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Sommario del 04/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: chi ha potere cerca di silenziare i profeti, ma lo Spirito non si può ingabbiare
  • Giovani fiamminghi intervistano il Papa: "Tutti siamo fratelli, credenti e non credenti"
  • All'Angelus di domenica, Papa Francesco donerà migliaia di Vangeli per i fedeli
  • Primo incontro tra Papa Francesco e la Regina Elisabetta II d'Inghilterra
  • Tweet del Papa: con Gesù la vita acquista pienezza
  • Gli auguri del Papa al neo eletto Patriarca siro-ortodosso siriano
  • Rwanda. Il presidente dei vescovi: 20 anni dopo il genocidio, ferite meno profonde
  • P. Cantalamessa: Gesù non è un insieme di dogmi, è una persona vivente
  • Vescovi della Tanzania in visita "ad Limina"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Afghanistan: uccisa una fotografa tedesca. Domani le presidenziali: Pangea al fianco della gente
  • Medio Oriente: raid israeliani su Gaza e allarme razzi nel Sud di Israele. Stallo nei negoziati
  • L'Aquila: tra speranza e dolore, il quinto anniversario del terremoto
  • Per Alfano 600 mila immmigrati alle porte dell'Europa. P. La Manna: no allarmismi
  • Giornata ordigni inesplosi: dopo 70 anni, in Italia 60 mila bombe inesplose mietono vittime
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria. Vittime, profughi, devastazioni: le cifre della guerra
  • Siria. Padre Hilal: i cristiani hanno paura ma non lasceranno la propria terra
  • Giornata contro le mine anti-uomo: dedicata alle donne
  • Papa Francesco in Terra Santa: le attese degli intellettuali palestinesi
  • Iraq: preghiera speciale in tutte le chiese caldee per le prossime elezioni
  • Sud Sudan: l'Onu lancia l'allarme carestia
  • Centrafrica. Il vescovo di Bangassou: un comitato interreligioso ha mantenuto la pace
  • Sri Lanka. Siccità e monsoni: situazione drammatica soprattutto per la popolazione più povera
  • Sud Corea: il dramma del calo demografico e del controllo delle nascite
  • Filippine: a Cebu un "Villaggio Francesco" per i sopravvissuti al tifone Haiyan
  • Brasile e Spagna in festa per la canonizzazione di “Padre Anchieta”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: chi ha potere cerca di silenziare i profeti, ma lo Spirito non si può ingabbiare

    ◊   Quando si annuncia il Vangelo si va incontro alle persecuzioni. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa ed ha esortato i fedeli a non avere paura di incomprensioni e persecuzioni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Il cuore degli empi che si allontanano da Dio vogliono impadronirsi della religione. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dal brano del Libro della Sapienza, nella prima Lettura. Quindi, ha osservato che i nemici di Gesù gli tendono delle insidie, lavorano “di calunnie, gli tolgono la fama”. E’ come se preparassero “il brodo per distruggere il Giusto”. E questo perché si oppone alle loro azioni, “rimprovera le colpe contro le leggi”, gli “rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta”. In tutta la storia della salvezza, ha poi osservato, “i profeti sono stati perseguitati” e Gesù stesso lo dice ai farisei. Sempre “nella storia della salvezza, nel tempo di Israele, anche nella Chiesa – ha ribadito – i profeti sono stati perseguitati”. Perseguitati perché i profeti dicono: “Voi avete sbagliato strada! Tornate alla strada di Dio!”. E questo, ha constatato, “alle persone che hanno il potere di quella strada sbagliata non fa piacere”.

    “Il Vangelo di oggi è chiaro, no? Gesù si nascondeva, in questi ultimi giorni, perché ancora non era arrivata la sua ora; ma Lui conosceva quale sarebbe stato il suo fine, come sarebbe stato il suo fine. E Gesù è perseguitato dall’inizio: ricordiamo quando all’inizio della sua predicazione torna al suo paese, va alla sinagoga e predica; subito, dopo una grande ammirazione, incominciano: Ma questo noi sappiamo di dove è. Questo è uno di noi. Ma con che autorità viene a insegnarci? Dove ha studiato?’. Lo squalificano! E’ lo stesso discorso, no? ‘Ma costui sappiamo di dove è! Il Cristo, invece, quando verrà nessuno saprà di dove sia!’. Squalificare il Signore, squalificare il profeta per togliere l’autorità!”

    Lo squalificano, ha aggiunto, “perché Gesù usciva e faceva uscire da quell’ambiente religioso chiuso, da quella gabbia”. Il profeta, ha ribadito, “lotta contro le persone che ingabbiano lo Spirito Santo. E per questo è perseguitato: sempre!” I profeti, è stata la sua riflessione, “sono tutti perseguitati o non compresi, lasciati da parte. Non gli danno posto!” Questa situazione, ha aggiunto, non è finita “con la morte e resurrezione di Gesù: è continuato nella Chiesa! Perseguitati da fuori e perseguitati da dentro!”. Quando noi leggiamo la vita dei Santi, ha detto Papa Francesco, “quante incomprensioni, quante persecuzioni hanno subito i Santi”, “perché erano profeti”:

    “Anche tanti pensatori nella Chiesa sono stati perseguitati. Io penso ad uno, adesso, in questo momento, non tanto lontano da noi, un uomo di buona volontà, un profeta davvero, che con i suoi libri rimproverava la Chiesa di allontanarsi dalla strada del Signore. Subito è stato chiamato, i suoi libri sono andati all’indice, gli hanno tolto le cattedre e quest’uomo così finisce la sua vita: non tanto tempo fa. E’ passato il tempo ed oggi è beato! Ma come ieri era un eretico e oggi è un beato? E’ che ieri quelli che avevano il potere volevano silenziarlo, perché non piaceva quello che diceva. Oggi la Chiesa, che grazie a Dio sa pentirsi, dice: ‘No, quest’uomo è buono!’. Di più, è sulla strada della santità: è un beato!

    “Tutte le persone che lo Spirito Santo sceglie per dire la verità al Popolo di Dio – ha soggiunto – soffrono persecuzioni”. E Gesù “è proprio il modello, l’icona”. Il Signore ha preso su di Lui “tutte le persecuzioni del suo Popolo”. E ancora oggi, ha rilevato con amarezza, “i cristiani sono perseguitati”. “Oso dire – ha aggiunto – che forse ci sono tanti o più martiri adesso che nei primi tempi”, “perché a questa società mondana, a questa società un po’ tranquilla, che non vuole i problemi, dicono la verità, annunziano Gesù Cristo”:

    “Ma c’è la pena di morte o il carcere per avere il Vangelo a casa, per insegnare il Catechismo, oggi, in alcune parti! Mi diceva un cattolico di questi Paesi che loro non possono pregare insieme. E’ vietato! Soltanto si può pregare soli e nascosti. Ma loro vogliono celebrare l’Eucaristia e come fanno? Fanno una festa di compleanno, fanno finta di celebrare il compleanno e lì fanno l’Eucaristia, prima della festa. E- è successo! - quando vedono che arrivano i poliziotti, subito nascondono tutto e ‘Felicità, felicità. Tanti auguri!’ e continuano con la festa. Poi, quando se ne vanno, finiscono l’Eucaristia. Così devono fare, perché è vietato pregare insieme. Oggi!”.

    E questa storia di persecuzioni, ha rimarcato, “è il cammino del Signore, è il cammino di quelli che seguono il Signore”. Ma, ha aggiunto, “finisce, alla fine, sempre come il Signore: con una Resurrezione, ma passando per la Croce!” Francesco ha, quindi, rivolto il pensiero a padre Matteo Ricci, evangelizzatore della Cina, che “non è stato compreso, non è stato capito. Ma lui ha obbedito come Gesù!” Sempre, ha detto ancora, “ci saranno le persecuzioni, le incomprensioni! Ma Gesù è il Signore e questa è la sfida e la Croce della nostra fede!”. Che il Signore, ha concluso il Papa, “ci dia la grazia di andare per la sua strada e se accade anche con la croce delle persecuzioni”.

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    Giovani fiamminghi intervistano il Papa: "Tutti siamo fratelli, credenti e non credenti"

    ◊   E’ stata trasmessa ieri sera dalla Tv pubblica fiamminga del Belgio VRT, l’intervista rilasciata da Papa Francesco ad alcuni ragazzi belgi il 31 marzo scorso presso lo studio del Palazzo Apostolico in Vaticano. L’iniziativa è nata da un progetto di comunicazione della Pastorale giovanile delle Fiandre: i ragazzi, accompagnati da mons. Lucas Van Looy, vescovo di Gent, porgono le loro domande in inglese e il Papa risponde in italiano. Il servizio di Sergio Centofanti:

    E' stato un incontro allegro e familiare, in un clima di grande semplicità: tra i giovani c’è anche una ragazza non credente che dice di essere ispirata dalle parole di Papa Francesco. Chiedono innanzitutto perché abbia accettato questa intervista. Il Papa risponde che per lui è un servizio prezioso parlare all’inquietudine dei giovani. Poi, una domanda a bruciapelo: “Lei è felice? E perché?”:

    “Assolutamente! Assolutamente [ride] sono felice! … E anche è una felicità tranquilla, perché a questa età non è la stessa felicità di un giovane, c’è una differenza. Ma una certa pace interiore, una pace grande, felicità, che viene con l’età, anche. E anche con una strada che sempre ha avuto problemi. Anche adesso ci sono i problemi, ma questa felicità non va via con i problemi, no: vede i problemi, li soffre e poi va avanti, fa qualcosa per risolverli e va avanti. Ma nel profondo del cuore c’è questa pace e questa felicità. E’ una grazia di Dio, per me, davvero. E’ una grazia. Non è merito proprio”.

