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Sommario del 09/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Papa Francesco: tacciano le armi nell’amata Siria! Dialogo e riconciliazione per la pace
  • Vedere ogni cosa con gli occhi di Dio: così il Papa all'udienza generale
  • Il cordoglio del Papa per la morte del card. Delly: un promotore del dialogo interreligioso
  • Mons. Marini: Wojtyla pastore santo in mezzo al popolo, la preghiera centro della sua vita
  • Conferenza in Vaticano contro la tratta. Il card. Nichols: fondamentale collaborazione tra Chiesa e forze di polizia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Kerry critica Israele per lo stallo dei negoziati israelo-palestinesi
  • Venezuela: dopo le proteste, prove di dialogo
  • Siria: il coraggio del popolo che non perde la speranza, nel libro della giornalista Susan Dabbous
  • La Consulta: illegittimo il divieto alla fecondazione eterologa. Giuristi per la Vita: ultima picconata alla Legge 40
  • Da Rebibbia a Santa Lucia: a Roma, una mostra sulla Via Crucis
  • Il Medio Oriente visto a Firenze: al via "Middle East Now"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • All'Onu il card. Raï sollecita soluzioni sul dramma dei profughi siriani in Libano
  • Siria. Arriva la siccità: 6,5 milioni di persone rischiano la carestia
  • Conferenza sulle mine anti-uomo. I Paesi più colpiti: Afghanistan, Colombia e Cambogia
  • Pakistan: decine di vittime per un attentato al mercato di Islamabad
  • Nord Corea. Raffica di arresti per "attività religiose": in 100 rischiano il lager
  • Bolivia: dopo gli scontri, il presidente Morales cambia il ministro e incontra i minatori
  • Pakistan: il fenomeno delle ragazze cristiane e indù costrette a nozze islamiche
  • Argentina: la Chiesa invita alla solidarietà con le vittime delle piogge
  • Vescovi italiani: nota pastorale sull'Ordo Virginum
  • Card. Scola: "Quante madri ripropongono la pietà che salva il mondo"
  • Il Papa e la Santa Sede



    Papa Francesco: tacciano le armi nell’amata Siria! Dialogo e riconciliazione per la pace

    ◊   Parole accorate per l’amata Siria! Papa Francesco, in chiusura dell’udienza generale, ha rivolto un appello alla pace per questo Paese, insanguinato da una guerra civile che si protrae da tre anni e che ha causato - si stima - 150 mila morti, di cui oltre 50 mila civili e quasi 8 mila minori. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Ultima vittima della guerra in Siria, dove viveva da quasi 50 anni fa, padre Frans van der Lugt, 75 anni, gesuita olandese, ucciso lunedi scorso nella martoriata città di Homs. “Un uomo - ha ricordato il Papa - che ha sempre fatto del bene a tutti, con gratuità e amore”, “amato e stimato da cristiani e musulmani”:

    “La sua brutale uccisione mi ha riempito di profondo dolore e mi ha fatto pensare ancora a tanta gente che soffre e muore in quel martoriato Paese – la mia amata Siria! - già da troppo tempo preda di un sanguinoso conflitto, che continua a mietere morte e distruzione".

    Il pensiero di Francesco è andato poi alle vittime sequestrate:

    "Penso anche alle numerose persone rapite, cristiani e musulmani, siriani e di altri Paesi, tra le quali ci sono vescovi e sacerdoti. Chiediamo al Signore che possano presto tornare ai loro cari e alle loro famiglie e comunità".

    Quindi, l’invito alla preghiera per la pace in Siria e nell’intera regione e l’accorato appello ai responsabili siriani e alla comunità internazionale:

    “Per favore, tacciano le armi, si metta fine alla violenza! Non più guerra! Non più distruzione! Si rispetti il diritto umanitario, si abbia cura della popolazione bisognosa di assistenza umanitaria e si giunga alla desiderata pace attraverso il dialogo e la riconciliazione”.


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    Vedere ogni cosa con gli occhi di Dio: così il Papa all'udienza generale

    ◊   Non essere cristiani “insipidi”, ma la nostra vita abbia sempre di più “il sapore del Vangelo e il profumo di Cristo, per comunicare agli altri la sua dolcezza e il suo amore”. È l’esortazione di Papa Francesco ai fedeli giunti in Piazza San Pietro per l’udienza generale. Il Pontefice ha iniziato oggi un ciclo di catechesi sui doni dello Spirito Santo, soffermandosi sulla "sapienza". Il servizio di Giada Aquilino:

    “Vedere ogni cosa con gli occhi di Dio”. Questa è la grazia della sapienza, uno dei sette doni dello Spirito Santo, nelle parole di Papa Francesco:

    “E’ vedere il mondo, vedere le situazioni, le congiunture, i problemi, tutto, con gli occhi di Dio. Questa è la sapienza. Alcune volte noi vediamo la cosa secondo il nostro piacere o secondo la situazione del nostro cuore, con amore o con odio, con invidia … No, questo non è l’occhio di Dio. La sapienza è quello che fa lo Spirito Santo in noi perché noi vediamo tutte le cose con gli occhi di Dio”.

    Lo Spirito Santo, ha detto, “costituisce l’anima, la linfa vitale della Chiesa e di ogni singolo cristiano”: è l’Amore di Dio che “entra in comunione con noi”, affinché lo Spirito Santo sia sempre “nel nostro cuore” e comunichi, a chi lo accoglie, i diversi doni spirituali. Il Papa li ha ricordati: oltre alla sapienza, anche l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. In questo “tempo di grazia della Quaresima” che stiamo vivendo, soffermandosi appunto sulla sapienza, il Santo Padre ha precisato che “non si tratta semplicemente della saggezza umana”:

    “Questo deriva dalla intimità con Dio, dal rapporto intimo che noi abbiamo con Dio, del rapporto dei figli con il Padre. E lo Spirito Santo, quando abbiamo questo rapporto, ci dà il dono della sapienza”.

    Quando siamo in comunione con il Signore, ha aggiunto il Pontefice, “lo Spirito è come se trasfigurasse il nostro cuore e gli facesse percepire tutto il suo calore e la sua predilezione”. Lo Spirito Santo rende allora il cristiano “sapiente”, nel senso - ha spiegato Papa Francesco - che “sa” di Dio: “Il cuore dell’uomo saggio in questo senso ha il gusto e il sapore di Dio”, ha precisato.

    Il Pontefice ha quindi notato quanto sia importante la presenza, nelle nostre comunità, di cristiani nei quali tutto “parla di Dio”: si tratta di qualcosa che “non possiamo improvvisare” o “procurarci da noi stessi”, “è un dono che Dio fa a coloro che si rendono docili allo Spirito Santo”:

    “Se noi ascoltiamo lo Spirito Santo, Lui ci insegna questa via della saggezza, ci regala la saggezza che è vedere con gli occhi di Dio, sentire con le orecchie di Dio, amare con il cuore di Dio, giudicare le cose con il giudizio di Dio”.

    Questa, ha aggiunto, è la sapienza che ci regala lo Spirito Santo, una sapienza che possiamo rintracciare nella vita quotidiana, in una mamma che rimprovera “dolcemente” il proprio bambino, o nei due sposi che, dopo un litigio, "passata la tormenta, cercano e fanno la pace":

    “Che venga a casa, che venga con i bambini, che venga con tutti noi! E questo non si impara: questo è un regalo dello Spirito Santo. Per questo, dobbiamo chiedere al Signore che ci dia lo Spirito Santo e ci dia il dono della saggezza, di quella saggezza di Dio che ci insegna a guardare con gli occhi di Dio, a sentire con il cuore di Dio, a parlare con le parole di Dio. E così, con questa saggezza, andiamo avanti, costruiamo la famiglia, costruiamo la Chiesa e tutti ci santifichiamo”.

    Dopo aver salutato i fedeli in Piazza San Pietro, il Pontefice ha benedetto una grande croce di 60 kg, alta quasi 3 metri e larga un metro e mezzo, costruita con i legni dei barconi naufragati davanti Lampedusa. L’opera, realizzata dal falegname lampedusano Franco Tuccio, autore anche del pastorale utilizzato da Papa Francesco l’8 luglio dello scorso anno, durante la visita sull’isola siciliana, inizia così un pellegrinaggio lungo tutta l’Italia, per portare un messaggio di solidarietà e di pace. L’iniziativa, denominata appunto "Viaggio della croce di Lampedusa", è promossa dalla fondazione "Casa dello spirito e delle arti" di Milano, che da anni opera accanto alle fasce più deboli della popolazione, in particolare dei bambini e dei giovani che vivono in situazioni di grave disagio sociale.

