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Sommario del 19/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Via Crucis, il Papa: "Il male non ha l'ultima parola, ma l'amore, la misericordia, il perdono!"
  • Mons. Krajewski porta il dono del Papa ai clochard di Roma
  • Padre Cantalamessa: l'idolo del denaro, radice di tutti i mali, punisce i suoi stessi adoratori
  • Veglia Pasquale presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro
  • La preghiera del Papa per le vittime del naufragio in Corea del Sud
  • Nove anni fa l'elezione di Benedetto XVI, "semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore"
  • Arturo Mari: la santità di Karol Wojtyla in quella Croce stretta tra le mani il Venerdì Santo
  • A Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, l’Ora della Madre
  • Oggi su "L'OsservatoreRomano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina: Kiev concede una tregua ai separatisti dell'Est, accordo di Ginevra difficile da attuare
  • Presidenziali in Algeria: vittoria di Bouteflika con oltre l'81%
  • Nigeria: liberate altre 14 studentesse rapite a Chibok
  • Pasqua a Gerusalemme: dal Sepolcro nasce la luce nuova
  • Pubblicate le Meditazioni sulla Passione scritte da Susanna Tamaro: la Via Crucis è la via dell'amore
  • Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Pasqua di Risurrezione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Repubblica Centrafricana: ucciso sacerdote cattolico
  • Siria: liberati i quattro giornalisti francesi rapiti a giugno
  • Brasile: caos a Salvador de Bahia dopo lo sciopero dei poliziotti
  • Yemen: una ventina di morti dopo l'attacco di un drone Usa nel centro del Paese
  • Burundi: creata Commissione verità e riconciliazione, il Paese resta diviso
  • Nepal: 60 catecumeni saranno battezzati nella notte di Pasqua
  • Singapore. L'arcivescovo Goh nel messaggio pasquale invita a proclamare il Vangelo con gioia
  • La gioia della Pasqua nelle diocesi italiane
  • In Suriname, la Cattedrale di San Pietro e Paolo di Paramaribo elevata a Basilica minore
  • Il Papa e la Santa Sede



    Via Crucis, il Papa: "Il male non ha l'ultima parola, ma l'amore, la misericordia, il perdono!"

    ◊   Il male, i tradimenti, l’arroganza e la vanità dei prepotenti: c’è il peso di tutte queste cose nella croce di Cristo, ma anche l’immensità dell’amore di Dio, che non ci tratta secondo i nostri peccati ma secondo la sua misericordia. Ai circa 40 mila fedeli riuniti attorno al Colosseo, dove ieri sera si è svolta la tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo, Papa Francesco ha detto che Gesù ha portato sulle sue spalle la bruttura del male, ma che quella in cui è stato inchiodato è una croce gloriosa, ricca della misericordia di Dio. Il servizio di Tiziana Campisi:

    Assorto in preghiera Papa Francesco ha ascoltato le meditazioni della Via Crucis, mentre a sorreggere la croce nelle 14 stazioni si sono alternati quegli uomini e quelle donne i cui drammi hanno ispirato mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano. Autore delle riflessioni che hanno accompagnato i brani dei Vangeli sulla Passione, il presule ha associato i passi di Gesù verso il Golgota alle preoccupazioni degli operai che oggi vivono la precarietà, alla disperazione di tanti imprenditori falliti, alle amare condizioni di numerosi detenuti, al dolore di quelle madri che hanno perso i loro figli nella terra dei fuochi, nel gorgo dell’alcol o nell’abisso della droga.

    Tre maxischermi, dai Fori Imperiali al Colosseo, hanno diffuso le parole del Papa al termine della tradizionale pia pratica; parole come sussurrate nella notte che ha ricordato la Passione di Cristo, pacate, ma forti, quasi a volere delicatamente toccare l’intimo di chi ascoltava; parole con le quali il Pontefice ha voluto sottolineare che il male non prevale, che l’infinito amore di Dio per gli uomini supera tutte le cose, che la croce di Cristo, pur caricata delle brutture del male, è comunque una croce gloriosa:

    “Nella Croce vediamo la mostruosità dell’uomo, quando si lascia guidare dal male; ma vediamo anche l’immensità della misericordia di Dio che non ci tratta secondo i nostri peccati, ma secondo la sua misericordia”.

    Vanità, prepotenza e arroganza pesano sulle spalle di Cristo, ma è alla Risurrezione che Lui ci porta, ha detto Papa Francesco recitando una preghiera di Gregorio Nazianzeno per evidenziare la piccolezza dell’uomo di fronte a Dio e la grandezza del suo amore e del suo perdono, quindi ha avuto un ultimo pensiero per i malati:

    “Ricordiamo i malati, ricordiamo tutte le persone abbandonate sotto il peso della Croce, affinché trovino nella prova della Croce la forza della Speranza, della Risurrezione e dell’Amore di Dio”.

    Intensi i testi delle riflessioni di mons. Bregantini, che, descrivendo le piaghe del mondo contemporaneo, mostrano che la vita, se donata, porta frutto.

    Ed è una vita aperta al prossimo quella che Cristo ci fa conoscere, quel chiunque che, accostato predicando nell’antica Palestina, gli va incontro nelle ore della Passione: Simone di Cirene, la Veronica, le donne di Gerusalemme. Figure che mostrano come, scrive mons. Bregantini, “la vita se te la tieni troppo stretta, ammuffisce e si secca. Ma se la offri, fiorisce e si fa spiga di grano” per tutti, come quella di Cristo, che seppure piagato, stremato e per tre volte caduto, resta Maestro di vita, perché insegna ad accettare le fragilità, a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti:

    (Simona De Santis) III Stazione: Gesù cade per la prima volta.

    (Orazio Coclite) “Cade per terra, ma in questa caduta, in questo cedere al peso e alla fatica, Gesù … ci insegna ad accettare le nostre fragilità, a non scoraggiarci per i nostri fallimenti, a riconoscere con lealtà i nostri limiti … Con questa forza interiore che gli viene dal Padre Gesù ci aiuta anche ad accogliere la fragilità degli altri; a non infierire su chi è caduto, a non essere indifferenti verso chi cade”.

    Sulla via verso il Golgota, nelle meditazioni di quest’anno, è come vedere Cristo incontrare chi oggi soffre; nei suoi patimenti si possono intravedere i disagi dei detenuti nelle carceri sovraffollate o i traumi dei bambini abusati. Ma a chi piange Gesù chiede:

    (Virna Lisi) “Non più lamenti ma voglia di rinascere, di guardare avanti, di procedere con fede e speranza verso quell’aurora di luce che sorgerà ancora più accecante sul capo di quanti camminano rivolti a Dio. Piangiamo su noi stessi se ancora non crediamo in quel Gesù che ci ha annunciato il Regno della salvezza. Piangiamo sui nostri peccati non confessati”.

    Gesù muore in Croce, la XII stazione ricorda le sue ultime parole, tutta la speranza cristiana è racchiusa lì: Dio non tace, la risposta è Cristo; ogni supplica riceve ascolto da parte di Gesù; chi ci ama ci è sempre accanto; Dio vuole sempre salvarci; la morte di Cristo è tutta amore; il perdono risana, trasforma e consola; nelle mani di Dio va riposta fiducia piena, perché in Lui tutto si compone in unità.

    E quale ultima meditazione tocca a noi dinanzi a Gesù nel sepolcro? Da quel giardino dove Cristo è stato deposto giunge l’invito a liberarsi della superbia, del denaro, dello spreco della vita, a recidere questi “rami selvatici”, ad innestarli al legno della Croce per respirare la volontà di Dio. La Croce di Gesù dove innestiamo i nostri egoismi diviene vita nuova e con la morte non avrà un termine, perché in Cristo c’è la Risurrezione.

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    Mons. Krajewski porta il dono del Papa ai clochard di Roma

    ◊   Ieri sera, proprio durante la Via Crucis al Colosseo, l’elemosiniere del Papa, mons. Konrad Krajewski, e mons. Diego Ravelli, cerimoniere pontificio, si sono recati nelle zone intorno alla Stazione Termini, Santa Maria Maggiore e Ostiense, per portare ai senza fissa dimora una busta con gli auguri di Pasqua di Papa Francesco e un aiuto finanziario, grazie al ricavato delle pergamene per le Benedizioni.