    I ragazzi chiedono il motivo del suo grande amore per i poveri: “Perché è il cuore del Vangelo”, risponde il Papa:

    “Per me, il cuore del Vangelo è dei poveri. Ho sentito, due mesi fa, che una persona ha detto, per questo: ‘Ma, questo Papa è comunista!’. E no! Questa è una bandiera del Vangelo, non del comunismo: del Vangelo! Ma la povertà senza ideologia, la povertà … E per questo io credo che i poveri sono al centro dell’annuncio di Gesù. Basta leggerlo. Il problema è che poi questo atteggiamento verso i poveri alcune volte, nella storia, è stato ideologizzato”.

    La ragazza non credente chiede al Papa quale messaggio abbia per tutti i giovani:

    “Tutti siamo fratelli. Credenti, non credenti, o di questa confessione religiosa o dell’altra, ebrei, musulmani … tutti siamo fratelli! L’uomo è al centro della storia, e questo per me è molto importante: l’uomo è al centro. In questo momento della storia, l’uomo è stato buttato via dal centro, è scivolato verso la periferia, e al centro – almeno in questo momento – è il potere, il denaro e noi dobbiamo lavorare per le persone, per l’uomo e la donna, che sono l’immagine di Dio”.

    Oggi, ha proseguito il Papa, “siamo entrati in una cultura dello scarto”: “sono cacciati via i bambini – non vogliamo bambini, meno, famiglie piccole: non si vogliono i bambini –, sono cacciati via gli anziani: tanti anziani muoiono per una eutanasia nascosta, perché non si ha cura di loro e muoiono. E adesso sono cacciati via i giovani”. E ha ricordato che in Italia la disoccupazione giovanile dai 25 anni in giù è quasi del 50 per cento. Ma ricordando i suoi incontri con alcuni giovani politici argentini, ha affermato di avere fiducia in loro e nella loro voglia di concretezza:

    “E sono contento perché loro, siano di sinistra, siano di destra, parlano una nuova musica, con una nuova musica, un nuovo stile di politica. E quello a me dà speranza. E io credo che la gioventù, in questo momento, deve prendere la luce e andare avanti. Che siano coraggiosi! Questo a me dà speranza”.

    Ad una domanda sulla ricerca di Dio, il Papa risponde:

    “Quando l’uomo trova se stesso, cerca Dio. Forse, non riesce a trovarlo, ma va su una strada di onestà, cercando la verità, per una strada di bontà e una strada di bellezza … è su una buona strada e troverà Dio sicuro! Tardi, prima, ma lo troverà. Ma il cammino è lungo e alcune persone non lo trovano, nella vita. Non lo trovano coscientemente. Ma sono tanto veri e onesti con se stessi, tanto buoni e tanto amanti della bellezza, che alla fine hanno una personalità molto matura, capace di un incontro con Dio, che è sempre una grazia. Perché l’incontro con Dio è una grazia”.

    Un giovane gli chiede cosa gli abbiano insegnato i suoi errori. Papa Francesco afferma che gli sbagli sono “grandi maestri di vita”:

    “Grandi maestri: ti insegnano tanto. Anche ti umiliano, perché uno può sentirsi un superuomo, una superdonna … e tu sbagli e questo ti umilia e ti mette al tuo posto. Io non direi che io da tutti i miei sbagli ho imparato: no, credo che da alcuni non ho imparato perché sono testardo [ride] e non è facile imparare. Ma da tanti sbagli ho imparato e questo mi ha fatto bene, mi ha fatto bene. E anche riconoscere gli sbagli. Ho sbagliato qui, ho sbagliato là, sbaglio là … E anche essere attento per non tornare allo stesso sbaglio”.

    Una ragazza gli chiede: “Ha un esempio concreto di come ha imparato da uno sbaglio?”:

    “Per esempio, nella conduzione della vita della Chiesa: io sono stato nominato superiore molto giovane e ho fatto tanti sbagli con l’autoritarismo, per esempio. Io ero troppo autoritario: a 36 anni … E poi, ho imparato che si deve dialogare, si deve sentire cosa pensano gli altri … Ma non è stato imparato una volta per sempre! E’ lunga la strada”.

    Arriva poi un’altra domanda a bruciapelo: “Di che cosa ha paura lei?”:

    “Eh, di me stesso! [ride] Paura … ma guarda, nel Vangelo, Gesù ripete tanto: ‘Non abbiate paura! Non abbiate paura!’… Ma, tante volte, lo dice, no? E perché? Perché lui sa che la paura è una cosa direi ‘normale’. Noi abbiamo paura della vita, abbiamo paura davanti alle sfide, abbiamo paura davanti a Dio. Tutti abbiamo paura, tutti. Tu non devi preoccuparti di avere paura. Ma devi sentire quello, ma non avere paura e poi pensare: ‘Perché ho paura?’. E davanti a Dio e davanti a te stessa cercare di chiarire la situazione o chiedere aiuto a un altro. Ma la paura non è una buona consigliera, perché ti consiglia male”.

    Quindi spiega che “c’è la paura cattiva e la paura buona. La paura buona è come la prudenza”: aiuta a non farci cadere. E c'è la paura cattiva: quella che ti annulla e non ti lascia fare qualcosa. E bisogna rifiutarla.

    Infine, l’ultima domanda dei giovani al Papa è particolare: “Lei ha una domanda per noi?”:

    “Non è originale, la domanda che io voglio farvi. La prendo dal Vangelo. Dove è il tuo tesoro? Questa è la domanda. Dove riposa il tuo cuore? Su quale tesoro riposa il tuo cuore? Perché dove è il tuo tesoro sarà la tua vita … Questa è la domanda che io farò, ma dovrete risponderla a voi stessi, da soli [ride] a casa vostra …”.

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    All'Angelus di domenica, Papa Francesco donerà migliaia di Vangeli per i fedeli

    ◊   Migliaia di Vangeli in formato tascabile: è il dono che Papa Francesco farà ai fedeli che si raduneranno in Piazza San Pietro per l’Angelus di domenica prossima, lanciando così un chiaro messaggio a tenere sempre con sé il Vangelo e a riprenderlo spesso in mano per rileggere e meditare le parole e le azioni di Gesù. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Tenere sempre con sé il Vangelo e leggerlo spesso. Un invito semplice quello che Papa Francesco ha più volte rivolto ai fedeli. Ora, per aiutare a mettere in pratica questo invito, domenica prossima in Piazza San Pietro, all’Angelus, proprio per volontà del Papa verranno distribuite ai fedeli presenti in Piazza - gratuitamente, come dono del Santo Padre - molte migliaia di Vangeli in formato tascabile. L’iniziativa, informa la Sala Stampa della Santa Sede, è analoga a quella della distribuzione delle “Misericordine” avvenuta alcuni mesi fa, realizzata dalla Elemosineria Apostolica con la collaborazione di numerosissimi volontari: 150 scout, i seminaristi del Seminario Romano, Suore di Madre Teresa e altre religiose, singole persone. La Elemosineria, viene sottolineato, “deve infatti essere il braccio del Papa per la carità non solo materiale, ma anche spirituale”.

    Il volumetto tascabile, stampato dalla Tipografia Vaticana (in un’edizione speciale per questa occasione, non in vendita), contiene i quattro Vangeli e gli Atti degli Apostoli, si apre con la citazione delle parole del Papa Francesco nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”; nella pagina interna di copertina porta le indicazioni per recitare la “Coroncina della Misericordia”, e si chiude, nella terza pagina di copertina, con la Preghiera del Beato card. John H. Newman: “Caro Gesù…”, che la Beata Madre Teresa raccomandava alle sue suore di recitare ogni giorno.