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    Il cordoglio del Papa per la morte del card. Delly: un promotore del dialogo interreligioso

    ◊   Papa Francesco esprime il suo cordoglio per la morte del card. Emmanuel III Delly, patriarca emerito di Babilonia dei caldei, scomparso nelle scorse ore in un ospedale di San Diego, in California, all’età di 87 anni. In un telegramma indirizzato al Patriarca Louis Raphael I Sako, Francesco ricorda il grande impegno del card. Delly per “la promozione di relazioni rispettose, giuste e pacifiche con i seguaci delle diverse religioni”. Il Papa sottolinea inoltre la sua grande dedizione per la propria gente. Il Pontefice non manca infine di impartire la sua Benedizione apostolica a quanti piangono la morte di questo “stimato pastore”.

    “Il card. Delly”, dichiara all'agenzia Fides l'attuale patriarca caldeo, Louis Raphael I Sako, “ha servito la Chiesa caldea per più di 60 anni con dedizione, prima come sacerdote, poi come vescovo e come patriarca. Ha attraversato periodi molto difficili, da quello seguito alla rivoluzione del 1958 fino alle guerre degli ultimi decenni e alla persecuzione dei cristiani seguita all'intervento degli Usa. In tutto questo tempo è rimasto fedele alla patria e al suo popolo, non ha abbandonato il suo gregge, è rimasto con i suoi fedeli pregando, aiutando, incoraggiando. In questo si è visto il suo animo di pastore”.

    Nei prossimi giorni una solenne Messa di suffragio del card. Delly verrà celebrata anche nella cattedrale caldea di san Giuseppe a Baghdad. I funerali si svolgeranno domani a San Diego mentre la salma verrà tumulata sabato prossimo a Detroit dove risiedono gran parte dei parenti più stretti del patriarca emerito, che si sono trasferiti dall'Iraq negli Stati Uniti, negli anni scorsi.

    Il patriarca emerito Delly era nato a Telkaif, Arcieparchia di Mossul dei Caldei, il 27 settembre 1927. Si era laureato in teologia alla Pontificia Università Urbaniana e in diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense ed era licenziato in filosofia all'Urbaniana. Ordinato sacerdote il 21 dicembre 1952 dal Cardinale Pietro Fumasoni Biondi a Roma, nel Pontificio collegio urbano di Propaganda Fide, era rientrato a Baghdad come segretario del patriarca il 30 dicembre 1960. Era stato eletto alla Chiesa titolare di Paleopoli di Asia il 7 dicembre 1962 con l'incarico di Ausiliare del Patriarca Paul II Cheikho, ricevendo l'ordinazione episcopale il 19 aprile 1963. Da quell'anno, come Vescovo, era divenuto membro del Concilio Vaticano II, al quale aveva partecipato in precedenza come perito.

    Nell'ottobre 2002 aveva rinunciato all'incarico di Vescovo ausiliare per raggiunti limiti di età, ma un anno dopo, il 3 dicembre 2003, era stato eletto dai Vescovi caldei Patriarca di Babilonia, mentre l'Iraq stava attraversando un momento storico tremendo, dopo l'intervento militare a guida Usa che aveva portato alla caduta del regime di Saddam Hussein. «Politicamente siamo stati liberati dal vecchio regime, di fatto siamo occupati. E al popolo, a qualsiasi popolo, questo non piace» aveva dichiarato il neo-Patriarca in un'intervista del dicembre 2003. Durante il suo ministero patriarcale, nell'agosto 2004, si sono verificati i sanguinosi attacchi alle chiese di Baghdad e di Mossul. (R.P.)

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    Mons. Marini: Wojtyla pastore santo in mezzo al popolo, la preghiera centro della sua vita

    ◊   In occasione della canonizzazione di Karol Wojtyla, il gruppo editoriale Utet Grandi Opere-Fmr ha dato vita al volume “Giovanni Paolo II - L'uomo, il Papa, il santo”, realizzato grazie alla collaborazione del dicastero della Cultura. L’opera verrà presentata oggi pomeriggio all’Angelicum, la Pontificia Università San Tommaso. Tra le testimonianze raccolte nel libro quella dell’arcivescovo Piero Marini, già maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie di Giovanni Paolo II. Alessandro Gisotti ha chiesto a mons. Marini, attualmente presidente del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, di raccontare il suo rapporto di amicizia con Karol Wojtyla a partire dal loro primo incontro:

    R. – Il primo incontro che ho avuto con Karol Wojtyla è stato a Cracovia, nel 1973, durante un viaggio del cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino, che accompagnavo, in quasi tutte le diocesi della Polonia. Lì, per la prima volta, ho visto questo arcivescovo di Cracovia, molto gentile… Ricordo soprattutto la sua vicinanza con il popolo. Nella celebrazione delle due Messe che io ricordo ancora bene, che abbiamo avuto con lui – prima la Messa in pubblico di San Stanislao, con una grande processione, interminabile; e la Messa poi in una parrocchia a Nowa Huta, che lui stesso aveva fatto costruire – ricordo questa vicinanza con la gente e soprattutto vedevo in lui il pastore quale lo aveva un po’ delineato il Concilio Vaticano II. Ricordo che dopo questi momenti, c’era sempre un incontro con l’assemblea, con la gente: usciti fuori si fermavano con lui. Ricordo questi contadini che venivano probabilmente da Zakopane, nei loro costumi… Mi ha dato questa bella impressione di un pastore vicino, detta "alla Papa Francesco": un pastore che sentiva "l’odore delle pecore" veramente.

    D. - Lei è stato per lunghi anni accanto a Giovanni Paolo II. C’è stato un momento in cui ha pensato: “Quest’uomo è un santo”?

    R. – La riflessione sulla sua santità, almeno per la mia esperienza, è sì venuta durante la sua vita, soprattutto quando lo vedevo così impegnato nella preghiera, prima della celebrazione e poi soprattutto durante la celebrazione e dopo. Il pensiero sulla sua santità mi è venuto però dopo, riflettendo proprio sulla sua vita, e la prima volta in modo serio in occasione della Beatificazione, riandando al suo modo di essere, al suo modo di essere in relazione con il popolo, con la gente. Ricordo, all’inizio del suo Pontificato, quando alla fine della Messa è andato verso la folla e il cerimoniere cercava di fermarlo… Ecco, per me la Beatificazione è stata l’occasione per riflettere sulla sua vita, anche ripensando al Concilio che ci aveva ricordato a tutti i sacerdoti, ai vescovi, che diventano santi non facendo cose straordinarie, ma facendo bene il loro dovere. Ecco: allora ho cominciato a riflettere sulla sua santità, che non era la santità dei primati, ma era la santità della vita quotidiana: a quello che il Signore lo aveva chiamato, prima a Cracovia e poi come vescovo di tutta la Chiesa durante il suo Pontificato. Ha fatto in modo straordinario le cose ordinarie della vita!

    D. – Lei era letteralmente ad un battito di cuore da Karol Wojtyla quando celebrava la Messa: cosa la colpiva della dimensione orante di Giovanni Paolo II?

    R. – Credeva in quello che faceva! Quando pregava, pregava perché credeva nella sua preghiera. Non aveva timore di pregare in pubblico, di fare dei gesti che forse altri avrebbero avuto un po’ di difficoltà a fare. Era un uomo autentico, che aveva i suoi momenti di intimità, di colloquio con Dio. Questa era la sensazione che dava a me e che ancora oggi mi edifica pensando a questi momenti di preghiera che cominciavano già in sacrestia. Una preghiera che era personale, ma anche semplice e vicina a ciascuno di noi, come la preghiera alle volte del Rosario, alle volte durante qualche viaggio faceva fermare la macchina per celebrare la Liturgia delle Ore… Era un uomo veramente che dava alla preghiera il primo posto!

