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Sommario del 16/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: baciare nel Crocifisso le piaghe dell'umanità
  • Presto Santi due francescani: Amato Ronconi e Ludovico da Casoria
  • Il Papa nomina padre Giuseppe Piemontese nuovo vescovo di Terni
  • Nomine episcopali in Brasile e Polonia
  • Compie 87 anni Benedetto XVI, "nonno" che indica la strada di Dio ai "nipoti" nella fede
  • Il cardinale Parolin: tanti i nostri fratelli perseguitati da odio anticristiano
  • Mons. Krajewski in visita al Regina Coeli: i detenuti invitano Papa Francesco
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucraina, avanzano i filorussi. La diplomazia cerca una via d'uscita
  • Siria. Tra Damasco e i ribelli la guerra è anche mediatica
  • Nigeria, l'esperta: per Boko Haram una donna istruita è un pericolo
  • Dall'Ue l'ok alle regole di intervento in caso di fallimento delle banche
  • Giornata contro la schiavitù infantile: centinaia di milioni i bimbi sfruttati nel mondo
  • Presentata la Giornata dei bambini vittime della violenza. Don Di Noto: necessario più impegno
  • Poletti: il lavoro a tempo indeterminato costi di meno, puntare sull'economia sociale
  • "Giornata del cuore": negli ospedali camilliani visite mediche gratuite
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Sud Corea: 4 morti e 292 dispersi nel naufragio di un traghetto
  • Caritas Europa: presentato a Strasburgo il Rapporto sulla fame nel mondo
  • Venezuela: secondo incontro tra governo e opposizione
  • Cuba: per la prima volta la Via Crucis trasmessa in televisione
  • Iraq: Messaggio di Pasqua del Patriarca Sako, con un pensiero alle elezioni
  • Egitto: i candidati Sabbahi e al-Sisi alla Veglia pasquale copta celebrata dal Patriarca Tawadros
  • India. Fermato il braccio destro di Narendra Modi: incita all'odio contro i musulmani
  • Cina. A Dongguan riprende lo sciopero del tessile: in 40 mila incrociano le braccia
  • Don Oreste Benzi: parte ufficialmente la Causa di beatificazione
  • Kenya. Il card. Njue: “Garantire la sicurezza nel rispetto dei diritti umani”
  • Honduras: appello per chiarire l'omicidio di un dipendente di Radio Progreso dei Gesuiti
  • Appello al governo italiano perchè “chieda l'abrogazione della blasfemia in Pakistan”
  • Al meeting "Sui passi di Francesco" sottoscritta la Carta di Assisi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: baciare nel Crocifisso le piaghe dell'umanità

    ◊   Nel mistero della passione di Cristo vediamo le sofferenze di tutta l'umanità che saranno redente nella risurrezione: è quanto, in sintesi, ha detto Papa Francesco nell'udienza generale alla vigilia del Triduo Pasquale. Prima della catechesi, il Pontefice ha fatto il tradizionale giro in jeep tra la folla dei fedeli stringendo mani e baciando bambini e malati. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Partendo dall’atto drammatico del tradimento di Giuda, Papa Francesco ha svolto la sua catechesi sul significato della passione di Gesù. Il Signore - ha detto - sceglie “con assoluta libertà” la via dell’umiliazione e della spogliazione fino alla morte di croce: “Si tratta della morte peggiore quella che era riservata agli schiavi e ai delinquenti”. “Guardando Gesù nella sua passione - ha proseguito - noi vediamo come in uno specchio anche le sofferenze di tutta l’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte”. Ma “tante volte – osserva - avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci circonda e ci chiediamo: «Perché Dio lo permette?». È una profonda ferita per noi vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti”:

    “Quando vediamo soffrire i bambini, è una ferita nel cuore. E’ il mistero del male. E Gesù prende tutto questo male, tutta questa sofferenza su di sé. Questa settimana, ci farà bene a tutti noi guardare il Crocifisso, baciare le piaghe di Gesù, baciarle nel Crocifisso”.

    Noi – ha proseguito il Papa – “attendiamo che Dio nella sua onnipotenza sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la sofferenza con una vittoria divina trionfante”:

    “Dio ci mostra invece una vittoria umile che umanamente sembra un fallimento. E possiamo dire: Dio vince proprio nel fallimento. Il Figlio di Dio, infatti, appare sulla croce come uomo sconfitto: patisce, è tradito, vilipeso e infine muore. Gesù permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo”.

    La “grande umiltà di Dio” – ha sottolineato il Papa - “è un mistero sconcertante”. Ma proprio “quando tutto sembra perduto” è “allora che interviene Dio con la potenza della risurrezione. La risurrezione di Gesù – rileva - non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film ma è l’intervento di Dio Padre” là dove “s’infrange la speranza umana. Nel momento in cui tutto sembra perduto, nel momento del dolore” e quando si sente “il bisogno di scendere dalla croce” quello è il momento più vicino alla risurrezione. La notte diventa più oscura proprio prima che arrivi la mattina, prima che arrivi la luce. Nel momento più oscuro interviene Dio. Resuscita”. E “Gesù, che ha scelto di passare per questa via, ci chiama a seguirlo nel suo stesso cammino di umiliazione”:

    “Quando in certi momenti della vita non troviamo alcuna via di uscita alle nostre difficoltà, quando sprofondiamo nel buio più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento, che non dobbiamo mascherare il nostro fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio, come ha fatto Gesù”.

    Il Papa ribadisce il suo invito:

    “Questa settimana pensiamo tanto al dolore di Gesù e diciamo a noi stessi: ‘E questo è per me. Anche se io fossi stato l’unica persona nel mondo, Lui l’avrebbe fatto. L’ha fatto per me’. E baciamo il Crocifisso e diciamo: ‘Per me. Grazie Gesù. Per me’”.

    Infine, salutando i pellegrini presenti in Piazza San Pietro, ha esortato a lasciarsi accompagnare dalla Madre di Gesù in questi giorni che conducono alla Pasqua:

    “Prendete come amica e modello di vita la Vergine Maria, che è rimasta presso la croce di Gesù, amando, anche Lei, fino alla fine. E chi ama passa dalla morte alla vita. È l’amore che fa la Pasqua”.

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    Presto Santi due francescani: Amato Ronconi e Ludovico da Casoria

    ◊   La Chiesa universale sarà presto arricchita di due nuovi Santi. Papa Francesco - che ha ricevuto ieri il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi - ha infatti autorizzato il dicastero a promulgare i decreti riguardanti i miracoli attribuiti alle intercessioni dei Beati Ludovico da Casoria ed Amato Ronconi. Inoltre, con il riconoscimento delle virtù eroiche, diventano Venerabili i Servi di Dio Alano Maria Guynot de Boismenu e Guglielmo Janauschek. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Due figure esemplari, seguaci di San Francesco, apostoli della carità, in tempi lontani e contesti diversi. Amato Ronconi, terziario francescano, nato a Saludecio, in Emilia Romagna, intorno al 1226, da una ricca famiglia, rimasto orfano trascorse la giovinezza con il fratello Giacomo, dedicando poi ogni energia ed avere ai poveri e pellegrini, per i quali fondò un Ospizio sul monte Orciale, ora Casa di riposo/Opera Pia a lui intitolata. La sua vita di penitente - che pure lo espose allo scherno di concittadini che lo ritennero pazzo – si concluse a Rimini all’età di 66 anni. In vita e morte fu accompagnato da fama di santità.

    Ludovico da Casoria, località campana dove nacque nel 1814, al secolo Arcangelo Palmentieri, entrato nell’Ordine dei Frati Minori, fondò la Congregazione delle Suore Francescane Elisabettine dette Bigie. Sacerdote a 23 anni, insegnò per 20 anni filosofia e matematica, dedicandosi ai confratelli poveri e malati per i quali istituì una farmacia-infermeria a Scudillo di Capodimonte; impegnatosi quindi per la nobile causa di riscattare i bambini africani venduti come schiavi e assicurare loro una vita dignitosa. Si adoperò fortemente per le missioni, usava ripetere “l’Africa deve convertire l’Africa”. Sostenuto da Pio IX e Leone XIII e dai re delle Due Sicilie Ferdinando II e Francesco II, riversò la sua carità su ogni sofferenza umana: orfani, disabili, malati, bisognosi; morì a Napoli nel 1885.

    Sono vissuti nel secolo scorso i due nuovi Venerabili Servi di Dio: il francese Alano Maria Guynot de Boismenu, nato a Saint-Malo nel 1870, missionario del Sacratissimo Cuore di Gesù, arcivescovo titolare di Claudiopoli, già vicario apostolico di Papua, morto a Kubuna nelle Isole Figi (Oceania) nel 1953; e l’austriaco Guglielmo Janauschek, nato a Vienna nel 1859, sacerdote della Congregazione del Santissimo Redentore, morto il 30 giugno 1926 nella città natia.

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    Il Papa nomina padre Giuseppe Piemontese nuovo vescovo di Terni

    ◊   Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Terni-Narni-Amelia padre Giuseppe Piemontese, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, già custode del Sacro Convento di Assisi. Padre Piemontese è nato a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, il 24 aprile 1946: fra pochi giorni, dunque, compirà 68 anni.

    Ha frequentato gli studi nei seminari dell’Ordine francescano. Ha conseguito la Licenza in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraficum in Roma e la Laurea in Diritto Canonico. Ha emesso i voti temporanei l’8 settembre 1967, quelli perpetui l’8 ottobre 1977. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 5 aprile 1971. Appartiene alla Provincia di Puglia dei Frati Minori Conventuali. Ha svolto i seguenti uffici e ministeri: educatore nelle case di formazione; animatore della pastorale giovanile; è stato parroco a Bari per nove anni in una popolosa parrocchia del Rione Japigia; membro del Definitorio della Provincia; ministro provinciale e custode del Sacro Convento di Assisi.

