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Sommario del 18/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Via Crucis presieduta dal Papa al Colosseo. Mons. Bregantini: "Non si soffre mai invano"
  • P. Lombardi: il Papa non parlerà alla Via Crucis, prevista solo la benedizione dei fedeli
  • Messa in Coena Domini. Il Papa lava i piedi a 12 disabili: l’eredità di Gesù è essere servitori gli uni degli altri
  • Ileana Argentin: Papa Francesco rende i disabili non spettatori ma protagonisti
  • Tweet del Papa: seguire Gesù da vicino non è facile, perché la strada che sceglie è la via della croce
  • Da Papa Francesco 150 uova di cioccolato per i piccoli pazienti dell’Ospedale Bambino Gesù
  • Il Papa a pranzo con dieci preti
  • Nel Venerdì Santo, la Colletta per la Terra Santa. Padre Pizzaballa: aiutare i cristiani a non andare via
  • Rinuncia dell’Abate territoriale di Montevergine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Sud Sudan: 58 civili uccisi in un attacco alla base dei caschi blu, numerosi bambini tra le vittime
  • Crisi Ucraina. Dopo l'intesa gli Usa ritirano l’ipotesi di un intervento armato
  • Sos Villaggi Bambini: in Siria, i bimbi vivono come seppelliti vivi per sfuggire alla guerra
  • Via Crucis a Pisa: la città prega per il bengalese morto in un'aggressione
  • Archeologia: scoperta un'area "segreta" di Ostia Antica, più grande di Pompei
  • La scomparsa di Gabriel García Márquez, scrittore di storie e cantore di miti
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Accordo sul nucleare: l'Iran taglia metà delle scorte di uranio arricchito
  • Iraq: Giovedì Santo del patriarca Sako con disabili ed emarginati cristiani e musulmani
  • Venerdì Santo in Pakistan: digiuno e preghiera per Asia Bibi e le vittime della blasfemia
  • Indonesia: la Settimana Santa dei cattolici tra liturgie e carità
  • Nepal: 12 guide alpine morte per una valanga sull'Everest
  • Roma: alla Basilica di Santa Maria Maggiore "L'Ora della Madre"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Via Crucis presieduta dal Papa al Colosseo. Mons. Bregantini: "Non si soffre mai invano"

    ◊   Stasera alle 21.15, Papa Francesco presiederà per il Venerdì Santo la tradizionale Via Crucis al Colosseo. Le meditazioni sono state affidate quest'anno a mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso, che rifletterà sui drammi del mondo di oggi, le conseguenze della crisi economica, le problematiche e i mali del Sud d'Italia. Ma nelle 14 stazioni della Passione di Cristo c’è anche un filo rosso che il presule vuole far cogliere: quello della Risurrezione. Lo spiega lo stesso mons. Bregantini al microfono di Tiziana Campisi:

    R. - La forza della Via Crucis tradizionale è che non inserisce la quindicesima stazione. Da tutte le stazioni deve emergere la forza della Risurrezione! Tutta la Via Crucis è intessuta di questa duplicità: il dolore e la speranza, le lacrime e chi le asciuga, l’esperienza del dramma e quella del coraggio. Quindi tutta la Via Crucis è carica di Risurrezione. Tutti gli esempi fatti rappresentano una descrizione dei drammi di oggi. Qual è - anche qui - la speranza? Il fatto che Gesù prende a cuore questo peso, non lo scarica, né lo lascia senza risposta, ma assumendo la Croce, assume la crisi e ci indica la strada, che è quella di affrontare i problemi, non di viverli schiacciati, ma responsabilmente con una particolare modalità: portare insieme il peso della crisi. Per esempio invito a far crescere i contratti di solidarietà, cosicché, laddove un’azienda è in difficoltà in questo modo possa riuscire a traghettare la crisi; così tanti altri episodi similari.

    D. - C’è una stazione alla quale si è particolarmente affezionato?

    R. - Quella della mamma, perché vi ho visto la mia mamma, ho visto ogni mamma, ho visto - in particolare - le mamme accanto ai letti dei figli. Ho fatto il prete in carcere e in ospedale. Dall’esperienza in carcere ho imparato che tutti ti possono tradire, ma non la mamma; da quella in ospedale ho visto una mamma assistere talmente tanto il figlio cattivo che questo ragazzo quando è uscito ha detto: “Ora capisco chi è mia mamma”. Dedico questa stazione alle mamme che hanno i perso i figli a causa di tumori nella Terra dei fuochi.

    D. - Con le sue meditazioni, nella Via Crucis, quale messaggio ha voluto dare alla cristianità?

    R. - Che non si soffre mai invano, che Cristo è il volto che illumina e l’uomo è il volto che incarna. Questo è il titolo: “Volto di Cristo, volto dell’uomo”. Perciò è molto bello poter dire: “Io soffro insieme al mio Signore. La sofferenza è il suo bacio, l’alleanza che io creo con lui mi spinge a diventare alleato”. E l’altro messaggio è quello sottolineato tantissimo dall’Evangelii Gaudium: “La sofferenza dell’altro è redentiva della mia sofferenza”. Io non trovo senso guardando me o coccolando le mie ferite, ma io trovo speranza guardando alle sofferenze dell’altro”. La dodicesima stazione, che ripercorre le sette parole di Gesù, non è altro che imparare a come redimere la propria sofferenza tramite la sofferenza degli altri: parola per parola, passo per passo, gradino per gradino, Cristo arriva a quella meravigliosa esperienza di dare un senso alla sofferenza. E mi permetta - dalla Radio Vaticana - di spiegare perché l’ultima riga della dodicesima stazione riporta una frase un po’ misteriosa che recita così: “ In Dio tutte le frazioni si compongono in unità”. Questa frase mi è stata detta, in maniera molto commovente, da una professoressa di matematica che stava morendo a causa di un tumore. Per confortarla, non le dissi parole vaghe, ma lessi e commentai le sette parole di Gesù sulla Croce. Lei, che all’inizio mi aveva rivolto uno sguardo arrabbiato come per dire: “Questo mi viene a dire le solite cose, ma intanto io muoio”, quando sentì le sette parole di Gesù si illuminò, il suo cuore si chiarificò, mi ascoltò con un’attenzione commovente, e quando le raccontai tutte le sette parole di Gesù, nell’ordine raccontato in questa stazione, lei concluse così: “Ora capisco perché in Dio tutte le frazioni si compongono in unità”.

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    P. Lombardi: il Papa non parlerà alla Via Crucis, prevista solo la benedizione dei fedeli

    ◊   Papa Francesco resterà in preghiera al termine della “Via Crucis” stasera al Colosseo, senza pronunciare un discorso, quindi benedirà i fedeli. E’ quanto affermato da padre Federico Lombardi, in un briefing tenuto stamani in Sala Stampa Vaticana, sulle celebrazioni pasquali del Papa. Prevista una grande partecipazione di fedeli, tanto che per l’occasione sono stati posizionati dei maxischermi nell’area dei Fori Imperiali. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Un operaio e un imprenditore assieme, due clochard e ancora bambini, anziani, malati e carcerati. A portare la croce stasera al Colosseo saranno persone di ogni età e provenienza, con un’attenzione particolare alle situazioni di sofferenza su cui mons. Bregantini si china nelle sue meditazioni preparate per la “Via Crucis”. Un rito che Papa Francesco seguirà, come da tradizione, in preghiera sulla terrazza del Palatino. Non ci sarà invece il tradizionale discorso del Papa a conclusione dell’evento, come ha informato padre Federico Lombardi:

    “Allo stato attuale, risulta che il Papa non pensa di parlare, alla fine della ‘Via Crucis’, non pensa di fare un suo discorso, neppure a braccio, ma di rimanere in silenzio e dare la benedizione. Questa è l’informazione che io ho avuto. Poi, lasciamo allo Spirito e alla libertà del Papa vedere se desidera poi dire qualche cosa o meno”.

