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Sommario del 08/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: il cristianesimo non è per essere educati, la Croce non è un ornamento
  • Il Papa celebrerà al Don Gnocchi la Messa del Giovedì Santo
  • Il Papa: Sinodo importante, ho bisogno del consiglio dei vescovi
  • Nomina episcopale in Canada
  • Papa, tweet: serve spirito contemplativo perché l’amore di Dio ci riscaldi il cuore
  • Cortile dei Gentili a Washington. Il card. Ravasi: grande interesse del mondo politico e culturale
  • Ginevra: l'Ilo ospita il primo incontro sul lavoro marittimo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi Ucraina. Kiev inasprisce le pene per i reati contro lo Stato
  • Siria. P. Sahoui: l'esempio di p. Frans ci dà forza per resistere
  • Elezioni parlamentari in Indonesia, test cruciale per le presidenziali di luglio
  • Giornata dei Rom e dei Sinti, minoranza ancora svantaggiata in Europa
  • Rapporto Centro Astalli: aumentate del 60% domande d'asilo
  • Volontariato, un capitale umano essenziale per la presenza italiana nel mondo
  • L'attore Vincenzo Bocciarelli legge a Roma la vita di Igino Giordani
  • "Onirica" e "Giraffada": due film per raccontare l'amore e la pace
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: i cristiani continuano a pregare dopo il martirio di padre Van der Lugt
  • Centrafrica: il ruolo della Chiesa cattolica nel caos che vive il Paese
  • Venezuela: il Presidente Maduro incontra l’opposizione. Preoccupazioni per l'nsicurezza
  • Filippine. La Corte Suprema: è valida la legge sulla Salute riproduttiva, ma sì all’obiezione di coscienza
  • Indonesia: dai vescovi un appello al voto secondo valori "etici e morali"
  • Coree: in aumento i rifugiati dal Nord al Sud della penisola
  • Usa: il grave problema dei migranti, la disintegrazione della famiglia
  • Brasile. Ragazzi di strada: dopo il Mondiale di calcio, i loro diritti
  • Francia. Alla Plenaria dei vescovi: matrimonio e famiglie ed elezioni europee
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: il cristianesimo non è per essere educati, la Croce non è un ornamento

    ◊   “Non esiste un cristianesimo senza Croce”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che “non c’è possibilità di uscire da soli dal nostro peccato” e ha ribadito che la Croce non è un ornamento da mettere sull’altare, ma il mistero dell’amore di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    In cammino nel deserto, il popolo mormorava contro Dio e contro Mosè. Ma quando il Signore mandò dei serpenti, il popolo ammise il suo peccato e chiese un segno di salvezza. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima lettura, tratta dal Libro dei Numeri, per riflettere sulla morte nel peccato. E subito ha notato che Gesù, nel Vangelo odierno, mette in guardia i farisei dicendo loro: “Morirete nel vostro peccato”:

    “Non c’è possibilità di uscire da soli dal nostro peccato. Non c’è possibilità. Questi dottori della legge, queste persone che insegnavano la legge, non avevano un’idea chiara su questo. Credevano, sì, nel perdono di Dio, ma si sentivano forti, sufficienti, sapevano tutto. E alla fine avevano fatto della religione, dell’adorazione a Dio, una cultura con i valori, le riflessioni, certi comandamenti di condotta per essere educati, e pensavano, sì, che il Signore può perdonare, lo sapevano, ma (era) troppo lontano tutto questo”.

    Il Signore nel deserto, ha poi rammentato, comanda a Mosè di fare un serpente e metterlo su un’asta e chi sarà morso dai serpenti e lo guarderà resterà in vita. Ma cos’è il serpente, si è chiesto il Papa? “Il serpente è il segno del peccato”, come già vediamo nel Libro della Genesi quando “è stato il serpente a sedurre Eva, a proporle il peccato”. E Dio, ha proseguito, manda a innalzare il “peccato come bandiera di vittoria”. Questo, ha detto Francesco, “non si capisce bene se non capiamo quello che Gesù ci dice nel Vangelo”. Gesù dice ai Giudei: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, adesso conoscerete che io sono”. Nel deserto, ha detto, è stato dunque innalzato il peccato, “ma è un peccato che cerca salvezza, perché guarisce lì”. A essere innalzato, ha sottolineato, è il Figlio dell’uomo, il vero Salvatore, Gesù Cristo:

    “Il cristianesimo non è una dottrina filosofica, non è un programma di vita per sopravvivere, per essere educati, per fare la pace. Queste sono conseguenze. Il cristianesimo è una persona, una persona innalzata sulla Croce, una persona che annientò se stessa per salvarci; si è fatta peccato. E così come nel deserto è stato innalzato il peccato, qui è stato innalzato Dio, fatto uomo e fatto peccato per noi. E tutti i nostri peccati erano lì. Non si capisce il cristianesimo senza capire questa umiliazione profonda del Figlio di Dio, che umiliò se stesso facendosi servo fino alla morte e morte di Croce, per servire”.

    E per questo l’Apostolo Paolo, ha proseguito, “quando parla di che cosa si gloria lui - anche possiamo dire di che cosa ci gloriamo noi” - dice: “Dei nostri peccati”. Noi, ha osservato il Papa, “non abbiamo altre cose di cui gloriarci, questa è la nostra miseria”. Ma, ha aggiunto, “da parte della misericordia di Dio, noi ci gloriamo in Cristo crocifisso”. E per questo, ha rimarcato, “non esiste un cristianesimo senza Croce e non esiste una Croce senza Gesù Cristo”. Il cuore della salvezza di Dio, ha detto ancora, “è il suo Figlio, che prese su di Lui tutti i nostri peccati, le nostre superbie, le nostre sicurezze, le nostre vanità, le nostre voglie di diventare come Dio”. Per questo, ha ammonito, “un cristiano che non sa gloriarsi in Cristo crocifisso non ha capito cosa significa essere cristiano”. Le nostre piaghe, ha soggiunto, “quelle che lascia il peccato in noi, soltanto si guariscono con le piaghe del Signore, con le piaghe di Dio fatto uomo, umiliato, annientato”. “Questo – ha affermato Papa Francesco – è il mistero della Croce”:

    “Non è un ornamento, che noi dobbiamo mettere sempre nelle chiese, sull’altare, lì. Non è un simbolo che ci distingue dagli altri. La Croce è il mistero, il mistero dell’amore di Dio, che umilia se stesso, si fa ‘niente’, si fa peccato. Dove è il tuo peccato? ‘Ma non so, ne ho tanti qui’. No, il tuo peccato è lì, nella Croce. Vai a cercarlo lì, nelle piaghe del Signore, e il tuo peccato sarà guarito, le tue piaghe saranno guarite, il tuo peccato sarà perdonato. Il perdono che ci dà Dio non è cancellare un conto che noi abbiamo con Lui: il perdono che ci dà Dio sono le piaghe del suo Figlio sulla Croce, innalzato sulla Croce. Che Lui ci attiri verso di Lui e che noi ci lasciamo guarire”.

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    Il Papa celebrerà al Don Gnocchi la Messa del Giovedì Santo

    ◊   Sarà uno dei luoghi centrali della solidarietà di Roma, il “Centro Santa Maria della Provvidenza” della Fondazione Don Carlo Gnocchi, a ospitare la Messa in Coena Domini, che Papa Francesco presiederà il prossimo Giovedì Santo alle 17.30. Alla celebrazione, informa una nota della Sala Stampa della Santa Sede, parteciperanno gli ospiti del Centro, accompagnati dai loro familiari, dal personale e dai responsabili. Nella stessa circostanza, lo scorso anno il Papa si era recato al Carcere minorile di Casal del Marmo.

    La struttura sorge in Via Casal del Marmo 401, nella zona Casalotti-Boccea, e fino al 2003, prima di essere acquisito dalla Fondazione Don Gnocchi, era noto come "Istituto Madre Nasi" dell’Opera della “Piccola Casa della Divina Provvidenza” Cottolengo. Da allora, il Centro ha proseguito l’attività di cura e assistenza a favore dei più svantaggiati, attivando anche nuovi ambiti di intervento, con una ristrutturazione delle strutture durata fino al 2009. Oggi il Centro è una struttura riabilitativa che dispone di 150 posti letto suddivisi tra una Residenza sanitaria assistenziale (60 posti letto), un moderno Reparto di riabilitazione estensiva ad alto livello assistenziale (60 posti letto) e un Reparto “in solvenza” per l’assistenza e la riabilitazione integrata di pazienti neuromotoria (30 posti letto). A questi vanno aggiunti altri 40 posti letto di degenza diurna, attività di riabilitazione ambulatoriale e 20 posti di riabilitazione domiciliare.

    Il Centro ospita inoltre la sede romana del CeFOS, il Centro di Formazione Orientamento e Sviluppo, che si occupa di interventi di istruzione e formazione professionale rivolti a persone con disabilità, operatori del mondo dell’assistenza e operatori scolastici e alcuni laboratori dove viene svolta attività di ricerca scientifica con l’utilizzo anche della realtà virtuale.