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    Primo incontro tra Papa Francesco e la Regina Elisabetta II d'Inghilterra

    ◊   E’ durato poco meno di mezz’ora, giovedì pomeriggio, l’incontro nello Studio dell'Aula Paolo VI in Vaticano, tra Papa Francesco e la Regina Elisabetta II, con il Duca di Edinburgo. Ad accogliere la sovrana britannica - riferisce una nota del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi - oltre al cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e al segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Mamberti, anche il cardinale Murphy-O’Connor, arcivescovo emerito di Westminster. Al termine, nell’Auletta attigua, ha avuto luogo la presentazione del seguito e lo scambio dei doni. Il dono della Regina è stato un grande cesto contenente raffinati prodotti commestibili (marmellate, bevande, ecc.) provenienti dai diversi possedimenti reali. Il Papa invece ha donato alla Regina il facsimile di un prezioso documento conservato in Vaticano, in cui Papa Innocenzo XI stabilisce, nel 1679, che il culto di Sant’Edoardo il Confessore (antenato della famiglia reale inglese e fondatore dell’Abbazia di Westminster, dove è sepolto) venga esteso alla Chiesa universale. Inoltre il Pontefice ha donato, per il pronipote della Regina, il principe George di Cambridge, un oggetto artistico, composto da una sfera di lapislazzulo sormontata da una “croce di Sant’Edoardo” in argento. Al Duca di Edinburgo, il Papa ha donato infine il trittico delle medaglie del Pontificato. Il corteo reale ha lasciato il Vaticano poco prima delle ore 16.

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    Tweet del Papa: con Gesù la vita acquista pienezza

    ◊   “Con Gesù la vita acquista la sua pienezza. Con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa”. E’ il tweet di Papa Francesco pubblicato stamani sul suo account in 9 lingue @Pontifex. Il testo del tweet è tratto dall’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”.

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    Gli auguri del Papa al neo eletto Patriarca siro-ortodosso siriano

    ◊   Un “padre spirituale” per il suo popolo e un “costruttore instancabile di pace e di giustizia, al servizio del bene comune e del bene di tutto il Medio Oriente nelle difficili circostanze di oggi”. È quanto Papa Francesco augura al nuovo Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Ignatius Aphrem II, eletto il 31 marzo scorso dal Santo Sinodo della sua Chiesa. Nel formulare gli auguri al Patriarca, al clero e ai fedeli siro-ortodossi, Papa Francesco soggiunge: “È importante per tutti i cristiani testimoniare l'amore e la comunione che ci lega insieme”, come segno della preghiera di Cristo durante l'Ultima Cena, “Che tutti siano uno, affinché il mondo creda”. “Ringrazio l'Onnipotente – conclude il Papa – per i vincoli di fraternità tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa siriana e spero e prego che la nostra amicizia e il dialogo continui possano essere ulteriormente sviluppati e approfonditi”.

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    Rwanda. Il presidente dei vescovi: 20 anni dopo il genocidio, ferite meno profonde

    ◊   Nell’imminenza delle pagine più tragiche della storia recente – il genocidio in Rwanda, del quale si ricorda il ventennale dell’inizio – Papa Francesco ha accolto ieri in visita ad Limina i vescovi del Paese africano. Il loro presidente, mons. Smaragde Mbonyintege, descrive al microfono di Hélène Destombes a che punto sia il processo di riconciliazione interno e quale ruolo abbia giocato e giochi in esso la Chiesa locale:

    R. – La question du processus de réconciliation a été un point fort…
    La questione del processo di riconciliazione è stato un punto forte e abbiamo ricordato come Giovanni Paolo II ci sia stato molto vicino nei momenti difficili, con parole forti che ci hanno aiutato e sostenuto. A partire da questo, egli ci ha anche incoraggiato a continuare nel processo di riconciliazione, e così abbiamo parlato anche della ricostruzione della nostra Chiesa e ci siamo chiesti: “Dove va la nostra Chiesa?” Abbiamo detto che faremo un bilancio che sarà pubblicato tra due-tre settimane, quando ritorneremo a casa.

    D. – Il Papa vi ha chiesto di essere una Chiesa unita. Sappiamo che durante il genocidio, alcuni religiosi sono stati criticati a causa di loro responsabilità nei fatti, mentre altri sono stati lodati per i loro interventi contro questo dramma. Concretamente, qual è il vostro bilancio come vescovi?

    R. – Pour nous, le bilan est positif. Les rwandais vivent en paix…
    Per noi, il bilancio è positivo. I rwandesi vivono in pace e hanno compreso a fondo il male prodotto da quell’esasperato etnicismo. Credo che la lezione che ne abbiamo tratto, come Chiesa e come popolo, sia di non voler mai più ricadere in un dramma del genere. Il governo attuale, che punta sull’unità nazionale e sulla riconciliazione, sulla pace e sulla giustizia, va di pari passo con dei progressi in ambito economico che sono palpabili. Questo non vuol dire che non ci siano ferite, ce ne sono. Questo non significa che non ci siano i poveri: ci sono e richiamano tutta la nostra attenzione. Ma noi siamo convinti che il cammino che stiamo facendo, con gli insegnamenti che abbiamo tratto da quei momenti tragici, ci aiuterà a riedificarci come popolo e come Chiesa.

    D. – In quale misura la Chiesa rwandese contribuisce oggi alla ricostruzione del Paese e alla riconciliazione?

    R. – C’est toute notre mission: parler d’unité, de paix, de réconciliation…
    E’ questa tutta la nostra missione: parlare di unità, di pace, di riconciliazione… E’ vero che la Chiesa è stata accusata, ma a volte si è trattato di malintesi. Le persone non hanno trovato quello che si aspettavano dalla Chiesa e anzi a volte hanno trovato cristiani sui quali pesava l’ombra del genocidio. Che siano stati uno, o dieci o venti: erano comunque “la Chiesa”. Ma noi diciamo “no”: la Chiesa ha perso i suoi figli e li ha persi due volte. Li ha persi tra le vittime del genocidio, tra coloro che sono stati uccisi, e li ha perduti tra i carnefici che avevano smarrito la fede, i loro punti di riferimento cristiani. E questa è la sofferenza della nostra Chiesa cattolica in Rwanda.

    D. – Vent’anni dopo il genocidio, la Francia ha condannato per la prima volta un rwandese. Cosa significa, per il Paese, questa condanna?

    R. – Je n’aime pas qu’on fasse de ce génocide une question politique…
    Non mi piace che si faccia del genocidio una questione politica, o l’oggetto di un interessamento costante. Il genocidio è stato commesso per tutelare degli interessi, e anche la giustizia che si vuole fare ora vuole tutelare degli interessi economici. Per noi, invece, il problema non è questo. Il problema è il nostro Paese: che faccia giustizia o che non faccia giustizia, per noi l’essenziale è vivere come popolo rwandese. E’ come una sorta di drammatizzazione e non è questo che ci salverà. Noi saremo salvati da quello che siamo, per quello che viviamo.

    D. – Quali sono i segni di speranza nel Paese?

    R. – C’est que les gens peuvent vivre ensemble…
    Il fatto che le persone riescano a convivere. Dopo che alcuni hanno confessato davanti al Gacaca, il tribunale popolare, e hanno chiesto perdono, sono tornati a vivere tra gli altri e nonostante le ferite che ci sono, riescono a lavorare insieme. E questi sono i segni di speranza. E poi, soprattutto nelle nostre chiese, a partire dalle comunità ecclesiali di base, siamo riusciti a unire tutti i cristiani per ravvivare la vita cristiana: questi, tutti, sono segni di speranza.

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    P. Cantalamessa: Gesù non è un insieme di dogmi, è una persona vivente

    ◊   Chi è Gesù Cristo e come avere un’idea chiara di lui che supporti la fede: di questo ha parlato stamattina padre Raniero Cantalamessa nella sua quarta predica di Quaresima, ascoltata dal Papa e dalla Curia nella Cappella "Redemptoris Mater" del Palazzo Apostolico, in Vaticano. Il predicatore della Casa Pontificia ha sviluppato il tema seguendo gli insegnamenti di Leone Magno il cui pensiero cristologico è una pietra miliare nella Chiesa. Il servizio di Tiziana Campisi:

    Gesù Cristo è Dio fattosi uomo, la natura divina e quella umana in Lui coesistono senza mescolanza né confusione, conservando ognuna le sue proprietà; è il Figlio di Dio – crocifisso e sepolto – ed anche il Figlio dell’uomo venuto dal cielo. Sono queste verità fondamentali che chiamiamo dogma cristologico; la Tradizione della Chiesa le ha elaborate nel tempo, San Leone Magno, che fu Papa nel V secolo, è stato il primo a sintetizzarle in un’unica formulazione che raccoglie le riflessioni teologiche d’oriente e d’occidente. Su queste certezze il cristiano deve fondare la propria fede, ha affermato padre Raniero Cantalamessa, e, con l’aiuto dello Spirito Santo, guardare poi Gesù come una persona:

    “Purtroppo, Gesù, per molti è un personaggio, un insieme di dogmi, di dottrine, un’istituzione quasi. E invece è vitale – anche per l’evangelizzazione – che Gesù sia per noi una persona vivente”.

    E allora occorre andare oltre:

    “E’ possibile avere Gesù per amico, perché è risorto, è vivo, anche se spiritualmente, non fisicamente; ma questa presenza è più reale, infinitamente più reale di una presenza fisica o immaginaria”.