    La “Via Crucis”, per la lunghezza delle meditazioni, durerà quest’anno circa un’ora e tre quarti - mezz’ora di più dell’anno scorso - e dovrebbe dunque terminare intorno alle 23. Le meditazioni saranno lette dall’attrice Virna Lisi e da Orazio Coclite. La voce guida della preghiera sarà di Simona De Santis. Le persone che portano la Croce non la seguono processionalmente dall’inizio, ma la attendono di volta in volta ad ogni stazione. Almeno 50 i Paesi che seguiranno in diretta l’avvenimento attraverso le loro televisioni. Durante la Veglia Pasquale, ha poi reso noto padre Lombardi, verranno battezzati dal Papa 10 catecumeni: 5 vengono dall’Italia; gli altri da Bielorussia, Senegal, Libano, Francia e Vietnam. Per quanto riguarda la Messa di Pasqua, il Papa – come di consueto in questa Solennità – celebrerà da solo e non è prevista omelia, ma solo il Messaggio prima della benedizione “Urbi et Orbi”, senza saluti in altre lingue. Padre Lombardi ha quindi messo l’accento su una particolarità ecumenica della celebrazione:

    “Ci sono, quest’anno, i canti degli Stichi e Stichirà orientali che si fanno quando la celebrazione della Pasqua coincide per i latini e per gli orientali. Quindi, anche per ricordare questo momento di comunione nella celebrazione della Pasqua c’è questo elemento particolare del rito che è una tradizione che – come ricorderete – c’è ogni tre-quattro anni”.

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    Messa in Coena Domini. Il Papa lava i piedi a 12 disabili: l’eredità di Gesù è essere servitori gli uni degli altri

    ◊   Gesù si è fatto servitore e l’eredità che ci lascia è quella di “essere servitori gli uni degli altri” nell’amore. E’ il cuore dell’omelia di Papa Francesco che ha presieduto nella chiesa del Centro riabilitativo “Santa Maria della Provvidenza” della Fondazione Don Gnocchi, a Roma, la Messa in Coena Domini che dà inizio al Triduo Pasquale. Papa Francesco ha compiuto il rito della lavanda dei piedi a 12 disabili, di diversa età, etnia e confessione religiosa, in rappresentanza di tutti i pazienti assistiti nei 29 Centri operativi in Italia. A partecipare al rito, gli ospiti del Centro “Santa Maria della Provvidenza” assieme a familiari, operatori e volontari. Tra l'interno e l'esterno della chiesa erano presenti circa 500 persone. Hanno concelebrato con il Santo Padre, il presidente della Fondazione Don Gnocchi, mons. Angelo Bazzari e il cappellano del Centro, don Pasquale Schiavulli. Il servizio di Debora Donnini:

    Nell’Ultima Cena Gesù fa un gesto di congedo e, ricorda il Papa nell’omelia pronunciata a braccio, ci lascia un’eredità:

    “Lui è Dio e si è fatto servo, servitore nostro. E questa è l’eredità: anche voi dovete essere servitori gli uni degli altri. E Lui ha fatto questa strada per amore: anche voi dovete amarvi ed essere servitori e nell’amore. Questa è l’eredità che ci lascia Gesù”.

    Papa Francesco sottolinea che il gesto di lavare i piedi è un gesto simbolico: “lo facevano gli schiavi, i servi ai commensali, alla gente che veniva a pranzo”, perché a quel tempo “le strade erano tutte di terra e quando entravano in casa era necessario lavarsi i piedi”. Tutta l’omelia ruota, dunque, attorno alla riflessione su Gesù che fa “un servizio di schiavo” e lascia questo come eredità:

    “E per questo, la Chiesa, al giorno d’oggi, che si commemora l’Ultima Cena, quando Gesù ha istituito l’Eucaristia, anche fa, nella cerimonia, questo gesto di lavare i piedi, che ci ricorda che noi dobbiamo essere servi gli uni degli altri”.

    Il Papa esorta, dunque, tutti nel proprio cuore a pensare agli altri e all’amore “che Gesù ci dice che dobbiamo avere per gli altri”, e – aggiunge – “pensiamo anche come possiamo servirle meglio, le altre persone. Perché così Gesù ha voluto da noi”.
    Quindi il Papa si è inginocchiato davanti a ciascuno dei 12 disabili, ha lavato, asciugato e baciato i loro piedi come fece Gesù ai suoi discepoli. Grande commozione e raccoglimento alla Messa scandita dai canti del coro composto da ospiti e volontari del Centro. I 12 a cui il Papa ha lavato i piedi sono persone con disabilità diverse, alcuni temporanee altri croniche; età e provenienza differenti. Con i suoi 16 anni, il più giovane di loro è Osvaldinho, originario di Capo Verde, costretto su una sedie a rotelle dopo un tuffo in mare, la scorsa estate. I più anziani Pietro e Angelica, 86 anni. Poi c’è Walter affetto da sindrome di down. E ancora Giordana, originaria dell’Etiopia, affetta da tetraparesi spastica, Stefano e Daria con problemi di spasticità e paresi, e Orietta colpita da encefalite in tenera età così come Samuele segnato dalla poliomelite a tre anni e che al centro “Santa Maria della Pace” ha trovato non solo cure, ma anche formazione professionale, un lavoro e persino una sposa. E Marco, 19 anni, a cui nell’ottobre scorso è stata diagnostica una neoplasia cerebrale. Gianluca operato più volte per meningiomi. E Hamed, 75 anni, musulmano, originario della Libia, che in seguito ad un incidente stradale ha riportato seri danni neurologici. Un quadro, dunque, della sofferenza del mondo dove però risplende la luce dell’amore.

    Grande l’emozione dei 12 disabili scelti per il rito della lavanda dei piedi in rappresentanza di tutti i pazienti assistiti nei centri operativi della Fondazione Don Gnocchi. Tra loro Samuele, prima paziente e poi operatore per oltre 50 anni al Don Gnocchi di Roma; Angelica, una signora di 86 anni, che a causa di gravi problemi di deambulazione vive nell’ istituto da diversi anni; e Giordana, una giovane di 27 anni, di origine etiope, affetta da tetraparesi spastica che risiede da vent’anni al Centro “Santa Maria Nascente” di Milano. Ascoltiamo i loro commenti raccolti da Marina Tomarro:

    (Samuele)
    R. - E’ indescrivibile! Non trovo le parole… Però colpisce dentro! Non trovo le parole, sul serio!

    D. - La lavanda dei piedi è un servire. Lei, per tanti anni, ha servito tanti suoi fratelli. E’ vero?

    R. - Sì! Ho lavorato qui al Don Gnocchi: ci ho studiato e ci sono poi stato 50 anni… Sono cresciuto proprio nell’ambiente. La cosa che mi crea molta emozione è don Carlo, che si è ricordato di noi, di me: lo accosto a Papa Francesco che si ricorda degli ultimi e fra questi ultimi ci sono pure io, privilegiato in questo suo gesto.

    (Angelica)
    R. - Da piccola formica, mi sono trovata su un trono da regina. Quindi, sono fortunata! Il Signore mi ha dato questa opportunità, che non merito…

    D. - Lei adesso vive qui al Don Gnocchi: è una sua seconda famiglia?

    R. - Una grande famiglia, questa! Io ci aggiungo pure la mia. Io chiamo: “la città del sorriso”.

    (Giordana)
    R. - Sono al Don Gnocchi di Milano da 20 anni: è tipo la mia seconda famiglia! Mi hanno aiutato molto sia i ragazzi che le suore, che gli operatori…

    D. - Cosa vuol dire, per te, servire il prossimo?

    R. - Io faccio il possibile per aiutare i miei amici più deboli! Faccio tutto ciò che è nelle mie forze! Penso che questo sia quello che volesse dire Gesù.