    D. – Tutti ricordiamo il grido contro la mafia del Papa ad Agrigento e ricordiamo anche le immagini: lei era dietro di lui, a pochi passi dal Papa. Questo coraggio, questo "non aver paura" – che fu incarnato anche in quel momento – è secondo lei un tratto della santità di Karol Wojtyla?

    R. – Sì! Era il coraggio di un uomo convinto. Lui ha ripetuto a me, alcune volte: “Io sono un Papa buono, vicino, amabile nella vita e nelle relazioni con gli altri, ma divento diverso quando si tratta di difendere i principi!”. E per lui la vita era uno dei principi che difendeva. Ricordo questo momento ad Agrigento, questo grido del Papa, così pieno di convinzione, di coraggio, che quasi spaventava. Ricordo la stessa cosa a Varsavia, in una celebrazione nella quale lui difendeva la vita nel seno della madre. Ecco, erano dei momenti in cui veniva fuori tutta quella convinzione che era dentro e che era la base del suo comportamento di ogni giorno.

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    Conferenza in Vaticano contro la tratta. Il card. Nichols: fondamentale collaborazione tra Chiesa e forze di polizia

    ◊   "Combattere il traffico di essere umani: collaborazione tra Chiesa e forze dell'ordine". E' il tema di una Conferenza internazionale che prenderà il via, oggi pomeriggio in Vaticano, alla Casina Pio IV. L'incontro è organizzato dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, e vi prenderanno parte alti rappresentanti delle Forze dell’Ordine ed autorità ecclesiastiche. I partecipanti saranno poi ricevuti in udienza da Papa Francesco domani mattina. Per illustrare gli obiettivi di questa Conferenza, Philippa Hitchen ha intervistato il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente dell'episcopato di Inghilterra e Galles:

    R. – This is a Conference organized...
    Si tratta di una Conferenza organizzata dalla nostra Conferenza episcopale, alla quale partecipano 20 capi di polizia di diverse nazioni, incluso il commissario di polizia di Londra ed i suoi equivalenti dal resto del mondo. In questa Conferenza vogliamo esplorare come questo modello di cooperazione tra la Chiesa, in particolare da parte delle religiose, e la polizia di Londra, abbia prodotto un effetto benefico nella lotta contro il traffico umano. E così, vogliamo proporre quello che è stato fatto a Londra come un modello di cooperazione in altre parti del mondo, specialmente nelle grandi città, in cui il traffico umano è il secondo crimine più redditizio del mondo. Quello che la Chiesa ha da offrire è la migliore rete a livello mondiale, che coinvolge in particolare le religiose.

    D. – Questa è la seconda Conferenza di questo tipo: in effetti, sono molti anni che si sta lavorando a questa cooperazione tra polizia e Chiesa …

    R. – Yes, that’s right...
    Sì, è vero. E ovviamente ci sono anche altre iniziative nell’ambito della lotta al traffico umano, che si impegnano ad affrontare il fenomeno in maniera appropriata, analizzando la questione, cercando di trovare accordi internazionali e via dicendo. Ma tutto questo si incentra fortemente in un’azione sul terreno, in una cooperazione pratica tra le risorse della Chiesa e le forze di polizia, che può essere davvero efficace. L’uomo che guida la polizia di Londra sarà presente: probabilmente è tra le persone con maggiore esperienza al momento, per quanto riguarda le realtà del traffico umano e l’aiuto che la nostra collaborazione può dare realmente.

    D. – Abbiamo appena visto il lancio di una nuova rete ecumenica interconfessionale, “The Global Freedom Network”, che sta cercando di combattere la piaga del traffico di persone nel mondo. Lavorerete insieme a questa nuova rete?

    R. – Well, of course, all these initiatives…
    Certamente tutte queste iniziative sono complementari. Ma la caratteristica specifica e l’obiettivo di questa Conferenza è un’azione pratica sul terreno in Paesi diversi, in cooperazione con le risorse della Chiesa. La nostra Conferenza è abbastanza specifica e riguarda quello che accade nelle città, in collaborazione con le forze di polizia nella lotta a questo crimine.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Non più guerra in Siria: nuovo appello di Papa Francesco per mettere fine alla violenza nel Paese mediorientale e per giungere alla pace attraverso il dialogo e la riconciliazione.

    Il telegramma di cordoglio del Pontefice per la morte del cardinale iracheno Emmanuel III Delly, patriarca emerito di Babilonia dei Caldei.

    Fino agli estremi confini: una parte del capitolo scritto dal direttore per il libro “Giovanni Paolo II. L’uomo, il Pontefice, il Santo”.

    Nel cuore nascosto del monachesimo: Alberto Camplani su Shenute di Atripe e la tradizione copta.

    Red carpet sul Mediterraneo: da Tetouan, Rossella Fabiani a conclusione del festival del cinema.

    A rischio il processo di pace tra il governo pakistano e i talebani.

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    Oggi in Primo Piano



    Kerry critica Israele per lo stallo dei negoziati israelo-palestinesi

    ◊   Il segretario di Stato americano, John Kerry, sottolinea le responsabilità di Israele nello stallo dei negoziati in Medio Oriente, dopo il fallimento a inizio settimana dell’incontro tripartito tra negoziatori israeliani e palestinesi con la mediazione dell'emissario americano Martin Indyk. In particolare Kerry critica l'annuncio del governo Netanyahu della costruzione di 700 nuove abitazioni a Gerusalemme Est e il mancato rispetto del rilascio di alcuni detenuti palestinesi. Da parte sua, il premier israeliano ha bloccato la cooperazione con l'Autorità nazionale Palestinese. Della questione delle colonie e di altre quesioni aperte, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

    R. – La questione dei coloni è una questione estremamente delicata. L’ex premier israeliano Sharon aveva messo un punto sulla questione dei coloni, togliendoli da Gaza, sollecitando quelli della Cisgiordania. Con Netanyahu il problema si è aggravato. E’ una questione più che altro di politica interna. Poi, bisogna vedere dove queste “colonie” vengono costruite, perché molte delle colonie che vengono denunciate sono a Gerusalemme e non dimentichiamo che Gerusalemme è una città ormai unificata ed è la capitale dello Stato di Israele. In altre zone sicuramente si dovrebbe fare qualcosa per risolvere la questione. Israele negli anni l’ha già fatto: molte volte ha mandato l’esercito per espellere i coloni e togliere quegli insediamenti che andavano a danneggiare il processo di pace. Il coraggio lo ha avuto più volte. Credo che il momento in cui ci sarà un nuovo accordo tra le due parti Israele sarà pronta a mandare anche l’esercito come estrema ratio per risolvere la questione.

    D. – Dal 2008, più o meno, ci sono stati tre anni di grande stallo nel processo mediorientale. Sembrava negli ultimi mesi che qualcosa si fosse rimesso in moto ma invece si confermano le grandissime difficoltà. Che passi ancora immaginare per rimettere in moto il negoziato?

    R. – Dobbiamo tenere conto di due aspetti. L’aspetto pubblico e l’aspetto segreto. Nell’aspetto pubblico le due parti si accusano reciprocamente di tutto e anche dell’impossibile. Negli accordi segreti, negli incontri segreti, le parti si siedono al tavolo e discutono seriamente delle cose da fare. Certo, ci sono questioni che non credo si potranno mai risolvere. Una è quella dei profughi. L’immissione di un numero molto alto di profughi, o di ex-profughi, in un possibile nascente Stato palestinese diventerebbe estremamente complicato. Quindi, credo che anche l’Anp sa che lì non potrà trovare accordi chiari con lo Stato di Israele. I problemi molte volte sono di contiguità geografica, cioè: dove e come far nascere uno Stato palestinese. Qui non ci sono soltanto problemi tra l’Anp e lo Stato di Israele ma ci sono problemi tra Fatah in Cisgiordania e Hamas a Gaza. Quindi, non ci sono soltanto problemi esterni ma anche e soprattutto in questo caso problemi interni. E tutte le dichiarazioni pubbliche sia da parte degli israeliani, sia da parte dei palestinesi, molte volte, servono a blandire, o a tenere bassa la tensione dove i problemi sono più seri, cioè nelle questioni interne.

    R. – Sembra proprio che eliminato un po’ il problema degli attentati e della violenza, Israele abbia tutto l’interesse a mantenere lo status quo?