    Stamattina lo stesso dono è stato portato alle circa 30 donne ospiti in questi giorni della Casa Dono di Maria, in Vaticano, gestita dalle Missionarie della Carità. In questo modo, è stata praticamente svuotata la cassa della Elemosineria apostolica.

    Mons. Krajewski ha ricordato che il Papa lo ha invitato ad andare a cercare i poveri, a non stare dietro la scrivania, anzi a venderla per vincere la tentazione di rimanere in ufficio. L’iniziativa – afferma - è stata presa dopo aver ascoltato la predica di padre Raniero Cantalamessa alla Celebrazione della Passione, in cui il padre cappuccino ha denunciato l’idolatria del denaro.

    L’elemosiniere ha raccontato la gioia dei senza fissa dimora nel ricevere l’inatteso regalo del Papa. Alcuni di loro stavano già preparando i cartoni, come letto di fortuna per la notte, e si sono messi a ballare per la felicità ringraziando la Provvidenza divina. Mons. Krajewski aveva preparato negli ultimi 14 anni la Via Crucis al Colosseo: “quest’anno – ci ha detto – ho fatto la Via Crucis con i barboni”.

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    Padre Cantalamessa: l'idolo del denaro, radice di tutti i mali, punisce i suoi stessi adoratori

    ◊   La tragica esperienza vissuta accanto a Gesù da uno dei 12 apostoli, Giuda Iscariota. Ad essa, che rappresenta uno dei drammi più foschi della libertà umana, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha dedicato la sua omelia nella Celebrazione della Passione del Signore presieduta in questo Venerdì Santo da Papa Francesco nella Basilica Vaticana. La sua vicenda, afferma, ha tanto da dirci su noi stessi, ma soprattutto sulla risposta di Gesù al peccato. Il servizio di Adriana Masotti:

    “Giuda Iscariota che divenne traditore” scrive l’evangelista Luca. Molte le risposte che nel tempo sono state date a questa drammatica scelta. Forse motivi ideali o politici. Ma i Vangeli, uniche fonti attendibili, dice padre Cantalamessa, parlano di un motivo molto più terra-terra: il denaro. “Quanto siete disposti a darmi, se io ve lo consegno? Aveva chiesto Giuda ai capi dei sacerdoti:

    "Ma perché meravigliarsi di questa spiegazione e trovarla troppo banale? Non è stato forse quasi sempre così nella storia e non è ancora oggi così? Mammona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia".

    “L’attaccamento al denaro - dice la Scrittura - è la radice di tutti i mali”. Dietro ogni male della nostra società c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro. Cosa c’è, ad esempio, dietro il commercio della droga, si domanda padre Cantalamessa, lo sfruttamento della prostituzione, le varie mafie, la corruzione politica, la fabbricazione e il commercio delle armi, la vendita di organi umani?

    "E la crisi finanziaria che il mondo ha attraversato e che questo paese sta ancora attraversando, non è dovuta in buona parte all’’esecranda bramosia di denaro’, l’auri sacra fames, da parte di alcuni pochi? Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico? Ma senza pensare a questi modi criminali di accumulare denaro, non è già scandaloso che alcuni percepiscano stipendi e pensioni cento volte superiori a quelli di chi lavora alle loro dipendenze e che alzino la voce appena si profila l’eventualità di dover rinunciare a qualcosa, in vista di una maggiore giustizia sociale?".

    Quante volte, continua padre Cantalamessa, abbiamo dovuto ripensare alle parole di Gesú al ricco che aveva ammassato tanti beni da sentirsi al sicuro per il resto della vita: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata”:

    "Uomini collocati in posti di responsabilità che non sapevano più in quale banca o paradiso fiscale ammassare i proventi della loro corruzione si sono ritrovati sul banco degli imputati, o nella cella di una prigione, proprio quando stavano per dire a se stessi: ‘Ora godi, anima mia’. Per chi l’hanno fatto? Ne valeva la pena? Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri? Il dio denaro si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori".

    Il tradimento di Giuda continua nella storia, ma sarebbe troppo comodo pensare solo ai casi clamorosi o a gesti compiuti da altri e padre Cantalamessa fa esempi concreti:

    "Tradisce Cristo chi tradisce la propria moglie o il proprio marito. Tradisce Gesú il ministro di Dio infedele al suo stato, o che invece di pascere il gregge pasce se stesso. Tradisce Gesú chiunque tradisce la propria coscienza".

    Giuda dopo aver riconosciuto di aver consegnato sangue innocente andò ad impiccarsi. Quale sarà stato il suo destino eterno, si chiede il predicatore, invitando a non dare un giudizio affrettato. Gesú, sostiene, non ha mai abbandonato Giuda e nessuno sa dove egli è caduto nel momento in cui si è lanciato dall’albero con la corda al collo. Chi può dire cosa è passato nella sua anima nell’ultimo istante? Come Gesù cercò il volto di Pietro dopo il rinnegamento per dargli il suo perdono, chissà come avrà cercato anche quello di Giuda in qualche svolta della sua via crucis! Ma Pietro ebbe fiducia nella misericordia di Cristo, Giuda no! Il suo più grande peccato, conclude padre Cantalamessa, non fu aver tradito Gesú, ma aver dubitato della sua misericordia:

    "Esiste un sacramento nel quale è possibile fare una esperienza sicura della misericordia di Cristo: il sacramento della riconciliazione. Quanto è bello questo sacramento! È dolce sperimentare Gesú come maestro, come Signore, ma ancora più dolce sperimentarlo come Redentore: come colui che ti tira fuori dal baratro, come Pietro dal mare, che ti tocca, come fece con il lebbroso, e ti dice: “Lo voglio, sii mondato!”.

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    Veglia Pasquale presieduta dal Papa nella Basilica di San Pietro

    ◊   Papa Francesco presiede questa sera alle 20.30 nella Basilica Vaticana la Veglia Pasquale. Durante la celebrazione verranno battezzati 10 catecumeni: il più piccolo ha 7 anni ed è italiano, il più grande è un vietnamita di 58 anni. Altri battezzandi provengono da Bielorussia, Senegal, Libano e Francia.

    Domani alle 10.15 il Papa presiederà in Piazza San Pietro la Santa Messa del Giorno di Pasqua. Durante il rito verrà eseguito anche il canto pasquale degli Stichi e Stichirà della liturgia bizantina per ricordare che quest’anno l’Occidente e l’Oriente cristiano celebrano la Pasqua nello stesso giorno. Come da tradizione la piazza sarà abbellita da migliaia di fiori, omaggio dei floricoltori olandesi.

    Alle 12.00, il Papa, dalla Loggia Centrale della Basilica Vaticana, leggerà il Messaggio Pasquale e impartirà la Benedizione Urbi et Orbi.

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    La preghiera del Papa per le vittime del naufragio in Corea del Sud

    ◊   Il Papa sta seguendo con apprensione la vicenda del naufragio del traghetto sudcoreano avvenuto il 16 aprile scorso. In un tweet lanciato questo Sabato Santo scrive: “Vi invito a unirvi alla mia preghiera per le vittime del tragico naufragio in Corea e per i loro familiari”. Finora sono stati recuperati circa 30 corpi, ma ci sono oltre 270 dispersi. A bordo c’erano 475 passeggeri, in gran parte studenti sudcoreani in gita turistica all’isola di Jeju. Le operazioni di soccorso in cerca di eventuali superstiti proseguono senza posa. Il comandante del traghetto è stato arrestato sotto l'accusa fra l’altro, di negligenza e violazione del diritto marittimo.

