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Sommario del 14/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: il seminario non è un rifugio, guai ai pastori che pascolano se stessi e non il gregge
  • Le celebrazioni di Papa Francesco per il Triduo Pasquale
  • Il Papa al Divino Amore il 18 maggio e nella Chiesa di S. Stanislao il 4 maggio
  • Gerusalemme: iniziati i riti della Settimana Santa nell'attesa del viaggio di Papa Francesco a maggio
  • Nomina episcopale in Inghilterra
  • Papa, tweet: Settimana Santa buon momento per confessarci e riprendere la strada giusta
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi Ucraina. Possibile referendum nazionale. Alta tensione nei territori dell'est
  • Libia ancora nel caos, si dimette il premier ad interim
  • Grecia. Mons. Foskolos: sprecati molti aiuti Ue, la gente soffre moltissimo
  • Ghana, il missionario che vive nella baraccopoli più inquinata del mondo
  • Roma, scambio di embrioni. Coviello (Scienza e vita): embrione non è materiale biologico
  • Assisi: tremila studenti si incontrano "Sui passi di Francesco"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: l'esercito di Assad ha ripreso il controllo di Maalula
  • Giordania. La Caritas: tra i profughi siriani aumenta il numero dei cristiani
  • Nigeria: la Chiesa condanna gli attentati ad Abuja
  • Venezuela. Il card. Urosa: cercare ogni strada per risolvere i problemi del Paese
  • Cile: appello della Chiesa alla solidarietà per il tragico incendio a Valparaiso
  • Il Patriarca Bartolomeo I sul prossimo incontro con Papa Francesco
  • Elezioni in Afghanistan: gli exit poll danno Abdullah Abdullah in testa
  • Pakistan: a Lahore terzo rinvio per l'appello di Asia Bibi. Minacce islamiste ai giudici
  • Myanmar: nel messaggio pasquale mons. Bo invita alla “tolleranza fra religioni”
  • Panama: la Chiesa chiede ai candidati l'impegno di difendere vita e famiglia
  • Bulgaria: alla Caritas il Premio "Shofar" dalla Comunità ebraica
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: il seminario non è un rifugio, guai ai pastori che pascolano se stessi e non il gregge

    ◊   Non state diventando “funzionari di un’azienda”, ma “pastori ad immagine di Gesù”. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai seminaristi del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, fondato nel 1897 da Leone XIII e che forma i futuri sacerdoti della regione Lazio. Dal Papa, in un intervento più volte a braccio, anche un severo richiamo a quei pastori che “pascolano se stessi e non il gregge”. I seminaristi hanno partecipato all’udienza dopo un pellegrinaggio a piedi, definito dal Papa un “simbolo molto bello del cammino” da percorrere nell’amore di Cristo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Trasformare i “progetti vocazionali in feconda realtà apostolica”. Papa Francesco ha sintetizzato così il compito del Leoniano, come di tutti i seminari ed ha messo l’accento sull’“atmosfera evangelica”, che “consente a quanti vi si immergono di assimilare giorno per giorno i sentimenti di Gesù Cristo, il suo amore per il Padre e per la Chiesa, la sua dedizione senza riserve al Popolo di Dio”. Ed ha indicato nella "preghiera, studio, fraternità e vita apostolica" i "quattro pilastri della formazione":

    “Voi, cari seminaristi, non vi state preparando a fare un mestiere, a diventare funzionari di un’azienda o di un organismo burocratico. Abbiamo tanti, tanti preti a metà cammino ... Un dolore, che non sono riusciti ad arrivare al cammino completo; hanno qualcosa dei funzionari, qualche dimensione burocratica e questo non fa bene alla Chiesa. Mi raccomando, state attenti a non cadere in questo! Voi state diventando pastori ad immagine di Gesù Buon Pastore, per essere come Lui e in persona di Lui in mezzo al suo gregge, per pascere le sue pecore”.

    “Di fronte a questa vocazione – ha detto – noi possiamo rispondere come la Vergine Maria all’angelo: ‘Come è possibile questo?’”. Diventare “buoni pastori” ad immagine di Gesù, ha osservato Francesco, “è una cosa troppo grande, e noi siamo tanto piccoli”, ma in realtà “non è opera nostra”, “è opera dello Spirito Santo, con la nostra collaborazione”:

    “Si tratta di offrire umilmente sé stessi, come creta da plasmare, perché il vasaio, che è Dio, la lavori con l’acqua e il fuoco, con la Parola e lo Spirito. Si tratta di entrare in quello che dice san Paolo: ‘Non vivo più io, ma Cristo vive in me’ (Gal 2,20). Solo così si può essere diaconi e presbiteri nella Chiesa, solo così si può pascere il popolo di Dio e guidarlo non sulle nostre vie, ma sulla via di Gesù, anzi, sulla Via che è Gesù”.

    E’ vero, ha detto il Papa, “che all’inizio, non sempre c’è una totale rettitudine di intenzioni”, aggiungendo che “è difficile che ci sia”:

    “Tutti noi sempre abbiamo avuto queste piccole cose che non erano di rettitudine di intenzione, ma questo col tempo si risolve con la conversione di ogni giorno. Ma pensiamo agli apostoli! Pensate a Giacomo e Giovanni, che uno voleva diventare il primo ministro e l’altro il ministro dell’economia, perché era più importante. Gli apostoli ... pensavano un’altra cosa e il Signore con tanta pazienza ... ha fatto la correzione dell’intenzione e alla fine era tanta la loro rettitudine dell’intenzione che hanno dato la vita nella predicazione e nel martirio".

    Il Papa ha sottolineato così l’importanza di “meditare ogni giorno il Vangelo, per trasmetterlo con la vita e la predicazione”. E ancora, “sperimentare la misericordia di Dio nel sacramento della Riconciliazione, e questo non lasciarlo mai". "Confessarsi sempre!", ha esortato, e "così diventerete ministri generosi e misericordiosi perché sentirete la misericordia di Dio su di voi per diventare ministri generosi e misericordiosi”. Essere buoni pastori, ha detto, “significa cibarsi con fede e con amore dell’Eucaristia, per nutrire di essa il popolo cristiano”, “significa essere uomini di preghiera, per diventare voce di Cristo che loda il Padre e intercede continuamente per i fratelli”. Se voi “non siete disposti a seguire questa strada, con questi atteggiamenti e queste esperienze – ha ammonito il Papa – è meglio che abbiate il coraggio di cercare un’altra strada”:

    “Ci sono molti modi, nella Chiesa, di dare testimonianza cristiana e tante strade che portano alla santità anche. Nella sequela ministeriale di Gesù non c’è posto per la mediocrità, quella mediocrità che conduce sempre ad usare il santo popolo di Dio a proprio vantaggio. Guai ai cattivi Pastori che pascolano se stessi e non il gregge! – esclamavano i Profeti (cfr Ez 34,1-6), con quanta forza”.

    Agostino, ha detto il Papa, prende questa frase profetica nel suo De Pastoribus. “Guai ai cattivi pastori – ha ammonito il Papa – perché il seminario, diciamo la verità non è un rifugio per tante limitazioni che possiamo avere, un rifugio di mancanze psicologiche o un rifugio perché non ho il coraggio di andare avanti nella vita e cerco lì un posto che mi difenda”:

    “No, non è quello. Se il vostro seminario fosse quello, diventerebbe un’ipoteca per la Chiesa! No, il seminario è proprio per andare avanti, avanti in questa strada e quando sentiamo i profeti dire ‘guai!’ che questo ‘guai!’ vi faccia riflettere seriamente sul vostro futuro. Pio XI una volta aveva detto che era meglio perdere una vocazione che rischiare con un candidato non sicuro. Era alpinista, conosceva queste cose”.

    Il Papa ha concluso il suo discorso affidando i seminaristi alla Vergine Maria. “I mistici russi – ha osservato – dicevano che nel momento delle turbolenze spirituali bisogna rifugiarsi sotto il manto della Santa Madre di Dio”. Uscire dunque, ma “coperti con il manto” di Maria.