    Il Papa, durante l’omelia, ha spiegato che l’eredità di Gesù è quella di essere servitori gli uni degli altri. Ma come sono state accolte queste parole da chi opera quotidianamente con i fratelli più piccoli? Ascoltiamo alcuni commenti:

    R. - Sono loro che ci danno tanto amore, perché sono delle anime splendide! Noi siamo orgogliosi e fieri di essere loro amici e… gli vogliamo bene!

    R. - Penso che si serve solo per amore e con amore! Non c’è altra possibilità, perché per me il servizio è già amore.

    R. - Servire il prossimo anche con un senso di umiltà, perché piegarsi a lavare i piedi vuol dire riconoscersi piccoli di fronte anche a queste persone che per noi sono grandi. Anche con questo gesto vuol dire proprio riconoscere questo.

    R. - Ogni giorno noi, oltre all’amore, cerchiamo di dare loro l’autonomia, la possibilità di crescere, di essere al meglio di se stessi: anche se con ridotte capacità motorie, ridotte capacità mentali, però con la possibilità di vivere!

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    Ileana Argentin: Papa Francesco rende i disabili non spettatori ma protagonisti

    ◊   L’abbraccio prolungato del Papa con i disabili del Don Gnocchi per la Messa in Coena Domini, ha colpito e commosso quanti hanno potuto seguire l’evento. Tra questi, la parlamentare italiana Ileana Argentin, disabile, che lo scorso gennaio ha incontrato in Vaticano Papa Francesco. Sergio Centofanti l’ha intervistata:

    R. - Glielo dico non come deputata, ma come donna disabile che da anni si occupa di questo mondo. Francamente devo dire che per la prima volta abbiamo avuto un Papa che ha reso i disabili non spettatori ma protagonisti. Questa è la prima barriera culturale che viene buttata giù; un grande Papa che riesce non solo a dimostrare carità e fede, ma anche a fare cultura sul disagio. E mi creda, non è una cosa piccola; è una grande cosa, perché finché la diversità – e quindi anche la disabilità - viene vista come un limite e non come un patrimonio, questo penalizzerà moltissimo chi vive il disagio. Papa Francesco ancora una volta ci ha stupito. Volevo avere modo di dirlo.

    D. - Il Papa è molto vicino ai disabili, ai malati. I suoi saluti sono particolarmente lunghi durante l’udienza generale. Quale messaggio arriva al mondo di oggi?

    R. - Il messaggio che arriva è che le pari opportunità sono dovute, i diritti sono rivendicati, ma soprattutto che la solidarietà non può venire a mancare. Se il Papa si ferma e non vive il disagio di fronte al limite di altre persone, questo non può che essere un messaggio avanzato a livello culturale. C’è una gran paura verso la disabilità, perché ci sono moltissime proiezioni negative da parte della gente. Non è così. La nostra è una vita meravigliosa, piena di felicità! È assolutamente folle l’idea che i disabili soffrano soltanto. Noi viviamo le nostre 24 ore con il sole e con la pioggia e siamo comunque felici come tante altre persone. Papa Francesco ha preso consapevolezza di questo e, secondo me, ci dà una grande mano a dimostrare che i nostri limiti – ripeto – sono un patrimonio.

    D. – Lei, come credente, è aiutata dalla fede a vivere una situazione comunque difficile…

    R. - Assolutamente! Più che una situazione difficile, è una situazione – mi conceda – privilegiata. Io sono abituata a vedere il mondo su quattro ruote. Proprio perché ho fede, dal basso guardo verso l’alto, e sono assolutamente carica di una forza per aiutare gli altri. La fede è una cosa importante che rivendicherò sempre non come “dotazione di vitamine”, ma come un confronto, un modo di essere vicini a Dio.

    D. - Lei ha incontrato il Papa nel gennaio scorso. Un ricordo ancora vivo…

    R. – Assolutamente meraviglioso! La mezz’ora più bella degli ultimi anni della mia vita: vedere Papa Francesco guardare i libri che ho scritto e dirmi che ero una lezione di vita!

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    Tweet del Papa: seguire Gesù da vicino non è facile, perché la strada che sceglie è la via della croce

    ◊   Il Papa ha lanciato in questo Venerdì Santo un nuovo tweet: “Seguire Gesù da vicino non è facile, perché la strada che Lui sceglie è la via della croce”. L'account @Pontifex in nove lingue ha superato i 13 milioni di follower, così distribuiti: 5.434.000 (spagnolo), 3.922.600 (inglese), 1.650.300 (italiano), la lingua portoghese ha superato il milione di follower (1.014.000), 260.000 (francese), 237.300 (latino), 215.400 (polacco), 183.800 (tedesco), 122.700 (arabo).

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    Da Papa Francesco 150 uova di cioccolato per i piccoli pazienti dell’Ospedale Bambino Gesù

    ◊   Un camion carico di uova di cioccolato, arrivate direttamente dalla Santa Sede, per i piccoli pazienti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: è il dono che Papa Francesco ha voluto fare ai bimbi ricoverati per regalare loro un sorriso in più in occasione della Santa Pasqua. Le 150 coloratissime uova sono state distribuite in ludoteca e tra i bambini del reparto di oncologia. Un nuovo pensiero del Pontefice per i pazienti dell’Ospedale a cui Papa Francesco aveva fatto visita, di persona, alla vigila dello scorso Natale, il 21 dicembre. In quella giornata al Gianicolo il Santo Padre - accolto da una folla di fedeli, infermieri e medici – aveva dedicato a ciascun bambino una carezza, un sorriso, una battuta affettuosa.

    L’Ospedale Pediatrico romano, di proprietà della Santa Sede dal 1924, è conosciuto dalle famiglie come l’“Ospedale del Papa”. Il primo a varcare la soglia del Bambino Gesù fu, nel 1958, Papa Giovanni XXIII.

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    Il Papa a pranzo con dieci preti

    ◊   Nel giorno in cui la Chiesa celebra l’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale Papa Francesco ha voluto condividere il pranzo con dieci preti romani. Alla fine della mattinata del 17 aprile, Giovedì Santo, il Pontefice si è recato nell’abitazione dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, dove ha trascorso oltre un’ora e mezzo con parroci e sacerdoti di Roma che poco prima avevano partecipato alla Messa crismale nella Basilica di San Pietro. Si è dunque rinnovata l’iniziativa presa lo scorso anno pochi giorni dopo l’elezione di Jorge Mario Bergoglio quando, sempre in occasione del Giovedì Santo, il sostituto ospitò a pranzo il Papa e sette presbiteri romani. L’incontro si è svolto dalle ore 13 alle 14.30, in un clima di semplice cordialità. In questo modo il vescovo di Roma ha potuto meglio conoscere le esperienze di alcuni dei suoi preti, soprattutto di quelli impegnati in situazioni di particolare disagio. I dieci hanno parlato delle loro realtà e Papa Francesco ha ascoltato con grande attenzione quanto gli veniva riferito, incoraggiando i sacerdoti nella loro missione.

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    Nel Venerdì Santo, la Colletta per la Terra Santa. Padre Pizzaballa: aiutare i cristiani a non andare via

    ◊   Com’è tradizione del Venerdì Santo, la Chiesa è impegnata oggi nella “Colletta per la Terra Santa”, raccolta che mantiene forte il legame tra i cristiani del mondo e i Luoghi Santi: le offerte delle parrocchie vengono trasmesse alla Custodia di Terra Santa, che le impiega poi per il mantenimento dei Luoghi stessi e per i cristiani locali. Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella lettera inviata ai pastori della Chiesa universale, ha sottolineato come “ancora oggi” la Colletta sia “fonte principale per il sostentamento” dei cristiani di Terra Santa, secondo la volontà dei Papi che “hanno sempre esortato a gesti di autentica carità fraterna”. Sul significato della Colletta, alla vigilia del viaggio di Papa Francesco a maggio in Giordania, Territori palestinesi e Israele, Giada Aquilino ha intervistato il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:

    R. – Un significato, rafforzato dalla visita del Papa, è quello del sostegno alla presenza cristiana in Terra Santa, che si esprime in due modi: per i luoghi di culto e soprattutto i Luoghi Santi, che sono testimonianza della storia della Rivelazione; e per la presenza cristiana, che il Papa con la sua visita verrà ad incoraggiare e a sostenere, anche fisicamente.