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    Nove anni fa l'elezione di Benedetto XVI, "semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore"

    ◊   Alle 17.50 del 19 aprile 2005, la fumata bianca dalla Cappella Sistina annunciava l’elezione di Benedetto XVI, 265.mo Pontefice della Chiesa. Il breve saluto col quale il nuovo Papa si presentò alla folla e al mondo diede subito la cifra dell’uomo e del pastore, un uomo umile che si apprestava al massimo ministero fidando nella “gioia di Cristo Risorto”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Ventitré anni, cioè una vita intera, a reggere il luogo dove si “ausculta” con discrezione e attenzione il cuore della Chiesa, la regolarità oppure l’alterazione dei suoi battiti – la Congregazione per la Dottrina della Fede – rimanendo in totale sintonia d’anima, e in amicizia, con Giovanni Paolo II. Poi, alle 18.50 di un martedì pomeriggio di aprile, mentre la Chiesa ha ancora in gola il groppo per la morte del Papa che si vuole “Santo subito”, tocca proprio all’“insigne maestro di teologia” – come lo definì Paolo VI facendolo cardinale – succedere all’amico ormai affacciato a una finestra più alta e grande. Ma anche quella della Loggia centrale di San Pietro, verso la quale il nuovo Papa avanza e da dove arriva il brusio frontale di 100 mila persone, è una finestra lata e soprattutto enorme come l’emozione che l’uomo mite, abituato a cattedre e carte più che a prosceni e microfoni, cerca di contenere dentro di sé:

    “Cari fratelli e care sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me…”.

    Ovvio senso del limite, ma ancor più senso della perdita. Entrambi traspaiono all’unisono nelle parole d’esordio di Benedetto XVI. Ma se immaginarsi successore di un Pietro col carisma di Giovanni Paolo II è impresa che appare smisurata da ogni lato, forse più smisurato in quel momento di ferite aperte è certamente il dolore privato inferto al cuore da quel “dopo”. “Dopo il grande Papa” è anche il “dopo” i tanti anni vissuti non all’ombra ma nella luce di uno straordinario amico:

    “…hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti…”.

    Schietti i due aggettivi che valgono titoli istantanei e future biografie. E più che sufficienti per presentarsi a un uomo che la vigna del Signore ha sempre servito con dedizione, dissodando però zone e zolle fuori del raggio dei riflettori, terreni che quasi mai fanno notizia e che non richiedono di affinare doti di presenza mediatica. Il nuovo Pietro ne è consapevole, come pure del fatto che, là dove possono risultare “insufficienti” le doti, arriva Dio con i suoi doni a migliorare la natura con la grazia:

    “…e soprattutto mi affido alle vostre preghiere, nella gioia del Signore risorto, fiduciosi del Suo aiuto permanente. Andiamo avanti, il Signore ci aiuterà, e Maria, Sua Santissima Madre, sta dalla nostra parte. Grazie”.

    Fiducia nel sostegno divino, in quello della Vergine, richiesta di preghiere: forse quanto di più “normale” da esprimere in una circostanza simile. Ma la chiave del Pontificato che inizia sta tra queste due sponde e sarebbe banale spiegarla solo come riferimento al tempo liturgico. Ed è un messaggio che possiede un’eco di antica comunità cristiana, di quando chi professava la fede, e rischiava la vita, si faceva forza con la forza di una certezza, quella che in tanti cristiani tiepidi di oggi – e oggi si direbbe “di pasticceria” – sembra un panno scolorito, un carburante esausto, un entusiasmo solo per bambini. La parola chiave di Benedetto XVI è gioia della Risurrezione, perché il suo Pontificato - è bene ricordarlo - inizia così: “Nella gioia del Signore Risorto”.

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    Arturo Mari: la santità di Karol Wojtyla in quella Croce stretta tra le mani il Venerdì Santo

    ◊   Raccontare la santità attraverso un’istantanea. E’ quello che ha potuto realizzare Arturo Mari, per oltre 50 anni al servizio dei Pontefici come fotografo dell’Osservatore Romano. Legatissimo a Giovanni Paolo II, Mari conserva dei ricordi speciali anche di Giovanni XXIII che ha potuto seguire da vicino all’inizio della sua professione. La canonizzazione dei Papi Wojtyla e Roncalli rappresenta, dunque, per lui un momento di grande emozione e gratitudine al Signore. Intervistato da Alessandro Gisotti, il “fotografo dei Papi” confida le sue emozioni e ritorna ai momenti più belli vissuti con Giovanni Paolo II:

    R. – Per me, è un avvenimento così bello, che il Santo Padre Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII siano sulla gloria degli altari … sono felice e mi rende orgoglioso anche il privilegio di essere stato vicino a questi due grandi uomini, per cui la felicità è tanta. Ho avuto la fortuna di vivere accanto a dei santi viventi!

    D. – Quali sono i suoi ricordi più belli di Giovanni XXIII?

    R. – La sua semplicità, il suo sorriso, la sua carezza quando lavoravi … bisogna anche tenere presenti i tempi di allora, con il protocollo di allora … Con Giovanni XXIII le porte del Vaticano si aprono, la Chiesa si apre, lui incomincia ad andare in mezzo alla gente … Tu lavori accanto ad un sant’uomo che ogni tanto si gira e si ricorda di te, ti dice “Come stai?”… Questa è la soddisfazione maggiore che ho avuto.

    D. – Lei ha vissuto accanto a Giovanni Paolo II ogni giorno del suo lungo Pontificato. C’è un momento nel quale ha incominciato a pensare che non era solo vicino a un grande Papa, ma proprio vicino ad un Santo?

    R. – Io ho conosciuto mons. Wojtyla al tempo del Concilio Ecumenico Vaticano II, e lì saltava agli occhi subito questo vescovo sopra la norma. Non appena Giovanni Paolo II ha iniziato il suo Pontificato, è scattata una molla che mi ha fatto credere nella santità, che poi ho potuto toccare con mano. Il suo programma prevedeva la valorizzazione di valori che mai si sarebbe pensato si potessero applicare – eppure si sono avverati! Ci sono stati problemi enormi, che si sono risolti … questi sono miracoli! Milioni di persone che hanno avuto la libertà, la pace … Oltre a cose specificatamente personali, viste nella sua cappella e in altri luoghi, dove ad alcune persone è stato detto: “Alzati e cammina!”, e in un certo senso questo è accaduto …

    D. – Quando Giovanni Paolo II pregava, tutti – da vicino o da lontano – avevamo l’impressione che il tempo si fermasse …

    R. – Quando lui era solo, in preghiera, assistere, vederlo … e io qualche volta di nascosto – cosa che non avrei dovuto fare, però l’ho fatto – da dietro l’altare vedevo quel volto che non era lui: i lineamenti, non era lui; quello sguardo, non era lui: era una cosa fuori dalla norma! E poi, quando doveva incontrare i potenti del mondo, lui si ritirava in preghiera, ginocchia a terra, con la testa sull’inginocchiatoio, e incominciava un dialogo, un dialogo con Nostro Signore …

    D. – Lei aveva anche un punto privilegiato nel guardare le persone che incontravano Giovanni Paolo II: cosa la colpiva, magari anche riguardando gli scatti, delle espressioni del volto di queste persone che incrociavano lo sguardo di Karol Wojtyla?

    R. – Era bello, vedere i loro occhi! Un giorno il Santo Padre mi disse: “Arturo, vedi, quando tu hai un amico, una persona che ami, nella quale hai fiducia, quando gli parli, guardala sempre negli occhi: è quella parte della persona che non può tradire mai. Lì potrai vedere la verità!”. E così era. E questa è stata una lezione che ho appreso quasi subito e mi ha anche aiutato tanto nel lavoro, perché spesso con lui si riusciva a parlare con gli occhi, con lo sguardo. La gente che lo aveva incontrato sapeva chi stava guardando, specialmente i giovani: vedere quegli occhi luminosi, aspettando una parola da lui, aspettando qualcosa, la felicità di toccare una persona che loro amavano … questo era bellissimo!

    D. – Lei ha scattato innumerevoli fotografie di Giovanni Paolo II. Qual è quella che meglio rappresenta, quasi racchiude, proprio, la santità di Giovanni Paolo II?

    R. – La fotografia che ho fatto l’ultimo Venerdì Santo nella cappella del Santo Padre, quando non ha potuto recarsi alla “Via Crucis”, al Colosseo. Alla quattordicesima stazione, il Santo Padre ha chiesto la croce al suo segretario don Stanislao Dziwisz: non mi ha colto alla sprovvista, perché conoscevo troppo bene quest’uomo! Prende questa croce, la appoggia alla sua fronte, bacia il Cristo e la appoggia sul suo cuore. Per me questi sono 27 anni – una vita! – dedicata alla Chiesa, una vita dedicata al mistero della Croce. A questa Croce lui in ogni momento si è appoggiato per chiedere aiuto; con questa Croce lui ha girato il mondo, facendosi sempre forza con essa, con quel bacio, con la fedeltà a Dio, alla Chiesa, alla sua missione. Le unghie delle sue dita erano rosse per la forza con cui stringeva quella Croce; e con quelle mani lui ha scritto Encicliche, ha benedetto milioni di persone, ha accarezzato bambini, malati, infermi, ha dato sostegno a chiunque potesse dare aiuto … Quante lettere ha scritto, quante cose ha fatto per noi, con quelle mani!

