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Sommario del 10/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la tratta di esseri umani è un delitto contro l'umanità
  • Papa Francesco: la dittatura del pensiero unico uccide la libertà dei popoli e delle coscienze
  • Il Papa: il teologo che non prega o si compiace del suo pensiero è mediocre e narcisista
  • Il Papa riceve il neo ambasciatore di Macedonia presso la Santa Sede
  • Tweet del Papa: Gesù ci insegna a non vergognarci di toccare la miseria umana
  • Il card. Rylko: le Gmg, “provocazione” missionaria e segno di speranza
  • Il card. Filoni chiude il Convegno “In ascolto dell’America”
  • Operativo il Vatican Media Center per le celebrazioni pasquali e la Canonizzazione dei due Papi
  • A Roma "Non abbiate paura", il musical su Karol Wojtyla
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nigeria. Il card. Onaiyekan: per vincere le violenze dei Boko Haram lottare contro la povertà
  • Il card. Raï all'Onu: il fondamentalismo islamico, minaccia per la pace
  • Centrafrica: 12 mila caschi blu per ristabilire ordine e sicurezza nel Paese
  • Bomba ad Atene nel giorno del collocamento record dei titoli di Stato
  • Via libera dal Tribunale di Grosseto a nozze gay su Registro Civile. I vescovi: fuga in avanti ideologica
  • Immigrazione. Mons. Perego: priorità sono accoglienza e sicurezza
  • Garante infanzia: l'85% dei minori vede proprio futuro fuori dall'Italia
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Caritas Libano: la comunità internazionale apra campi profughi in Siria
  • Guerra in Siria: Israele accoglie e cura dei feriti siriani
  • Gerusalemme: i cristiani chiedono meno controlli di polizia per le celebrazioni pasquali
  • India: preoccupazione dei cristiani per il voto in Orissa
  • Irlanda: il card. Brady plaude alla visita del presidente Higgins a Londra
  • Armeni siriani di Kessab trasferiti con inganno in Turchia
  • Camerun: preoccupazione per l’afflusso di profughi centrafricani abbandonati a se stessi
  • Centrafrica: delegazione interreligiosa Usa in visita a Bangui
  • Nigeria. I vescovi: è la povertà la causa delle violenze tra allevatori Fulani e indigeni
  • Paraguay: marcia per la libertà dei 5 contadini di Curuguaty in sciopero della fame
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la tratta di esseri umani è un delitto contro l'umanità

    ◊   “Un delitto contro l’umanità”. Con queste parole Papa Francesco ha definito la tratta degli esseri umani, incontrando nell’aula magna della Pontificia Accademia delle Scienze i partecipanti alla Conferenza internazionale dedicata a questo terribile fenomeno. Prima del suo intervento, il Papa ha incontrato quattro vittime della tratta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “La tratta di esseri umani è una piaga, una piaga, nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo. È un delitto contro l’umanità”.

    L’abominio di commerciare in donne, bambini, uomini: Papa Francesco parla come se le ferite sulla “carne di Cristo” fossero incise sulla sua. Tutti sanno che da sempre questo “triste fenomeno”, come lo definisce, è per lui un campo di lotta e il faccia a faccia con i partecipanti alla Conferenza internazionale sulla tratta è l’occasione per esprimere il suo sdegno, ma soprattutto l’urgenza della solidarietà con le vittime, ispirata dalla fede:

    “E’ un incontro, un incontro importante, ma anche è un gesto: è un gesto della Chiesa, un gesto delle persone di buona volontà che vuol gridare ‘basta!’ (...) Il fatto di trovarci qui, per unire i nostri sforzi, significa che vogliamo che le strategie e le competenze siano accompagnate e rafforzate dalla compassione evangelica, dalla prossimità agli uomini e alle donne che sono vittime di questo crimine”.

    Papa Francesco ringrazia tutti i vescovi di Inghilterra e Galles per aver promosso la Conferenza e ringrazia il cardinale Nichols, accanto al quale siede come un conferenziere qualsiasi tra i banchi dell’aula magna della Casina Pio IV. Di fronte e ai lati del Papa si scorgono anche molte divise, quelle delle autorità di polizia che combattono questo tipo di traffico. Papa Francesco mette insieme il loro servizio, basato sul “rigore della legge”, e quello degli operatori umanitari, chiamati a esprimere soprattutto “accoglienza, calore umano” e offrire una “possibilità di riscatto” per le vittime:

    “Sono due approcci diversi, ma che possono e devono andare insieme. Dialogare e confrontarsi a partire da questi due approcci complementari è molto importante. Per questo motivo incontri come questo sono di grande utilità, direi necessari”.

    In tarda mattinata, nella conferenza stampa presso la nostra emittente, alti rappresentanti delle Forze dell’ordine e autorità ecclesiastiche hanno fatto il punto a conclusione della Conferenza internazionale sulla tratta e dell’incontro con il Papa. Sono intervenuti, tra gli altri, il cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza sul Traffico Umano, il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria, e Sir Bernard Hogan-Howe, Metropolitan Commissioner in London. Il servizio di Fausta Speranza:

    Alla forte esortazione del Papa a sradicare la piaga della tratta di esseri umani, “crimine contro l’umanità”, si uniscono i partecipanti alla Conferenza con una dichiarazione finale in cui promettono di proseguire l’impegno contro lo sfruttamento di esseri umani che significa – è stato sottolineato – schiavitù. E poi il capo della polizia di Londra ha fatto l’esempio di un progetto concreto:

    "A great encouragement to press forward as quickly as I can…
    Un grande incoraggiamento a insistere con forza per la fondazione e la realizzazione, il più presto possibile, di una casa a Londra nella quale riunire il meglio delle pratiche e della cura a lungo termine, pensata per alcuni di coloro che abbiamo salvato dalla schiavitù. Abbiamo chiamato questo il 'Progetto Bakhita', ricordando suor Joséphine Bakhita, e vogliamo che l’8 febbraio, in cui la Chiesa ricorda la suora Santa, sia istituzionalizzato come giorno di preghiera per le persone rese schiave del mondo moderno".

    Suor Aurelia Agredano Pérez, vicegenerale della Congregazione delle Adoratrici Ancelle del Santissimo Sacramento e della Carità, ha sottolineato l’importanza di andare oltre gli interventi di polizia, pur essenziali, per cambiare il contesto:

    "Sin un trabajo de sensibilización...
    Senza un lavoro di sensibilizzazione, di formazione e anche di prevenzione, in tante realtà della nostra società, incominciando dalle nostre famiglie e dalle nostre scuole, nessuna lotta seria alla tratta sarebbe possibile".

    Alla domanda dei giornalisti sui risultati che possono essere attribuiti alla Conferenza, è stato risposto che di fronte al numero di Paesi coinvolti, di normative e di situazioni diverse che entrano in campo, non può essere facile suggerire formule legislative, ma il primo risultato dovrebbe essere la promozione di un cambio di prospettiva sulla prostituzione: non più un fenomeno inesorabile, ma una forma di schiavitù da combattere.

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    Papa Francesco: la dittatura del pensiero unico uccide la libertà dei popoli e delle coscienze

    ◊   “Anche oggi c’è la dittatura del pensiero unico” che uccide “la libertà dei popoli, la libertà della gente, la libertà delle coscienze”: occorre “vigilare e pregare”. E’ quanto ha detto il Papa nella Messa presieduta a Santa Marta in questo giovedì di Quaresima che precede la Domenica delle Palme. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Dio promette ad Abramo che diventerà padre di una moltitudine di nazioni, ma lui e la sua discendenza dovranno osservare l’alleanza con il Signore. L’omelia di Papa Francesco prende lo spunto dalla prima lettura del giorno per spiegare la chiusura dei farisei al messaggio di Gesù: il loro sbaglio – rileva - è stato quello di “staccare i comandamenti dal cuore di Dio”. Pensavano che tutto si risolvesse nell’osservare i comandamenti, ma questi – ha sottolineato il Papa – “non sono una legge fredda”, perché nascono da un rapporto di amore e sono “delle indicazioni” che ci aiutano a non sbagliare nel nostro cammino per incontrare Gesù. Così, i farisei chiudono il cuore e la mente “ad ogni novità”, non capiscono “la strada della speranza”. “E’ il dramma del cuore chiuso, il dramma della mente chiusa – afferma il Papa - e quando il cuore è chiuso, questo cuore chiude la mente, e quando cuore e mente sono chiusi non c’è posto per Dio”, ma soltanto per ciò che noi crediamo si debba fare. Invece, “i comandamenti portano una promessa e i profeti svegliano questa promessa”. Quanti hanno cuore e mente chiusi non riescono ad accogliere il “messaggio di novità” portato da Gesù, che “è quello che era stato promesso dalla fedeltà di Dio e dai profeti. Ma loro non capiscono”:

    “E’ un pensiero chiuso che non è aperto al dialogo, alla possibilità che ci sia un’altra cosa, alla possibilità che Dio ci parli, ci dica com’è il suo cammino, come ha fatto con i profeti. Questa gente non aveva ascoltato i profeti e non ascoltava Gesù. E’ qualcosa di più che una semplice testardaggine. No, è di più: è l’idolatria del proprio pensiero. ‘Io la penso così, questo deve essere così e niente di più’. Questa gente aveva un pensiero unico e volevano imporre questo pensiero al popolo di Dio, per questo Gesù li rimprovera: ‘Voi caricate sulle spalle del popolo tanti comandamenti e voi non li toccate con un dito’”.

    Gesù “rimprovera la loro incoerenza”. “La teologia di questa gente – osserva il Papa - diviene schiava di questo schema, di questo schema di pensiero: il pensiero unico”:

    “Non c’è possibilità di dialogo, non c’è possibilità di aprirsi alle novità che Dio porta con i profeti. Hanno ucciso i profeti, questa gente; chiudono la porta alla promessa di Dio. E quando nella storia dell’umanità viene questo fenomeno del pensiero unico, quante disgrazie. Il secolo scorso abbiamo visto tutti noi le dittature del pensiero unico, che hanno finito per uccidere tanta gente, ma nel momento in cui loro si sentivano padroni non si poteva pensare altrimenti. Si pensa così”.