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    Nomine episcopali in Brasile e Polonia

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Osasco (Brasile), presentata da Mons. Ercílio Turco, per raggiunti limiti di età. Gli succede Mons. João Bosco Barbosa de Sousa, O.F.M., trasferendolo dalla diocesi di União da Vitória. Mons. João Bosco Barbosa de Sousa è nato l’8 dicembre 1952 nella città di Guaratinguetá, arcidiocesi di Aparecida, nello Stato di São Paulo. Ha emesso la Professione Religiosa nell’Ordine dei Frati Minori Francescani il 4 ottobre 1975, presso i quali ha compiuto gli studi di Filosofia e Teologia all’Instituto Filosófico e Teológico Franciscano a Petrópolis. Ha frequentato anche un corso di Comunicazioni Sociali in Germania. È stato ordinato sacerdote il 7 gennaio 1978 ed ha svolto le seguenti attività: Vicario parrocchiale nella Parrocchia Santo Antônio do Pari (1978-1982) e Parroco della Parrocchia São Francisco de Assis (1983-1987; 1995-1997), entrambe nell’arcidiocesi di São Paulo; Direttore di produzione dell’agenzia "SONOVISO" do Brasil, che realizza audiovisivi di carattere formativo e religioso, nell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro (1988-1994); Consigliere provinciale (1998-2000); Parroco della Parrocchia São Pedro Apóstolo in Pato Branco e Presidente della Fondazione "CELINAUTA – Radio e TV" nell’arcidiocesi di Palmas-Francisco Beltrão (1998-2003); Parroco della Parrocchia São Francisco de Assis nell’arcidiocesi di São Paulo (2004-2006). Il 3 gennaio 2007 è stato nominato Vescovo di União da Vitória ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 30 marzo successivo.Attualmente è Presidente della Conferenza Episcopale dello Stato di Paraná e Membro del Consiglio Permanente della Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani.

    Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Legnica (Polonia), presentata da Mons. Stefan Cichy, per raggiunti limiti di età. Gli succede Mons. Zbigniew Kiernikowski, trasferendolo dalla sede di Siedlce. Mons. Zbigniew Kiernikowski è nato il 2 luglio 1946 a Szamarzewo, nell’arcidiocesi di Gniezno. Il 6 giugno 1971 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per l’arcidiocesi di Gniezno. Dal 1972 al 1981 è stato studente presso il Pontificio Istituto Biblico a Roma, dove ha conseguito prima la Licenza e poi il Dottorato in Sacra Scrittura. Negli anni 1981-1986 è stato Docente di Sacra Scrittura, Prefetto di disciplina e poi Vicerettore nel Seminario maggiore a Gniezno. Dal 1986 al 2002 ha svolto a Roma l’incarico di Vicerettore e poi di Rettore del Pontificio Istituto Polacco. In quel tempo è stato Professore aggiunto di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Urbaniana e Professore aggiunto in Sacra Scrittura presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino in Roma. Nel 2001 ha conseguito l’abilitazione in Sacra Scrittura presso l’Università Card. Stefan Wyszyński di Varsavia. Dal 2001 è stato Docente nella Facoltà Teologica dell’Università Niccolò Copernico in Toruń. Il 28 marzo 2002 è stato nominato Vescovo di Siedlce e ha ricevuto la consacrazione episcopale il 20 maggio del medesimo anno. In seno alla Conferenza Episcopale è Presidente del Gruppo per i Contatti con la Conferenza Episcopale Francese, Membro della Commissione Pastorale e Membro del Gruppo per gli aspetti sociali dell’intronizzazione di Cristo "Re della Polonia".

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Siedlce (Polonia) Mons. Kazimierz Gurda, trasferendolo dalla sede titolare di Cusira e dall’ufficio di Ausiliare di Kielce. Mons. Kazimierz Gurda è nato il 20 agosto 1953 a Książnice Wielkie, in diocesi di Kielce. L’11 giugno 1978 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la stessa diocesi. Negli anni 1978-1981 è stato Vicario parrocchiale a Pińczów e a Bielany. Dal 1981 al 1989 è stato studente a Roma presso il Pontificio Ateneo Augustinianum, dove ha conseguito il Dottorato in Teologia con specializzazione in Patrologia. È stato, poi, Docente di Patrologia e di lingua latina, Direttore spirituale nel Seminario maggiore di Kielce (1989-1996) e Rettore dello stesso Seminario (1998-2005). Oltre agli incarichi nel Seminario, è stato Difensore del Vincolo nel Tribunale diocesano (1994-2005) e Parroco di San Giuseppe a Zagnańsk. Il 18 dicembre 2004 è stato eletto Vescovo titolare di Cusira e Ausiliare di Kielce, ed è stato consacrato il 5 febbraio 2005. Attualmente in seno alla Conferenza Episcopale è Presidente della Commissione episcopale per i Religiosi e le Religiose e membro della Commissione mista Vescovi-Religiosi.

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    Compie 87 anni Benedetto XVI, "nonno" che indica la strada di Dio ai "nipoti" nella fede

    ◊   La Chiesa si stringe oggi attorno a Benedetto XVI che festeggia il suo 87.mo compleanno. Il Papa emerito è nato il 16 aprile 1927 a Marktl am Inn, un paesino della Baviera. La sua vita è narrata, fra l’altro in una nota autobiografia, ma in diverse occasioni, durante il Pontificato, Benedetto XVI ha ricordato momenti della sua giovinezza spesso dialogando con dei bambini. Alessandro De Carolis ricorda in questo servizio alcune di questi incontri:

    Per Papa Francesco è affettuosamente il “nonno”, che vive alla porta accanto e alla cui saggezza è possibile attingere in ogni momento. In questa affermazione viene immediatamente in risalto di Benedetto XVI quello che di lui è universalmente noto, le sue qualità di dottrina, finezza teologica, fede adamantina. Papa Benedetto è nella e per la Chiesa un chiaro maestro. Ma la parola “nonno” evoca anche altro, una caratteristica spesso poco considerata dalla “ritrattistica” ufficiale, che tende a celebrare le doti del Pontefice trascurando i tratti dell’uomo. Il nonno è tale perché ha dei nipoti e i nipoti sono bambini, ragazzini, che hanno un rapporto intimo con lui, sono attirati dalle sue storie raccontate a tu per tu, che parlano di cose mai sentite, avvenute tanto tempo fa. Questo piace ai nipoti, che non hanno invece interesse per l’eventuale aura di prestigio pubblico di cui gode il loro nonno. Ed è questo il “nonno” che vogliamo ricordare oggi: Joseph Ratzinger, l’uomo dalla simpatia soave più che plateale, temperata da un naturale riserbo, ma non per questo meno genuina, emersa proprio in quelle occasioni in cui Papa Benedetto ha potuto parlare come un nonno a dei bambini, ricordando se stesso bambino. Per esempio, in una di quelle a lui care domeniche trascorse famiglia:

    “La domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica (...) Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili”. (Incontro mondiale delle famiglie, 2 giugno 2012).

    Squarci di vita di un bambino che diventerà Papa e che parla a dei bambini come parlerebbe un nonno. Il quale non trasmette solo ricordi, ma il valore che quei ricordi portano con sé. Ad esempio, il valore senza prezzo che per dei bambini hanno la serenità e la sicurezza di una famiglia unita:

    “Abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. (...) E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli”.

    E si rifletteva anche negli amici, che prima di esserlo erano degli sconosciuti, poiché la famiglia Ratzinger non era originaria del paesino dove il piccolo Joseph visse i primi anni di scuola. Colpisce allora – in un’epoca di paradossi, in cui la diversità provoca ancora barricate e dove, per altri versi, la tolleranza al diverso è un valore da imporre anche schiacciando – ascoltare una testimonianza di integrazione dove il traguardo del rispetto duraturo è raggiunto perché si ha avuto la pazienza di passare, sbagliando e ricominciando, per la strada del dialogo:

    “La nostra famiglia poco prima dell'inizio della scuola elementare era arrivata in questo paese da un altro paese, quindi eravamo un po' stranieri per loro, anche il dialetto era diverso (…) Non eravamo santi: abbiamo avuto i nostri litigi, ma tuttavia c'era una bella comunione, dove le distinzioni tra ricchi e poveri, tra intelligenti e meno intelligenti non contavano (...) Abbiamo trovato la capacità di vivere insieme, di essere amici, e benché dal 1937, cioè da più di settanta anni, non sia più stato in quel paese, siamo restati ancora amici. Quindi abbiamo imparato ad accettarci l'un l'altro, a portare il peso l'uno dell'altro”.

    Ricordi, e valori, di un “nonno” – ma anche un maestro di anime – che ai suoi “nipoti spirituali” non affida tanto l’emozione e la commozione di una bella storia di famiglia, ma con quella storia indica una strada sicura, solida, per una vita che sia profondamente felice. Una strada che per lui, che ne ha già percorsa un lungo tratto, è anche viaggio che continua verso una terra promessa:

    “In questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare ‘a casa’, andando verso l’’altra parte del mondo’”.

