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Sommario del 17/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa crismale. Il Papa: la gioia del sacerdote viene da Dio ed è custodita dal Popolo
  • Messa in Coena Domini, il Papa al Don Gnocchi. Mons. Bazzarri: una carezza ai sofferenti
  • Gli auguri del Papa per l'87.mo compleanno di Benedetto XVI
  • Auguri del Rabbino Capo di Roma al Papa in occasione della Pasqua
  • Nomine episcopali in Portogallo e Venezuela
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • A Ginevra vertice sull'Ucraina. Putin in tv: "Spero di non dover usare la forza"
  • Centrafrica. Liberi vescovo e sacerdoti fermati ieri. La testimonianza di mons. Nzapalainga
  • Cina: 30 mila lavoratori incrociano le braccia a Dongguan per l’aumento del salario
  • Caritas italiana: bene le nuove regole di ingaggio per le operazioni di Frontex
  • Rapporto Sipri: nel mondo si spendono in armi 330 mila dollari al minuto
  • Roma, confermato lo scambio di embrioni. Tarzia: riaprire dibattito su fecondazione artificiale
  • Pompei: aperte al pubblico tre Domus appena restaurate
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Terra Santa. Il patriarca Twal: "Asciugare le lacrime il messaggio del Giovedì Santo"
  • Patriarchi e leader cristiani di Terra Santa: la Pasqua porti pace nella regione
  • La Pasqua dei cristiani di Terra Santa che non possono oltrepassare il muro
  • Siria: messaggio di Pasqua del patriarca Gregorio III
  • Il parlamento europeo ricorda padre Frans Van der Lugt ucciso in Siria
  • Bartolomeo I: "Non c'è vero progresso nella storia senza Dio"
  • Sud Corea. La Chiesa prega per le vittime del traghetto. Il Paese vive nel dolore
  • Nigeria: incertezza sulle studentesse rapite. Il vescovo accusa
  • Nord Irlanda: i leader delle Chiese invocano una pace duratura
  • Sri Lanka: incontro ecumenico sulla tratta e le moderne forme di schiavitù
  • Bangladesh. Stupro di gruppo su una tribale cattolica: cristiani e musulmani chiedono giustizia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa crismale. Il Papa: la gioia del sacerdote viene da Dio ed è custodita dal Popolo

    ◊   La Chiesa ha bisogno di sacerdoti gioiosi fedeli a Cristo e al Popolo di Dio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa Crismale in San Pietro dedicata a tutti i sacerdoti del mondo, che in questo giorno rinnovano le promesse fatte al momento dell’ordinazione. Nel corso della celebrazione, il Pontefice ha benedetto gli oli degli infermi, dei catecumeni e il crisma. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Da dove viene la gioia del sacerdote? E’ la domanda rivolta da Papa Francesco a tutti i sacerdoti del mondo, a partire da quelli davanti a lui che, con il bianco delle loro vesti, appaiono dall’alto come tessere lucenti di un mosaico tra i marmi policromi della Basilica petrina. E’ un’omelia lunga, intensa, articolata – secondo lo stile ignaziano - in tre punti, quella che il Papa pronuncia nella Messa del Crisma e che subito sottolinea come la gioia del sacerdote sia “un bene prezioso non solo per lui ma anche per tutto il popolo dei fedeli di Dio”, al quale “è chiamato il sacerdote per essere unto e al quale è inviato per ungere”. Il sacerdote, avverte, “è una persona molto piccola” rispetto “all’incommensurabile grandezza del dono” dell’ordinazione:

    “Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze”.

    E “a partire da tale piccolezza – soggiunge – accogliamo la nostra gioia. Gioia nella nostra piccolezza”. Francesco indica dunque tre caratteristiche significative della gioia sacerdotale. “E’ una gioia – afferma - che ci unge, non che ci rende untuosi, sontuosi o presuntuosi, è una gioia incorruttibile ed è una gioia missionaria che si irradia a tutti e attira tutti, cominciando alla rovescia: dai più lontani”. E’ una gioia che unge, riprende, perché “è penetrata nell’intimo del nostro cuore, lo ha configurato e fortificato sacramentalmente”. E “la nostra gioia, che sgorga da dentro – soggiunge – è l’eco di questa unzione”. E’ poi una gioia incorruttibile alla quale nessuno può togliere né aggiungere nulla, è fonte incessante di gioia: una gioia incorruttibile, che il Signore ha promesso che nessuno” potrà togliere, anche se “può essere addormentata o soffocata dal peccato o dalle preoccupazioni della vita”. Nel “profondo, rimane intatta come la brace di un ceppo bruciato sotto le ceneri”. Ed è una gioia missionaria, perché “è posta in intima relazione con il santo popolo fedele di Dio”. Questa gioia che viene dal Signore, evidenzia, è inoltre custodita dal gregge stesso che è affidato ai pastori:

    “Anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata”.

    Una gioia, precisa il Papa, che è custodita “anche da tre sorelle che la circondano, la proteggono, la difendono: sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza”:

    “Il sacerdote è povero di gioia meramente umana: ha rinunciato a tanto! E poiché è povero, lui, che dà tante cose agli altri, la sua gioia deve chiederla al Signore e al popolo fedele di Dio. Non deve procurarsela da sé. Sappiamo che il nostro popolo è generosissimo nel ringraziare i sacerdoti per i minimi gesti di benedizione e in modo speciale per i Sacramenti. Molti, parlando della crisi di identità sacerdotale, non tengono conto che l’identità presuppone appartenenza. Non c’è identità – e pertanto gioia di vivere – senza appartenenza attiva e impegnata al popolo fedele di Dio”.

    E questa identità, annota, il sacerdote la trova uscendo da se stesso. “Se non esci da te stesso – è l’avvertimento ai sacerdoti – l’olio diventa rancido e l’unzione non può essere feconda. Uscire da se stessi richiede spogliarsi di sé, comporta povertà”. Francesco si sofferma così sulla fedeltà “all’unica Sposa, la Chiesa”. “Qui – constata – è la chiave della fecondità”, ma non tanto “nel senso che saremmo tutti immacolati, magari con la grazia di Dio lo fossimo”:

    “I figli spirituali che il Signore dà ad ogni sacerdote, quelli che ha battezzato, le famiglie che ha benedetto e aiutato a camminare, i malati che sostiene, i giovani con cui condivide la catechesi e la formazione, i poveri che soccorre… sono questa ‘Sposa’ che egli è felice di trattare come prediletta e unica amata e di esserle sempre nuovamente fedele”.

    E’ la Chiesa viva, con nome e cognome – spiega – di cui il sacerdote si prende cura nella sua parrocchia o nella missione affidatagli”, “quando fa tutto ciò che deve fare e lascia tutto ciò che deve lasciare pur di rimanere in mezzo alle pecore che il Signore gli ha affidato”. E la gioia sacerdotale è una gioia che ha come sorella l’obbedienza alla Chiesa, “obbedienza alla Chiesa nel servizio”:

    “La disponibilità del sacerdote fa della Chiesa la Casa dalle porte aperte, rifugio per i peccatori, focolare per quanti vivono per strada, casa di cura per i malati, campeggio per i giovani, aula di catechesi per i piccoli della prima Comunione… Dove il popolo di Dio ha un desiderio o una necessità, là c’è il sacerdote che sa ascoltare (ob-audire) e sente un mandato amoroso di Cristo che lo manda a soccorrere con misericordia quella necessità o a sostenere quei buoni desideri con carità creativa”.

    “Colui che è chiamato – rassicura il Papa – sappia che esiste in questo mondo una gioia genuina e piena”: quella di essere inviato al Popolo “come dispensatore dei doni e delle consolazioni” di Gesù, l’unico Buon Pastore. Nell’ultima parte dell’omelia, il Papa ha rivolto una preghiera speciale per i sacerdoti giovani:

    “Conserva Signore nei tuoi giovani sacerdoti la gioia della partenza, di fare ogni cosa come nuova, la gioia di consumare la vita per te”.

    Né ha mancato di rivolgere una preghiera affinché risplenda la “gioia dei sacerdoti anziani, sani o malati”.

    “E’ la gioia della Croce, che promana dalla consapevolezza di avere un tesoro incorruttibile in un vaso di creta che si va disfacendo. Sappiano stare bene in qualunque posto, sentendo nella fugacità del tempo il gusto dell’eterno (Guardini). Sentano Signore la gioia di passare la fiaccola, la gioia di veder crescere i figli dei figli e di salutare, sorridendo e con mitezza, le promesse, in quella speranza che non delude”.