    R. – Sì, finché c’è questo governo, devo dire che probabilmente lo status quo è estremamente conveniente allo Stato di Israele. Il problema degli attentati è stato risolto con una cosa terribile, bruttissima da vedere, però, ahimé - lo devo dire con dispiacere - estremamente utile, cioè il muro. A questo punto Israele può decidere di assumere una posizione dura al tavolo delle trattative, proprio perché dall’altra parte non sente più tanto il pericolo.

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    Venezuela: dopo le proteste, prove di dialogo

    ◊   Dialogo in corso in Venezuela. Dopo due mesi di violente proteste di piazza contro il presidente Maduro, costate la vita a quasi 40 persone, lo stesso capo dello Stato ha annunciato per la giornata di domani un vertice tra governo e opposizione. Maduro, a sua volta, ha avuto un primo contatto con i rappresentanti della Mesa de Unidad Democratica. Sulle novità della situazione venezuelana, Giancarlo La Vella ha intervistato Roberto Da Rin, esperto di America Latina del Sole 24 Ore:

    R. – E’ un allentamento della tensione che ha coinvolto l’intero Paese e che faceva prefigurare anche scenari molto duri. Quindi, questo è un fatto certamente positivo. Impossibile è sapere come vada a finire: da una parte, quindi, il governo di Maduro che non sembra voler cedere alla richiesta di elezioni anticipate o altro, perché non dimentichiamo che ha vinto le elezioni non molto tempo fa; dall’altra, un’opposizione agguerrita. In terza fila, l’Unione sudamericana - l’Unasur - che sta cercando qualche punto di mediazione: sono coinvolti altri Paesi autorevoli sudamericani, tra questo il Brasile.

    D. – Qual è la discriminante, il punto focale su cui le parti possono accordarsi?

    R. – Ci sono stati, negli ultimi tempi, eccessi nel dirigismo che il governo ha imposto ai venezuelani, all’economia venezuelana, quindi con controlli molto rigidi sui cambi, per esempio, che hanno danneggiato tante imprese. L’estrema volatilità del bolivar, che è la moneta venezuelana, ha reso difficili le operazioni contabili di alcune grandi imprese internazionali. Il punto di mediazione potrebbe riguardare - tanto per cominciare - proprio la stabilità del cambio e un controllo meno governativo su alcune operazioni bancarie che i gruppi internazionali sono costretti a fare e che ultimamente sono state rese molto complesse.

    D. – La situazione sociale del Paese?

    R. – La situazione sociale del Paese non cambia, non ci sono - credo - interventi esterni che possano allentare la tensione o ridurre le asperità, per una ragione molto semplice: il Paese è spaccato in due. Da una parte, gli eredi del chavismo, quindi chi sta con il governo, dall’altra chi sta all’opposizione. Questa è una frattura abbastanza netta, che non si può ricomporre facilmente.

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    Siria: il coraggio del popolo che non perde la speranza, nel libro della giornalista Susan Dabbous

    ◊   Continuano ad arrivare in Siria i messaggi di cordoglio per la morte, ad Homs, del padre gesuita Frans Van der Lugt. La Curia generalizia dei gesuiti ribadisce la “costernazione per il brutale assassinio di un uomo che ha dedicato la sua vita ai piu' poveri e che non ha voluto abbandonarli nemmeno nei momenti di maggiore pericolo". Intanto sul terreno il regime di Assad assicura che nessun motivo né militare né politico bloccherà le elezioni presidenziali previste entro giugno, anche se gli scontri, specie nel Nord-Ovest continuano. La violenza non si ferma dunque e la popolazione è stremata, ma non perde né il coraggio né la speranza. Così testimonia nel suo libro - dal titolo Come vuoi morire? - la giornalista Susan Dabbous, sequestrata per 11 giorni l’anno scorso, in Siria, per mano degli jihadisti. Ma quali le speranze dei siriani oggi? Gabriella Ceraso lo ha chiesto proprio all’autrice:

    R. – Si spera di arrivare presto al ritorno alla normalità. I bambini vogliono tornare a scuola; i padri di famiglia vogliono tornare a lavorare, perché il problema del lavoro è assolutamente centrale; e le donne vogliono ritornare nelle proprie case. Sono stanche di vivere la condizione di povertà estrema, di precarietà e di mancanza di dignità.

    D. – Tu hai vissuto 11 giorni di prigionia a fianco dell’universo jihadista: che cosa hai capito delle responsabilità che ha in quanto sta accedendo in Siria?

    R. – La responsabilità è di chi non ha impedito che questo accedesse! La società siriana non poteva difendersi da questo ingresso violento degli jihadisti, che si poteva invece impedire.

    D. – La tua prigionia, raccontata in questo libro, è caratterizzata da bombe, paura, ma anche dalla preghiera. Che ruolo ha avuto la preghiera in questo periodo?

    R. – La preghiera che ho iniziato a fare, insieme ad una donna che me l'ha insegnata, era una preghiera islamica rituale. La mia preghiera invece è stata una preghiera - possiamo dire – una "preghiera laica", ma sicuramente una preghiera di speranza.

    D. – Il tuo libro ha una cornice, in un certo senso: c’è una figura che ritorna, all’inizio e alla fine. E’ la figura di padre François, un sacerdote ucciso in Siria, come è accaduto in questi giorni purtroppo anche a padre Frans van der Lugt olandese ucciso ad Homs. Tu sei stata anche testimone dunque del ruolo dei missionari e degli uomini di religione in Siria: che impressione ne hai avuto?

    R. – Io razionalmente la prima cosa che ho pensato è: perché i preti non vengono evacuati? E poi, invece, ho capito attraverso la sua testimonianza che quella era la sua missione: lui era un custode di Terra Santa e in quanto custode stava custodendo dei luoghi importanti. Padre François, come padre Frans, per me si è manifestato come un uomo di Dio e eroe silenzioso. Per me entrambi sono dei modelli, sono dei modelli forse un po’ incomprensibili, però il fatto di aver avuto il privilegio di conoscerli fa capire un po’ di più di quello che è la solidarietà, di quella che è la forza della fede.

    D. – L’esperienza del sequestro: di questo fenomeno che cosa hai capito? Qual è la causa? Motivi economici realmente? C’è l’odio sotto? C’è una sorta di autodifesa in chi li attua?

    R. – Sicuramente in Siria ci sono sequestri di diverso tipo: ci sono quelli di natura politico-ideologica, come il nostro; quelli di natura politica, perpetrati principalmente da o gruppi armati o famiglie che si dedicavano al contrabbando e quindi per scopi puramente lucrativi; e poi ci sono anche quelli a scopo di scambio - come abbiamo potuto vedere nel caso delle suore di Maalula – scambio di prigionieri. Nel caso invece di padre Paolo dall'Oglio, lui credeva talmente tanto nel dialogo che non ha avuto problemi o paura a parlare con persone che, invece, il dialogo non riescono neanche a contemplarlo.

    D. – Il tuo libro si intitola con una domenda: "Come vuoi morire?" Quasi a dire che la morte oggi è l’unica chance in Siria: è così?

    R. Sì! E’ vero che, da un lato, la morte è molto presente in Siria; ma dall’altro, questa domanda mi aveva colpito perché era stata fatta con una estrema spontaneità, con un tono di voce molto leggero, quasi come se mi stesse chiedendo qual è il tuo colore preferito; in questa morte concepita in modo positivo, come momento di congiungimento con questo paradiso agognato e idealizzato. Io di fronte ad una domanda del genere, non ho potuto che costatare l’enorme distanza culturale che c’è, appunto, tra noi e loro. Nonostante questo io mi sono trovata con i nostri sequestratori, in particolare con una donna, a condividere invece anche dei momenti di grande umanità. Quindi, per ritornare al discorso del capire che cosa spinga persone di dialogo, come padre Paolo dall'Oglio e come gli altri preti che sono ancora in Siria in questo momento, è partire da questa base di comunione, che è l’umanità stessa.

    D. – L’ultimo capitoletto del tuo libro si intitola Quale futuro per la Siria? Tu dici: con la violenza non si ottiene nulla! Dunque come rispondi a questo quesito?