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    Le celebrazioni di Papa Francesco per il Triduo Pasquale

    ◊   I giorni della Settimana Santa sono per la Chiesa un cammino densissimo di spiritualità e ritualità, come dimostra il tradizionale e fitto calendario di appuntamenti di Papa Francesco, in particolare modo durante il Triduo Pasquale. Lo ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:

    Giuda che lo tradisce o il Cireneo che lo aiuta con la croce? Pilato che lo lascia condannare lavandosene le mani o sua Madre che usa le mani per accarezzare le sue piaghe? La folla che lo sbeffeggia impietosamente o le donne che pietosamente fanno proprio ogni minuto della sua agonia? È un esame di coscienza stringente quello col quale Papa Francesco ha aperto ieri la Settimana Santa. “Chi sono io davanti a Gesù che soffre?” è la domanda che accompagnerà i cristiani in questi giorni in cui la verità della fede diventa, più che in altri momenti, un’esperienza di carne e sangue. Un’esperienza alla quale, nel corso del suo primo anno di Pontificato, Francesco – il Papa delle “periferie” – ha abituato la Chiesa, spronandola ad aprire le porte e a diventare un cuore palpitante di carità verso chi è sempre ai margini, ancor più quando il resto del mondo festeggia spensierato le grandi ricorrenze:

    “La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie - che pena, tante parrocchie chiuse! – nelle nostre parrocchie, dei movimenti, delle associazioni, ed 'uscire' incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre!”. (Udienza generale, 27 marzo 2013)

    Uscire come uscì, sorprendendo tutti, il Papa delle periferie, quando il Giovedì Santo dello scorso anno invece della navata centrale di S. Pietro imboccò la più modesta cappella del Carcere minorile di Casal del Marmo. Forse non altrettanto clamore mediatico, ma comunque un’onda grande di commozione susciterà anche quest’anno vederlo chinarsi a lavare i piedi degli ospiti del Centro Santa Maria della Provvidenza, gestito dalla Fondazione Don Carlo Gnocchi, nella Messa “in Coena Domini” in programma per le 17.30 di giovedì prossimo, dopo che nella mattina, alle 9.30, il Papa avrà presieduto la Messa Crismale in San Pietro. E sempre nella Basilica, ventiquattr’ore dopo, alle 17, la celebrazione della Passione farà rivivere attraverso la lettura del “Passio” e la meditazione di padre Raniero Cantalamessa la lunga notte di Gesù tra Giuda e gli discepoli “addormentati”, tra Pilato, i soldati e il Calvario, in un percorso che poche ore dopo, dalle 21.15, Papa Francesco e la folla del Colosseo ripercorreranno nella Via Crucis raccontata da mons. Bregantini. Ore impossibili da comprendere, ha spiegato più volte Papa Francesco, per quei cristiani da salotto che il Golgota preferiscono guardarlo da lontano:

    “Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di ‘uscire’ per portare Cristo. Siamo un po’ come San Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende in disparte e lo rimprovera”. (Udienza generale, 27 marzo 2013)

    Dopo il silenzio di Sabato Santo, la Madre di tutte le gioie, la Veglia che illuminerà di luce un sepolcro vuoto e che il Papa presiederà nella Basilica Vaticana a partire dalle 20.30. Il momento in cui, forse, in coscienza si potrà dare a Dio e a se stessi la risposta alla madre di tutte le domande: “Chi sono io davanti a Gesù che soffre?”. La risposta più atentica per prepararsi a vivere la Pasqua con Papa Francesco, che alle 10.15 sarà sull'altare di Piazza San Pietro per la Messa del giorno, cui segue a mezzogiorno il suo Messaggio pasquale e la Benedizione Urbi et Orbi, impartita dalla Loggia centrale della Basilica vaticana.

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    Il Papa al Divino Amore il 18 maggio e nella Chiesa di S. Stanislao il 4 maggio

    ◊   Domenica 18 maggio, alle 16.00, Papa Francesco visiterà il Santuario della Madonna del Divino Amore, meta di pellegrinaggio molta cara ai romani. Il Santuario mariano è situato sulla Via Ardeatina nell’Agro Romano.

    Domenica 4 maggio, in mattinata, il Papa si recherà in visita pastorale alla Chiesa di Santo Stanislao alle Botteghe oscure, la cosiddetta chiesa dei polacchi a Roma.

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    Gerusalemme: iniziati i riti della Settimana Santa nell'attesa del viaggio di Papa Francesco a maggio

    ◊   Circa 20mila fedeli hanno partecipato ieri a Gerusalemme alla processione della Domenica delle Palme. A guidare il tradizionale rito è stato il patriarca latino Fouad Twal: è stato un corteo festoso che si è snodato dal Santuario di Betfage fino alla Chiesa di Sant’Anna, presso l'ingresso della Città Vecchia. L’appuntamento di quest’anno è stato caratterizzato, in particolare, dall’attesa gioiosa del viaggio che il Papa compirà in Terra Santa nel prossimo maggio e dalla speranza del messaggio che porterà in questi luoghi spesso tormentati dai conflitti. Ascoltiamo in proposito padre Giovanni Claudio Bottini, dei Frati Minori, decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, al microfono di Gabriele Palasciano:

    R. – Il Papa confermerà, secondo me, quel cammino che la Chiesa sta facendo in maniera decisa, soprattutto negli ultimi anni, richiamandosi anche alla profezia di Francesco: il cristianesimo, il cristiano, non è nemico di nessuno e la sua testimonianza è una testimonianza pacifica e che il dialogo è la strada della reciproca conoscenza, del reciproco rispetto, del reciproco aiuto. In questo cammino di dialogo cristiani e musulmani, nonché gli ebrei, possono contribuire al benessere di tutta l’umanità.

    D. – Quali sono le attese della comunità cattolica?

    R. – La comunità cattolica accoglierà, per quanto io posso dire, con entusiasmo la sua venuta. Aspetta certamente una parola di incoraggiamento - come l’hanno detta anche i Papi precedenti, soprattutto Benedetto XVI - a restare in questa Terra Santa e a portare il proprio contributo come cristiani, come cattolici, alla pace, alla giustizia in questa terra che appartiene alle tre grandi fedi come riferimento religioso, ma che appartiene come patrimonio prezioso a tutta l’umanità.

    D. – Quali sono le attese da parte della Custodia di Terra Santa e anche da parte dell’Ordine francescano al quale voi appartenete?

    R. – Io penso che il Papa ci ridirà una parola di invito pressante e cordiale anzitutto ad essere noi stessi un messaggio: come francescani a vivere pacificamente in queste terre, in mezzo a popoli che non riescono sempre a dialogare e che a volte compiono addirittura gesti di reciproca inimicizia. Essendo una comunità internazionale, la Custodia di Terra Santa è già una presenza di pace, un modo di vivere diverso e di vivere in pace, proveniente da Paesi che spesso, fra di loro, hanno conflitti o hanno interessi contrastanti. Il secondo invito io penso che il Papa ce lo darà confermandoci nell’incarico che abbiamo di accogliere i pellegrini nei luoghi santi, avendo una particolare attenzione alle pietre vive, che sono i cristiani di Terra Santa, per i quali la Custodia – insieme al Patriarcato Latino e a tante altre istituzioni cattoliche – prestano servizi educativi, servizi assistenziali, presenza di sostegno attraverso l’apostolato nelle più svariate forme.

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    Nomina episcopale in Inghilterra

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale vicario, Agostino Vallini.