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    Messa in Coena Domini, il Papa al Don Gnocchi. Mons. Bazzarri: una carezza ai sofferenti

    ◊   E’ grande l’attesa alla Fondazione Don Carlo Gnocchi per la Messa in Coena Domini che il Papa celebrerà questo pomeriggio nel Centro riabilitativo Santa Maria della Provvidenza, in via Casal del Marmo a Roma. Il tradizionale rito, che apre il Triduo Pasquale, vedrà Francesco lavare i piedi a 12 ospiti della struttura sanitaria in memoria della lavanda fatta da Gesù agli apostoli. Un gesto simbolico di pietà evangelica, come spiega mons. Angelo Bazzarri, presidente della Fondazione Don Gnocchi, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. - È un gesto che il Santo Padre compie sempre nel solco di quella Chiesa convincente che vuole inforcare il grembiule del servizio a partire degli ultimi che poi sono i primi nel Vangelo. E questo regalo è certamente una tenera carezza che il Papa dà al mondo della sofferenza, all’universo abitato dai più fragili e dai più vulnerabili; un gesto che certamente vuole seminare speranza, diventare poi un modello da imitare e porsi come bussola di orientamento in continuità non soltanto con il nostro fondatore, ma anche con tutta l’azione degli oltre 60 anni di vita della Fondazione.

    D. - Voi avevate invitato Papa Francesco. Come è nata questa idea?

    R. - La cosa è stata semplice. Gli ho scritto una lettera; dopo di che ho incontrato il Papa per due minuti in Piazza San Pietro e gli ho rinnovato il mio invito. Mi rispose: “Perché no? Pensiamoci su”. Dopo di che la notizia della sua venuta ha naturalmente suscitato in tutti noi grande ammirazione ed una gioiosa e trepidante attesa. È soprattutto un gesto di grande apprezzamento per tutto il mondo della disabilità.

    D. - Chi incontrerà Papa Francesco?

    R. - Incontrerà tutti i nostri operatori dei due centri di Roma, Santa Maria della Pace e Santa Maria della Provvidenza; a questi si sono unite delle delegazioni di tutti gli altri 27 centri dislocati in Italia sia per quanto riguarda i disabili, i familiari, i volontari, gli operatori e coloro che sono un po’ parte degli amici della “baracca” di Don Gnocchi. Sarà una festa che vuole essere più che ufficiale, un po’ più intima, familiare, così come la circostanza liturgica richiama e come lo stile di Papa Francesco indica.

    D. - Ecco, uno dei gesti a cui ovviamente verrà dato un grande significato è la lavanda dei piedi. Chi sono i 12 ospiti? I disabili - che appunto - saranno protagonisti di questo gesto rituale così importante ….

    R. - I 12 prescelti hanno età differenti, diversi handicap e diverse appartenenze dal punto di vista religioso, perché questo è un gesto universale di un Dio che si fa uomo, che serve tutta l’umanità - l’umano nella sua interezza -; inoltre c’è questa continuità di una misericordia evangelica che vuole abbracciare con il gesto del Papa tutto il mondo della sofferenza ritmato sulla marcia degli ultimi e dei più deboli.

    Tanta è l’emozione di incontrare il Papa per i degenti del Centro di riabilitazione Don Gnocchi prescelti per la lavanda dei piedi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    150 posti letto nella residenza sanitaria assistenziale e nel reparto riabilitativo oltre a a 40 posti di degenza diurna, 20 posti di riabilitazione domiciliare, le attività ambulatoriali ed un Centro di formazione, orientamento e sviluppo. La struttura già nota come “Piccola Casa della Divina Provvidenza” Cottolengo è stata acquisita nel 2003 dalla Fondazione Don Gnocchi. 12 i pazienti disabili che avranno la gioia di incontrare il Papa e partecipare al rito della Messa in Coena Domini. Tre stranieri e 9 italiani. Alcuni con patologie permanenti, altri temporanee con possibili recuperi. Il più giovane, Osvaldinho, originario di Capoverde, ha solo 16 anni, condannato su una sedia a rotelle per un tuffo in mare la scorsa estate. I più anziani Pietro e Angelica 86 anni, che dice: “io, una contadina, avrò questo onore dal Papa!”. Marco, 19 anni, lotta contro una neoplasia cerebrale. Hamed, libico musulmano, Giordana, etiope handicappata grave, Orietta, colpita da encefalite in tenera età, e Samuele, poliomelitico dall’età di 3 anni, vivono con i volontari nel Centro. E poi Gianluca operato più volte per meningiomi, Daria e Stefano con problemi di spasticità e paresi. Storie di dolori fisici e sofferenze psichiche a volte indicibili, di malattie invalidanti a vita, di progetti infranti e sogni spezzati ma anche storie di fede e speranza, solidarietà e carità, di amore e rinascita.

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    Gli auguri del Papa per l'87.mo compleanno di Benedetto XVI

    ◊   In occasione dell’87.mo compleanno di Benedetto XVI, ieri pomeriggio Papa Francesco ha chiamato il Papa emerito al telefono per fargli gli auguri, assicurandogli, informa una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, “di avere pregato per lui in modo particolare” nella celebrazione della Santa Messa di ieri. “Poiché è in corso la Settimana Santa – conclude la nota – Benedetto XVI ha desiderato trascorrere la giornata nell’abituale clima di raccoglimento e preghiera, senza forme particolari di festeggiamento”.


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    Auguri del Rabbino Capo di Roma al Papa in occasione della Pasqua

    ◊   Il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, porge i suoi auguri a Papa Francesco in occasione della Pasqua, ricambiando il messaggio inviatogli recentemente dal Pontefice per la Pesach ebraica. “La frequente coincidenza delle nostre feste in questi giorni – scrive Di Segni - è, nella nostra generazione, un richiamo ai valori comuni e condivisi, in primo luogo la fede nella presenza divina nella storia che promuove la liberazione dell’uomo dall’oppressione e impegna gli uomini a questo compito”. Riferendosi, poi, alla canonizzazione ormai prossima di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, il Rabbino Capo di Roma li definisce “due grandi Papi che hanno cambiato positivamente la storia delle relazioni della Chiesa con l’ebraismo, e questo è per tutti un segno di speranza”. Di Segni ricorda, infine, l’imminente visita di Papa Francesco in Terra Santa: “la nostra preghiera – scrive - è che possa contribuire significativamente ad una pace politica e religiosa”.

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    Nomine episcopali in Portogallo e Venezuela

    ◊   In Portogallo, il Papa ha nominato ausiliare del Patriarcato di Lisboa il Reverendo José Augusto Traquina Maria, del clero di Lisboa, finora Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora do Amparo”, in Benfica, assegnandogli la sede titolare vescovile di Lugura. Mons. Traquina Maria è nato il 21 gennaio 1954 ad Alcobaça, nel Patriarcato di Lisboa. Dopo aver concluso la scuola elementare e secondaria, ha svolto un’attività commerciale, adempiendo anche all’obbligo del servizio militare. Ha poi frequentato il Seminario di S. Paolo (Almada), attualmente della diocesi di Setúbal, ma all’epoca appartenente a Lisboa; il Seminario Maggiore di Cristo Re (Olivais) del Patriarcato di Lisboa e, simultaneamente, la Facoltà teologica dell’Università Cattolica Portoghese, dove ha conseguito la Licenza in Teologia (1985). È stato ordinato sacerdote il 30 giugno 1985 per il Patriarcato di Lisboa, dove ha ricoperto i seguenti incarichi: Membro dell’Equipe di Formazione del Seminario Maggiore di Almada (1984-1992); Assistente religioso degli scouts ad Alcobaça e del gruppo Ovest del Corpo Nazionale di Scoutismo; Parroco della Chiesa del Santissimo Salvatore a Bombarral e del Sacratissimo Cuore di Gesù a Vale Côvo (1992-2007); Canonico della Cattedrale di Lisboa (2003); Vicario foraneo del Decanato di Lisboa III (dal 2011); Coordinatore del Segretariato Permanente del Consiglio Presbiterale Diocesano (dal 2011); Direttore Spirituale del Seminario Maggiore di Cristo Re (Olivais) del Patriarcato di Lisboa (dal 2012). Attualmente esercita il proprio ministero come Parroco della Chiesa “Nossa Senhora do Amparo”, in Benfica, Patriarcato di Lisboa.