    Ma “anche oggi – ha proseguito il Papa - c’è l’idolatria del pensiero unico”:

    “Oggi si deve pensare così e se tu non pensi così, non sei moderno, non sei aperto o peggio. Tante volte dicono alcuni governanti: ‘Ma, io chiedo un aiuto, un aiuto finanziario per questo’, ‘Ma se tu vuoi questo aiuto, devi pensare così e devi fare questa legge, quell’altra, quell’altra...’ Anche oggi c’è la dittatura del pensiero unico e questa dittatura è la stessa di questa gente: prende le pietre per lapidare la libertà dei popoli, la libertà della gente, la libertà delle coscienze, il rapporto della gente con Dio. Ed oggi Gesù è crocifisso un’altra volta”.

    L’esortazione del Signore “di fronte a questa dittatura – conclude il Papa - è lo stesso sempre: vigilare e pregare; non essere sciocchi, non comprare” cose “che non servono ed essere umili e pregare, perché il Signore sempre ci dia la libertà del cuore aperto, per ricevere la sua Parola che è promessa e gioia e alleanza! E con questa alleanza andare avanti”.

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    Il Papa: il teologo che non prega o si compiace del suo pensiero è mediocre e narcisista

    ◊   Che “la vostra sia una scienza umana e non di laboratorio”: l’invito di Papa Francesco alle comunità della Pontificia Università Gregoriana, del Pontificio Istituto Biblico e del Pontificio Istituto Orientale, ricevute oggi in udienza nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Presenti all’incontro circa 5 mila professori, studenti, personale non docente, sacerdoti e laici, cardinali e vescovi delle tre Istituzioni accademiche, affidate alla Compagnia di Gesù. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Collaborazione” e “sinergie”, ha raccomandato il Papa, per custodire la memoria storica”, “guardando al futuro con creatività e immaginazione”, con “una visione globale” delle “sfide attuali” e “un modo condiviso di affrontarle, trovando vie nuove”. Partendo anzitutto - ha detto Francesco - dal “valorizzare il luogo” dove lavorate e studiate: “la città” e “la Chiesa di Roma”. Qui “c’è un passato e c’è un presente” e “ci sono le radici di fede”:

    “Tutto questo non va dato per scontato! Va vissuto e valorizzato, con un impegno che in parte è istituzionale e in parte è personale, lasciato all’iniziativa di ciascuno”.

    E, c’è poi c’è la varietà delle Chiese di provenienza e delle varie culture: “ricchezza inestimabile delle istituzioni romane”, ha osservato il Papa:

    “Dentro questo orizzonte la dialettica tra 'centro' e 'periferie' assume una forma propria, la forma evangelica, secondo la logica di Dio che giunge al centro partendo dalla periferia e per tornare alla periferia”.

    Il Papa ha quindi affrontato il “rapporto tra studio e vita spirituale”. “Il vostro impegno intellettuale” “sarà tanto più fecondo ed efficace, quanto più sarà animato dall’amore a Cristo e alla Chiesa”:

    “Questa è una delle sfide del nostro tempo: trasmettere il sapere e offrirne una chiave di comprensione vitale, non un cumulo di nozioni non collegate tra loro”.

    Filosofia e teologia permettono di strutturare e fortificare l’intelligenza e illuminano la volontà…

    “…ma tutto questo è fecondo solo se lo si fa con la mente aperta e in ginocchio. La mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre”.

    “Il buon teologo e filosofo” - ha aggiunto - ha un pensiero incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità”:

    “E il teologo che non prega e che non adora Dio finisce affondato nel più disgustoso narcisismo”.

    Infine un richiamo, “affinché – ha concluso Francesco - la vostra sia una scienza umana e non di laboratorio”:

    “I vostri Istituti non sono macchine per produrre teologi e filosofi; sono comunità in cui si cresce, e la crescita avviene nella famiglia”.

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    Il Papa riceve il neo ambasciatore di Macedonia presso la Santa Sede

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’ambasciatore della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Zvonimir Jankuloski, per la presentazione delle Lettere credenziali, e l’arcivescovo Petar Rajič, nunzio apostolico in Kuwait, Bahrein, Yemen, Qatar e Emirati Arabi Uniti; delegato apostolico nella Penisola Arabica.

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    Tweet del Papa: Gesù ci insegna a non vergognarci di toccare la miseria umana

    ◊   Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex, tratto dall'Evangelii Gaudium: “Gesù ci insegna a non vergognarci di toccare la miseria umana, di toccare la sua carne nei fratelli che soffrono”.

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    Il card. Rylko: le Gmg, “provocazione” missionaria e segno di speranza

    ◊   Una “provocazione alla creatività e fantasia missionaria”, un “grande segno di speranza”, un “dono immenso”: così il card. Stanislaw Rylko definisce le Giornate mondiali della Gioventù. Il presidente del Pontificio Consiglio per i laici, infatti, ha inaugurato stamani l’Incontro internazionale sulle Gmg, in programma a Sassone di Ciampino fino a domenica prossima. Il servizio di Isabella Piro:

    L'incontro di Ciampino è un modo per guardare indietro, alla Gmg di Rio de Janeiro 2013, ma soprattutto per guardare avanti, all’incontro mondiale dei giovani fissato a Cracovia nel 2016. “Le Gmg – ha detto il card. Rylko– sono diventate parte integrante della pastorale giovanile a livello mondiale” e va compresa “l’importanza del progetto pastorale di cui sono portatrici nella Chiesa”. Tracciando, poi, un bilancio della Gmg ‘carioca’ - la prima per Papa Francesco, primo Pontefice latinoamericano – il card. Rylko l’ha definita “rivoluzionaria”, capace di “una spinta missionaria di straordinaria forza per tutta la Chiesa e per le giovani generazioni”, “una gigantesca semina della Parola di Dio”, soprattutto nel cuore dei giovani. Ed ora, ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano, questa “grande avventura della fede” continua verso Cracovia 2016, dove la Gmg tornerà a 25 anni di distanza dalla straordinaria esperienza di Częstochowa del 1991.

    Nel frattempo, però, ha ricordato il card. Rylko, è cambiata la Polonia, la Chiesa locale, il mondo dei giovani: si pongono, quindi, nuove sfide pastorali che richiedono “risposte tempestive”. “In particolare – ha evidenziato il porporato – la nuova generazione di giovani ha bisogno di una nuova generazione di operatori pastorali, persuasivi ed autentici testimoni di Cristo e del suo Vangelo”. Due, quindi, gli aspetti fondamentali della Gmg di Cracovia da ribadire: il tema della misericordia, ispirato ad un versetto delle Beatitudini e scelto da Papa Francesco come motto dell’evento, e la figura di Giovanni Paolo II, che nel frattempo sarà divenuto Santo. I giovani di tutto il mondo che si recheranno a Cracovia, ha detto il porporato, “renderanno grazie per la canonizzazione di questo grande Pontefice, protagonista indiscusso di eventi epocali, instancabile pellegrino del Vangelo, grande profeta dei nostri tempi, fondatore delle Gmg”, che “si fidava dei giovani e vedeva in loro degli alleati indispensabili nel progetto della nuova evangelizzazione”.

    Nel 2016, quindi, a Cracovia “Giovanni Paolo II ritornerà tra i suoi giovani come Santo Patrono, un Amico dal cielo di cui ci si può fidare”. “Con gioia e gratitudine”, ha concluso il card. Rylko, la Chiesa polacca guarda a questo grande evento, ma anche “con un forte senso di responsabilità per le attese del mondo intero”. In programma fino a domenica prossima, l’incontro di Ciampino vede la partecipazione di 250 delegati provenienti da circa 90 Paesi dei cinque continenti e di rappresentati di 45 movimenti ecclesiali, nuove comunità e associazioni giovanili. In particolare, oggi pomeriggio, è prevista la presentazione in anteprima del social movie “Bota Fé – Metti la fede nella vita” sulla Gmg di Rio 2013. Domenica, infine, i partecipanti all’incontro prenderanno parte alla Santa Messa delle Palme presieduta da Papa Francesco in Piazza San Pietro alle 9.30. La celebrazione coinciderà con la 29.ma Gmg diocesana e vedrà il passaggio della Croce della Gmg e dell’icona mariana della Salus Populi Romani dalle mani dei giovani brasiliani a quelle dei coetanei polacchi che le porteranno in pellegrinaggio sino a Cracovia.

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    Il card. Filoni chiude il Convegno “In ascolto dell’America”

    ◊   “Tre giorni intensi per ascoltare con attenzione un continente plurale, ricco di speranza ed anche di contraddizioni. Un continente complesso, abitato da molti popoli e culture”: con queste parole il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, ha concluso i lavori del Convegno internazionale “In ascolto dell’America: incontri fra popoli, culture, religioni; strade per il futuro”, tenutosi all’Urbaniana dal 7 al 9 aprile.

    “Dal Nord, al Centro, al Sud America – ha sottolineato il cardinale ripreso dall'agenzia Fides - incontriamo un cristianesimo dal volto allegro e popolare ma anche partecipe, dinamico, coinvolto dalle situazioni di ingiustizia, di oppressione dell’uomo, di minaccia della vita umana sin dal suo concepimento e di distruzione dell’ambiente”. Tuttavia l’America non è un continente “solo cristiano”, in quanto “sono presenti le grandi religioni venute al seguito dei migranti, migranti di fede ebraica o islamica, ed anche discepoli delle tradizioni spirituali e religiose asiatiche; accanto a loro ci sono poi masse di persone ormai non più credenti e lontane dall’esperienza religiosa”.

