Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 03/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai vescovi del Rwanda: 20 anni dopo il genocidio, la Chiesa sempre impegnata a curare le ferite
  • Papa Francesco: la preghiera è una lotta con Dio che ci cambia il cuore
  • Tweet del Papa: non possiamo abituarci alla miseria che ci circonda, un cristiano deve reagire
  • La Chiesa ha tre nuovi Santi: Giuseppe de Anchieta, Francesco de Laval e Maria dell'Incarnazione
  • La Regina Elisabetta II in Vaticano. Primo incontro con Papa Francesco
  • Scambio Strumenti ratifica Accordo Santa Sede-Capo Verde. Il Papa incontra il premier Pereira Neves
  • Cile, cordoglio del Papa per le vittime del terromoto: rientra l'allerta tsunami
  • Mons. Chullikat all’Onu: la famiglia, fondamentale per sradicare la povertà
  • Nomina episcopale di Papa Francesco in Myanmar
  • Mostra a Roma per gli 80 anni di rapporti diplomatici tra Santa Sede e Cuba
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nuova emergenza Ebola in Guinea. Casi confermati anche in Liberia
  • Vertice Ue-Africa: rilanciata la cooperazione tra i due continenti
  • Rana Plaza: ad un anno dal crollo partono i processi per i risarcimenti. La tesimonianza di una superstite
  • “Vote for Family 2014”: la campagna che chiede ai candidati alle europee di mettere al centro la famiglia
  • Il rapporto tra fede e matrimonio al centro di un incontro al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia
  • Cinque anni fa il terremoto dell'Aquila ma l'Italia è ancora indietro sul fronte della prevenzione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • In Libano oltre un milione di rifugiati siriani: un quarto della popolazione
  • Terra Santa. I vescovi cattolici: parlare della persecuzione dei cristiani fa il gioco degli estremisti
  • Pakistan: cattolici e musulmani in digiuno e preghiera per Sawan Masih e Asia Bibi. Minacce all'avvocato che li difende
  • Cile: la Chiesa in aiuto dei terremotati
  • Venezuela: sulla crisi politica i vescovi invocano un dialogo sincero
  • Argentina: la Chiesa condanna l'aumento dell'insicurezza e della violenza
  • Congo: nuove incursioni di ribelli rwandesi denunciate dalla società civile del Nord Kivu
  • Darfur: oltre 100 villaggi saccheggiati ed incendiati
  • Ucraina. Shevchuk: il 6 aprile Atto di consacrazione alla Santa Madre di Dio
  • Concluso il 37.mo Convegno delle Caritas diocesane
  • All'Università Europea documentario sulla tratta delle donne
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai vescovi del Rwanda: 20 anni dopo il genocidio, la Chiesa sempre impegnata a curare le ferite

    ◊   La Chiesa è impegnata nella ricostruzione di una società rwandese riconciliata. E’ quanto assicurato da Papa Francesco nell’udienza ai vescovi del Rwanda, proprio nei giorni in cui si commemora il 20.mo del genocidio di oltre un milione di persone nel Paese africano. Il Papa - nel discorso consegnato ai presuli - riconosce che, ancora, oggi ci sono ferite profonde da guarire e sottolinea perciò che è importante superare i pregiudizi e le divisioni etniche e proseguire sul cammino della riconciliazione. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Ci sono ferite e sofferenze difficili da rimarginare. Papa Francesco esordisce così nel suo discorso ai vescovi del Rwanda, a pochi giorni dal 20.mo del genocidio che scosse il Paese africano nel 1994. Il Papa si associa al dolore dei rwandesi e assicura la sua preghiera per quanti soffrono ancora, per tutto il popolo del Rwanda, “senza distinzione di religione, di etnia o di scelta politica”. Vent’anni dopo quei tragici eventi, prosegue il Papa, “la riconciliazione e la cura delle ferite restano sicuramente la priorità della Chiesa del Rwanda”. E Francesco incoraggia i vescovi proprio a “perseverare in questo impegno” come già fatto con numerose iniziative. “Il perdono delle offese e la riconciliazione autentica – afferma – che potrebbero sembrare impossibili in un’ottica umana sono invece un dono che è possibile ricevere da Cristo, attraverso la vita di fede e la preghiera”. E questo anche se “il cammino è lungo e richiede pazienza, rispetto reciproco e dialogo”.

    La Chiesa, rassicura, è impegnata “nella ricostruzione di una società rwandese riconciliata”. Di qui l’esortazione ai vescovi ad andare “risolutamente avanti” nel testimoniare la verità evangelica con il dinamismo della fede e la speranza cristiana. Solo stando uniti nell’amore, è stata la sua esortazione, “possiamo fare in modo che il Vangelo tocchi e converta i cuori in profondità”. E’ allora importante, ribadisce il Papa, che, “superando i pregiudizi e le divisioni etniche, la Chiesa parli ad una sola voce, manifesti la sua unità e riaffermi la comunione con la Chiesa universale e con il Successore di Pietro”. In questa prospettiva di “riconciliazione nazionale”, esorta, “è anche necessario di rinforzare le relazioni di fiducia tra la Chiesa e lo Stato”. E rammenta l’importante occasione del 50.mo delle relazioni tra Rwanda e Santa Sede, che ricorrono il 6 giugno prossimo. Un dialogo costruttivo e autentico con le autorità, afferma il Papa, “non potrà che favorire l’opera comune di riconciliazione e ricostruzione della società sui valori della dignità umana, della giustizia e della pace”. Siate, esorta, “una Chiesa in uscita” che “prende l’iniziativa”.

    Nel suo discorso il Papa mette quindi l’accento sull’importanza dell’educazione dei giovani, del ruolo dei laici per la sfida dell’evangelizzazione e della formazione dei sacerdoti. Dal Pontefice un incoraggiamento a coloro che negli Istituti religiosi si dedicano a quanti sono stati feriti dalla guerra, nell’anima come nel corpo. Un pensiero particolare è andato agli orfani, ai malati e agli anziani. “L’educazione della giovinezza – evidenzia il Papa – è la chiave dell’avvenire in un Paese dove la popolazione si rinnova rapidamente”. Sui laici, osserva che sono fortemente coinvolti nella vita della “Comunità ecclesiale di base”, nei movimenti, nelle opere caritative e mette l’accento sulla loro formazione spirituale, umana e intellettuale.

    Una vigilanza tutta particolare, soggiunge, va assegnata alle famiglie del Rwanda nel momento in cui si trovano minacciate dal processo di secolarizzazione. Quindi, la gratitudine del Papa è andata ai sacerdoti rwandesi, esortando i presuli ad essere loro vicini. Il Papa conclude il suo discorso rinnovando la vicinanza al popolo rwandese, affidandolo in particolare alla protezione della Vergine di Kibeho.

    inizio pagina

    Papa Francesco: la preghiera è una lotta con Dio che ci cambia il cuore

    ◊   La preghiera è una lotta con Dio e va fatta con libertà e insistenza, come un dialogo sincero con un amico. Questa preghiera cambia il nostro cuore, perché ci fa conoscere meglio come Dio è realmente: è questo, in sintesi, quanto ha detto Papa Francesco nella Messa presieduta stamani a Santa Marta commentando le letture del giorno. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il dialogo di Mosè con Dio sul Monte Sinai è stato al centro dell’omelia del Papa. Dio vuole punire il suo popolo perché si è fatto un idolo, il vitello d’oro. Mosè prega con forza il Signore perché ci ripensi: “questa preghiera – spiega Papa Francesco - è una vera lotta con Dio. Una lotta del capo del popolo per salvare il suo popolo, che è il popolo di Dio. E Mosè parla liberamente davanti al Signore e ci insegna come pregare, senza paura, liberamente, anche con insistenza. Mosè insiste. E’ coraggioso. La preghiera dev’essere” anche un “negoziare con Dio”, portando “argomentazioni”. Mosè alla fine convince Dio e la lettura dice che “il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo”. “Ma – si chiede il Papa - chi è cambiato, qui? Il Signore è cambiato? Io credo di no”:

    “Quello che è cambiato, è Mosè, perché Mosè credeva che il Signore avrebbe fatto questo, credeva che il Signore avrebbe distrutto il popolo e lui cerca, nella sua memoria, come era stato buono il Signore con il suo popolo, come lo aveva tolto dalla schiavitù dell’Egitto e portato avanti con una promessa. E con queste argomentazioni, cerca di convincere Dio, ma in questo processo lui ritrova la memoria del suo popolo, e trova la misericordia di Dio. Questo Mosè, che aveva paura, paura che Dio facesse questa cosa, alla fine scende dal monte con una cosa grande nel cuore: il nostro Dio è misericordioso. Sa perdonare. Torna indietro sulle sue decisioni. E’ un Padre”.