    Per giungere a tutto questo è necessario, anche, non separare la figura di Gesù ricostruita dalla storia e dai documenti dal Cristo del dogma. E’ errato far spazio alla scienza razionale prescindendo dalla fede, e sono da scartare tutte quelle recenti ricostruzioni storiche su Gesù che escludono la verità pasquale.

    Il predicatore della Casa Pontificia ha inoltre aggiunto che se "la ricerca sui Vangeli ... ci mostra come la storia” non può farci conoscere 'Gesù in sé’, mentre il dogma lo definisce ma solo con una formula, guardare a Gesù come persona significa “dire che è risorto, che vive, che mi sta davanti, che posso dargli del tu come lui mi dà del tu”.

    Dunque la storia non basta, né sono sufficienti le enunciazioni teologiche, perché sarebbe come trovarsi di fronte ad una formula chimica, come quella dell’acqua ad esempio, che ce la fa conoscere composta da due molecole di idrogeno ed una di ossigeno, ma non ci fa vedere l’acqua che beviamo o nella quale nuotiamo. Non è però inutile la formula H2O, come non lo sono le formulazioni dogmatiche, ma è altro il modo per conoscere Gesù Cristo, ha precisato padre Cantalamessa:

    “Raramente si pensa a Gesù come a un amico, perché nel subconscio predomina l’idea che: ‘Oh, questo Gesù, dopo la crocifissione, la risurrezione, è salito al cielo, tornerà nella sua gloria nell’ultimo giorno’. Cioè, è difficile, invece, sentirlo presente, con noi, che desidera con noi un rapporto”.

    E narra il Vangelo di Giovanni, che Gesù stesso ha detto: “Vi ho chiamati amici perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio”.

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    Vescovi della Tanzania in visita "ad Limina"

    ◊   Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata. In successive udienze, il nunzio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo, l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana, il prelato di Xingu (Brasile) mons. Erwin Kräutler, la signora Margarita Rosa Stolbizer e un gruppo di presuli della Conferenza episcopale di Tanzania, in Visita ad Limina.

    In Francia, il Papa ha nominato vescovo di Valence il sacerdote Pierre-Yves Michel, finora vicario generale dell’arcidiocesi di Lyon. Mons. Michel è nato il 17 febbraio 1960 a Roanne, nell’arcidiocesi di Lyon. Dopo gli studi secondari all’Institution Saint-Paul di Roanne, ha frequentato i corsi di Diritto presso l’Università Lyon III, ottenendo un Diplôme d’études supérieures spécialisées (DESS) in diritto notarile. Entrato in Seminario, ha frequentato il 1° ciclo a Paray-le-Monial ed il 2° ciclo al Seminario Universitario di Lyon, dove ha ottenuto une maîtrise in Teologia. Dal 1993 al 1995 ha frequentato i corsi dell’Institut Supérieur de Pastorale Catéchétique e nel novembre 1995 ha conseguito il relativo diploma presso la Facoltà di Teologia dell’Institut Catholique di Parigi. E’ stato ordinato sacerdote il 30 giugno 1991, per l’arcidiocesi di Lyon. Ha ricoperto gli incarichi seguenti: Vicario della parrocchia Saint-Joseph des Brotteaux a Lyon e cappellano del Collegio Vendôme-Bellecombe (1991-1992); collabora con la parrocchia Saint-Jacques-du-Haut-Pas a Parigi e cappellano del Lyceo parigino Lavoisier (1993-1995); Membro del Presbiterio di Sainte-Foy e responsabile del settore giovanile (1995); Delegato episcopale per la catechesi e per la pastorale giovanile (1999-2003); Vicario episcopale per la catechesi ed il catecumenato e Segretario del Consiglio episcopale (1999-2003); Parroco della parrocchia Saint-Priest e membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio Presbiterale (2005-2007). Dal 2007 è Vicario generale e Moderatore della curia.

    Sempre in Francia, il Pontefice ha nominato vescovo di Nanterre mons. Michel Aupetit, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Paris. Mons. Aupetit è nato il 23 marzo 1951 a Versailles, nella diocesi omonima. Dopo gli studi secondari si è iscritto alla Facoltà di medicina di Créteil, che ha concluso laureandosi nel 1978. Ha esercitato la professione medica a Colombes, nella periferia nord di Parigi, per dodici anni. Si è specializzato in bioetica medica e ha pure insegnato tale materia all’Ospedale Henri Mondor di Créteil. Nel 1990, all’età di 39 anni, è entrato in Seminario per la formazione sacerdotale, conclusa con il baccalaureato in Teologia. E’ stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1995 per l’arcidiocesi di Parigi. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: Vicario della parrocchia Saint-Paul-Saint-Louis e cappellano dei Licei del quartiere Marais: François Couperin, Charlemagne et Saint-Germain, Victor Hugo (1995-2001); Parroco di Notre-Dame de l’Arche d’Alliance (2001-2006); Decano del decanato Pasteur-Vaugirard (2004-2006); Vicario generale di Parigi e membro del Consiglio presbiterale (2006-2013). E’ stato nominato Vescovo Titolare di Massita ed Ausiliare di Paris il 2 febbraio 2013, e consacrato il 19 aprile successivo. E’ autore di alcuni libri e di varie pubblicazioni.

    In Germania, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Passau padre Stefan Oster, salesiano, finora professore ordinario di Dogmatica e Storia del Dogma presso l’Alta Scuola dei Saliesiani a Benediktbeuern. Mons. Oster è nato il 3 giugno 1965 a Amberg, nella diocesi di Regensburg. Dal 1984 al 1986 ha seguito una formazione di giornalista e redattore di radio – attività che ha poi esercitato presso diversi giornali e stazioni radio. Dal 1988 ha cominciato lo studio di Filosofia, Storia e Scienze Religiose a Regensburg, Kiel, Keele in Gran Bretagna e Oxford, dove nel 1993 ha ottenuto il “Master of Studies”. Nel 1994 ha conseguito il “Magister Artium” a Regensburg. Nel 1995 è entrato nella Congregazione dei Salesiani di Don Bosco, cominciando lo studio di Teologia a Benediktbeuern nel 1996. Ha emesso la professione perpetua il 24 luglio 1999 ed è stato ordinato sacerdote il 24 giugno 2001. Nel 2003 ha conseguito il Dottorato di Filosofia presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Augsburg. In seguito, dal 2003 al 2009, è stato Professore di Filosofia presso l’Alta Scuola dei Salesiani a Benediktbeuern. Nel 2009 ha ottenuto l’Abilitazione di Teologia Dogmatica presso la Facoltà Teologica di Trier ed è stato nominato Professore Ordinario di Dogmatica e Storia del Dogma presso l’Alta Scuola di Benediktbeuern. È membro della Commissione per le Vocazioni della Conferenza Episcopale Tedesca.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Dove è vietato pregare: Messa del Papa a Santa Marta.

    Un editoriale di Alberto Fabio Ambrosio sulla teologia

    Quando Dio ha bisogno delle metropoli: il cardinale arcivescovo Lluis Martínez Sistach su Barcellona che in maggio e in novembre ospiterà iniziative sulla pastorale nelle grandi città.

    Nelle pagine internazionali un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Esce di scena il presidente con il cappello di astrakan": l'Afghanistan vota per il dopo Karzai.

    Sulle bancarelle per arrivare a tutti: Nello Vian sull'edizione dei Vangeli della Pia Società di San Girolamo.

    Loro non ci picchiavano: Stefano Girola sui gesuiti in Australia all'inizio del Novecento.

    Belle per come le dice: Sabino Caronia recensisce il romanzo dello scrittore irlandese Jon Kalman Stefansson "Luce d'estate ed è subito notte".

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    Oggi in Primo Piano



    Afghanistan: uccisa una fotografa tedesca. Domani le presidenziali: Pangea al fianco della gente

    ◊   Vigilia elettorale di sangue in Afghanistan: a poche ore dal voto per le presidenziali e le provinciali di domani, un attacco armato ha ucciso oggi nella provincia di Kost una fotografa dell’Associated Press, la tedesca Anja Niedringhaus, e ferito la giornalista canadese Kathy Gannon. L'agguato è avvenuto nel remoto distretto di Tanai, al confine con il Pakistan: il killer, in divisa da poliziotto, è entrato in azione mentre le due donne stavano intervistando gli abitanti sui problemi della zona. L’uomo è stato poi arrestato. In questo clima di tensione, aggravato dalla minaccia di ulteriori attentati talebani, il Paese si prepara a scegliere il successore di Hamid Karzai. I candidati favoriti, secondo gli analisti internazionali, sono Ashraf Ghani, Abdullah Abdullah, Zalmai Rassoul - considerato il preferito dal presidente uscente - e Abdur Rab Rassoul Sayyaf. Per un quadro della situazione, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Kabul Luca Lo Presti, presidente di Fondazione Pangea, che da anni porta avanti progetti di microcredito femminile:

    R. – È una vigilia elettorale abbastanza tesa, specie all’interno della città: le vie sono deserte, non ci sono macchine parcheggiate, ci sono posti di blocco circa ogni cento metri. In ogni caso qui lavoriamo ormai da 12 anni. La gente non si sta facendo spaventare da quest’atmosfera; noi di Fondazione Pangea vediamo che nei quartieri e nelle case in cui lavoriamo la vita prosegue: i bambini giocano - il pallone è sempre presente – e le nostre beneficiare del microcredito sorridono. Questa è la situazione in Afghanistan: la vita è complicata. Ad esempio, per entrare in un supermercato bisogna superare tre porte blindate e le guardie armate. Nello stesso tempo, le persone vogliono la normalità e pensano che questo voto sia molto importante. Per cui, al di là delle minacce dei talebani, degli integralisti, dei jihadisti, comunque c’è la speranza per un nuovo futuro.