    In Inghilterra, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Brentwood, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Thomas McMahon. Al suo posto, il Pontefice ha nominato padre Alan Williams, dei Padri Maristi, finora direttore del Santuario nazionale di Nostra Signora di Walsingham. Mons. Williams è nato a Blackburn il 15 marzo 1951. Ha studiato Scienze naturali all'Università di Durham e poi si trasferì a Londra, ove ha conseguito il Dottorato in Psicologia presso la London University. Ha frequentato gli studi teologici per prepararsi al ministero sacerdotale presso il Seminario diocesano di Allen Hall di Westminster. Successivamente ha ottenuto la Licenza in Teologia presso l'Università di Cambridge ed un Master in Educazione religiosa alla Hull University. Ha emesso i voti solenni nella Società di Maria (Padri Maristi) l'8 settembre 1976 ed è stato ordinato sacerdote il 30 aprile 1983. Dopo essere stato Insegnante al St. Mary's College (Blackburn), dal 1992 al 2000 ha svolto il ministero come Direttore del Santuario nazionale di Nostra Signora di Walsingham. Dal 2000 al 2005 è stato Cappellano presso la Sheffield Hallam University e poi, dal 2005 al 2008, Parroco di Sidcup nell'arcidiocesi di Southwark. In quel periodo, dal 2000 al 2008, ha svolto anche l'incarico di Superiore Regionale dei Padri Maristi. Dal 2008 è tornato ricoprire il ruolo di Direttore del Santuario nazionale di Nostra Signora di Walsingham, nella diocesi di East Anglia.

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    Papa, tweet: Settimana Santa buon momento per confessarci e riprendere la strada giusta

    ◊   Tweet di Papa Francesco lanciato dal suo account @Pontifex: “La Settimana Santa è un buon momento per confessarci e riprendere la strada giusta”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Chi sono io?: Nella domenica delle Palme il vescovo di Roma pone la domanda che deve guidare la riflessione dei cristiani durante la settimana santa.

    Non c'è posto per la mediocrità: il Papa al Pontificio collegio Leoniano di Anagni ripropone la sequela ministeriale di Gesù.

    Il Vangelo del Papa ai detenuti: milleduecento copie nel carcere romano di Regina coeli.

    Il Vangelo secondo Delhez: Silvia Guidi su un'edizione del Nuovo Testamento molto amata da padre Bergoglio con la traduzione del testo autografo in spagnolo di Pio XII inserito come introduzione all'edizione del 1956 di "Los Cuatro Evangelios De Nuestro Senor Jesucristo".

    Un articolo di Roberto Pertici dal titolo "Perché Gentile era un condannato a morte": settant'anni fa il filosofo italiano veniva assassinato alle porte di Firenze.

    La creatività è un'illusione: Marcello Filotei su un tentativo di nuova filosofia della musica.

    Una vita per la memoria: è morto Emanuele Pacifici.

    Prova di forza tra Kiev e gli insorti nell'est: riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi Ucraina. Possibile referendum nazionale. Alta tensione nei territori dell'est

    ◊   Non cala la tensione in Ucraina. Il governatore di Donetsk ha annunciato l'introduzione del regime antiterroristico, mentre i filorussi hanno occupato un terzo edificio pubblico. In questo scenario, il presidente ad interim ucraino, Turcninov, non esclude la possibilità di tenere un referendum nazionale sull'ordinamento statale del Paese. La Russia parla di ipocrisia dell’Occidente nel giorno in cui i ministri degli esteri Ue, riuniti a Lussemburgo, profilano nuove sanzioni per Mosca. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Le truppe di Mosca continuano a essere ammassate lungo il confine tra Ucraina e Russia mentre, vari edifici pubblici nell'Ucraina dell'est rimangono occupati dai separatisti filorussi. Oggi, è scaduto l’ultimatum lanciato da Kiev che introduce il regime antiterrorismo nel governatorato di Donetsk e il possibile l’intervento armato. Da Lugansk, gli attivisti ribadiscono la volontà di non cedere. Stesso copione anche nella neo occupata Sloviansk, che ieri ha visto scontri e l’uccisione di tre uomini. Assaltato oggi dai filorussi anche un commissariato ad Horlivka, sempre nell’est del Paese. In questo scenario, la Russia parla di ipocrisia dell’Occidente, “pronto ad appoggiare le truppe ucraine”. Dura la Nato, secondo la quale Mosca starebbe restaurando le Repubbliche sovietiche. Sul versante ucraino, il presidente ad interim, Turcninov, non esclude la possibilità di tenere un referendum nazionale sull'ordinamento statale del Paese, da tenersi il 25 maggio prossimo, quando si voterà per le presidenziali. Intanto, i ministri degli Esteri Ue, riuniti a Lussemburgo, cominciano a parlare di nuove sanzioni per Mosca.

    Per un'analisi della situazione abbiamo intervistato Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana difesa:

    R. – Sembra una crisi che lentamente si sta avviando in una sorta di vicolo cieco. Da una parte ci sono le autorità di Kiev che devono rendere conto alla propria opinione pubblica e, comunque anche all’esterno, ai nuovi alleati occidentali. Dall’altra c’è una Russia che, se l’Ucraina dovesse reprimere nel sangue la rivolta dell’est del Paese, non può star ferma, altrimenti Putin rischia di perdere il posto. Per cui, la situazione è molto più grave di quanto possa sembrare e possa trasparire.

    D. – Posizione dura della Nato. Anche oggi Rasmussen, il segretario generale, ha ribadito: Mosca vuole ripristinare le Repubbliche sovietiche. E vediamo una debolezza – sembrerebbe così – dell’Europa…

    R. – La Nato ha un ovvio interesse a rassicurare tutti i propri alleati dell’Est – a cominciare dalla Polonia, ovviamente, i Baltici e cosi via – e per farlo deve in qualche misura ribadire alcuni concetti fondamentali. Conviene ricordare che l’Ucraina non è un Paese membro della Nato, per cui la Nato non potrebbe – nel caso – invocare l’articolo 5, qualora la sovranità ucraina fosse violata da un’invasione russa. Per cui, la Nato in questo caso deve giocarsi la sua partita da un punto di vista politico, deve far vedere a questi Paesi che la propria garanzia politico-militare è in piedi e lo fa comunque tenendo testa diplomaticamente, a muso duro, alla Russia. Per il resto, non credo che l’Unione Europea abbia qualcosa da dire sulla questione: noi ci siamo cacciati in questa situazione per volere di un Paese dell’Europa – la Germania – che aveva un preciso interesse. Il problema è che poi, quando la Germania passa dalle rivendicazioni da un’influenza di carattere economico a quella politica, strategica e militare a un certo punto la Germania si arresta e spera che dall’altra parte dell’Atlantico qualcuno venga a toglierle e a toglierci le castagne dal fuoco: ovvero, gli Stati Uniti.

    D. – Vari edifici pubblici dell’Ucraina dell’est sono occupati dai separatisti filorussi…

    R. – Gli esiti possono essere diversi. Se in qualche misura la situazione dovesse congelarsi in vista di un referendum sullo status di queste regioni, la situazione potrebbe anche – come di dice in gergo – "de-escalare". Se invece Kiev dovesse veramente utilizzare la forza, e quindi l’esercito per reprimere queste istanze, ho la sensazione che la Russia non possa rimanere a guardare. Veramente, se la cosa si risolve con poche scaramucce, con molti arrestati e pochissimi morti o feriti, la Russia ci può anche passare sopra. Se la repressione dovesse comportare un livello di perdite troppo elevato, troppo evidente tra i filorussi, ho la sensazione che la Russia possa intervenire in Ucraina. Non dimentichiamoci che, se ci dovesse essere repressione su larga scala nell’est dell’Ucraina, la Russia potrebbe evocare il tanto decantato diritto di ingerenza umanitaria che l’Occidente, la Nato, gli Stati Uniti e tutti, nel 1999, invocarono per intervenire in Kosovo e per bombardare la Serbia e Belgrado…

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    Libia ancora nel caos, si dimette il premier ad interim

    ◊   Clima di preoccupante destabilizzazione in Libia. Dopo le dimissioni del premier ad interim, Abdullah al Thani, a causa – si legge in un comunicato del governo – di un attacco armato contro il leader e la sua famiglia, proseguono i processi a carico degli esponenti dell’ex regime del rais Gheddafi. Il clima nel Paese nordafricano appare ancora di forte contrapposizione. Sulla crisi politica, Giancarlo La Vella ha intervistato Arturo Varvelli, esperto di Libia, ricercatore dell’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:

    R. - Penso che questo sia sintomatico del fatto che il Paese stia prendendo la strada dell’ingovernabilità. Di fatto il governo non controlla il Paese e sta diventando una figura sempre più meramente rappresentativa, purtroppo. Abbiamo visto che l’autorità centrale è incapace di difendersi, di garantire la governabilità e di esercitare i propri poteri. Questa è una situazione molto drammatica che getta delle ombre inquietanti sul futuro del Paese.