    D. – Di fatto, la Colletta come viene impiegata?

    R. – Un terzo della colletta va per la manutenzione dei Luoghi Santi: ricordiamo infatti che l’iniziativa si chiama “Colletta dei Luoghi Santi”. Gran parte, comunque la maggioranza - quasi due terzi – della Colletta va poi a sostenere progetti di supporto alla presenza cristiana: la creazione di posti di lavoro; il restauro di case vecchie, antiche, dei cristiani soprattutto a Gerusalemme, o scuole, principalmente nella zona di Betlemme e di Gerico. E una parte va anche per i cristiani di Siria.

    D. – Quindi, in un certo senso, aiuta anche i cristiani locali a lottare contro un esodo che continua…

    R. – Sì, uno dei problemi della presenza cristiana, in tutto il Medio Oriente e in particolare in Terra Santa, è proprio quello dell’emigrazione di queste persone, che preferiscono trovare condizioni di vita migliori, soprattutto in Occidente. La Colletta serve proprio a creare condizioni dignitose, perché i cristiani possano restare qui.

    D. – Il Papa nella tappa in Giordania incontrerà anche i piccoli profughi siriani. Lei ha detto che una parte della Colletta è a sostentamento anche dei cristiani di Siria...

    R. – Sì, una parte - soprattutto adesso che c’è la guerra - sempre più consistente viene inviata alle comunità parrocchiali di Siria, di Damasco, di Aleppo, di Latakia, in alcuni villaggi vicino alla Turchia. Questo serve proprio per cercare di aiutarli nel momento attuale, in cui non hanno grande possibilità di vita e non possono neanche emigrare.

    D. – Che Pasqua è questa, proprio in preparazione alla visita del Papa?

    R. – Qui a Gerusalemme, in modo particolare, la Pasqua ha i suoi ritmi. Quest’anno il calendario ortodosso e il calendario ‘occidentale’ coincidono. Quindi ci saranno tutte le celebrazioni negli stessi luoghi, per le diverse Chiese. Questo rende tutto, dal punto di vista spirituale e religioso, molto bello, ma anche più complicato da gestire. Inoltre siamo nella settimana della Pasqua ebraica, per cui Gerusalemme quest’anno è molto piena di pellegrini, di tutti i colori e di tutte le provenienze. Ciò rende tutto confusionario, ma anche bello e con un clima di festa. Il flusso dei pellegrini poi è ripreso, pure se è cambiata la provenienza. In passato erano prevalentemente occidentali, ma quest’anno gli occidentali sono molto meno rispetto agli anni precedenti. Sono aumentati i pellegrini dall’America Latina, dalla Russia e anche dall’Asia.

    D. – A Pasqua, Papa Francesco chiede di accogliere la grazia della misericordia di Dio, lasciando che la potenza del suo amore trasformi l’odio in amore, appunto, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Che significato ha in Terra Santa, che pace tra israeliani e palestinesi ancora non conosce?

    R. – Queste parole, che sono forti per chiunque, qui in Terra Santa acquistano un significato molto concreto, molto tangibile. “Misericordia”, “perdono”, “dialogo” qui riportano subito alla situazione politica, di tensione tra israeliani e palestinesi, di una pace che da molto tempo è negoziata ma mai raggiunta. E indicano anche una situazione di grande sofferenza in tantissime famiglie, soprattutto quelle palestinesi. E’ un richiamo per noi cristiani a rendere concreti e tangibili, con la nostra testimonianza, questi valori che sono prioritari per la nostra vita.

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    Rinuncia dell’Abate territoriale di Montevergine

    ◊   Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Abbazia territoriale di Montevergine (Italia), presentata dal padre abate benedettino dom Umberto Beda Paluzzi, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servi per eredità: Papa Francesco celebra la messa in cena Domini e lava i piedi a dodici disabili di don Gnocchi.

    Il ladrone in paradiso: in prima pagina, Manuel Nin sul passaggio dalla croce alla risurrezione.

    Il grande vecchio dietro le quinte del mondo nell’omelia del predicatore della Casa Pontificia, Raniero Cantalamessa, durante la celebrazione della Passione del Signore.

    I nuovi crocifissi: intervista di Nicola Gori all’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini, autore delle meditazioni della Via crucis al Colosseo.

    Chi non accetta la morte perde anche la vita: Giuliano Zanchi su Carlo Ceresa e la “Pietà” di Sentino.

    E il Rinascimento ebbe la culla in una tomba: Marco Beck illustra la scena del compianto tra Achille, Meleagro e Cristo.

    Cent'anni e poco più: Claudio Toscani ricorda Gabriel Garcia Marquez.

    Rossella Fabiani sul deserto in fiore nella comunità agricola di Sekem in Egitto.

    La data più importante: il testo del videomessaggio diffuso, in occasione della Pasqua, dal premier britannico David Cameron.

    Quella volta con Papa Wojtyla: uno stralcio dalle memorie del cardinale vicario Ugo Poletti (raccolte in un libro appena uscito per ricordarne il centenario della nascita) e una testimonianza di un suo stretto collaboratore, l’arcivescovo emerito di Cagliari Giuseppe Mani.

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    Oggi in Primo Piano



    Sud Sudan: 58 civili uccisi in un attacco alla base dei caschi blu, numerosi bambini tra le vittime

    ◊   Almeno 58 civili, rifugiati nella base Onu di Bor in Sud Sudan, sono rimasti uccisi nell’attacco ieri di un commando di uomini armati. Numerosi i bambini tra le vittime. Si tratta della base nello Stato orientale di Jonglei, il più vasto e popoloso ma anche tra i più instabili del Paese africano, sotto la sorveglianza di caschi blu indiani e sud-coreani. Durissima la condanna espressa dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che denuncia la “gravissima escalation di violenza” come “crimine di guerra". Nel Sud Sudan, diventato uno Stato indipendente nel 2011, è scoppiato un conflitto etnico tra le forze governative del presidente Salva Kiir, di etnia "dinka", e quelle fedeli all'ex vicepresidente Riek Machar, di etnia "nuer". Fausta Speranza ha intervistato Carla Bellani, di Pax Christi, impegnata da tempo in Sudan:

    R. - Che la situazione sia grave non è certo da adesso! Vari compound delle Nazioni Unite sono stati già attaccati più volte e l’Onu è stato accusato di proteggere o di essere comunque dalla parte governativa. Lo scambio di accuse reciproche è la cosa minore che può succedere in una situazione del genere. A noi risulta che ci siano città conquistate e riconquistate dalle parti opposte più di una volta!

    D. - Vogliamo parlare delle rivendicazioni e dei motivi della contesa?

    R. - Le rivendicazioni e i motivi della contesa sono di carattere storico, nel senso che la pace del 2005 e poi l’indipendenza del Sud Sudan del 2011 non hanno risolto quelli che erano i problemi storici e strutturali che esistevano tra il Nord e il Sud Sudan e in particolare la questione del confine e la questione petrolifera, che è anche quella principale, ormai all’ordine del giorno: infatti si combatte prevalentemente intorno ai pozzi petroliferi. Questo la dice lunga su una delle cause importanti di questa guerra! L’altra causa non risolta è la questione etnica e la difficile convivenza tra le etnie, che non si è mai affrontata in modo complessivo, ma è stata più volte cavalcata dai vari signori della guerra per rivendicare i loro privilegi o le loro mire egemoniche. Altra causa è la povertà endemica di un Paese per il quale non è mai stato studiato un piano di sviluppo che potesse portare ad una convivenza civile e pacifica: una pace e una indipendenza senza sviluppo non è il presupposto per garantire una tranquilla convivenza e un futuro sostenibile di pace nel Paese.