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    A Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, l’Ora della Madre

    ◊   Com’è ormai tradizione da 25 anni, si è tenuta stamani nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma, una speciale celebrazione mariana: “L’Ora della Madre”. A presiederla l’arciprete della Basilica, il cardinale Santos Abril y Castelló. Se infatti il Venerdì Santo è per antonomasia l’“Ora” di Gesù, il Sabato Santo è l’“Ora” della Madre, in cui si rivivono il dolore e la fede suprema di Maria nell’attesa della Risurrezione del Figlio. Giada Aquilino ne ha parlato col cardinale Santos Abril y Castelló:

    R. - Abbiamo voluto questo incontro, che non è il primo celebrato nella Basilica di Santa Maria Maggiore, perché lo abbiamo fatto anche negli anni precedenti. Crediamo sia importante che in questa Basilica, che è proprio il centro della devozione alla Madonna, non soltanto a Roma, ma anche per il suo significato teologico per tutta la Chiesa, si siano unite le varie riflessioni raccolte le altre volte: pensare a Maria e rivivere quello che la Madonna ha vissuto durante quelle ore, mentre era nell’attesa della Risurrezione del Signore, della Risurrezione del Figlio. Era sicura che ciò sarebbe avvenuto. E’ una devozione che in Oriente si ricorda ancora. Raccogliamo infatti nella nostra celebrazione molti testi sia della Chiesa orientale, sia della Chiesa occidentale. Ma soprattutto abbiamo messo l’accento sul senso di fede, sul senso di amore e di totale affidamento che aveva in questa sua missione di Madre della Chiesa, cercando di collocarlo nel momento attuale della vita della Chiesa. Credo che sia molto importante che la Madonna possa essere la grande strada verso il Signore, che ci conduca verso il Figlio. E Lei, che è stata la migliore cristiana e anche la migliore discepola, ci guidi verso suo Figlio. Abbiamo voluto unire tutti questi elementi per rafforzare nel popolo dei fedeli la devozione alla Madonna. Un altro aspetto che abbiamo tenuto presente è il fatto che il Santo Padre sia voluto venire qui già sette volte dall’inizio del suo Pontificato a venerare la Madonna.

    D. - In quell’ora in cui tutto sembra finito, Maria è “Chiesa che crede”. Proprio Papa Francesco parla di una “Chiesa madre”, ispirandosi alla Madonna. Cosa la Chiesa e i fedeli possono attingere oggi dalla Madonna?

    R. - Possono vedere, prima di tutto, quel senso di donazione totale, di affidamento totale alla volontà del Signore e poi vedere come abbia seguito il Figlio con discrezione, sempre in secondo piano, ma con un posto importantissimo sin dall’inizio della Chiesa. Credo che anche oggi sia molto importante per noi - perché Maria continua ad essere l’esempio migliore che c’è di vita secondo la volontà di Dio - avvicinare questa Chiesa alla Madre di Gesù, alla Madre della Chiesa. E’ per ciò che, in questa occasione, abbiamo voluto radunarci intorno a Maria, chiedendo che Lei ci guidi, che guidi il Santo Padre, che guidi la nostra Chiesa, anche nell’attuale desiderio di rinnovamento della vita della Chiesa; per poter essere testimoni nel mondo dell’amore e della fedeltà alla Chiesa; perché questa fede ci trasformi in servitori di coloro che hanno bisogno del nostro amore, della nostra carità e del nostro servizio, come il Santo Padre insiste tante volte.

    D. - Non a caso quando Papa Francesco è venuto alla Basilica di Santa Maria Maggiore ha parlato più volte di Misericordia…

    R. – Sì. Credo che questo sia uno degli aspetti importanti sul quale il Santo Padre insiste con frequenza: l’aspetto della Misericordia di Dio, di saper andare verso il Signore che ci accoglie sempre. E qui c’è una splendida riflessione del Santo Padre, quando dice: “Possiamo essere peccatori ma, se ci pentiamo e andiamo verso il Signore, Lui ci accoglie sempre”.

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    Oggi su "L'OsservatoreRomano"

    ◊   Come l'alba di una notte lunga: i riti del venerdì santo presieduti da Papa Francesco.

    In prima pagina, Giulia Galeotti sulla donna che non c'era, al sepolcro.

    Un articolo di Carlo Carletti dal titolo "La Pasqua di Severus": in un'iscrizione del quinto secolo la commovente storia di un bimbo morto una settimana dopo aver ricevuto il battesimo.

    Quel corpo assente: Giuliano Zanchi sullo stupore degli apostoli di fronte a una tomba misteriosamente vuota.

    Se un buon vento forte trasporta il più piccolo tra tutti i semi: da Solmoe, Cristian Martini Grimaldi sulla Corea vista dal santuario dedicato ad Andre Taegon.

    Quell'intreccio tra Scrittura, liturgia e spettacolo: Timothy Verdon illustra la rappresentazione artistica del mistero pasquale nei secoli.

    I giusti Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: Elio Toaff e il Centro Simon Wiesenthal sulla canonizzazione dei due pontefici.

    In Vietnam i bambini muoiono ancora di morbillo.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina: Kiev concede una tregua ai separatisti dell'Est, accordo di Ginevra difficile da attuare

    ◊   Il governo di Kiev ha offerto una "tregua pasquale" ai separatisti filorussi del Sud-Est dell'Ucraina sospendendo l'operazione militare lanciata nei giorni scorsi. Lo ha annunciato alla Bbc il ministro degli esteri Deschizia. Ma i ribelli restano negli edifici occupati in molte città e ribadiscono al governo ad interim di Kiev la richiesta di un referendum. “I prossimi giorni saranno cruciali affinché tutte le parti in causa applichino quanto previsto”, afferma, rivolto a Mosca, il segretario di Stato Usa Kerry. Il riferimento è al disarmo dei gruppi armati ritenuti illegali proprio nell’Ucraina dell’Est. Il Cremlino ribatte: "Nulla impedisce il miglioramento delle relazioni, ma non dipende solo da noi". Restano dunque le difficoltà nell'attuazione dell'accordo di Ginevra, come conferma - al microfono di Gabriella Ceraso - Germano Dottori, docente di Studi strategici all'Università Luiss Guido Carli di Roma:

    R. - Ci sono dinamiche molto complesse che chiamano in causa non soltanto le grandi potenze che si siedono intorno a un tavolo e neanche soltanto i governi legittimi: ci sono gli attori sul terreno, ci sono le organizzazioni che sono sorte in questi mesi, capaci di dirottare la dinamica rispetto alle sedi internazionali. Ci vuole molto tempo! E’ importante che siano stati messi dei paletti, però non mi pare che in quel testo concordato a Ginevra fosse risolta la questione finale: l’assetto costituzionale dello Stato ucraino e il suo posizionamento internazionale. Fintanto che questa cosa resta indeterminata è molto difficile che il conflitto possa essere disinnescato.

    D. - A questo proposito potrebbe essere il termine federazione, il termine chiave per il futuro assetto politico dell’Ucraina?

    R. - Si discute proprio del livello di autonomia che dovrebbero avere le regioni dell’Est e che dovrebbero essere nella visione dei russofoni e di Mosca che li sostiene, capaci di dire la loro anche sulla politica estera dello Stato. In realtà alla fine è sempre la questione dell’allineamento internazionale che interessa Mosca, perché Mosca non vuole avere l’Unione Europea, né la Nato alle proprie frontiere; ma interessa anche i russofoni delle province orientali, perché se l’Ucraina viene in Occidente saranno le regioni occidentali del Paese e la capitale Kiev quelle che si svilupperanno maggiormente ed è chiaro che loro non ci stanno!