    Durante il Convegno “ci siamo lasciati provocare dalla realtà – ha proseguito il card. Filoni - per poi rileggerla alla luce della fede e della Tradizione cristiana e cercare quindi insieme strade per l’agire futuro”. Dopo aver ribadito che “l’Evangelizzazione è una missione che riguarda tutti e la situazione di generale secolarizzazione apre frontiere nuove”, il Prefetto del Dicastero Missionario ha ricordato il mandato di Aparecida per “una missione continentale che sapesse però anche varcare le frontiere dello stesso continente americano, e che allo stesso tempo, sapesse percepire il continente americano in modo nuovo”. “Oggi la missione e l’inculturazione si confrontano con società simili ad un caleidoscopio sempre in movimento – ha evidenziato il porporato -. Devono attrezzarsi per una comprensione di sé e del proprio contesto estremamente plurale, dinamica e cangiante. In tutto ciò occorre avere chiara una gerarchia delle verità, e provare a disegnare una non frammentata e confusa identità cristiana”.

    Il card. Filoni ha concluso con quella che ha definito una “provocazione”: “Cosa vuol dire o significare, per l’America e non solo, il 2013 con l’elezione a Successore di Pietro di un figlio, il primo, dell’America? Cosa vuol dire per la Chiesa in America, per l’evangelizzazione di questo Continente e a partire da questo Continente, un tale evento? Cosa vuol dire l’elezione di Papa Francesco per i milioni di migrati in America, per gli afro-americani, per gli indios del Continente, per i giovani, per le donne, per l’economia, per la cultura, per lo sport, per l’ecologia, per i poveri, per le città enormi, per i villaggi, per la storia delle missioni e delle rivoluzioni, per le sette e per la Teologia della Liberazione, cosa vuol dire e rappresenta l’elezione di Bergoglio alla Cattedra di Pietro, Vescovo di Roma e Vicario di Gesù Cristo?”.(R.P.)

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    Operativo il Vatican Media Center per le celebrazioni pasquali e la Canonizzazione dei due Papi

    ◊   Postazioni di lavoro e attrezzature per carta stampata, Tv e radio: è operativo fino al 30 aprile il Media Center vaticano voluto per accogliere le centinaia e centinaia di giornalisti da tutto il mondo che hanno chiesto l’accredito per dare copertura mediatica delle celebrazioni pasquali e della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Il centro, che si trova nell’atrio dell’Aula Paolo VI, vede coinvolti la Sala Stampa della Santa Sede (che ne avrà il coordinamento generale) la Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano e il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Il settore radiofonico sarà gestito dalla Radio Vaticana. Degli obiettivi e dell’impegno Fausta Speranza ha parlato con Giacomo Ghisani, responsabile delle relazioni esterne della Radio Vaticana:

    R. – Al solo comparto radiofonico faranno capo circa 30 testate radiofoniche, alle quali corrispondono un centinaio di giornalisti e tecnici audio che sono naturalmente al seguito di queste emittenti.

    D. – E’ facile ricordare l’esperienza dell’anno scorso, durante il Conclave, ma ci sono state delle tappe precedenti ...

    R. – Sì: ci sono state tappe precedenti. La formula attuale del Media Center, che si divide in una parte carta stampata, in una parte televisiva e in una parte radiofonica, risale al 2011, in occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II. L’esperienza poi fu ripetuta l’anno scorso per il Conclave del 2013, quest’anno per l’esperienza della Canonizzazione. Ma poi c’è una specie di preludio che risale al 2005 quando fu proprio la Radio Vaticana a pensare di ospitare, all’interno dell’atrio dell’Aula Paolo VI, le emittenti soltanto radiofoniche che erano interessate a coprire i funerali di Giovanni Paolo II e il Conclave che portò all’elezione di Benedetto XVI.

    D. – Diciamo che in quel caso la Radio Vaticana ha sentito l’esigenza di spazi nuovi, però in precedenza gli stessi spazi della Radio Vaticana – diventati ormai insufficienti – ospitavano giornalisti da tutto il mondo…

    R. – Certamente. La Radio Vaticana ha, in termini di ospitalità, una lunga esperienza, una lunga tradizione. Noi ordinariamente, nei nostri studi, ospitiamo emittenti e colleghi interessati ad effettuare servizi e trasmissioni radiofoniche in Vaticano; naturalmente, in questi ultimi decenni abbiamo assistito ad una evoluzione del Pontificato in termini universalistici e mondiali: basti pensare a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI e a Papa Francesco. Ecco: di fronte a questo crescente ruolo del Papato e alla sua mondializzazione, è chiaro che anche Roma è diventata un centro verso cui convergere sempre più in occasione di grandi eventi. Quindi, ovviamente, noi abbiamo dovuto trovare spazi adeguati a rispondere a questa esigenza che fondamentalmente è un’esigenza di servizio, cioè mettere le emittenti nella condizione di svolgere al meglio un servizio di informazione che è importante e fondamentale per la Chiesa e per tutto il mondo.

    D. – Centinaia e centinaia di giornalisti da tutto il mondo nello stesso spazio a lavorare sugli stessi temi significa che si crea un microcosmo …

    R. – In queste occasioni, si ricrea certamente un microcosmo che diventa stimolante anche per vedere come lo stesso tema, lo stesso evento viene raccontato e viene interpretato da giornalisti che provengono da culture, da esperienze e da Paesi diversi. Allora ci troviamo tutti di fronte ad uno stesso evento che però trova elementi di racconto, di spiegazione, di interpretazione che possono essere diversi.

    D. – Una curiosità: il Vatican Media Center è operativo fino al 30 aprile ma ci possono essere ancora accrediti in corso?

    R. – Sì: diciamo che il settore accrediti, che è seguito ed è sotto la responsabilità della Sala Stampa della Santa Sede, ha comunicato che ufficialmente le procedure di accreditamento si sarebbero concluse il 7 aprile, e questa è una data che è già passata. Ovviamente, si suppone che per i ritardatari vi sia comunque una certa disponibilità, compatibilmente con il carico di lavoro e con gli spazi di posti che sono disponibili.

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    A Roma "Non abbiate paura", il musical su Karol Wojtyla

    ◊   “Non abbiate paura”: le parole di Giovanni Paolo II danno il nome al musical che ripercorre la sua vita e che sarà in programma dal 21 al 24 aprile all’Auditorium Conciliazione, a Roma. A ingresso libero e con il patrocinio del Pontificio Consiglio per la Cultura, la rappresentazione va in scena in occasione della Canonizzazione di Giovanni Paolo II, il 27 aprile. In un messaggio a firma del sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, letto stamani alla conferenza stampa di presentazione del musical, Papa Francesco auspica che l’evento “costituisca un momento di intensa riflessione sull’opera che Dio compie attraverso i suoi servi fedeli” e rivolge i suoi fervidi auguri in occasione della "sacra rappresentazione". Il servizio di Debora Donnini:

    Musica, teatro e danza per raccontare la vita di un uomo che ha inciso profondamente la storia del mondo e i cuori di tante persone. “Non abbiate paura” è l’esortazione che Giovanni Paolo II pronunciò alla Messa di inaugurazione del suo Pontificato e che è il leit motiv dell’opera. Abbiamo chiesto all’autore del testo, don Giuseppe Spedicato, come sia nata l’idea del musical:

    R. – Questo progetto nasce da una mia promessa fatta al Pontefice nel 1997, quando in visita pastorale venne nella mia terra, nel Salento. In quella circostanza, sapendo che Papa Wojtyla amava i giovani, perché avevo partecipato a diverse Giornate mondiali della gioventù, mi venne l’idea prendendo spunto dalla sua frase pronunciata all’inizio del Pontificato, “Non abbiate paura”, di iniziare a ipotizzare la storia di Giovanni Paolo II in musical. Abbiamo, poi, fatto l’anteprima nazionale nel 2010, in occasione della Beatificazione.

    D. – Come si svolge il musical e qual è il messaggio centrale?

    R. – Il musical parla, nel primo tempo, della storia di questo Pontefice da giovane: il giovane Karol, che vive la drammaticità della guerra nazista e la realtà di dover realizzare anche un sogno, la vocazione sacerdotale. Nel secondo tempo, il suo magistero di grande Pontefice, che ha dato una svolta alla Chiesa universale.

    D. – Tra l’altro, Karol Wojtyla amava moltissimo il teatro e lo ha fatto lui stesso, anche come attore...

    R. – Ecco, nella prima parte di questo musical, noi riprendiamo tutto questo, quando mettiamo in scena il suo amore per il teatro, attraverso delle scene dove lui realmente sta sul palco, recitando parte di quella prosa che lui amava tanto.

    Il musical a ingresso gratuito propone musiche d’autore e vede Danilo Brugia vestire i panni di Karol Wojtyla per rivivere la vita di un Papa venuto da lontano. Ma come si è voluto disegnare la figura di Karol Wojtyla? Ci risponde Andrea Palotto, regista del musical assieme a Gianluca Ferrato:

    R. – Abbiamo sì curato l’aspetto della persona che era sotto gli occhi di tutti, ma ci siamo anche posti il problema di capire quale fosse la figura umana. Per questo, tutto il primo atto in realtà è improntato sulla sua vita prima del Pontificato.

    D. – Un esempio?

    R. – Nel primo atto c’è una bellissima scena, che poi noi riprenderemo verso il finale, che si svolge in un parco giochi, subito dopo la guerra. Il parco giochi è diroccato, disastrato, ed è un po’ l’esemplificazione della Cracovia post-bellica. Lì è dove Karol si rende conto che la sua via, la sua vita, sarà dedicata al Signore. C’è una bella scena con questi amici, con i quali lui scambia un dialogo molto puro, molto semplice, e si pone delle domande su quello che è il senso della vita e su quello che poi lo porterà alla scelta che ha fatto e che lo porterà a essere l’uomo che è stato. Questa scena culmina e termina con una bellissima canzone di Maurizio Fabrizio e Guido Morra, che è “Il dono”.