    Tutto questo – osserva Papa Francesco – Mosè lo sapeva, “ma lo sapeva più o meno oscuramente e nella preghiera lo ritrova. E’ questo che fa la preghiera in noi: ci cambia il cuore”:

    “La preghiera ci cambia il cuore. Ci fa capire meglio come è il nostro Dio. Ma per questo è importante parlare con il Signore, non con parole vuote – Gesù dice: ‘Come fanno i pagani’. No, no: parlare con la realtà: ‘Ma, guarda, Signore, che ho questo problema, nella famiglia, con mio figlio, con questo, quell’altro … Cosa si può fare? Ma guarda, che tu non mi puoi lasciare così!’. Questa è la preghiera! Ma tanto tempo prende questa preghiera? Sì, prende tempo”.

    E’ il tempo che ci vuole per conoscere meglio Dio, come si fa con un amico, perché Mosè – dice la Bibbia – pregava con il Signore come un amico parla ad un altro amico:

    “La Bibbia dice che Mosè parlava al Signore faccia a faccia, come ad un amico. Così dev’essere la preghiera: libera, insistente, con argomentazioni. E anche rimproverando il Signore un po’: ‘Ma, tu mi hai promesso questo, e questo non l’hai fatto …’, così, come si parla con un amico. Aprire il cuore a questa preghiera. Mosè è sceso dal monte rinvigorito: ‘Ho conosciuto di più il Signore’, e con quella forza che gli aveva dato la preghiera, riprende il suo lavoro di condurre il popolo verso la Terra promessa. Perché la preghiera rinvigorisce: rinvigorisce. Il Signore a tutti noi ci dia la grazia, perché pregare è una grazia”.

    “In ogni preghiera – ricorda ancora il Papa - c’è lo Spirito Santo”, “non si può pregare senza lo Spirito Santo. E’ Lui che prega in noi, è Lui che ci cambia il cuore, è Lui che ci insegna a dire a Dio ‘Padre’. Chiediamo allo Spirito Santo – ha concluso - che Lui ci insegni a pregare, sì, come ha pregato Mosè, a negoziare con Dio, con libertà di spirito, con coraggio. E lo Spirito Santo, che è sempre presente nella nostra preghiera, ci conduca per questa strada”.

    inizio pagina

    Tweet del Papa: non possiamo abituarci alla miseria che ci circonda, un cristiano deve reagire

    ◊   Il Papa ha lanciato questo nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Non possiamo abituarci alle situazioni di degrado e di miseria che ci circondano. Un cristiano deve reagire”.

    inizio pagina

    La Chiesa ha tre nuovi Santi: Giuseppe de Anchieta, Francesco de Laval e Maria dell'Incarnazione

    ◊   La Chiesa da oggi ha tre nuovi Santi: Francesco de Laval, Maria dell’Incarnazione e Giuseppe de Anchieta. Il Papa ha infatti esteso il loro culto alla Chiesa universale, dopo aver accolto la relazione del cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Sarà il Pontefice a presiedere il 24 aprile la Messa di ringraziamento per la Canonizzazione di Anchieta nella Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma. Papa Francesco oggi ha anche autorizzato la promulgazione dei Decreti riguardanti 4 prossimi nuovi Santi, un Beato e 8 Venerabili Servi di Dio. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    Le tre vite dei nuovi Santi sono state tutte protese al servizio dei più deboli, delle minoranze indigene, delle missioni della Chiesa nel mondo. Uomini e donne pionieri e coraggiosi, capaci di seguire la luce della Croce anche nei momenti più bui. E’ il caso di Maria Guyart, nata nel 1599 a Tours, in Francia, da una famiglia di panettieri che, pur avvertendo la chiamata religiosa, obbedì al padre diventando la moglie di un proprietario di un piccolo setificio. Ebbe un figlio e dopo pochi mesi dalla sua nascita rimase vedova. Gravata dai debiti, si dedicò agli affari aziendali maturando una grande capacità di gestione. Una vera e propria imprenditrice del XVII secolo in un ambiente prettamente maschile nel quale le donne erano emarginate. A guidarla la sua profonda fede in Gesù: con gli anni si orientò verso una vita contemplativa. Nel 1620 cominciarono le visioni trinitarie. Dopo 11 anni entrò nelle Orsoline, lasciando la custodia del figlio alla sorella. Cambiò il suo nome in Maria dell’Incarnazione e pian piano crebbe in lei il desiderio di partire in missione. Il Québec fu la sua destinazione: qui costruì un convento, imparò i dialetti degli indiani, scrisse per loro il catechismo, grammatiche e dizionari, occupandosi anche dei bambini che cresceva ed educava. Morì nel 1672 lasciando una comunità di una trentina di suore, dalle quali sarebbero poi derivate le “Orsoline del Canada”. Oggi è conosciuta come la madre della Chiesa cattolica del Québec.

    Una storia simile è quella di Francesco de Laval, primo vescovo della diocesi di Québec, anche lui nato in Francia da una delle famiglie più in vista. Studiò dai gesuiti e venne ordinato sacerdote nel 1647, per sei anni operò come vicario generale di Evreux, ma il contatto con i missionari lo spinsero verso questa strada, divenendo vicario apostolico per il Tonchino, in Indocina. Un incarico che però non poté esercitare per le pressioni politiche delle potenze coloniali europee. Ormai la passione per i Paesi lontani si era accesa e pertanto Francesco si mise a disposizione delle missioni canadesi. Consacrato vescovo e nominato nel 1658 vicario apostolico della Nuova Francia, si mise subito al lavoro per la Chiesa canadese facendo nascere parrocchie, ospedali, scuole. Difese gli indiani che erano sfruttati dai mercanti, si batté per la coesistenza pacifica tra le popolazioni indigene e quelle europee, non si piegò alle spinte di chi voleva una Chiesa nazionale sul modello gallicano. Favorì nel 1676 la nascita della “Congregazione di Notre-Dame”, una comunità di religiose non di clausura ma dedite all’insegnamento, una vera e propria novità per la Chiesa dell’epoca. Francesco aveva uno stile di vita semplice, duro: fino agli ultimi anni ebbe l’abitudine di dormire sul pavimento, di alzarsi alle due del mattino, di celebrare la Messa alle quattro e mezzo per gli operai del Québec. Tanta dedizione portò i suoi frutti: le parrocchie da 5 salirono a 35, i sacerdoti da 24 a 102 e le religiose da 22 a 97.

    Infine, tra i nuovi Santi c’è l’Apostolo del Brasile, così lo definì Giovanni Paolo II beatificando Giuseppe de Anchieta nel 1980. Era un gesuita nato nel 1534 a San Cristobal de la Laguna nell’isola di Tenerife, in Spagna, dopo gli studi a Coimbra, in Portogallo, venne inviato nel 1553 in Brasile che divenne la sua vera patria. Un amore grande tra i nativi e lui: a San Salvador de Bahia imparò il tupì, la lingua di una tribù locale che diventerà la chiave di accesso alla conversione degli indios. Sarà proprio de Anchieta a pubblicare in lingua tupì la prima grammatica ma anche preghiere e canti tanto da essere oggi considerato il creatore della letteratura brasiliana. Fu anche uno dei fondatori delle città di San Paolo e di Rio de Janeiro. A 42 anni divenne il quinto provinciale della Compagnia di Gesù, incarico che tenne per 11 anni.

    La prassi adottata in questi tre casi è stata quella della Canonizzazione cosiddetta «equipollente», pratica utilizzata nei riguardi di figure di particolare rilevanza ecclesiale per le quali è attestato un culto liturgico antico esteso e con ininterrotta fama di santità e di prodigi. La stessa prassi è stata adottata da Papa Francesco per le canonizzazioni di Angela Foligno (9 ottobre 2013) e di Pietro Favre (17 dicembre 2013). Formulata da Benedetto XIV nella sua opera “De Servorum Dei beatificazione et de Beatorum canonizatione”, tale pratica è stata effettuata regolarmente dalla Chiesa, anche se non con frequenza; essa comporta che il Papa estenda precettivamente a tutta la Chiesa il culto di un servo di Dio non ancora canonizzato, mediante l’inserimento della sua festa, con Messa e ufficio, nel Calendario della Chiesa universale.

    Nella medesima udienza al cardinale Amato, il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione a promulgare i Decreti relativi a quattro prossimi nuovi Santi, un nuovo Beato e 8 Venerabili Servi di Dio. Saranno proclamati Santi: il Beato Giovanni Antonio Farina, Vescovo di Vicenza, Fondatore dell'Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori; nato a Gambellara (Vicenza, Italia) l'11 gennaio 1803 e morto a Vicenza (Italia) il 4 marzo 1888; il Beato Ciriaco Elia Chavara, Sacerdote, Fondatore della Congregazione dei Carmelitani della Beata Vergine Maria Immacolata; nato a Kainakary (Kerala, India) il 10 febbraio 1805 e morto a Koonammavu (Kerala, India) il 3 gennaio 1871; il Beato Nicola da Longobardi (al secolo: Giovanni Battista Clemente Saggio), Oblato professo dell'Ordine dei Minimi; nato a Longobardi (Cosenza, Italia) il 6 gennaio 1650 e morto a Roma (Italia) il 3 febbraio 1709; la Beata Eufrasia del Sacro Cuore (al secolo: Rosa Eluvathingal), Suora professa della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo; nata nel villaggio di Kattoor (Kerala, India) il 17 ottobre 1877 e morta a Ollur (Kerala, India) il 29 agosto 1952;

    Sarà proclamato Beato il Venerabile Servo di Dio Luigi della Consolata (al secolo: Luigi Bordino), nato a Castellinaldo (Cuneo, Italia) il 12 agosto 1922 e morto a Torino (Italia) il 25 agosto 1977.

