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Sommario del 02/04/2014

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: per fare pace in famiglia non servono le Nazioni Unite, basta pregare e volersi bene
  • Papa Francesco: Giovanni Paolo II, predicatore instancabile della Parola di Dio, della verità e del bene
  • Quando muore un Santo. Il card. Sandri ricorda Karol Wojtyla
  • "Verbum Domini II". Mons. Pasini: la Bibbia parla ad ogni uomo di ogni tempo e luogo
  • Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali compie 50 anni. Mons. Celli: al servizio del Vangelo
  • Il Papa nomina mons. Coppola nunzio in Ciad
  • Assenso del Papa ad elezioni del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina
  • Mons. Zimowski per la Giornata mondiale dell’autismo: la speranza viene dalla collaborazione e dalla fiducia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • "Atrocità deplorevoli" in Centrafrica: Ban Ki-moon invoca aiuti internazionali
  • Siria, 150mila morti in tre anni di guerra. Mons. Audo: la gente non ce la fa più
  • Speranza di una ripresa economica in Grecia dopo il via libera ai nuovi aiuti europei
  • Pakistan: raccolta firme per salvare Sawan Masih condannato a morte per blasfemia
  • Il rettor maggiore dei Salesiani: stare nelle periferie, nostro carisma. Causa in Italia: confidiamo nella giustizia
  • Convegno Caritas diocesane. Giaccardi: la povertà ci spinga a trovare nuove alleanze basate sulla prossimità
  • Ritratti di Santi. Claudia Koll legge la vita di suor Lucia di Fatima
  • Giornata mondiale dell'autismo: necessario investire di più per diagnosi e cure
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Medio Oriente: nuovi ostacoli al processo di pace. Salta la visita di Kerry
  • Usa. 6mila emigranti morti in 15 anni: vescovi statunitensi celebrano una Messa sulla frontiera
  • Vertice Ue-Africa: al centro economia e sicurezza
  • Iran: un cristiano in carcere inizia lo sciopero della fame
  • Egitto: il premier Mahlab ringrazia la Chiesa cattolica per il suo ruolo educativo nel Paese
  • Zimbabwe: migliaia di sfollati per il cedimento di una diga. L’appello della Chiesa
  • Card. Tagle: il boom economico esclude il popolo filippino
  • Il card. Scola: "Dal Calvario nessun uomo che muore è solo"
  • Brasile. “Per un futuro in libertà e democrazia”: messaggio dei vescovi a 50 anni dal golpe militare
  • A Rio si gioca il Mondiale dei ragazzi di strada
  • Canada: il 2 aprile proclamato in Ontario Giornata di Papa Giovanni Paolo II
  • Canada: Messaggio dei vescovi per la campagna "Quaresima di condivisione"
  • Comunione e Liberazione: don Carron rieletto presidente per i prossimi 6 anni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: per fare pace in famiglia non servono le Nazioni Unite, basta pregare e volersi bene

    ◊   “Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata proprio al Sacramento del Matrimonio. Il Papa ha ribadito l’importanza della preghiera nella famiglia. Il legame con Dio, ha detto, aiuta a superare i conflitti che nascono tra i coniugi. Dal Pontefice, al momento dei saluti, un pensiero speciale ai lavoratori dell’Alcoa e agli abitanti dell’Aquila, a 5 anni dal terremoto che ha devastato la città. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne”. Papa Francesco ha sviluppato la sua catechesi partendo da questo passo della Genesi ed ha subito sottolineato che "l’alleanza di Dio con noi" è “rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna”:

    “Quando un uomo, una donna celebrano il Sacramento del matrimonio, Dio - per così dire - si rispecchia in essi: imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio con noi. Molto bello! Anche Dio infatti è comunione”.

    Proprio questo, ha soggiunto, è “il mistero del matrimonio: è l’amore di Dio che si rispecchia nel matrimonio, nella coppia che decide di vivere insieme”. La Chiesa, ha soggiunto, “è la sposa di Cristo” e “questo significa che il Matrimonio risponde a una vocazione specifica e deve essere considerato come una consacrazione”. Gli sposi, ha detto ancora, “vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa”. Sappiamo bene, ha poi riconosciuto, “quante difficoltà e prove conosce la vita di due sposi”. Per questo, ha ribadito, è importante “mantenere vivo il legame con Dio, che è alla base del legame coniugale”:

    Il vero legame è sempre col Signore. Quando la famiglia prega, il legame si mantiene. Quando lo sposo prega per la sposa e la sposa prega per lo sposo, quel legame diviene forte. Uno prega con l’altro”.