    D. – Qualche scena che esemplifica il titolo del musical “Non abbiate paura”?

    R. – Naturalmente, l’inizio del secondo atto è tutto dedicato al suo primo messaggio, a cominciare dall’affaccio su Piazza San Pietro. C’è questa bellissima scena, che apre appunto con il suo discorso alla folla e che termina con la canzone leit motiv dello spettacolo, che è “Non abbiate paura”, il suo grande motto che dà il titolo appunto allo spettacolo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una piaga nel corpo di Cristo: pubblichiamo le parole che il Papa ha pronunciato contro la tratta degli esseri umani. Con un commento di Giuseppe Fiorentino.

    Nell'informazione internazionale, il dialogo tra Kerry e Lavrov sulla crisi ucraina, il duplice attentato a Homs e la nuova strage che ha insanguinato la Repubblica Centroafricana.

    In cultura, Frabrizio Bisconti sulla riapertura al pubblico delle catacombe dei santi Pietro e Marcellino sulla via Casilina.

    Il cardinale Loris Capovilla "racconta" la Pacem in terris nell'anniversario dell'11 aprile 1963.

    Pubblichiamo inoltre il discorso di Papa Francesco alla comunità della Pontificia Università Gregoriana, ricevuta in udienza.

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    Oggi in Primo Piano



    Nigeria. Il card. Onaiyekan: per vincere le violenze dei Boko Haram lottare contro la povertà

    ◊   In Nigeria, non si ferma la violenza dei terroristi islamici di Boko Haram. Sette agenti e un civile sono rimasti uccisi nelle ultime ore in un attacco contro una stazione di polizia nella città di Gwaram, nel Nord del Paese. Le violenze del gruppo fondamentalista, dal 2009, hanno causato la morte di migliaia di persone. Massimiliano Menichetti ha parlato della situazione con il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja:

    R. - Il futuro del nostro Paese dipende da noi. Abbiamo le risorse naturali, ci sono 170 milioni di abitanti, gente che vuole lavorare. C’è tutto. Ciò che manca però è individuare il modo di organizzare la società. È un problema politico: sembra che il governo non riesca a capire le cose importanti e non si interessi di cambiare le cattive abitudini. Ci sono alcune persone che ricoprono ruoli importanti, ma sembra che trovino sempre il modo di infrangere la legge senza nessuna conseguenza. E l’impunità è collegata alla corruzione. Per questo motivo ci troviamo in questa situazione anomala: abbiamo un Paese ricchissimo pieno di gente povera.

    D. - Eppure pochi giorni fa è stato annunciato che la Nigeria ha superato in ricchezza il Sudafrica …

    R. - Per le persone che io incontro ogni giorno queste sono solo parole, perché nulla è cambiato nella vita della gente normale. Tanti giovani, persino laureati, non trovano lavoro. Al governo questo non interessa perché mentre in Europa la disoccupazione è un problema politico molto importante, per il governo nigeriano non lo è, perché gli affari del governo non dipendono dalle tasse, ma dalle entrate derivanti dal petrolio.

    D. – Poi c’è la piaga terribile del terrorismo degli estremisti islamici di Boko Haram …

    R. - Si tratta di un terrorismo che ha trovato nel Nord del nostro Paese un terreno fertile grazie a questa situazione di ingiustizia sociale. E allora in un clima del genere, basta che arriva qualcuno con un progetto di società che sembra molto bello - dove non ci sono più ladri, dove non c’è più corruzione, dove tutti vivono bene - e i giovani ci credono facilmente, si cade in questa rete. E siccome questo viene mischiato con la religione, allora tutto diventa feroce. Persino il fervore religioso nigeriano viene strumentalizzato per fare terrorismo.

    D. - Quindi il rischio è che si arrivi ad uno scontro tra cristiani e musulmani?

    R. - No, perché la maggioranza dei nigeriani - cristiani e musulmani - vivono insieme la stessa situazione. La maggior parte dei musulmani nigeriani non credono a queste storie. Il problema però è che basta una piccola minoranza, ben organizzata, per uccidere e creare tanti problemi.

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    Il card. Raï all'Onu: il fondamentalismo islamico, minaccia per la pace

    ◊   Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca d'Antiochia dei Maroniti, ha tenuto nella sede Onu di Ginevra, una conferenza sul tema dei cristiani, la pace e il futuro in Medio Oriente. Tre i punti toccati: la presenza dei cristiani nel mondo arabo, una ricchezza di tradizioni e iniziative sociali nei vari Paesi che ha promosso valori morali e umani, in una costante testimonianza di ricerca di convivialità tra le differenze. In secondo luogo la destabilizzazione attuale del Medio Oriente, dovuta ai tanti colpi di Stato, alle lotte ideologico-religiose, al trionfo di rivoluzioni come quella di Khomeini in Iran, alla deviazione fondamentalista che ha pressoché annullato i frutti iniziali della "primavera araba" e le ingerenze di Paesi occidentali che mantengono vivi i conflitti. Infine, il porporato si è soffermato sulle prospettive di futuro per la Siria, facendo suoi, da un lato, i richiami di Papa Francesco ad una soluzione politica, fatta di dialogo e di negoziazioni e, dall'altro, gli interventi di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra, che più volte ha ribadito analoghe vie di risoluzione del conflitto, nel rispetto reciproco, liberando fede e politica da strumentalizzazioni reciproche. Il milione e mezzo di rifugiati in Libano, vittime del conflitto siriano, non possono più attendere una soluzione al dramma che stanno vivendo. Il patriarca, al termine del suo intervento, ha ribadito che persistono numerosi elementi in comune e complementari tra cristiani e musulmani, vissuti da più di un millennio tra le due culture che costituiscono una base solida per il futuro. A margine della conferenza Gabriele Beltrami ha rivolto al cardinale Béchara Boutros Raï alcune domande a partire dalle parole di Papa Francesco all'udienza generale relative all’uccisione del padre gesuita Frans van der Lugt lunedì scorso in Siria:

    R. - Ci rincresce molto l'assassinio del padre che conosciamo molto bene dal Libano. Penso che sia stato ammazzato da fondamentalisti i quali, perseguitano i cristiani dichiaratamente e anche i musulmani. Ogni fondamentalismo commette atrocità, violenza, terrorismo, morte, assassinio, lo fa a nome della religione, quindi danneggia la religione stessa. Certo questo non rappresenta l'Islam. L'Islam è un'altra cosa, ha i suoi valori. I moderati, che sono la maggioranza, dovrebbero condannare tutto ciò. Purtroppo non condannano apertamente e noi insistiamo affinché questa posizione sia presa chiaramente. Spesso non lo fanno perché hanno paura di essere perseguitati. Questo noi lo sappiamo e lo rispettiamo. Però voglio dire alla comunità internazionale e all'opinione pubblica che la maggioranza dei musulmani sono moderati. Mi dispiace che una scelta politica sta fomentando e promuovendo il fondamentalismo. Prendiamo il caso dell'Egitto: i Fratelli musulmani sono stati aiutati finanziariamente da grandi potenze per ottenere il potere. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che questa scelta politica vuole fomentare i conflitti dentro l'Islam stesso, ma anche vuole mostrare, per il bene di qualcuno, che è impossibile la convivenza tra gli uomini e, socialmente, tra le diverse civiltà. Bene, vogliamo salutare il popolo egiziano che ha potuto fare questa rivolta, la stessa cosa in Siria. Mi dispiace molto, perche la gente voleva le riforme: erano delle manifestazioni giuste e vere. Sono state soppiantate da questi gruppi fondamentalisti. Sia Paesi dell'Oriente che Paesi dell'Occidente volevano sempre mandare armi ai ribelli: ma a chi andavano? Ai fondamentalisti, ai mercenari. Vuol dire che c'è una scelta politica latente che vuole destabilizzare le società. Bisogna non solo che i moderati musulmani denuncino apertamente, ma bisogna anche che la comunità internazionale si renda conto che non può continuare a promuovere e sostenere e consolidare e fortificare i gruppi fondamentalisti, perché questi non sono un pericolo solo per la regione, per i cristiani: sono un pericolo per la pace mondiale. Quando uscissero fuori questi gruppi fondamentalisti che non promuovono che il terrorismo, chi li potrà domare? Bisogna che la comunità internazionale prenda coscienza e che dia ascolto al Santo Padre Francesco.

    D. - In una recente intervista ha messo chiaramente in discussione che si possa ancora parlare di guerra civile in Siria dopo le tante ingerenze internazionali che, secondo lei, alimentano solo le ostilità. La sua è una denuncia forte: che reazioni ha ottenuto fino ad oggi?

    R. - Quelli che non vogliono la pace e non vogliono soluzioni politiche rifiutano questo discorso. E io l'ho sperimentato personalmente già all'inizio della guerra in Siria, perché sono cosciente e lo dico dichiaratamente, pubblicamente: quando io facevo appello ad una soluzione pacifica e politica in Siria, allora dicevano che sostenevo il regime. Poi mi sono consolato perché fin dalla sua elezione, Papa Francesco non ha cessato mai di richiamare alla soluzione politica. Chi non vuole la pace, non accetta il tuo discorso; chi vuole la guerra non accetta il discorso per la pace; chi vuole l'oppressione non accetta il discorso della giustizia; chi vuole inimicizie non accetta il discorso della fratellanza. Però questo non vuol dire che dobbiamo tacere: dobbiamo sempre dire la verità, richiamare alla giustizia, all'amore - perché siamo tutti uomini - e anche alla libertà. Questi sono i quattro pilastri della pace di Papa Giovanni XXIII: verità, giustizia, libertà e amore. Se questi pilastri non esistono, allora la pace non può esistere. Ecco la voce profetica della Chiesa.

    D. - Sembra che in Medio Oriente la ricerca di pace stabile e di riforme eque attese da tempo si sia arrestata o quantomeno rallentata. Lei parla di "fortissima crisi storica della stessa portata della fine dell'Impero ottomano e della divisione della regione che ne seguì più di un secolo fa": quali le piste per una risoluzione?