    Infine, sono stati proclamati Venerabili Servi di Dio con il riconoscimento delle virtù eroiche: il Servo di Dio Francesco Simón Ródenas, dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, Vescovo titolare di Echino, già Vescovo di Santa Marta; nato a La Aparecida (Alicante, Spagna) il 2 ottobre 1849 e morto a Masamagrell (Valencia, Spagna) il 22 agosto 1914; il Servo di Dio Adolfo Barberis, Sacerdote diocesano, Fondatore dell'Istituto delle Suore del Famulato Cristiano; nato a Torino (Italia) il 1° giugno 1884 ed ivi morto il 24 settembre 1967; il Servo di Dio Maria Clemente (al secolo: Giuseppe Staub), Sacerdote professo della Congregazione degli Agostiniani dell'Assunzione, Fondatore della Congregazione delle Suore di Santa Giovanna d'Arc; nato a Kaysersberg (Alsazia Lorena, Francia) il 2 giugno 1876 e morto a Sillery (Québec, Canada) il 16 maggio 1936; il Servo di Dio Sebastiano Elorza Arizmendi, Laico professo dell'Ordine di Sant'Agostino; nato a Idiazábal (Spagna) il 31 ottobre 1882 e morto a Santa María de La Vid (Spagna) l'8 dicembre 1942; la Serva di Dio Maria Teresa di Gesù Eucaristico (al secolo: Dulce Rodrigues dos Santos), Fondatrice della Congregazione delle Piccole Missionarie di Maria Immacolata; nata a São Paulo (Brasile) il 20 gennaio 1901 e morta a São José dos Campos (Brasile) l'8 gennaio 1972; la Serva di Dio Clara della Concezione (al secolo: Giovanna della Concezione Sánchez García), Monaca professa dell'Ordine di Santa Chiara; nata a Torre de Cameros (Logroño, Spagna) il 14 febbraio 1902 e morta a Soria (Spagna) il 22 gennaio 1973; la Serva di Dio Maria Maddalena di Gesù Sacramentato (al secolo: Maria Giuseppina Teresa Marcucci), Religiosa professa della Congregazione della Passione di Gesù Cristo; nata a San Gimignano-Ponte Moriano (Lucca, Italia) il 24 aprile 1888 e morta a Madrid (Spagna) il 10 febbraio 1960; il Servo di Dio Luigi Rocchi, Laico; nato a Roma (Italia) il 19 febbraio 1932 e morto a Macerata (Italia) il 26 marzo 1979.

    inizio pagina

    La Regina Elisabetta II in Vaticano. Primo incontro con Papa Francesco

    ◊   Si è svolto questo pomeriggio, nello Studio dell'Aula Paolo VI in Vaticano, l'incontro tra il Papa e la Regina Elisabetta II del Regno Unito, con il Duca di Edinburgh e il seguito. La visita è durata circa mezz'ora. E' stato il primo incontro tra Papa Francesco ed Elisabetta II: alla Messa di inizio Pontificato del 19 marzo 2013, infatti, il Regno Unito era rappresentato dal Duca di Glouchester. L’ultima volta che la Regina ha visitato il Vaticano è stato il 17 ottobre del 2000 quando fu ricevuta da Giovanni Paolo II. Nel 1961 era stata invece ricevuta da Giovanni XXIII. Nel settembre del 2010, la sovrana aveva incontrato Benedetto XVI durante la sua visita apostolica nel Regno Unito.

    inizio pagina

    Scambio Strumenti ratifica Accordo Santa Sede-Capo Verde. Il Papa incontra il premier Pereira Neves

    ◊   Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto il primo ministro della Repubblica di Capo Verde, José Maria Pereira Neves, che poi si è poi incontrato con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Successivamente, nella Sala dei Trattati del Palazzo Apostolico, il cardinale Parolin e il premier hanno proceduto allo scambio degli Strumenti di ratifica dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Capo Verde sullo Statuto Giuridico della Chiesa Cattolica in Capo Verde, firmato a Praia il 10 giugno 2013.

    L’Accordo, che consolida ulteriormente i vincoli di amicizia e di collaborazione esistenti tra le due Parti, si compone di trenta articoli e stabilisce il Quadro giuridico e normativo di riferimento; riconosce le domeniche come giorni festivi e regola vari ambiti di comune interesse, quali: la tutela dei luoghi di culto e delle celebrazioni; gli effetti civili del matrimonio canonico e delle sentenze ecclesiastiche in materia; garantisce le istituzioni cattoliche di istruzione e di educazione; l’insegnamento della religione nelle scuole; l’attività assistenziale e caritativa della Chiesa; la cura pastorale nelle forze armate, nelle strutture penitenziarie e negli ospedali, nonché il regime patrimoniale e fiscale. L’Accordo entra in vigore nel trentesimo giorno dallo scambio degli Strumenti di ratifica.

    “L’Accordo tra la Santa Sede e Capo Verde – ha detto nell’occasione il cardinale Parolin - è segno tangibile di quella ‘cultura dell’incontro’ di cui il Santo Padre Francesco non si stanca di richiamare l’importanza, anzi, l’urgenza nell’attuale contesto internazionale. E’ dunque quello di oggi anche un momento di gratitudine e di speranza. Di gratitudine, per il buon lavoro compiuto, con piena soddisfazione sia da parte civile sia da parte ecclesiastica. Di speranza, perché il presente Accordo ci incoraggia a guardare al futuro con un buon quadro normativo di riferimento, ma anche aperto ad ogni possibile miglioramento futuro per il bene di tutta la Società”.

    inizio pagina

    Cile, cordoglio del Papa per le vittime del terromoto: rientra l'allerta tsunami

    ◊   In un messaggio inviato all’arcivescovo di Santiago del Cile, cardinale Ricardo Ezzati il Papa esprime cordoglio e vicinanza alla popolazione cilena colpita martedì sera da un terremoto di magnitudo 8.2. “Desidero far pervenire a tutti i cileni la mia vicinanza e il mio affetto. – scrive il Papa - Prego Dio che conceda l'eterno riposo alle persone morte, doni consolazione a chi ha subìto gli effetti di una disgrazia così triste e al tempo stesso ispiri in tutti sentimenti di speranza per affrontare le avversità. Al contempo, chiedo fortemente alle comunità cristiane, le istituzioni civili e le persone di buona volontà, che in questi momenti così dolorosi offrano un aiuto efficace alle persone coinvolte, con spirito generoso e carità fraterna”. Su tutti Papa Francesco invoca “l’amorevole protezione di Nostra Signora del Carmine”.

    Al momento è di sei morti il bilancio del sisma. Centinaia di migliaia di persone sono state evacuate, numerosi i danni materiali. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    Il Cile continua a tremare, due scosse in due giorni, l’ultima di magnitudo 7.6 con epicentro a 40 km di profondità e a 19 km a sud di Iquique, ha colpito nella notte la costa settentrionale del Paese, subito le autorità hanno lanciato l’allerta tsunami anche per il Perù ma poi è rientrata. Anche il presidente Michelle Bachelet, giunta nelle zone colpite dal sisma per supervisionare le operazioni di soccorso, è stata fatta evacuare dall’albergo di Arica dove stava alloggiando. Il terremoto di magnitudo 8.2, con relativa allerta tsunami durata 10 ore, ha provocato sei vittime, molti danni e l’allontanamento di circa 900mila persone dalle loro case. In Cile, Paese dall’alta sismicità, molti aspettano l’arrivo del cosiddetto “big one”, un grande terremoto previsto dagli esperti; le procedure di emergenza sono avviate. Ancora vivo il ricordo del sisma del 2010 che provocò circa 500 vittime.

    inizio pagina

    Mons. Chullikat all’Onu: la famiglia, fondamentale per sradicare la povertà

    ◊   La famiglia è fondamentale per lo sradicamento della povertà e la promozione dell’uguaglianza: così, in sintesi, l’arcivescovo Francis Chullikat, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, è intervenuto nei giorni scorsi alla terza sessione di lavoro delle Nazioni Uniti sugli obiettivi per lo sviluppo del Millennio. “Lo sradicamento della povertà – ha detto mons. Chullikat – costituisce la più grande sfida globale che il mondo ha davanti oggi ed è un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile”. Di qui, la sottolineatura forte posta dal presule alla tutela della famiglia, perché è all’interno di essa che “le future generazioni dell’umanità vengono accolte, nutrite, vestite e curate”. “Il futuro che vogliamo noi – ha ribadito l’osservatore permanente – è il futuro che vogliamo per i nostri figli ed i figli dei nostri figli”. Ricordando, quindi, quanto raccomandato da Rio+20, la Conferenza internazionale sullo sviluppo sostenibile svoltasi nel giugno 2012, mons. Chullikat ha evidenziato “la necessità di promuovere la solidarietà tra le generazioni”, con l’obiettivo di “raggiungere uno sviluppo sostenibile che tenga contro dei bisogni delle generazioni furure”. Per questo, il presule ha evidenziato “la centralità della famiglia”, intesa come “unità basilare della società”, da tutelare con “politiche sensibili che ne rafforzino la stabilità”, in quanto “istituzione sociale fondamentale”. Guardando, poi, alle priorità di sviluppo dopo il 2015, anno stabilito dall’Onu per il raggiungimento degli obiettivi del Millennio, mons. Chullikat ha aggiunto: “Chiediamo a tutti gli Stati di riconoscere che inserire la famiglia come priorità nell’agenda per lo sviluppo post-2015 è un passo avanti”. Infine, l’osservatore permanente ha citato l’appello lanciato da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”: “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive” (n. 205). (I.P.)