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    Il Papa: Sinodo importante, ho bisogno del consiglio dei vescovi

    ◊   Papa Francesco ha nominato oggi vescovo mons. Fabio Fabene, sottosegretario del Sinodo dei Vescovi. In una lettera, il Papa motiva la nomina con la volontà di conferire ulteriore valore alla collegialità che l’istituzione del Sinodo ha sempre rafforzato e diffuso in mezzo secolo di esistenza. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Una nomina voluta per rendere “più manifesto l'apprezzato servizio” che la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi rende “in favore della collegialità episcopale con il Vescovo di Roma”. Papa Francesco spiega con queste parole – in una lunga lettera al cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale dell’assise sinodale – le ragioni della nomina episcopale di mons. Fabio Fabene. Papa Francesco loda la lungimiranza dei suoi predecessori, in particolare Paolo VI e Giovanni Paolo II, il primo per aver creato l’istituzione del Sinodo dei vescovi e il secondo – scrive – per averne riconosciuto “l'enorme bene che esso donava alla Chiesa”. “Infatti – afferma Papa Francesco – la larghezza e la profondità dell'obiettivo dato all'istituzione sinodale derivano dall'ampiezza inesauribile del mistero e dell'orizzonte della Chiesa di Dio, che è comunione e missione. Perciò, si possono e si devono cercare forme sempre più profonde e autentiche dell'esercizio della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione”.

    A 50 anni dalla sua creazione, dunque, “nella consapevolezza – afferma il Papa – che per l'esercizio del mio Ministero Petrino serve, quanto mai, ravvivare ancor di più lo stretto legame con tutti i Pastori della Chiesa, desidero valorizzare questa preziosa eredità conciliare”, con l’elevazione alla dignità episcopale della carica di sottosegretario del Sinodo dei vescovi. “Non c’è v'è dubbio – riconosce Papa Francesco – che il Vescovo di Roma abbia bisogno della presenza dei suoi Confratelli Vescovi, del loro consiglio e della loro prudenza ed esperienza. Il Successore di Pietro deve sì proclamare a tutti chi è "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" ma, in pari tempo, deve prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di quanti, accogliendo la parola di Gesù che dichiara: "Tu sei Pietro...", partecipano a pieno titolo al Collegio Apostolico”. Il Papa termina la lettera dicendosi “molto grato a quanti, con un lavoro generoso, assiduo e competente, hanno assicurato, in tutti questi anni, che l'istituzione sinodale contribuisse all'imprescindibile dialogo tra Pietro e i suoi Confratelli”.

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    Nomina episcopale in Canada

    ◊   In Canada, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Peterborough, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Nicola De Angelis, C.F.I.C. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. William Terrence McGrattan, finora ausiliare di Toronto. Mons. McGrattan è nato a London, Ontario, il 19 settembre 1956. Prima di entrare in Seminario, ha conseguito la laurea in Ingegneria industriale alla “University of Western Ontario”, esercitando per alcuni anni la professione di ingegnere. Ha compiuto quindi gli studi ecclesiastici nel “St. Peter’s Seminary” di London, ottenendo il Master of Divinity. È stato ordinato sacerdote il 2 maggio 1987 per la diocesi di London. Nel 1992 ha conseguito la Licenza in Teologia a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia “St. Michael’s” di Leamington (1987); Vicario parrocchiale della parrocchia “St. Joseph’s” di Chatham (1987-1990); Direttore dell’Ufficio per le Vocazioni (1994-1995). Nel 1992 ha iniziato ad insegnare Teologia nel “St. Peter’s Seminary” di London e dal 1997 al 2009 è stato Rettore del medesimo Seminario. Il 6 novembre 2009, è stato nominato Vescovo Ausiliare di Toronto dove ha svolto il suo ministero episcopale nella regione pastorale centrale dell’arcidiocesi. A livello della Conferenza episcopale nazionale, è il Rappresentante nel seno dell’Alleanza Cattolica Canadese della Salute, della Lega Cattolica delle Donne (CWL) e Membro della Commissione per la Dottrina.

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    Papa, tweet: serve spirito contemplativo perché l’amore di Dio ci riscaldi il cuore

    ◊   Papa Francesco ha lanciato questo tweet dal suo account @Pontifex: “C’è bisogno di recuperare uno spirito contemplativo, perché l’amore di Dio riscaldi i nostri cuori”.

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    Cortile dei Gentili a Washington. Il card. Ravasi: grande interesse del mondo politico e culturale

    ◊   Il "Cortile dei gentili", la struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti, gestita dal dicastero della cultura, fa tappa da oggi all’11 aprile a Washington. "Fede, cultura e bene comune" è il tema scelto per questo primo incontro del "Cortile" – a tre anni dalla sua nascita - negli Stati Uniti. Conferenze, dibattiti e momenti di spettacolo – animati da rappresentanti di fedi diverse - si svolgeranno tra il Kennedy Center, la Georgetown University e la Biblioteca del Congresso. Fabio Colagrande ne ha parlato con il card. Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio Consiglio della Cultura:

    R. – Certamente l’elemento più significativo è la presenza negli Stati Uniti perché gli Stati Uniti non sono soltanto un punto di riferimento della cultura globalizzata e della cultura occidentale in modo specifico ma anche perché presentano una molteplicità di questioni sia per i credenti sia per non credenti. Il tema che è stato scelto è il più generale possibile ma viene declinato con molti percorsi specifici: fede, cultura e bene comune. Si ha quindi un tema che è caro a quel tipo di cultura che è soprattutto il rapporto tra società e Stato: tra una società che ha nel suo grembo anche le esperienze religiose e dall’altra parte c’è uno Stato, che è in dialogo anche con queste molteplici esperienze religiose, ma è anche totalmente autonomo, ha una sua identità specifica.

    D . – Come immagina il dialogo tra credenti e non credenti in una realtà culturale e sociale come quella degli Stati Uniti, in cui la religione ha anche un ruolo importante da un punto di vista politico e diverso rispetto al contesto europeo?

    R. - E’ interessante notare che il Congresso viene coinvolto. E’ coinvolto non soltanto perché ci saranno i due partiti fondamentali, il Democratico e il Repubblicano, e i rappresentanti ufficiali che dialogheranno attorno a questi temi, ma avremo anche la possibilità di introdurre nell’interno di questo spazio così importante e civile a Washington, che è il Congresso, anche una dimensione culturale. La biblioteca del Congresso, infatti, la celebre Library of Congress, desidera ospitare una mia presenza con un confronto anche sul versante strettamente culturale. Avremo anche l’intervento con un rilievo particolare da parte di una figura politica, che è nota anche in Italia per le sue origini, Nancy Pelosi, che è stata speaker del Congresso e che è attualmente una figura di rilievo del Partito democratico. L’aspetto politico perciò è marcato ma è un po’ il paradosso americano: da una parte l’interesse è forte, i contatti sono forti col mondo religioso, però al tempo stesso c’è un’affermazione di una laicità, di una identità dello Stato molto marcata. Sarà interessante vedere proprio il gioco sul crinale tra queste due componenti.

    D. – Dal punto di vista culturale anche dei linguaggi espressivi, artistitici, cosa si aspetta in questa prospettiva? Si confronterà al Cortile con un linguaggio temporaneo come quello musicale dell’hip hop?

    R. – Tra i tanti eventi ne voglio ricordare tre. Prima di tutto una performance di tipo drammatico che viene fatta sulla figura di Flannery O’Connor: questa donna straordinaria che è profondamente cattolica però al tempo stesso è anche una delle figure della letteratura americana più suggestiva, più provocatoria. Ci sarà poi anche un momento, molto curioso, interfaith: cioè, religioni molto diverse tra di loro si ritrovano insieme, soprattutto i giovani che frequentano le università, anche cattoliche, ma che hanno una forte presenza di studenti ebrei, come la Georgetown, si ritroveranno nella Holy trinity Church per un momento di meditazione comune. Ma, soprattutto, c’è questo elemento culturale particolare che è appunto l’esperienza dell’hip hop, che è una forma musicale che parte dalla subcultura del Bronx e di Harlem che ha però una molteplice iridescenza di espressioni che vanno dalla danza, che passano attraverso i “graffiti art”, attraverso la musica, un’esperienza che anch’io non conosco, sinceramente, che sarà interessante vedere perché ha persino componenti che sono di tipo etnico, che vengono anche dall’esperienza di questo melting pot che sono gli Stati Uniti.

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    Ginevra: l'Ilo ospita il primo incontro sul lavoro marittimo

    ◊   L'Organizzazione Internazionale del Lavoro di Ginevra (Ilo) ospita, dal 7 all'11 aprile, il primo meeting del triplice comitato speciale (STC) creato in forza della Convenzione del Lavoro Marittimo del 2006 e che vede governi, armatori e marinai seduti allo stesso tavolo. Due le proposte all'ordine del giorno, che saranno affrontate da rappresentanti degli armatori e dei marinai: i casi di abbandono dell'equipaggio e la richiesta che chi assume l’esercizio di una nave provveda una sicurezza finanziaria a copertura di eventi estremi come la morte o una forma di disabilità a lungo termine dei propri dipendenti.