    R. - All'origine di tutto quello che sta avvenendo nel Medio Oriente, ci sono il conflitto israelo-palestinese e israelo-arabo. Sono due conflitti. Quello israelo-palestinese riguarda il territorio palestinese: gente cacciata dalla terra, la propria terra, che vive miseramente nei campi. Quello israelo-arabo riguarda Israele che occupa Paesi arabi - Libano, Siria, Palestina - e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non vengono applicate. Bene: né i palestinesi hanno diritto di ritornare, né hanno diritto di formare il loro Stato, né l'esercito israeliano applica le risoluzioni per lasciare i territori occupati: vuol dire che non vogliono la pace. E da questo conflitto nascono, si alimentano, come da un fuoco, gli altri conflitti del Medio Oriente. Sono riusciti a creare il conflitto tra i musulmani, hanno cercato di farlo tra cristiani e musulmani, ovunque, specialmente in Libano, con la guerra del Libano: non sono riusciti perché la cultura libanese della convivialità ha prevalso. Sono riusciti a creare questo grande conflitto tra sunniti e sciiti, tra moderati e fondamentalisti e integralisti, il conflitto in Egitto tra moderati e fratelli musulmani che sono piuttosto integralisti. In Irak hanno acceso il conflitto sunniti-sciiti. Tutti i giorni si ammazzano a vicenda. In Siria la lotta non è tra siriani sunniti e sciiti, lì non ci sono sciiti: si tratta di una lotta di Paesi sunniti capeggiati dall'Arabia Saudita e Paesi sciiti capeggiati dall'Iran. Questi Stati fanno la guerra in Siria attraverso l'opposizione, da una parte, e attraverso i gruppi fondamentalisti e mercenari che vengono da diversi Paesi occidentali e orientali. Questa è la grande tragedia: se la comunità internazionale vuole veramente la pace nel Medio Oriente, deve cominciare a risolvere il conflitto israeliano-palestinese e israeliano-arabo.

    D. - Il Libano ha accolto un milione e mezzo di profughi siriani, un terzo della popolazione libanese: qual è oggi la situazione e le prospettive per loro?

    R. - Il Libano, differentemente da altri Paesi, non ha potuto chiudere le porte, non ha potuto mai dire basta, perché in Libano c'è una parola che dice: "Le mani che hanno conosciuto i chiodi, inchiodate dai chiodi, solo loro sanno toccare le ferite". Noi abbiamo sperimentato e noi sempre abbiamo detto, io ed altri: "Fossimo noi al loro posto! Fossero le nostre famiglie!". Quindi noi non possiamo chiudere la porta alla gente innocente. Questo non vuol dire che il Libano deve assumere da solo questo peso. Non si tratta solo di un grande peso economico-sociale - perché non hanno nulla per vivere, per vestirsi, per mangiare, per le scuole – ma anche niente sicurezza, perché entrano le armi. A lungo andare questo minaccia l'identità del Libano, la fisionomia sociale e la cultura libanesi e minaccia specialmente la sicurezza del Libano perché queste persone verranno strumentalizzate politicamente: è gente oppressa, gente ferita quindi può vendersi a tutte le correnti. Una volta il Beato Giovanni Paolo II disse all'Onu che non basta denunciare i fondamentalisti e integralisti, bisogna vedere perché esistono, dove stanno le cause perché se c'è oppressione e ingiustizia nel mondo ecco che nascono questi gruppi fondamentalisti. Bisogna aiutare i profughi, certo, ma bisogna anche salvare il Libano. Noi chiediamo oggi che siano stabiliti campi all'interno della Siria, dove hanno molto spazio di sicurezza sotto il controllo dello Stato, e se per caso fosse difficile far passare gli aiuti attraverso le frontiere siriane - dato che il regime ha paura che entrino anche i mercenari - noi proponiamo che siano sulla "no man's land", cioè tra le due frontiere. Però adesso lo stesso problema è che vivono in mezzo ai villaggi: non abbiamo spazio in Libano. Il Libano ci sono montagne e valli e qualche pianura. Quindi faccio un appello alla comunità internazionale: non bisogna sacrificare un Paese che è democratico, un Paese dove c'è la convivialità tra musulmani e cristiani organizzata dalla Costituzione. Volete democrazia? Nel Medio Oriente la porta il Libano! Volete diritti umani e fondamentali? Li porta il Libano! Volete le libertà, tutte le libertà pubbliche? E' il Libano a portarle! Volete convivialità di religioni, culture? E' il Libano ... ! Per favore, non sacrificate il Libano perché con senso umanitario riceve gente disperata. Spero che questo appello arrivi a delle coscienze e a delle buone volontà per non creare un altro problema ancora: noi non vogliamo rinunciare a questa nostra cultura cristiana, però, per favore, che il mondo aiuti questo Paese di cui ha detto Giovanni Paolo II che è un messaggio e modello per l'Oriente e l'Occidente, per dire che è possibile vivere insieme essendo diversi.

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    Centrafrica: 12 mila caschi blu per ristabilire ordine e sicurezza nel Paese

    ◊   Il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe votare in giornata una risoluzione che autorizza il dispiegamento a settembre di circa 12 mila caschi blu nella Repubblica Centrafricana per ristabilire l’ordine e la sicurezza. La Francia metterà ai voti un testo che prevede l’invio di 10 mila soldati e 1.800 agenti di polizia. Dall’Europa partirebbero 1800 uomini, il 15 settembre. Veronica Giacometti ha intervistato per un commento Luigi Serra, docente di Lingua e Letteratura Berbera dell’Università degli Studi di Napoli, l’“Orientale”:

    R. – Una decisione che diverrebbe operativa a settembre prossimo. Uno si chiede se a fronte della presa d’atto di una situazione a dir poco drammatica per la continuità e l’incidenza in profondità dei danni sulla popolazione locale in Centrafrica – in un luogo che non a caso tradisce l’importanza del luogo con l’aggettivo “centro”, ma del Centro-Africa, terra di disagi, di cruenti scontri interetnici e internazionali tra Paesi e Paesi limitrofi – uno si chiede: da qui a settembre, la previsione di stanziamento di 12 mila caschi blu in Centrafrica quale certezza di successo può avere? Quindi, sarebbe beneaugurante immaginare che l’Onu decida per questo intervento, ma che non decida soltanto per un’operazione di facciata.

    D. – Quale sarebbe, dunque, il beneficio per la Repubblica Centrafricana, della presenza dei Caschi blu?

    R. – Frena soltanto l’uso delle armi, ne limita gli esiti cruenti, ma non risolve i problemi a sostrato politico o politico-culturale. Gli interventi dell’Onu, con i caschi blu, più che "celestiali" sono terrestri, pragmatici, con intervento - al seguito dei caschi blu - di natura prettamente economica ed umanitaria, retta naturalmente dagli Stati interessati a riappacificare la situazione in Centrafrica, e dalle grandi holding internazionali, un po’ meno sensibili a sfruttare le risorse del luogo ma a pensare alla popolazione.

    D. – Qual è la situazione generale della popolazione civile? Come vive tutto ciò?

    R. – Innanzitutto, in uno stato mortificante di assuefazione ai disordini, alle drammatiche situazioni anche di natura cruenta che la popolazione, giorno dopo giorno, vive o si aspetta; ma probabilmente auspicando nell’intimo un rasserenamento della gestione politica dell’area del Paese. Quindi, vive con disillusione, con tensione, con paura e senza fiducia nel presente e nel futuro, alla luce del passato.

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    Bomba ad Atene nel giorno del collocamento record dei titoli di Stato

    ◊   La Grecia dopo quattro anni torna sul mercato dei titoli di Stato con un boom di domanda pari a oltre venti miliardi di euro. Collocati tre miliardi di titoli a cinque anni, con un tasso al 4,95%. Nella notte, un’autobomba esplosa nei pressi della Banca Centrale di Atene ha tentato senza successo, secondo il governo, di oscurare questo importante debutto. Fortunatamente, non ci sono state vittime. Il collocamento dei bond è per l’Europa un segnale incoraggiante: diffusi anche i dati sulla disoccupazione che cala di un punto percentuale attestandosi al 26,2%. Massimiliano Menichetti ha chiesto l'opinione di Angelo Baglioni, professore di economia alla Cattolica di Milano:

    R. – Sicuramente, c’è stato qualche miglioramento per la prospettiva dell’economia greca con gli ultimi dati, i più recenti, anche con le previsioni del Fondo monetario che prevedono il ritorno alla crescita per quest’anno e soprattutto per l’anno prossimo. Credo ci siano anche aspetti tecnici da tenere in considerazione dietro questo successo: questa emissione di bond è stata fatta sotto il diritto britannico, quindi internazionale, e ciò dovrebbe consentire a questi titoli di essere al riparo da eventuali ristrutturazioni, cioè tagli di valore, come quelli che furono fatti due anni fa sul debito greco, per intenderci. Quindi, questo è un elemento che probabilmente ha contribuito a questa forte domanda e al successo delle operazioni. L’altro elemento è che ricordiamo che, dopo quella ristrutturazione, i partner europei, l’Eurogruppo, hanno sempre lasciato intendere che se vi dovesse essere un’ulteriore ristrutturazione, sarebbe a carico dei cosiddetti “creditori ufficiali”, cioè degli Stati europei, del Fondo monetario e del Fondo di stabilità europeo che ha concesso i prestiti. Quindi, questi sono due elementi che danno tranquillità a chi ha sottoscritto questi titoli.

    D. – Nel giorno in cui la Grecia ricolloca sul mercato i propri titoli di Stato, esplode una bomba ad Atene davanti a una banca. Sempre nello stesso giorno, si rileva anche un calo del tasso di disoccupazione che è passato a gennaio al 26,7% dal 27,2% – comunque un dato sempre alto. Insomma, in Grecia rimane la crisi…

    R. – Assolutamente sì. Il successo di questa emissione di bond è, come dicevo prima, legato ad alcuni fattori tecnici e a un miglioramento relativo delle prospettive di crescita della Grecia. Ciò non toglie che, al momento, sia un Paese stremato, nel quale il prodotto interno lordo si è ridotto di un quarto negli ultimi tre-quattro anni e dove la disoccupazione è a livelli altissimi… Quindi, tra l’altro, una certa prudenza bisogna averla perché c’è un malcontento sociale in Grecia che naturalmente non è detto che rimanga sotto controllo.