    inizio pagina

    Nomina episcopale di Papa Francesco in Myanmar

    ◊   In Myanmar, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Mandalay, presentata da mons. Paul Zinghtung Grawng, per sopraggiunti limiti d’età. Gli succede S.E. Mons. Nicholas Mang Thang, Coadiutore della medesima arcidiocesi.

    inizio pagina

    Mostra a Roma per gli 80 anni di rapporti diplomatici tra Santa Sede e Cuba

    ◊   Presso la chiesa romana di Sant’Andrea al Quirinale, il cardinale Tarcisio Bertone, Carmarlengo di Santa Romana Chiesa, e l’ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, Rodney Alejandro López Clemente, hanno inaugurato ieri una mostra fotografica che prepara le celebrazioni - nel 2015 - per gli 80 anni degli ininterrotti rapporti diplomatici tra L’Avana e il Vaticano. Oltre a numerosi diplomatici, giornalisti e presuli della Segreteria di Stato, era presente anche il cardinale Bernard Law. Ai nostri microfoni, il neo ambasciatore cubano López Clemente, che ha presentato le sue Lettere credenziali a Papa Francesco lo scorso 23 dicembre, così ha commentato l’evento:

    R. – Como usted ha podido ver...
    Come si può vedere, questa mostra fotografica si sofferma su alcuni momenti rilevanti dei rapporti tra la Santa Sede e Cuba. Ricordo che i nostri rapporti diplomatici compiranno 80 anni nel 2015. E sono stati rapporti ininterrotti. Come è evidente, si tratta di una ricorrenza piuttosto significativa. Le diverse fotografie di questa mostra ci offrono la testimonianza grafica, visiva nonché storica dei tre momenti più significativi di queste relazioni negli ultimi anni: la visita in Vaticano di Fidel Castro e il suo incontro con il Beato Giovanni Paolo II (1996); la visita di Papa Giovanni Paolo II a Cuba, due anni dopo, nel 1998, e infine la visita a Cuba di Benedetto XVI, oggi Papa emerito, nel 2012, visita nel corso della quale fece due tappe: a Santiago di Cuba e all’Avana. Papa Benedetto XVI fece questa visita nella cornice delle celebrazioni dei 400 anni del ritrovamento della statua della Madonna della “Caridad del Cobre”. Si ricordano ancora le Messe presiedute da Papa Benedetto XVI a Santiago di Cuba e poi all’Avana, sulla Piazza della Rivoluzione. Sono tutti eventi che ricordano questa strada di 80 anni, lunga e fruttifera, basata sempre sul rispetto reciproco e con non poche coincidenze in questioni vitali. Con quest’iniziativa vogliamo ricordare ma anche rendere omaggio a questo nostro cammino di questi ultimi anni.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per un Rwanda riconciliato: la visita "ad Limina" dei vescovi nel ventennale del genocidio nel Paese africano.

    In prima pagina, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, sul volto di Cristo nelle donne vittime di violenza.

    Segno tangibile della cultura dell'incontro: il cardinale segretario di Stato al primo ministro di Capo Verde.

    Non è un libro di ricette: il teologo gesuita Humberto Miguel Yanez sulle novità dell'"Evangelii gaudium".

    Un continente selvaggio: Gaetano Vallini recensisce il libro di Keith Lowe sull'Europa alla fine della seconda guerra mondiale.

    Streghe o santa vive?: Anna Foa sugli autori del "Malleus maleficarum" in un saggio della storica israeliana Tamar Herzig.

    La sibilla del Reno: Silvia Guidi a colloquio con Cristina Borgogni, che racconta la sua Ildegarda di Bingen.

    Apostoli dell'America: nell'intervista di Nicola Gori, il cardinale Angelo Amato parla delle tre canonizzazioni equipollenti.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Nuova emergenza Ebola in Guinea. Casi confermati anche in Liberia

    ◊   Dall’Africa occidentale, nuovo allarme sul fronte sanitario per la diffusione del virus Ebola, specie in Guinea, dove si sono già registrati 122 casi sospetti e 78 morti. Altri casi sospetti vengono segnalati in Liberia e Sierra Leone. Roberta Gisotti ha intervistato Mariano Lugli, dell’associazione "Medici senza frontiere" coordinatore dell’Emergenza Ebola in Guinea, appena rientrato a Ginevra dal Paese africano:

    D. - Anzitutto vogliamo ricordare cos’è Ebola?

    R. – E’ un virus per il quale non esiste un trattamento. Ci sono diversi sottogruppi. Quello di cui è affetta la Guinea ed anche la Liberia, dove c’è stata adesso la conferma di casi positivi, è il sottogruppo ‘Zaire’, quello più letale: 9 pazienti su 10 possono morire di questa malattia.

    D. – Qual è la situazione al momento?

    R. – L’epicentro di questa epidemia, che si trova nella città di Gueckedou, nella parte Sud-Est del Paese, comincia ad essere sotto controllo. Abbiamo, infatti, identificato le zone più colpite, abbiamo isolato i casi sospetti, abbiamo trattato i decessi e così via. Il problema è che le persone da questa città si sono spostate in altre zone del Paese. Per questo l’epidemia si è spostata in città come Macenta, Kissidougou, Conakry, al confine con la Liberia, dove adesso sono stati confermati dei casi.

    D. – Ma c’è modo di contenere l’epidemia?

    R. – Per contenere l’epidemia ci sono quattro o cinque azioni che bisogna fare: isolare i pazienti contaminati in un centro specializzato, dove le persone che entrano sono protette e non si contagiano fra loro; identificare le persone che hanno avuto dei contatti fisici con questi pazienti contaminati, che siano ancora vivi o deceduti; quindi, seguire questi contatti per 21 giorni, che è il periodo di incubazione, per definire che la persona non sia più contaminata; serve poi una sorveglianza epidemiologica per identificare le zone più colpite e nello stesso tempo mettere in opera anche delle équipe mobili, che possano andare a recuperare i pazienti sospetti o probabilmente malati. Bisogna mettere in piedi anche delle misure d’igiene rinforzate, in modo tale che lo staff sanitario non si ammali e non venga in contatto con il virus. Questa malattia, infatti, si contagia attraverso i liquidi corporali, quindi lo staff sanitario è quello più esposto. Nello stesso tempo, fare opera di sensibilizzazione nella comunità, per ridurre i rischi di panico nella popolazione. Questo è necessario farlo il più rapidamente possibile, per cercare di contenere l’epidemia.

    D. – Ma a che punto è la ricerca per dei vaccini o delle cure definitive?

    R. – Siamo ancora indietro. Io non sono una specialista della materia. So che c’è un tentativo canadese, che però non è ancora stato sperimentato sull’uomo, se ricordo bene. Al momento, però, non esistono terapie. Quindi se la persona è isolata e gli si prodigano i trattamenti necessari rispetto ai sintomi, bisogna sperare che il paziente stesso possa sviluppare gli anticorpi per poter combattere la malattia. Non esiste, però, un trattamento specifico.

    D. – Ma c’è bisogno di ulteriori forze sanitarie sul posto?

    R. – In questo momento ci sono una sessantina di operatori di MSF, che hanno la loro base a Gueckedou, a Macenta, a Conakry e adesso stiamo andando anche in Liberia. Ci sono poi delle équipe dell’Organizzazione mondiale della sanita (OMS), che hanno la responsabilità di coordinare insieme ai ministri della Salute queste attività. Diciamo quindi che le forze in campo stanno arrivando. Come ho detto prima la rapidità degli interventi può fare la differenza. In più si sta dando una eco mediatica importante. Il problema è che epidemie di questa ampiezza, in una ripartizione geografica così vasta, non ne abbiamo mai viste! Abbiamo visto epidemie con più casi, con più decessi, anche se questa non è ancora finita. Bisogna vedere come si sviluppa in Liberia, sperando che si possa contenere rapidamente. A Conakry per ora non ci sono parecchi casi, ma è necessario agire in fretta sui sospetti contagi.

    inizio pagina

    Vertice Ue-Africa: rilanciata la cooperazione tra i due continenti

    ◊   Si è concluso oggi il vertice Unione Europea-Africa aperto ieri a Bruxelles. Si è trattato del IV vertice e ha riunito 80 tra capi di Stato e di governo. Da Bruxelles il servizio di Fausta Speranza.