    D. - Quanta parte ha il popolo ucraino in questa rivoluzione che, forse, porterà ad un nuovo assetto e quanto hanno voluto attori esterni ad Est e ad Ovest?

    R. - Ci sono entrambe le cose: interagiscono! Comunque, nel precipitare questa crisi un ruolo importante lo hanno avuto alcuni Paesi dell’Unione Europea: sono sostanzialmente la Polonia, la Svezia, le tre Repubbliche Baltiche e da ultimo la Germania, molto più che non gli Stati Uniti. Non solo economia, ma molta politica dunque perché specialmente la Polonia è desiderosa di avere un cuscino di sicurezza molto profondo, che la allontani ancora di più dall’area di influenza della Russia.

    D. - Quanto e quale può essere il ruolo - se chiave o meno - della presenza dell’Osce, proprio per risolvere la crisi ucraina?
    R. - Significa fare appello ad una organizzazione internazionale paneuropea, in cui sono rappresentanti anche i russi e i Paesi più vicini ai russi. Quindi è di garanzia. Quello che potranno fare, non lo so! Diciamo che la loro funzione è soprattutto quella di garantire una testimonianza imparziale, che è una cosa che ha la sua importanza nell’esercitare una deterrenza nei confronti di chi vuol innescare un processo violento o comunque importante, perché permette di avere un occhio neutrale su quello che succede. E ce ne è molto bisogno oggi, lì!

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    Presidenziali in Algeria: vittoria di Bouteflika con oltre l'81%

    ◊   In Algeria il presidente Abdelaziz Bouteflika ha vinto le elezioni con l'81,53% dei voti. Il capo di Stato, in carica da 15 anni, si avvia quindi verso un quarto mandato presidenziale. Sconfitto l’ex primo ministro Ali Benflis, che con appena il 12% dei consensi ha denunciato brogli e annunciato la formazione di un nuovo partito. Bassissima l’affluenza alle urne: 51,7 %, contro il 74,11% del 2009. Amina Belkassem:

    Nessuna sorpresa in Algeria. Ancora una volta il presidente in carica dal 1999, Abdelaziz Bouteflika, ha stravinto, ottenendo oltre l’81% dei voti. Con un quarto mandato, Bouteflika diventa così il presidente più longevo della storia del Paese maghrebino. Un presidente fantasma, commenta però la stampa locale, mentre il suo principale rivale, Ali Benflis, che ha avuto soltanto il 12% delle preferenze, ha denunciato frodi massicce. "Neanche Stalin ha mai avuto questi risultati’’, ha detto durante una conferenza stampa ad Algeri, annunciando la creazione di un nuovo partito “per una resistenza popolare pacifica che porti al cambiamento’’. I sostenitori di Bouteflika sono scesi invece in piazza per festeggiare l’ennesima vittoria, nonostante una tasso di partecipazione del 51%, in discesa di oltre 20 punti rispetto alle presidenziali del 2009.

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    Nigeria: liberate altre 14 studentesse rapite a Chibok

    ◊   In Nigeria, ancora al centro dell’attenzione la sorte delle liceali rapite lunedì dagli estremisti islamici di "Boko Haram": le autorità hanno comunicato che altre quattordici sono riuscite a sfuggire ai sequestratori, mettendosi in salvo. Varie decine di ragazze restano però ancora nelle mani dei sequestratori. Il servizio di Davide Maggiore:

    Fuggivano lungo la strada che collega Chibok, dove si trova la loro scuola, a Maiduguri, capitale dello stato di Borno: così sono state ritrovate undici ragazze sequestrate, a una cinquantina di chilometri dal luogo del rapimento. Sono ora 44, secondo le autorità locali, le studentesse tornate in libertà: alcune erano riuscite a saltare giù dallo stesso camion su cui erano state costrette a salire, altre si erano rifugiate nella vicina foresta di Sambisa. “Ringraziamo Dio” per questi nuovi sviluppi, ha detto Musa Inuwo Kubo, responsabile delle politiche educative di Borno, esprimendo però “dispiacere” per il fatto che le forze di sicurezza non siano ancora arrivate a presidiare l’area di Chibok dopo l’attacco. L’esercito era stato al centro delle polemiche nei giorni scorsi, quando il portavoce del ministero della Difesa aveva dovuto ritrattare l’affermazione secondo cui quasi tutte le ragazze erano state liberate. In realtà, un’ottantina restano ancora nelle mani dei sequestratori, e le famiglie hanno deciso di impegnarsi in prima persona nelle ricerche nella boscaglia. Intanto, il leader di "Boko Haram", Abubakar Shekau, ha rivendicato in un video gli attentati alla stazione degli autobus di Abuja, che lunedì scorso avevano causato 75 morti.

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    Pasqua a Gerusalemme: dal Sepolcro nasce la luce nuova

    ◊   La Solennità della Pasqua cristiana, che nel mondo ricorrerà domani, è stata celebrata questa mattina a Gerusalemme, verso le ore 6.30, nella Basilica del Santo Sepolcro, alla presenza di numerosi fedeli. Le celebrazioni di quest’anno assumono un particolare significato in Terra Santa per la coincidenza con le celebrazioni della Pasqua dei cristiani ortodossi. Il francescano Frédéric Manns, professore allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, è stato raggiunto telefonicamente da Gabriele Palasciano per sapere come e in quale atmosfera si sono svolte le celebrazioni pasquali sui luoghi dove Gesù è stato crocifisso, sepolto ed è risuscitato dai morti:

    R. – Già entrando nella Basilica, un profumo forte emana dalla pietra dell’unzione e ci ricorda che la nostra vocazione è quella di essere - specialmente quella della donne - mirofore, di portare il profumo di Cristo. La Chiesa celebra questa Risurrezione di Cristo nel luogo chiamato Anastasis. Noi parliamo del Santo Sepolcro, ma i greci e gli orientali parlano sempre dell’Anastasis. Dal Sepolcro nasce la vera luce e di lì il vescovo proclama il Vangelo del Signore, che risorge dalla morte. Poi, la Chiesa ha meditato tutte le meraviglie del Signore, rileggendo la Scrittura: ha fatto sette letture. I membri rigenerati nel Battesimo sono stati invitati alla mensa del Signore. E’ il Signore risorto che dà la vita e che dà il dono dello Spirito. Abbiamo attualizzato questo mistero pasquale nella celebrazione dell’Eucaristia. Abbiamo, quindi, tutti e tre gli elementi del kerygma: Cristo è morto per noi; Cristo è risorto per la nostra giustificazione; Cristo perdona i nostri peccati nel Battesimo.

    D. – Che cosa ha caratterizzato l’atmosfera con cui i fedeli hanno vissuto questa celebrazione?

    R. – La celebrazione è stata seguita in modo veramente intenso da tutti i partecipanti. La cosa più bella della liturgia di Gerusalemme è che dal Sepolcro nasce la luce nuova. Questa è la prima novità della celebrazione della Pasqua a Gerusalemme. Seconda novità: la lunga tradizione, che risale a Egeria (IV sec. d.C.), vuole che il vescovo stesso, e non il diacono, proclami il Vangelo del Signore davanti all’edicola della Risurrezione. Quindi, è veramente importantissimo questo simbolismo della luce: ci ricorda che Dio ha creato la luce, che l’uomo è stato vestito di luce e che tutti noi dobbiamo essere figli della luce.

    D. – Quale messaggio si irradia per la Terra Santa e per il mondo intero dal luogo della Passione e della Risurrezione di Cristo per questa Pasqua?