    D. – Intanto, continuano ad andare avanti i processi nei confronti degli esponenti dell’ex regime di Gheddafi. Questo significa che siamo ancora nella fase della resa dei conti?

    R. – Sì, è questo il problema essenziale. Il Paese non ha superato la fase della resa dei conti, per cui certamente non è possibile costituire il Paese su basi solide. I conti vanno chiusi molto velocemente in queste transizioni. La Libia non è l’unico caso al mondo, naturalmente. Quindi bisogna chiudere il capitolo e dare una certezza istituzionale al nuovo Paese.

    D. – Le divisioni tribali che hanno sempre caratterizzato la Libia anche oggi ci presentano un Paese ancora spaccato in due?

    R. – Certamente le divisioni tribali hanno un ruolo, però ancora più delle divisioni tribali credo che a questo punto siano importanti i localismi e i regionalismi perché questi due fattori insieme stanno rendendo difficoltoso governare questo Paese. Vediamo che le milizie si sono raggruppate attorno alle regioni o alle città; ognuno ha in mente di garantire il proprio tornaconto e non naturalmente l’unità del Paese o il bene comune.

    D. – Quale Libia è auspicabile nell’interesse dei libici innanzitutto, ma anche nell’interesse della comunità internazionale?

    R. – Penso che i libici debbano trovare da soli una strada e questo non può accadere se non attraverso un processo di riconciliazione che sarà lungo, faticoso ma che devono portare a termine con la maggiore convinzione. Per cui anche interferenze esterne possono causare tendenze contrapposte, e quindi non aiutare ma forse rendere il processo più difficile. Invece, certamente c’è bisogno che noi europei in particolare siamo capaci di far applicare loro un metodo che è appunto quello della riconciliazione, del dialogo nazionale, della via democratica in qualche misura, aiutare le istituzioni come stiamo facendo e come abbiamo cominciato a fare, purtroppo, troppo tardi.

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    Grecia. Mons. Foskolos: sprecati molti aiuti Ue, la gente soffre moltissimo

    ◊   La Grecia emetterà altri bond dopo il successo della scorsa settimana, che ha visto Atene piazzare tre miliardi di titoli di Stato con un tasso inferiore al 5%. L’operazione - la prima da quando il Paese è stato escluso dai mercati nel 2010 a causa della crisi del debito - è un passo avanti per un Paese in recessione da sei anni e finora sostenuto finanziariamente dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Secondo gli analisti, la situazione economica della Grecia sembra in risalita, ma la società civile continua a soffrire. Lo conferma l’arcivescovo cattolico di Atene, mons. Nikolaos Foskolos, al microfono di Emanuela Campanile:

    R. - Qui la vita continua, purtroppo, come prima. Niente è cambiato! Una piccola speranza è che, secondo le cifre ufficiali, la disoccupazione è scesa dell’1%… Bisogna però pensare che tra i giovani - tra i 15 e i 25 anni - i disoccupati sono il 60%. Purtroppo, da quattro anni si va di peggio in peggio: la gente ormai è sdegnata.

    D. - Le pensa che adesso la politica, perlomeno i rappresentanti sia della maggioranza che dell’opposizione, abbiano davvero abbracciato e fatte proprie le necessità dei greci?

    R. - I politici sono dappertutto gli stessi... Sempre dicono che lavorano per la patria, per il bene del Paese, ma in fondo lavorano per la propria tasca. Lo abbiamo vissuto ormai da 35-40 anni, da quando è salito il Pasok al governo, nell’80-81… Tutte le cose vanno di peggio in peggio, perché il denaro proveniente da Bruxelles, dall’Unione Europea, è stato proprio sprecato. I dirigenti e i politici al governo da poveri sono diventati ricchi e la gente paga tutto questo. Tutto ricade sulla povera gente e soprattutto sugli impiegati e i pensionati, perché sono facilmente controllabili dal Ministero delle finanze. Gli altri vivono come se non ci fosse la legge… Quindi la maggior parte della gente, soprattutto i più anziani, praticamente non ce la fanno più sopravvivere: la verità è che una buona parte di cittadini greci sta ormai cercando il cibo. Presso le Suore di Madre Teresa, fino a qualche anno, si distribuivano i pasti soltanto agli immigrati stranieri, soprattutto asiatici; ora vanno anche molti greci. Anche alla Caritas…

    D. - La gente si aiuta? C’è la solidarietà?

    R. - Sì, sì, c’è solidarietà. C’è stata anche l’iniziativa di una emittente televisiva e radiofonica, che ha organizzato, in tutti i supermercati, un posto dove chi vuole può lasciare qualcosa per i poveri. Durante questi ultimi anni si sono raccolti molti aiuti per i poveri! Anche la Chiesa ortodossa: in quasi ogni parrocchia, c’è una mensa per i poveri.

    D. - Avete paura di una deriva violenta per questa situazione che la Grecia sta attraversando?

    R. - Qualche anno fa avevo questa preoccupazione, perché vedevo molta gente che non sapeva più cosa fare… Pensavo che sarebbe stata possibile una reazione sociale. Visto che non c’è stata finora, credo che ormai il pericolo sia passato. Certo è che se dopo le elezioni avremo una situazione peggiore di quell’attuale, non si sa allora quale sarà l’esito.

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    Ghana, il missionario che vive nella baraccopoli più inquinata del mondo

    ◊   È stata definita “uno tra i luoghi più inquinati del mondo”: è la baraccopoli di Agbobloshie, alla periferia della capitale del Ghana, Accra. Qui finiscono, tra l’altro, molti elettrodomestici dismessi e prodotti elettronici usati, provenienti anche da Paesi non africani. Ma qui prestano la loro opera anche alcuni missionari cattolici, unendo evangelizzazione e programmi educativi. A descrivere la realtà della baraccopoli, nell’intervista di Davide Maggiore, è fra Arcadio Sicher, francescano conventuale, che vi ha trascorso oltre dieci anni:

    R. – La gente è attirata, perché c’è possibilità di lavoro. Lì c’è specialmente il mercato. Quando sono arrivato io c’era anche la raccolta dell’usato, in particolare del ferro vecchio. E’ cresciuta man mano. Più che una discarica è una zona di lavoro: sono i giovani stessi che vanno in giro per la città a raccogliere l’usato e il ferro vecchio. Poi è nato anche il boom dell’elettronica di seconda mano, specialmente computer, frigoriferi e altro.

    D. – L’espansione della baraccopoli è stata anche provocata dall’arrivo dello scarto delle nuove tecnologie, che spesso vengono proprio dal nostro mondo, dal mondo occidentale…

    R. – Purtroppo è così: i poveri vivono di quello che si butta via. Il sogno di poter fare i soldi presto e subito porta a pensare soltanto per soldi, senza pensare a quell’inquinamento che si dà a se stessi e agli altri. Per loro arrivare qui dai villaggi è un sogno, perché si viene, si fa il picco di lavoro e pian piano si riesce a fare un capitale. Il rischio è - specialmente adesso sempre più - quello di avere sì un po’ di soldi, ma di perdere la salute. Quando si pensa a vivere giorno per giorno, le malattie che possono venire fuori dopo dieci o vent’anni non fanno paura...

    D. – Questo fa pensare a dei temi che Papa Francesco ha fatto molto suoi, come la denuncia che spesso, anche nei rapporti di ogni giorno, a dominare è il denaro e la cultura dello scarto…

    R. – Alla fine il discorso è proprio quello di ripensare lo stile di vita. Anche questi nostri prodotti tecnologi, questo prendere e buttare: chi produce un prodotto dovrebbe anche pensare a come riciclarlo. Non si può lasciare che siano proprio i poveri a prendersi poi sulle spalle lo scarto.