    Il vertice si chiude con propositi di grande collaborazione in tema di emergenze umanitarie e migrazioni e di cambiamenti climatici. All'inizio dei lavori l'Ue ha annunciato una nuova missione di 800 uomini in Centrafrica, fortemente voluta dalla Francia ma anche dalla Germania, e ha poi prospettato la riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 30% entro il 2030. L'Africa si è impegnata in rinnovati programmi di sviluppo. Ma è un'Europa profondamente diversa quella che si è presentata 14 anni dopo il primo vertice con l'Africa. Anche se l'Ue resta il primo partner commerciale dell'Africa e il primo donatore di aiuti. Gli Stati nazionali però negli ultimi tempi hanno raddoppiato i debiti e la dipendenza energetica da Paesi terzi. Molto diversa peraltro anche l'Africa: cresce ad un ritmo di almeno il 7% e moltiplica in maniera esponenziale la produzione di petrolio e gas. Dunque, primo risultato del vertice, al di là delle dichiarazioni ufficiali di rinnovata cooperazione, è stato prendere atto di nuovi equilibri di forze con un'Africa che negli ultimi anni ha visto crescere del 40% gli scambi commerciali con la Cina e non solo. Nell'orizzonte della cooperazione del Continente africano ci sono sempre più presenti l'India, il Brasile, l'America Latina.

    inizio pagina

    Rana Plaza: ad un anno dal crollo partono i processi per i risarcimenti. La tesimonianza di una superstite

    ◊   A quasi un anno dal crollo in Bangladesh del Rana Plaza, l’edificio che produceva per 28 aziende tessili internazionali, è partito il processo per il risarcimento delle vittime. A Roma, l’associazione Abiti Puliti ha ospitato una delle vittime nell’ambito di una campagna europea di sensibilizzazione. Il servizio di Elvira Ragosta:

    Shila Begun è una degli oltre 2000 operai scampati al crollo del Rana Plaza:

    “(parole in bengalese)
    Non chiedo un risarcimento solo al governo bengalese, ma a tutte le aziende, che hanno avuto affari con Rana Plaza. Costruivamo noi i prodotti, ma non li facevamo solo per il Bangladesh, li facevamo per tutti. E’ nostro diritto, quindi. Oggi mi vergogno di essere qui a chiedere risarcimenti. Ma voi non siete persone? Penso che siate come noi e quindi abbiate una famiglia. Se ci pensate un attimo è quindi facile capire quello che proviamo. Io sono una donna vedova e come faccio da sola, con mia figlia, non potendo lavorare? Non ho parole oggi, non so cosa dirvi”.

    Sotto le macerie dell’edificio le operazioni di soccorso, durate 17 giorni, trovarono i corpi senza vita di 1138 lavoratori. Costretti a lavorare, nonostante da giorni avessero notato le crepe nell’edificio di 8 piani, che produceva capi d’abbigliamento per otre 28 marchi internazionali, per un salario mensile di 30 euro e senza tutela sindacale. Sotto la supervisione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro è stato istituito un Fondo cui vittime e familiari potranno chiedere un risarcimento adeguato. Ma non tutti marchi coinvolti hanno versato la loro parte al fondo tra questi anche tre imprese italiane, come ci racconta la portavoce dell’associazione Abiti Puliti, Deborah Lucchetti:

    “In Italia le aziende coinvolte direttamente sono tre. Posso dirvi che altre hanno già dimostrato invece una volontà positiva. Mancano all’appello molte altre aziende che erano presenti a Rana Plaza. A livello internazionale le imprese si stanno muovendo, anche quelle americane, che erano quelle più refrattarie ad assumersi la responsabilità. Ci spiace quindi rilevare che le aziende italiane siano ancora al palo. La Commissione che sta già lavorando in Bangladesh, per chiedere a tutte le vittime di sottoporre la richiesta formale di risarcimento, è già avviata. Anche il fondo è partito e da febbraio è aperto alle donazioni di tutti i marchi collegati al Rana Plaza, ma anche di tutte le altre aziende non collegate che lavorano in Bangladesh. Abbiamo finora raccolto all’incirca 10 milioni di dollari, ma la strada è ancora lunga per arrivare a 40”.

    inizio pagina

    “Vote for Family 2014”: la campagna che chiede ai candidati alle europee di mettere al centro la famiglia

    ◊   Impegnarsi a difendere la famiglia basata sul matrimonio fra uomo e donna e la vita dal concepimento alla morte naturale. E’ quanto il Forum delle Associazioni familiari e la Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche chiedono ai candidati alle elezioni europee del 25 maggio prossimo. “Vote for family 2014 - Io corro per la famiglia anche in Europa” è il titolo della campagna che comprende la richiesta ai candidati di sottoscrivere un Manifesto in 12 punti. Debora Donnini ha intervistato il vicepresidente della Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche, Giuseppe Barbaro:

    R. – Chiediamo di impegnarsi su una serie di punti, che vanno dal riconoscimento della famiglia come realtà fondata sull’unione tra un uomo e una donna e aperta al generare figli al riconoscimento della vita sin dal momento del suo inizio, quindi dal momento della fecondazione a tutta una serie di questioni che attiene alla vita quotidiana: dalla conciliazione tra i temi del lavoro e i tempi della famiglia - una famiglia deve avere il tempo da dedicare a se stessa, oltre che essere impegnata nel lavoro - all’ampliamento e al riconoscimento dei congedi parentali che consentano tanto al papà quanto alla mamma di poter vivere i primi tempi e anche altri momenti della vita familiare con i propri figli …

    D. – Al secondo punto si parla di rispettare e promuovere l’istituzione matrimoniale. Cosa chiedete, concretamente?

    R. – Chiediamo che si arrivi anche in Europa, pur essendo una competenza dei singoli Stati membri, ad una definizione del matrimonio come dell’unione tra un uomo e una donna, e che altre forme di convivenza, come quelle registrate, che sono previste con vari tipi e con vari modelli in altri Paesi, siano ben distinti dal matrimonio. Dobbiamo dire che una cosa si chiama “matrimonio” e altre cose si chiamano in altro modo e sono cose diverse.

    D. – C’è un punto di cui in questo momento si parla molto, in Italia, ed è il diritto dei genitori ad educare i propri figli in conformità con le proprie convinzioni morali e religiose. Voi siete preoccupati per quanto riguarda questo punto?

    R. – Ci sono state due relazioni, una è la relazione Estrela e poi una relazione successiva, che rischiano di incidere anche sulle legislazioni nazionali. Noi sappiamo benissimo che, pur essendo la competenza in materia familiare devoluta ai singoli Stati membri, in maniera surrettizia a volte vengono introdotte delle normative che incidono sulla vita della famiglia. Detto questo, alla famiglia appartiene primariamente l’educazione dei propri figli. Noi riteniamo dunque che vada rispettata la sensibilità e la cultura familiare che prima di tutti – poi accompagnata e aiutata in questo dalle altre agenzie educative come la scuola, ma in questo noi diciamo anche le parrocchie – possa tradurre il proprio vissuto, la propria formazione anche in educazione a favore dei propri figli.

    D. – In quale modo voi chiedete ai candidati di adottare, di impegnarsi a riconoscere e a sostenere questo manifesto?

    R. – Noi lo chiediamo in maniera espressa e specifica, nel senso che chiediamo ai candidati alle prossime elezioni europee di sottoscrivere il manifesto nella sua interezza, e renderemo noti il 15 maggio – quindi in occasione dell’anniversario della Giornata internazionale della famiglia – chi sono i candidati che hanno aderito. Attraverso questo progetto - il manifesto è stato tradotto in tutte le lingue dell’Unione ed è visibile e scaricabile sul sito www.voteforfamily2014.eu - intendiamo portare una sensibilizzazione e un’attenzione in modo che il tema della famiglia, che normalmente viene sottovalutato a livello europeo, diventi un tema centrale, perché ovviamente noi riteniamo che non si debba soltanto creare un’Europa dell’euro, le questioni non debbano riguardare soltanto economia e finanza, ma debbono riguardare anche le famiglie e le persone che la compongono.

    inizio pagina

    Il rapporto tra fede e matrimonio al centro di un incontro al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia

    ◊   Il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia ha ospitato un colloquio di teologia sul tema “Fides-foedus: la fede e il Sacramento del Matrimonio”. Molti gli interventi degli studiosi internazionali che si sono alternati sull’argomento, che è sempre stato al centro della riflessione teologica sin dall’epoca patristica. Al microfono di Elvira Ragosta il prof. Josè Granados, docente presso l'Istituto, ha spiegato quali sono i momenti che esprimono il ruolo della fede nel consenso matrimoniale:

    R. - Il primo è il radicamento del matrimonio nella verità creaturale. È un Sacramento specifico perché costituisce l’ingresso di tutta la verità della Creazione nell’ordine sacramentale. Quindi la verità naturale del Matrimonio è ormai un cammino verso la fede. Poi il carattere battesimale è ormai un entrare nel Corpo di Cristo, quindi la capacità di diventare carne in un modo nuovo. E finalmente ho questa accettazione di entrare nella fede della Chiesa. La fede non è mai una cosa singolare. Lumen Fidei dice: “Chi crede non è mai solo”. È l’elemento principale della fede che deve essere sempre ricordato per capire il rapporto tra matrimonio e fede.