    All'inizio dei lavori, però, si è vissuta la quarta edizione dei premi che il Network internazionale per il benessere e l'assistenza ai marittimi (ISWAN - http://www.seafarerswelfare.org/), dedica ai protagonisti, siano individui o organizzazioni, che si sono contraddistinti nel lavoro instancabile del prendersi cura del benessere della "gente del mare", sulle navi come sulla terraferma.

    Tra i premiati, provenienti dai cinque continenti, merita una nota la sig.ra Apinya Tajit, direttore aggiunto dello "Stella Maris Seafarer Centre" di Sriracha in Tailandia, che ha ricevuto il premio speciale della giuria. La semplicità e immediatezza della donna hanno rivelato una storia di servizio generoso, basato quasi interamente sulla sua disponibilità a ingegnarsi, assieme ai suoi pochi collaboratori, in tutti i campi dell'assistenza: dal trasporto di marinai nei luoghi di preghiera rispettivi alle viste premurose all'ospedale per coloro che si ammalano, dai corsi di formazione tenuti da lei in Asia e Africa all'accanita difesa dei diritti umani violati.

    Un servizio iniziato prima come volontaria presso il Centro di assistenza ai marinai di Sriracha ampliato, quindi in una forma di vicinanza anche alle famiglie rimaste a casa, ma soprattutto investendo energie nell'assistere i marinai vittime della pirateria. Un tratto costante, che emerge tra le "buone pratiche" messe in atto dalla sig.ra Tajit, è una collaborazione crescente con l'Apostolato del mare (Aos), il Programma di risposta umanitaria alla pirateria marittima (Mphrp) e la Federazione internazionale dei lavoratori del trasporto (Itf), senza dimenticare le istituzioni governative del Paese. Se nel suo centro Apynia può contare su un numero ristretto si collaboratori intorno a sé, nelle nazioni limitrofe ha creato una rete efficiente di professionisti del settore.

    Ricevendo il premio, Apinya Tajit ha ringraziato in primo luogo padre Bruno Ciceri, Aos internazionale, il vescovo della sua diocesi di Chanthaburi, Siripong Charatsri, così come tutte le organizzazioni che l'hanno aiutata nel formarsi sempre di più nel settore in cui opera, ricordando infine, in particolar modo, i migranti e rifugiati che si onora di servire. (Da Ginevra, Gabriele Beltrami)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Pietro e i suoi fratelli: in una lettera il Papa ribadisce il valore della collegialità e della comunione espresse dal Sinodo dei vescovi.

    Un sacramento per la comunità: Humberto Miguel Yanez e Paolo Benanti sulla famiglia di oggi tra incertezze e attese.

    L'Eden ritrovato: Marco Vannini su santi e animali.

    Un articolo di Maurizio Gronchi dal titolo "Una presenza che umanizza l'umano": in ascolto dell'America.

    James Channan sulla via asiatica di Roncalli e Woityla: verso le canonizzazioni del 27 aprile.

    Un mondo sempre più anziano: rapporto Onu su popolazione e sviluppo.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi Ucraina. Kiev inasprisce le pene per i reati contro lo Stato

    ◊   Crisi Ucraina. La Nato lancia un nuovo monito alla Russia: ritiri le truppe dal confine. Mosca dal canto suo si dice disposta al dialogo con l’Unione Europea, Stati Uniti E Kiev. E le forze ucraine hanno ripreso il controllo della regione orientale russofona di Donetsk, ieri occupata da militanti filorussi. In questo contesto, il parlamento di Kiev ha approvato degli emendamenti al Codice penale che inaspriscono le pene previste per i reati contro lo Stato. Massimiliano Menichetti ha intervistato Danilo Elia, esperto dell'area per Osservatorio Balcani e Caucaso:

    R. – La mossa del governo ad interim di inasprire le pene per i reati chiamati da loro di terrorismo, che minano all’unità nazionale, può essere un po’ un "boomerang" al momento per Kiev, perché di fatto allontana un po’ le prospettive di dialogo con le comunità generalmente definite russofile delle provincie orientali del Paese.

    D. – Ad aumentare la tensione ci sono anche le dichiarazioni della Nato. Il segretario generale Rasmussen ribadisce: “Se Mosca interferisce ancora sarebbe un errore storico! Ci potrebbero essere delle gravi conseguenze e gravi reazioni”. A cosa stiamo assistendo?

    R. – E’ chiaro che le organizzazioni internazionali – e la Nato prima di tutto – vedono le manovre e le mosse russe come una minaccia ed è per questo che probabilmente Rasmussen si affretta a fare queste dichiarazioni. Però, dall’altro lato, l’esperienza della Crimea ha mostrato che se il Cremlino decide di intervenire, in una qualche maniera, in Ucraina ben poco si può fare per evitarlo, al di là di manovra diplomatiche. In estrema sintesi: non si può fare la guerra alla Russia.

    D. – Ma c’è il rischio di una guerra?

    R. – Secondo molti osservatori, è estremamente improbabile. Soprattutto, né l’Europa, né gli Stati Uniti, al di là dei proclami, hanno un reale interesse a fare la guerra alla Russia per la Crimea, una regione come il Donec, o Donetsk.

    D. – Proprio la regione orientale russofona di Donetsk è stata prima occupata dai filorussi, poi la cosa è rientrata… Lei è tornato una settimana fa proprio da quella località: che cosa ha trovato e come giudicare quanto sta accadendo?

    R. – Ogni sabato e ogni domenica, in piazza Lenin ci sono manifestazioni pro-Russia. Quello che è accaduto ieri sera fa parte un po’ di un andamento altalenante di questa nuova fase della rivoluzione che sta interessando l’Ucraina. Di fatto, in quelle provincie una grossa fetta della popolazione chiede qualcosa di simile a quello che si è fatto in Crimea.

    D. – Ma dopo la Crimea, quindi, assisteremo ad un effetto domino?

    R. – Sì, ci potrebbe essere, soprattutto se la Russia continuerà a intervenire come, appunto, ha fatto in Crimea.

    D. – Da una parte la Nato lancia moniti alla Russia a non intervenire, mentre Mosca si dice pronta a dialogare con l’Unione Europea, gli Stati Uniti e anche la stessa Ucraina…

    R. – Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha mostrato di operare sempre in questa maniera. Non dobbiamo dimenticare, però, che fino a tutt’oggi il Cremlino ha costantemente negato una presenza militare russa in Crimea, veramente negando l’evidenza. Quindi, non prenderei alla lettera le dichiarazioni che incitano al dialogo e che sembrerebbero mostrare un’apertura da parte della Russia alla soluzione diplomatica della crisi. Non dimentichiamo che al confine orientale con l’Ucraina, in territorio russo, è ammassato un grosso contingente dell’esercito russo. E nonostante sia stato dichiarato – la settimana scorsa – un parziale ritiro, non c’è evidenza di questo. Quindi, c’è un’altalena fra ciò che viene dichiarato a livello diplomatico e quello che vediamo sul campo. Bisogna stare veramente con gli occhi aperti e vedere che cosa succede sul terreno.

    D. – Le presidenziali del 25 maggio potranno cambiare qualcosa?

    R. – Le presidenziali interessano sicuramente quella parte di Ucraina, che al momento non è scossa da pulsioni separatiste. Le persone con cui ho parlato, per esempio a Donetsk, contestano in toto quello che sta avvenendo a Kiev. Contestano anche la legittimità delle elezioni presidenziali, non si riconoscono in alcuno dei candidati. A loro interessa un riavvicinamento, in qualche maniera, alla Russia e - secondo alcuni, a molti anzi - interessa un ritorno di Yanukovich.

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    Siria. P. Sahoui: l'esempio di p. Frans ci dà forza per resistere

    ◊   Continuano ad arrivare in Siria i messaggi di cordoglio per la morte, avvenuta ieri mattina a Homs, del padre gesuita Frans Van der Lugt. La Curia generalizia dei Gesuiti ribadisce la “costernazione per il brutale assassinio di un uomo che”, scrive , “ha dedicato la sua vita ai più poveri e bisognosi e che non ha voluto abbandonarli nemmeno nei momenti di maggiore pericolo". Intanto, sul terreno il regime di Assad assicura che nessun motivo né militare né politico bloccherà le elezioni presidenziali previste entro giugno, anche se gli scontri, specie nel nordovest continuano. La violenza non si ferma e la popolazione è stremata: a loro era consacrata la vita del gesuita Padre Frans van der Lught, ua vita per la testimonianza e per il Vangelo come ricorda un suo confratello, padre Ghassan Sahoui raggiunto telefonicamente a Homs da Gabriella Ceraso:

    R. – E’ vero che c’è tristezza, ma nello stesso momento, quando guardiamo alla sua vita nell’antica città di Homs, vediamo una missione e la chiamata a tutti i cristiani di non lasciare il loro territorio e di rimanere. La sorte di noi cristiani è quella di testimoniare la pace, la riconciliazione e l’amore. E lui era un uomo di pace, era un uomo di dialogo, amato da tutti.

    D. – Quindi rimane inspiegabile questo atto: un atto di un singolo, una vendetta, una ritorsione?

    R. – Non saprei dire niente ora. Non sappiamo nulla, perché quest’uomo è fuggito subito. Certamente irragionevole, però.

    D. – Padre Frans aveva fatto anche, nei mesi scorsi, un appello perché la comunità internazionale non dimenticasse Homs e la gente che lì soffre...