    R. – Il messaggio è espresso chiaramente nell’Exultet, l’invito alla gioia. Questa è la vera Pasqua, in cui si uccide il vero agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli; questo è il giorno in cui Dio ha liberato i figli d’Israele, i nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li ha fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso; questo è il giorno in cui ha vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di luce; questo è il giorno che salva su tutta la Terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e della corruzione del mondo. Il messaggio fondamentale è che sono state le donne che hanno ricevuto questo messaggio e che sono state mandate a portare questo Vangelo agli apostoli. La tradizione patristica le chiama le “apostole degli apostoli” Quindi la vocazione della donna è molto bella: deve essere mirofora, portare il profumo di Cristo, e deve annunciare ai successori degli Apostoli, ai vescovi, che Cristo è vivo, Cristo è risorto. E poi il messaggio del Vangelo: “Vi precedo in Galilea”. Sappiamo che la Galilea è la terra dei pagani, la Galilea delle genti, del mondo secolarizzato, dove noi viviamo e abbiamo ricevuto questa missione di dire che la vita è più forte della morte. Gli ebrei, quando hanno celebrato la Pasqua, hanno mangiato le erbe amare. Anche qui a Gerusalemme, e in tutto il Medio Oriente, rimangono tantissime sofferenze, ma alla luce della Pasqua la sofferenza degli uomini viene trasfigurata. C’è una tradizione rabbinica molto bella, per cui le sofferenze sono amabili, perché a causa delle sofferenze Dio ha dato tre doni al suo popolo: gli ha dato la Terra, il Tempio e la Torah. A Gerusalemme, gli ebrei, per la Pasqua, mangiano gli azzimi. Paolo ricorda: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato”. Celebriamo la festa con gli azzimi di sincerità e di verità. Quindi ciascuno deve considerarsi personalmente uscito dall’Egitto e ciascuno deve essere associato al mistero pasquale. Il messaggio di Pasqua è che Dio crea cieli nuovi, una terra nuova, un uomo nuovo.

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    Pubblicate le Meditazioni sulla Passione scritte da Susanna Tamaro: la Via Crucis è la via dell'amore

    ◊   Un testo scritto per la Via Crucis, promossa dai giovani di Azione Cattolica che l’anno scorso, il Venerdì Santo sera, ha attraversato le vie di Trieste fino alla Cattedrale di San Giusto. E’ quello pubblicato solo di recente dall’editrice Bompiani e intitolato: “Via Crucis meditazioni e preghiere”. L’autrice è Susanna Tamaro alle prese per la prima volta con una produzione letteraria di questo tipo. Le riflessioni hanno accompagnato, durante l’anno, altre Via Crucis in diverse località. Ma che esperienza è stata per la Tamaro cimentarsi in questo lavoro? Ascoltiamo la scrittrice triestina al microfono di Adriana Masotti:

    R. - Ho avuto molta ansia per questa esperienza, un’ansia da prestazione perché naturalmente, essendo credente, ho sempre pensato la Via Crucis come una delle massime espressioni di fede e di letteratura e mi è sempre sembrato un punto più o meno irraggiungibile. Ma poco prima della Pasqua dell’anno scorso, mi ha chiamato un sacerdote, mio amico, dicendomi: “Ti prego, scrivimi la Via Crucis per questa Pasqua, per i ragazzi, per il vescovo qui a Trieste”. Ed io: “Guarda, io provo a scriverla; però se non viene niente che io ritenga essere degno di essere letto, facciamo finta che non l’ho mai scritta”. La cosa è partita in questo modo. In fondo ci sembra di conoscere la Via Crucis da sempre, perché si conoscono tutti i passaggi dell’evento. Però andare ad indagare nei coni d’ombra, nelle parti nascoste, in quello che ancora non si è visto o non si è riuscito a mettere a fuoco è stata una grandissima esperienza spirituale e creativa. E penso anche che una Via Crucis scritta da una donna sia molto diversa rispetto a quella scritta da un uomo. Ad esempio, quando ho letto la parte in cui parlo del sangue della Madre e del Figlio a Lourdes questa estate, moltissime persone si sono commosse fino alle lacrime.

    R. – Leggo il passo: “ … il sangue del Figlio e il sangue della Madre sono nuovamente uniti come al momento del parto”. Sì, si sente che è una donna che scrive. In generale io ho trovato nel suo testo un linguaggio molto realistico, umano, quotidiano che guarda alle debolezze, alle fragilità, alle aspirazioni di ogni uomo …

    R. – Sì, credo che la sfida di questi tempi sia proprio parlare della fede con un linguaggio semplice, un linguaggio che tocca la quotidianità e la complessità della vita quotidiana contemporanea, altrimenti sembrerebbe una favola bella che non ci tocca, non ci coinvolge, magari pittoresca, che può commuoverci per motivi sentimentali, ma non ci riguarda. Credo che mettere in moto un linguaggio che spinga a sentire questo “mi riguarda” sia proprio il compito più importante in questo momento per chi vuole parlare di queste cose.

    D. - Ad esempio, sempre nella stazione dell’incontro di Gesù con la Madre, è molto bella la preghiera a Maria perché si ritrova il senso alto della maternità e si capisca che amare è accogliere, non pretendere …

    R. - Tutta la Via Crucis è molto incentrata sulla maternità, perché credo la maternità sia proprio quello che manca in questo tempo, l’idea che lo spirito della maternità è alla base di ogni rapporto di amore che è prendersi cura, voler far crescere l’altro, accettare le sconfitte nella crescita … Abbiamo molto bisogno di questo spirito di maternità, che non è desiderare un figlio a tutti i costi, ma capire la profondità dell’amore.

    D. - Nel quadro di Simone di Cirene che porta la croce, lui obbedisce controvoglia ma questa obbedienza porta una novità nella sua vita …

    R. - Certamente, ho pensato a tutte le volte in cui ci capita qualcosa che ci scoccia… ad esempio stiamo andando da qualche parte, siamo stanchi, e incontriamo qualcuno, succede qualcosa che ci fa perdere tempo o che ci sembra ci faccia perdere tempo. Poi invece questa frustrazione apparente ci apre qualcosa, una nuova dimensione, ci fa conoscere una parte di noi stessi che non conoscevamo.

    D. - Ancora un esempio: Gesù che incontra le donne. Mi sembra che qui venga fuori l’importanza del pianto. E anche Papa Francesco ne ha parlato più di una volta …

    R. - Finché non ci sono le lacrime, non c’è vera conversione. Finché si parla e basta “la lingua si muove da sola”, come diceva mia nonna. Però se la lingua è solo la lingua, se non c’è un abbandono del cuore, non si può mai dire che ci sia stato un vero cambiamento, secondo me. Avremmo un bisogno enorme di lacrime, perché solo le lacrime fanno un lavacro dello sguardo e ci fanno perdere tutto quel velo di grettezza, di chiusura, di paura che ci impedisce di vedere la realtà profonda intorno a noi.

    D. - Mons. Giampaolo Crepaldi, il vescovo di Trieste, nella nota al volumetto scrive: “Susanna Tamaro ci fa scoprire che la Via Crucis è in definitiva la via della consolazione, dell’amore, della vita”. Qui si trova tutto il cuore …

    R. - Certamente perché, c’è l’idea che la Via Crucis, il Venerdì Santo sia una giornata di tristezza … Sì è una giornata di tristezza, ma è una tristezza che prelude a qualcos’altro. Dobbiamo ricordarci sempre che il Venerdì Santo è la massima apertura della vita. Dunque dobbiamo togliere questo aspetto che rimane nell’immaginario di molti, un aspetto un po’ punitivo di deprivazione e portarlo invece sul discorso della vita e dell’ amore. Quando gli occhi si aprono ci si rende conto di questo: la realtà più forte, la realtà vincente è sempre e comunque l’amore.

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    Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Pasqua di Risurrezione

    ◊   Nella Pasqua di Risurrezione, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Maria di Màgdala riferisce a Pietro e Giovanni che il corpo di Gesù non è più nel sepolcro. I due apostoli corrono al sepolcro. Entra per primo Pietro, osservando i teli posati e il sudario avvolto in un luogo a parte. Quindi il Vangelo prosegue:

    "Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti".