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    Crisi Ucraina. Dopo l'intesa gli Usa ritirano l’ipotesi di un intervento armato

    ◊   Gli uomini dei servizi segreti ucraini hanno ripreso il controllo della stazione televisiva a Sloviansk, nell’est del Paese, occupata ieri da miliziani filorussi che avevano bloccato i canali ucraini. Le Borse asiatiche intanto sono in rialzo dopo la svolta sull'Ucraina, con l'accordo per frenare la crisi siglato ieri sera a Ginevra tra il governo di Kiev, la Russia, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Nona Mikhelidze ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali:

    R. - Innanzitutto una precisazione: l’opzione militare non è più sul tavolo delle discussioni non dall’incontro a Ginevra, ma da prima. La Russia non voleva uno scontro militare diretto nell’Est Ucraina; forse in Crimea, l’obiettivo della Russia era portare avanti una situazione di instabilità. Per questo motivo i militari russi rimangono sul confine ucraino.

    D. - Perché la Russia continua a creare questa situazione?

    R. - Perché l’obiettivo principale è raggiungere il cambiamento costituzionale in Ucraina e aver garanzie che il Paese diventi uno Stato federale.

    D. - Perché questo aprirebbe delle condizioni particolari in relazione agli Stati dell’Est, quelli più vicini alla Russia?

    R. – Si, eventuali Stati federali in Ucraina avrebbero diritto di esercitare una sorta di veto sulla politica estera; quindi – eventualmente - la parte Est del Paese potrebbe in questo modo prevenire l’integrazione, la collaborazione o una maggiore partnership con l’Unione Europea.

    D. - Come giudica – comunque – l’accordo di Ginevra anche in vista delle elezioni presidenziali che ci saranno in Ucraina il 25 maggio prossimo?

    R. - Se tutte le parti rispetteranno gli accordi, forse le elezioni potranno svolgersi regolarmente, tutto questo a condizione che i russi mantengano la parola, quindi non diano più assistenza ai cosiddetti ribelli dell’Ucraina dell’Est, e che l’Ucraina riesca ad organizzare le elezioni presidenziali con la partecipazione di tutto il Paese - non solo la parte occidentale -. Nel caso in cui non riuscissero ad organizzare le elezioni nell’Ucraina dell’Est, sia la popolazione russa che Mosca stessa, potrebbero denunciare l’illegittimità dell’esito o della consultazione.

    D. - Ma in questa situazione l’Europa sembra defilata …

    R. - Secondo me l’Europa non ha mai avuto una vera strategia di azione in Europa dell’Est; non l’ha avuta cinque anni fa, quando ha iniziato le negoziazioni sull’accordo di associazione con l’Ucraina, né adesso su come affrontare la crisi. La mia sensazione è che l’approccio dell’Unione Europea è quello del cosiddetto Wait and see, vedere ed aspettare. Quindi sembra più un attore reattivo che strategico.

    D. - Quindi praticamente la partita è giocata tra Stati Uniti e Russia?

    R. – Sì, però aggiungo che neanche gli Stati Uniti sembrano avere una visione ben definita di cosa vogliono fare in Ucraina a lungo termine.

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    Sos Villaggi Bambini: in Siria, i bimbi vivono come seppelliti vivi per sfuggire alla guerra

    ◊   Una squadra di “Sos Villaggi dei Bambini” si è recata nei giorni scorsi in uno dei quartieri di Aleppo più devastati dalla guerra civile in Siria. In un ambiente spettrale, i volontari dell’organizzazioni umanitaria hanno scoperto un’umanità sotteranea, composta da famiglie e soprattutto bambini costretti a vivere letteralmente come “sepolti viti”. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Elena Cranchi, portavoce in Italia di “Sos Villaggi dei Bambini”:

    R. – Dovete immaginare che, in questo quartiere di Aleppo, ci sono solo scheletri di palazzi. Sembra un quartiere assolutamente fantasma: in realtà, nei seminterrati vivono intere famiglie. Abbiamo incontrato questa bambina, Rayan, di 13 anni, che ha raccontato una storia veramente incredibile: ha portato la nostra squadra in un seminterrato dove, in una piccola stanza senza finestre, vivono 21 persone. E la bambina ha raccontato la vita che svolge all’interno di questa stanza: bisogna pensare che gli scontri continuano e quindi l’infanzia è davvero seppellita. E’ difficile l’accesso alle scuole, è difficile uscire a giocare semplicemente con i compagni. La doccia non possono farla o perlomeno se la fanno è considerato un momento di grande pericolo. Infatti, lei raccontava alla squadra umanitaria: “Mia mamma dice sempre di fare poche volte la doccia, perché bisogna mettere una bobina elettrica in questo barile di acqua e quando si mette la bobina elettrica nessun bambino si può avvicinare, perché rischia di prendere la scossa". E poi, racconti su che cosa mangiano. Lei diceva: "Io non chiedo più a mia mamma ‘che cosa mi fai questa sera?’, come facevo tanto tempo fa, perché so che mangerò sempre solo lenticchie". "Nonostante tutto – dice – io continuo a giocare fuori con i miei amici, anche se poi non so perché, ma tutti noi diventiamo violenti, con i giochi". Dice che la cosa più bella è poter andare a scuola, perché per lei, forse, la scuola rappresenta l’unico momento di normalità. Però, per me andare a scuola è un incubo, perché devo camminare a piedi 40 minuti per andare e 40 minuti per tornare e non ho una cartella e quindi i libri li metto in un sacchetto di plastica e quando piove, sono guai.

    D. – A questi bambini, come a queste famiglie – da questo racconto si capisce – è stata "rubata la normalità", quella normalità che a volte, invece, annoia noi, da quest’altra parte del mondo, magari anche i nostri bambini?

    R. – Io stessa – noi stessi – leggendo queste storie e vedendo i nostri figli, vedendo i nostri nipoti, non riusciamo neanche ad immaginare che questo possa veramente accadere. Io penso che leggere o raccontare queste storie ai nostri figli, probabilmente potrebbe essere utile per far capire che veramente, anche se ci sono bambini che soffrono dall’altra parte del mondo, siamo tutti uguali, sono tutti nostri figli, sono tutti nostri fratelli e sono tutti doni di Dio, no! Quindi, è una sensibilizzazione che voi, mass media, potete aiutarci a dare: altrimenti, diventano storie, diventa seppellire ulteriormente dei bambini che non hanno in questo momento né voce né la possibilità di evitare il dolore perché sembra che in questo caso – ahimé! – il dolore dei bambini della Siria non venga assolutamente considerato. Tanto che è una guerra che – hanno detto i giornali – ha compiuto tre anni; e già pensare di “festeggiare” il compleanno di una guerra è un ossimoro di per sé e probabilmente però questa guerra andrà avanti, perché non ci sono segnali, in questo momento, di accordi che possano portare gli scontri alla fine.

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    Via Crucis a Pisa: la città prega per il bengalese morto in un'aggressione

    ◊   Una violenza senza motivo: è questo ad aver ucciso Zakir Hossain, il bengalese di 32 anni, morto martedì scorso in seguito all’aggressione di un gruppo di quattro ragazzi, nel centro storico di Pisa. Una provocazione e poi il pugno mortale. La prefettura è sulle tracce di un tunisino, riuscito a rimpatriare, che potrebbe essere l’autore del gesto omicida. Resta lo sgomento e l’incredulità, affermano la Caritas locale e la diocesi, che stasera dedicheranno una tappa della Via Crucis, per le strade del centro, anche al giovane morto e alla sua famiglia. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Non sappiamo cosa pensare! Ora sentiamo solo il dolore di una tragedia di questa portata, nei confronti della quale Pisa non è assolutamente abituata, essendo città tranquilla e accogliente”. Così don Emanuele Morelli, direttore della Caritas della città, circa la morte di Zakir Hossain, il giovane bengalese che aveva conosciuto e seguito attraverso la Caritas, personalmente. Aveva una moglie - ci racconta - e dei figli in Bangladesh, che manteneva proprio con il suo lavoro di cameriere:

    “Abbiamo timore che sia violenza gratuita, che non abbia uno sfondo razziale, anche perché non ci sono mai stati segnali di distanza, di razzismo nei confronti della comunità bengalese che è una comunità abbastanza silenziosa, in città: presente, numerosa ma anche industriosa, laboriosa …”.