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    Il cardinale Parolin: tanti i nostri fratelli perseguitati da odio anticristiano

    ◊   Ancora oggi “in diversi contesti tanti nostri fratelli e sorelle permangono oggetto di un odio anticristiano”. Così il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha ricordato quanti negli ultimi anni hanno offerto la loro vita per il Vangelo, nella Veglia di preghiera organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio, ieri pomeriggio a Roma, in memoria dei “nuovi martiri” cristiani. Il servizio di Debora Donnini:

    Sono persone come noi, stesse paure e debolezze, eppure sembrano “eroi lontani dai nostri limiti e dalle nostre contraddizioni”. Sono persone che vivono in Paesi dove dichiararsi cristiano lo si fa a rischio della vita. Il cardinale Pietro Parolin ricorda che la loro è una forza “che il mondo non conosce e che paradossalmente si manifesta nella sconfitta e nell’umiliazione di quanti soffrono a causa del Vangelo”. Il porporato cita una ormai famosa omelia di Papa Francesco a Santa Marta un anno fa, quando disse che anche “nel XXI secolo, la nostra Chiesa è una Chiesa di martiri”:

    “Pur nella loro debolezza essi hanno opposto strenua resistenza al male, nella loro fragilità è rifulsa la forza della fede e della grazia del Signore. Questa forza attraversa le nostre Chiese, le nostre comunità cristiane: sono cattolici, ma anche ortodossi, evangelici, anglicani e ci invitano all’unità”.

    “Tanti – nota il porporato – sono stati sacrificati per il loro rifiuto di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, il comunismo e il nazismo, l’idolatria dello Stato o della razza. Molti altri sono caduti nel corso di guerre etniche o tribali”. “In diversi contesti – ripete il segretario di Stato vaticano – tanti nostri fratelli e sorelle permangono oggetto di un odio anticristiano. Non vengono perseguitati perché a essi viene conteso un potere mondano, politico, economico o militare, ma propriamente perché – dice – sono testimoni tenaci di un’altra visione della vita, fatta di abbassamento, di servizio, di libertà, a partire dalla fede”:

    “Quando i cristiani sono veramente lievito, luce e sale della terra, diventano anche loro, come avvenne per Gesù, oggetto di persecuzione, come Lui sono segno di contraddizione”.

    “Talvolta – evidenzia – è il solo nome di cristiano ad attirare l’odio, perché esso richiama la forza pacificante” che essi portano: si tratta di "volontari", "laici o consacrati”, “giovani e anziani, la cui vita è stata recisa mentre servivano generosamente la Chiesa”. La geografia delle persecuzioni è vasta: Nigeria, Pakistan, Indonesia, Iraq, Kenya, Tanzania, Repubblica Centroafricana. “I testimoni della fede – disse una volta Giovanni Paolo II – non hanno considerato” il “proprio benessere, la propria sopravvivenza come valori più grandi della fedeltà al Vangelo”. Ringraziamoli – conclude il segretario di Stato vaticano – per il fatto di restare “nonostante le minacce e le intimidazioni” per far “conoscere ovunque il nome del Signore Gesù, vera origine della globalizzazione dell’amore”.

    Durante l’incontro sono stati ricordati i nomi di quanti, in questi anni nei Cinque Continenti, hanno speso la loro vita per il Vangelo. Da padre Frans Var der Lugt, il gesuita di 75 anni ucciso in Siria lo scorso 7 aprile, a padre Pino Puglisi la cui vita è stata spezzata dalla mafia nel 1993.

    A margine dell’incontro il cardinale Parolin si è soffermato su alcuni temi. Sul Venezuela, dove è stato nunzio apostolico prima di essere nominato segretario di Stato vaticano, ha detto che la Chiesa e la Nunziatura “hanno sempre cercato di offrire la loro presenza e la loro opera” per “avvicinare le parti” e tentare di trovare punti comuni per il bene del Paese. Per quanto riguarda il viaggio che Papa Francesco farà in Corea del Sud ad agosto, il segretario di Stato ha detto che il Pontefice dirà certamente qualcosa perché “ci sia pace e riconciliazione nella penisola coreana”.

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    Mons. Krajewski in visita al Regina Coeli: i detenuti invitano Papa Francesco

    ◊   L’elemosiniere di Sua Santità, mons. Konrad Krajewski, si è recato oggi nel carcere romano di Regina Coeli per consegnare ad oltre 1000 detenuti un Vangelo tascabile, dono pasquale di Papa Francesco, lo stesso volumetto distribuito all'Angelus del 6 aprile scorso. E’ stato un incontro commovente, davvero toccante – ha riferito mons. Krajewski – molti detenuti piangevano sentendo l'affetto del Pontefice. In vari hanno raccontato le tante difficoltà della vita nel carcere, tra l'altro la mancanza di vestiti. I detenuti del Regina Coeli – ha detto l’elemosiniere – si ritengono “i vicini del Santo Padre”, in quanto la struttura sorge a poca distanza da San Pietro. Alcuni hanno chiesto che il Papa possa recarsi a trovarli per portare un po’ di consolazione: è appena “una passeggiata”, hanno detto. Mons. Krajewski ha parlato della misericordia divina, ricordando che Gesù sempre perdona. L’elemosiniere ha incontrato numerosi volontari. Era presente anche il cappellano del carcere, don Vittorio Trani. La visita è durata circa un'ora e mezzo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Papa Francesco parla del mistero della sofferenza e della morte degli innocenti: la resurrezione di Gesù non è l’happy end di un film, bensì l’intervento di Dio.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo le violenze in Nigeria: studentesse rapite da Boko Haram.

    La crisi ucraina: primi scontri nell’est del Paese.

    Sento il pianto della sua voce: in cultura, Jean Vanier sugli ultimi giorni terreni di Gesù.

    Il bacio del traditore: Fabrizio Bisconti ricostruisce le origini dell’iconografia di Giuda Iscariota.

    Il pane che fa la comunione: nel servizio religioso, Inos Biffi sul giovedì santo e sull’ultima cena di Gesù.

    Uniti in Cristo: iniziative ecumeniche per la Settimana santa.

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    Oggi in Primo Piano



    Ucraina, avanzano i filorussi. La diplomazia cerca una via d'uscita

    ◊   L’Ucraina sempre al centro del confronto diplomatico tra Russia e occidente. Toni drammatici ieri nella telefonata tra la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente russo, Vladimir Putin, che ha parlato di un Paese sull’orlo della guerra civile. I due leader hanno espresso, tuttavia, speranze per i colloqui di domani a Ginevra tra Russia, Unione Europea, Stati Uniti e Ucraina. Intanto, sul terreno continua l’offensiva delle milizie vicine a Mosca nell’est russofono. Inquietante quanto trapelato da intercettazioni dei Servizi segreti ucraini, secondo cui la Russia avrebbe dato ordine di sparare per uccidere. Sul rischio di guerra civile in Ucraina, Giancarlo La Vella ha intervistato Fabrizio Dragosei, inviato a Mosca del Corriere della Sera:

    R. – Dobbiamo fare attenzione a non esagerare. Questa della guerra civile è sicuramente la tesi della Russia e la tesi di Vladimir Putin, volta a dire che il governo di Kiev ormai non è più in grado di tenere assieme il Paese. Vediamo quello che sta succedendo realmente. Ci sono stati certamente degli scontri, ma in realtà questa famosa operazione antiterroristica si è limitata, ieri, a ricatturare un aeroporto militare. Si parla di alcune vittime, ma non è provato neanche questo. Di sicuro, l’esercito ucraino si è tenuto ben lontano dalle città, dove diversi edifici pubblici sono in mano ai rivoltosi, e questo è un gran sollievo, perché certamente un intervento dell’esercito in queste città porterebbe veramente a un bagno di sangue. Ma siamo sicuramente ben lontani da uno scontro paragonabile all’inizio di una guerra civile.

    D. – In tal senso, quindi, anche la notizia diffusa dai Servizi ucraini, secondo cui i miliziani filorussi sarebbero stati invitati a sparare per uccidere, farebbe parte insomma di questa guerra, che ha anche risvolti mediatici?

    R. – Diciamo che sicuramente la notizia potrebbe essere verosimile, nel senso che è interesse della Russia, in questo momento, far salire la tensione. La guerra dell’informazione però c’è sempre stata in qualsiasi situazione di conflitto e, in questo caso, è sicuramente molto attiva. Ma atteniamoci ai fatti: per ora la situazione sembra meno grave di come la dipingono le parti interessate.

    D. – Tutte le speranze sono rivolte all’imminente incontro diplomatico a quattro. Che cosa ne può venire fuori?

    R. – Sì, diciamo che le speranze sono rivolte a quell’incontro. La Russia chiedeva delle precondizioni, che non sembra siano state accolte: una era quella di parlare del nuovo assetto costituzionale dell’Ucraina e la seconda era che rappresentanti delle regioni dell’est partecipassero a questo incontro. Sicuramente, è importante ed è un passo per ridare la parola alla diplomazia, perché come l’Europa va dicendo da molto tempo – e in questo si distingue un po’ dagli Stati Uniti – la questione ucraina non si risolve né con gli atti di forza da parte della Russia né, probabilmente, con atti di forza dell’occidente, come potrebbero essere sanzioni molto severe, che alcuni a Washington vorrebbero. Diciamo che ora vedremo se la diplomazia tornerà ad avere un ruolo da protagonista.

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    Siria. Tra Damasco e i ribelli la guerra è anche mediatica

    ◊   In Siria, continua lo scambio di accuse tra il regime di Assad e i ribelli per quanto riguarda gli attacchi con le armi chimiche. E' guerra dunque anche in campo mediatico, mentre tra la popolazione il numero di morti e feriti cresce sempre più. Ascoltiamo un commento del prof. Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste, al microfono di Maura Pellegrini Rhao:

    R. – Poiché sul campo si è creata ormai una situazione di stallo, che può essere risolta soltanto in alcuni modi – o attraverso l’intervento di potenze, come nel caso libico, con conseguenze che per il momento nessuno riesce a immaginare, oppure attraverso un negoziato, che in questo momento appare comunque estremamente difficile considerata la situazione generale, creatasi anche dopo il caso dell’Ucraina e della Crimea – il tentativo da entrambe le parti è vincere la battaglia mediatica, accusando di crimini contro l’umanità una parte e l’altra. Naturalmente, per le Nazioni Unite non è facile riuscire a dirimere questa questione e credo, anzi, che in questo momento sia praticamente impossibile. La vicenda può degenerare e, comunque, io credo che l’Onu debba intervenire con una proposta o con delle soluzioni.