    Sul Vangelo della Domenica di Pasqua, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

    Oggi è giorno di canto, di gioia per tutta la Chiesa: “Cristo è risorto! È veramente risorto”. “Correre”, è il verbo più ripetuto nel Vangelo di questa domenica di Pasqua. C’è fretta attorno al sepolcro. L’evento della Risurrezione interroga ogni uomo: Cosa succede? Il sepolcro è stato aperto, dal di dentro. Notizia inaudita, insperata: Cristo è risorto! Cristo, vero Dio e vero uomo. Un uomo esce dal sepolcro per non rientrarvi più, come garanzia che ogni uomo è chiamato alla risurrezione. L’attesa più grande del cuore dell’uomo, quel bisogno di vita, di vita che non muore più, si fa notizia che ora desidera correre per le strade del mondo, per raggiungere con la sua luce, con la sua speranza, ogni luogo di sofferenza, ogni ingiustizia, ogni povertà! La notizia è così grande, così decisiva per la storia dell’uomo che vale davvero la pena di correre per recarla a tutti, perché attesa da tutti. Se ci si ferma, come Pietro e Giovanni, è per “vedere” e per “credere” (cf Gv 20,8). È la fretta della Chiesa. È urgente far correre questa notizia per il mondo. È una notizia che annuncia il perdono dei peccati. Una notizia che porta con sé la pace, la capacità di amare l’altro, perché la morte non fa più paura. Il cristianesimo non è una legge morale, non è una filosofia, e neppure una religione: è questo evento. È questa notizia: “Cristo è risorto! È veramente risorto”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Repubblica Centrafricana: ucciso sacerdote cattolico

    ◊   Un sacerdote cattolico, don Christ Formane Wilibona, è stato ucciso nel Nord della Repubblica Centrafricana, probabilmente da un gruppo di pastori armati di etnia Fulani, considerati vicini agli ex ribelli Seleka. Padre Wilibona stava rientrando nella nella località di Paoua, dove era parroco nella chiesa di San Kisito, quando gli uomini armati hanno aperto il fuoco contro di lui. Secondo fonti di sicurezza locali il cadavere sarebbe stato inoltre mutilato prima di essere sepolto. Il fatto è avvenuto ieri nella diocesi di Bossangoa, nella cui sede non ha ancora potuto fare rientro il vescovo locale, mons. Desiré Nestor Nongo Aziagbia fermato e poi liberato nei giorni scorsi insieme a tre religiosi. (D.M.)

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    Siria: liberati i quattro giornalisti francesi rapiti a giugno

    ◊   Sono stati liberati i quattro giornalisti francesi rapiti in Siria lo scorso giugno ad Aleppo e Raqqa in due episodi separati. Ne dà notizia l’Eliseo, secondo cui i quattro, Edouard Elias, Didier Francois, Nicolas Henin e Pierre Torres, torneranno in Francia nelle prossime ore e sono “in buona salute” nonostante le condizioni di prigionia “molto difficili” a cui erano stati sottoposti. Secondo quanto riportato dai media turchi, i quattro sono stati trovati da soldati di Ankara nei pressi del confine siriano: erano bendati e avevano le mani legate.

    “Immenso sollievo” per la liberazione è stato espresso dall’ufficio del presidente Hollande, che non ha però fornito dettagli su eventuali condizioni per la liberazione. Del sequestro erano stati accusati i miliziani islamici del gruppo fondamentalista noto come “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”. Proprio ai gruppi jihadisti si è rivolto intanto il capo di al-Qaeda, l'egiziano Ayman al-Zawahiri, chiedendo che ritrovino unità dopo i combattimenti intestini tra le diverse fazioni. Infine, sul fronte militare, l'esplosione di un'autombomba a Salamiya, nel centro del Paese, ha provocato, secondo attivisti di opposizione, almeno 6 morti tra le forze governative, e numerosi altri tra i civili. (D.M.)

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    Brasile: caos a Salvador de Bahia dopo lo sciopero dei poliziotti

    ◊   Due giorni di sciopero della polizia hanno riportato il caos a Salvador de Bahia, una delle 12 sedi dei prossimi Mondiali di calcio, nel nord-est del Brasile. Come riferisce la Misna, il bilancio è bilancio di 39 vittime nella regione metropolitana. Farmacie, supermercati, negozi di elettrodomestici sono stati saccheggiati e ai fatti sono seguiti almeno 50 arresti. A meno di due mesi dai Mondiali, il governo federale ha inviato migliaia di soldati e poliziotti dei reparti speciali nella capitale Salvador e in altre città di Bahia per evitare che fatti simili si ripetano.

    “Ho autorizzato l’invio di truppe federali per dare appoggio alla pubblica sicurezza e garantire la pace” ha scritto sul suo account Twitter la presidente Dilma Rousseff. I militari, ha fatto sapere il ministero della Difesa, resteranno a Bahia fino al “ritorno alla normalità”, benché lo sciopero della polizia sia terminato. Accolte, ufficialmente, le richieste degli scioperanti: la revisione del “codice di etica poliziesca” e un aumento di salario, ma spetta ora all’Assemblea legislativa locale trasformarle in legge.

    Preoccupa, inoltre, l'ondata di omicidi seguita allo sciopero dei poliziotti: secondo un portavoce del governo di Bahia, 39 morti in 48 ore “è una cifra parecchio sopra la media”. Il tasso di omicidi nello Stato è aumentato del 400% fra il 2000 e il 2100, arrivando a 41,1 ogni 100.000 abitanti, secondo l’Istituto di indagini economiche applicate (Ipea). (D.M.)

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    Yemen: una ventina di morti dopo l'attacco di un drone Usa nel centro del Paese

    ◊   In Yemen, una quindicina di sospetti combattenti qaedisti e tre civili sono stati uccisi dall’attacco di un drone statunitense nella provincia centrale di Bayda. Secondo fonti della sicurezza locale, l’aereo senza pilota ha colpito il pulmino su cui viaggiavano i sospetti, ma anche una macchina a bordo della quale si trovavano i tre civili. Il drone, riferiscono fonti tribali, stava sorvolando da giorni l’area di Bayda, dove era stato ucciso, questa stessa settimana, il vice-governatore locale: l’azione era stata attribuita dalle autorità proprio a militanti qaedisti. (D.M.)

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    Burundi: creata Commissione verità e riconciliazione, il Paese resta diviso

    ◊   In Burundi comincia tra le polemiche il percorso della Commissione verità e riconciliazione. Come riferisce l'agenzia Misna, in una seduta boicottata dall’opposizione, il parlamento dominato dal Cndd-Fdd, il partito del presidente Pierre Nkurunziza, ha approvato un progetto di legge che dà vita all’organismo. “Preoccupata” si è detta la società civile, che teme la nascita di un’istituzione “troppo politicizzata”, in conseguenza di un “voto unilaterale”.

    All’Assemblea nazionale riunita in seduta plenaria spetta anche la scelta dei futuri 11 commissari, il cui mandato non si estenderà però ai crimini di genocidio, ai crimini di guerra e a quelli contro l’umanità. In materia, il governo burundese non ha ancora dato vita al Tribunale speciale, previsto dagli accordi di pace di Arusha, che rischia di vedere la luce solo fra quattro anni, al termine del mandato della Commissione appena costituita. Un altro progetto approvato giovedì da 81 deputati di maggioranza sancisce la creazione di una “Corte speciale delle terre e altri beni”. Anche qui non mancano le discussioni: per il principale partito di opposizione tutsi, l’Uprona, il testo legislativo in questione è “anticostituzionale”. (D.M.)

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    Nepal: 60 catecumeni saranno battezzati nella notte di Pasqua

    ◊   “Ci stiamo preparando in un clima di grande attesa e grande gioia a celebrare la Risurrezione di nostro Signore. Per la nostra piccola comunità cattolica questa è la festa più grande, e anche quest'anno un buon numero di persone, circa 60 in tutto il Nepal, riceveranno il Battesimo la notte di Pasqua”: lo riferisce all’Agenzia Fides, p. Pius Perumana, pro-vicario Apostolico del Nepal. Aggiunge poi: “I catecumeni hanno vissuto un tempo di grandi aspettative per il giorno in cui diventeranno membri a pieno titolo della Chiesa. Si sono preparati alla Pasqua con forti momenti di penitenza, digiuno e preghiera nel periodo della Quaresima”.

    La preparazione alla Pasqua è stata sentita con forza anche dal resto della comunità cattolica nepalese: “In tutte le parrocchie della valle di Kathmandu – spiega ad esempio p. Perumana - abbiamo vissuto un cammino quaresimale inteso e profondo, con momenti di ritiro spirituale significativi e con iniziative di solidarietà e aiuto dei più poveri”. La Pasqua in Nepal è un momento di grande gioia e anche di “testimonianza pubblica”: “le comunità cristiane festeggiano la Pasqua, in tutto il Paese, non solo con le celebrazioni nelle chiese, ma anche con cortei e manifestazioni pubbliche di gioia per annunciare la bellezza della fede, la vittoria di Cristo sulla morte e la certezza della vita eterna” dice il pro-vicario. La libertà religiosa per i cristiani del Nepal è aumentata dopo il 2008, anno dell’abolizione della monarchia indù e della proclamazione della repubblica. Secondo dati forniti dallo stesso vicariato apostolico, i cattolici in Nepal sono circa 8.000, mentre i cristiani sono complessivamente il 7%, su circa 30 milioni di abitanti. (D.M.)