    R. – Lui ha parlato della situazione difficile, che rimane difficile: riescono, infatti, a malapena a mangiare.

    D. – Voi non siete impauriti da questi episodi? Ricordiamo che c’è anche un altro padre gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, che è scomparso. Dopo il sequestro, infatti, non se ne hanno più notizie...

    R. – E’ la nostra missione quella di restare fino alla fine. Quindi, tutto ciò non ci impaurisce. Al contrario, sono esempi che ci danno la forza: sono una luce per noi, in questa situazione molto difficile e complessa.

    D. – La comunità locale, che conosceva ovviamente padre Frans, ha reagito in qualche modo, vi sta vicino?

    R. – Certamente. Abbiamo ricevuto tanti vescovi, preti, tanta gente. In tanti hanno chiamato, in tanti stanno venendo per pregare con noi e in tanti piangono la sua scomparsa. Noi proviamo a dire che lui ora si trova nella vita, lui è andato a vivere la pienezza della vita, che ha sempre dato agli altri e ha testimoniato fino alla fine con il suo sangue.

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    Elezioni parlamentari in Indonesia, test cruciale per le presidenziali di luglio

    ◊   La terza democrazia più popolosa al mondo, l’Indonesia, si reca domani alle urne per eleggere il nuovo Parlamento, test cruciale per le presidenziali del 9 luglio: 186 milioni gli elettori, su una popolazione di 250 milioni di abitanti. Si vota anche per le amministrative. Dodici le formazioni in lizza per i 560 seggi dell’Assemblea: i partiti dovranno conquistare almeno il 20% dei seggi o il 25% dei voti per poter presentare poi un candidato alle presidenziali. Uno schieramento in grado di ottenere tale affermazione, secondo i sondaggi, sembra essere il Partito democratico indonesiano di lotta, all’opposizione, a cui appartiene il popolare governatore di Jakarta, Joko Widodo, che potrebbe quindi succedere all’attuale capo di Stato, Susilo Bambang Yudhoyono. Per le attese di questo voto, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Jakarta padre Francesco Marini, missionario saveriano da anni in Indonesia:

    R. - Da queste elezioni penso che si attenda una rappresentanza del popolo più ‘pulita’, perché la vita politica in questi ultimi anni è stata animata dai processi contro la corruzione, che hanno toccato sia i membri del Parlamento, sia quelli del governo, sia il campo giudiziario. È un fenomeno molto sentito, quindi la gente si aspetta un Parlamento più rappresentativo, più capace di creare nuove leggi e in grado di collaborare anche con la giustizia. L’attesa più grande naturalmente sarà per le elezioni del presidente.

    D. - A proposito delle elezioni presidenziali, in testa in questo voto legislativo sembra essere il Partito democratico indonesiano di lotta, tra i cui esponenti c’è il governatore di Jakarta, Widodo, che poi potrebbe essere candidato alle presidenziali…

    R. - Si, il capo del partito è la figlia del presidente Sukarno, Megawati, la quale ha ha deciso di presentare questo governatore che in poco tempo ha dimostrato, qui a Jakarta, che si possono fare notevoli cose lavorando con decisione, con prospettive… Adesso molto dipende dai risultati di queste elezioni parlamentari: se il suo partito - come si prevede - dovesse vincere, la sua candidatura come presidente sarebbe sostenuta in maniera molto più ampia.

    D. - Che Paese è oggi l’Indonesia?

    R. - Non si può dire che la crescita sia lenta, perché negli ultimi sette anni ha superato il sei per cento annuale; quest’anno effettivamente è un po’ calata, ma non è scesa al di sotto del 5,5 per cento. Secondo me la crescita c’è e si vede, solo che c’è una fetta della popolazione che è tagliata fuori e fa fatica a tirare avanti soprattutto nelle città: stando a contatto con la gente, si vedono le condizioni di povertà e di miseria.

    D. - Nel Paese musulmano più popoloso al mondo come sono i rapporti con le altre religioni?

    R. - Ufficialmente non ci sono problemi, nel senso che le grandi organizzazioni musulmane, così come anche il governo, non creano problemi, né discriminazioni. Però, in questi ultimi anni, sono venuti fuori vari gruppi fondamentalisti musulmani che hanno creato non solo pressioni, facendo campagne che incitano alla contrapposizione, ma soprattutto, in alcuni casi, sono intervenuti nella vita civile anche con violenza.

    D. - Come vive la comunità cristiana in Indonesia?

    R. - È una minoranza. Tra cattolici e protestanti siamo circa il dieci per cento: il sette per cento è protestante e circa il tre è cattolico. Ci sono delle zone tradizionalmente cattoliche: per esempio la zona di Flores, di Timor, che ora comprende anche il nuovo Stato del Timor orientale, che prima era una provincia dell’Indonesia.

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    Giornata dei Rom e dei Sinti, minoranza ancora svantaggiata in Europa

    ◊   In Italia sono circa 130-150 mila, intorno ai 12 milioni in tutta l’Europa: sono i rom e sinti, comunemente chiamati nomadi, definizione che oggi per la maggioranza di loro non corrisponde alla realtà. L’8 aprile è la Giornata che l’Onu ha dedicato a questi popoli per favorirne l’integrazione nelle società stanziali. E l’Unione Europea insiste molto su questo dovere dei singoli Paesi. Ma come si è arrivati a questa Giornata internazionale dei rom e dei sinti? Adriana Masotti lo ha chiesto a Daniela Pompei, responsabile nazionale del servizio immigrazione e rom della Comunità di Sant’Egidio:

    R. - La giornata nasce in ricordo del primo raduno europeo che si svolse a Londra nel 1971. In quell’occasione, si radunarono rom provenienti dai vari Paesi europei che decisero anche la bandiera e scrissero una canzone "Gelem, Gelem", che ancora oggi viene cantata nelle feste del popolo rom.

    D. - Che cosa è cambiato in oltre 40 anni nell’approccio con questi popoli in Europa?

    R. - I rom sono la minoranza più numerosa a livello europeo. Si calcola siano intorno ai 12 milioni. Ci sono alcuni Paesi che hanno una presenza maggiore, come la Romania, l’Ungheria, la Francia, la Spagna… L’Italia è tra i Paesi che conta un numero abbastanza esiguo. Chiaramente, è molto difficile dire quanti siano effettivamente i rom, a causa anche di uno stigma che pesa sulla loro vita, tanto che molto spesso porta anche gli stessi rom a non dichiararsi tali, in modo particolare in alcuni Paesi dell’Est Europa.

    D. - L’Europa, presa coscienza di questa realtà, che cosa fa per spingere i Paesi membri a integrare nel loro contesto i rom e i sinti?

    R. - L’ Unione Europea effettivamente dal 2011 sta facendo un lavoro di pressing molto forte sui Paesi dell’Unione Europea. Nello specifico, ha indicato quattro assi fondamentali su cui è necessario lavorare per il tema dell’integrazione: l’alloggio, il lavoro, l’istruzione - la possibilità di far studiare in modo particolare i piccoli - e l’accesso alla salute, tenendo presente che su quest’ultimo tema i rom vivono in media dieci anni in meno degli europei, pur essendo europei. L’altro dato preoccupante sul tema della salute, ad esempio, è quello che riguarda la mortalità infantile che è, a seconda dei Paesi, da due a sei volte superiore rispetto a quella dei bambini europei. Riguardo all’istruzione, per esempio, la Comunità di Sant’Egidio ha messo in campo un programma che è stato giudicato una best practice a livello europeo, favorendo la frequenza scolastica dei bambini e provando a prevenire le forme di accattonaggio. Come si fa? Attraverso l’erogazione di borse di studio per i bambini che frequentano veramente la scuola.

    D. - Tornando alle indicazioni dell’Europa, che cosa si fa poi in pratica nei Paesi per i rom e i sinti?

    R. - Dipende dai Paesi dell’Unione. L’Unione Europea spinge moltissimo su questa questione. Il 4 aprile la commissaria Redding, che ha presentato un rapporto a Bruxelles, ha parlato di "piccoli miracoli" che stanno nascendo sul tema dell’inclusione dei rom. Probabilmente, questa è una buona notizia. Vuol dire che è possibile intervenire e modificare situazioni che sembrano molto difficili.

    D. - In particolare, l’Italia viene spesso ripresa per inadempienza. Ad esempio, nel nostro Paese non c’è stato ancora il superamento dei campi…

    R. – Certo, certo. Alcune città italiane stanno iniziando però a recepire il superamento. Ad esempio, Genova sta chiudendo i campi inserendo i rom nelle case popolari. Però, effettivamente, siamo ancora un pochino indietro su questo tema specifico. Io auspico che nel giro di dieci anni il discorso dei campi venga superato. Questo aiuterebbe e faciliterebbe moltissimo il percorso di integrazione delle famiglie rom e poi dei bambini rom, proprio perché è una popolazione molto giovane.