    Sempre in Portogallo, Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Braga il sacerdote Francisco José Villas-Boas Senra de Faria Coelho, del clero dell’arcidiocesi di Évora, finora Parroco delle Parrocchie Nossa Senhora de Fátima, Nossa Senhora da Consolação e São Marcos, ad Évora, assegnandogli la sede titolare di Plestia”. Mons. Coelho è nato il 12 marzo 1961, in Mozambico, da una famiglia portoghese. Tornato in Portogallo dopo l’indipendenza delle colonie, ha frequentato il Seminario Minore e il Corso di Filosofia nell’arcidiocesi di Braga. Nel 1980 è passato al Seminario Maggiore di Évora, dove ha concluso gli studi teologici ed è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1986. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha avuto modo di perfezionare la propria formazione, conseguendo in Roma il Baccalaureato in Filosofia presso il Pontifico Ateneo Antoniano; il Baccalaureato in Teologia, presso la Pontificia Università Salesiana e la Licenza in Storia Ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana (1988-1991). Nel 2008, ha ottenuto il Dottorato in Storia presso la Phöenix International University, negli Stati Uniti. Nel corso del ministero sacerdotale, è stato Docente presso l’Istituto Superiore di Teologia di Évora; Canonico della Cattedrale; Direttore Spirituale dei Corsi di Cristianità e del Movimento del Messaggio di Fátima; Assistente Religioso e Collaboratore della Radio “Renascença”. Attualmente è Parroco delle Parrocchie “Nossa Senhora de Fátima”, “São Marcos” e “Nossa Senhora da Consolação”, nell’arcidiocesi di Évora e Membro del Consiglio Presbiterale. Autore di diversi libri, tiene una rubrica sul Settimanale dell’arcidiocesi di Évora.

    Il Pontefice ha nominato ausiliare dell'arcidiocesi di Caracas il sacerdote José Trinidad Fernández Angulo, del clero dell'arcidiocesi di Mérida e Rettore del Seminario maggiore "Santa Rosa de Lima" a Caracas. Mons. Fernández Angulo è nato il 24 maggio 1964 nella città di Mérida, omonima diocesi, ed ivi è stato ordinato presbitero il 30 luglio 1989. Dopo aver compiuto gli studi al Seminario Minore dell'arcidiocesi di Mérida è poi passato al Seminario Maggiore per il triennio filosofico. Per gli studi teologici è stato trasferito all'Istituto Universitario Ecclesiastico "Santo Tomás de Aquino" nella diocesi di San Cristóbal. Più tardi ottenne la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Nell'arcidiocesi di Mérida è stato Professore nel Seminario Minore, Assessore arcidiocesano per la pastorale giovanile e vocazionale, Direttore degli Studi del Seminario Maggiore e Vicerettore dello stesso. Nell'arcidiocesi di Caracas ha svolto i seguenti incarichi: Vicerettore del Seminario "San José", Vicerettore per la Filosofia del Seminario Maggiore "Santa Rosa de Lima", Direttore per la ricerca dell'Università "Santa Rosa de Lima", Formatore e poi Vicerettore del Seminario Maggiore "Santa Rosa de Lima", e, dal 2009, è rettore del medesimo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Unti con l’olio della gioia: Papa Francesco durante la messa crismale fa memoria dell’istituzione del sacerdozio.

    La pace è la vera emergenza: intervista di Nicola Gori al cardinale Leonardo Sandri sulla colletta per la Terra santa.

    Come un punto esclamativo tracciato nel cielo: Giuliano Zanchi su Carlo Ceresa e la “Crocifissione” di Mapello.

    Gesù non era un agitatore politico: l’intervista di Christian Makarian - pubblicata dal settimanale “L’Express” - al teologo domenicano Olivier-Thomas Venard, vicedirettore della Ecole Biblique et Archéologique Francaise di Gerusalemme.

    Un articolo di Sandra Isetta dal titolo “Galleria della compassione”: attorno alla “Pietà” di Giovanni Bellini la Pinacoteca di Brera ha allestito un coinvolgente itinerario artistico.

    Eusebio Ciccotti su D’Annunzio apprendista sceneggiatore: cent’anni fa uscivail film “Cabiria”.

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    Oggi in Primo Piano



    A Ginevra vertice sull'Ucraina. Putin in tv: "Spero di non dover usare la forza"

    ◊   Nel giorno dell’apertura a Ginevra del vertice tra Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Ucraina sulla crisi a Kiev, il presidente russo Putin chiarisce in tv la sua posizione. Parole di fuoco rivolge al governo ucraino, allo stesso tempo rilancia il dialogo come unica via di uscita. Il servizio di Benedetta Capelli:

    La soluzione della crisi ucraina si gioca su più tavoli. A Ginevra ha preso il via il vertice a 4 tra Usa, Unione Europea, Russia e la stessa Ucraina. Una riunione che si è aperta in un clima di tensione dopo gli scontri tra forze di polizia ucraine e filorussi scoppiati a Mariupol, nella regione orientale di Donetsk. Tre le vittime e 13 i feriti. Intanto, i governi dell’Ue dicono di essere pronti a sanzioni immediate contro Mosca, nel mirino le imprese energetiche russe. Su questo punto il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, ha messo in guardia dal rischio di una cessazione dei flussi di gas russo all’Ucraina.

    Da parte sua, Putin ha rimarcato che l’Europa non può farne a meno. Il presidente russo oggi in tv ha denunciato il “grave crimine” dell'uso della forza contro i manifestanti russofoni nell'est e ha avvertito che le nuove autorità di Kiev stanno spingendo il Paese “verso l'abisso”. Ha poi lasciato aperta la porta al dialogo dicendosi fiducioso che si troverà “una soluzione di compromesso”. Il capo del Cremlino ha auspicato di non dover mandare le truppe in Ucraina - pur avendone il “diritto”, dopo il via libera ottenuto dal Senato a marzo – ma farà il possibile per aiutare la popolazione russofona a difendere i propri diritti.

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    Centrafrica. Liberi vescovo e sacerdoti fermati ieri. La testimonianza di mons. Nzapalainga

    ◊   Sono stati rilasciati il vescovo di Bossangoa e i tre sacerdoti che erano con lui, fermati ieri in Centrafrica da un gruppo di miliziani del Seleka. Lo ha confermato alla Radio Vaticana l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga. Secondo quanto riferito, mons. Nestor Désiré Nongo Aziagbia e i tre sacerdoti si trovavano al momento del fermo nelle vicinanze della città di Batangafo, al confine con il Ciad Al microfono di Hélène Destombes, la testimonianza di mons. Nzapalainga:

    R. – Monseigneur a été libéré, je l’ai eu au téléphone…
    Mons. Nongo Aziagbia è stato liberato, ieri l’ho sentito per telefono. Ci sono state trattative ieri, e oggi per tutta la mattinata.

    D. – Come è avvenuta la liberazione?

    R. – Il y a eu plusieurs interventions depuis Bangui et aussi au local là-bas…
    Ci sono stati diversi interventi da Bangui e anche sul posto per riuscire a spiegare che il vescovo si trovava in quel luogo per una celebrazione e non per altri motivi, che è un pastore e che non è coinvolto in manovre politiche come si vorrebbe far credere. Il vescovo ci ha detto soltanto che, arrivato ad un check-point, è stato fermato per i consueti controlli e gli è stato chiesto di recarsi alla base, cosa che lui ha fatto. Andando alla loro base, il capo ha chiesto di andare a Kabo; durante il tragitto hanno parlato molto e gli hanno fatto molte domande in merito alle sue dichiarazioni e alla città di Bossangoa, sulla fuga degli abitanti musulmani… Credo abbiano capito che mons. Nongo Aziagbia non avesse responsabilità in questo e per questo è stato liberato.

    D. – Si è trattato di un arresto o di un rapimento?

    R. – Pour l’instant, on peut dire “arrestation”. Les gens qui sont là…
    A tutt’ora, si può dire che si sia trattato di un “arresto”. Le persone che si trovavano, erano forze conosciute? Non si sa chi fosse il gruppo che l’ha arrestato, che l’ha condotto alla “base”: non erano gendarmi, né poliziotti. Invece alla base c’erano uomini del Seleka, che si trovano in quella zona.