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    Singapore. L'arcivescovo Goh nel messaggio pasquale invita a proclamare il Vangelo con gioia

    ◊   La Pasqua invita tutti i fedeli a “proclamare in Vangelo con gioia nella nostra realtà di Singapore”: è quanto dice nel messaggio pasquale, rivolto a tutti i fedeli, l’arcivescovo di Singapore, William Goh. Nel testo del messaggio, inviato alla Fides, mons. Goh ricorda che Resurrezione significa “vincere la disperazione con la speranza, superare l'odio con l'amore, l’ingiustizia con il perdono” e propone ai fedeli tre elementi di riflessione. Il primo è “la nuova vita in Cristo”. “Il trionfo di Dio sulla croce – scrive il presule - cancella il peccato e la morte una volta per tutte, e ci dona nuova speranza”. “Come figli della speranza – prosegue il messaggio - cerchiamo di liberarci da rabbia, collera, malizia, maldicenze e di vivere come nuove creature in Cristo”, “come figli risorti” nelle circostanze quotidiane, nella vita personale, familiare, al lavoro. Il secondo punto è “l’incontro personale con il Signore risorto”, che è il messaggio centrale della Pasqua, nota l’arcivescovo. “La presenza dei discepoli al Sepolcro ci fa riflettere: solo quando abbiamo sperimentato questo incontro, possiamo conoscere l'amore del Padre”, spiega mons. Goh, invitando i fedeli “a una vita cristocentrica”. L’incontro con Cristo, infatti, “è una esperienza che coinvolge il cuore, la mente e il corpo”. E da questo incontro, che “non è una mera comprensione intellettuale della fede, troviamo la forza per passare attraverso le prove e le sfide della vita”, continua il messaggio.

    L’arcivescovo passa poi al terzo punto, quello conclusivo, invitando ad “andare avanti con gioia”. Il Vangelo, dice “è la fonte della nostra gioia e deve essere proclamato con gioia e con passione” nella realtà di Singapore. Il presule ricorda dunque che va presentato “come qualcosa di bello: questa bellezza è Gesù Cristo, il Signore Risorto, che viene a darci vita in abbondanza, una gioia che il mondo non può dare e la verità che ci fa liberi”. Il testo termina con un caloroso “benvenuto” ai fratelli neo-battezzati e con l’augurio che possano essere riempiti della grazia di Dio. (D.M.)

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    La gioia della Pasqua nelle diocesi italiane

    ◊   “L’uomo è stato creato per la vita, non solamente quella biologica ma anche e soprattutto quella soprannaturale”, è quanto scrive nel suo messaggio per Pasqua il vescovo di Oria, mons. Vincenzo Pisanello, come riferisce il Sir. “Il peccato genera la morte, e la morte, incutendoci paura ci tiene prigionieri”, prosegue il presule, ma lo Spirito di Dio, “resuscitando Gesù dalla morte ha infranto definitivamente le catene della schiavitù dell’uomo”. Così, conclude mons. Pisanello, il grido della notte di Pasqua “È risorto!” non si riferisce “solo alla persona di Gesù, ma all’intera umanità”.
    E proprio sull'annuncio di questa buona notizia si sofferma, in un intervento pubblicato sul periodico "Insieme", mons. Paolo Urso, vescovo di Ragusa: “Annunciare che Cristo è risorto - spiega - vuol dire immettere nel mondo germi di risurrezione capaci di rendere buona la vita, di superare il ripiegamento su di sé, la frammentazione e il vuoto di senso che affliggono la nostra società”. “Oggi come allora l’incontro con Cristo - evidenzia da parte sua il vescovo di Ivrea, mons. Edoardo Cerrato - avviene dentro alla nostra umanità, fatta di bene e di male, di riuscite e di sconfitte... Oggi come allora il dono della salvezza è la vita nuova: non un’illusione, ma una realtà che accade, poiché la salvezza è una Presenza”.

    Un concetto, questo, sottolineato anche dal vescovo di Parma nel suo messaggio pasquale pubblicato sul settimanale diocesano “Vita Nuova”: “Dalla morte del Nazareno in croce viene la nostra vita!”, ricorda mons. Enrico Solmi, e prosegue: “Siamo grati alla Vita che ci ha redenti, non calpestiamo il sangue del Signore, ma rinnoviamo, anche tra le lacrime, il dono del nostro Battesimo, rendiamolo visibile”.
    E nella sola diocesi di Milano saranno 146 le persone che riceveranno questo sacramento durante la veglia di questa notte. Quattordici di loro saranno battezzati in Duomo dal cardinale Angelo Scola: cinque sono italiani, cinque cinesi, uno giapponese e tre albanesi. Tra loro, anche Majlinda Memetaj, che ha raccontato al Sir la sua storia: “Sono nata in una famiglia di tradizione musulmana – ha detto la donna - Quando è caduto il regime, la situazione è cambiata. Nel mio quartiere sono arrivare alcune suore francescane. Conoscendo l’italiano, ho iniziato ad aiutarle come interprete e così ho avuto modo di apprezzarle”. (D.M.)

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    In Suriname, la Cattedrale di San Pietro e Paolo di Paramaribo elevata a Basilica minore

    ◊   Grande festa, in questi giorni, per i fedeli di Paramaribo, capitale di Suriname (ex Guyana olandese), per l’elevazione della Cattedrale di San Pietro e San Paolo a Basilica minore, dopo il decreto approvato a gennaio da Papa Francesco. Alla presenza del neo cardinale Kelvin Felix, primo porporato delle Antille, del nunzio apostolico nella regione, l’arcivescovo Nicola Girasole, dell’arcivescovo di Porto Spagna, mons. Joseph Harris, e del vescovo di Caienna, Emmanuel Lafonte, il vescovo di Paramaribo, Wilhelmus de Bekker, ha presieduto una solenne Eucaristia nella Cattedrale, divenuta negli ultimi decenni un centro di pellegrinaggio per il Suriname e i Paesi limitrofi.

    Da ricordare che mons. Girasoli è stato uno dei primi a proporre l’elevazione della cattedrale a Basilica minore già due anni fa, quando visitò Paramaribo per la presentazione delle lettere credenziali al presidente della Repubblica. “Questo tempio rispecchia il Paese, la sua atmosfera, il suo calore, la sua devozione, la sua pace”, ha detto il nunzio, sottolineando come lo status di Basilica minore sia un vero regalo da parte di Papa Francesco. Dal suo canto, il vescovo di Paramaribo ha ricordato che con questo gesto il Pontefice invita i fedeli a una fede radicale: “Dovremmo essere più religiosi, pregare di più – ha spiegato - e non essere cattolici part-time, di quelli che quando arriva la domenica pregano, ma poi si dimenticano di Dio per tutto il resto della settimana”.

    La Cattedrale di San Pietro e Paolo è stata costruita 130 anni fa ed è l’edificio in legno più grande e antico del Sudamerica. Tra i requisiti necessari per l’elevazione della Cattedrale a Basilica minore, il più importante è senza dubbio la tomba di Petrus Benedetto Donders, sacerdote redentorista beatificato nel maggio del 1982 da Giovanni Paolo II. Si tratta di un missionario olandese che realizzò il suo apostolato presso le popolazioni indigene, gli schiavi neri e i lebbrosi, fino a trovare la morte nel lebbrosario locale di Batavia, nel 1887. La sua meravigliosa carità verso il prossimo gli procurò, già in vita, la fama di santità e fu dichiarato venerabile nel 1913. Nel 1900, quando iniziò la casa di beatificazione, le sue spoglie furono traslate da Batavia alla cattedrale di Paramaribo, ma la comunità di Batavia continua ad essere luogo di continui pellegrinaggi da tutta la regione. (A.T.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 109

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