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    Rapporto Centro Astalli: aumentate del 60% domande d'asilo

    ◊   Le domande d'asilo presentate in Italia nel 2013 sono state 27.830, il 60% in più rispetto all'anno precedente. Lo rende noto il Rapporto del Centro Astalli del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia, al quale l’anno scorso si sono rivolte in tutte le sedi territoriali circa 37mila persone, 21mila solo a Roma. Tra loro individuate 713 vittime di tortura. Alla presentazione stamani a Roma è stata anche ricordata la visita di Papa Francesco al Centro Astalli. Il servizio di Debora Donnini:

    Uomini e donne che fuggono dalla guerra o dalla persecuzione. A queste persone che vivono spesso nell’indifferenza vuole dare voce il Centro Astalli, che 365 giorni all’anno si occupa di rifugiati e richiedenti asilo. Non accettiamo più un’accoglienza emergenziale, dice padre Giovanni La Manna, gesuita, presidente del Centro:

    R. – Le richieste d’asilo aumentano. Basta alzare la testa, aprire gli occhi e vedere cosa succede nel nostro mondo. Finché in Siria c’è una guerra, le persone sono costrette a scappare e giungono da noi e ne hanno diritto, perché l’Italia, l’Europa, hanno firmato la Convenzione di Ginevra, che riconosce il diritto all’asilo politico.

    D. – Come leggete l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina?

    R. – Lo leggiamo come un’opportunità per diminuire la vergognosa situazione che viviamo in Italia. Non ha spaventato nessuno il reato di clandestinità: chi rischia la vita nel proprio Paese non viene certamente fermato dal reato di clandestinità. Ha reso però più difficile la vita di quelli che sono arrivati. Ricordiamo che gli eritrei, sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre 2013, sono stati accusati del reato di clandestinità e quindi sono rimati bloccati nel Centro di Lampedusa proprio per questo.

    Con oltre 480 volontari, il Centro Astalli fornisce a rifugiati e richiedenti asilo servizi come mense, case famiglie, orientamento per il lavoro. A livello italiano, per Berardino Guarino, direttore dei progetti del Centro, serve un sistema nazionale integrato:

    R. – Le grandi questioni sono fondamentalmente due: l’arrivo e cosa trovano. Non hanno altra strada che affidarsi ai trafficanti. Mare Nostrum interviene per evitare che ci siano naufragi, però loro sono comunque affidati ai trafficanti, per cui noi dobbiamo intervenire sul punto di partenza. Poi il sistema di accoglienza italiano: se noi ogni anno abbiamo circa 30 mila persone e abbiamo a disposizione dai 10 ai 16 mila posti, è chiaro che questi sono insufficienti, quindi bisogna fare un salto in avanti che non significa necessariamente investire più soldi, ma, più semplicemente, programmare, ottimizzare e avere capacità gestionali.

    D. – Come ad esempio coinvolgere di più il territorio italiano, mentre oggi c’è una concentrazione nelle città metropolitane…

    R. – Sì. Il tema dei rifugiati urbani non va sottovalutato, perché è un tema tipico di ogni metropoli. I rifugiati si trovano nelle grandi città per una serie di motivi. Bisogna cercare di conoscere questa questione e disinnescarla, altrimenti poi nel 2014 o nel 2015 non ci stupiremo se si verificherà una tragedia in uno dei centri occupati o in alcune di queste occupazioni informali.

    D. – Un altro punto da lei affrontato è quello della partenza dai Paesi di origine. Ma in Paesi dove ad esempio ci sono guerre o dittature e i richiedenti asilo stanno fuggendo proprio da queste situazioni, come si può fare?

    R. – L’Unione Europea ha disciplinato molto la condizione del rifugiato dal momento in cui mette piede in Europa. Non si è ma scritta una riga su quello che accade prima, cioè su come si arriva in Europa. Su questo vanno chiaramente trovate, assieme all’Acnur e assieme alle Nazione Unite, strade alternative che sono i famosi canali umanitari, che però se non si attivano non si darà mai a queste persone la possibilità di scappare. Quando si esce dalla Siria e si va il Libano, questi canali umanitari ci sono e si praticano, ma verso l’Europa non ci sono.

    A far visita al Centro Astalli il 10 settembre 2013 fu Papa Francesco, che ricordò che i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi. I conventi vuoti, disse, “sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”. Alla presentazione è stato ricordato che in seguito a questo appello alcune comunità religiose si sono aperte all’accoglienza. Ad intervenire anche il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Gli abbiamo chiesto di soffermarsi sulla vicinanza di Papa Francesco e della Chiesa a queste situazioni di sofferenza:

    “Tutte le questioni delle migrazioni sono state presenti ai Papi e ai responsabili religiosi quando ci sono state le grandi migrazioni. Quindi gli stessi documenti – anche del Magistero – e le misure prese a livello di Chiesa universale per le tematiche delle migrazioni e anche delle migrazioni forzate e delle loro difficoltà, risalgono, per esempio, a Pio X, a Benedetto XV, e poi hanno cominciato anche a essere sistematizzate con documenti del Magistero e con organismi anche di governo della Chiesa universale da Pio XII, Paolo VI e, in particolare, poi nel lungo Pontificato di Giovanni Paolo II. La Chiesa si è sempre occupata di queste grandi tematiche. L’impegno, anche di testimonianza personale, di Papa Francesco tocca molto profondamente, anche perché è accompagnato da questa sua capacità personale di testimonianza. L’aver scelto Lampedusa come primo viaggio del suo Pontificato e la visita al Centro Astalli come una delle sue prime visite in Roma, fanno capire che la priorità per chi soffre ed è emarginato - e in particolare per chi soffre di più, tanto da dover fuggire dal suo Paese e cercare altrove una nuova vita - è qualcosa che gli è profondamente nel cuore, nel contesto della sua attenzione e della sua forza di critica ai problemi del mondo di oggi nell’insieme con i suoi grandi squilibri e con le cause dei suoi grandi squilibri, che sono appunto l’idolatria del denaro, la cultura dello scarto, invece della cultura dell’incontro. Quindi, Papa Francesco ci dà una testimonianza fortissima!”.

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    Volontariato, un capitale umano essenziale per la presenza italiana nel mondo

    ◊   Il volontariato costituisce un capitale umano essenziale per la presenza italiana nel mondo. Questo il tema al cento dell’incontro tenutosi oggi nella Sala delle Colonne della Camera dei Deputati. Durante il Seminario - promosso da Focsiv e dal Centro nazionale per il volontariato - si è ricordato, in particolare, il prezioso contributo di migliaia di volontari italiani. Sul significato di questa presenza, capace di creare opportunità di cooperazione, Amedeo Lomonaco ha intervistato Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato:

    R. - Il profilo dei nostri volontari, maturato in questi lunghi decenni di collaborazione, è di grandissima competenza. E soprattutto una grande qualità - oso dire degli italiani - è quello di costruire delle relazioni con le persone del luogo sempre molto positive e di fraternità. Ed è un tratto di grandissimo valore rispetto ad altre esperienze più professionali degli organismi internazionali, dove magari c’è grande competenza ma poche capacità di entrare in empatia con le popolazioni del territorio.

    D. - C’è anche un dato quantitativo su questa presenza?

    R. - Parliamo di alcune migliaia di volontari sparsi nel mondo, soprattutto in Africa e in Asia.

    D. - Qual è il futuro della cooperazione italiana?

    R. - Io spero davvero che questo rilancio che ha compiuto il governo di rivedere la legge, vecchia ormai di tantissimi anni (una legge del 1987), aiuti a rilanciare il settore che in questi anni ha stentato a ritrovare la sua missione. Una legge - ed è il senso del convegno di oggi - che non dimentichi, come invece nell’attuale testo appare, la dimensione volontaria accanto a quella delle competenze, delle professionalità - che pure ci sono - e questa grande esperienza. Così che accanto all’esperienza estera, magari dei corpi militari di pace, si affianchino finalmente in maniera robusta anche le nostre organizzazioni, le nostre ong per costruire una politica estera dell’Italia fondata sulla società civile. L’attuale testo non cita più il volontariato impegnato a livello internazionale. Io spero sia soltanto qualcosa che è sfuggito, anche perché le nuove proposte di legge e di riforma del servizio civile - tra le quali c’è anche la mia - incentivano e vogliono allargare l’esperienza giovanile al mondo internazionale sia in Europa sia in giro per il mondo. Quindi, sarebbe assai strano che da una parte il servizio civile venga incentivato nella sua dimensione internazionale e, dall’altra, la legge internazionale non ne tenga conto.

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    L'attore Vincenzo Bocciarelli legge a Roma la vita di Igino Giordani

    ◊   La vita dell’intellettuale e politico cattolico, il Servo di Dio Igino Giordani, ha concluso ieri sera la serie di letture quaresimali dedicate ai "Ritratti di Santi" nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria. Le biografie scritte dal padre carmelitano Antonio Maria Sicari sono state recitate anche quest’anno da diversi attori professionisti. Ieri, è stata la volta di Vincenzo Bocciarelli, volto storico di questa iniziativa. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. – Questo è l’ottavo anno, mi sembra, che mi trovo a vivere questa bellissima esperienza nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria. Per me, da attore, poter dare voce a queste parole, a queste rievocazioni di ritratti, di figure così importanti che hanno lasciato un segno, è un grande privilegio. Per questo invito anche i giovani a venire ad ascoltare, a scoprire la vita di un personaggio come Igino Giordani perché è un esempio di costanza, di senso di sacrificio, di generosità. C’è un momento particolare che racconterò questa sera, che è la triste occasione della guerra: di fronte all’avversario egli non se la sentì di sparare e uccidere il nemico. E’ da lì che in seguito, in futuro, si batterà molto per l’abolizione della recluta del militare.