    R. – Vivendo in Libano mi sono resa conto di come un Paese martoriato dalla guerra civile, sia riuscito – a suo modo – a continuare la vita e ad avere una certa gioia per la vita… Ecco, io spero che la Siria – allo stesso modo – possa recuperare questa sua cultura della vita, che è molto profonda, anche se in tempi lunghi…

    D. – Con una soluzione politica, comunque…

    R. – Sì , necessariamente!

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    La Consulta: illegittimo il divieto alla fecondazione eterologa. Giuristi per la Vita: ultima picconata alla Legge 40

    ◊   E' illegittimo il divieto alla fecondazione eterologa, ossia praticata con gameti di un donatore esterno alla coppia. Lo ha sancito la Corte Costituzionale italiana, bocciando così i punti della legge 40, in materia di procreazione assistita, che vietavano di praticare l'eterologa in Italia. Paolo Ondarza ha raccolto il commento di Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la vita:

    R. - E’ una pronuncia grave! La norma che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in realtà - anche se non è una legge cattolica - salvaguardava i nascituri e il loro diritto a conoscere le proprie origini, anche al fine di tutelare l’identità personale, oltre che garantirne la tutela sanitaria e sociale, da una parte; e, dall’altra, evitava il lucroso commercio di gameti che va sotto il falso nome di donazione e il conseguente sfruttamento delle donne.

    D. - La legge 40 - il cui tema è assolutamente delicato e complesso - ha visto da sempre attorno a sé un dibattito acceso su questioni etiche, sociali e anche ideologiche…

    R. - Sì! Se noi consideriamo che la Legge 40, nei suoi 10 anni, ha subito 31 interventi della Corte Costituzionale che hanno completamente stravolto la prospettiva antropologica che stava alla base della ratio, noi ci dobbiamo chiedere chi legifera in questo Paese: il Parlamento democraticamente eletto o la Corte Costituzionale?

    D. - Presidente Amato, la pronuncia - secondo chi l’ha sostenuta e l’ha votata - fa riferimento a una disparità che si sarebbe venuta a creare tra le coppie che accedono all’omologa, consentita dalla Legge 40, e quelle che si vedono negate il ricorso all’eterologa…

    R. - Non è un approccio corretto, perché la fecondazione assistita, medicalmente assistita secondo la prospettiva Legge 40, aveva dei criteri e dei paletti molto precisi, che ponevano un freno alla moltiplicazione delle figure genitoriali, con tutte le conseguenti ripercussioni negative, anche sulla stessa identificazione biospichica del nascituro. Era tutta improntata ad una responsabilità procreativa di una coppia uomo-donna, che è la condizione minima per la stabilità del nascituro! Per cui c’erano una serie di paletti: persone di sesso diverso, conviventi, non fertili... Purtroppo sono saltati!

    D. - Neanche il tema della fuga - chiamiamola così - all’estero di tante coppie, in quei Paesi in cui l’eterologa è legale, può essere in qualche modo una spiegazione o una motivazione a suffragio di questa pronuncia?

    R. - Assolutamente no! Che cosa significa la fuga all’estero? Una cosa che oggettivamente è ingiusta e vietata, il fatto che in altri Paesi sia consentita… No, questo non è un ragionamento che tiene! Se una norma è ingiusta, lo è e a prescindere dal fatto che in altri Paesi sia consentita.

    D. - A questo punto la Legge 40 che validità ha?

    R. - Ce lo chiediamo! Questa è l’ultima picconata, probabilmente la più grave, ad una legge che non è più quella che è stata approvata dal Parlamento.

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    Da Rebibbia a Santa Lucia: a Roma, una mostra sulla Via Crucis

    ◊   Durerà fino al 13 aprile la mostra “Il senso del sacro a Rebibbia”, ospitata nella chiesa romana di Santa Lucia al Gonfalone. Tema dell’esposizione sono le 14 stazioni della Via Crucis, raccontate attraverso altrettante tele realizzate da alcuni ragazzi detenuti presso la III Casa circondariale di Rebibbia. Il tema, particolarmente sentito dato il periodo pasquale, unisce e tocca tutti gli uomini, come ci racconta don Franco Incampo, parroco della chiesa. Il servizio di Alessia Carlozzo:

    R. – Ogni volta che ci si avvicina al Cristo sofferente, lo sentiamo vicino, sentiamo che Egli prende su di sé il nostro dolore, la nostra sofferenza. Il tema della Via Crucis era particolarmente adatto non solo per il periodo che stiamo vivendo, verso la Pasqua, ma anche per coloro che hanno delle crocifissioni nel cuore, delle cadute, dei dolori, delle sofferenze. Il fatto di manifestare gli sguardi - Gesù che incontra le donne: la madre, la Veronica - questi incontri sono sempre incontri di vita, di chi soffre e di chi accoglie il dolore dell’altro. Però, l’aspetto fondamentale è l’esperienza di un amore di misericordia: è il mistero del dolore dell’uomo che Cristo fa suo in un modo così grande. E anche il fatto della compassione di Dio: dalla Croce, Lui vede i crocifissori, vede il male e lo accompagna - accompagna tutti noi - verso la Risurrezione e la vita.

    D. – Lei ha avuto modo di conoscere alcuni dei ragazzi che hanno realizzato le opere? Se sì, come hanno vissuto quest’esperienza?

    R. – Ho parlato poco fa con un detenuto che è venuto e mi ha raccontato della particolare esperienza nel descrivere le stazioni della Via Crucis. Credo che un po’ sia una corda che tocca tutti, perché Gesù si rende vicino all’uomo che soffre. Io l’ho accolto e sono contento di poter ospitare queste opere dei ragazzi di Rebibbia.

    D. – Cosa spera che questa mostra riesca a trasmettere alle persone che verranno a visitarla?

    R. – Credo che venga a trasmettere soprattutto il senso del dolore e della passione: quella di Cristo e quella di ogni uomo, di ogni condannato. Ma l’ultima parola non è semplicemente il chiodo della Crocifissione; l’ultima parola è il perdono e la vita, la Risurrezione. Quindi, io mi auguro che tutti coloro che passeranno alla mostra, potranno sentirsi anche vicini a coloro che soffrono, potranno percepire Cristo non lontano, che fa suo il dolore dell’uomo, che ci accompagna tutti verso la Risurrezione, alla vita.

    D. – Crede che questo tipo di attività siano importanti per dimostrare come il carcere non debba essere soltanto un luogo di punizione, ma anche un luogo attraverso il quale – in qualche modo – reinserirsi, al termine della pena scontata, nella società?

    R. – Credo che sia proprio una parabola questa esperienza, perché racconta di tante possibilità che si possono avere se c’è questo reciproco lasciarsi educare da parte di coloro che sono a Rebibbia, da parte degli altri che sono fuori: questa reciproca educazione, questa reciproca fecondazione credo sia un’esperienza che faccia vedere la possibilità di tante altre.

    La mostra si è rivelata un’esperienza estremamente positiva, come spiega uno dei ragazzi di Rebibbia:

    R. – E’ stato un approccio che ci ha avvicinati alla Chiesa, a me e agli altri ragazzi che hanno partecipato alla preparazione delle tele. Sono molto contento di avere avuto la prima uscita con questa mostra; ringrazio tutti quelli che ci hanno dato questa opportunità.

    D. – Quale speri sia il messaggio che arrivi alle persone che verranno a visitarla?

    R. – Spero che piaccia, che parli un po’ di noi, dell’esperienza che abbiamo avuto nella III Casa, con gli operatori che vengono e ci danno questa possibilità.