    D. – La situazione, dunque, secondo lei, può risolversi solo con l’intervento esterno e non con un’iniziativa delle parti in campo?

    R. – Le parti stanno compiendo una schermaglia. La schermaglia naturalmente ha questi fortissimi aspetti mediatici, ma non sarà risolutiva. Non esiste oggi, a mio parere, una soluzione nel breve periodo che possa emergere dal campo di battaglia. La soluzione, in qualche modo, può venire soltanto dall’entità che è l’unica in grado di presiedere a una soluzione: le Nazioni Unite. Questa deve essere in qualche modo imposta ed è soltanto in questo modo che si possono poi aprire i corridoi e cercare di trovare una soluzione negoziale. Non credo quindi che dal campo possa emergere oggi alcuna soluzione, se non la continuazione di una schermaglia o un deterioramento totale della situazione, con il tiro vero e proprio, in questo caso, di gas nervini o il ritorno ad armi proibite.

    D. – Anche perché cercare di stabilire la responsabilità, a questo punto, diventa sempre più complicato, anche a causa di una disinformazione dilagante...

    R. – Credo che questo sia veramente difficile, ma ritengo che, strategicamente, tutto sommato l’obiettivo più importante oggi sia riaprire il tavolo negoziale. La definizione delle responsabilità è sicuramente un obiettivo importante, ma non determinante nella vicenda siriana. Nella vicenda siriana, si deve cercare di arrivare a una definizione che è affidata prima di tutto alle Nazioni Unite e affidata poi al confronto tra le potenze, in particolare tra i due segretari Kerry e Lavrov, il russo e l’americano, e ai rispettivi alleati. In questo momento, la cosa più importante è chiudere la fase di stallo e tornare a trattare. Se si riaprisse la prosecuzione del negoziato di Ginevra, coinvolgendo anche le parti che non sono state coinvolte e riprendendo quindi quello sforzo, ciò renderà di più sicuramente del fatto di seguire le accuse reciproche, che non finiranno.

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    Nigeria, l'esperta: per Boko Haram una donna istruita è un pericolo

    ◊   Il rapimento di cento studentesse in Nigeria è solo l’ultima incursione in ordine di tempo del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram a istituti scolastici e femminili. Sui motivi di tali attacchi Alessia Carlozzo ha intervistato Valentina Colombo, docente di Geopolitica del Mondo Islamico presso l’Università Europea di Roma:

    R. – Il termine “Boko Haram” significa “l’educazione occidentale è vietata”, “è peccato”, per cui nella strategia di un’organizzazione di questo genere ovviamente tutto ciò che riguarda l’educazione, l’apertura mentale e l’apertura all’altro – nella fattispecie, poi, l’Occidente – è qualcosa che viene visto come un pericolo. Infatti, organizzazioni come Boko Haram ma non solo – tutto l’estremismo, il radicalismo islamico – partono da un presupposto che è quello che “pensare è peccato”. Per cui, è chiaro che chiunque fornisca educazione, istruzione che porti poi a un’apertura mentale – primo fra tutti, poi, se si tratta addirittura di donne che movimenti di questo genere ovviamente considerano come l’altro da attaccare, la metà dell’uomo, in ogni caso mai persone da considerare "esseri umani" – ovviamente, questo è un segnale di pericolo, di allarme, è considerato un qualcosa da eliminare, da estirpare assolutamente.

    D. – Non è la prima volta che il gruppo islamista di Boko Haram colpisce una scuola e rapisce delle ragazze. Qual è poi il destino che spesso le attende?

    R. – Un destino di donne che vengono usate come oggetti sessuali, che vengono sottoposte – per usare un eufemismo – a delle angherie, ma che sono concepite fondamentalmente come corpi da usare a proprio piacimento perché questo, così sostengono, “Dio lo vuole”, “Dio lo concede” nella loro interpretazione distorta e perversa dell’islam, che – in ogni caso, lo sappiamo – considera la donna come la metà dell’uomo. Nella loro visione, la donna viene concepita solo come corpo che provoca seduzione nell’uomo… Ebbene, queste ragazze, se sono fortunate vengono rilasciate dopo aver subito – con molta probabilità – violenze e soprusi a livello sessuale.

    D. – Il nord della Nigeria è prevalentemente di religione musulmana. Qual è l’attuale condizione della donna, in quelle zone?

    R. – In Nigeria, come nel resto del mondo islamico, la condizione della donna è segnata sia da un retaggio culturale – quindi da una cultura prevalentemente patriarcale – sia una visione della religione che va ad avvalorare la tradizione culturale e sociale della zona. Quindi, la donna che si voglia emancipare è la donna che deve assolutamente far fronte ai due livelli e, per far fronte ai due livelli, la chiave è assolutamente l’educazione. La donna che studia, la donna alfabetizzata, non è purtroppo un dato scontato in quelle zone: non solo in Nigeria, ma in tutto il mondo islamico, a parte rarissime eccezioni, l’analfabetismo delle donne è dilagante, sfortunatamente. Ecco perché la donna deve assolutamente ricevere istruzione se vuole migliorare la propria posizione sociale e culturale. Ed è per questo che movimenti come i Boko Haram attaccano chiunque fornisca e fruisca dell’educazione, perché l’educazione potrebbe aprire la mente, potrebbe dare più forza, in questo caso alla donna che diventerebbe automaticamente consapevole dei propri diritti minimi ed essenziali e ovviamente inizierebbe a rivendicarli. Tenere la donna nell’analfabetismo, tenere la donna all’oscuro di tutto, ovviamente è un gioco perverso, atroce, che però lascia via libera all’interpretazione più integralista, quale lo è quella dei Boko Haram.

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    Dall'Ue l'ok alle regole di intervento in caso di fallimento delle banche

    ◊   Non saranno più i cittadini a sostenere le banche in difficoltà. Se una banca è in perdita, i primi a pagare saranno quelli che quando la banca è in attivo guadagnano: azionisti e possessori di obbligazioni. E’ quanto stabilisce il regolamento votato ieri dal parlamento europeo in tema di crisi finanziaria. La sessione in corso è l’ultima prima del voto per il rinnovo dell’Assemblea, il prossimo maggio. Da Strasburgo, Fausta Speranza:

    Un passo in avanti fondamentale verso l’unione bancaria, soprattutto il ribaltamento del meccanismo avvenuto finora, con perdite e fallimenti delle banche pagati dai governi e sostenuti dai contribuenti: con termine tecnico si chiama “risoluzione”, cioè salvataggio o ristrutturazione. Diventa una questione interna al sistema bancario. A gestire i salvataggi delle banche sarà un organismo sovranazionale, operativo da novembre prossimo. Deciderà come ristrutturare una banca in difficoltà, promuovendo o bocciando i programmi proposti che non dovranno ricadere sui titolari di conto. Per tamponare le emergenze, ci sarà un fondo apposito di 55 miliardi di euro. La novità è che a finanziarlo saranno i 130 maggiori gruppi bancari europei. Entro tre anni dovranno assicurare il 70% della cifra che dovrà essere completata entro il 2023. Obiettivo di fondo: tagliare il legame perverso tra i crack bancari e il debito dei singoli Stati nazionali. Non sarà più l’indebitamento pubblico a salvare i bancari.

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    Giornata contro la schiavitù infantile: centinaia di milioni i bimbi sfruttati nel mondo

    ◊   Sono centinaia di milioni nel mondo i bambini ridotti in schiavitù e li troviamo ovunque nel mondo, dall’Africa, all’America Latina. Per ricordare quanto sia necessaria la lotta a questo fenomeno, oggi si celebra la Giornata internazionale contro la schiavitù infantile in memoria anche di Iqbal Masih, bimbo pakistano di nove anni, ucciso il 16 aprile del 1992 perché divenuto il simbolo della lotta contro il lavoro infantile nell’industria tessile pakistana. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

    Molti sono costretti a lavorare, spesso nelle fabbriche di proprietà di multinazionali, altri sono obbligati ai lavori domestici, altri ancora sono sfruttati sessualmente o vittime della tratta, per molti ancora il destino è diventare soldato o vivere in strada per mendicare. A tutti loro l’infanzia è stata spezzata. Sono i bambini ai quali in tante parti del mondo viene impedito di giocare, di andare a scuola. Sono bambini oggetto di violenze, ma “nessun bambino - diceva Iqbal Masih - dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”. Raffaele K. Salinari, presidente di "Terres des Hommes - Italia":

    R. – Essere costretto a lavorare per conto terzi, spesso senza salario, è una delle forme di schiavitù classiche: l’Organizzazione internazionale del lavoro ci dice che sono ancora quasi 200 milioni i bambini che lavorano in stato di schiavitù, cioè che sono attaccati a una macchina, a un telaio, costretti a costruire dal punto di vista manifatturiero qualche cosa. Quindi, parliamo del 10 per cento della popolazione minorile nel mondo, prevalentemente concentrata in Asia e nell’Africa subsahariana. Però, queste forme di schiavitù “classiche” oggi sono anche ampiamente sorpassate da nuove forme di schiavitù che noi conosciamo poco o che non riusciamo a capire in tutta la loro ampiezza, ma che rappresentano – a nostro modo di vedere, come "Terres des Hommes" – nuove forme di schiavitù ancora più gravi, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Un esempio eclatante è quello delle nuove schiavitù sessuali, al di là della prostituzione infantile, che è sempre un fenomeno gigantesco, abbiamo nuove frontiere: per esempio, lo sfruttamento della sessualità infantile via webcam. Noi abbiamo fatto un esperimento, qualche mese fa, come "Terres des Hommes International", immettendo sul mercato della prostituzione via webcam, una bambina virtuale, "Sweetie"’, che diceva di avere 11 anni e di essere filippina: in un mese, ha ricevuto più di 150 mila proposte via webcam da uomini di tutto il mondo. Questo è uno dei tanti esempi delle nuove forme di sfruttamento del corpo infantile che, appunto, vengono tenute in scarsissima considerazione dai legislatori internazionali, ma che vanno evidenziate.