    D. – Un uomo veramente libero, diceva: “La libertà non sta nel fare quello che si vuole ma sta nel fare il bene, è libertà dal male…”

    R. – Eh sì. Questo è il dono della fede che ci rende liberi da tutti gli orpelli, dall’inutilità, da tutte le pesantezze che, invece, spesso ci rattristano, ci deprimono. In un’epoca in cui si tende facilmente anche alla depressione, la fede è un grande balsamo per l’anima.

    D. – E questo Igino Giordani lo ha testimoniato davvero con la sua vita. Lui diceva la crisi del nostro tempo si deve a tanti motivi ma si riassumono tutti in uno solo: la penuria d’amore. Questo da un po’ l’idea di quella che era la sua fiducia nell’umanità, nella possibilità di costruire un mondo migliore a partire dai rapporti interpersonali…

    R. – Sì, perché il rapporto interpersonale è una cellula che poi si riflette in tutta l’umanità, nei rapporti internazionali, interraziali. L’importanza che ci dà l’esempio della vita di Gino Giordani è questo dare, dare senza pensare di ricevere. Il più grande esempio di capacità di donarsi che ci ha dato nostro Signore con il sacrificio della propria vita sulla croce è un esempio che ci deve ricordare continuamente che piuttosto che adagiarci sui pessimismi, dobbiamo cercare di vivere la donazione con ottimismo.

    D. – Ma che cosa vuol dire la fede per un attore come lei?

    R. – Bella domanda! Questo spesso me lo chiedo! Soprattutto la mattina quando mi sveglio e la sera quando si chiude una giornata. Cerco innanzitutto di poter umilmente essere utile al prossimo, attraverso il mio lavoro e, soprattutto, un altro elemento importante è il senso di aggregazione, perché da soli, come dice Papa Francesco, non si va da nessuna parte.

    D. – Parlando della sua vita di attore dopo Ritratti di Santi ci sono progetti particolari?

    R. – Sì, ci sono belle cose in cantiere, mi auguro che con l’aiuto di nostro Signore possa affrontare nuovi ruoli. Mi piace tantissimo affrontare la poliedricità degli aspetti dell’essere umano. Dovrei affrontare una nuova fiction verso giugno, un ritorno anche al cinema, dopo la mia esperienza in India a Bollywood come primo attore europeo protagonista di un film indiano, e poi tanto teatro.

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    "Onirica" e "Giraffada": due film per raccontare l'amore e la pace

    ◊   Presentati al Bari International Film Festival due film diversamente suggestivi: quello visionario del polacco Majewski, "Onirica", che sarà nella sale italiane dal 17 aprile, e la bella metafora del palestinese Massalha, "Giraffada", che il pubblico italiano potrà vedere dal 22 maggio, in cui attraverso il dolore di una coppia di giraffe si evidenziano le aspirazioni alla pace di due popoli divisi dalle incomprensioni e dall'odio. Il servizio di Luca Pellegrini.

    Il sogno per raccontare l'eternità dell'amore, ben oltre la vita terrena, e la fiaba per spiegare al pubblico di tutte le età l'esigenza della pace come un bene irrinunciabile e condiviso. A Bari due registi diversissimi presentano i loro film: il polacco Lech Majewiski, già noto come visionario video artista e regista dell'originalissimo "I colori della Passione", si cala nella materia dei sogni con il nuovo "Onirica" e, affascinato dalla "Commedia" dantesca, immagina il percorso tra la vita e la morte del suo protagonista, Adam, che oppresso dal dolore per la scomparsa delle persone amate si riappropria della loro presenza proprio nel sonno. Un film profondamente suggestivo e spirituale che vuole testimoniare quanto i legami d'amore possano oltrepassare la vita terrena e tendere all'Amore assoluto ed eterno di chi dell'amore è la fonte, quello che "move il sole e l'altre stelle".

    Si muove, invece, dalla constatazione di una realtà complessa e dolorosa Rani Massalha, giovane regista di origine palestinese, per immaginare una metafora tratta dal mondo animale e acquisita da fatti realmente accaduti. "Giraffada", la sua opera prima, è la storia semplice e toccante in cui uomini e animali, accomunati dalla sofferenza, ambiscono a una vita non più segnata dalla paura. Tratta da un fatto realmente accaduto, il bombardamento dell'unico zoo palestinese, quello di Qualkilya, avvenuto nel 2002. Le vicende del film vi s'innestano con grande naturalezza: morto l'esemplare maschio di giraffa, la tristezza di quello femminile e la disperazione del piccolo Ziad che accudiva entrambi, costringono il papà Yacine, veterinario, a una rocambolesca ricerca proprio in territorio nemico. "La giraffa come simbolo di pace - racconta l'autore - è un'immagine che mi è venuta naturale: è così alta che vede tutto da una diversa prospettiva, come dovremmo fare noi per risolvere i problemi legati al conflitto che ci divide. Volevo che la poesia ispirata alla sua figura, mentre cammina con tanta eleganza e nobiltà attraversando il muro spaventoso che ci divide, si confrontasse con l'assurda realtà che la circonda". Se una giraffa palestinese e una israeliana si incontrano e si amano, può succedere anche a due popoli. E questa non è una bella fiaba, è la speranza di tutti gli uomini di buona volontà.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: i cristiani continuano a pregare dopo il martirio di padre Van der Lugt

    ◊   Ad Aleppo stiamo sperimentando ogni giorno cosa vuol dire attraversare con fede i tempi della sofferenza. Adesso ci aiuterà col suo esempio anche padre Frans Van der Lugt, che ha testimoniato fino al martirio il suo amore a Cristo e al popolo siriano. Così riferisce all'agenzia Fides il sacerdote armeno cattolico Joseph Bazuzu, responsabile degli incontri mensili dei sacerdoti e degli operatori pastorali della martoriata metropoli siriana.

    Da più di un anno spiega a Fides padre Joseph suggeriamo di orientare la pastorale ordinaria sulle parole e le riflessioni che possano sostenere il popolo di Dio nella condizione che stiamo vivendo. Siamo partiti dalle parole di Gesù nel Vangelo, e anche da quello che dice San Paolo nella seconda Lettera a Timoteo: 'Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili'. A volte c'è chi sceglie le proprie penitenze per fare cammini di mortificazione. Per noi le croci da portare vengono da fuori, non le scegliamo noi. Per aiutarci a vivere questi tempi, nelle omelie e negli incontri di catechesi concentriamo la riflessione sui passi del Nuovo Testamento che descrivono questa condizione, in cui solo l'aiuto di Cristo ci può sostenere.

    Il brutale assassinio di padre Van der Lugt ha scosso non solo i cristiani. Il 72enne gesuita olandese, da quarant'anni in Siria, aveva preziosi canali di comunicazione con i musulmani anche grazie alla sua attività di psicoterapeuta. Aveva scelto di rimanere ad Homs, alle prese con i bombardamenti quotidiani e la mancanza di cibo, nel quartiere di Bustan al-Diwan sotto controllo dei ribelli a lungo assediato dall'esercito di Assad. Era rimasto nella sua residenza anche dopo le operazioni di evacuazione della popolazione civile avvenute a Homs sotto l'egida dell'Onu, con il consenso delle parti in lotta.

    Finora non ci sono state rivendicazioni ufficiali dell'assassinio. I media di Stato lo attribuiscono a non meglio definiti terroristi, espressione con cui il governo siriano definisce tutte le formazioni e le milizie dell'opposizione. Anche la Syrian National Coalition, cartello dei gruppi anti-Assad sostenuto da nazioni mediorientali e occidentali, ha condannato l'omicidio del sacerdote, sostenendo che padre Van der Lugt era sotto la protezione del Free Syrian Army, la sigla militare anti-Assad che fa riferimento alla Syrian National Coalition. (R.P.)

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    Centrafrica: il ruolo della Chiesa cattolica nel caos che vive il Paese

    ◊   Lo Stato non esiste più. La sola istituzione funzionante è la Chiesa cattolica. In effetti, gli sfollati vivono nelle parrocchie cattoliche afferma mons. Samuel Kleda, arcivescovo di Douala e presidente della Conferenza episcopale del Camerun, in un’intervista a “L’Effort Camerounais” (organo ufficiale dei vescovi camerunesi) sulla sua visita nella Repubblica Centrafricana. Come noto, il Paese è ancora in preda al caos dopo la cacciata dei ribelli Seleka e le violenze commesse dalle milizia anti balaka.

    Con la sua visita a Bangui, mons. Kleda ha voluto dimostrare la nostra solidarietà ai nostri fratelli della Repubblica Centrafricana, facendo sentire che non sono abbandonati. Ho portato i frutti delle speciali collette effettuate nelle parrocchie del Camerun per permettere ai cristiani e ai pastori di venire incontro alle esigenze delle migliaia di sfollati accolti nelle strutture cattoliche.