    D. – Lei può dire, come religioso, che c’è qualcosa che l’esperienza di oltre dieci anni di baraccopoli le ha insegnato, le ha lasciato?

    R. – La baraccopoli è ricca di problemi, ma è anche ricca di vita. Mi ha colpito Papa Francesco quando dice che sono proprio le periferie che sono la vera cultura e che costituiscono il futuro. Questo lo sento profondamente. Questo è un grande insegnamento: veramente tra i più poveri, tra i più abbandonati c’era proprio questo Regno di Dio. Nonostante tutti i problemi, e anzi proprio in tutti questi problemi, c’è una forza di vita che è speranza. Al di là di questa paura per il futuro, al di là di questa paura la vita fisica, le malattie, c’è una vita che funziona, ci sono i bambini che crescono. C’è una vita quotidiana che è viva, vera! Ci sono anche "profezie": gente proveniente da tutte le tribù del Ghana, si vive in questa diversità… E’ una Babele, ma allo stesso tempo è una Pentecoste. C’è lo Spirito che veramente dà la vita, in tante manifestazioni. Penso che la cosa più importante non sia giudicare, non sia condannare, ma essere là, vivere con loro. E’ vero che ci sono anche dei sogni malsani, ma non è condannandoli che troveremo la soluzione. Non è nel dire: “Buttiamo via tutto o demoliamo tutto!”.

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    Roma, scambio di embrioni. Coviello (Scienza e vita): embrione non è materiale biologico

    ◊   All’Ospedale "Sandro Pertini" di Roma sono arrivati questa mattina gli ispettori del Ministero della salute per cercare di far luce sul caso di una donna che, dopo un trattamento di fecondazione assistita, è rimasta incinta di due gemelli risultati non compatibili, in base al test della villocentesi, con i profili genetici suoi e del marito. Si dovrà appurare – ma sarà possibile solo dopo il parto – se si tratta di uno scambio di embrioni o di uno scambio di referti relativi alla diagnosi prenatale. Su questa vicenda, Amedeo Lomonaco ha intervistato il copresidente di Scienza e Vita, il dott. Domenico Coviello, direttore del Laboratorio di genetica umana dell’ospedale Galliera di Genova:

    R. – Il danno per la persona è importante, tanto più se si tratta di uno scambio di embrioni. Nello scambio della diagnostica è relativamente minore. Sicuramente, le decisioni che sono state prese di verificare con cura a che punto sia avvenuto l’errore, mi sembrano adeguate al caso.

    D. – Se si appurerà che si è trattato di uno scambio di embrioni, errori come questo accadono quanto l’uomo sconfina in un campo non suo e manipola la vita…

    R. – L’argomento dell’embrione è molto delicato. Le metodiche che sono utilizzate dalla scienza sono anche esse delicate e vanno monitorate con grandissima attenzione. Purtroppo, la tendenza oggi è quella di non considerare a sufficienza l’attenzione dovuta all’essere umano. In particolare, l’embrione viene considerato come un materiale biologico. E questo può creare delle situazioni molto critiche sia per la coppia sia per il nascituro.

    D. – I trattamenti di fecondazione assistita avvengono in sicurezza o questo presunto errore è il sintomo di gravi lacune nei protocolli adottati?

    R. – Io non mi occupo in prima persona di fecondazione assistita e seguo quello che viene pubblicato nella stampa sia nazionale sia internazionale. Mi sembra, purtroppo, di constatare che, per quanto le istituzioni cerchino di monitorare o di chiedere monitoraggi molto stretti per queste tecnologie, purtroppo anche negli Stati Uniti abbiamo sentito spesso che si sono verificati questi incidenti. Per me, adesso non è facile dire se il singolo laboratorio abbia adottato tutte le misure richieste o meno. Questo sarà l’indagine in corso a stabilirlo.

    D. – Cosa ci dice questa vicenda, pensando anche al recente pronunciamento della Corte Costituzionale italiana che ha definito illegittimo il divieto alla fecondazione eterologa?

    R. – L’episodio può sottolineare la complessità dell’argomento. Aprire ulteriormente le pratiche di fecondazione assistita all’eterologa complica ulteriormente quello che è già in atto. Più le procedure sono complesse, più gli attori sono coinvolti, maggiori possono essere i danni che vengono a essere provocati in una qualsiasi delle parti. Sicuramente, la prima persona che risente di tutte queste possibilità è il nascituro che, come sappiamo, nelle varie situazioni si troverà ad avere – più o meno consapevolmente – più genitori, in parte biologici e in parte nelle persone che lo accolgono. Quindi, l’ampliamento di queste possibilità amplia anche le problematiche relative all’accettazione del nascituro, all’accettazione della nuova persona.

    D. – La donna incinta dei due gemelli – dopo quello che ha definito “un momento di umano rigetto” quando ha saputo del test della villocentes – ha deciso di non interrompere la gravidanza. In questa vicenda, quindi, la vita prevale comunque su drammatici effetti che l’errore avrebbe potuto provocare…

    R. – Questo è molto importante. Direi che in questo caso è molto evidente la volontà di una madre ad accogliere il nascituro come una persona e quindi come un dono e non come un oggetto, una parte del corpo che si riproduce indipendentemente dalla persona. Questa donna ha capito, oltre all’amore materno, che il nascituro non ha alcuna responsabilità di quanto accaduto: è un essere umano che deve essere rispettato e amato come qualsiasi altro membro della famiglia.

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    Assisi: tremila studenti si incontrano "Sui passi di Francesco"

    ◊   Dialogo, pace, fraternità. Questi i temi dell’evento “Sui passi di Francesco” che si sta svolgendo ad Assisi. Due giorni di dialogo e confronto sui valori della pace e della fraternità, con 3000 ragazzi provenienti da tutta Italia. Qual è il messaggio che si vuole trasmettere ai giovani con quest’iniziativa? Alessia Carlozzo lo ha chiesto a padre Egidio Canil del Sacro Convento di Assisi:

    R. – L’obiettivo è proprio inculcare nelle nuove generazioni, partendo specialmente dalla scuola - luogo privilegiato di formazione dei nuovi cittadini - questi valori, questi principi che sono fondanti di ogni umana società. Bisogna, dunque, aiutare questi ragazzi a imparare a dialogare, a stare insieme, rispettando la diversità altrui, convivendo con persone che hanno magari idee diverse o hanno religioni diverse o hanno anche formazioni e cammini culturali diversi. Se non s’impara a dialogare, se non s’impara a vivere il dialogo, ad ascoltare anche queste diversità, è difficile poi ipotizzare una vita di fraternità, quel valore che Francesco d’Assisi da otto secoli ha portato nel mondo. Vorremmo quindi trasmettere alle nuove generazioni, che guideranno poi questo nuovo millennio che è iniziato, a vivere da fratelli con persone diverse. Se non c’è dialogo e se non c’è fraternità è difficile vivere in pace. Sono questi due binari maestri per arrivare alla pace, per arrivare a costruire relazioni, rapporti e un mondo di pace.

    D. – Data l’attuale crisi in cui riversa la generazione più giovane del Paese, cosa può dire Francesco oggi ad un ragazzo?

    R. – Francesco non fa discorsi: Francesco presenta se stesso, si avvicina a questi giovani, dice loro con la sua vita, con la sua testimonianza, che è bello andare per il mondo a incontrare le persone, a dialogare con le persone. Secondo, dice che è bello vivere in un mondo dove ci sono fratelli e sorelle e tutti siamo membri alla pari di una stessa società. Francesco farebbe questo discorso, non farebbe discorsi teorici astratti, ma presenterebbe il carisma che lui ha avuto da Dio e che ha innestato nella Chiesa prima e poi nella società.

    D. – L’evento vuole essere un laboratorio di futuro per vincere la crisi più grande. Quali possono essere in proposito alcune soluzioni da adottare?