    D. – In questi anni, ci sono stati progressi non solo nella sensibilizzazione nei riguardi di questo fenomeno, ma nella lotta alla schiavitù infantile?

    R. – Decisamente sì per ciò che riguarda le forme “classiche”, quelle dello sfruttamento della manualità infantile, manifatturiera, bambini che costruiscono i palloni o intrecciano i fili dei nostri tappeti. Fino a dieci anni fa, erano 300 milioni questi bambini, quindi una cifra gigantesca, oggi sono tra i 200 e i 250 milioni. Quindi, in particolare in alcune parti del mondo, notoriamente in America Latina, sono stati fatti grandi progressi sulle forme conosciute. D’altra parte, però, c’è ancora una scarsa considerazione e consapevolezza, sia dal punto di vista dell’opinione pubblica, sia dal punto di vista quindi del legislatore, rispetto a nuovi fenomeni che invece vanno portati alla luce del sole e che quindi devono essere regolamentati e combattuti come sono state combattute le forme “classiche”.

    Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), oltre 10 milioni di bambini lavorano come servi domestici, oltre la metà avrebbero tra i 5 e i 14 anni. Per l’Ilo, questa piaga riguarda tutto il mondo, ma è concentrata in particolar modo nell’Africa subsahariana. Questi bambini, sfruttati nella cura della casa e per assistenza agli anziani, sono spesso sottoposti a violenze, fisiche, psichiche e sessuali. Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Missione, esperta di Africa:

    R. – Ho ritrovato bambini sfruttati per i lavori domestici in molti contesti dell’Africa e, in particolare, in Africa occidentale. In Nigeria, questo fenomeno è estremamente diffuso: molti bambini nigeriani vengono sfruttati in situazioni di reclusione all’interno delle case delle famiglie più benestanti nei lavori domestici, non hanno alcuna libertà e spesso vengono maltrattati. Sono nigeriani ma provengono anche dai Paesi limitrofi, in particolare Benin e Togo, dove, a causa della gravissima povertà, le famiglie li mandano nelle case di gente benestante, con la promessa spesso che verranno fatti studiare. In realtà, una volta lì vengono reclusi, segregati e sfruttati pesantemente. Non hanno la libertà di muoversi, di uscire di casa e vengono costretti ai lavori domestici, anche molto pesanti a volte. In alcune situazioni, ci sono anche abusi sessuali.

    D. – Un altro aspetto è lo sfruttamento dei bambini, la riduzione in condizioni di schiavitù, per la mendicità. Questo è un fenomeno che purtroppo abbraccia tanti Paesi, ma molto sentito in Africa, soprattutto in Senegal...

    D. – Sì, riguarda un po’ tutta la regione del Sahel, Senegal, Mali, una parte del Burkina, il Niger e così via, ed è legato molto spesso alle scuole coraniche, dove i cosiddetti allievi talibé, così vengono chiamati, sono costretti ad andare nelle strade a chiedere l’elemosina. Questa è una pratica molto diffusa, che però prende, in alcuni contesti e in alcuni casi, la connotazione di un vero e proprio sfruttamento. Questi bambini sono costretti a farlo e spesso subiscono delle violenze se non raccolgono abbastanza soldi, vivono in condizioni estremamente precarie, in mancanza dei beni di prima necessità, passando molto del loro tempo lungo le strade per cercare di recuperare qualche soldo o qualcosa da portare poi al maestro.

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    Presentata la Giornata dei bambini vittime della violenza. Don Di Noto: necessario più impegno

    ◊   Ad Avola, in provincia di Siracusa, conferenza stampa stamattina per presentare la 18.ma “Giornata dei Bambini vittime della violenza, dello sfruttamento, della indifferenza contro la pedofilia”, organizzata dall’Associazione "Meter Onlus" di don Fortunato Di Noto. Tema di quest’anno: “Senza scarti, con incrollabile impegno”. La Giornata ha ottenuto l’adesione del presidente della Repubblica e si terrà il 4 maggio prossimo, ma fin dal 25 aprile vedrà numerose attività in diverse città in Italia e all’estero. Quella della pedofilia è un’emergenza che non si ferma: quella on line conta, dal 2003 al 2013, oltre 100 mila siti segnalati alle autorità competenti dalla sezione monitoraggio di Meter. Adriana Masotti ha intervistato lo stesso don Di Noto:

    R. - I numeri rappresentano certamente la drammatica realtà in cui versa l’infanzia riguardo all’adescamento, alla pedofilia, allo sfruttamento sessuale in Italia e a livello mondiale. I numeri sono veramente tragici, e questo impone - comunque sia - un impegno ulteriore, cioè azioni concrete di prevenzione, di informazione e - perché no - anche di formazione. Impegnarsi per un ventennio riguardo questi fenomeni ci porta a dire che si è fatto tanto, si può fare ancora e si possono salvare tante vittime.

    D. - Nel tempo, anche il fenomeno della pedofilia ha visto dei cambiamenti. Vuol dirci quali sono le ultime frontiere di questo dramma?

    R. - Io vorrei ribadire che il fenomeno della pedofilia in tutte le sue manifestazioni aberranti è una nuova forma di schiavitù. Questo forse è un concetto che passa poco: la nuova forma di schiavitù è sottomettere i bambini piccolissimi - da zero a dodici anni - a una forma di sfruttamento che va al di là dell’immaginazione. Ecco, non stiamo parlando di scivoloni sessuali: qui stiamo parlando di vere e proprie organizzazioni criminali che passano attraverso il web. Il web è quello che noi conosciamo come il "visibile", ma oggi esiste un’altra forma che da due anni a questa parte si è ingrandita, il cosiddetto “deep web”, cioè il web nascosto, 550 volte molto più grande del web conosciuto, dove avvengono i traffici più impensabili che non riguardano solamente lo sfruttamento dei bambini nella produzione, nella diffusione e nella vendita materiale video e foto. Tutto questo alimenta un business criminale quasi inquantificabile, parliamo di miliardi di euro. Le nuove frontiere - i social network - diventano uno dei luoghi dove la fragilità umana può essere condizionata sempre di più da persone che vogliono rapire l’intimità dei minori. È un impegno, bisogna lavorarci sempre, e non abbassare mai la guardia.

    D. - Lei vede questo impegno nella società, nella politica, in generale? Ricordo che anche la sua Associazione era a rischio di chiusura, non so se adesso le cose si siano sistemate…

    R. - No, le cose non si sono affatto sistemate, c'è sempre il rischio di chiusura, e abbiamo dovuto, ahimè, licenziare i nostri operatori che coordinavano alcuni servizi importanti. C’è quasi una mancanza di sensibilità, non dico istituzionale perché alla giornata di bambini vittime aderiscono anche il presidente della Repubblica e tanti vescovi che stanno già mandando messaggi e stanno coinvolgendo moltissime comunità diocesane. Tra non molto, uscirà un bellissimo testo nel quale saranno raccolti tutti i messaggi di Benedetto XVI, di Papa Francesco e anche di 70 vescovi italiani che negli ultimi dieci anni hanno condiviso questa giornata. Quindi, stiamo dicendo che a livello istituzionale, ma anche di singoli che vogliono aderire e contribuire per quanto sia possibile, abbiamo avuto un buon riscontro. Però, abbiamo le nostre difficoltà. Dall’altra parte, non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha una legge all’avanguardia per quanto riguarda la tutela dei bambini e soprattutto contro le forme di abuso sessuale, la pedopornografia, la pedofilia. Teniamo conto che anche la Santa Sede ha fatto dei passi straordinari, innovativi. Quindi, le istituzioni reagiscono. Il problema nasce dal fatto che poi dobbiamo accompagnare le vittime, in processi magari lunghi: 11 anni, 15 anni... Quindi, non c’è la celerità della pena certa. C’è la fatica dell’accompagnamento alle famiglie che devono togliere le radici dai loro ambienti per andare a vivere fuori: i bambini che crescono vengono additati come quelli che hanno fatto il danno, non come coloro che lo hanno subito. Quindi, è una fatica. Questa giornata è diventata un appuntamento di sensibilizzazione, di commemorazione, un incoraggiamento.

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    Poletti: il lavoro a tempo indeterminato costi di meno, puntare sull'economia sociale

    ◊   ''Il contratto a tempo indeterminato deve costare di meno di quello a termine'' di almeno il 10%. Così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che oggi è intervenuto alla presentazione del censimento Istat sul volontariato. Poletti ha riconosciuto che “occorre costruire attorno all'economia sociale e solidale il futuro del Paese”. Alessandro Guarasci:


    Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, fa sapere che il "Jobs act" del governo potrà essere operativo entro i primi sei mesi del 2015. In sostanza, cambiano le regole sull’apprendistato, meno vincoli sulla reiterazione dei contratti a termine, più formazione per i lavoratori. Norme che incideranno anche sulle imprese sociali. Si tratta di oltre 300 mila soggetti, in aumento del 28% in dieci anni, che impiegano 4 milioni e 700 mila volontari. Un milione di questi ha meno di 29 anni. La metà dei volontari è donna, e a questi numeri vanno aggiunti oltre 680 mila dipendenti. Lombardia e Lazio le regioni più dinamiche. I settori in cui il no-profit è più presente sono la cooperazione internazionale, la sanità, l’assistenza sociale. Ora, questo mondo chiede anche un maggior riconoscimento normativo e fiscale. Renzi prevede una legge delega, ma per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti bisogna anche agire sul piano culturale:

    “Il parlamento fa la propria parte con le norme, il governo altrettanto. Ma qui sono in campo gli enti locali, il volontariato, l’associazionismo. Quindi, bisogna vedere anche come gli interessati approcciano il tema. Prima dobbiamo affermare un’idea di società, e poi la realizziamo attraverso i procedimenti”.