    D. - La Fondazione Pangea è presente da 12 anni in Afghanistan. Com’è cambiata in questi anni la gente che va a votare?

    R. - La gente va a votare con una fiducia superiore rispetto al passato. Ricordo che alle elezioni presidenziali precedenti non c’era molta aspettativa; adesso c’è. La voce delle donne che Pangea raccoglie nei progetti, qualsiasi sia il candidato, dice che c’è bisogno di più istruzione, più pace e più sicurezza. Queste sono le raccomandazioni che fanno tutti. Certo, i candidati sono appoggiati da signori che hanno le ‘mani insanguinate’, per cui c’è da riflettere. In ogni caso, la speranza c’è.

    D. - Cosa avete sentito? Chi sembra il favorito?

    R. - Le voci sono le più disparate. A Kabul, il delfino di Karzai comunque sembra essere la persona più gettonata. Ho l’impressione che non ci sia un candidato che rappresenti tutto l’Afghanistan. Ognuno rappresenta la sua etnia, per cui c’è il candidato tagiko, quello pashtun...

    D. - Il 2014 è l’anno dei ritiro delle truppe internazionali. Che aspettative ci sono sul terreno?

    R. - Ci sono degli afghani progressisti che non vedono l’ora che le truppe se ne vadano. Ci sono donne e uomini che invece hanno paura. Per cui è veramente difficile predire il futuro. Certo è che, se dovessimo andarcene tutti, abbandonando completamente questo Paese, probabilmente il terrorismo, la lotta tribale tra le varie fazioni, come accadde tra il ’92 e il ’96, potrebbero riprendere piede.

    D. - In 12 anni di progetti, ce n’è uno che è rimasto impresso particolarmente a voi di Pangea?

    R. – La cosa più curiosa è che le donne ci hanno chiesto di poter imparare a fare le estetiste, le parrucchiere, le gioielliere… Quei mestieri che in Afghanistan sembrerebbero di un altro mondo. In realtà è bello poterle accontentare sotto questo profilo, per far vedere che ogni storia che sembrava impossibile invece si realizza con un’esperienza di vita ed di un futuro vero. Loro ci stanno chiedendo di rimanere, qualsiasi cosa accada. Il mio auspicio è quello di trovare sempre la forza, le energie, le risorse per poter restare a fianco di queste persone che, comunque vada, vogliono vivere.

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    Medio Oriente: raid israeliani su Gaza e allarme razzi nel Sud di Israele. Stallo nei negoziati

    ◊   Cresce la tensione in Medio Oriente. Nella notte l’aviazione militare israeliana ha colpito cinque obiettivi “terroristici” a Gaza, ferendo due persone. Mentre in mattinata le sirene di allarme anti-missile hanno suonato nel sud di Israele. Un’escalation che arriva mentre torna lo stallo nel negoziato di pace tra lo Stato ebraico e l’Anp, con il blocco del rilascio degli ultimi detenuti palestinesi pattuiti e con l’approvazione di un controverso progetto archeologico a Gerusalemme est. Per un’analisi della situazione Marco Guerra ha intervista Marcella Emiliani, esperta di Medio Oriente:

    R. - Il nodo principale è rappresentato dagli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Nonostante gli sforzi di Kerry, degli Stati Uniti, di convincere Netanyahu a sospendere il programma di colonizzazione, Netanyahu compie passi laterali - come quello, appunto, di rilasciare prigionieri e ne ha già rilasciate ben tre ondate…- ma su quello che è il punto centrale, cioè fermare la costruzione di colonie ebraiche in Cisgiordania, proprio non ci sente. Più passa il tempo e più naturalmente rimane meno terra da restituire ai palestinesi, semmai si arriverà a questo. Allo stato attuale delle cose non ci sono molte possibilità che questo possa succedere.

    D. - Israele chiede all’Anp di ritirare l’adesione ai trattati internazionali: in pratica si vuole evitare un riconoscimento giuridico dell’Autorità palestinese?

    R. - Sì, perché nel momento in cui Abu Mazen si appella a ben 15 Convenzioni dell’Onu che Israele avrebbe violato, evidentemente si affida alla giustizia internazionale e da questo punto di vista Israele sa di essere in grosso difetto!

    D. - Intanto la tensione è tornata alta anche tra Gaza e Israele…

    R. - Quella comporta proprio uno stato di guerra a bassa intensità, che porta con sé anche delle conseguenze regionali molto pesanti, perché non scordiamo che varie artiglierie di cui si avvale Hamas provengono dall’Iran e fino a poco tempo fa anche dalla Siria. Tutto questo allontana certamente qualsiasi tipo di trattativa. Il punto fondamentale qui è che tutti si comportano come se ci fosse ancora chissà quanto tempo. Non scordiamoci che i negoziati dovevano, nell’ottica di Kerry, essere conclusi per il 29 di aprile: se andiamo avanti di questo passo, non ci arriviamo neanche fra tre anni!

    D. - Il ruolo dell’Occidente, degli Stati Uniti e degli attori internazionali quale può essere in questo momento per sbloccare il negoziato?

    R. - Praticamente nessuno si è più fatto avanti per risolvere, a livello internazionale, il negoziato. Eravamo rimasti a una mediazione che doveva essere portata avanti da Tony Blair: non se ne è saputo più niente… L’Unione Europea continua a pagare gli stipendi dell’Autonomia nazionale palestinese, ma non ci sono delle iniziative di tipo squisitamente politico a parte questa shuttle diplomacy che il segretario di Stato americano Kerry continua a fare. Resta che in questo momento Israele è ancora nella condizione di porre le proprie di condizioni. Il problema è che manca la volontà politica. E diciamocelo chiaramente, quando manca la volontà politica dove si va?

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    L'Aquila: tra speranza e dolore, il quinto anniversario del terremoto

    ◊   Numerose iniziative in programma a L’Aquila in occasione del quinto anniversario del terremoto che la notte tra il 5 e il 6 Aprile 2009 provocò 309 morti. In città, abitanti e istituzioni lottano per non arrendersi e alimentare la speranza della rinascita di una realtà ancora in ginocchio. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

    La lettura dei nomi delle vittime al termine della consueta fiaccolata. Partenza domani sera alle 22.30 per arrivare in piazza Duomo. A seguire la Messa e poi la veglia, aspettando le 3.32 l’ora in cui il sisma squarciò quella notte di cinque anni fa. Un lungo periodo segnato dall'incessante impegno della chiesa locale. Don Claudio Tracanna, direttore dell’Ufficio diocesano comunicazioni sociali de L’Aquila, al microfono di Davide Dionisi:

    “Tenere alto il morale, lo spirito degli aquilani affinché non si scoraggino. Il rischio, infatti, è quello di una depressione sociale”.

    Oggi, la parola d’ordine è ricostruzione. A L’Aquila e negli altri 56 Comuni del cratere si cerca in tutti i modi di recuperare il tempo perduto. Dopo lungaggini burocratiche e mancanza di fondi, ora serve una fase nuova:

    “E’ bene sottolineare che l’emergenza, qui a L’Aquila, non è finita! Questo è un dato di fatto. Non è finita negli animi e nella mente delle persone, oltre che nei cantieri che soprattutto nel centro storico stentano a decollare”.

    Nonostante tutto si guarda al futuro. E si guarda soprattutto ai giovani che sempre più spesso decidono di abbandonare il territorio:

    “Direi che i cittadini stanno sopportando bene, ma il rischio è che alcuni fenomeni - già presenti - come l’esodo verso la costa abruzzese di alcune famiglie, soprattutto giovani, continui e diventi inarrestabile”.