    D. – Ma, secondo lei, si sta andando nella direzione giusta per uscire dalla crisi?

    R. – Io credo di sì. Sicuramente, rispetto a due-tre anni fa i rischi dell’area euro si sono ridotti enormemente. Però, bisogna tener presente che i rischi ci sono ancora: sono diminuiti ma, naturalmente, ci sono ancora.

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    Via libera dal Tribunale di Grosseto a nozze gay su Registro Civile. I vescovi: fuga in avanti ideologica

    ◊   Dopo il pronunciamento della Consulta che ha definito incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge 40, un’altra sentenza giudiziaria torna ad accendere il dibattito in Italia. Il Tribunale di Grosseto ha accolto la richiesta di una coppia gay di trascrivere nei registri dello Stato Civile le nozze contratte negli Stati Uniti nel 2012. Si tratta del primo caso nel Paese. Secondo il giudice nelle norme italiane non esiste un divieto esplicito al matrimonio omosessuale. Una “fuga in avanti di carattere ideologico” che rischia di travolgere l’istituto del matrimonio, secondo la Conferenza Episcopale Italiana. Al microfono di Paolo Ondarza il commento del giurista Alberto Gambino, docente di Diritto Privato e di Diritto Civile all’Università Europea di Roma:

    R. - È una decisione destituita di fondamento perché il nostro codice civile legge il matrimonio come l’unione tra marito e moglie, e dietro questa accezione c’è dunque la distinzione sessuale maschio e femmina. Non solo, ma la Corte di Cassazione ancora un anno e mezzo fa aveva già sentenziato che matrimoni gay stipulati in altri ordinamenti sono privi di effetti giuridici nell’ordinamento civile italiano.

    D. - Secondo il giudice di Grosseto il matrimonio omosessuale non è contrario alla legislatura italiana all’interno della quale non esisterebbe un divieto esplicito a questo tipo di unione …

    R. - Non c’è bisogno di un divieto espresso, basta leggere le norme che fanno riferimento a marito e moglie, alla prole che nasce evidentemente da un uomo e da una donna … Tutta l’impalcatura civilistica dà per pacifico che si tratti di un uomo e di una donna. E quando ciò è pacifico, non c’è bisogno di una norma che lo dica espressamente.

    D. - La cosa non sembra poi così pacifica, nel senso che è in atto anche un tentativo di equiparazione di unioni di vario tipo al matrimonio. C’è da pensare che questa decisione del giudice di Grosseto posso costituire un precedente?

    R. - Direi di no, perché è vero che c’è in atto questo tentativo di equiparazione, ma lo si sta facendo nella sede competente: il Parlamento italiano. Parliamo di disegni di legge i quali dovranno avere un dibattito ampio sia in Parlamento, sia nella cittadinanza italiana per verificare se si vuole davvero arrivare a questo. Non sarà certo un giudice di un tribunale a poter dettare una nuova legge, una nuova normativa.

    D. - Ieri la Consulta ha abbattuto il divieto della fecondazione eterologa stabilito dalla Legge 40; nelle stesse ore arrivava questa sentenza del giudice di Grosseto, mentre il Senato sta esaminando il disegno di legge Scalfarotto per il contrasto dell’omofobia, un provvedimento che per molti introdurrebbe il reato di opinione in Italia. Agli occhi di alcuni osservatori, dietro a tutto questo c’è un attacco all’istituto del matrimonio …

    R. - È in atto un’impostazione culturale che si verifica su più fronti: quella di valorizzare al massimo i diritti individuali, le libertà come se fossero sempre assolute e in contrasto con la comunità di appartenenza. Invece il nostro sistema normativo ha sempre visto la persona come immersa in una comunità, in relazioni con altri. Tutte queste decisioni e disegni di legge invece valorizzano soltanto i bisogni individuali, tra l’altro dei soggetti più forti senza preoccuparsi di preservare invece i soggetti più deboli, come nel caso ad esempio della fecondazione eterologa, dove si dimentica totalmente che il nascituro, il bambino si troverà davanti a tre genitori e non a due.

    D. - Molti mettono sullo stesso piano la sentenza sui matrimoni gay di Grosseto con quella sulla fecondazione eterologa. Si dice che il prossimo passo sia un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale anche sui matrimoni gay …

    R. - Questo è un po’ più complesso, perché il nostro Articolo 29 della Carta costituzionale nel parlare di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, fa riferimento, appunto, ad una società naturale. Ora, per quanto la si possa interpretare: è naturale l’unione che non dà vita a figli o è artificiale? La nostra Carta costituzionale mi sembra molto chiara …

    D. - A meno che la legge Scalfarotto, allo studio del Senato, se approvata, non arrivi ad impedire di poter enunciare questi principi…

    R. - Quella legge che dovrebbe contrastare l’omofobia ha un vulnus nei confronti della libertà d’espressione: arriva a dire che è reato addirittura l’esprimere apprezzamenti, valori che sono nella direzione del matrimonio ad uso esclusivo di un uomo e di una donna. Questo già potrebbe ingenerare la fattispecie di un reato. Quindi tutti gli amanti della libertà e della libertà di espressione, a prescindere dal loro credo religioso, dalla loro opzione culturale dovrebbero rifiutare l’impostazione del disegno di legge Scalfarotto.

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    Immigrazione. Mons. Perego: priorità sono accoglienza e sicurezza

    ◊   In Italia si è aggravata, in questi giorni, l’emergenza legata ai flussi migratori dal nord Africa. Complessivamente, dall’inizio dell’anno, gli immigrati sbarcati sulle coste italiane sono più di 15 mila. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Negli ultimi giorn,i sono stati soccorsi oltre 4.000 migranti che provengono in gran parte dall’Africa subsahariana. L’Italia – ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – è sotto una pressione migratoria fortissima. Quali le priorità in una situazione segnata da emergenze sempre più gravi? Risponde mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana:

    “Allargare la capacità di accoglienza delle nostre città, dei nostri comuni. Solo alcune centinaia di Comuni hanno accolto i richiedenti asilo e i rifugiati, rispetto agli ottomila comuni italiani. Allargare perché l’Italia è al quarto posto per l’accoglienza, sei volte meno della Germania, della Francia e di altri Paesi. Allargare l’accoglienza anche per essere più credibili in Europa. Un secondo impegno, che queste migrazioni ci stanno segnalando in maniera forte, è quello di rafforzare la cooperazione internazionale. E’ importante ripensare l’Europa anche come un grande continente che sappia essere luogo di passaggio, ma anche luogo di sicurezza per persone di cui abbiamo anche bisogno sul piano economico e sul piano sociale per ridisegnare la nostra casa comune”.

    Tra gli immigrati che arrivano in Italia, non è esiguo il numero di cristiani che provengono da Paesi, segnati da povertà e conflitti. Ancora mons. Perego:

    “Se andiamo a ‘leggere’ poi questi volti di migranti che arrivano, sono persone che provengono anche da esperienze religiose cristiane di un’Africa che è un grande continente. Provengono da Medio Oriente, come la Siria, dove i cristiani vivono una situazione di minoranza e di persecuzione. Provengono da un Corno d’Africa dove i cristiani stanno vivendo, da diversi anni, una situazione di guerra che diventa anche di persecuzione. Sono nostri fratelli, persone che possono effettivamente dare un valore aggiunto alle nostre comunità cristiane e farci respirare in maniera forte anche il senso della cattolicità”.

    Ieri, intanto, prima dell’udienza generale, Papa Francesco ha benedetto la grande croce realizzata con il legno dei barconi di Lampedusa, provenienti dalle coste libiche, che sarà portata in pellegrinaggio in tutta Italia. Ma come è nata questa idea? Risponde, al microfono di Laura De Luca, il fondatore della Casa dello spirito e delle arti, Arnoldo Mosca Mondadori, che promuove l’iniziativa:

    “In un momento di preghiera è nata l’idea di realizzare una grande croce simbolica che potesse restituire al simbolo della croce tutta la sua bellezza. Anche il simbolo è stato deriso, è stato sottovalutato da una cultura iper-razionale. Allora, l’idea che i migranti – attraverso il dolore dei loro viaggi – possano restituirci la commozione di questo legno è il punto di partenza di questo viaggio”.

    Una Via Crucis che rinnova l’invito alla solidarietà soprattutto per le persone che su questo legno hanno vissuto, per mare, profondi e laceranti dolori:

    “Tant’è che davanti a questa croce si commuovono anche i non credenti che guardandola piangono. Il Papa è arrivato camminando e davanti alla croce si è commosso. Ha baciato la roce, ha toccato il chiodo e poi l’ha benedetta dicendo: Adesso inizia il viaggio della croce”.

    Il viaggio della croce di Lampedusa si snoderà attraverso varie tappe, a cominciare dal rione Sanità, a Napoli. Don Antonio Loffredo, parroco della basilica di Santa Maria della Sanità:

    “Per noi è, come accogliere una preziosa reliquia che ancora oggi ci parla delle stesse sofferenze, delle stesse attese di chiunque fa questo viaggio da quella sponda alla nostra”.

    La croce è alta 2 metri ed 80 ed è larga un metro e mezzo. Pesa 60 chilogrammi ed è stata realizzata dal falegname lampedusano, Franco Tuccio, che ha unito con chiodi, trovati su barconi partiti dal Nord Africa, due assi di legno di color rosso e turchese.