    R. – Fare in modo che le nuove generazioni riconoscano l’altro, che escano da se stesse per andare incontro all’altro, perché se non si fa questo passo, di andare incontro all’altro, è difficile poi tessere rapporti, relazioni e dialogare. L’altro, naturalmente, non sono io, è diverso da me e viene da altre esperienze, ha altre idee. Dialogo vuol dire rendersi disponibili per ascoltare, ascoltare per arricchirsi e, quindi, insieme poi camminare. La società ha bisogno di uomini che siano capaci di fare questo cammino, non da soli, non in rivalità, non in diffidenza nei confronti degli altri, ma sempre aperti, sempre in disponibilità piena.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: l'esercito di Assad ha ripreso il controllo di Maalula

    ◊   L'esercito siriano fedele al Presidente Assad ha ripreso il controllo della città di Maalula, a 50 chilometri da Damasco. La notizia proviene da fonti della sicurezza siriana, secondo le quali l'esercito governativo sta guadagnando terreno in tutta la regione contesa del Qalamun. La cittadina di Maalula, dove si trovano il monastero di Santa Tecla e il santuario dedicato ai santi Sergio e Bacco, era nelle mani delle milizie ribelli da circa quattro mesi.

    Tra le formazioni che avevano attaccato la città figuravano anche i miliziani jihadisti di Jabhat al-Nusra. Il 3 dicembre dello scorso anno, 13 suore greco-ortodosse del monastero di Santa Tecla erano state prelevate insieme a tre loro collaboratori. Il sequestro si è concluso felicemente domenica 9 marzo, quando le suore e i tre dipendenti sono stati liberati in territorio libanese.

    Nell’ambito dell’offensiva in corso da giorni, le truppe governative avevano già ripreso il controllo di altre città strategiche per la loro vicinanza con la frontiera libanese, quali Yabroud e Rankhous. (R.P.)

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    Giordania. La Caritas: tra i profughi siriani aumenta il numero dei cristiani

    ◊   Tra i profughi siriani rifugiati in Giordania i cristiani “sono in continuo aumento e si preparano a vivere una Pasqua segnata per loro dallo sconforto e dalla stanchezza spirituale”. Lo riferisce all'agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania.

    “Avevamo pensato di far celebrare delle liturgie per i rifugiati siriani di fede cattolica” spiega Suleiman, “ma ci siamo accorti che non c'era tra loro la disposizione d'animo adeguata. Preferiscono partecipare alle celebrazioni nelle parrocchie della Giordania, in mezzo ai fedeli di qui. Sono stanchi, rassegnati, e non sono interessati a celebrazioni e liturgie riservate a loro, che li richiamerebbero alla loro condizione di sfollati e alle sofferenze che hanno vissuto. Attendono con speranza, questo sì, l'arrivo in Giordania di Papa Francesco. Nel programma della visita papale è previsto che il Papa incontri alcuni di loro a Betania, oltre il Giordano, vicino al luogo del battesimo di Gesù”.

    Il direttore di Caritas Giordania conferma a Fides il progressivo aumento dei cristiani nella moltitudine di rifugiati siriani oggi presenti nel Regno Hascemita: “Non è come all'inizio, quando nelle prime ondate di profughi non c'erano cristiani. Adesso” spiega Suleiman “sono sicuramente più di 20mila. Un numero esiguo rispetto alla massa di un milione e 300mila profughi siriani che secondo i dati del governo di Amman sono ospitati in Giordania. Ma si può prevedere che difficilmente i cristiani fuggiti torneranno in Siria alla fine della guerra. Questo vuol dire che in alcune città, come Homs o Aleppo, tanti quartieri cristiani rimarranno vuoti dei loro abitanti di un tempo”.

    Intanto è prevista per la fine di aprile l’apertura totale delle nuove aree del campo profughi di al-Azraq, che a pieno regime potrà ospitare 130mila rifugiati, divenendo il presidio più vasto finora realizzato nell'intera regione per ospitare bambini, donne e uomini in fuga dal conflitto siriano. A al-Azraq i profughi saranno ospitati non in tende ma in prefabbricati e container. Anche il primo grande campo di Zaatari si è trasformato nel tempo in una “città provvisoria” con presidi sanitari, scuole e un campo di calcio. “Anche questa trasformazione dei campi profughi in insediamenti meno precari” fa notare il direttore di Caritas Giordania, “è un segno eloquente: nessuno può prevedere quanto tempo durerà la permanenza dei rifugiati siriani fuori dalla loro Patria”. (R.P.)

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    Nigeria: la Chiesa condanna gli attentati ad Abuja

    ◊   Due forti esplosioni avvenute nella stazione dei bus del Nyanya Motor Park nella capitale della Nigeria, Abuja, hanno provocato decine di morti. Le autorità non hanno ancora diffuso comunque un bilancio ufficiale dell’esplosione che ha coinvolto decine di autoveicoli.

    “Il luogo dove è stato perpetrato l’attentato di oggi è uno dei maggiori sobborghi di Abuja e si trova a 15-20 km dal centro di Abuja” dice all’agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore delle Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja. “La stazione dei bus colpita dall’esplosione è utilizzata abitualmente da un gran numero di pendolari per recarsi al lavoro nel centro della capitale. Le vittime sono dunque persone normali, appartenenti alla classe lavorativa, che si stavano recando al proprio posto di lavoro. Le autorità non hanno ancora confermato che si sia trattato di un attentato di Boko Haram, ma le modalità del crimine fanno pensare a Boko Haram” continua padre Patrick.

    Proprio ieri, domenica 13 aprile, Boko Haram aveva ucciso almeno 60 persone in diversi villaggi nel nord-est della Nigeria. “La situazione è molto difficile. L’esercito sta dando la caccia agli uomini di Boko Haram ma questi in risposta commettono rappresaglie contro i civili” dice padre Patrick.

    Il sacerdote spiega che la capacità della setta islamista di resistere agli attacchi dell’esercito deriva dagli aiuti che riceve dall’estero.“Un gran numero di combattenti di Boko Haram non sono nigeriani, perché Al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi, operante soprattutto in Mali e in Niger,ndr.) ha deciso di offrire supporto alla setta islamista nigeriana” afferma padre Patrick. Cosi centinaia di uomini di Aqmi provenienti dall’estero sono giunti in Nigeria per rimpolpare le file di Boko Haram. A sua volta Aqmi riceve fondi da alcuni Stati che in questo modo conducono di fatto una guerra indiretta contro la Nigeria. Aqmi quindi è coinvolta nel finanziamento, nel supporto e nell’addestramento dei combattenti di Boko Haram. Non è più dunque una guerra interna”. (R.P.)

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    Venezuela. Il card. Urosa: cercare ogni strada per risolvere i problemi del Paese

    ◊   Il card. Jorge Urosa Sabino, arcivescovo di Caracas, durante una intervista trasmessa dalla televisione nazionale domenica 13 aprile, ha detto di essere "molto triste per la violenza mai vista prima da parte delle Forze di sicurezza" durante le proteste che hanno avuto luogo nelle ultime settimane. Ha anche messo in dubbio - riferisce l'agenzia Fides - la validità del socialismo come sistema politico e ha chiesto di risolvere i problemi economici, che sono la causa delle manifestazioni che hanno portato solo di recente al dialogo tra governo e opposizione.

    Sulla presunta "cubanizzazione del Paese", ha dichiarato: "Ci vogliono portare verso quel sistema, ma noi diciamo che non è corretto, perché quella proposta è stata già respinta dalla popolazione attraverso il referendum consultivo". Il cardinale ha sottolineato inoltre che la Chiesa non cerca lo scontro, ma di risolvere i problemi, "e se andiamo fuori strada bisogna farlo notare".

    Come segnala la nota inviata alla Fides da una fonte locale, il cardinale è stato invitato al programma televisivo per fare il punto della situazione del Paese dopo settimane di incertezza e di violenza, e l’inizio del dialogo di pace fra governo e opposizione, con diverse istituzioni come testimoni, fra cui la Chiesa cattolica. C’è quindi entusiasmo da un parte della popolazione e una certa diffidenza dall’altra, perché è necessario confermare l’iniziativa di dialogo e di pace con azioni concrete, come evidenzia lo stesso card. Urosa, che ha invitato ad avere "un atteggiamento positivo verso il dialogo, ma nel caso questo non riesca, il Paese saprà di chi è la colpa e perché non ha funzionato".