    D. – Con il ritiro delle forze ciadiane, il clima di insicurezza è aumentato e la situazione è sempre più instabile…

    R. – Avec le départ des Misca Tchadiens, il y a les Séléka qui sont revenus…
    Con il ritiro dei Misca ciadiani sono tornati i Seleka. In questo momento, ci sono piccoli reparti della Misca a Kabo, a Batangafo. Ma i Seleka rimangono in maggioranza anche in queste città.

    D. – Qualche giorno fa, insieme col vescovo di Bossangoa lei aveva scritto una lettera nella quale protestavate contro le azioni della Misca…

    R. – Oui…
    Sì…

    D. – …ci può essere un nesso con quanto accaduto a mons. Nongo Aziagbia?

    R. – …Je laisse que les autres répondent. Mais nous, on écrit et on dit…
    Lascio la risposta agli altri. Ma noi abbiamo scritto e parlato a nostro rischio e pericolo. E l’abbiamo fatto essenzialmente per il popolo, non per noi. Noi siamo lì per proteggere le nostre pecore. In quanto cristiani, quando parliamo della Passione sappiamo che non parliamo di un’utopia, di un’illusione, ma di una situazione reale. Cristo ha sperimentato sulla sua carne la sofferenza e noi pensiamo che ogni volta che ci impegniamo nella sequela di Cristo, la nostra vita è a rischio. Ma come Cristo ha donato la sua vita, anche noi siamo pronti al dono totale. E siccome viviamo qui, qui viviamo la Passione con il popolo di Dio che pure vive qui. Ma è soltanto entrando in comunione con Cristo che potremo trovare la forza per attraversare questa prova che sta vivendo il popolo, e noi con esso.

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    Cina: 30 mila lavoratori incrociano le braccia a Dongguan per l’aumento del salario

    ◊   La “crescita economica è stabile, ma ci sono rischi al ribasso” è il commento del governo Cinese sul prodotto interno lordo del primo trimestre cresciuto del 7,4%, ma in frenata rispetto all'ultimo trimestre del 2013. Intanto, continuano gli scioperi dei lavoratori della Yue Yuen Industrial, a Dongguan, nel sud del Paese, che fornisce prodotti a diversi marchi stranieri. Qui circa 30 mila persone hanno incrociato le braccia per il miglioramento delle condizioni economiche. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Francesco Sisci corrispondente a Pechino de "Il Sole 24 Ore”:

    R. – L’origine degli scioperi è per una richiesta di aumenti salariali. I numeri non sono importanti. Dobbiamo sempre pensare che ci troviamo in un Paese di un miliardo e mezzo di persone, dove trentamila operai che scioperano equivalgono, quindi, rispetto all’Italia, a 500 o 600. Quello che è importante però è il segnale che il governo vuole dare rispetto a questi scioperi. Nel dare la notizia, attraverso i suoi mezzi di stampa, il governo vuole dire “Imprese, dovete aumentare i salari”, cominciando dalle imprese straniere, per poi passare alle altre.

    D. – Ma si vogliono così colpire le imprese straniere o realmente c’è un processo di cambiamento?

    R. – E’ un processo di cambiamento reale. Del resto, ondate di scioperi, manovre di questo genere, in qualche modo assecondate dal governo se non proprio pilotate, già ne abbiamo viste qualche anno fa e hanno portato ad aumenti salariali significativi. Mi sembra che anche oggi stiamo assistendo ad un processo analogo.

    D. – Perché sfruttare lo strumento dello sciopero e non intervenire in maniera diversa, quindi favorendo con provvedimenti legislativi questo tipo di aumenti?

    R. – Io non credo ci sia una regia occulta sullo sciopero. Io penso piuttosto che ci sia stata un’iniziativa, che inizialmente era spontanea, ma che poi è stata assecondata. E adesso il governo sta cercando di seguire questa iniziativa degli stati sociali e operai per vedere fino a dove aumentare i salari, quanto, e quali siano le richieste. Anche perché i salari in Cina non sono uguali a livello nazionale: cambiano secondo le città e le zone.

    D. – L’opinione pubblica dibatte su questo tema? E’ interessata oppure no?

    R. – Non è una priorità assoluta per la gente comune, anche perché non è più una novità.

    D. – Quando si guarda al mondo cinese, parlando di lavoro, spesso emergono gravi violazioni di diritti dei lavoratori, in termini di sicurezza o salari minimi. Questa è ancora una realtà o si sta cambiando?

    R. – In realtà, è già cambiata moltissimo. Quattro o cinque anni fa mi sembra ci sia stato un cambiamento radicale. Ormai gli operai cinesi ricevono in tasca, non è il costo sociale, ma ricevono salari che si aggirano sui seicento, settecento euro o anche di più al mese. Certamente non sono salari occidentali, ma ormai sono molto vicini. Tanto più vicini, perché la produttività media dell’operaio cinese è molto più bassa dell’operaio italiano, per esempio. Adesso alcuni investitori cinesi portano le produzioni in Paesi terzi – Africa, Vietnam, Bangladesh e così via – e ci sono dei fenomeni di aziende cinesi, che hanno comprato aziende tedesche e che hanno lasciato lì in Germania tutta la produzione, perché ormai il costo del lavoro, in Germania, è più basso che in Cina.

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    Caritas italiana: bene le nuove regole di ingaggio per le operazioni di Frontex

    ◊   Vanno nella direzione giusta le nuove regole di ingaggio adottate dalle operazioni dell’agenzia Frontex, rese necessarie soprattutto dalla tragedia di Lampedusa dell’ottobre scorso. Ne è convinta Caritas italiana all’indomani dell’approvazione dell’Europarlamento delle nuove norme che dovrebbero entrare in vigore prima dell’estate. Il regolamento prevede nome obbligatorie per ricerca e salvataggio, l’identificazione dei migranti intercettati, la salvaguardia del principio di non respingimento e quello di non punibilità dei soccorritori. Francesca Sabatinelli ha intervistato Oliviero Forti, responsabile Ufficio immigrazione della Caritas italiana:

    R. – Sicuramente, c’era bisogno. Si stava lavorando e si sta lavorando a livello europeo affinché "Frontex" operi nel Mediterraneo, area che interessa in particolare anche l’Italia, secondo quelli che sono degli standard internazionali, che erano già per certi versi definiti e che però, in molti casi, sembravano non trovare riscontro da parte delle polizie coinvolte in Frontex. Questo vale soprattutto per quanto riguarda i respingimenti, questione che, come sappiamo, aveva particolarmente coinvolto l’Italia che è stata poi condannata. E’ evidente, quindi, che tutto questo nasce dalla necessità di ribadire il fatto che nei confronti delle persone che vengono trovate in mare non si può operare alcuna forma di respingimento verso Paesi, dove troverebbero situazioni di poca sicurezza per loro stessi e per le loro famiglie.

    D. – Il nuovo regolamento ribadisce anche altri principi, tra questi il "no" alla punizione dei soccorritori. Un punto che ha interessato nei mesi scorsi l’Italia…

    R. – Prevale sempre e comunque il diritto del mare, quindi una persona in difficoltà – anche se in condizione giuridica incerta, come spesso in questi casi – deve essere comunque destinataria di qualsiasi forma di soccorso che possa sottrarla dal pericolo di rimetterci la propria vita. E’ questo tutto un pacchetto di norme, di principi che, devo dire, in qualche modo va nel senso auspicato ed è una modalità per far sì che una agenzia – che ha molti lati evidentemente non così graditi da chi opera in questo settore proprio per le sue modalità che non sempre sono state chiarite – inizi a rientrare in un solco che era quello che tutti chiedevamo e che naturalmente avrà bisogno ancora di essere tracciato più a fondo. Evidentemente, però, la strada intrapresa è quella giusta.

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    Rapporto Sipri: nel mondo si spendono in armi 330 mila dollari al minuto

    ◊   Secondo il Rapporto annuale dello "Stockholm International Peace Research Institute" (Sipri), nel 2013 le spese militari nel mondo sono state pari a 1.747 miliardi di dollari, circa l’1,9% in meno rispetto al 2012. Alessia Carlozzo ha chiesto a Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo, un commento ai dati del Sipri:

    R. - E’ un dato che in realtà non sorprende, perché da parte degli Stati Uniti in primis, ma anche da parte dei Paesi dell’Europa negli ultimi anni, in seguito alla crisi c’è stata una ristrutturazione, una riduzione delle spese militari. Però, purtroppo, questo non è un dato che può consolarci particolarmente perché, se andiamo a vedere, rispetto a questi Paesi che citavo ce ne sono altri invece che stanno incrementando le loro spese militari e anche in modo significativo. Diciamo che nel resto del mondo sono andate crescendo dell’1,8%: la Cina in particolare ha aumentato del 7,4%, la Russia del 4,7%, l’Arabia Saudita addirittura del 14%. In Africa abbiamo avuto un incremento dell’8,3%. Il quadro, per certi versi, non può che preoccuparci.