    D. - Riferendosi alla Lumen Fidei lei ha detto che se la fede dei novelli sposi è debole, allora si indebolisce anche il futuro del Matrimonio…

    R. - Sì, come aveva detto anche Papa Benedetto, proprio perché nella fede e nella pienezza di quella verità creaturale del Matrimonio si scopre la verità del dono di sé. Allora, quando manca la fede, potrebbe mancare - e bisognerebbe verificare - questa accettazione della verità naturale: la verità dell’amore, del dono di sé che include l'indissolubilità, l’unità del matrimonio e l’apertura alla vita.

    Sul tema “Fede e Matrimonio a partire dal rapporto creazione-redenzione” è intervenuto il prof. Andrea Bozzolo, dell’Istituto internazionale Don Bosco di Torino. La sua relazione si è soffermata sugli ostacoli che nel corso della storia ha incontrato il rapporto tra Fede e Matrimonio. A lui abbiamo chiesto quali sono questi ostacoli e come possono essere rimossi:

    R. - Mi sembra che gli ostacoli principali siano due: la tendenza, da un lato a pensare la fede in termini un po’ intellettualistici, pensando che il rapporto dell’uomo con la verità riguardi principalmente o quasi esclusivamente la ragione. Invece il Matrimonio talora è stato concepito in termini un po’ naturalistici, senza riconoscere che fin dall’inizio l’uomo e la donna hanno, per il loro rapporto, un legame con Dio: il Matrimonio esiste fin dall’inizio per significare Dio. Allora si tratta di ricongiungere una dimensione affettiva della fede - la fede ha anche la forma di una relazione - e la dimensione veritativa del Matrimonio; il legame tra l’uomo e la donna ha a che fare con la verità di Dio.

    D. - Il Matrimonio è presente all’inizio della Sacra Scrittura con la creazione dell’uomo e della donna, ma anche alla fine con le Nozze dell’Agnello. Il Matrimonio, è nel disegno di Dio...

    R. - Certamente. I teologi medievali hanno messo bene in evidenza come in qualche modo il Matrimonio sia stato il primo Sacramento ad essere istituito. Fin dall’inizio questo legame che c’è tra Adamo ed Eva esiste per parlare di Dio, per far venire alla luce il volto di Jahvè. Certo, soltanto in Gesù Cristo, nelle nozze di Cristo con la Chiesa - come dice Efesini 5 - questo Volto di Dio che appare nella relazione coniugale viene rilevato nella sua ultima verità e profondità.

    inizio pagina

    Cinque anni fa il terremoto dell'Aquila ma l'Italia è ancora indietro sul fronte della prevenzione

    ◊   A tre giorni dalla ricorrenza dal sisma dell’Aquila, i geologi tornano a ribadire che serve un piano nazionale per limitare i danni dei terremoti. Domani una delegazione del Consiglio Nazionale sarà in visita nella città abruzzese e nel pomeriggio saranno consegnati due premi di laurea ad altrettanto ragazzi sulla prevenzione sismica. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Il 45 per cento degli italiani avverte il rischio sismico come qualcosa di concreto. Ma le città spesso non sono in grado di resistere a forti scosse. Lo sappiamo, l’Italia è tra le zone a maggior rischio. Basta dire che nell’area del Monte Pollino, tra Calabria e Basilicata, dal 2010 ad oggi sono state registrate circa 4mila scosse. E’ indispensabile imparare a convivere con questi rischi. Ma tanti anni di disastri, pensiamo al Belice, al Friuli, all’Irpinia, hanno insegnato qualcosa? Risponde Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi:

    “Se faccio una valutazione, anche un po’ amara, di quello che è stato il dopo-L’Aquila, io direi anche il dopo-Emilia Romagna, tantissimo no, non ha insegnato! Perché continuiamo, secondo me, ad avere le stesse condizioni di cinque anni fa, all’Aquila, nei nostri centri storici …”.

    Il terremoto dell’Aquila del 6 aprile del 2009 per tanti è una ferita ancora aperta. Sotto le macerie, colpa di un modo di costruire non all’altezza della situazione sono morti tanti studenti. Angelo Lannutti ha perso una figlia e chiede che questi ragazzi siano considerati come vittime del lavoro. Un modo anche per fermare lo spopolamento di universitari che ha colpito la città:

    “Questa carenza: lo studente universitario che animava il centro, oggi non c’è più. Quindi, questo studente universitario che portava Pil, era "l’operaio" di quell’industria della città, che era l’Università degli Studi”.

    Ma è chiaro, serve la volontà politica, per ricordare in modo più degno i morti.

    inizio pagina

    Nella Chiesa e nel mondo



    In Libano oltre un milione di rifugiati siriani: un quarto della popolazione

    ◊   Il numero dei profughi della guerra siriana registrati in Libano sorpassa la cifra di un milione, pari a un quarto della popolazione libanese residente nel Paese. Lo afferma l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), definendo le cifre "una pietra miliare devastante, resa ancora più acuta dalle risorse in esaurimento e da una popolazione ospitante che è sollecitata fino al limite di rottura". Per l'Unhcr - riferisce l'agenzia AsiaNews - il Libano è divenuto "la prima nazione al mondo per numero di rifugiati pro-capite".

    La guerra civile in Siria, che dura ormai da oltre tre anni, ha causato la fuga di milioni di profughi in Libano, ma anche in Turchia, Iraq e Giordania. Il Libano è anche scosso dal punto di vista politico e della sicurezza: gli Hezbollah, il partito militante sciita, è un alleato del presidente Bashar Assad e combatte al fianco dell'esercito regolare siriano contro i ribelli sunniti. A causa di ciò vi sono soprattutto nelle periferie di Beirut e a Tripoli, scontri, attentati e violenze fra sunniti e sciiti libanesi. (R.P.)

    inizio pagina

    Terra Santa. I vescovi cattolici: parlare della persecuzione dei cristiani fa il gioco degli estremisti

    ◊   Il modo e i toni strumentali e fuorvianti con cui certi circoli occidentali lanciano continui allarmi sulle persecuzioni subite dai cristiani in Medio Oriente risponde a calcoli politici e finisce per “fare il gioco degli estremisti”. Lo spiegano i vescovi dell'Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, in un documento diffuso ieri dalla Commissione Justitia et Pax che fa capo a quell'organismo episcopale regionale. “Persecuzione! In molte parti dell'Occidente” notano i vescovi “questa parola è sulle labbra della gente. Si dice che oggi i cristiani in Medio Oriente vengono perseguitati. Ma cosa sta davvero accadendo? Come dovremmo parlare con verità e senza censure, come cristiani e come Chiesa, delle sofferenze e della violenza che continuano nella regione?”.

    Non c'è dubbio – riconoscono i vescovi cattolici di Terra Santa nel testo inviato all'agenzia Fides - che le recenti sollevazioni in Medio Oriente, definite all'inizio come “Primavera araba”, hanno aperto la strada a forze e gruppi estremisti che “nel nome di una interpretazione politica dell'Islam stanno creando scompiglio in tanti Paesi, particolarmente in Iraq, Egitto e Siria. Non c'è dubbio che molti di questi estremisti considerano i cristiani come infedeli, come nemici e agenti di forze straniere ostili, o semplicemente come un bersaglio facile per le estorsioni”. Tuttavia, secondo gli estensori del documento, occorre tenere conto che i cristiani non sono le sole vittime di questa violenza e brutalità. A pagare sono anche tanti musulmani non fanatizzati, definiti “eretici”. Senza contare che nelle aree dove prevalgono gli estremisti sunniti, vengono attaccati e uccisi i musulmani sciiti, e viceversa. I cristiani “a volte vengono perseguitati in quanto cristiani”, ma altre volte cadono vittime della stessa violenza che colpisce tutti gli altri.

    Con la caduta dei regimi autoritari che garantivano “legge e ordine” – così prosegue l'analisi della situazione mediorientale esposta nel documento - è collassato anche l'ordine che essi avevano imposto con metodi di coercizione poliziesca e militare. I cristiani hanno vissuto in relativa sicurezza sotto i regimi dittatoriali. E ora alcuni di loro temono che, con la loro caduta, prevarrà il caos e la violenza scatenati dai gruppi estremisti. D'altronde – si legge in un passaggio autocritico del documento - la lealtà alla loro fede e la sollecitudine per il bene del proprio Paese, avrebbero dovuto spingere i cristiani a “parlare prima”, a chiedere prima le riforme necessarie.

    Davanti agli scenari presenti, in alcuni Paesi del Medio Oriente sembra in effetti che l'unica consolazione rimasta si trovi nel ripetere le parole di Cristo: “Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”. Tuttavia – sottolinea il documento in un passaggio chiave “la ripetizione della parola 'persecuzione' in diversi circoli - di solito riferita solo a ciò che soffrono i cristiani da parte di criminali definiti sempre come 'musulmani' - fa il gioco degli estremisti, in Patria e fuori, il cui scopo è seminare odio e pregiudizio e contrapporre tra loro i popoli e le religioni”.