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    Il Medio Oriente visto a Firenze: al via "Middle East Now"

    ◊   "Middle East Now": è il titolo dell’unico festival in Italia interamente dedicato al Medio Oriente contemporaneo, che si tiene da oggi al 14 aprile a Firenze. Attraverso film, documentari, fotografie, incontri ed eventi culturali vuole proporre un viaggio nei Paesi e nelle società della regione mediorientale, dal Libano ai Territori palestinesi, dalla Giordania a Israele, dalla Siria fino ad arrivare all’Afghanistan. L’edizione 2014, la quinta, presenta un programma di ben 52 proiezioni. Al microfono di Giada Aquilino, ce ne parla Roberto Ruta, fondatore e direttore artistico di ‘Middle East Now’:

    R. - Si tratta di una full immersion nella cinematografia contemporanea che viene un po’ da tutti i Paesi dell’area mediorientale. Sono pellicole che normalmente vincono premi ai festival internazionali, che quindi hanno una grande risonanza all’estero, ma che purtroppo in Italia non vengono distribuite. Quindi cerchiamo di portarle in anteprima a Firenze. Crediamo che il cinema, le arti visive, le immagini in generale ci diano la possibilità di raccontare in modo forte quella che è la vera realtà dei Paesi mediorientali, andando oltre quelli che sono gli stereotipi e i pregiudizi che invece molto spesso arrivano dai mass media: si parla sempre di attacchi kamikaze, di burqa... In realtà in questi Paesi c’è gente che quotidianamente crea, c’è un grande fermento, una grande vitalità. Noi cerchiamo di raccontarla attraverso il cinema, ma anche attraverso delle mostre. Infatti in questa edizione presentiamo tre progetti espositivi. Il primo si chiama Occupied pleasures: si tratta di una mostra di una fotografa palestinese, Tanya Habjouqa, progetto fotografico sui piccoli piaceri quotidiani della vita dei palestinesi che vivono nella West Bank e a Gaza. Sono scatti di grande potenza visiva. L’altro progetto che presentiamo si chiama Persia mon amour del fotografo Edoardo Delille e del giornalista Jacopo Storni. Si tratta di una mostra-reportage sul microcosmo della Firenze iraniana. Firenze è la città con la più grande popolazione di iraniani in Italia: quindi abbiamo pensato di raccontare come vivono gli iraniani di Firenze e come guardano al loro Paese, scegliendo di ritrarne oltre 20 e di raccontare le loro storie. Altro progetto che presenteremo è quello dedicato ai fumetti. Si chiama The comic life of Beirut: attraverso la matita di due giovani illustratori libanesi - Raphaelle Macaron e Joseph Kai - racconta le vicissitudini tragicomiche del vivere a Beirut.

    D. - Al centro del programma c’è la prima retrospettiva su Hany Abu-Assad, regista palestinese nuovamente candidato agli Oscar con Omar. Che realtà traspare dai suoi film?

    R. - Hany Abu-Assad è innanzi tutto un grande regista, uno dei più talentuosi esponenti del cinema di tutto il mondo arabo. Nei suoi film cerca di raccontare la quotidianità di storie che accadono soprattutto in Palestina, la sua terra natale. La maestria con la quale riesce a trasfigurare e rendere arte estetica queste storie, lo ha portato nel corso della sua carriera ad essere candidato per ben due volte al premio Oscar, sforato la prima volta nel 2005 con Paradise now. A Firenze Hany Abu-Assad presenta il suo ultimo film, Omar, candidato agli Oscar 2014 insieme al nostro Paolo Sorrentino. Anche Omar è una storia molto forte, molto potente: il protagonista è Omar, appunto, un panettiere che vive in Cisgiordania e che ogni giorno è costretto ad attraversare il muro per andare a lavorare e per andare a trovare la ragazza che ama. Ad un certo punto sarà coinvolto in una sparatoria con l’esercito israeliano; sarà arrestato e inizierà un percorso tortuoso e difficile nel quale verrà anche accusato di collaborazionismo con le forze israeliane.

    D. - Verrà proiettato pure un documentario su Homs. Tre anni di guerra in Siria cosa hanno prodotto da un punto di vista di immagini, di reportage, di sensazioni?

    R. - Return to Homs, di Talal Derki, è sicuramente uno dei documentari più forti, che raccontano la situazione della guerra civile in Siria. Le immagini che emergono da Return to Homs sono devastanti. I due protagonisti principali sono: l’ex portiere della nazionale siriana che ad un certo punto, da dimostrante, diventa un leader carismatico dei rivoluzionari; l’altro protagonista è un giornalista. Entrambi si battono per rivendicare la liberazione del loro Paese.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    All'Onu il card. Raï sollecita soluzioni sul dramma dei profughi siriani in Libano

    ◊   Béchara Boutros Raï, cardinale patriarca d'Antiochia e d'Oriente, ha tenuto nella sede Onu di Ginevra, una conferenza sul tema dei cristiani, la pace e il futuro in Medio Oriente. Tre i punti toccati: la presenza dei cristiani nel mondo arabo, una ricchezza di tradizioni e iniziative sociali nei vari Paesi che ha promosso valori morali e umani, in una costante testimonianza di ricerca di convivialità tra le differenze. In secondo luogo la destabilizzazione attuale del Medio Oriente, dovuta ai tanti colpi di stato, alle lotte ideologico-religiose, al trionfo di rivoluzioni come quella di Khomeini in Iran, alla deviazione fondamentalista che ha pressoché annullato i frutti iniziali della "primavera araba" e le ingerenze di Paesi occidentali che mantengono vivi i conflitti.

    Infine, il cardinale si è soffermato sulle prospettive di futuro per la Siria, facendo suoi, da un lato, i richiami di Papa Francesco ad una soluzione politica, fatta di dialogo e di negoziazioni e, dall'altro, gli interventi di mons. Silvano Tomasi, nunzio apostolico e osservatore permanente presso le Nazioni Unite, che più volte ha ribadito analoghe vie di risoluzione del conflitto, nel rispetto reciproco, liberando fede e politica da strumentalizzazioni reciproche. Il milione e mezzo di rifugiati in Libano, vittime del conflitto siriano, non possono più attendere una soluzione al dramma che stanno vivendo.

    Il patriarca, al termine del suo intervento, ha ribadito che persistono numerosi elementi in comune e complementari tra cristiani e musulmani, vissuti da più di un millennio tra le due culture che costituiscono una base solida per il futuro. (Da Ginevra, Gabriele Beltrami)

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    Siria. Arriva la siccità: 6,5 milioni di persone rischiano la carestia

    ◊   A tre anni dall'inizio della guerra costata la vita a più di 100mila persone, la Siria rischia di vedere un'altra catastrofe aggiungersi alla lista dei drammi che l'ha colpita: la siccità, provocata da un calo nelle piogge, che mette a rischio carestia circa 6,5 milioni di persone. È l'allarme lanciato dal Programma Alimentare Mondiale, estensione delle Nazioni Unite, sulla base dei dati delle precipitazioni dal settembre 2013 a oggi.

    Secondo le statistiche, sul Paese è caduta meno della metà della pioggia necessaria per rendere fertili le coltivazioni di grano. Inoltre, il gruppo internazionale dei donatori - quei Paesi che sostengono la popolazione siriana con l'invio di aiuti alimentari e sanitari - ha tagliato del 20% il sostegno alla nazione mediorientale. La causa del taglio - riferisce l'agenzia AsiaNews - è la crisi economica mondiale e l'instabilità del Paese, ancora di fatto diviso in due da una guerra che vede da una parte l'esercito regolare fedele al presidente Assad e dall'altra una serie di gruppi armati, che comprende sia ribelli che fondamentalisti islamici.

    Al momento - sempre secondo dati Onu - i siriani che rischiano la carestia sono 4,2 milioni; dopo la siccità prevista per il prossimo raccolto, il numero salirà a 6,5 milioni. Come risultato, la Siria avrà bisogno di importare grano per una quantità ancora maggiore alle 5,1 milioni di tonnellate necessarie lo scorso anno.

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    Conferenza sulle mine anti-uomo. I Paesi più colpiti: Afghanistan, Colombia e Cambogia

    ◊   La Colombia è il secondo Paese del mondo dove esiste il maggior numero di mine antiuomo. Nonostante il dipartimento di Huila non sia quello con più mine, in meno di 15 anni sono state registrate 224 vittime. Nel corso della Conferenza mondiale appena conclusa a Medellín sui diritti delle vittime delle mine anti uomo - riferisce l'agenzia Fides - è stato espressamente richiesto che il tema rientri nell’agenda dei diritti umani e che le comunità di persone rimaste disabili uniscano i propri sforzi contro la discriminazione.

    In molti Paesi i centri di riabilitazione e di sostegno psicologico si trovano nelle grandi città mentre la maggior parte delle persone colpite vivono nelle regioni rurali. Occorrono servizi sanitari e psicologici, la creazione di reti di collegamento tra i sopravvissuti affinchè possano condividere esperienze e iniziative. Secondo la ong internazionale Landmine and Cluster Munition Monitor, i Paesi più colpiti dal fenomeno sono Afganistan, Colombia e Cambogia, Yemen e Pakistan. Nel 2012 la ong ha registrato 3.628 vittime di mine e altri residui bellici nel mondo. Di queste ne sono morte 1.066.