    D. - Il Rapporto, quindi, dimostra come il resto del mondo compri armi più di prima. E’ necessario un ripensamento delle relazioni internazionali per bloccare la tendenza al riarmo globale?

    R. - Sicuramente. Per far sì che le spese militari non siano finalizzate a garantire una sicurezza internazionale, che poi tale non è, certamente servirebbe invece un potenziamento del ruolo delle Nazioni Unite, un potenziamento dei rapporti internazionali tra i Paesi. L’attuale situazione in Ucraina, ad esempio, sicuramente è frutto di un dialogo inadeguato tra, da un lato, Unione Europa e Stati Uniti e, dall’altro, Russia. L’Ucraina notoriamente era un Paese di confine e il posizionamento in una o nell’altra area non può che suscitare tensione ulteriore in un momento in cui i rapporti tra Est e Ovest erano già abbastanza tesi. Nell’ambito delle relazioni internazionali, occorre fare dei passi coraggiosi per creare misure di fiducia, mostrare fiducia. Anche atti unilaterali di disarmo. Ci sarebbe bisogno di cercare di migliorare i rapporti internazionali non con la minaccia delle armi, ma con azioni di tutt’altro genere. Altrimenti ci troviamo con situazioni quali quelle attuali, in cui oggi noi abbiamo una spesa di circa 4,8 miliardi di dollari al giorno, cioè 200 milioni di dollari l’ora e circa 330 mila dollari al minuti… Per cui questa intervista che durerà 5-6 minuti, ci costerà - grosso modo - parallelamente un milione e 500 mila dollari. Quindi, capiamo che è un sistema che va tutto ripensato a livello globale e non abbiamo altra alternativa. Perché altrimenti qual è l’ipotesi? L’ipotesi è quella di una terza guerra mondiale che - come sappiamo - non può essere vinta da nessuno, perché le armi nucleari sono un gioco a somma zero, purtroppo.

    D. - Dal Rapporto emerge un legame tra crescita economica e aumento della spesa militare: una tendenza che risulta preoccupante nei Paesi a più basso livello di sviluppo, come ad esempio nell’Africa subsahariana. Crede sia necessario, in tal senso, rivedere le condizioni legate agli aiuti che questi ricevono dal Fondo monetario internazionale o dalla Banca mondiale, sottolineando la necessità di ridurre le spese militari?

    R. - Sì. Alcuni Paesi dell’Africa hanno aumentato enormemente le loro spese militari. Addirittura nell’ultimo anno, il Ghana le ha aumentate del 129%, l’Angola del 36%, cifra analoga per la Repubblica Democratica del Congo… L’intera Africa le ha aumentate dell’8,3%. Quindi, sono elementi che non fanno che preoccupare in una situazione difficile qual è quella del continente africano. Certamente, bisognerebbe spingere affinché questi Paesi investano soprattutto sulla sicurezza economica, sulla sicurezza sociale, sullo sviluppo complessivo. L’aumento degli armamenti, purtroppo, non può che destabilizzare a lungo andare il territorio, perché inevitabilmente un Paese che si arma comporta un’analoga reazione da parte dei Paesi vicini.

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    Roma, confermato lo scambio di embrioni. Tarzia: riaprire dibattito su fecondazione artificiale

    ◊   I test hanno confermato lo scambio di embrioni verificatosi all'Ospedale "Pertini" di Roma, in seguito ad una fecondazione assistita, e hanno permesso di individuare la coppia dei genitori biologici. La donna che aveva denunciato lo scambio di embrioni sta quindi portando avanti una gravidanza con due gemelli biologicamente non suoi. La vicenda riapre il dibattito sulla questione, anche alla luce della recente sentenza della Consulta che fa cadere il divieto della fecondazione eterologa. Ma si tratta di un caso isolato? Valerio Palombaro lo ha chiesto a Olimpia Tarzia, tra i fondatori del Movimento per la Vita italiano e presidente del Movimento PER (Politica Etica e Responsabilità):

    R. – Da quanto si può apprendere adesso, direi proprio di no, nel senso che si era partiti con due coppie e già stamattina si parlava di almeno sei, ma potrebbero essere anche di più. Oltretutto quello che è accaduto al Pertini, nessuno può escludere che possa essere accaduto anche, ovviamente, in altri centri in tutta Italia. Io penso che questo caso di per sé, ovviamente drammatico per i soggetti coinvolti, – sia per i bambini che per i genitori – riapra comunque uno scenario che è insito nelle tecniche di fecondazione artificiale.

    D. – Cosa fa emergere questo caso?

    R. – Diciamo che è un caso che fa emergere la drammaticità e l’assurdità della manipolazione dell’uomo. Oggi si è arrivati veramente al prevalere totale della tecnica sull’etica. Tutte le ultime sentenze, oltretutto, hanno demolito quei minimi paletti che erano stati posti nella legge 40: il divieto di impiantare più di 3 embrioni, il divieto di congelamento; il divieto di diagnosi pre-impianto e di fecondazione eterologa. Questa è stata l’ultima demolizione dei paletti della legge, che ormai è stata svuotata. Siamo veramente ritornati al far west.

    D. – Cosa la colpisce del dibattito di questi giorni?

    R. – Quello che mi colpisce, nel dibattito generale è che a tutti i fautori della fecondazione artificiale – cui è legata fondamentalmente la mancanza di rispetto per la vita, perché si parlava fino a questi giorni degli embrioni come, appunto, ovulo fecondato, materiale genetico - oggi, che è emerso questo dramma di coppie, di genitori, sento usare, nel loro linguaggio, i termini giusti. Quindi, si parla di figli, di diritto dei minori, di una madre che porta dentro di sé per nove mesi un figlio. Ecco, è emersa la contraddizione profonda di chi voleva far passare i figli, le vite umane nella gestazione della gravidanza come delle cose. Questo, se vogliamo, è un lato positivo, che ha fatto esplodere la contraddizione. Certo, resta un dramma rispetto a quello che stanno vivendo queste coppie, e sicuramente non solo loro in tutta Italia.

    D. – Qual è la situazione ora, anche da un punto di vista giuridico?

    R. – Ci ritroviamo in quell’intrigo, in quella confusione ... E quando noi avevamo posto il “no” all’eterologa, era proprio motivato da questo. Questi bambini che nascono, secondo la legge italiana sono figli della madre che li partorisce, ma geneticamente sono figli di un’altra coppia. Si apre veramente un caos assoluto, sulla pelle – tra l’altro – dei bambini, dei più piccoli. Il dramma è che, come sempre, quando l’uomo si fa padrone della vita dell’uomo, si compiono poi le cose più assurde.

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    Pompei: aperte al pubblico tre Domus appena restaurate

    ◊   Nel sito archeologico di Pompei sono state aperte al pubblico tre case appena restaurate. Si tratta delle Domus di Marco Lucrezio Frontone, di Romolo e Remo e di Trittolemo. All’inaugurazione è intervenuto il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La dimora del politico Marco Lucrezio Frontone, considerata una delle case più belle di Pompei, e le altre due Domus con pitture di eccelsa qualità arricchiscono lo straordinario itinerario storico della necropoli. Visitando il sito archeologico, il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha affermato che la gestione del patrimonio culturale deve prevedere anche nuove sinergie tra risorse pubbliche e fondi privati. Il presidente di “Italia Nostra”, Marco Parini:

    “Il contributo dei privati al processo di valorizzazione dei nostri beni culturali è senz’altro un fatto positivo. Noi non possiamo immaginare altri che lo Stato nel compito della tutela, ma nel conto della valorizzazione l’apporto dei privati, talvolta, può risultare utile ed opportuno. Significa anche coinvolgimento emotivo, convincimento in questi talenti che sono stati dati al nostro Paese dalla nostra Storia, dalla nostra identità”.