    I vescovi cattolici di Terra santa suggeriscono di non fornire pretesti a chi persegue questi disegni. A loro giudizio, cristiani e musulmani devono resistere insieme contro le nuove forze dell'estremismo e della distruzione, che cercano di creare una società “svuotata di cristiani e dove solo pochi musulmani si sentirebbero a casa”. Anche perchè “tutti noi, cristiani e musulmani” avverte il documento approvato dall'organismo episcopale inter-rituale, “dobbiamo essere consapevoli che il mondo esterno non farà nessuna mossa per proteggerci. Le potenze internazionali e regionali perseguono solo i propri interessi”. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: cattolici e musulmani in digiuno e preghiera per Sawan Masih e Asia Bibi. Minacce all'avvocato che li difende

    ◊   La Chiesa cattolica pakistana ha celebrato un mercoledì di digiuno e preghiera per Sawan Masih ed Asia Bibi, due vittime delle controverse leggi sulla blasfemia nel Paese asiatico, condannate a morte e in attesa del processo di appello. All'iniziativa "a favore dei cristiani perseguitati" si sono unite anche diverse organizzazioni della società civile e semplici fedeli; ieri attivisti e leader religiosi hanno promosso diverse manifestazioni di piazza, di natura pacifica, a Lahore e Islamabad "in segno di vicinanza e solidarietà".

    Asia Bibi - riferisce l'agenzia AsiaNews - dal novembre 2010 nel braccio della morte, sottoposta a regime di isolamento in carcere per motivi di sicurezza, è ormai da tempo un simbolo della lotta contro la "legge nera". Dopo molti rinvii e temporeggiamenti, il prossimo 14 aprile si dovrebbe celebrare la prima udienza del processo di secondo grado.

    Il 26enne cristiano Sawan Masih, originario di Lahore, è stato invece condannato nei giorni scorsi in primo grado, dietro false accuse che in realtà celano dissapori personali con la persona che lo ha denunciato. La sua vicenda aveva dato origine a un attacco mirato contro la minoranza residente nella Joseph Colony di Lahore, con centinaia di case e due chiese date alle fiamme dagli estremisti islamici. In questo caso il processo di appello è previsto per il 25 luglio 2014, presso l'Alta corte di Lahore.

    Interpellato da AsiaNews padre Asher Arshad, dell'arcidiocesi di Lahore, sottolinea "l'incoraggiante risposta" ricevuta in questi giorni dalla società civile all'invito al digiuno e alla preghiera "per Asia Bibi e Sawan Masih, due perseguitati a causa della loro fede". Aqeel Mehadi, attivista pro diritti umani di Lahore, aggiunge: "Ci uniamo ai nostri fratelli cristiani in segno di solidarietà, mentre pregano e digiunano" per le due vittime. "In quanto musulmano - continua - sono disgustato per quanto è successo e quanto continua a accadere". Egli ricorda le parole del fondatore del Pakistan moderno, Ali Jinnah, che ha sempre rivendicato nei suoi discorsi il principio della libertà religiosa e immaginato un Paese multiculturale e liberale, in cui "ogni cittadino possa professare la propria religione e non sia incarcerato a causa della sua fede".

    Tra l'altro Sardar Mushtaq Gill - attivista e avvocato cristiano che sta seguendo da vicino processi come quello di Asia Bibi e quello di Sawan Masih, cristiani accusati e condannati a morte per blasfemia - a capo dell’Ong “Lead” (“Legal Evangelical Association Development”), è stato pesantemente minacciato e intimidito e, come forma di pressione - riferisce l'agenzia Fides - gli potrebbe essere revocata la licenza per esercitare l’avvocatura. (R.P.)

    inizio pagina

    Cile: la Chiesa in aiuto dei terremotati

    ◊   “Le persone, tempio vivo del Signore, sono la nostra assoluta priorità in questo momento”: è quanto ha dichiarato mons. Guillermo Vera, vescovo di Iquique, in Cile. Riferendosi alla difficile situazione nella quale si trovano tante persone colpite dal violento terremoto che si è verificato nel Paese martedì scorso, il presule ha manifestato la propria vicinanza alla gente.

    Tutto questo non solo pronunciando parole di conforto, ma anche e soprattutto accompagnando e dialogando con chiunque si trovasse per strada, visitando i malati negli ospedali, e recandosi con i propri collaboratori in numerose parrocchie e scuole cattoliche. Dopo essersi accertato della situazione, mons. Vera ha presieduto una celebrazione eucaristica nella cattedrale di Inique in suffragio delle vittime provocate dal sisma. (G.P.)

    inizio pagina

    Venezuela: sulla crisi politica i vescovi invocano un dialogo sincero

    ◊   La Conferenza episcopale venezuelana (Cev) ha diffuso un comunicato in cui presenta “come causa fondamentale della crisi che vive il Venezuela, la pretesa del partito di governo e del Presidente Nicolas Maduro di cercare di imporre il cosiddetto ‘Plan de la Patria’, dietro al quale si nasconde la promozione di un governo totalitario". Questo intento ha alimentato le proteste dell'opposizione e dei cittadini, che dopo quasi due mesi contano 39 morti, 550 feriti gravi e più di 150 persone detenute. Il documento intitolato "Responsabili della Pace e del destino democratico del Venezuela" è stato firmato ieri dai vescovi della presidenza della Cev.

    La nota pervenuta all’agenzia Fides da una fonte locale, riferisce l'intervento di Mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente della Cev, che alla presentazione del comunicato "ha lamentato la polarizzazione politica avvenuta nel paese dopo una serie di manifestazioni anti-governative iniziate dagli studenti lo scorso 4 febbraio, alle quali si sono uniti gruppi dell'opposizione per denunciare l'insicurezza nel Paese, l'inflazione del 57%, la carenza di cibo, la repressione da parte della Guardia Nazionale e la detenzione degli oppositori".

    Nel documento, con un linguaggio molto diretto, si legge: "Ribadiamo la nostra forte richiesta che il governo disarmi i gruppi civili armati. La loro azione coordinata, secondo certi schemi, dimostra che non sono gruppi isolati o spontanei, ma piuttosto addestrati per intervenire violentemente. In molti casi essi hanno agito impunemente sotto lo sguardo indifferente delle forze dell'ordine, per cui il comportamento di queste ultime è stato seriamente messo in discussione".

    Il comunicato ribadisce: "La fede cristiana ben compresa impone a tutti i credenti di assumere la responsabilità del destino del Paese, di non restare indifferenti ma piuttosto impegnarsi nella difesa della vita, dei diritti umani, della libertà e della democrazia. Nessuno di quanti vivono in Venezuela deve dire di non essere interessato o preoccupato per la violenza e le morti che stanno accadendo nelle città e nelle altre località. Tutti, senza eccezione, siamo responsabili della libertà, della pace e del destino democratico del nostro Paese". (R.P.)

    inizio pagina

    Argentina: la Chiesa condanna l'aumento dell'insicurezza e della violenza

    ◊   "Non c'è nessuna giustificazione" per gli atti di linciaggio verificatisi nei giorni scorsi in diversi luoghi del Paese: lo ha ribadito il vescovo di Gualeguaychú e presidente della Commissione per la pastorale sociale, mons. Jorge Eduardo Lozano, parlando ad una radio locale. "Viviamo in uno stato di diritto e abbiamo le istituzioni per risolvere i conflitti e le situazioni che ci riguardano; malgrado queste istituzioni possano avere difficoltà a rispondere prontamente, non è attraverso l'aggressione e le percosse alle persone che si risolvono i problemi di insicurezza" ha ammonito il vescovo.

    Come riporta la comunicazione pervenuta all’agenzia Fides, mons. Lozano ha aggiunto: "dobbiamo pensare a quali segni ci stia dando questa situazione, perché ciò che è accaduto è un chiaro deterioramento dei legami sociali e una mancanza di rispetto per la legge". Riguardo alle aggressioni violente da parte dei cittadini contro i ladri, il vescovo di Gualeguaychú sostiene che la popolazione è "stanca per la mancanza di risposta agli atti di insicurezza, ai furti, e di vedere quanto poco venga fatto per evitare queste situazioni".