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    Garante infanzia: l'85% dei minori vede proprio futuro fuori dall'Italia

    ◊   La stragrande maggioranza dei giovani minorenni vede il suo futuro all'estero. E' quanto emerge da un’indagine illustrata oggi a Montecitorio in occasione della presentazione della Relazione al parlamento del Garante per l'infanzia e l'adolescenza. Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha chiesto che la politica investa di più sui minori. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Almeno l’85% dei minori tra i 14 e i 17 anni pensa che il proprio futuro sia fuori dell’Italia. Un pessimismo che non può essere sottovalutato, per questo per la presidente della Camera, Laura Boldrini, serve investire sui giovani per spezzare il cerchio della diseguaglianza, per arginare fenomeni di devianza e di emarginazione:

    “I bambini devono fare i bambini, non devono essere spinti verso l’adolescenza. Gli adolescenti non devono crescere troppo in fretta: a volte stentano a diventare adulti perché non hanno accesso al mondo del lavoro. Abbiamo due milioni di ragazzi nel nostro Paese che non studiano, non sono in formazione e non lavorano”.

    D’accordo il garante per l’Infanzia, Vincenzo Spadafora, che dice basta taglia ai fondi da destinare ai minori, alle politiche giovanili:

    “Il fatto che siano in aumento i bambini poveri nel nostro Paese – siamo arrivati a oltre due milioni di bambini adolescenti poveri – è un dato sicuramente preoccupante, anche perché in piccolo ma costante aumento. Il che vuol dire che le misure e gli interventi di questi ultimi anni non sono stati sufficienti a cambiare la rotta”.

    Dato positivo comunque il fatto che il 60% dei giovani si fidi dei genitori, segno che l’istituto familiare è ancora saldo. Da quando a marzo 2012 è nata l’Autorità del garante per l’infanzia, sono arrivate 238 segnalazioni. Si tratta per oltre il 60% di confitti che riguardano privati e istituzioni come la scuola e la magistratura. Preoccupa poi il fatto che siano cresciuti del 300% in 10 anni i casi di sottrazione internazionale di minori in Italia.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Caritas Libano: la comunità internazionale apra campi profughi in Siria

    ◊   “Il numero di rifugiati siriani in territorio libanese ha raggiunto una soglia insostenibile per il Libano, pari al 25-30% della popolazione presente sul territorio nazionale. Le potenze globali e regionali, invece di fornire armi a chi uccide, dovrebbero concentrare i propri interventi su questa emergenza”. Così dichiara all'agenzia Fides il sacerdote maronita Paul Karam, presidente di Caritas Libano. Padre Karam riprende la proposta rilanciata dal patriarca maronita Bechara Boutros Rai nei suoi recenti interventi a Ginevra: ”In Siria” spiega il sacerdote maronita, “ci sono ampie regioni non interessate dal conflitto, dove possono essere attrezzati dei campi profughi o dei presidi di soccorso e assistenza, anche nella zona frontaliera tra Libano e Siria. Così, con il sostanziale intervento della comunità e degli organismi internazionali, si potrebbero gestire processi e emergenze che adesso appaiono fuori da ogni controllo”.

    Nei giorni scorsi le fonti ufficiali Onu hanno confermato che i profughi siriani registrati in Libano hanno superato la cifra di un milione. Secondo il presidente di Caritas Libano, i dati reali sono molto più allarmanti: “I rifugiati fuggiti dalla guerra siriana” riferisce padre Karam, “sono almeno un milione e mezzo, a cui va aggiunto il mezzo milione di profughi palestinesi. Per un Paese piccolo come il Libano si tratta di numeri intollerabili, che mettono sotto pressione il già fragile sistema sociale. La maggior parte dei rifugiati sono musulmani, e questo destabilizza il delicato equilibrio demografico libanese. L'impatto di questi flussi si sente nella crisi economica, nella mancanza di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, e anche nella questione della sicurezza: negli ultimi mesi, su otto arrestati in Libano per azioni criminose, otto sono siriani”.

    La Caritas si prende cura direttamente di 200mila profughi e ne assiste 55mila a livello medico-sanitario. “Ma sui fattori politici e geo-politici che generano il disastro umanitario siriano noi non possiamo intervenire. Questo riguarda i grandi leader, che sono tutti in vario modo responsabili di quello che sta succedendo in Siria” conclude il presidente di Caritas Libano.

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    Guerra in Siria: Israele accoglie e cura dei feriti siriani

    ◊   Sono passati tre anni dall’inizio delle ostilità in Siria, con la guerra civile che sta dilaniando il Paese, mietendo ovunque morte, ed allarmando il mondo intero. Dei numerosissimi feriti, alcuni hanno trovato ospitalità presso i Centri ospedalieri dei Paesi vicini tra i quali anche Israele. La nazione israeliana, infatti, anche se ufficialmente “nemico” della Siria da più di un decennio, si è impegnata, sin dal 2013, a dare il proprio aiuto umanitario offrendo accoglienza e cure a centinaia di siriani. Questo accade ancora negli ospedali situati nella regione della Galilea, al nord, dove tra i Centri più attivi emerge l’ospedale di Safed, col direttore Oscar Embon.

    I casi più urgenti, che superano la frontiera tra la Siria ed Israele, vengono presi in cura dagli ospedali israeliani fino al pieno ristabilimento della persona. Diversi sono i servizi offerti e che vanno dalle operazioni chirurgico-plastiche alle più complesse amputazioni degli arti, dal sostegno psicologico alle vittime – spesso in evidente stato confusionale a causa delle atrocità alle quali hanno assistito – alle nascite di bambini siriani in sala parto. Così, l’aiuto offerto dallo Stato di Israele si manifesta come un gesto nobile ma anche portatore di un messaggio di pace ben preciso, che va oltre le difficoltà e le violenze di natura politica, incentrato sulla dignità della persona, soprattutto della persona la cui identità fisica o psicologica è stata violata da fattori bellici. (G.P.)

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    Gerusalemme: i cristiani chiedono meno controlli di polizia per le celebrazioni pasquali

    ◊   I cristiani palestinesi di Gerusalemme, preoccupati per le misure di sicurezza che verranno adottate dalla polizia israeliana durante le celebrazioni pasquali, chiedono al governo di evitare restrizioni. In risposta, la polizia israeliana dichiara che i blocchi stradali e i controlli all'ingresso dei Luoghi Santi sono necessari per prevenire eventuali crisi e per mantenere l'ordine. Il contrasto finirà in tribunale.

    Un gruppo di residenti di Gerusalemme Est - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha firmato e presentato una petizione all'Alta Corte di Giustizia di Israele, chiedendo alla polizia di diminuire le misure di sicurezza, che potrebbero impedire l'accesso dei fedeli ai Luoghi Santi.

    Il vescovo ausiliare del patriarcato latino di Gerusalemme, mons. William Shomali, ha affermato che "ogni cristiano ha il diritto di pregare nella Chiesa del Santo Sepolcro, e il diritto di muoversi senza restrizioni". Il timore è che i posti di blocco della polizia israeliana, dentro ed intorno alla città vecchia, potrebbero scoraggiare i fedeli dal recarsi alla chiesa del Santo Sepolcro e agli altri siti per assistere alle celebrazioni.

    Da parte sua, il governo ha risposto sottolineando che l'Alta Corte di Giustizia di Israele non ha valide ragioni per intervenire sulle decisioni prese dalla polizia. Ma il giudice Noam Solberg ha, invece, deciso che una giuria composta da tre giudici dovrà esaminare la petizione questa settimana. (R.P.)

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    India: preoccupazione dei cristiani per il voto in Orissa

    ◊   "I cristiani del Kandhamal sono preoccupati da chi vincerà queste elezioni, ma credono nella democrazia e nel potere del voto". È quanto afferma ad AsiaNews mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, nel distretto di Kandhamal (Orissa). Oggi più di 13 milioni di persone andranno al voto in 10 circoscrizioni dell'Orissa, nella terza fase - su nove totali - delle elezioni generali 2014.

    Quella odierna è considerata cruciale perché interessa 91 circoscrizioni sparse di 14 Stati. Tra questi, alcuni tra i più importanti del Paese: Uttar Pradesh, Kerala, Maharashtra, Orissa e Delhi, la capitale. L'Uttar Pradesh è lo Stato che conta più membri nella Lok Sabha ("Casa del popolo"), la Camera bassa del Parlamento. La Lok Sabha può avere un massimo di 552 membri; di questi, 530 rappresentano la popolazione degli Stati, 20 la popolazione dei Territori dell'Unione, 2 possono essere nominati dal presidente del Paese in rappresentanza della comunità anglo-indiana. Ciascun membro eletto rappresenta una singola circoscrizione geografica.

    Per 11 anni (1998-2009) l'Orissa è stata governata dal Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito nazionalista indù, in alleanza con il Biju Janata Dal (Bjd, regionale). Proprio sotto la sua guida, nel 2008 nel distretto del Kandhamal si sono consumati i più violenti pogrom anticristiani mai avvenuti in India, per mano dei gruppi fondamentalisti indù vicini al Bjp.

    "Questa comunità - spiega mons. Barwa ad AsiaNews - vuole una vita pacifica, fatta di uguaglianza e convivenza armoniosa, senza che qualcuno disturbi la quotidianità, il lavoro o la pratica religiosa". Per questo "speriamo che il nuovo governo dia giustizia alle vittime della carneficina del 2008. La giustizia è un diritto di ogni persona, e per il miglioramento dello Stato e lo sviluppo di tutta la popolazione è giusto che tutti godano degli stessi diritti, privilegi e libertà, a prescindere da quale sia la comunità religiosa di maggioranza".

    Secondo fratel KJ Markose, un religioso monfortiano che lavora come avvocato, "il Bjp non otterrà alcun seggio, perché le comunità cristiane voteranno con assennatezza".

    Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), rivela ad AsiaNews di "confidare in un'amministrazione che garantisca sicurezza e protezione al popolo di Kandhamal; che applichi la Costituzione dell'India; che difenda la libertà religiosa della minoranza cristiana. Questa gente ha sofferto una violenza disumana, e i suoi rappresentanti devono assicurare che quanto accaduto non si ripeta mai più".