    Per Poletti, proprio sul no-profit possono puntare i giovani per costruire il loro futuro.


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    "Giornata del cuore": negli ospedali camilliani visite mediche gratuite

    ◊   Si celebra oggi la Giornata Camilliana del Cuore, l'iniziativa promossa dall'Ordine dei Ministri degli Infermi. Ospedali camilliani aperti a tutti i pazienti per visite e screening gratuiti. Nel segno della prevenzione. Ce ne parla Davide Dionisi:

    “Quando vi dedicate agli ammalati, mettete più cuore in quelle mani!”. Il monito del gigante della carità, San Camillo de Lellis, risuona forte lungo le corsie dei nosocomi di tutta Italia a lui intitolati. Si celebra oggi, infatti, la prima edizione della “Giornata camilliana del cuore” e per tutti i pazienti che si recano in ospedale vengono effettuate visite gratuite per prevenire il rischio cardiovascolare. L’iniziativa è promossa dall’Ordine dei Ministri degli Infermi in occasione del quarto centenario della morte dell’Apostolo di Bucchianico e mira a favorire una adeguata consultazione medica in ambito cardiologico, in un periodo in cui molte persone, per i tagli alla spesa sanitaria, sono costrette a rinunciare a un’assistenza mirata e professionale. Parola d'ordine, dunque, è prevenzione. Ci spiega perché il prof. Gerardo Ansalone, primario di Cardiologia, dell'Ospedale Vannini di Roma:

    “L’iniziativa è molto, molto interessante e molto importante, sia dal punto di vista sociosanitario che dal punto di vista anche culturale e direi anche scientifico, perché sono iniziative anzitutto antesignane in un ambito che ancora non è stato divulgato e sviluppato, che è quello della prevenzione. Nonostante la prevenzione sia nota e studiata e applicata in tutto il mondo, in realtà un paziente su quattro è realmente a target dei suoi fattori di rischio. Questo significa che solo un paziente su quattro controlla bene la pressione, il colesterolo, il diabete e tutti gli altri fattori di rischio. Quindi, la prevenzione è un obiettivo molto ambizioso e difficile da raggiungere e lo si può raggiungere solo con sforzi come questi che debbono essere all’insegna di un’organizzazione sanitaria, ma anche di un volontariato efficace”.

    Iniziative come queste sono molto importanti soprattutto nelle periferie delle grandi città. Ci ha spiegato perché suor Laura Cortese delle Figlie di San Camillo:

    “L’Ospedale Vannini, Istituto Figlie di San Camillo, con gioia ha aderito alla 'Giornata del cuore' organizzata dai religiosi camilliani nei 400 anni della nascita al cielo di San Camillo. Questa iniziativa per noi rientra in quello che diceva San Camillo: 'Più cuore nelle mani!', ma soprattutto quel cuore di madre. Un cuore di madre sa prevenire: quindi, fare le visite cardiologiche per la prevenzione di malattie cardiovascolari rientra proprio in questo, specialmente per il nostro ospedale che si trova in periferia, dove abbiamo molte povertà e spesso le persone non possono permettersi – specialmente gli stranieri – il costo di alcune visite”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Sud Corea: 4 morti e 292 dispersi nel naufragio di un traghetto

    ◊   4 morti accertati e 292 dispersi. Rischia di trasformarsi in una tragedia pesantissima il naufragio del traghetto sudcoreano Sewol, avvenuto questa mattina, con a bordo quasi 480 persone, di cui 325 studenti delle superiori. Le vittime accertate - riferisce l'agenzia Ansa - sono 4, di cui uno studente e una giovane donna dell'equipaggio, ma l'alto numero dei dispersi ha trasformato i soccorsi in una vera e propria lotta contro il tempo col traghetto colato a picco e ribaltatosi in pochissime ore.

    Il governo aveva in precedenza annunciato che erano state salvate 368 persone, ma da un successivo conteggio e' emerso il vistoso errore, con l'ammissione del nuovo numero di dispersi. A molte ore dall'incidente, appena 164 persone sono state tratte in salvo tra i timori crescenti che molti dei passeggeri possano essere rimasti intrappolati all'interno della nave affondata. A dare un timido ottimismo c'e' l'ipotesi di un conteggio che non tiene conto dell'intervento di pescherecci e imbarcazioni private accorse sul luogo dell'affondamento. Il Sewol, nave da 6.325 tonnellate, trasportava 477 persone, poco piu' della meta' dei 921 di capacita' massima, ed era diretto all'isola meridionale di Jeju, meta turistica molto popolare.

    Sul traghetto c'erano 325 studenti di un liceo di Ansan, a sud di Seul, in una gita scolastica per quattro giorni. La nave ha lanciato la richiesta di soccorso alle 8:58 locali (l'1:58 in Italia), a 20 km al largo dell'isola di Byeongpoong. Non e' ancora chiara la dinamica dell'incidente, ma le prime testimonianze hanno menzionato un fortissimo boato prima che la nave, improvvisamente, cominciasse ad affondare inclinandosi su un lato, rilanciando le speculazioni su un impatto con una roccia sott'acqua o di una collisione con un'altra nave.

    Le immagini televisive trasmesse in diretta hanno mostrato la nave, colata a picco in due ore, con tutto l'equipaggio al lavoro per favorire l'evacuazione. Alle operazioni di soccorso sono impegnate circa 40 unita' tra motovedette della guardia costiera, navi militari ed elicotteri, con tanto di unita' subacquee speciali. (R.P.)

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    Caritas Europa: presentato a Strasburgo il Rapporto sulla fame nel mondo

    ◊   “Nessuno dovrebbe morire a causa della mancanza di cibo. Nessuno dovrebbe soffrire la fame. Questo è un imperativo morale con priorità assoluta”: Jorge Nuño Mayer, segretario generale di Caritas Europa, ha presentato nella sede dell’Europarlamento a Strasburgo, un rapporto dell’organizzazione cattolica intitolato “Il ruolo dell’Unione europea per porre fine alla fame entro il 2025”. Il documento -riferisce l'agenzia Sir - discusso con alcuni eurodeputati, affronta sei temi principali, che toccano sfere di competenza comunitaria: il diritto al cibo, visto come diritto umano fondamentale; l’agricoltura; ambiente e mutamenti climatici; la nutrizione; “building resilience”; la coerenza delle politiche per lo sviluppo, settore nel quale l’Ue è il primo donatore mondiale. Caritas Europa sostiene che l’Ue “dovrebbe sostenere l’eliminazione della fame nel mondo come una priorità” per l’agenda dei prossimi anni, e “spingere per la chiara definizione di un obiettivo ‘Fame zero’, affrontando tutte le cause della fame”. La relazione, disponibile sul sito , contiene anche una serie di raccomandazioni su come “creare sistemi alimentari sostenibili”, con l’impegno a eradicare la fame nel prossimo decennio. Caritas Europa denuncia che oggi “un miliardo di persone sono denutrite, mentre 3 milioni di bambini muoiono ogni anno” a causa di sottosviluppo e denutrizione. (R.P.)

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    Venezuela: secondo incontro tra governo e opposizione

    ◊   No a una legge di amnistia, ma disponibilità a creare un team di lavoro per avviare colloqui sulla questione dei detenuti e degli esiliati: così si è espresso il governo nel secondo incontro con l’opposizione nell’ambito del dialogo avviato la settimana scorsa per porre fine alla crisi che scuote il Venezuela dall’inizio di febbraio. “Cercheremo altre strade” ha detto il segretario esecutivo della coalizione dell’opposizione Mesa de la Unidad Democrática (Mud), Ramón Guillermo Aveledo. All’incontro - riporta l'agenzia Misna - hanno partecipato esponenti dell’Unasur (Unione delle nazioni sudamericane) e il nunzio, Aldo Giordano.

    Si è parlato anche dell’oppositore agli arresti Iván Simonovis, per il quale è stata accordata la creazione di una squadra medica che lo esaminerà per verificare il suo stato di salute, in vista di una possibile grazia. (R.P.)

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    Cuba: per la prima volta la Via Crucis trasmessa in televisione

    ◊   Anche quest’anno — come avviene da dopo la visita pastorale compiuta da Benedetto XVI nel marzo del 2012 — la Chiesa cattolica di Cuba potrà avere i tradizionali spazi radiofonici e televisivi per diffondere i principali riti della Settimana santa. Per la prima volta, però, sarà trasmessa la Via crucis. Lo rende noto L’Osservatore Romano. La novità per il 2014 è stata annunciata con un breve comunicato a cura del segretariato generale della Conferenza episcopale dell’isola, retto dal vescovo ausiliare di San Cristóbal de La Habana, Juan de Dios Hernández Ruiz.

    La televisione, si legge nel comunicato, oggi alle ore 9, trasmetterà attraverso le frequenze del Canale Educativo (in differita), la Via crucis (escenificación de la Pasión del Señor) che è stata messa in scena il Lunedì santo, nella cattedrale della capitale. In questi ultimi anni, come si ricorderà, nell’isola araibica i vescovi hanno potuto accedere periodicamente alle frequenze delle numerose e molto ascoltate stazioni radio e anche alla televisione, in occasioni speciali: il Natale — che da molti anni è tornato a essere festa nazionale — e la domenica di Pasqua. Nel 2012, pochi giorni dopo la visita di Benedetto XVI, il cardinale arcivescovo di San Cristóbal de La Habana, Jaime Lucas Ortega y Alamino, ha potuto anche trasmettere in televisione un messaggio per il Venerdì santo. Cosa inaudita per Cuba per oltre 40 anni.