    Il contributo dei privati nella gestione dei beni culturali – ha aggiunto il ministro Franceschini – può rivelarsi anche una opportuna risposta alla crisi finanziaria:

    “Anche se in un programma di governo bisognerebbe tener conto delle peculiarità di un Paese e le sue reali potenzialità. I beni culturali, il paesaggio, il conseguente turismo, il sostegno alla cultura dovrebbero essere poste al centro della nostra azione di governo, perché sono quelle che portano risorse, che portano un indotto che significa economia, posti di lavoro”.

    Dopo recenti episodi di crolli, il sito archeologico di Pompei oggi, con l’apertura di tre Domus al pubblico, lancia nuovi, incoraggianti segnali. Ancora Marco Parini:

    “Credo sia un passo importante e spero anche in un’azione decisa della Soprintendenza speciale per Pompei. Perché Pompei rappresenta sicuramente un capitolo fondamentale dell’immagine del nostro Paese anche all’estero. Voglio solo ricordare che la grande mostra dedicata a Pompei, a Londra, ha registrato un successo incredibile a livello mondiale. Quindi, evidentemente il bene – la sua storia, la sua identità – è un patrimonio di tutti, ma è conosciuto anche da tutti”.

    Su Pompei – ha detto infine il ministro Franceschini – “sono puntati gli occhi di tutto il mondo”. E’ una situazione difficile e ci sono tanti anni di ritardo, ma il mondo – ha concluso – guarda a Pompei “come patrimonio di tutta l'umanità”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Terra Santa. Il patriarca Twal: "Asciugare le lacrime il messaggio del Giovedì Santo"

    ◊   “Di fronte a un numero crescente di nostri fratelli rifugiati arrivati nel Paese, di fronte a tante guerre e violenze, di fronte a persone che soffrono la fame o che si ritrovano senza più casa, dobbiamo tendere la mano, asciugare tante lacrime e consolare tanti cuori spezzati”. Questo è, per il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, “il messaggio del Giovedì Santo”. Celebrando questa mattina la Messa in Coena Domini presso la basilica del Santo Sepolcro, il patriarca ha ricordato il significato della lavanda dei piedi e ha invitato i fedeli a lasciarsi “riconciliare da Dio, per gustare più intensamente la gioia del perdono”.

    “Seguendo i consigli e l’esempio del nostro Papa Francesco - ha detto Twal - non temiamo di accostarci al sacramento della Penitenza. Il perdono, che ci viene donato da Cristo, è fonte di serenità interiore ed esteriore e ci rende artigiani di pace in un mondo dove purtroppo regnano ancora le divisioni, le sofferenze e i drammi dell’ingiustizia, dell’odio e della violenza”.

    “Dio - ha concluso il patriarca - ha bisogno di persone umili e generose per nutrire, per sfamare il suo popolo, ma anche per soffrire con Cristo e con gli uomini. Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, di rendere grazie per essere stati scelti per questa missione e di vivere e di lavorare in questa Terra”. (R.P.)

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    Patriarchi e leader cristiani di Terra Santa: la Pasqua porti pace nella regione

    ◊   La resurrezione di Cristo "ci rassicura e conferma che una trasformazione attraverso la grazia di Dio è sempre possibile, persino nelle situazioni umane che sembrano meno gestibili. Qui siamo consci della violenza in corso in luoghi come la Siria e il Libano, così come del dramma delle innumerevoli migliaia di rifugiati che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Ma la Pasqua porta speranza di pace!". Lo scrivono i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di Terra Santa nel tradizionale messaggio pasquale.

    Nel testo ripreso dall'agenzia AsiaNews, i leader cristiani di tutte le denominazioni ringraziano le Chiese e le organizzazioni ecclesiastiche che forniscono sostegno alle popolazioni colpite dai conflitti - un sostegno "davvero molto apprezzato" - ma soprattutto invitano i governanti della regione a sfruttare la Pasqua come momento di vera pace: "Ci appelliamo a tutti: cristiani, fedeli di altre religioni, uomini di buona volontà. Pregate con onestà affinché il processi di pace in corso in Terra Santa possa avere un risultato positivo e che questo possa poi raggiungere tutto il mondo".

    Nonostante le acute difficoltà della situazione attuale, scrivono ancora i capi delle Chiese, "invitiamo con urgenza tutte le parti coinvolte a sfruttare questa opportunità storica. Una pace che non cerca di abolire la discriminazione fra le diverse comunità non è una vera pace. Per essere reale, la pace deve abbracciare la giustizia e il desiderio di riconciliazione. Riconciliazione fra Dio e l'umanità e riconciliazione fra le persone che si contrastano l'un l'altra. Questa riconciliazione fiorisce sulla Croce e viene difesa dalla Resurrezione. Possa questo periodo pasquale portare gioia e pace a tutti i popoli. Cristo è risorto! Alleluia!". (R.P.)

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    La Pasqua dei cristiani di Terra Santa che non possono oltrepassare il muro

    ◊   «A volte credo sia più semplice andare in America che a Gerusalemme. Eppure è lontana soltanto sei miglia da casa nostra». Così Marcelline, una giovane di Betlemme, descrive ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) le difficoltà di molti cristiani palestinesi che non possono recarsi nei luoghi sacri perché non hanno ottenuto dal governo israeliano l’autorizzazione necessaria a oltrepassare il muro. «Non dovrebbe servire un permesso per visitare i luoghi cari alla nostra fede», prosegue la ragazza che nella domenica delle Palme ha partecipato assieme alla sua famiglia alla processione commemorativa dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme.

    È un’iniziativa a cui ogni anno prendono parte migliaia di cristiani da tutto il mondo. La scorsa domenica delle Palme però l’attenzione dei fedeli era tutta per la futura visita di Papa Francesco: un’occasione molto attesa dai cristiani di Terra Santa, che auspicano un intervento del Pontefice per risolvere i loro problemi. «Papa Francesco, la Palestina vuole giustizia!», recitavano alcuni striscioni branditi dai fedeli durante la processione che da Bètfage, luogo da cui Gesù partì in groppa all’asina per raggiungere Gerusalemme, conduce alla Chiesa di Sant’Anna ubicata nella cuore della città sacra.

    «Aspettiamo con ansia la venuta di Francesco – confida ad Acs Susanne, giunta da Betlemme con figli e nipoti al seguito – Il Papa visiterà i cristiani di Palestina e racconterà al mondo il dramma di noi fedeli costretti a vivere aldilà dei muri e del filo spinato».

    Rifat Kassis, rappresentante dell’organizzazione interconfessionale cristiana Kairos Palestine, riferisce ad Acs che con la costruzione nel 2002 della barriera di separazione israeliana è divenuto molto difficile per i palestinesi dei territori occupati entrare in Israele. Inoltre un numero crescente di cristiani lamenta disparità e irregolarità nel rilascio dei permessi da parte del governo di Israele. «Il sistema di assegnazione delle autorizzazioni sembra non rispondere ad alcuna logica – aggiunge Yusef Daher, del Centro interecclesiale di Gerusalemme – Perfino all’interno di una stessa famiglia è garantito l’accesso soltanto ad alcuni membri».

    Lo scorso 14 aprile un portavoce del governo israeliano ha respinto le accuse, riferendo ad Acs che dei 16mila permessi richiesti dai cristiani palestinesi in occasione della Settimana Santa, ne sono stati accordati oltre 14mila. «Continuiamo a valutare le altre domande – continua il funzionario – Dopotutto manca ancora qualche giorno alla Pasqua cristiana».

    Il vescovo ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, monsignor William Shomali, non concorda tuttavia con le stime fornite. «Sono stati concessi circa 10mila permessi – dichiara ad Acs – un numero nettamente inferiore alle richieste». (R.P.)

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    Siria: messaggio di Pasqua del patriarca Gregorio III

    ◊   Un forum siriano di intellettuali e pensatori cristiani, che riunisca credenti e persone impegnate nella società siriana: è quanto si propone di realizzare Gregorios III, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, per fronteggiare la diffusione delle idee estremiste, da parte dei fondamentalisti islamici, che seminano “rancore, odio, durezza di cuore, violenza, ingiustizia e rifiuto dell’altro”.

    Fondamentalismo che è “più pericoloso, per la Siria, delle ferite sanguinanti del suo popolo”. Nel suo messaggio di Pasqua, il patriarca spiega i compiti del Forum: “formulare i principi, i metodi e programmi fondati sui valori nazionali e sul Vangelo. Questi verranno trascritti su una Carta che sarà guida per la condotta di ogni cristiano, in ogni ambito della nostra società, così da combattere le tendenze distruttrici delle idee estremiste”.