    I risultati di questo incontro di Medellín saranno presentati dalla Colombia in un altro incontro che si terrà a Ginevra e serviranno anche come base alla terza revisione quinquennale della Convenzione di Ottawa, che si terrà a giugno in Mozambico. I contadini indossano rilevatori anti mina, attrezzature per individuare posizioni geografiche, per la comunicazione e il primo soccorso. Sono accompagnati anche da sminatori. La Colombia nel 2000 ha aderito alla Convenzione di Ottawa che proibisce l’uso di questo tipo di armi, e da allora le forze pubbliche hanno avviato i processi di sminamento dei propri campi. (R.P.)

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    Pakistan: decine di vittime per un attentato al mercato di Islamabad

    ◊   Ha causato almeno 23 morti e 40 feriti l’attentato che questa mattina ha devastato un grande mercato di frutta e verdura affollato di persone nei pressi di Islamabad. Un’esplosione - riporta l'agenzia Misna - sentita fino a una decina di chilometri di distanza provocata da esplosivo scaricato insieme a cassette di frutta da un camion che si è allontanato. Nessuna rivendicazione finora, ma l’atto terroristico ha ancora una volta evidenziato che il tentativo del governo di coinvolgere in un dialogo gruppi militanti ha più limiti che risultati concreti.

    Emerge con chiarezza, anche se negato dagli stessi interessati, il divario tra i Talebani che sostengono il dialogo (Tehreek-e-Taleban e associati), sebbene con precondizioni e distinguo, e altri che vogliono invece continuare la lotta per prendere il potere.

    Anche questo massacro, tuttavia, difficilmente potrà bloccare i contatti tra governo e Talebani, visto dal governo come unica possibilità per una soluzione duratura al conflitto che in oltre un decennio ha provocato 40.000 vittime, in maggioranza civili. L’alternativa sarebbe un conflitto aperto, per il quale le autorità civili e militari hanno da tempo preparato i piani ma che porterebbe comunque a nuove vittime e devastazioni in un Paese in forte crisi economica e dove la situazione di continua incertezza allontana investimenti e iniziative di cooperazione.

    Quello di oggi è il secondo attentato che colpisce la capitale pachistana in poco più di un mese. Il 3 marzo un attentato suicida aveva ucciso 11 persone e ferito altre 25. Arriva anche a un solo giorno di distanza dall’esplosione seguita da un incendio che ha devastato un convoglio ferroviario nella provincia del Balochistan con 12 morti e un gran numero di feriti e ustionati.

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    Nord Corea. Raffica di arresti per "attività religiose": in 100 rischiano il lager

    ◊   Il regime della Corea del Nord ha messo sotto inchiesta 100 abitanti della capitale Pyongyang per presunti "contatti illegali con gruppi religiosi in Cina". La decisione - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata presa per "mantenere alta la paura e impedire in ogni modo contatti che possano mettere in pericolo la stabilità del governo". Lo confermano diverse fonti locali al DailyNk, sito che monitorizza la situazione della parte nord della penisola coreana.

    Secondo "voci attendibili", il regime di Kim Jong-un (terzogenito ed erede del defunto "caro leader" Kim Jong-il) vuole "colpire il più forte possibile" coloro che si avvicinano alla religione, in modo da "farne un esempio per tutti gli altri". Un residente di Pyongyang, anonimo per motivi di sicurezza, dice: "Il governo ha già condannato negli scorsi mesi 30 persone ai lavori forzati per 'attività religiose', e ora vuole continuare su questa strada".

    Tutti gli arrestati si sono recati per qualche motivo in Cina, e secondo le autorità avrebbero "stretto rapporti" con le chiese protestanti locali che aiutano i rifugiati e i nordcoreani in genere. Secondo la legge locale, anche se la libertà religiosa "è garantita dalla Costituzione" (anche se in pratica essa non esiste) è "proibito contattare membri di gruppi religiosi stranieri, che vogliono solo destabilizzare il governo di Pyongyang".

    La campagna contro ogni forma di religiosità, riprende la fonte, "va avanti da un bel po' di tempo, e ora tutti hanno paura di parlare di eventuali visite compiute in Cina. Persino coloro che nel rispetto della legge si sono spostati, magari per andare a trovare i parenti che vivono all'estero da decenni, ora cercano di passare il più inosservati possibile".

    In Corea del Nord è permesso soltanto il culto dei leader: Kim Jong-il e suo padre Kim Il-sung. Il regime ha sempre tentato di ostacolare la presenza religiosa, in particolare di buddisti e cristiani, e impone ai fedeli la registrazione in organizzazioni controllate dal Partito. Sono frequenti le persecuzioni brutali e violente nei confronti dei fedeli non iscritti e di coloro che praticano l'attività missionaria. Da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300mila cristiani e non ci sono più sacerdoti e suore, con ogni probabilità uccisi durante le persecuzioni. (R.P.)

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    Bolivia: dopo gli scontri, il presidente Morales cambia il ministro e incontra i minatori

    ◊   L'approvazione della nuova legge sull’attività mineraria in Bolivia, la scorsa settimana, ha innescato le proteste sociali dei minatori in cui ci sono stati 3 morti e un centinaio di feriti tra manifestanti e forze dell’ordine. Domenica scorsa l'arcivescovo di Santa Cruz, mons. Sergio Gualberti, aveva invitato governo e leader delle cooperative dei minatori ad agire con saggezza e discernimento, abbandonando lo scontro per evitare ulteriori morti. Mons. Gualberti aveva citato tra l’altro il recente messaggio della Conferenza episcopale della Bolivia (Ceb), in cui si afferma: "la nostra società ha bisogno di abbandonare la crescente e sempre più evidente corruzione nell'amministrazione della giustizia, che danneggia la coesione sociale e genera insicurezza".

    I minatori, dopo l'intervento dell’arcivescovo e vista la possibilità ventilata di incontrare il Presidente Morales, avevano sospeso le manifestazioni. Ieri, secondo la nota pervenuta a Fides, il Presidente Morales ha nominato un nuovo ministro del settore, fatto insolito in questo periodo dell'anno, ed ha accennato a presunti "interessi nascosti" del team tecnico del ministro uscente. Ha anche avvertito che i contratti tra cooperative e aziende private saranno sottoposti ad indagine, dopo che il governo ha annunciato di aver individuato 42 contratti illegali tra settore delle cooperative ed imprese multinazionali.

    Ha destato grande sorpresa il fatto che, subito dopo la nomina, il nuovo ministro ha fatto mettere i sigilli agli uffici della "Corporacion Minera Boliviana" per una verifica contabile interna. Secondo la stampa locale, il Presidente Morales incontrerà i minatori domani.

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    Pakistan: il fenomeno delle ragazze cristiane e indù costrette a nozze islamiche

    ◊   Ogni anno circa mille ragazze delle minoranze religiose cristiane e indù vengono rapite, convertite e costrette a nozze islamiche: è lo sconcertante fenomeno che si riscontra nella società pakistana. Un nuovo rapporto inviato all’agenzia Fides, elaborato dal “Movimento per la Solidarietà e la Pace” – coalizione di Ong, associazioni ed enti fra i quali la Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi pakistani – conferma le cifre diffuse negli anni scorsi dalla Fides: secondo le stime, 700 casi l’anno riguardano donne cristiane, 300 ragazze indù. E se questi sono i casi censiti ufficialmente, “l’autentica portata del problema è probabilmente molto più ampia, dato che molti sono i casi non denunciati” spiega il Rapporto.

    Il testo illustra casi esemplari di donne cristiane soprattutto in Punjab e di donne indù in Sindh. Si tratta di ragazze tra i 12 e i 25 anni, di famiglie povere e classi sociali basse. Le denunce delle famiglie spesso si arenano di fronte al muro costituito dalle forze dell’ordine o alle minacce dei familiari dei rapitori. Nei pochi casi che arrivano in tribunale, la ragazze, intimidite e abusate, affermano di essersi convertite e sposate liberamente, e il caso si chiude. “Sotto la custodia del rapitore, la ragazza può subire violenza sessuale, prostituzione forzata, percosse e abusi domestici, se non traffico di esseri umani” nota il testo. Il Rapporto descrive il contesto storico e sociale del problema e riporta l’appello della comunità cristiana in Pakistan, che lamenta “le inesistenti garanzie giuridiche, politiche e procedurali per la tutela dei diritti umani delle minoranze religiose”.

