaia”, opponendo ad “una visione esclusivamente economica degli anziani” un altro punto di vista che ne “accentui l’importanza per la società civile”, dato che oggi “chi non si trova al centro della vita cade, purtroppo facilmente, nel dimenticatoio”. “C’è un tempo per tutto – si legge sul sito web creato per l’occasione, www.alleshatseinezeit.ch - è una citazione dall’Ecclesiaste 3,1” ed indica che “esiste una vitalità che non invecchia, una vitalità nell’invecchiamento che si può legare alla visione biblica della pienezza. Essa ha un nome: vita eterna”, dove “eterna non significa infinita, ma semplicemente felice”, di quella felicità che dà “l’essere amati da Dio”. In questo modo, la Chiesa elvetica mostra di aver raccolto gli insegnamenti di Papa Francesco che, nel corso del suo magistero, ha spesso messo in guardia dalla “cultura dello scarto”, a causa della quale gli anziani vengono posti ai margini della società. La campagna “C’è un tempo per tutto” sarà presentata ufficialmente il 23 aprile, alle 20.30, presso la Collegiata di Neuchâtel che, per l’occasione, verrà trasformata in un’opera d’arte contemporanea, grazie ai giochi di luce ideati dall’artista Gerry Hofstetter. E non solo: l’illuminazione di Neuchâtel sarà la prima di una lunga serie, che vedrà Hofstetter “accendere” numerose Chiese in Ticino, in Engadina e a Zurigo. Significativo, infine, il manifesto ideato per l’occasione e che rappresenta una donna sorridente con il volto diviso in due: da una parte è giovane, dall’altra è invecchiato. Sullo sfondo, campeggia lo slogan: “Tutti vogliono vivere a lungo, ma nessuno vuole invecchiare. Gli anziani: c’è un tempo per tutto”. (I.P.)

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    Senegal. Appello dei giovani studenti cattolici per la pace in Casamance

    ◊   Un’azione urgente di sensibilizzazione sulla situazione in Casamance: è quanto chiede la Gioventù studentesca cattolica (Jec) del Senegal, in un appello presentato in questi giorni a Dakar, nell’ambito di un Seminario di formazione sulla prevenzione e la gestione dei conflitti. La regione del Casamance, infatti, è al centro di un trentennale scontro armato legato alla volontà di indipendenza. Lo stesso dicasi per il Kedougou, ad est del Senegal, dove da circa cinque anni lo sfruttamento delle miniere ha scatenato violenze intercomunitarie, aggravate dalle compagnie minerarie straniere interessate alla produzione locale. In questo contesto, quindi, la Jec punta su un percorso di educazione alla pace: “I giovani studenti cattolici del Senegal – afferma Grégoire Sarr, presidente della Jec – vogliono contribuire al processo di riconciliazione e di stabilizzazione del Paese attraverso la formazione e la sensibilizzazione delle persone”. Ricordando, poi, “le conseguenze devastanti dei conflitti”, Sarr evidenzia “l’urgenza, per gli Stati e le popolazioni, di riflettere insieme sulle soluzioni da adottare per riscoprire una pace e una stabilità durature o per fermare il conflitto”. La sfida, conclude il presidente della Jec, è quella dello “sviluppo integrale e duraturo delle comunità”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 110


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