    Il 31 marzo 2012, tre giorni dopo la partenza di Papa Ratzinger, il quotidiano «Granma», organo ufficiale del partito comunista, riferì che, così come il presidente Raúl Castro aveva anticipato in privato a Benedetto XVI nell’aeroporto «José Martí» dell'Avana, il 6 aprile successivo — Venerdì santo — sarebbe stato dichiarato giorno di festa. La richiesta era stata fatta dal Papa nel corso della sua visita. Una cosa simile era già accaduta nel 1997 quando l’allora presidente Fidel Castro stabilì che il 25 dicembre fosse giorno di festa in vista della visita che Giovanni Paolo II avrebbe fatto nell’isola nel gennaio 1998. (R.P.)

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    Iraq: Messaggio di Pasqua del Patriarca Sako, con un pensiero alle elezioni

    ◊   “Auguro che le celebrazioni della Santa Pasqua, Pasqua di Resurrezione e di vita nuova, mettano fine alla sofferenza del nostro popolo”. E’ questo l’auspicio conclusivo contenuto nel messaggio per la Pasqua diffuso dal Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael I Sako. “Nonostante la preoccupante situazione in cui viviamo in Iraq” sottolinea il Patriarca caldeo nel messaggio pervenuto all’Agenzia Fides, le celebrazioni della Settimana Santa “rendono viva la nostra memoria cristiana e ci donano una speranza viva. Gesù è il cuore di questi avvenimenti, il suo corpo distrutto e poi risorto è la forza che ci spinge verso la vita nuova. Anche nei momenti bui, la sua risurrezione sorge come il sole su di noi e sull’umanità”.

    Il patriarca Sako invita tutti a far tesoro della Settimana Santa e del tempo pasquale per “esaminare la nostra vita e scoprire ciò che ci chiede il festeggiato, che è Cristo”, a “incontrarci nelle nostre chiese e case per festeggiare, pregare, ringraziare, gioire insieme e aiutandoci reciprocamente” e a essere per tutti, in ogni situazione, “esempio vivente nella vita comunitaria attraverso il nostro comportamento, la lealtà, la nostra rinuncia e il nostro amore” per “rafforzare l’appartenenza alla Patria eliminando la discordia e seminando la speranza”. Con questo spirito – ha aggiunto il Patriarca - “non si rimane nella condizione di sentirsi minacciati, nonostante il nostro numero”.

    Il messaggio di Pasqua offre al Capo della Chiesa caldea anche l'occasione di sottolineare l'importanza del prossimo appuntamento elettorale a cui è chiamato un Paese ancora dilaniato dalle violenze settarie: “Dobbiamo partecipare numerosi alle prossime votazioni con spirito di responsabilità” scrive il Patriarca Sako, suggerendo di orientare il consenso elettorale verso “persone qualificate e leali, che si impegnano per il bene della Patria e per il suo progresso, puntando sui veri valori della libertà, della dignità e della giustizia sociale”.

    Le elezioni nazionali, in programma il prossimo 30 aprile, dovranno selezionare i 325 membri del Parlamento (con 5 seggi riservati ai cristiani), chiamati a loro volta a eleggere il Presidente e il Primo Ministro iracheni, nel rispetto del sistema che riserva la carica presidenziale a un curdo e quella di Primo Ministro a uno sciita. (R.P.)

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    Egitto: i candidati Sabbahi e al-Sisi alla Veglia pasquale copta celebrata dal Patriarca Tawadros

    ◊   I candidati alle elezioni presidenziali egiziane Abdel Fattah al-Sisi e Hamdeen Sabbahi potrebbero partecipare ambedue alla veglia pasquale che si terrà sabato sera nella cattedrale di San Marco, nel quartiere di Abbasiya al Cairo. L'indiscrezione, fatta filtrare da fonti della Chiesa copta ortodossa e poi confermata anche da esponenti del comitato elettorale di al-Sisi, è stata rilanciata dalla stampa egiziana mentre tutte le Chiese cristiane presenti in Egitto si apprestano a celebrare nello stesso giorno la Pasqua di Resurrezione. La liturgia sarà celebrata dal patriarca copto ortodosso Tawadros II. La sicurezza intorno alla cattedrale sarà assicurata dalle forze di polizia e dell'esercito, affiancate da volontari della comunità copta.

    L’ex generale al-Sisi, che ha già presentato le firme necessarie a sostegno della sua candidatura, è riconosciuto da tutti gli osservatori come il favorito alle prossime elezioni presidenziali del 27-28 maggio. Di recente il generale ha dichiarato che “la questione religiosa è la battaglia e la sfida più grande che il popolo egiziano si trova a affrontare”, auspicando il prevalere di “una nuova visione” e di una “moderna, adeguata comprensione della religione islamica”. (R.P.)

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    India. Fermato il braccio destro di Narendra Modi: incita all'odio contro i musulmani

    ◊   Un duro colpo per Narendra Modi, leader nazionalista indù candidato premier del Bharatiya Janata Party (Bjp) e dato come superfavorito alle elezioni generali dell'India in corso: il suo braccio destro è stato bandito da futuri comizi elettorali dopo una serie di dichiarazioni contro la comunità musulmana. Si tratta di Amit Shah, da anni al fianco di Modi e direttore della sua campagna elettorale in Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso del Paese.

    Il 13 aprile scorso - riporta l'agenzia AsiaNews - la Commissione elettorale ha annunciato la sua decisione, spiegando che i commenti di Shah promuovevano "odio e cattive intenzioni" tra le religioni del Paese. Per questo, l'organismo che sovrintende il voto ha chiesto alla polizia di formalizzare le accuse contro di lui. Il politico, tra l'altro, è in libertà su cauzione con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio di tre persone, che stavano pianificando di uccidere Modi.

    Le dichiarazioni a cui fa riferimento la commissione risalgono all'inizio di aprile, durante un comizio tenuto in una zona dell'Uttar Pradesh dove lo scorso anno ci sono state violenze tra le comunità indù e islamica. Nell'incontro Shah ha esortato i presenti a non votare per i partiti con candidati musulmani, spiegando che questi avevano “stuprato, ucciso e umiliato gli indù”.

    I rapporti tra indù e musulmani sono stati un tema di cui si è molto discusso nei mesi precedenti a queste elezioni. Su Modi pesano ancora i massacri avvenuti in Gujarat nel 2002 tra le due comunità, per i quali è considerato responsabile da molti, anche nella comunità cristiana. All'epoca a pagare i prezzo più alto furono i musulmani, con quasi mille morti e centinaia di feriti.

    Modi - tre volte consecutive chief minister dello Stato - ha sempre negato ogni coinvolgimento e pregiudizio personale nei confronti della comunità islamica. Tuttavia non ha mai chiesto scusa per quanto accaduto; in più occasioni ha rilasciato commenti offensivi contro i musulmani; molti suoi sostenitori sono apertamente anti-islamici.

    In India circa il 13% delle persone è di fede islamica. Con una popolazione di 200 milioni di persone (superiore a quella del Brasile), lo Stato settentrionale dell'Uttar Pradesh è considerato uan pedina cruciale per le elezioni, senza la quale è impossibile vincere e formare il nuovo governo. (R.P.)

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    Cina. A Dongguan riprende lo sciopero del tessile: in 40 mila incrociano le braccia

    ◊   Lo sciopero dei lavoratori del tessile di Dongguan, proclamato lo scorso 14 aprile 2014 e interrotto ieri dopo "colloqui" con gli imprenditori locali, è ripreso questa mattina. Circa 40mila operai, tutti impiegati nelle 7 fabbriche della Yue Yuen, hanno interrotto la lavorazione e sono uscite dalla fabbrica per protestare contro il trattamento salariale. Per i dirigenti della compagnia, ad aderire allo sciopero sono state solo 1000 persone.

    La Yue Yuen - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha contratti di partnership con colossi del tessile internazionale come Nike, Adidas e Timberland. I lavoratori chiedono un miglior salario, assicurazione sanitaria, agevolazioni sulle abitazioni e risarcimento in caso di incidenti sul lavoro. I temi sono quelli che hanno reso il manifatturiero cinese il più competitivo al mondo: protetti da una legislazione carente, e comunque quasi mai applicata, i big della produzione industriale hanno delocalizzato sempre di più nel "dragone d'Asia" per ottenere profitti maggiori. Le proteste sociali e i primi scioperi, che si verificano a cadenza regolare oramai da circa tre anni, dimostrano che la popolazione non ha più intenzione di accettare queste condizioni.

    Dopo la prima marcia degli scioperanti, avvenuta nel pomeriggio del 14 aprile alla presenza di centinaia di poliziotti, la Yue Yuen ha annunciato un nuovo piano di benefit sociali per i proprio operai e ha chiarito che lo sciopero ha influito in maniera "media" sulla produzione. Ma i lavoratori sembrano intenzionati ad andare avanti, anche per sanare le posizioni pregresse soprattutto dal punto di vista pensionistico.

    Un operaio di circa 40 anni, che non vuole essere nominato, dice: "Molti di noi hanno fatto delle ricerche e hanno scoperto che i contributi versati per il nostro lavoro erano inferiori a quelli denunciati. Qualcuno si è ritrovato con una pensione inferiore a quanto dovuto. È una situazione che va avanti da due decenni. Non ci fermeremo fino a che non saremo ascoltati". (R.P.)