    Padre James Channan, direttore del “Peace Center” a Lahore, commenta a Fides: “Il fenomeno è accertato. E’ davvero molto allarmante e preoccupante per cristiani e indù, che si sentono molto insicuri e vulnerabili. Abbiamo trattato direttamente diversi casi di matrimoni forzati: le giovani appartengono alle classe sociali meno abbienti e spesso i ricchi proprietari terrieri musulmani ne approfittano per tali abusi. In Pakistan mi sembra che cristiani e indù subiscano una discriminazione sociale, religiosa e politica che sta peggiorando”. (R.P.)

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    Argentina: la Chiesa invita alla solidarietà con le vittime delle piogge

    ◊   "A causa dell'emergenza climatica che vive la città di Neuquén in seguito alle pesanti piogge degli ultimi giorni, molte famiglie dei nostri quartieri hanno dovuto essere sfollate e molti altri hanno subito gravi danni alle loro case" ha detto il vescovo di Neuquén (circa 1000 km a sud di Buenos Aires), mons. Virginio Domingo Bressanelli, in un comunicato pervenuto all’agenzia Fides. Il vescovo esprime la sua solidarietà alle famiglie colpite dai violenti temporali che hanno investito la provincia e invita le parrocchie a coordinare gli sforzi per gli aiuti.

    Sebbene la situazione meteorologica sembra dare una tregua, alcuni media locali hanno fatto un primo bilancio: solo nella provincia di Neuquén risultano più di 1.500 persone evacuate, più di 3.000 in tutto il Paese. Neuquén è comunque la zona più colpita, dove ancora non sono state ripristinate le strade di collegamento con i piccoli paesini vicini.

    Nella provincia di Buenos Aires il fiume Lujan ha straripato costringendo 80 famiglie ad abbandonare le loro case. A Catamatca hanno lasciato le loro abitazioni 400 persone, molte delle quali sono ancora ospitate nella chiesa di Catamarca. A Rio Negro ci sono 500 persone per strada, a causa della enorme quantità d'acqua che è penetrata dentro alle loro case. A Chubut si è registrato un morto e 70 famiglie senza casa. (R.P.)


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    Vescovi italiani: nota pastorale sull'Ordo Virginum

    ◊   “Offrire punti di riferimento per orientare scelte concordi nelle Chiese particolari che vivono in Italia, in attuazione della normativa ecclesiastica vigente”. È l’obiettivo della Nota pastorale “L’Ordo Virginum nella Chiesa in Italia”, resa nota dalla Commissione episcopale Cei per il clero e la vita consacrata e già annunciata, nei giorni scorsi, dal comunicato finale del Consiglio episcopale permanente, che l’ha approvata come documento che “offre orientamenti e indicazioni per elaborare criteri comuni e attivare prassi condivise”.

    L’Ordo Virginum, riporta il comunicato ripreso dall'agenzia Sir, è “presente oggi in Italia in 113 diocesi: alle circa 500 consacrate se ne affiancano quasi altrettante in fase di discernimento e di formazione”. “La verginità consacrata, nella pluralità delle sue forme, è stata una grazia di santificazione per molte donne - rileva mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini e presidente della Commissione episcopale, introducendo la Nota - fin dagli inizi della storia della Chiesa e un segno del primato del Regno di Dio per la Chiesa e per il mondo”. I vescovi, con il documento, intendono inoltre “esprimere un’attenzione incoraggiante” e “una concreta aspettativa” circa una “più compiuta maturità” per “i percorsi formativi, lo stile di presenza nella Chiesa, le forme della missione, i tratti della spiritualità delle vergini consacrate”.

    Il documento analizza, in tre capitoli, “la vocazione dell’Ordo Virginum”, “il discernimento e la formazione”, “la vita e la testimonianza delle vergini consacrate”. Richiama “la sollecitudine pastorale” del vescovo diocesano, “chiamato a favorire il cammino di tutti i fedeli per il compimento dell’unica vocazione alla santità, operando un sapiente discernimento per riconoscere tutti i carismi e le vocazioni”, e la possibilità che questi nomini “un sacerdote come suo delegato”, “determinandone facoltà e competenze”.

    Circa il “discernimento dell’autenticità della vocazione”, richiede tra l’altro “la verifica dei criteri evangelici che motivano l’intenzione di orientarsi a questa particolare forma di vita consacrata”, prevedendo “un congruo periodo di formazione iniziale e di attenta verifica circa la solidità del proposito”. Per le consacrate raccomanda “la regola di vita personale”, “la direzione spirituale”, “la preghiera”.

    La Nota sottolinea quindi lo “speciale rapporto di comunione” che lega le vergini consacrate “con la Chiesa particolare e universale” e il “forte vincolo di comunione tra tutte le consacrate dell’Ordine, presenti in diocesi”. Il documento analizza pure la possibilità di “associazioni” e “comunità” tra vergini consacrate per “osservare più fedelmente il loro proposito e aiutarsi reciprocamente”, il caso di trasferimento in altra diocesi, il mantenimento personale e l’eventuale dimissione dall’Ordo Virginum. (R.P.)

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    Card. Scola: "Quante madri ripropongono la pietà che salva il mondo"

    ◊   Il buon ladrone “è la figura della speranza cristiana, cioè dell’attesa certa di un bene futuro - come la definiva il grande Tommaso d’Aquino. Che cos’è, infatti, il regno se non la condizione di compimento di ogni desiderio di bene per la nostra vita, per quella dei nostri cari e per quella di tutta la famiglia umana?”. Lo ha detto, ieri sera, il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nella catechesi della quarta e ultima Via Crucis nei martedì di Quaresima. Il filo conduttore delle quattro serate - riferisce l'agenzia Sir - è stato “Lo spettacolo della Croce”; “Oggi sarai nel Paradiso” il tema centrale della riflessione di ieri del porporato, nel commentare le Stazioni XII, XIII e XIV della Via Crucis.

    La risposta di Gesù all’invocazione del buon ladrone “sorpassa ogni speranza, perché brucia ogni rinvio al futuro con quell’impressionante: Oggi con me sarai nel Paradiso’”. Infatti, “Gesù, anche nel momento più buio dell’umana esistenza, quello in cui sta per essere ghermito dalla morte con il corpo straziato dalle sofferenze più atroci e il cuore pieno di angoscia, non cede il suo essere-in-relazione. Continua ad amare e grida con le parole del Salmo 31: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’”. Dunque, “fin dal Calvario questa potenza generatrice di amore propria della croce si attesta nella fede del centurione e nella decisione di conversione della folla”.

    “La morte di Gesù - ha spiegato il card. Scola - è un evento cosmico e liturgico (il velo di separazione, costituito dal peccato, viene lacerato dalla misericordia di Dio); sotto la Croce ha inizio la Chiesa dei pagani: il comandante romano del plotone di esecuzione fa la sua professione di fede in Cristo”. Commentando la deposizione di Gesù dalla croce, il porporato ha osservato: “Il grembo di Maria, in ideale continuità con la Croce, ora si fa altare, dove la Vittima immolata viene offerta per la salvezza di tutti gli uomini. Quante madri - dalle prime dei Santi Innocenti fino a quelle di Plaza de Mayo e a quelle delle vittime della violenza che non cessa di insanguinare il mondo - ripropongono questa Pietà elargita che salva il mondo...!”.

    Infine, l’ultima Stazione: “La resurrezione della carne è un caposaldo della nostra fede. Noi non crediamo solo nella immortalità dell’anima, ma anche nella resurrezione dei corpi. È questo un tratto distintivo della nostra fede”. “Da qui - contrariamente alla convinzione di Nietzsche, secondo il quale il cristianesimo disprezza, condanna e umilia il corpo, e al pensiero improntato ad una visione dualistica - deriva una radicale valorizzazione del corpo, nella sua totalità unificata di anima e di corpo”, ha concluso il cardinale. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 99

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.