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    Per Alfano 600 mila immmigrati alle porte dell'Europa. P. La Manna: no allarmismi

    ◊   Ha fatto discutere l’affermazione del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, secondo cui in Nord Africa ci sono tra 300 e 600 mila persone in attesa di transitare nel Mediterraneo. Le associazioni che si occupano di immigrati chiedono al governo di pianificare l’accoglienza di chi potrebbe aspirare allo status di rifugiato. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il tema immigrazione rischia di trasformarsi di nuovo in uno scontro politico, tanto che Lega e destre criticano l’abolizione del reato d’immigrazione clandestina. Nei primi tre mesi dell'anno, si sono registrati 11mila sbarchi in Italia, sette volte più che nel 2013. E per Alfano fino a 600 mila persone sono pronte ad arrivare in Europa. Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli di Roma:

    R. – Bisogna uscire dalla dinamica di presentare numeri per spaventare l’opinione pubblica e soprattutto cercare di fare pressione, in questo modo, sull’Unione Europea, perché i Paesi europei ci ricorderanno sempre che loro accolgono molto più dell’Italia. Ma l’Italia deve fare dei passi per raggiungere un sistema unitario, dignitoso e rispettoso dei diritti di queste persone.

    D. – Però, c’è un sistema gestito dai comuni, che si chiama “Sprar” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che tra l’altro per il 2014 prevede un aumento dei posti disponibili …

    R. – Si dice che non ci siano le risorse per finanziare lo Sprar, però poi ci si muove sprecando delle risorse, attivando le prefettura con 30 euro a persona per tre mesi. Ora noi corriamo il rischio di ripetere la vergognosa esperienza “emergenza-Nordafrica” …

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    Giornata ordigni inesplosi: dopo 70 anni, in Italia 60 mila bombe inesplose mietono vittime

    ◊   Sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema degli ordigni bellici inesplosi a partire da una corretta informazione. Questo l’obiettivo della campagna presentata ieri mattina al Senato in vista della Giornata Mondiale Onu contro le mine e gli ordigni inesplosi che ricorre oggi. Paolo Ondarza:

    Migliaia di vittime, tra morti e feriti, ogni anno in tutto il mondo. In tre casi su quattro a rimetterci sono i civili che azionano congegni anche dopo anni dalla fine di una guerra. Il presidente dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra Giuseppe Castronovo:

    “In Afghanistan, ci vorranno ancora forse 60 anni per eliminare centinaia di migliaia di mine e di bombe. In altri Paesi, ad esempio a Gaza, ci sono migliaia di vittime civili di guerra per ordigni bellici non esplosi. Anche in Rwanda: un milione di persone tra cui bambini feriti per ordigni”.

    Incidenti accadono anche in Italia nonostante l’ultimo conflitto bellico risalga a ormai 70 anni fa. Secondo il Ministero della difesa, sono oltre 60 mila gli ordigni ritrovati ogni anno, solo nel 2013 hanno causato 11 ferimenti gravi, 3 nel 2014. Tra questi c’è un agricoltore di Belluno ferito gravemente al volto e alle mani mentre stava lavorando la terra. Ancora Castronovo:

    “Mentre seminava le patate, trovò un oggetto che sembrava una piccola lampadina… Invece questo oggetto era un ordigno ed è esploso. È rimasto cieco e senza una mano”.

    E’ infatti l’apparenza innocua, ma traditrice di un giocattolo, che contraddistingue questi ordigni a destare la curiosità soprattutto dei bambini. E’ accaduto allo stesso Giuseppe Castronovo. Il 26 giugno 1944, perse la vista a causa dell’esplosione di una penna-bomba. Necessaria quindi una corretta informazione, proprio quella che si prefigge di promuovere nelle scuole l’Associazione nazionale vittime civili di guerra:

    “Noi la faremo in tutte le scuole d’Italia. Coinvolgeremo il Ministero della Pubblica istruzione perché un Paese è civile quando previene i danni alla popolazione”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria. Vittime, profughi, devastazioni: le cifre della guerra

    ◊   Oltre 150mila morti, milioni di sfollati e una nazione in rovina. In tre anni, la rivolta siriana contro il presidente Bachar al-Assad si è trasformata in una guerra civile dalla portata devastante. Il conflitto, iniziato nel marzo 2011 con una sollevazione di popolo pacifica contro il regime, ha innescato una repressione sanguinosa e un'escalation militare che ha colpito in primis la popolazione. Oggi - riferisce l'agenzia AsiaNews - i riflessi di questa guerra sono visibili in tutta la regione del Medio oriente e, in particolare, in Libano dove si è riversata la maggioranza dei profughi. In base alle ultime stime di questi giorni, sono più di un milione i rifugiati siriani in cerca di accoglienza nel Paese dei Cedri.

    Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, con base in Gran Bretagna, almeno 150.344 persone - di cui 51.212 civili e, fra questi, 7.985 bambini - sono morte nel conflitto; una guerra che in un primo momento vedeva contrapposti regime e ribelli, ma che col tempo si è fatta sempre più complessa e articolata con l'ingresso di miliziani islamisti, jihadisti e mercenari stranieri al soldo dell'opposizione.

    Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) riferisce che il numero dei feriti è di oltre mezzo milione; almeno 17mila le persone scomparse nel nulla e "decine di migliaia" quelle rinchiuse nelle carceri del regime di Damasco. Organizzazioni a difesa dell'infanzia aggiungono che il numero di bambini colpiti dalla guerra si è raddoppiato nel corso dei tre anni, toccando quota 5,5 milioni; un milione di minori si troverebbe inoltre in aree "sotto assedio o irraggiungibili" da parte di gruppi e movimenti umanitari. Altre vittime del conflitto sono le donne, oggetto di violenze sessuali, stupri e abusi in galera; e ancora, usate come scudi umani o sequestrate per umiliare o ricattare le famiglie di origine.

    Gli ultimi dati forniti dalle Nazioni Unite mostrano come tre anni di guerra abbiano messo in ginocchio la Siria, con effetti "catastrofici" sulla vita sociale, economica e culturale del Paese. Il 40% degli ospedali è andato distrutto, un altro 20% funziona a ritmo ridotto. Il Prodotto interno lordo (Pil) è crollato del 45% e la moneta locale ha perso l'80% del suo valore originario. Preoccupa inoltre il numero dei profughi fuggiti oltreconfine (almeno 2,6 milioni) e il dato relativo agli sfollati interni, circa 6,5 milioni. Fra quanti hanno cercato salvezza all'estero, oltre un milione ha scelto il Libano, seguito da Turchia (634mila), Giordania (poco più di 584mila), Iraq (227mila) ed Egitto (135mila).

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    Siria. Padre Hilal: i cristiani hanno paura ma non lasceranno la propria terra

    ◊   «I cristiani di Siria hanno perso tutto e vivono tra gli aspri scontri con la costante paura di morire. Eppure molti di loro hanno deciso rimanere nel loro Paese». Padre Ziad Hilal, gesuita responsabile dei progetti per i rifugiati ad Homs, racconta così la scelta coraggiosa di tanti fedeli siriani. In visita alla sede internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) il religioso ha ringraziato la fondazione pontificia per il grande sostegno alla sua comunità. Dall’inizio del conflitto Acs ha donato circa 3milioni di euro alla Chiesa siriana, con particolare attenzione ai numerosi progetti per i rifugiati e gli sfollati interni, ed ha appena stanziato un nuovo contributo in favore di 2mila famiglie cristiane di Homs e di altre 2mila famiglie che vivono nella cosiddetta Valle dei cristiani.

    Gli ingenti bisogni dei tanti sfollati interni esigono tuttavia nuovi aiuti. Nella Valle dei cristiani (Wadi al-Nasara), a circa 45 chilometri da Homs, hanno recentemente trovato rifugio altre 4.500 famiglie. «Le generose donazioni ricevute purtroppo non sono sufficienti – spiega padre Ziad – oltre 12mila persone dipendono dal nostro sostegno». Disperata è la situazione anche nell’area di Homs, dove la Chiesa dona viveri, medicine e assistenza spirituale a circa 3mila famiglie. Il giovane gesuita, ordinato a Damasco nel luglio 2010, ricorda con particolare trasporto il coraggio di «21 fedeli che pur nel cuore di una città distrutta si sono stretti intorno al loro pastore, il religioso olandese Frans Van der Lugt, per difendere quel che resta della chiesa dei padri gesuiti».

    Secondo quanto riferisce ad Acs l’arcivescovo melchita di Homs, Hama e Yabrud, mons. Jean Abdo Arbach, nella regione di Homs sono rimasti circa 200mila cristiani di diverse denominazioni. Il presule racconta le vessazioni subite dai cristiani nella sua città natale, Yabroud, recentemente riconquistata dall’esercito di Assad. Fino a poche settimane fa a Yabroud i ribelli hanno imposto la legge islamica, distrutto qualsiasi simbolo religioso non islamico e obbligato i cristiani a pagare la jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l’impero ottomano. «In Siria noi cristiani viviamo nel terrore e non sappiamo quale futuro ci aspetta – afferma mons. Arbach – ma non abbandoneremo la nostra terra natia». (R.P.)