    I media locali hanno riportato una serie di gravi episodi di violenza accaduti in Argentina negli ultimi giorni: un piccolo delinquente è morto a Rosario, circa 300 chilometri da Buenos Aires, in seguito alle percosse ricevute da un gruppo di persone dopo aver rubato il portafoglio a una donna. Questo linciaggio è stato l'ultimo di una serie, in circostanze analoghe, accaduti in quella città al centro del Paese, dove il narcotraffico ha provocato alti livelli di insicurezza. Nei giorni scorsi, il quartiere Palermo di Buenos Aires, è stato teatro di un altro atto violento ai danni di un ladro fermato dopo una rapina. A questi casi bisogna sommare altri 3 pestaggi di ieri, che hanno riguardato un aggressore nella provincia di La Rioja; un ladro a Córdoba; e un adolescente accusato di tentata rapina a Rosario. Secondo i dati raccolti dai media locali, i casi di aggressione su strade pubbliche sono stati dieci negli ultimi nove giorni.
    "Una cosa è fermare una persona e usare una certa violenza per riuscire a fermarla, tutt'altra cosa è ammazzare a calci una persona" ha detto il giudice Eugenio Zaffaroni, membro della Corte Suprema, dinanzi a questa situazione; e ha aggiunto: “anzi, queste non sono aggressioni, sono omicidi”. (R.P.)

    inizio pagina

    Congo: nuove incursioni di ribelli rwandesi denunciate dalla società civile del Nord Kivu

    ◊   I ribelli della Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr) hanno intensificato i loro attacchi contro i civili nell’area di Busanza (nell’est della Repubblica Democratica del Congo). Secondo una nota inviata all’agenzia Fides la cittadina di Rugarama è stata totalmente saccheggiata nella notte del 1° aprile. I ribelli hanno assalito negozi e abitazioni private rubando denaro, viveri, materassi, bestiame, medicine e oggetti di valore. Secondo la nota, da circa un mese gli abitanti di diversi villaggi dell’area sono stati costretti alla fuga a causa delle violenze dell’Fdlr.

    Il Nord Kivu vive da almeno 20 anni nell’instabilità per la presenza di diversi gruppi armati, alcuni di origine straniera. Di recente uno dei più importati di questi gruppi, l’M23, è stato sconfitto da un’azione congiunta delle truppe Onu e delle forze armate congolesi. La società civile del Nord Kivu denuncia altresì le incursioni condotte nel territorio congolese da parte degli eserciti rwandese e ugandese. (R.P.)

    inizio pagina

    Darfur: oltre 100 villaggi saccheggiati ed incendiati

    ◊   Combattenti delle Forze di rapido intervento (Rsf), costituite da paramilitari supportati da esponenti della tribù Abbala, avrebbero dato alle fiamme più di cento villaggi nell’area del Sud Darfur, tra lunedì e martedì. Lo riferisce l’emittente Radio Dabanga riopresa dall'agenzia Misna, secondo cui dal campo profughi di El Salam “si può ancora vedere il fumo che sale dalla zona attaccata” a sud-est di Nyala.

    “Hanno saccheggiato e devastato tutte le nostre proprietà e rubato il bestiame. Poi hanno dato fuoco a tutto. Scuole, Centri sanitari e persino i pozzi”. Ha raccontato lo sheikh del campo, Mahjoub Adam Tabaldiya. Migliaia di persone sono fuggite dalle loro case, la maggior parte donne, bambini e anziani. Gli abitanti hanno esortato le organizzazioni umanitarie ad intervenire in loro aiuto. (R.P.)

    inizio pagina

    Ucraina. Shevchuk: il 6 aprile Atto di consacrazione alla Santa Madre di Dio

    ◊   “Proseguendo il servizio del mio grande predecessore sull’altare di Kiev-Halych, desidero ancora una volta, in comunione con tutta la Chiesa in Ucraina e nel mondo intero, rinnovare l’atto di consacrazione del popolo ucraino alla potente intercessione della Santa Madre di Dio”. Così Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, leader della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc), spiegando che il rinnovamento dell’atto di consacrazione avverrà il 6 aprile in tutte le chiese dell’Ugcc in Ucraina e nel resto del mondo.

    “Possa questa preghiera rivolta alla Santissima Madre di Dio, essere la dimostrazione del nostro desiderio di rendere concreta questa consacrazione nella nostra vita. La osserveremo personalmente e in comunità, chiedendo a nostro Signore di benedire la nostra nazione provata da lunghe sofferenze per intercessione della Theotokos”, si legge nella lettera pastorale dell’arcivescovo Shevchuk ripresa dall'agenzia Sir, che invita il clero e i laici a perseverare nella fede e nella preghiera alla Vergine Maria, così che, “rimanendo sempre sotto la sua protezione, e dopo le rinunce e i traguardi della Grande Quaresima, possiamo arrivare alla radiosa Risurrezione del Nostro Signore Gesù Cristo per essere testimoni e protagonisti del rinnovamento della nostra amata patria!”. (R.P.)

    inizio pagina

    Concluso il 37.mo Convegno delle Caritas diocesane

    ◊   A Quartu S.Elena, nella diocesi di Cagliari, si è chiuso il confronto tra gli oltre 600 direttori e collaboratori delle 220 Caritas diocesane e di Caritas Italiana. Il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu, ha indicato alcune piste di lavoro per un cammino comune, raccogliendo le ricche sollecitazioni del lavoro preparatorio, dei relatori e dei gruppi di lavoro. “Le Caritas che sono in Italia – ha detto don Soddu – sono consapevoli di dover operare un “decentramento” in vista di una costante conversione pastorale; con tutta la fatica della ricerca, dell’interpretare i segni dei tempi, ma nella unanime consapevolezza di voler raggiungere, rinnovati, “la carne viva del Signore” che vive in questo nostro tempo”.

    Il direttore ha poi aggiunto che comunque “non hanno potuto chiudersi in se stesse in questi anni: probabilmente non per merito, ma perché esposte al grido dei poveri che saliva dai propri territori, perché costrette ad incontrare i volti cangianti delle povertà, ad interrogarsi sulle cause di quelle sofferenze e a cercare “il pane di oggi” da spezzare con loro e condividere il senso di ingiustizia che accompagnava le loro storie. Ovviamente – ha precisato don Soddu - i poveri e le nostre realtà ecclesiali sono e resteranno i destinatari privilegiati della nostra azione, tuttavia, la prospettiva che dobbiamo assumere in maniera sempre più consapevole sarà piuttosto una animazione inclusiva”. Occorre dunque che le Caritas si pensino organicamente “come un soggetto ecclesiale che sceglie di parlare di povertà e condivisione al mondo della economia, della produzione, delle professioni, della scuola, della università, senza la pretesa di avere un ruolo istituzionale”.

    Conseguentemente, davanti alle azioni che sembrano essere indirizzate prevalentemente sulle urgenze ed emergenze, occorre che le Caritas cerchino “percorsi e proposte che siano “a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” volti ad “iniziare processi più che di possedere spazi”. Allargando lo sguardo a livello europeo e mondiale, don Soddu ha evidenziato che “oggi è impossibile pensare di concepire un’Europa a prescindere dalle migrazioni” e che sempre più l’Europa dovrà mettere al centro l’uomo e non la finanza, le comunità e non le lobby, i poveri e non i potenti”.

    Occorre una nuova stagione dei diritti per tutti, nessuno escluso, anche a livello mondiale, in vista del 2015, quando verrà definitivamente misurato il livello di conseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio. E quando - ha sottolineato Soddu - “grazie all’ampia mobilitazione della nostra campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro”, diremo con Papa Francesco che il cibo è il primo dei diritti umani fondamentali, senza il quale non vi è neanche la vita”. “Rimaniamo disponibili – ha concluso il direttore - a verificare l’esistente, prefigurando e sperimentando modalità nuove di evangelizzazione del sociale, a partire da alleanze inedite o rilanciate, con tutti coloro che vogliono vivere questa sfida di una carità che diviene criterio fondativo, “testata d’angolo” di ogni percorso di vita, di ogni comunità”. (R.P.)

    inizio pagina

    All'Università Europea documentario sulla tratta delle donne

    ◊   L’Università Europea di Roma è partner ufficiale dell’iniziativa a favore della proiezione del documentario Nefarious, che illustra la drammatica diffusione a livello internazionale della tratta delle donne. Domenica
    6 aprile dalle ore 15,30, alll’Università Europea di Roma, via degli Aldobrandeschi 190, si terrà la
    proiezione
    del documentario americano Nefarious, il Mercante di anime diretto e prodotto da
    Benjamin Nolot.

    Il documentario mette in luce la cruda realtà della tratta delle donne e come questa sia drammaticamente diffusa in ogni continente. Interviste, riprese e storie di vita scoprono le maschere fatte di sorrisi e mascara, sotto le quali è possibile trovare solo la solitudine di ogni donna sfruttata, dimenticata da una sensibilità sociale incapace di porre fine a questa schiavitù.

    Al fine di risvegliare la nostra attenzione e per mettere in discussione metodi e teorie capaci di regolamentare o risolvere questa disagio, il regista sottolinea in modo marcato come viene alimentato il fenomeno della prostituzione, da dove provengono le donne e come è strutturato il sistema criminale dietro le quinte di ogni strada o appartamento. La proiezione gratuita è promossa dal Rotaract Club Roma Eur in collaborazione con l’Associazione Schiavitù Mai Più e da un insieme di associazioni di giovani e istituzioni che sono sensibili alla tematica in esame.

    In seguito alla proiezione, interverranno il Generale di Brigata Gaetano Maruccia Comandante della Legione Lazio Carabinieri e un Capitano dell’Arma esperto nell'analisi investigativa sulla tratta delle donne, il vescovo mons. Lorenzo Leuzzi, l'Assessore alle politiche sociali di Roma Capitale Rita Cutini, Katia Pacelli del Progetto Salvamamme e Sarah Bennetch dell’Associazione Schiavitù Mai Più. (C.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 93

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.