    Infine l’arcivescovo di Caracas ha esortato i leader politici "a ricercare ogni modo per incontrarsi e risolvere i problemi, perché solo così il paese potrà riprendersi. Ci sono gravi problemi sociali e di tipo economico – ha concluso -, ma la realtà ci dice che così come andiamo, non andiamo bene". (R.P.)

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    Cile: appello della Chiesa alla solidarietà per il tragico incendio a Valparaiso

    ◊   Un appello alla solidarietà con le vittime del terremoto nel nord del Paese e per il recente incendio scoppiato a Valparaiso, perla del Pacifico il cui centro coloniale è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dell'Unesco, che finora ha causato 16 morti e migliaia di senzatetto, è stato lanciato dal card. Ricardo Ezzati, arcivescovo di Santiago, "all'inizio della Settimana Santa, nella Domenica delle Palme” come riferisce la nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Cile.

    "Questa Pasqua ci troviamo di fronte a tanto dolore - ha detto il cardinale -. Qualche settimana fa abbiamo visto i fratelli del nord subire gli effetti del terremoto e sabato siamo stati tutti profondamente toccati nel cuore al vedere il disastro lasciato dal fuoco che ha colpito molte famiglie e ha lasciato diversi morti a Valparaiso".

    “Si tratta del peggiore incendio nella storia di Valparaiso” ha detto alla stampa la Presidente del Cile, Michelle Bachelet - che ha dichiarato lo stato di calamità naturale e mobilitato le Forze armate - commentando l’incendio iniziato nel tardo pomeriggio di sabato 12 aprile che in poche ore ha distrutto circa 800 ettari della zona periferica di Valparaiso, lasciando 16 morti, più di 500 feriti gravi, 10.000 sfollati e 500 case totalmente distrutte, secondo dati purtroppo provvisori. Nonostante il lavoro di 3.500 uomini tra forestale, pompieri, polizia ed esercito, l'incendio è durato più di 24 ore.

    "Questi due eventi ci invitano a vivere più intensamente la Pasqua - ha sottolineato il Cardinale nel suo appello - rendendo vivo il mistero pasquale nella nostra vita con la nostra solidarietà". La nota riferisce anche dell’appello della Caritas di Santiago che raccoglie aiuti materiali da portare a Valparaiso, dove la gente ha trovato rifugio e assistenza nelle chiese di questa città. (R.P.)

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    Il Patriarca Bartolomeo I sul prossimo incontro con Papa Francesco

    ◊   “Oggi, forse ancor più di 50 anni fa, c’è un urgente bisogno di riconciliazione e questo rende il prossimo incontro con il nostro fratello Papa Francesco a Gerusalemme un evento di grande significato e aspettativa”. Così il patriarca ecumenico Bartolomeo I spiega in un’intervista esclusiva all'agenzia Sir le ragioni che hanno spinto i leader delle due Chiese a darsi appuntamento a Gerusalemme il 25 e il 26 maggio per commemorare i 50 anni dall‘incontro nella Città santa tra Paolo VI e il patriarca Athenagoras. Molte sono le questioni che richiedono oggi un’azione comune e un’unica voce da parte delle Chiese.

    Le elenca nell’intervista il patriarca: “La sofferenza delle persone in ogni angolo del pianeta oggi; l’abuso della religione per scopi politici o di altro tipo; le difficoltà che i cristiani di tutto il mondo affrontano in particolare nelle aree dove la Chiesa cristiana, a prescindere dalle identità confessionali, è nata e cresciuta; le ingiustizie inflitte ai membri più deboli delle società contemporanee e l’allarmante crisi ecologica che minaccia l’integrità e la sopravvivenza stessa della creazione di Dio: tutto ciò chiede un’azione comune e la soluzione dei problemi ancora ci divide”. Per questo - incalza - c’è un urgente bisogno di riconciliazione.

    “Siamo convinti - afferma il patriarca Bartolomeo I - che i leader delle Chiese devono intraprendere passi decisi per riconciliare la Cristianità divisa e rispondere ai bisogni urgenti del nostro tempo. Certamente Papa Francesco è un leader sincero e altruista, che ha a cuore la divisione della Chiesa come anche la sofferenza del nostro mondo”. Facendo un bilancio del cammino percorso in questi 50 anni di dialogo, il patriarca ammette: “Non ci sono dubbi che il cammino delle due Chiese negli ultimi 50 anni non sia stato facile. Ciò nonostante, lo spirito di amore fraterno e rispettoso ha fortunatamente preso il posto della vecchia polemica, alimentata da sospetti e giudizi”. Ed aggiunge: “C’è ancora molto da fare e il percorso sembra essere lungo. Questa strada, comunque, deve essere intrapresa nonostante le difficoltà; non c’è alternativa”. (R.P.)

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    Elezioni in Afghanistan: gli exit poll danno Abdullah Abdullah in testa

    ◊   Nella corsa a nuovo Presidente dell'Afghanistan è in testa Abdullah Abdullah, ex ministro degli Esteri del governo Karzai. Secondo i primi exit poll diffusi dalla Commissione elettorale indipendente - riferisce l'agenzia AsiaNews - il candidato della National Coalition of Afghanistan (Nca, democrazia islamica) è in testa con il 41,9% dei voti, seguito a stretto giro da Ashraf Ghani con il 37,6%. Per il momento Zalmai Rassoul, considerato il delfino del Presidente uscente, è fermo al 9,8%.

    Un totale di 7 milioni di persone si è recato alle urne il 5 aprile scorso per eleggere il nuovo Presidente dell'Afghanistan. Le minacce di possibili attentati talebani non hanno fermato la popolazione, grazie anche alle stringenti misure di sicurezza adottate dal governo. Per il momento la Commissione ha scrutinato circa 500mila voti in 26 province su 34 totali. I risultati definitivi sono attesi per il prossimo 24 aprile. Se nessun candidato dovesse emergere con una maggioranza superiore al 50%, i due più votati andranno al ballottaggio il prossimo 28 maggio.

    Nell'annunciare i primi dati Ahmad Yousuf Nouristani, presidente della Commissione elettorale indipendente, ha tenuto a sottolineare che si tratta di risultati parziali e che "il favorito potrebbe cambiare con facilità nei giorni a venire". Oltre al timore di attentati, la paura più grande è quella di possibili brogli. La Commissione ha già riferito di aver ricevuto 1.892 lamentele con prove, di cui 1.382 per telefono. In generale, solo 870 sono considerate "gravi".

    Alle elezioni del 2009, Abdullah Abdullah era finito al ballottaggio con Hamid Karzai, ma per parteciparvi aveva richiesto il cambio della commissione elettorale, accusata di aver avallato i brogli a favore di Karzai durante la prima tornata elettorale. Il ritiro di Abdullah ha fatto vincere a tavolino l'attuale Presidente uscente. (R.P.)

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    Pakistan: a Lahore terzo rinvio per l'appello di Asia Bibi. Minacce islamiste ai giudici

    ◊   Ancora un nuovo rinvio nel processo di appello a carico di Asia Bibi, la madre cristiana di cinque figli condannata a morte per blasfemia; i giudici di secondo grado Sardar Tariq Massod e Abdul Sami Khan, dell'Alta corte di Lahore, hanno aggiornato l'udienza poco dopo aver aperto la seduta e dato lettura del procedimento. Fonti giudiziarie riferiscono che domani dovrebbe essere annunciata la nuova data di una vertenza giudiziaria che si trascina da tempo senza alcun progresso. Da tempo - riferisce l'agenzia Asianews - gruppi estremisti lanciano minacce ed esercitano pressioni sul collegio giudicante, perché confermi la pena capitale inflitta in primo grado. Tuttavia, i legali della donna si dicono fiduciosi e auspicano che l'Alta corte possa decidere presto per il proscioglimento e la scarcerazione.