    Tra i punti cardine del Forum il dialogo con i musulmani per costruire “una società migliore” e per sviluppare una visione cristiana della crisi in corso che dovrebbe contribuire a garantire il futuro dei cristiani in Siria e in altri Paesi arabi”. In merito alla guerra in corso Gregorios III ribadisce la sua posizione: “solo i siriani, e nessun altro, possono far tornare la pace, la sicurezza e la stabilità nel loro Paese”, per questo motivo, scrive, “il prosieguo di Ginevra 2, o un Ginevra 3, deve tenersi in Siria”. Non manca un accorato appello finale alla comunità internazionale, Usa, Russia e Ue in testa, al presidente Assad, ai Nobel per la pace, ai Paesi arabi, fino ai mercanti di armi “a fare ogni sforzo possibile per la pace in Siria la cui tragedia ha superato ogni limite. La morte oggi regna nel Paese”.

    “Abbiate pietà della Siria - continua l’appello - i complotti e i progetti di alcuni Paesi arabi ed europei non sono riusciti, le sanzioni economiche non hanno avuto esito, le vostre profezie sulla caduta del Paese e del Presidente non si sono realizzate. Davanti a tutto ciò è forse il tempo che ci si convinca che la soluzione politica sia la migliore e che siano i siriani a decidere”. (R.P.)

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    Il parlamento europeo ricorda padre Frans Van der Lugt ucciso in Siria

    ◊   Il Parlamento europeo “condanna con la massima fermezza" l’uccisione di un sacerdote cattolico olandese, “da considerarsi un atto di violenza disumana nei confronti di un uomo che è stato al fianco del popolo siriano in un momento segnato da assedi e difficoltà crescenti”; “rende omaggio al suo operato, che andava oltre la città assediata di Homs” per la sopravvivenza del popolo in una fase di violenze che hanno finora causato 150mila vittime e oltre 6 milioni di rifugiati. L’Europarlamento, riunito in Plenaria - riferisce l'agenzia Sir - ha approvato una risoluzione sulla Siria, e in particolare sulla “situazione di determinate comunità vulnerabili”, insistendo sui soprusi e le violenze che colpiscono le minoranze cristiane, curde, armene, druse, turkmene che sono una componente storica del Paese.

    Si tratta di piccole comunità, spiega il documento, che hanno “cercato di evitare di schierarsi nel conflitto”, temendo sia il regime dittatoriale e repressivo di Assad sia un eventuale “rovesciamento del governo” con il rischio di essere “prese di mira dai ribelli jihadisti sunniti, che caldeggiano la creazione di uno Stato islamico”. La risoluzione ricorda in particolare che “il 7 aprile 2014 padre Van der Lugt, gesuita neerlandese residente in Siria da vari decenni e noto per aver rifiutato di lasciare la città assediata di Homs, è stato picchiato e ucciso a colpi d’arma da fuoco da uomini armati”.

    “Nel monastero in cui è stato ucciso padre Van der Lugt - prosegue il testo dell’Europarlamento - vi sono tuttora altri cristiani” e civili in pericolo di vita. Tra i numerosi problemi sollevati, si rileva che “da luglio 2013 non si hanno notizie di padre Paolo Dall’Oglio”, mentre “nell’aprile 2013 i vescovi Boulos Yazigi della Chiesa greco-ortodossa e John Ibrahim della Chiesa siro-ortodossa sono stati prelevati dalla loro automobile e rapiti da uomini armati nei pressi della città di Aleppo e non si hanno tuttora notizie sulla loro sorte”.

    Altri rilievi riguardano la difficile condizione della minoranza curda, dei rifugiati palestinesi, nonché delle donne e dei bambini, “vittime di aggressioni, violenze sessuali e abusi”. Per gli eurodeputati è possibile “ottenere una soluzione durevole all’attuale crisi in Siria soltanto attraverso un processo politico inclusivo guidato dalla Siria con il sostegno della Comunità internazionale”; si chiedono aiuti urgenti sul piano umanitario; una soluzione negoziale che valorizzi tutte le componenti della società siriana, ivi comprese le minoranze presenti nel Paese mediorientale. (R.P.)

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    Bartolomeo I: "Non c'è vero progresso nella storia senza Dio"

    ◊   “La storia ha dimostrato che un vero progresso non può esistere senza Dio. Nessuna comunità può essere veramente progressista e felice, se non vi è libertà. Ma la vera libertà si ottiene solo stando accanto a Dio”. Lo scrive il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, in un messaggio indirizzato a tutto il mondo, in occasione della Santa Pasqua. “La storia del ventesimo secolo - prosegue il patriarca - conferma tragicamente questa verità. L’umanità ha conosciuto l’orrore che proveniva dall’Europa Centrale con le migliaia di morti durante la Seconda Guerra Mondiale e le persecuzioni razziste”.

    La lezioni del passato non sono state ascoltate e ancora “ai nostri giorni i tamburi di morte e delle tenebre risuonano accanitamente. Alcuni uomini credono che lo sterminio di altre persone siano un’azione lodevole e necessaria, ma s’ingannano miseramente. Purtroppo l’annientamento e la vessazione dei più deboli da parte dei più forti, prevale sulla piramide del mondo a venire. Più spesso sorprende la durezza e la mancanza di pietà di coloro che detengono le redini del mondo e di coloro che credono di dominarlo”.

    Ma la Pasqua ogni anno rinnova un messaggio di speranza per l’umanità schiacciata nel dolore. “Cristo - scrive infatti il patriarca Bartolomeo - attraverso la sua morte sulla croce, ha invertito la piramide del mondo e in cima ad essa ha collocato la Croce. In cima si trova Lui stesso, poiché Egli stesso ha sofferto più di tutti gli uomini. Non vi fu uomo nel mondo che abbia sofferto quanto ha sofferto Cristo, il Dio-Uomo: ‘Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce’”. “Spesso nella storia dell’umanità - prosegue Bartolomeo -, vediamo signoreggiare le tenebre della morte, l’ingiustizia al posto della giustizia, l’odio e l’invidia al posto dell’amore e gli uomini a preferire l’odio infernale al posto della luce della Resurrezione”.

    “In questo signoreggiare delle forze delle tenebre - conclude il patriarca - la Chiesa risponde con la grazia e la forza del Cristo Risorto. Colui che prese su Se stesso i mali e i patimenti di ciascun uomo, dà al mondo, attraverso la Sua Resurrezione anche la certezza che è vinta la morte". (R.P.)

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    Sud Corea. La Chiesa prega per le vittime del traghetto. Il Paese vive nel dolore

    ◊   Tutta la Corea "è in uno stato di grande dolore e di grave ansia, anche perché fra le vittime di questa tremenda tragedia vi sono anche diversi adolescenti che volevano fare una gita... Possiamo soltanto pregare per loro e per le loro famiglie, attanagliate dall'angoscia, sperando che la nostra preghiera e la nostra solidarietà possano essere di qualche conforto". È il commento rilasciato all'agenzia AsiaNews da mons. Pietro Kang U-il, vescovo di Jeju e presidente della Conferenza episcopale coreana, dopo il drammatico naufragio del traghetto Sewol.

    In un primo momento, le stesse autorità sudcoreane avevano fissato il bilancio delle vittime a 2 persone - un membro dell'equipaggio e uno studente - e avevano parlato di circa "un centinaio di dispersi". Nel corso della giornata le cose sono peggiorate: le vittime accertate sono 9, ma i dispersi arrivano a circa 300. Il traghetto aveva infatti a bordo 475 passeggeri: di questi soltanto 179 sono stati tratti in salvo. I feriti gravi recuperati si contano a decine.

    Al momento, le ricerche dei sopravvissuti sembrano progredire in maniera molto lenta. Le pessime condizioni del mare e il vento, al momento molto forte, rendono quasi impossibili le immersioni e lo scandagliamento con i radar. Nella ricerca sono impiegate 169 navi di diverse dimensioni e 29 velivoli militari. La presidente, Park Geun-hye, ha invitato tutte le parti coinvolte a "fare presto, salvando ogni vita possibile".

    Secondo mons. Kang "nonostante l'impegno delle autorità, le speranze di recuperare qualche passeggero ancora vivo diminuiscono di ora in ora. Il mare nell'area è veramente terribile, e questo non aiuta. I sopravvissuti al momento sono sconvolti, il trauma psicologico che hanno subito è davvero enorme. Possiamo soltanto pregare il Signore, affinché aiuti le vittime e i loro familiari, e sperare che la preghiera e la solidarietà possano in qualche modo consolare tutte le persone coinvolte in questo disastro". (R.P.)