    Don Emanuele Morellli esamina anche la condizione della gioventù locale, appena coinvolta nella Missione giovani, voluta proprio dalla diocesi: una missione che aveva visto giovani di diverse etnie in momenti di festa e di condivisione:

    “Certamente è una provocazione, per noi come Chiesa, a interrogarci sempre di più e sempre meglio, sulla condizione giovanile e a lavorare sui percorsi di prevenzione a queste forme di disagio latente”.

    Gli interrogativi sono tanti, sottolinea anche l’arcivescovo di Pisa mons. Giovanni Paolo Benotto, che per questa sera ha organizzato una "Via Crucis" per le strade del centro, anche sui luoghi dell’aggressione. Mons. Benotto:

    R. – Gli interrogativi sono quelli che tutte le persone si pongono: perché? Perché può succedere un fatto del genere? Anche se, purtroppo, dobbiamo dire che di forme di violenza ce ne sono tantissime! Siamo immersi in forme di violenza, soprattutto verbale, che non di rado poi diventano anche violenza fisica; nelle relazioni, nella non accoglienza, la non disponibilità … Ora, stasera noi faremo la nostra "Via Crucis" passando proprio lì, e non potremo non pensare alla famiglia di Zakir che, appunto, è rimasta priva di colui che la sostentava, pur essendo tanto lontano”.

    D. – Sulla croce – lei ha detto in un’intervista al Corriere Fiorentino – insieme al Cristo crocifisso ci saranno tutti coloro che, come Gesù, sono colpiti dalla violenza: gli ultimi, i poveri, le persone più fragili. In questo modo, c'è quasi idealmente un collegamento con Roma, con la "Via Crucis" del Papa …

    R. – Certamente. In Gesù, tutti siamo rappresentati, soprattutto chi soffre, ma da Gesù tutti quelli che soffrono, proprio attraverso la preghiera, vengono sostenuti e aiutati nel loro cammino.

    D. – Cosa chiedere, anche per questi giovani che hanno compiuto questo gesto?

    R. – Per chi ha fatto questo, conversione. Cioè, noi vogliamo aiutare anche chi è veramente andato fuori strada, a ritrovare un minimo di strada retta, nella conversione e, direi, anche nella penitenza: una penitenza e una conversione a cui siamo chiamati tutti, perché nessuno di noi può dirsi immune da peccati o da fragilità, e tutti abbiamo bisogno di crescere. Ma, o si cresce insieme o altrimenti il rischio è che davvero, ciò che impazzisce diventi uno stile che poi coinvolge anche chi non vorrebbe.

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    Archeologia: scoperta un'area "segreta" di Ostia Antica, più grande di Pompei

    ◊   Una scoperta destinata ad appassionare gli amanti della storia e dell’archeologia. Dopo anni di scavi è stata rinvenuta una parte di Ostia Antica fino ad oggi 'segreta', più grande di Pompei. L’area interessata, probabilmente di natura commerciale, si trova sulla sponda del Tevere opposta rispetto al sito archeologico finora conosciuto. Lo studio condotto da autorità statali e da due università inglesi pone in evidenza l’immensa ricchezza del territorio italiano spesso poco valorizzato. Paolo Ondarza ha intervistato Paola Germoni, archeologa della Soprintendenza per i beni archeologici di Roma:

    R. - E’ stato scoperto un insieme di edifici, che - già di per sé - presentano delle caratteristiche molto significative. Dalla planimetria si vede che sono edifici funzionali, quindi edifici di stoccaggio. Non stiamo parlando, per adesso, di edifici termali…

    D. - Quindi non sono abitazioni?

    R. - Sembrerebbe proprio di no! Probabilmente possono esserci oggetti, ma di vita quotidiana. Questi edifici sono racchiusi da una cinta muraria, ovvero fanno parte integrante della città di Ostia.

    D. - Vale a dire che le mura dell’antica città non terminavano sulla terraferma a Sud del Tevere, ma continuavano sulla sponda settentrionale…

    R. - Esatto, sulla riva destra del Tevere: inglobavano cioè tutta la porzione meridionale dell’Isola Sacra, che fino ad oggi era considerata, invece, un’area destinata esclusivamente ad un uso di tipo sepolcrale. Tutto ciò adesso va completamente rivisto!

    D. - Quindi il Tevere non chiudeva la città a Nord, ma - possiamo dire - che divideva la città in due parti…

    R. - Io proporrei un diverso ordine dei soggetti: la città inglobava il fiume e ne controllava la navigazione. Controllare il fiume e in particolare il fiume Tevere, che era la grande arteria di comunicazione del Mediterraneo, con la capitale dell’’Impero, voleva dire controllare l’arrivo delle merci, del grano, dell’olio…

    D. - Stiamo infatti parlando di un’area importantissima da un punto di vista commerciale, strategica direi…

    R. - Assolutamente, perché tra la città di Ostia Antica a Sud e il complesso dei bacini a Nord Roma arrivava, con il suo controllo statale, a dominare e a gestire tutto il traffico navale del Mediterraneo antico.

    D. - Tutto questo al momento è sotto terra?

    R. - Sì!

    D. - Si può azzardare qualcosa sullo stato di conservazione?

    R. - Quello che è sicuramente conservato è la distribuzione planimetrica, ovvero com’erano suddivisi gli ambienti. Non abbiamo la terza dimensione.

    D. - Si trovano sotto un’area facilmente esplorabile o sotto un’area - ad esempio - già edificata?

    R. - Per nostra fortuna l’area non è molto edificata in quanto era protetta dalla legislazione di tutela degli anni Sessanta. Quasi certamente è la tipologia del terreno, che ha consentito la conservazione su così larga scala degli edifici, in quanto essendo molto prossimi al Tevere vi è, al di sopra di quelle strutture, tutto un pacco di argille alluviali che hanno sigillato gli edifici.
    D. - E’ un materiale che conserva bene?

    R. - Conserva molto bene!

    D. - Voi chiedete una maggiore attenzione a questo territorio…

    R. - Chiediamo soltanto di avere il supporto di tutto lo Stato in questa opera di tutela. Certi articoli sull’inutilità dei sovrintendenti mi sembrano veramente molto pretestuosi. Ritengo che ognuno debba fare con coscienza il proprio lavoro! Noi non possiamo far costruire, perché noi non ne siamo i padroni: noi ne siamo testimoni per un breve periodo di tempo, ma poi passano alle generazioni future.

    D. - Oltretutto se vogliamo essere pratici, il reperimento di un’area archeologica di così grande pregio è anche fonte di guadagno…

    R. - La città di Ostia Antica è già meta di più di 300 mila turisti l’anno. Questa mattina, per arrivare ad Ostia Antica, io ho dovuto cambiare tre trenini della Roma Lido; questa mattina - come tutte le mattine! - non c’era orario per prendere il mezzo pubblico per arrivare agli scavi di Ostia. Non abbiamo bisogno di granché: abbiamo bisogno che funzioni quello che c’è!