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    Giornata contro le mine anti-uomo: dedicata alle donne

    ◊   L’importanza del ruolo delle donne nel rimuovere le mine, nell’assistere le vittime e nell’insegnare come sopravvivere in zone contaminate è al centro del messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per la Giornata internazionale per la sensibilizzazione sulle mine che si celebra oggi. Donne e ragazze sono state spesso vittime di mine. E quando educano sui rischi o assistono le famiglie di chi è stato ucciso o mutilato da questo tipo di ordigni hanno un modo peculiare di sentire e di intervenire. Per questo le Nazioni Unite vogliono ascoltare le opinioni delle donne, nella convinzione che il loro contributo alla campagna globale contro le mine sia fondamentale. “Le donne – ha sottolineato Ban Ki-moon – possono aiutarci a raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati nell’azione contro le mine, nell’aumento della sicurezza, nella ricostruzione delle comunità, nel recupero dei terreni e nella lotta alla paura che questi ordigni inesplosi causano in diverse parti del mondo”.

    Molti dei Paesi più colpiti si trovano in Africa e in Asia. Uno di questi è il Laos. Durante la guerra del Vietnam gli americani cercarono di fermare il flusso di armi dal Laos e bombardarono per nove anni, sganciando 270 milioni di munizioni di vario tipo di cui circa ottanta milioni sono rimaste inesplose.“Il problema è molto grande” ha sottolineato alla vigilia della Giornata Phoukheio, direttore generale della Sezione per la rimozione degli ordigni inesplosi (Uxo-Nra) in Laos. “Abbiamo bisogno di un sostegno maggiore. Nessun progetto di sviluppo è possibile se mine e ordigni non esplosi non sono rimossi. Restano attivi per anni e sono una vera minaccia sia per i bambini che per gli adulti”.

    Il Laos è stato uno dei primi Paesi a firmare la Convenzione sulle bombe a grappolo entrata in vigore nel 2010 e ha mantenuto un ruolo molto attivo per sostenere la loro messa al bando. Tutte le 17 provincie del Laos presentano contaminazioni da Uxo. E’ colpito un villaggio su quattro. Su una popolazione di oltre sei milioni e mezzo, oltre 50.000 persone, dal 1964 ad oggi, sono state vittime di esplosioni. Nel 23% dei casi si è trattato di bambini. Grazie all’intervento di varie organizzazioni il numero delle vittime è sceso da una media annua di 300, ai 56 del 2012 e ai 43 del 2013.

    Un quadro globale lo ha dato Ban Ki-moon nel dicembre scorso, durante il tredicesimo incontro delle parti firmatarie della Convenzione sulla proibizione dell’uso, dell’accumulo, della produzione e del trasferimento di mine antiuomo. “Questi ordigni – ha sottolineato Ban Ki-moon – continuano a uccidere e a mutilare. Nel 2013 il loro uso è stato riportato in Siria, in Myanmar, in Nagorno-Karabakh, un territorio e due Stati che non hanno firmato la Convenzione per il bando delle mine antiuomo. Unisco la mia voce a quella degli altri Stati che già ne hanno condannato l’uso. Sono pure preoccupato per l’utilizzo che ne è stato fatto quest’anno anche in Turchia, in Sudan, in Sud Sudan e in Yemen, tutti Paesi che hanno firmato la Convenzione. Chiedo a questi Paesi di ricordarsi dell’impegno che hanno preso”.

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    Papa Francesco in Terra Santa: le attese degli intellettuali palestinesi

    ◊   “50 anni dopo la visita di Papa Paolo VI, la visita di Papa Francesco in Terra Santa”. È questo il titolo dato ad un recente simposio, svoltosi a Betlemme, ed organizzato dal Centro Al-Leqa, un istituto culturale per gli studi religiosi e del patrimonio di Terra Santa. L’evento ha riunito numerose e significative personalità dell’intelligentsia palestinese, ovvero esponenti del mondo della cultura, della politica, rappresentanti religiosi, sia musulmani che cristiani.

    L’obiettivo del simposio era duplice: in primo luogo, si è trattato di fare il punto della situazione in vista del prossimo viaggio apostolico di Papa Francesco in Terra Santa, dal 24 al 26 maggio; in secondo luogo, si è dato ampio spazio all’analisi di temi quali la riconciliazione, la pace, la cooperazione di cristiani e musulmano per la promozione della giustizia e della convivenza tra i popoli.

    Tra i relatori erano presenti mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, mons. Joseph Lazzarotto, delegato apostolico a Gerusalemme, e Abd Al-Majeed Ata, mufti della moschea di Betlemme. Richiamando l’attenzione sull’importanza che rivestirà questo viaggio apostolico sia da un punto di vista politico che culturale, Mons. Twal ha evidenziato che l’orizzonte nel quale si svolgerà resta, in ogni caso, quello della commemorazione del 50.mo anniversario dell’incontro ecumenico tra il Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora. Soffermandosi sul tema della riconciliazione, il presule ha dichiarato che “la Terra Santa è sempre assetata dell’appello indirizzato da Paolo VI alle Nazioni Unite nel 1965: ‘mai più la guerra’ poiché nella guerra siamo tutti dei perdenti”, ed ha aggiunto che “questo invito è identico a quello lanciato da Papa Francesco per impedire la guerra in Siria”. Il patriarca latino ha anche espresso la sua convinzione profonda sul fatto che “il nostro mondo, la nostra regione hanno ancora un bisogno quotidiano d’amore, di giustizia e di riconciliazione tra i popoli, e prima di tutto nei cuori”.

    Su questa linea si è mosso il mufti Abd Al-Majeed Ata, manifestando la propria gioia, oltre che quella del popolo musulmano di Betlemme, per la visita del Pontefice. Il capo religioso musulmano ha anche ricordato, con attenzione e profonda ammirazione, l’impegno svolto dai Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel costruire ponti di dialogo per una pace sincera, fraterna, oltre che per una conoscenza reciproca, tra musulmani e cristiani di Palestina. (A cura di G. Palasciano)

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    Iraq: preghiera speciale in tutte le chiese caldee per le prossime elezioni

    ◊   Il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako ha dato disposizione di diffondere in tutte le chiese caldee dell'Iraq una preghiera speciale che nelle prossime settimane sarà recitata al termine delle Messe domenicali in vista delle imminenti elezioni politiche, in programma il prossimo 30 aprile. “O Signore” si legge nel testo della preghiera, pervenuto all'agenzia Fides, “Tu sei il nostro Creatore e Padre. Ci rivolgiamo a te, nelle circostanze delicate e difficili vissute dal nostro Paese. Chiediamo il tuo aiuto come individui, come comunità e come governo, affinchè le prossime elezioni servano al bene dell'Iraq e dei suoi figli”.

    Nella speciale invocazione, i fedeli chiedono di essere illuminati “affinchè possiamo adempiere alle nostre responsabilità come elettori con onestà e fedeltà, votando come nostri rappresentanti politici coloro che sono più in grado di edificare la nostra Patria e garantirle sicurezza, pace e sviluppo”.

    Il prossimo appuntamento elettorale, nel Paese ancora martoriato dalla violenza e dagli scontri settari tra sciiti e sunniti, è atteso con trepidazione particolare dalle comunità cristiane locali. Domani è in programma un incontro del Patriarca Sako con il Presidente della regione autonoma del Kurdistan, Mas'ud Barzani. Intanto fa discutere la campagna elettorale di un candidato che, per raccogliere consenso tra gli elettori, usa come argomento di propaganda la sua conversione dal cristianesimo alla religiose islamica. (R.P.)

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    Sud Sudan: l'Onu lancia l'allarme carestia

    ◊   Il Sud Sudan, da tre mesi sprofondato in un conflitto, rischia di dover affrontare anche la più grave carestia in Africa da trent’anni a questa parte: “Se perderemo la stagione della semina, la sicurezza alimentare crollerà” ha avvertito Toby Lanzer, responsabile locale delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, di passaggio a Ginevra.

    “Quello che colpirà il Paese, coinvolgendo circa 7 milioni di persone, sarà del tutto peggiore di quello che il continente ha conosciuto dopo la metà degli anni Ottanta” ha aggiunto Lanzer. Normalmente il periodo della semina è fra aprile e maggio, che è anche la stagione delle piogge, ma la guerra sta fortemente ostacolando gli agricoltori. L’Onu - riferisce l'agenzia Misna - sta lavorando per accumulare riserve alimentari prima che le piogge rendano molte strade impraticabili. (R.P.)

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    Centrafrica. Il vescovo di Bangassou: un comitato interreligioso ha mantenuto la pace

    ◊   “Il comitato di mediazione che abbiamo creato è riuscito a far sì che nella nostra area si viva in pace” dice all’agenzia Fides mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, nel sud-est della Repubblica Centrafricana, ancora sconvolta dalle violenze delle milizie anti balaka che hanno preso di mira la popolazione musulmana.