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    Don Oreste Benzi: parte ufficialmente la Causa di beatificazione

    ◊   Parte ufficialmente la Causa di beatificazione e canonizzazione di don Oreste Benzi. Il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, ha annunciato oggi ai sacerdoti della diocesi riuniti in presbiterio presso il seminario intitolato al fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, di aver firmato il Decreto per l’introduzione della Causa. Si apre così il processo diocesano sulla vita, virtù e fama di santità dell’“infaticabile apostolo della carità”, come lo definì Benedetto XVI.

    “Il vescovo - spiega la postulatrice della Causa, Elisabetta Casadei - è arrivato a questo passo importante dopo aver ricevuto il nulla osta dalla Santa Sede e sentito il parere positivo dei confratelli nell’episcopato della regione Emilia Romagna”. Nel decretare l’avvio della Causa, prosegue la postulatrice, “il vescovo Lambiasi invita ogni fedele della nostra diocesi e, possibilmente, di tutte quelle in cui don Oreste è vissuto, a fornirgli notizie utili, sia pro che contro la causa, e a fargli pervenire anche gli scritti di don Benzi che, eventualmente, possono essere in possesso dei fedeli”.

    La causa entra così nel pieno del processo canonico, che si divide in due fasi: il vaglio degli scritti pubblicati di don Oreste e poi l’ascolto dei testimoni. Il vescovo Lambiasi nominerà quindi alcuni periti teologi per la prima fase, consegnando loro i libri e gli articoli che ho provveduto a raccogliere, affinché sia esaminato se contengono qualcosa contro la fede e la morale cattolica. In concomitanza, nominerà anche una Commissione di storici, che avrà il compito di ricercare gli scritti non pubblicati di don Benzi e ogni altro documento che riguarda la causa, come per esempio quelli civili ed ecclesiastici. (R.P.)

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    Kenya. Il card. Njue: “Garantire la sicurezza nel rispetto dei diritti umani”

    ◊   Coniugare le esigenze di sicurezza con il rispetto dei diritti umani, senza discriminazione di religione, tribù o etnia. È quanto hanno chiesto le principali confessioni cristiane del Kenya per bocca del card. John Njue, arcivescovo di Nairobi, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella chiesa di Tutti i Santi della capitale keniana, rivolgendo un messaggio comune ai fedeli per la Pasqua.

    In Kenya - riferisce l'agenzia Fides - dopo gli ultimi attentati attribuiti agli Shabaab somali, le forze di sicurezza hanno varato una vasta campagna di ricerca dei sospettati, che ha sollevato critiche e preoccupazioni da parte di diverse agenzie umanitarie per il timore di discriminazioni nei confronti dei rifugiati e dei cittadini di origine somala. Dal 4 aprile ben 4.000 persone sono state arrestate in tutto il Kenya e in particolare nel quartiere somalo di Nairobi, Eastleigh. Dopo essere stati detenuti in centri di polizia o negli stadi per essere identificati e interrogati, una parte dei fermati sono stati poi rilasciati mentre 82 somali sono stati espulsi dal Paese.

    “Facciamo appello al Presidente e alle principali agenzie governative perchè intensifichino gli sforzi per garantire un Paese sicuro per le attuali e future generazioni” ha detto il cardinale. Allo stesso tempo ha chiesto alle agenzie di sicurezza di condurre le operazioni in modo da “preservare la dignità della vita che deve rimanere una priorità”.

    Il card. Njue ha ricordato la diffusione di armi illegali nel Paese, che ha raggiunto livelli “allarmanti” e che contribuisce ad aumentare i crimini violenti. “Rapine a mano armata, abigeato, bracconaggio, stupri e altri crimini minori devono essere affrontati” ha affermato il Cardinale, che ha denunciato la “negligenza e la corruzione che stanno dietro ad ogni arma illegale”. (R.P.)

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    Honduras: appello per chiarire l'omicidio di un dipendente di Radio Progreso dei Gesuiti

    ◊   Un'altra persona che lavora nei media popolari è stata assassinata in Honduras: si tratta di Carlos Hilario Mejia Orellana, responsabile marketing e vendite di “Radio Progreso”, emittente dei gesuiti, e membro dell’Equipe di Riflessione, Investigazione e Comunicazione (Eric) della Compagnia di Gesù in Honduras. L’uomo - riferisce l'agenzia Fides - è stato accoltellato a morte venerdì 11 aprile nella sua abitazione nella città di Progreso, dipartimento di Yoro, al nord del Paese, nonostante godesse di misure di protezione individuale assegnategli dalla Commissione Inter-Americana dei Diritti Umani già dal 2009.

    “Questo atto criminale contro il nostro compagno di squadra Carlos Mejía Orellana – afferma nella comunicazione pervenuta a Fides il sacerdote gesuita Ismael Moreno, dirigente della radio e membro anche lui dell’ERIC - è un colpo contro il nostro lavoro, contro la nostra istituzione e quindi dobbiamo denunciare questo fatto, perché viola il lavoro della comunicazione, violando il nostro diritto alla libertà di espressione e viola la vita di ogni membro della nostra équipe. Per noi è altamente sospetto che questo atto criminale sia avvenuto proprio alla vigilia della Settimana Santa, quando tutto si chiude per le feste, particolarmente le istituzioni responsabili di amministrare la giustizia”.

    L’appello ad una indagine seria e rigorosa, per chiarire le circostanze dell’omicidio e punire i colpevoli, è stato lanciato dalle Ong che lavorano nella zona, da Reporters senza Frontiere, con il sostegno di padre Ismael Moreno. (R.P.)

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    Appello al governo italiano perchè “chieda l'abrogazione della blasfemia in Pakistan”

    ◊   Un appello giunge al governo italiano dalla Federazione delle Associazioni Pakistane in Italia: Adan Farhaj Bakhsh, presidente della Federazione, in un messaggio inviato all'agenzia Fides, chiede al governo italiano “di attivarsi presso il governo pakistano e chiedere l'abrogazione della legge sulla blasfemia in Pakistan”.

    L’appello è stato raccolto, con una mozione approvata all’unanimità, dal Consiglio regionale delle Marche. “La denuncia del presidente della Federazione, che ha chiesto il nostro sostegno, è chiara. Questa legge prevede la pena di morte per chi manca di rispetto al profeta Maometto, ed è spesso utilizzata per vendette e scopi privati, abbattendosi in particolare contro le minoranze religiose in Pakistan”, afferma la mozione, inviata a Fides.

    Il testo approvato prosegue: “La libertà di parola e la libertà di religione costituiscono un fondamentale diritto per ogni individuo: non possiamo restare indifferenti. L’85% dei casi di denunce di blasfemia sono falsi. Il cristiano Sawan Masih è una delle più recenti vittime di questa legge, condannato a morte per ingiuste accuse di blasfemia. I coniugi Shafqat e Shagufta Emmanuel (condannati per un sms blasfemo, ndr) e Asia Bibi sono solo alcuni tra coloro che sono ingiustamente detenuti, sui quali pesa una condanna a morte per blasfemia. Ogni nazione dovrebbe alzare la voce contro queste ingiustizie e chiedere con forza al governo pakistano la liberazione degli innocenti incarcerati e l'abolizione di questa legge iniqua che soffoca l'essenza della libertà”, conclude la mozione. (R.P.)

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    Al meeting "Sui passi di Francesco" sottoscritta la Carta di Assisi

    ◊   “La pace è un diritto umano fondamentale della persona e dei popoli, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti umani. Un diritto che deve essere effettivamente riconosciuto, applicato e tutelato a tutti i livelli, dalle nostre città all’Onu”. Inizia così - riferisce l'agenzia Sir - la Carta di Assisi, che stamattina hanno sottoscritto i duemila studenti, che hanno partecipato al meeting nazionale delle scuole per la pace, la fraternità e il dialogo “Sui passi di Francesco”, che si è tenuto ad Assisi. “La pace non è solo assenza di guerra ma il frutto maturo della giustizia e del pieno rispetto dei diritti umani di tutti. Il frutto possibile dell’impegno costante di tutti e di ciascuno, governi, istituzioni e cittadini - prosegue la Carta -.

    Per giungere alla pace è dunque necessario educare alla pace: perché ogni bambino, ogni bambina, ogni ragazza, ogni ragazzo possano essere costruttori di pace, artigiani della pace. Educare alla pace è responsabilità di tutti ma la scuola ha una responsabilità speciale”. Per questo studenti, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, rappresentanti di istituzioni e associazioni laiche e religiose, amministratori di Enti locali e Regioni riuniti ad Assisi sui passi di Francesco hanno preso otto impegni.

    Il primo impegno è “educare ed educarci alla pace, alla fraternità e al dialogo” e il secondo “fare in modo che la scuola sia un luogo di pace, dialogo e fraternità”. Il terzo consiste nel “fare in modo che, incamminandosi sui passi di Francesco, tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, gli studenti e le studentesse possano scoprire il significato autentico dei valori universali della pace, della fraternità e del dialogo” e il quarto nel “vivere l’educazione alla pace, ai diritti umani e alla cittadinanza democratica come ‘sfondo integratore’ dell’intero processo formativo”.

    Ancora ci sono l’impegno a favorire la pace intesa “come promozione e rispetto dei diritti umani di tutti, come promozione della giustizia, della democrazia, della legalità, del dialogo, dell’interculturalità, della solidarietà, del bene comune” e a rendere ciascuno “consapevole dei propri doveri, delle proprie responsabilità e delle proprie possibilità di contribuire in prima persona alla costruzione della pace”.

    Gli ultimi due impegni sono “elaborare piani dell’offerta formativa territoriale in cui scuola ed enti locali condividano la lettura dei bisogni della comunità e la sperimentazione delle risposte adeguate” e far sì “che le scuole dell’autonomia diventino luoghi di formazione alla cittadinanza democratica inclusiva per tutta la comunità locale”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 106

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.