    Il Gcic è molto preoccupato anche "per la violenza di genere che in Orissa colpisce soprattutto le donne cristiane dalit ('fuoricasta') e tribali della nostra comunità. Negli attacchi del 2008 donne e bambine sono state prese di mira e stuprate, umiliate, aggredite e minacciate".

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    Irlanda: il card. Brady plaude alla visita del presidente Higgins a Londra

    ◊   Il card. Seán Brady, arcivescovo di Armagh e primate di tutta l’Irlanda, plaude alla storica visita del Presidente irlandese Michael D. Higgins nel Regno Unito. “Gli eventi storici che si stanno svolgendo in questi giorni a Londra - scrive il cardinale in un comunicato diffuso dalla Conferenza episcopale irlandese - sono il risultato di un lungo processo di dialogo rispettoso e paziente. Spero che portino i frutti di un maggior rispetto da tutte le parti. Spero che questi rapporti positivi continueranno ad approfondirsi e migliorare e contribuiscano a promuovere una più ampia e sana normalizzazione delle condizioni in Irlanda del Nord”.

    La visita del presidente Higgins a Londra - riferisce l'agenzia Sir - è iniziata martedì scorso ed è la prima storica visita ufficiale di un capo di Stato irlandese nel Regno Unito dopo anni molto difficili seguiti all’indipendenza irlandese nel 1922 e segnati dalla guerra civile nell’Irlanda del Nord. Il pensiero del cardinale si rivolge in modo particolare proprio al processo di pacificazione tra i due Paese. “La grande paura ora - scrive - è che troppe persone pensano che il processo di pace in Irlanda sia ormai un fatto vecchio e superato. La mia speranza invece è che i nostri due governi restino concentrati sui problemi rimasti in sospeso e continuino ad applicare la stessa energia e determinazione per la loro risoluzione”. “Invito i fedeli delle nostre isole a unirsi a me nella preghiera per il rafforzamento dei legami di amicizia tra i nostri popoli”. (R.P.)

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    Armeni siriani di Kessab trasferiti con inganno in Turchia

    ◊   Alcuni anziani di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena assalita nelle scorse settimane da milizie armate anti-Assad, sono stati trasferiti con inganno dagli stessi miliziani in territorio turco, senza essere stati informati prima della loro destinazione. É quanto emerge da fonti armene consultate dall'agenzia Fides.

    Nei giorni scorsi la stampa turca aveva dato risalto alla notizia che almeno 18 armeni fuggiti da Kessab dopo l'assalto dei ribelli avevano trovato asilo in alcuni villaggi turchi come Yayladagı e Vakif. La notizia era stata riportata con enfasi, mentre si avvicina il centenario del genocidio subito dagli armeni nella Turchia ottomana. Le indagini condotte da alcuni media armeni hanno rivelato dettagli eloquenti sul modo in cui è avvenuto il trasferimento degli armeni siriani in territorio turco.

    Secondo le testimonianze di alcune donne anziane accolte nel villaggio turco di Vakif, gli uomini armati che hanno assalito le loro case parlavano in turco e hanno scelto di trasferire in territorio turco i pochi anziani rimasti a Kessab dopo che la quasi totalità della popolazione armena della città era fuggita verso la zona costiera di Latakia, all'arrivo delle milizia anti-Assad. Il trasferimento forzoso in Turchia è avvenuto in condizioni proibitive per gli anziani armeni, che erano stati tenuti all'oscuro della reale destinazione. (R.P.)

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    Camerun: preoccupazione per l’afflusso di profughi centrafricani abbandonati a se stessi

    ◊   Cresce la preoccupazione in Camerun per l’afflusso di rifugiati dalla confinante Repubblica Centrafricana nel dipartimento di Mayo-Rey, nel nord del Paese. Migliaia di rifugiati, in fuga dalle violenze dei diversi gruppi armati (Seleka e anti balaka) sono concentrati nelle località di Mbaimboum e Touboro, alla frontiera tra i due Paesi. Né le autorità locali né le organizzazioni internazionali prestano assistenza a queste persone, che sono abbandonate a loro stesse o, nei migliori dei casi, possono contare sulla solidarietà di parenti e amici camerunesi.

    Dalle testimonianze raccolte dall’agenzia Fides, diversi profughi raccontano alla stampa locale che vanno e vengono attraverso la frontiera a seconda della situazione nel loro Paese di origine. Secondo i commercianti locali, tra i centrafricani che si rifugiano in Camerun vi sono anche banditi e guerriglieri che nascondo le armi in territorio camerunese per poi compiere assalti in Centrafrica. Sul versante camerunese si è registrato un aumento delle rapine e degli assalti alle automobili lungo le strade. Ha destato allarme l’uccisione nella loro casa a Touboro di una madre e del suo bambino ad opera di un gruppo di banditi. Le autorità di Yaoundé hanno creato il 13 marzo un Comitato interministeriale per registrare i rifugiati. (R.P.)

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    Centrafrica: delegazione interreligiosa Usa in visita a Bangui

    ◊   Una delegazione interreligiosa statunitense ha compiuto una visita di solidarietà a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Facevano parte della delegazione il card. Theodore Edgar McCarrick, arcivescovo emerito di Washington; Rashad Hussain, Inviato speciale statunitense presso l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica; il rev. Leith Anderson, presidente della National Association of Evangelicals, e l’imam Mohamed Hag Magid, presidente della Islamic Society of North America (Isna).

    Secondo una fonte vicina alla piattaforma centrafricana dei religiosi per la pace, la visita della delegazione statunitense è stata resa possibile grazie al lavoro effettuato presso i governi stranieri da parte di mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, del Pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, e dell’imam di Bangui, Oumar Kobine Layama.

    I leader religiosi statunitensi hanno incontrato la Presidente del Paese, Catherine Samba Panza, alla quale hanno rinnovato il loro impegno per aiutare il Centrafrica ad uscire dalla spirale di violenza innescata dalle azioni dei ribelli Seleka e delle milizia anti balaka. “Negli Stati Uniti abbiamo visto la situazione del Centrafrica. Dobbiamo fare qualcosa per aiutare il popolo centrafricano che portiamo nel nostro cuore” ha dichiarato il card. McCarrick all’uscita dell’incontro con la Presidente. Il card. ha aggiunto: “malgrado le differenti denominazioni, evangeliche, cattoliche o musulmane, crediamo in un solo Dio, il Padre di tutti. In questo siamo tutti suoi figli e figlie”.

    La delegazione ha incontrato la comunità musulmana nella moschea di Lakouanga e quella cristiana nella cattedrale dell’Immacolata Concezione. Nel corso di questi colloqui la delegazione ha potuto anche incontrare alcuni rappresentati di Seleka e degli anti balaka. (R.P.)

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    Nigeria. I vescovi: è la povertà la causa delle violenze tra allevatori Fulani e indigeni

    ◊   Gli interminabili conflitti tra gli allevatori Fulani e gli agricoltori indigeni nello Stato nigeriano del Benue non sono altro che guerre tra poveri che lottano per difendere i propri mezzi di sussistenza e possono essere risolti solo con il dialogo e la mediazione delle autorità. E’ quanto affermano i vescovi dello Stato situato nella Nigeria centro-orientale in un documento pubblicato al termine di una recente riunione a Makurdi.

    Da diverso tempo, in diversi Stati del centro-nord del Paese si verificano ricorrenti episodi di violenza tra i Fulani, gruppo etnico di pastori nomadi di religione musulmana, e contadini di altre etnie e religioni che cercano difendere i raccolti dal bestiame di passaggio degli allevatori. Violenze che vengono sempre più spesso strumentalizzate ed erroneamente scambiate per scontri religiosi, ma - come i vescovi nigeriani vanno ripetendo da anni - derivano in realtà dalla lotta per la sopravvivenza tra agricoltori e allevatori.

    Ed è quanto ribadiscono nella loro nota i vescovi delle diocesi di Makurdi, Otukpo, Gboko e Katsina-Ala che chiedono alle autorità centrali e locali di risolvere il problema, affrontandone le cause e quindi, da un lato, con strumenti legali, dall’altro, riorganizzando lo spostamento e i mercati del bestiame in Nigeria. I vescovi si rivolgono quindi ai leader delle comunità locali e ai leader religiosi, perché collaborino per trovare una soluzione che permetta una convivenza pacifica tra tutte le comunità. “Quelli che hanno alimentato questa crisi gettando olio sul fuoco – ammoniscono - sappiano che li attende il giudizio di Dio”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Paraguay: marcia per la libertà dei 5 contadini di Curuguaty in sciopero della fame

    ◊   Più di 300 persone, tra religiosi, simpatizzanti e parenti dei cinque contadini arrestati due anni fa in seguito alle vicende del caso Curuguaty e ancora in attesa di processo, hanno marciato la sera del 8 aprile dalla spianata della cattedrale dell'Assunzione fino all'Ospedale Militare, per chiedere la liberazione dei cinque contadini in sciopero della fame da 55 giorni. Il 15 giugno 2012 infatti 11 contadini e 6 poliziotti morirono, e altri rimasero feriti, nell’ambito delle operazioni di polizia per liberare un terreno occupato dai contadini nella località di Curuguaty.

    Per tale massacro vennero imputate più di 50 persone, di queste alcune furono incarcerate. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides da una fonte locale, prima della marcia dell’8 aprile si è svolto un momento di preghiera davanti alla cattedrale. Alcuni religiosi hanno poi guidato le preghiere lungo il percorso, mentre i partecipanti tenevano in mano candele, fiaccole e striscioni, chiedendo ad alta voce la liberazione dei cinque prigionieri, ora ricoverati nell’Ospedale Militare in seguito allo sciopero della fame.

    Il vescovo del vicariato apostolico di Pilcomayo, mons. Lucio Alfert ed il vescovo della diocesi di San Pedro, mons. Pierre Laurent Jubinville, hanno chiesto per lettera al Tribunale di Salto del Guaira, di rimettere in libertà i contadini ai quali però, sono stati negati anche i domiciliari. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 100

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.