    D. - Anche perché la ricchezza, quantomeno quella storica ed archeologica, ci viene di continuo regalata da queste scoperte…

    R. - Regalata! Regalata con molta fatica, con molto studio e con molta umiltà!

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    La scomparsa di Gabriel García Márquez, scrittore di storie e cantore di miti

    ◊   Si è spento ieri a 87 anni, nella sua casa di Città del Messico, lo scrittore colombiano, Premio Nobel della letteratura, Gabriel García Márquez. Malato da lungo tempo, dall’8 aprile aveva lasciato l’ultimo ricovero per ricevere in case le cure, assistito dalla moglie e dai figli. La Colombia ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale; Città del Messico gli dedicherà lunedì prossimo una pubblica commemorazione, mentre le spoglie dello scrittore saranno cremate in una cerimonia privata. Il servizio di Alessandro De Carolis:
    Vedeva la vita nella filiera degli eventi e la “sentiva” nei suoi arcani, esplorandone il mistero stando saldamente con i piedi in aria, perché per lui spazio e tempo seguivano logiche che la logica non necessariamente doveva capire, e la linea retta non era mai la madre né la direzione di marcia della sua scrittura. Gabriel García Márquez ha mescolato con arte lussureggiante realtà e magia e la “latinoamericanità” che affiora dalle sue storie affascina e cattura da decenni proprio perché le sue trame sono impasto di natura e sovranatura, di fisicità evanescente e tangibili sfumature i suoi personaggi.

    Del resto aveva scritto, e vale un epitaffio, “la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. E per un uomo convinto che “l’ispirazione non dà preavvisi” era dunque necessario vivere oggi si direbbe connesso con la realtà del surreale, affacciato sui panorami dell’utopia, padre felice di un’allegoria riuscita o figlio devoto di un mito che spalanca mille possibilità narrative, buone per solitudini di cent’anni o per felicità che durano l’eternità di un lampo.

    A muoversi tra queste dimensioni eroismi e cinismi, lotte e soprattutto sconfitte, nostalgie e languori di passati diversi e implacabili destini di morti annunciate. Lo salutiamo, “Gabo”, rubando le parole al suo colonnello Aureliano Buendía: “Il mio migliore amico è quello che è appena morto”. Per moltissimi, da un giorno, è davvero così. Ma la sua amicizia, e soprattutto i suoi libri, resteranno per sempre a far compagnia ai nostri sogni.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Accordo sul nucleare: l'Iran taglia metà delle scorte di uranio arricchito

    ◊   L'Iran ha tagliato metà delle proprie scorte di uranio arricchito, in linea con gli accordi presi a Ginevra con il gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna Francia e Germania). Lo ha annunciato l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), lasciando trapelare alcune indiscrezioni dal suo rapporto. Di conseguenza - riferisce l'agenzia AsiaNews - Washington ha autorizzato lo sblocco di 450 milioni di dollari di fondi iraniani congelati.

    I negoziati raggiunti in questi giorni si basano su un accordo temporaneo firmato nel novembre 2013. Quest'ultimo prevede un controllo maggiore dei siti e del programma nucleare di Teheran, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni internazionali.

    La comunità internazionale vuole che l'Iran dia assicurazioni e permetta controlli così da escludere i fini bellici del programma. Teheran ha sempre negato di voler costruire armi nucleari, ma ha anche nascosto diversi siti a verifiche.

    Il rapporto completo dell'Aiea dovrebbe essere pubblicato la prossima settimana. Dallo scorso gennaio - data in cui è entrato in vigore l'accordo temporaneo - l'osservatorio internazionale ha degli ispettori sul suolo iraniano, che hanno il compito di rilasciare aggiornamenti mensili sull'andamento della situazione.

    L'accordo temporaneo scadrà il prossimo luglio. L'intenzione del 5+1 è di riuscire a firmare un accordo definitivo entro quella data, nel quale l'Iran acconsenta a ridurre in modo permanente il livello di arricchimento dell'uranio e a far entrare più liberamente ispettori Onu, in cambio della cancellazione di tutte le sanzioni.

    L'ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell'Iran, ha accolto in modo positivo l'esito dei colloqui, ma ha sottolineato che Teheran non potrà mai rinunciare al suo programma nucleare. (R.P.)

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    Iraq: Giovedì Santo del patriarca Sako con disabili ed emarginati cristiani e musulmani

    ◊   Il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako I ha celebrato il Giovedì Santo presso la "Casa Beit 'Ania" a Baghdad, un centro gestito da alcune ragazze che ospita persone con gravi disabilità, abbandonate, senza famiglia e portatori di handicap. Sua Beatitudine - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha visitato la struttura insieme al vescovo ausiliare mons. Shlemon Warduni e altri otto sacerdoti, celebrando i riti della Coena Domini con loro. Mar Sako ha compiuto il tradizionale rito della "lavanda dei piedi" a 12 persone, fra le quali vi erano due donne musulmane e una mandaita.

    La "Casa Beit 'Ania" è un centro nato nel 2000 su iniziative di due ragazze cristiane, Alhan e Anwar, che hanno percorso a lungo le strade della capitale alla ricerca di persone senza famiglia, sole e abbandonate. Grazie alla generosità dei fedeli, le due giovani hanno potuto rilevare una casa e dar vita a una struttura che si occupa di queste persone più sfortunate. Oggi è considerata un vera e propria "oasi di pace e di convivenza", in grado di ospitare oltre 50 persone, uomini e donne, cristiani, musulmani e di altre fedi religiose.

    Nell'omelia Sua Beatitudine ha ricordato che "oggi stiamo celebrando una vera Pasqua. Alhan e Anwar, come due discepoli di Gesù, hanno preparato ogni dettaglio [per la funzione]". Mar Sako si è rivolto agli ospiti del centro sottolineando che "voi avete bisogno del Signore. Nonostante la vostra condizione fisica o sociale, voi siete vicini a Dio. E la Pasqua è per voi".

    Riferendosi alla disabilità, il patriarca caldeo ha quindi aggiunto che "siete capaci di trovare nel vostro handicap una grande forza per vivere, con pace e gioia. Con la forza della Pasqua voi siete trasformati". Egli ha quindi specificato che "siamo tutti cristiani e musulmani, siamo fratelli" e "la nostra religione deve essere una ottima occasione per vivere in pace e gioia". La nostra preghiera di oggi, ha concluso Mar Sako rivolgendosi ai presenti, "è un segno della gratitudine e dell'affetto: ecco la vera Pasqua".

    Al termine della cerimonia il patriarca caldeo ha voluto offrire loro un pranzo, quale segno di vicinanza, amicizia e condivisione. (R.P.)

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    Venerdì Santo in Pakistan: digiuno e preghiera per Asia Bibi e le vittime della blasfemia

    ◊   "Preghiamo in modo speciale per Sawan Masih ed Asia Bibi, entrambi nel braccio della morte in base all'accusa di blasfemia. Ci rivolgiamo alla comunità dei fedeli, perché si uniscano a noi nella preghiera per gli emarginati e oppressi". È quanto afferma all'agenzia AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, che invita i fedeli a celebrare un Venerdì Santo di digiuno e preghiera per tutte le vittime della "legge nera". Le minoranze religione in Pakistan - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono oggetto di persecuzione e discriminazione a causa della loro fede; oggi, in modo particolare, la comunità cristiana, assieme alla società civile e ai vertici della Chiesa, esprime la propria protesta pacifica contro condanne a morte basate su false accuse e dissapori personali.

    Asia Bibi, dal novembre 2010 nel braccio della morte, sottoposta a regime di isolamento in carcere per motivi di sicurezza, è ormai da tempo un simbolo della lotta contro la "legge nera". Il 26enne cristiano Sawan Masih, originario di Lahore, è stato invece condannato in primo grado, dietro false accuse che in realtà celano dissapori personali con la persona che lo ha denunciato. La sua vicenda aveva dato origine a un attacco mirato contro la minoranza residente nella Joseph Colony di Lahore, con centinaia di case e due chiese date alle fiamme dagli estremisti islamici.

    Asia Bibi e Sawan Masih trascorreranno le feste di Pasqua lontani dalle loro famiglie, strappate ai loro affetti per una norma che è diventata nel tempo un pretesto per colpire le minoranze.

    Mirza Asad Khan, attivista musulmano, si unisce "ai nostri fratelli e sorelle cristiani nelle celebrazioni del Venerdì Santo, col digiuno e la preghiera per costruire assieme un cammino di pace". Chiediamo al governo, aggiunge, "serie iniziative per combattere l'intolleranza e l'abuso delle leggi sulla blasfemia". (R.P.)