    L’arcivescovo di Douala si è incontrato con mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e presidente della Conferenza episcopale centrafricana, al quale ha espresso la solidarietà della Chiesa camerunese, ricordando che la principale arma dei cristiani è la preghiera.

    Secondo Mons. Kleda è molto pericoloso parlare di guerra confessionale in Centrafrica. Nel Paese infatti non si è di fronte ad una guerra di religione (non ci sono per esempio, casi di conversioni forzate, all’una o all’altra religione), ma ad una guerra di predazione, condotta prima dai ribelli Seleka (dei quali, mons. Kleda dice non penso che siano musulmani devoti), ed ora dalle milizia anti balaka (non penso che siano devoti cristiani, visto che indossano amuleti per proteggersi dalle pallottole dice mons. Kleda). Affermare semplicemente che in Centrafrica c’è un gruppo di cristiani in lotta contro un gruppo di musulmani è molto pericoloso e può contribuire a dividere il Paese e persino a creare problemi nella regione conclude l’arcivescovo.

    Il Camerun confina da un lato con il nord della Nigeria, dove opera la ribellione di Boko Haram (che si suppone abbia rapito i due sacerdoti italiani e la suora canadese nel nord nell’area di Maroua), e dall’altro con il Centrafrica. Le parole di mons. Kleda sono dunque un avvertimento a far sì che l’instabilità di questo ultimo Paese non si propaghi all’intera regione. (R.P.)

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    Venezuela: il Presidente Maduro incontra l’opposizione. Preoccupazioni per l'nsicurezza

    ◊   Il vescovo di Carora, mons. Luis Armando Tineo Rivera, è preoccupato per l'insicurezza quotidiana che guadagna terreno nel Paese e per i molti atti di violenza verificatisi nelle ultime settimane in diverse città, che hanno provocato sconvolgimenti sociali e un gran numero di morti e feriti. In vista della imminente Settimana Santa, mons. Tineo Rivera invita tutti i venezuelani a riflettere, a prendere coscienza e quindi a cercare il bene comune di cui hanno bisogno. Questo significa – riporta la nota inviata all’agenzia Fides - in primo luogo cercare un dialogo che presuppone, ovviamente, il rispetto e la reciproca accettazione tra ognuna delle parti, e quindi la volontà di raggiungere degli accordi. Se non ci saranno questi ultimi, sarà solo un confronto sterile all'infinito, dove alla fine non otterremo nulla o, quando arriveremo a un dialogo, sarà troppo tardi, ha detto mons. Tineo.

    Nel Paese la tensione continua. Il Presidente Maduro ha accettato, dietro pressione della Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane), di incontrare oggi l’opposizione, per stabilire una agenda dei negoziati. Ieri Maduro aveva ricevuto la delegazione dei Ministri degli Esteri dei Paesi membri dell'Unasur, che in seguito hanno tenuto una riunione con i rappresentanti del Movimento di Unità Democratica (Mud). Maduro ha comunicato di avere accettato la proposta di incontrare i settori dell'opposizione, e questo sarà considerato un grande messaggio di pace, un grande segno a tutto il popolo per porre fine alla violenza, creata da quello che ha definito un tentativo di colpo di stato. (R.P.)

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    Filippine. La Corte Suprema: è valida la legge sulla Salute riproduttiva, ma sì all’obiezione di coscienza

    ◊   La Corte Suprema delle Filippine ha confermato la costituzionalità della Legge sulla Salute riproduttiva (Reproductive Health Bill), esprimendo eccezioni su alcuni commi degli articoli 7, 17 e 23 del provvedimento. Come appreso dall'agenzia Fides, in una sentenza emessa questa mattina, dopo 16 anni di battaglie legali, la Corte ha accettato l’impianto complessivo della legge ma ha riconosciuto, di fatto, il diritto all’obiezione di coscienza da parte di singoli medici o di strutture sanitarie private.

    La legge introduce metodi di pianificazioni familiare anche artificiali, come la contraccezione, nell’assistenza sanitaria pubblica, per fermare la sovrappopolazione. E’ stata fortemente avversata dalla Chiesa cattolica e invece promossa e sostenuta dal governo del Presidente Benigno Aquino. La Corte Suprema ha esaminato ben 14 ricorsi con eccezioni di incostituzionalità.

    Fra gli articoli che dovranno essere modificati, l’art. 7 (Accesso alla pianificazione familiare) che imponeva anche alle strutture private di enti religiosi di “fornire moderni metodi di pianificazione familiare, sia naturale che artificiale”. La Corte ha ammesso il diritto all’obiezione di coscienza dichiarando incostituzionali pene e sanzioni per i medici che rifiutavano di fornire informazioni o servizi sui metodi artificiali di pianificazione familiare (art. 17 e 23). l testo infatti imponeva ai medici di fornire una gamma completa di servizi di “salute riproduttiva”, come la contraccezione, servizi di sterilizzazione e abortivi, senza prevedere l'obiezione di coscienza.

    Nella notte scorsa migliaia di fedeli cattolici, guidati da padre Melvin Castro, segretario della Commissione per la vita e la famiglia nella Conferenza episcopale delle Filippine, hanno dato vita ad una Veglia di preghiera per poi dirigersi in processione davanti all’edificio della Corte Suprema, in attesa del verdetto. Padre Castro ha detto: “Rispetteremo la decisione della Corte, ma non violeremo gli insegnamenti del Vangelo”.

    I cattolici, sostenuti dai vescovi filippini, si appellano alla Costituzione delle Filippine che recita: “Lo Stato riconosce la santità della vita familiare e deve proteggere e rafforzare la famiglia come istituzione sociale autonoma alla base della società. Si impegna a proteggere la vita della madre e la vita del il nascituro fin dal concepimento”. (R.P.)

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    Indonesia: dai vescovi un appello al voto secondo valori "etici e morali"

    ◊   In vista delle elezioni generali di domani, in cui verrà rinnovata la Camera dei deputati (Dpr), i vescovi indonesiani hanno lanciato un appello contro astensione e non voto, invitando i fedeli a farsi guidare nella scelta da "valori etici e morali". In questi giorni - riferisce l'agenzia AsiaNews - la Conferenza episcopale (Kwi) - su impulso del presidente mons. Ignatius Suharyo, arcivescovo di Jakarta, e del segretario generale mons. Johannes Pujasumarta, arcivescovo di Semarang - auspica una scelta "consapevole e intelligente", oltre che unitaria per scongiurare la dispersione del voto cattolico. Nella lettera pastorale inviata ai fedeli, i vertici della Kwi esortano le comunità sparse nel Paese a far valere e usare i diritti civili, piuttosto che far trionfare "l'imperante scetticismo" che avvolge politica e classe dirigente di vari livelli.

    Il 2014 sarà un anno cruciale per il futuro politico, sociale ed economico dell'Indonesia. La nazione è chiamata due volte al voto in pochi mesi, per rinnovare il Parlamento (9 aprile) e scegliere il futuro capo di Stato ed il suo vice (9 luglio). In molti criticano la presenza delle "solite facce" e auspicano un rinnovamento reale della politica. I recenti casi di corruzione e malaffare che hanno visto coinvolti politici, amministratori e figure di primo piano delle istituzioni, hanno acuito la distanza fra "Palazzo e popolo".

    Da qui l'invito dei vescovi al voto partecipato e responsabile: "Il vostro voto è importante - avvertono i prelati nella lettera pastorale - perché quanti saranno designati attraverso le elezioni generali, tracceranno il futuro della nazione e toccheranno tra gli altri il benessere sociale ed economico della nazione". Per questo, continuano, "fate valere i vostri diritti civili e partecipate alla vita politica della nazione, per delinearne in prima persona il futuro". "Essere 'Golput' (riferimento in lingua locale alla categoria degli astensionisti, ndr) significa semplicemente perdere l'opportunità di partecipare al programma di miglioramento del Paese".

    Nel contesto della lettera pastorale, i prelati hanno individuato anche alcune "linee guida" generali per tracciare candidati degni di essere scelti: mentalità di larghe vedute e nazionaliste; politicamente e moralmente "pulite", senza vicende di corruzione e abusi alle spalle; generosi e "ospitali", ma non per tornaconto; che non guardano alla politica per denaro; impegnati a costruire un futuro fondato sui Pancasila e sul pluralismo, unità e apertura già tracciati dalla Costituzione nazionale del 1945.

    Sempre in questi giorni il vescovo di Purwokerto mons. Julianus Sunarka ha incontrato - nel corso di una riunione a porte chiuse - dozzine di candidati cattolici, invitandoli a continuare la loro opera all'insegna dell'onestà, del rigore, dell'attenzione ai problemi più urgenti dei cittadini. L'Indonesia è la nazione musulmana (sunnita) più popolosa al mondo (l'86% professa l'islam) e, pur garantendo fra i principi costituzionali le libertà personali di base (fra cui il culto), diventa sempre più teatro di violenze e abusi contro le minoranze. I cristiani sono il 5,7% della popolazione, i cattolici poco più del 3%, l'1,8% è indù e il 3,4% professa un'altra religione. La Costituzione sancisce la libertà religiosa, tuttavia la comunità è vittima di episodi di violenze e abusi, soprattutto nelle aree in cui è più radicata la visione estremista dell'islam, come ad Aceh. (R.P.)