    “Questo organismo è formato da rappresentati cattolici, protestanti e musulmani e interviene non appena si verificano delle tensioni tra le diverse comunità” spiega il vescovo. Mons. Aguirre sottolinea che “a differenza di altre zone centrafricane, la maggior parte dei musulmani di Bangassou sono rimasti, solo alcuni hanno preferito andarsene, e il mercato è condiviso da commercianti musulmani e cristiani”. “Certamente – aggiunge - rimane nella popolazione non musulmana il ricordo delle violenze dei ribelli Seleka, ma sembra prevalere il desiderio di tornare alla normalità”.

    “Il modello inaugurato qui, nell’est del Paese, dove tutto sommato la situazione è alquanto tranquilla, può servire da esempio anche per l’ovest e per la capitale Bangui” afferma mons. Aguirre.“Infatti l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, si è interessato alla nostra esperienza per vedere come replicarla nella capitale, dove purtroppo la situazione è invece molto preoccupante. Lì infatti ci sono alcuni quartieri dove i musulmani vivono assediati dagli Anti-Balaka”. Secondo il vescovo di Bangassou lo scopo di queste violenze “è quello di espellere la popolazione musulmana dal Paese in modo che questa non possa votare alle prossime elezioni”.

    “Parallelamente nel nord del Centrafrica, dove si sono concentrati gli sfollati musulmani e gli ex ribelli Seleka, diventa sempre più forte la tentazione di espellere i non musulmani. Qualcuno sta pensando all’idea di dividere il Paese in un nord musulmano e in sud lasciato ai non musulmani” conclude il vescovo. (R.P.)

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    Sri Lanka. Siccità e monsoni: situazione drammatica soprattutto per la popolazione più povera

    ◊   Dopo sei mesi di siccità e con le previsioni di un monsone in arrivo, lo Sri Lanka rischia di subire gravi perdite nei raccolti e significative diminuzioni nella produzione di energia elettrica. Secondo gli esperti la situazione è drammatica. Il 5% (circa 280 mila tonnellate) del raccolto di riso - riferisce l'agenzia Fides - è già andato perso a causa della siccità in corso, iniziata dal novembre 2013. Con 200 mila ettari di risaie, il 20% della coltivazione annuale, seminata nel corso della seconda stagione è andato perso, e la situazione potrebbe aggravarsi con l’arrivo del debole monsone previsto a maggio.

    Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), alla fine di marzo 2014 oltre 240 mila famiglie sono state danneggiate dalla carenza di acqua e dalla conseguente perdita dei raccolti. Nello Sri Lanka si registrano due monsoni all’anno: quello che viene da nordest, da dicembre a febbraio, e quello da sudovest, da metà maggio a settembre. Le precipitazioni irregolari degli ultimi anni fanno prevedere una riduzione nei raccolti e difficoltà nella produzione di energia elettrica.

    Un'altra conseguenza della siccità è l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica. I poveri saranno quelli maggiormente colpiti. Se il monsone non sarà dell’entità giusta, l’acqua non sarà sufficiente per l’agricoltura e per la produzione di energia per tutto il resto dell'anno. (R.P.)

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    Sud Corea: il dramma del calo demografico e del controllo delle nascite

    ◊   Il presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Peter Kang U-il, vescovo di Cheju, lancia l’allarme sul pericoloso calo demografico nel Paese, a causa di uno dei più bassi tassi di natalità al mondo (circa 1,05%), con tendenza ad un ulteriore diminuzione. Mons. Kang ritiene che la sfida di un’inversione di tendenza è essenziale se si vuole garantire al Paese la possibilità di svilupparsi ancora in ogni ambito della società. Una preoccupazione che attanaglia anche le autorità civili del paese asiatico.

    La Chiesa cattolica della Corea del Sud è sempre stata in prima linea nella battaglia in difesa della vita. La comunità cattolica promuove infatti una forte sensibilizzazione in quest’ambito e si spende in favore del sostegno alle famiglia, anche attraverso manifestazioni contro un eccessivo regime fiscale nei confronti delle famiglie coreane.

    Nel 2014 la chiesa coreana ha lanciato l’iniziativa di “Preghiera di quaresima per la vita”, diretta a sensibilizzare la società contro la legge sulla salute di madre e figlio, che di fatto permette l’aborto nel Paese. (A cura di Trieu Nguyen)

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    Filippine: a Cebu un "Villaggio Francesco" per i sopravvissuti al tifone Haiyan

    ◊   La ricostruzione nelle aree devastate da Yolanda nel novembre passa anche attraverso la realizzazione di un nuovo insediamento, intitolato al Pontefice argentino. Un "segno di speranza" per una popolazione che, ancora oggi a distanza di quasi cinque mesi, vive nei Centri di accoglienza o in alloggi di fortuna. I vertici dell'istituto San Francesco Saverio a Manila e il gruppo Erda (Educational Research and Development Assistance) - riferisce l'agenzia AsiaNews - stanno infatti costruendo ex novo un villaggio a Cebu - che verrà chiamato Papa Francesco Gawad Kalinga (Gk) - pensato proprio per le vittime del devastante tifone. La cerimonia di inizio lavori, con la posa della prima pietra, si è tenuta il 30 marzo scorso.

    Dedicato a Papa Francesco, primo Pontefice gesuita e strenuo promotore di una fede vissuta "attraverso gesti concreti", il Gk Village accoglierà i sopravvissuti del tifone provenienti da diverse zone a nord di Cebu. I beneficiari del progetto sono selezionati in base a criteri di giustizia ed equità; alla futura comunità verranno inoltre forniti programmi di formazione e di sostentamento.

    Il villaggio sarà costituito da 45 case, ciascuna delle quali verrà a costare 150mila pesos (poco più di 3.300 dollari); La scuola di San Francesco Saverio ne sponsorizzerà 30, mentre le altre 15 saranno appannaggio di Erda. La cerimonia di inaugurazione dei lavori si è aperta con una Messa celebrata da alcuni padri gesuiti.

    Fin dall'inizio dell'emergenza, la scuola di San Francesco Saverio si è subito attivata nell'opera di aiuti alle vittime, con raccolte fondi cui hanno aderito benefattori filippini e stranieri. A giugno l'istituto, in collaborazione con altri enti fra i quali l'ateneo di Manila, promuoverà un'iniziativa di volontariato durante la quale i partecipanti contribuiranno alla costruzione di piccole abitazioni nelle zone devastate dal tifone.

    Abbattutosi sulle isole Visayas (Filippine centrali) l'8 novembre 2013, Haiyan/Yolanda ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone e per un ritorno alla piena normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il Presidente Aquino ha voluto ridimensionare le cifre, sottolineando che le prime stime (superiori a 10mila) erano frutto della reazione emotiva alla tragedia e il numero dei morti non supera i 2.500. Del resto l'estensione del territorio, la sua frammentazione e la difficoltà nell'accedere in alcune aree hanno rappresentato un serio ostacolo agli interventi. Sono quasi 11 milioni gli abitanti che hanno subito danni o perdite a vario titolo, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse. Il Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) ha lanciato una raccolta fondi per aiutare i sopravvissuti. (R.P.)

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    Brasile e Spagna in festa per la canonizzazione di “Padre Anchieta”

    ◊   San José de Anchieta (1534-1597) è stato dichiarato dalla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), “Patrono dei catechisti". Questo il messaggio pieno di gioia dei vescovi di quella nazione, espresso nella nota inviata all’agenzia Fides, dopo l'annuncio dell’iscrizione nell’albo dei Santi di padre Anchieta da parte di Papa Francesco il 3 aprile. In tutto il Brasile la notizia è stata accolta con grande festa, perché si è sempre creduto nella testimonianza profonda di questo missionario: la prima richiesta per la sua canonizzazione venne fatta 417 anni fa.

    L'arcivescovo di Aparecida e presidente della Cnbb, il card. Raymundo Damasceno Assis, sottolinea nel comunicato l'importanza della vita e della missione di San José de Anchieta, che si è dedicato ad una catechesi di facile comprensione e inculturata, utilizzando la poesia, il teatro e le risorse proprio del suo tempo. "E' un modello di missionario e di evangelizzatore per tutti i tempi. Ci ha insegnato che il Vangelo, per essere annunciato, deve essere inculturato, tenendo conto della cultura del popolo al quale è destinato" sottolinea il card. Damasceno.

    E’ festa anche in Spagna, nazione di origine del nuovo Santo. Il vescovo di Tenerife, mons. Bernardo Álvarez, ha accolto con "commozione" la canonizzazione, ha ringraziato per questo Papa Francesco e ha detto che è un “orgoglio” per la popolazione delle Canarie. José de Anchieta, secondo la nota inviata a Fides dalla Spagna, nacque a La Laguna nel marzo 1534. Studiò in Portogallo, dove maturò la vocazione religiosa, entrando nei Gesuiti. Si trasferì in Brasile nel 1553, dove rimase per 44 anni.

    La Chiesa del Brasile ha evidenziato il suo apostolato missionario, riconoscendogli il titolo di “apostolo del Brasile”. Aveva anche una grande devozione mariana e dedicò tutte le sue forze per difendere i diritti degli indigeni. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 94

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