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    Indonesia: la Settimana Santa dei cattolici tra liturgie e carità

    ◊   Raccolte fondi per finanziare i progetti delle diocesi, partecipazioni in massa alle Confessioni, audio e video per preparare i fedeli alle principali celebrazioni, momenti di preghiera particolare, fra cui le messe crismali, per rafforzare il legame fra clero e comunità. Sono molte le iniziative proposte dalla Chiesa indonesiana nel corso della Settimana Santa, che accompagna la comunità alle celebrazioni della Pasqua di risurrezione. Un periodo, a differenza del Natale - riferisce l'agenzia AsiaNews - che è visto come un momento di gioia e di festa, vissuto con raccoglimento, devozione e ricerca profonda della fede, dei suoi principi e valori.

    In queste settimane di Quaresima, l'arcidiocesi di Jakarta ha distribuito una piccola scatola in cartone ad ogni famiglia, dove inserire somme di denaro "risparmiate" per sostenere progetti della Chiesa. Il denaro raccolto verrà utilizzato per finanziare iniziative nel sociale, che andranno a beneficio anche dei non cattolici.

    Tuttavia, è sotto il profilo spirituale che emergono i valori e le aspettative maggiori legate al periodo pasquale. In primis, la partecipazione mostrata dai fedeli verso il rito della Confessione, un gesto col quale ci si rivolge alla Chiesa per chiedere perdono dei peccati commessi e indice del grado di "purezza" con il quale si vive la fede nel Paese asiatico. Come conferma padre Madyautama, un gesuita esperto di teologia originario di Yogyakarta (Java centrale), che trascorre "anche più di cinque" ore nel confessionale, per raccogliere pensieri e riflessioni dei fedeli.

    Ieri, infine, si è celebrata la messa crismale, molto sentita in alcune diocesi dell'arcipelago fra cui Semarang, Purwokerto e Jakarta. In particolare Semarang è - per tradizione - la diocesi che fornisce il maggior numero di sacerdoti e religiosi alla comunità cattolica indonesiana; quest'anno l'appuntamento ha avuto una vasta eco anche nella cattedrale della capitale, dove più di 200 sacerdoti si sono uniti al loro vescovo mons. Ignatius Suharyo per questa speciale celebrazione.

    L'Indonesia è la nazione musulmana (sunnita) più popolosa al mondo (l'86% professa l'islam) e, pur garantendo fra i principi costituzionali le libertà personali di base (fra cui il culto), diventa sempre più teatro di violenze e abusi contro le minoranze. I cristiani sono il 5,7% della popolazione, i cattolici poco più del 3%, l'1,8% è indù e il 3,4% professa un'altra religione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità cattolica - attiva in molti settori, in particolare nel sociale e nell'istruzione - è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. (R.P.)

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    Nepal: 12 guide alpine morte per una valanga sull'Everest

    ◊   Sono stati recuperati i corpi di 12 guide alpine nepalesi morte sotto una valanga stamattina all'alba sul versante meridionale dell'Everest. Lo riferisce il sito internet di The Himalayan Times ripreso dall'agenzia Ansa. Otto membri della spedizione sono stati trovati vivi dai soccorritori che sono al lavoro nella zona che si trova a un altitudine di circa 5000 metri poco sopra il campo base. Ma ci sarebbe un numero imprecisato di dispersi. Si tratta di uno dei piu' gravi incidenti degli ultimi anni che hanno visto un boom di presenze sul 'tetto del mondo'.

    Secondo un responsabile del ministero del Turismo, Tilak Ram Pandey, un gruppo di 50 persone, la maggior parte 'sherpa' nepalesi, e' stato travolto dalla valanga mentre stavano perlustrando la zona e fissando le corde in previsione della imminente stagione delle scalate. A partire da fine aprile, oltre 300 team stranieri raggiungeranno il campo base da cui poi partiranno per la conquista della vetta a 8.848 metri. Circa 600 nepalesi, tra 'sherpa' e altro personale, sono coinvolti nelle spedizioni, che sono una ricca fonte di guadagno per la popolazione locale e per il governo di Kathmandu.

    Secondo Elizabeth Hawley, considerata la massima esperta mondiale di alpinismo nell'Hymalaya, si tratta del peggiore incidente di sempre sul cosiddetto tetto del mondo. Il triste precedente primato - riferisce l'agenzia Agi - risaliva al 1996, quando persero la vita otto persone appartenenti a due spedizioni diverse: vicenda immortalata dall'alpinista-scalatore americano Jon Krakauer nel celebre resoconto intitolato 'Aria sottile', pubblicato l'anno dopo.

    Analoga la sciagura avvenuta nel settembre 2012 ma su un'altra montagna della catena asiatica, il Manaslu: i morti allora furono undici, tra cui nove europei. La tragedia e' avvenuta in una zona chiamata il 'campo di popcorn', lungo il percorso che conduce all'insidioso ghiacciaio del Khumbu: gli sherpa stavano dirigendosi a un campo in quota per piantarvi alcune tende, e si erano uniti a un gruppo di turisti stranieri per acclimatarsi. Dalla conquista del picco più elevato del pianeta nel 1953, a opera del neozelandese sir Edmund Hillary e del nepalese Tenzin Norgay, le vittime dell'Everest ammontano a oltre 300. (R.P.)

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    Roma: alla Basilica di Santa Maria Maggiore "L'Ora della Madre"

    ◊   Sabato Santo, 19 aprile, dalle ore 10.30 alle ore 11.30, nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore in Roma, avrà luogo — come da più di 25 anni — una speciale celebrazione mariana: «L'Ora della Madre»: una celebrazione che intende proporre e far rivivere il dolore e la fede suprema di Maria nell'attesa della risurrezione del Signore. Presiederà la celebrazione il card. Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore. Vi parteciperà il coro «Jubilate Deo» diretto da suor Dolores Aguirre.

    Se infatti il Venerdì Santo è per antonomasia l'«Ora» di Gesù, che amò i suoi fino all'oblazione di sé sull'altare della Croce, il Sabato Santo è 1'«Ora» della Madre, il vertice del suo lungo faticoso cammino di fede: ai piedi della Croce ella stette, quale nuova Eva, associandosi al sacrificio del Figlio e accogliendo come figli tutti gli uomini redenti dal suo Sangue divino. Quando poi i discepoli, la sera del Venerdì Santo, posero Gesù nel sepolcro, la sua fede non venne meno, né venne meno la sua indissolubile unione col Figlio Redentore.

    Anzi, solo in lei stette in quell'Ora la fede di tutta la Chiesa, in lei si raccolsero le speranze del mondo. Perciò è la madre della nostra fede. Scriveva il beato Giovanni Paolo II: «Nel Sabato Santo la Chiesa si identifica con Maria: tutta la sua fede è raccolta in Lei, la prima credente. Nell'oscurità che avvolge il creato, Ella rimane sola a tener viva la fiamma della fede, preparandosi ad accogliere l'annuncio gioioso e sorprendente della resurrezione». E Papa Francesco la prega così: «Vergine e Madre Maria... Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce con una fede incrollabile, e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione... ottienici ora un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della vita che vince la morte» (Evangelii gaudium, 288).

    La celebrazione mariana che si compie a Santa Maria Maggiore, e in tante altre parti d'Italia e del mondo il mattino del Sabato Santo, trova ispirazione nella liturgia bizantina, che canta davanti all'icona della sepoltura di Gesù i lamenti della Madre sul Figlio ucciso e la sua ansia di vederlo ritornare vivo dai morti. In quell'ora suprema, in cui tutto sembrava ormai definitivamente finito, è lei "Chiesa che crede" contro ogni umana evidenza, che spera contro ogni speranza.

    Così, l'"Ora" della Madre, celebrata nel Sabato Santo, è la più adatta e significativa preparazione a vivere la grande Veglia pasquale del Signore che risorge glorioso dai morti. (A cura di padre Ermanno Toniolo)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 108

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.