    Da giorni la comunità cristiana pakistana ha promosso giornate di digiuno e preghiera Asia Bibi e Sawan Masih, entrambi condannati a morte (da innocenti) in base alla famigerata "legge nera".

    Asia Bibi, dal novembre 2010 nel braccio della morte, sottoposta a regime di isolamento in carcere per motivi di sicurezza, è ormai da tempo un simbolo della lotta contro la blasfemia; per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato prima il governatore del Punjab Salman Taseer, poi il ministro federale per le Minoranze religiose (e cattolico) Shahbaz Bhatti. Il 26enne cristiano Sawan Masih, originario di Lahore, è stato invece condannato nei giorni scorsi in primo grado, dietro false accuse che in realtà celano dissapori personali con la persona che lo ha denunciato.

    Interpellato da AsiaNews padre James Chand, dell'arcidiocesi di Lahore, sottolinea quanto sia triste "osservare come in Pakistan la situazione peggiori ogni giorno, non solo per le minoranze ma, in particolare, per le donne e le ragazze. Continuiamo a pregare per Asia Bibi e Sawan Masih". Un appello al quale si unisce p. Aurthur Naz, sacerdote originario del Punjab centrale, che rilancia "una giornata di digiuno e preghiera in programma per mercoledì 16 aprile". (R.P.)

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    Myanmar: nel messaggio pasquale mons. Bo invita alla “tolleranza fra religioni”

    ◊   Promuovere "maggiore tolleranza fra religioni", un compito che spetta innanzitutto "ai leader religiosi" i quali devono sottolineare ciò che "di santo e buono" vi è in una fede, senza "attaccare le altre". Perché "l'unità nella diversità" è ciò che anima "il nostro destino". È il messaggio di Pasqua che l'arcivescovo di Yangon mons. Bo consegnerà ai fedeli domenica prossima, 20 aprile, nell'omelia della solenne celebrazione eucaristica pasquale. Un testo che il prelato ha inviato all'agenzia AsiaNews e nel quale egli rilancia il "destino di pace e prosperità" del Myanmar, un tempo martoriato da "guerre e profughi" e che - anche oggi - deve affrontare nuove sfide e difficoltà. Per questo mons. Charles Bo ricorda alla comunità il compito affidato a ogni cristiano: "Rimuovere le barriere, abbattere i muri", secondo il principio di "riconciliazione" con se stessi, i propri vicini e il creato.

    L'arcivescovo di Yangon invita a pregare perché questa non sia "un'alba illusoria" e che anche il risveglio che caratterizza la storia recente della ex Birmania non sia "falsa". Egli ricorda che anche oggi vi sono cinque "chiodi", che possono gettare oscurità sul nuovo Myanmar: espropri forzati, odio religioso fomentato da gruppi nazisti, neoliberismo economico, continui conflitti nelle aree abitate dalle minoranze etniche e rifugiati, politiche finanziarie che favoriscono solo i ricchi.

    L'arcivescovo di Yangon auspica inoltre che ciascun fedele possa sperimentare la "riconciliazione" in famiglia, tra le diverse comunità del Paese - ancora oggi segnato da conflitti e sofferenze, vedi la guerra fra esercito birmano e milizie ribelli nello Stato Kachin, oppure le violenze contro i musulmani Rohingya nello Stato occidentale di Rakhine - e una "riconciliazione con la Creazione stessa", che implica la salvaguardia del territorio e dei beni che esso racchiude. Infine, il prelato afferma che nel Paese serve maggiore "tolleranza" in materia di religione, un compito che spetta in prima persona ai leader religiosi, perché solo "se abbiamo rispetto per un'altra religione, possiamo promuovere la nostra".

    L'arcidiocesi di Yangon - capitale commerciale della ex Birmania - è formata da quasi 100mila fedeli, su una popolazione di oltre 14 milioni di persone; il territorio è suddiviso in 39 parrocchie. Il Myanmar è una nazione multi-etnica (oltre 135 le diverse etnie e minoranze) e multi-confessionale: sebbene non vi sia una religione ufficiale di Stato, quasi l'80% dei cittadini professa il buddismo theravada; i cristiani sono il 4% (i cattolici l'1%), come i musulmani anch'essi al 4%; l'1% professa l'induismo, mentre un ulteriore 2% pratica fedi diverse o legate alla tradizione animista. (R.P.)

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    Panama: la Chiesa chiede ai candidati l'impegno di difendere vita e famiglia

    ◊   A Panama i candidati alle elezioni presidenziali, in programma il prossimo 4 maggio, sono stati convocati dalla “Alleanza per la vita e la famiglia di Panama” per partecipare all’atto conclusivo della Campagna “Impegno nazionale per la vita e la famiglia” che si terrà il 15 aprile, all’Università Santa Maria la Antigua della capitale panamense. Oltre ai candidati alla presidenza della Repubblica, sarà presente l’arcivescovo metropolitano e presidente della Conferenza episcopale di Panama, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, insieme a numerosi rappresentanti dell’Alleanza Evangelica di Panama e delle Ong e istituzioni che lavorano in difesa della vita e della famiglia. “L’impegno dei candidati presidenziali trova il suo fondamento da quanto stabilito dalla Costituzione nazionale secondo la quale lo Stato ha l’obbligo di tutelare la vita umana dal momento del suo concepimento fino alla fine naturale, attraverso politiche pubbliche indirizzate a garantire questo diritto”, afferma mons. Ulloa nella lettera d’invito all’evento. L’arcivescovo di Panama ricorda anche che lo Stato deve garantire la libertà religiosa, stabilire un solido ordinamento giuridico per custodire le famiglie, il riconoscimento e la difesa del matrimonio – inteso come l’unione di un uomo e di una donna - e infine, il riconoscimento del diritto primario dei genitori a educare liberamente i figli, nei principi morali e religiosi. Mons. Ulloa ha convocato tutte le persone e istituzioni che si preoccupano di mantenere l’integrità della famiglia, a partecipare a questa iniziativa, in particolare quelle realtà che lavorano in questo ambito, come la Pastorale per la famiglia, la Pastorale per i giovani, il Movimento Familiare Cristiano, i Gruppi d’incontro matrimoniale e dei fidanzati. L’arcivescovo ha affermato che in questo momento è in gioco l’essenza democratica della famiglia tradizionale, la cui difesa deve essere intrapresa dalla società o altrimenti si mette a rischio il presente e il futuro della società stessa. (A cura di Alina Tufani)

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    Bulgaria: alla Caritas il Premio "Shofar" dalla Comunità ebraica

    ◊   La Caritas in Bulgaria ha ricevuto il premio ebraico “Shofar” per il suo contributo alla tolleranza etnica e religiosa nel Paese balcanico. L’onorificenza - riferisce l'agenzia Sir - è stata consegnata al presidente dell’organizzazione, mons. Petko Christov, vescovo di Nicopoli, durante la cerimonia dei premi “Shofar” svoltasi ieri sera nella Casa ebrea di Sofia, alla presenza delle autorità politiche, di molti intellettuali e scienziati, nonché numerosi membri della comunità ebraica.

    La Caritas è stata scelta tra altri cinque nominati nella stessa categoria, giornalisti e personalità impegnate attivamente per la promozione della tolleranza etnica e in sostegno ai poveri e ai bisognosi. “Abbiamo deciso di premiare la Caritas - ha detto Maksim Benvenisti, presidente dell’organizzazione degli ebrei bulgari “Shalom” - perché essa aiuta tutti, anche persone sconosciute, senza alcuna differenza di religione o etnia. Lo abbiamo visto nel loro impegno con i profughi siriani, arrivati numerosi in Bulgaria”.

    “Questo premio sarà per noi uno stimolo a lavorare ancora più assiduamente in aiuto a chiunque ne avesse bisogno”, ha affermato al Sir mons. Petko Hristov. E ha aggiunto: “Spero che anche le autorità locali noteranno il nostro impegno perché purtroppo in alcune zone del Paese non incontriamo molta collaborazione”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 104

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.