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    Coree: in aumento i rifugiati dal Nord al Sud della penisola

    ◊   Nonostante rischi sempre più gravi, aumenta nel 2014 il numero di persone in fuga dal regime della Corea del Nord. Secondo i dati rilasciati dal ministero sudcoreano dell'Unificazione, nel primo trimestre dell'anno in corso 360 cittadini del Nord hanno chiesto asilo politico al Sud. In gennaio si sono verificati 153 casi; in febbraio 111 casi; in marzo 96 casi. Le statistiche mostrano un aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno ma questo, dice un funzionario governativo, non vuol dire per forza che il numero totale sarà maggiore rispetto al 2013.

    I nordcoreani che scelgono di fuggire corrono un rischio altissimo. Costretti a passare prima dalla Cina, dato che il confine con il Sud è altamente militarizzato, in caso di arresto sono soggetti al rimpatrio forzato: Pechino ha firmato infatti un accordo con Pyongyang che definisce questi profughi migranti economici e non concede loro alcuna attenuante politica. Quindi in caso di cattura vengono rimandati a casa, dove rischiano la pena di morte o un decennio di lavori forzati per tradimento della patria.

    Il nuovo leader nordcoreano, Kim Jong-un - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha inasprito ancora di più le pene riservate ai rifugiati: nel 2012, primo anno del suo regno a seguito della morte del padre Kim Jong-il, solo 1.502 nordcoreani sono fuggiti al Sud contro una media di 3mila registrata ogni anno sino ad allora. Nel 2013 i fuggitivi sono stati in totale 1.514. Tuttavia questi dati sono parziali, dato che è impossibile stabilire quanti nordcoreani scelgano di rimanere, senza documenti, in Cina.

    La Chiesa cattolica sudcoreana lavora sin dalla divisione della penisola per aiutare i rifugiati, che vengono chiamati saeteomin (coloni della nuova terra). I fedeli del Sud portano avanti programmi di inserimento sociale, di lingua e di aggiornamento politico per i profughi, che vengono aiutati a trovare un lavoro e combattere così il muro di razzismo che permea la società nei confronti dei fratelli del Nord. (R.P.)

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    Usa: il grave problema dei migranti, la disintegrazione della famiglia

    ◊   La disintegrazione della famiglia è il primo problema che soffrono i migranti su entrambi i lati del confine tra Messico e Stati Uniti, e questa situazione preoccupa i vescovi ha detto mons. James Anthony Tamayo, vescovo della diocesi texana di Laredo, che ha presieduto la riunione fra vescovi delle diocesi di confine che si è tenuta nella città di Laredo e si è conclusa domenica scorsa.

    In questo incontro abbiamo parlato molto di questioni importanti dell'ambito pastorale - ha detto mons. Tamayo nella nota inviata all’agenzia Fides da una fonte locale - come la preparazione e la celebrazione dei sacramenti per le persone che vivono su entrambi i lati del confine, che si devono amministrare secondo le norme della Chiesa universale. Il vescovo di Laredo ha anche chiesto alle comunità che si trovano alle frontiere di non escludere i migranti dalle varie attività svolte.

    L’incontro, dopo tre giorni di lavoro, si è concluso con la Messa nella cattedrale di San Agustín, concelebrata dai vescovi partecipanti, provenienti dalle diocesi di Matamoros (Messico), Brownsville (Usa), Laredo (Usa), Nuevo Laredo (Messico), Saltello (Messico), Piedras Negras (Messico), San Ángelo (USA), San Antonio (USA) y Nuevo Casas Grandes (Messico). Solo pochi giorni fa il card. Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, ha celebrato una Messa in Arizona, alla frontiera con il Messico, durante la quale ha ricordato gli oltre 6.000 morti registrati in 15 anni alla sola frontiera di Nogales, mentre oggi ci sono 11 milioni di persone senza documenti in attesa di un futuro. (R.P.)

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    Brasile. Ragazzi di strada: dopo il Mondiale di calcio, i loro diritti

    ◊   “Hanno vinto i ragazzi della Tanzania e le ragazze del Brasile ma quello che conta sono le nuove amicizie e la fiducia in se stessi acquisita durante il torneo”: a parlare con l'agenzia Misna è Jo Griffin, uno degli organizzatori della Street Child World Cup che si è conclusa domenica sera a Rio de Janeiro. Le finali si sono giocate nel quartiere di Laranjeiras, nello storico stadio della squadra del Fluminense. I ragazzi della Tanzania hanno sconfitto 3-1 il Burundi, mentre le “padroncine” di casa del Brasile hanno superato le Filippine 1-0.

    L’importante, però, è stato partecipare. Ne è convinto Dieudonné Nahimana, allenatore del Burundi battuto in finale. “Abbiamo dato il massimo – dice – giocando insieme, Hutu e Tutsi: anche per dare un calcio alle divisioni del passato”.

    Al torneo hanno partecipato 25 squadre in rappresentanza di 19 Paesi, per lo più africani, asiatici e latinoamericani. E la competizione è stata anche occasione di dibattito. “I 230 giocatori – sottolinea Griffin – hanno partecipato a una conferenza unica, che porterà all’approvazione di una Dichiarazione di Rio: un documento nel quale si chiede di tutelare i diritti dei ragazzi di strada che sarà trasmesso alle Nazioni Unite”.

    Secondo le statistiche dell’Onu, nel mondo i ragazzi di strada sono circa 100 milioni. La Street Child World Cup era cominciata il 28 marzo, con la benedizione e l’incoraggiamento di Papa Francesco, primo pontefice latinoamericano della storia ma soprattutto appassionato di calcio. (R.P.)

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    Francia. Alla Plenaria dei vescovi: matrimonio e famiglie ed elezioni europee

    ◊   La Chiesa francese di fronte alle sfide poste dalla crisi economica e dalle profonde trasformazioni culturali della società francese; il Sinodo sulla famiglia; la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e il prossimo pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa, ma anche i risultati delle recenti elezioni municipali in Francia e le elezioni europee a maggio. E’ stato un discorso ad ampio raggio quello con cui il presidente della Conferenza episcopale francese (Cef), mons. Georges Pontier, ha aperto questa mattina a Lourdes l’assemblea plenaria dei vescovi, in corso da oggi fino all’11 aprile.

    Al centro dei lavori – spiega il portavoce della Cef, mons. Bernard Podvin - oltre a diverse questioni organizzative interne alla Chiesa in Francia, temi di grande attualità che toccano tutta la società francese, quali il fenomeno dell’aborto, oggetto di un approfondito studio dell’episcopato. Ma un altro tema in primo piano, in vista del prossimo Sinodo Straordinario dei vescovi a ottobre, sarà il matrimonio e la famiglia. Due istituzioni che in Francia, come altrove, stanno subendo profonde trasformazioni, anche grazie a controversi interventi legislativi.

    Di fronte a questi mutamenti – ha sottolineato mons. Pontier nella sua prolusione - la Chiesa è chiamata a quel discernimento evangelico dei segni dei tempi di cui parla Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, in linea con gli insegnamenti di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Le questioni sociali all’ordine del giorno in Francia - ha osservato - sono profonde: Esse toccano il rispetto della vita, dei bambini, la concezione del matrimonio, il fine vita e in definitiva la natura stessa dell’uomo. Ma riguardano anche la giustizia, la ridistribuzione della ricchezza, il rispetto dei lavoratori, ridotti troppo spesso a una variabile dipendente dal ciclo produttivo, l’accoglienza degli stranieri e il vivere insieme in una società diventata ormai pluralista.

    La risposta della Chiesa a queste sfide - ha sottolineato mons. Pontier - non può che essere ispirata dallo Spirito Santo e dal Vangelo, attraverso lo scambio e il discernimento che la aiuterà ad evitare chiusure e strumentalizzazioni. Sulla famiglia l’arcivescovo di Marsiglia ha quindi ribadito che la Chiesa vuole indicare un cammino di felicità, ma è pronta ad accogliere e ad accompagnare chi in questa ricerca è caduto, ha fallito ed è ferito. Mons. Pontier ha affrontato anche il tema dell’eutanasia, tornato nuovamente alla ribalta nel dibattito politico in Francia. Citando l’esperienza dell’Arche di Jean Vanier a fianco della sofferenza e dell’handicap, il presule ha sottolineato che l’umanizzazione della società non verrà con le pratiche eugenetiche, né con l’assistenza al suicidio”, ma “dalla compassione, dalla condivisione della vita.

    Riferendosi, infine, alle prossime elezioni europee, il presidente della Cef, ha incoraggiato i cittadini francesi a mostrare, con il loro voto, fiducia in questa Europa della pace e della solidarietà nell’anno in cui con dolore ricordiamo l’inizio della Prima Guerra Mondiale. Il futuro e la speranza – ha sottolineato – appartengono alla capacità dei Paesi europei di accogliere insieme le sfide che hanno davanti, intraprendendo un cammino di dialogo e di concertazione.(A cura di Lisa Zengarini)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 98

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