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    Nigeria: incertezza sulle studentesse rapite. Il vescovo accusa

    ◊   L’incapacità del governo e il dilagare della corruzione stanno rendendo la Nigeria sempre più insicura: lo dice all'agenzia Misna mons. Oliver Dashe Doeme, il vescovo di Maiduguri, la diocesi dove nella notte tra lunedì e martedì sono state sequestrate le ragazze della scuola di Chibok.

    “Prima l’attentato alla stazione degli autobus di Abuja – sottolinea mons. Dashe Doeme – poi il rapimento delle studentesse: la Nigeria sta pagando il prezzo dell’estremismo ma anche della corruzione che impedisce al governo e all’esercito di contrastare con efficacia Boko Haram”. Il vescovo fa riferimento e episodi che si sono susseguiti a poche ore di distanza l’uno dall’altro. Lunedì mattina l’esplosione di un’autobomba alla periferia di Abuja ha provocato più di 70 morti, per lo più pendolari appena arrivati nella capitale per lavorare. La notte successiva, nello Stato nord-orientale di Borno, presunti militanti del gruppo islamista hanno sequestrato oltre cento ragazze.

    Una vicenda ancora aperta, nonostante un annuncio di avvenuta liberazione diffuso dall’esercito. Una ricostruzione, questa, smentita sia dal preside della scuola sia dall’amministrazione locale. Il governatore di Borno, Kashim Shettima, ha promesso una ricompensa di cinque milioni di naira, circa 308.000 dollari, a chiunque sia in grado di offrire informazioni utili a rintracciare e trarre in salvo le ragazze.

    A Chibok, una cittadina situata a tre ore di strada dalla sede del vescovado, mons. Dashe Doeme è stato più volte. Sulle dinamiche del sequestro si limita a sottolineare l’impreparazione delle Forze di sicurezza. “A Chibok – dice – i militanti non hanno trovato alcun tipo di resistenza; anche perché, si sa, i soldati sono equipaggiati poco e male a causa della corruzione che mangia i soldi stanziati per la difesa dei nigeriani”. (R.P.)

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    Nord Irlanda: i leader delle Chiese invocano una pace duratura

    ◊   “Ribadiamo il nostro impegno a sostenere il lavoro dei nostri leader politici e dell’intera società civile finalizzato a risolvere gli ultimi ostacoli per una pace duratura”. Lo hanno assicurato i leader delle Chiese cristiane che hanno incontrato il Segretario di Stato del Nord dell’Irlanda, Theresa Villiers. Tra i diversi rappresentanti delle Chiese - riporta l'agenzia Sir - erano presenti all’incontro anche il card. Seán Brady, per la Chiesa cattolica di Irlanda, il rev. Richard Clark, per la Chiesa anglicana.

    Nel suo intervento il segretario di Stato Villiers, ha riconosciuto “il ruolo importante che le Chiese svolgono nella società in Irlanda del Nord”. Dal canto loro, le Chiese hanno espresso preoccupazione per il processo di riconciliazione avviato nel Paese dopo la sanguinosa guerra civile tra unionisti e repubblicani degli anni Settanta e Ottanta e per l’attuale riforma del Welfare.

    “Continuiamo a credere - si legge in un comunicato congiunto diffuso dalle Chiese dopo l’incontro - che l’accordo sulle controverse questioni affrontate nel processo Haass ci porterà più vicini alla pace e alla riconciliazione. Per molte persone in Irlanda del Nord questioni come salute, istruzione, occupazione e benessere sono una priorità. Nel nostro approccio alla guarigione del passato, noi non possiamo permetterci di perdere di vista la responsabilità di prenderci cura delle persone più vulnerabili”. (R.P.)

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    Sri Lanka: incontro ecumenico sulla tratta e le moderne forme di schiavitù

    ◊   Intensificare la collaborazione e il coordinamento delle Chiese cristiane nella lotta al traffico e allo sfruttamento di esseri umani nel mondo. E’ l’impegno scaturito da un incontro ecumenico che ha visto riuniti per quattro giorni a Colombo, in Sri Lanka, rappresentanti delle Chiese cristiane di diversi Paesi, delle Nazionali Unite, giuristi e attivisti per i diritti umani. Tema dell’incontro, organizzato dalla Commissione per gli affari internazionali del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc) e dalla Conferenza cristiana dell’Asia, in collaborazione con il Consiglio nazionale delle Chiese dello Sri Lanka, era appunto “Le migrazioni e il traffico di esseri umani: una forma moderna di schiavitù?”.

    La riunione è stata un’occasione per fare il punto su questa piaga e sui mezzi e le strategie per combatterla. Tra i relatori Marie Sol Villa del Consiglio nazionale delle Chiese delle Filippine che ha illustrato la situazione del suo Paese, il quarto nel mondo, insieme all’India, la Cina e il Messico, con il maggior numero di emigrati e quindi più esposto al fenomeno del traffico che coinvolge soprattutto donne e bambini destinati ai mercati del lavoro e del sesso nei Paesi del Golfo Arabico, in Malesia, Hong Kong, Giappone, Corea del Sud Taiwan, fino al Sud Africa, al Nord America e all’Europa. Yilikal Shiferaw Messelu, della Chiesa ortodossa etiopica Tewahedo, ha invece parlato della tratta gestita dai beduini nel Sinai, una realtà nota anche alle cronache italiane grazie alla tenace opera di don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo che per primo ha denunciato dall'Italia questo inaudito traffico.

    Dal confronto dunque è emersa la comune volontà delle Chiese cristiane di intensificare l’opera di aiuto e advocacy delle Chiese a sostegno delle vittime delle moderne forme di schiavitù e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questo vero “delitto contro l’umanità”, come l’ha definita la settimana scorsa Papa Francesco, parlando ai partecipanti alla conferenza organizzata in Vaticano sulla tratta. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Bangladesh. Stupro di gruppo su una tribale cattolica: cristiani e musulmani chiedono giustizia

    ◊   Più di 100 cristiani e musulmani insieme hanno manifestato ieri a Dhaka contro lo stupro di gruppo subito da una giovane ragazza cattolica. La violenza è avvenuta il 14 aprile scorso a Mohammadour, quartiere della capitale del Bangladesh, durante i festeggiamenti del Nuovo anno bengalese. Gli aggressori - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono quattro ragazzi musulmani. La vittima, una 21enne di etnia Garo, è sopravvissuta e ha denunciato i suoi aggressori.

    La giovane si chiama Purnima Maria Thigidi ed è originaria della parrocchia di Mariamnagar, nella diocesi di Mymensingh. Lavora a Dhaka come estetista in un Centro di bellezza.

    Il giorno dell'aggressione la vittima stava andando a festeggiare con un cugino, quando quattro ragazzi musulmani l'hanno strattonata, portata via e stuprata. Dopo la violenza Purnima è riuscita a telefonare a suo cognato, che la stava cercando. Dopo averla trovata, la ragazza ha sporto denuncia contro i suoi aggressori e uno di loro - Alif Ahmed - è già stato arrestato. La polizia è sulle tracce degli altri.

    La ragazza e la sua famiglia non si sentono protette: i familiari degli stupratori continuano a minacciarla, intimandole di ritirare la denuncia. Ma Purnima spiega: "Molte ragazze non denunciano gli stupri subiti per paura, ma è per questo che tanti colpevoli restano liberi. Io invece voglio che vengano processati".

    Tra le persone presenti ieri alla manifestazione di ieri c'erano molte studentesse cristiane, e anche alcune musulmane. La protesta è stata organizzata dal Bangladesh Garo Chatra Sangathan (Bgcs), organizzazione studentesca di tribali garo. Il presidente Sabuj Nokrek spiega ad AsiaNews: "Se le donne tribali vengono stuprate, la polizia non vuole occuparsi del caso. Non indagano in modo appropriato e non forniscono sicurezza alle famiglie delle vittime. Questo ci preoccupa".

    Secondo dati diffusi durante la protesta, dall'inizio del 2014 almeno nove donne tribali hanno subito violenze sessuali, e due di loro sono state uccise dopo l'aggressione. Nel 2013 un totale di 67 donne e bambine tribali sono state stuprate. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 107

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