    “E’ vero – ha detto – che nella vita matrimoniale ci sono tante difficoltà”, si litiga e a volte volano i piatti, ma “non bisogna diventare tristi” per questo:

    “La condizione umana è così. Ma il segreto è che l’amore è più forte del momento nel quale si litiga. E per questo io consiglio agli sposi, sempre, di non finire la giornata nella quale hanno litigato senza fare la pace. Sempre! E per fare la pace non è necessario chiamare le Nazioni Unite, che vengano a casa a fare la pace! E’ sufficiente un piccolo gesto, una carezza: ‘Ma, ciao! A domani!’, e domani si incomincia un’altra volta. E questa è la vita: portarla avanti così, portarla avanti col coraggio di volerla vivere insieme”.

    Il Papa ha poi ricordato le “sue” tre parole fondamentali, quasi “magiche”, che aiutano a vivere bene la vita coniugale: “Permesso, scusa, grazie”:

    “Ripetiamole tutti! Permesso, grazie e scusa. Con queste tre parole, con la preghiera dello sposo per la sposa e della sposa per lo sposo e con il fare la pace sempre, prima che finisca la giornata, il matrimonio andrà avanti. Le tre parole 'magiche', la preghiera e fare la pace sempre”.

    Il Papa è tornato a parlare di famiglia nei saluti ai pellegrini convenuti da tutto il mondo. Francesco ha in particolare sottolineato quanto sia importante pregare per le famiglie in difficoltà, nella certezza che esse “sono un dono di Dio nelle nostre comunità cristiane”. Quindi, al momento dei saluti ai pellegrini italiani ha rivolto, tra gli altri, un pensiero speciale ai lavoratori dell’Alcoa di Portovesme e agli abitanti dell’Aquila, a cinque anni dal terremoto che ha devastato la città:

    “Incoraggio tutti a tenere viva la speranza! La ricostruzione delle abitazioni si accompagni a quella delle chiese, che sono case di preghiera per tutti, e del patrimonio artistico, a cui è legato il rilancio del territorio”.

    Nella Giornata Mondiale dell’Autismo, al termine dell’udienza generale, tre ragazzi autistici della Fondazione “Oltre il Labirinto Onlus” hanno consegnato al Papa un modello personalizzato di “Hugbike”, una bicicletta-tandem unica nel suo genere in quanto realizzata direttamente dai ragazzi autistici e definita anche “bici degli abbracci”. In questa speciale bicicletta, il guidatore abbraccia il passeggero, che è seduto davanti a sé, rendendo la pedalata più sicura e adatta anche ai ragazzi disabili. Il momento della consegna è stato particolarmente commovente per le famiglie che accompagnavano i ragazzi. A loro è andata la gratitudine e l'incoraggiamento di Papa Francesco.

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    Papa Francesco: Giovanni Paolo II, predicatore instancabile della Parola di Dio, della verità e del bene

    ◊   All’udienza generale, salutando i fedeli polacchi presenti in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha ricordato il nono anniversario della morte di Giovanni Paolo II che ricorre oggi 2 aprile. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Tra gli affettuosi applausi dei presenti, Papa Francesco ricorda Giovanni Paolo II, quando mancano poco più di tre settimane alla canonizzazione. “L’attesa di questo evento – afferma - sia per noi l’occasione per prepararsi spiritualmente e per ravvivare il patrimonio della fede da lui lasciato”:

    “Imitando Cristo è stato per il mondo predicatore instancabile della Parola di Dio, della verità e del bene. Egli fece del bene perfino con la sua sofferenza. Questo è stato il magistero della sua vita a cui il Popolo di Dio ha risposto con grande amore e stima. La sua intercessione rafforzi in noi la fede, la speranza e l’amore”.

    Ma su Giovanni Paolo II ascoltiamo le voci di alcuni fedeli, raccolte in Piazza San Pietro da Veronica Giacometti:

    R. – Un grande uomo, un grande Papa, che ha dato una sferzata alla Chiesa e l’ha fatta diventare più ecumenica, più cosmopolita. Un Papa di grande comunicazione, che è stato a contatto con la gente, con gli operai, con il popolo. Un uomo che capiva l’umanità e la sofferenza degli uomini.

    R. – Era un uomo che vedeva tutta la gente con tanto amore. Dobbiamo pregare che aiuti adesso la Chiesa a crescere nella fede.

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    Quando muore un Santo. Il card. Sandri ricorda Karol Wojtyla

    ◊   Il 2 aprile di 9 anni fa, dunque, Giovanni Paolo II tornava alla Casa del Padre, dopo una lunga malattia affrontata con indomito coraggio e generosità. Ad annunciare la morte di Karol Wojtyla in una Piazza San Pietro trasformatasi in un Cenacolo a cielo aperto, fu il sostituto alla Segreteria di Stato, Leonardo Sandri che oggi, cardinale prefetto del dicastero per le Chiese Orientali, ricorda – al microfono di Alessandro Gisotti - l’emozione di quel momento:

    (Annuncio della morte di Giovanni Paolo II)
    “Carissimi fratelli e sorelle, alle 21.37 il nostro amatissimo Santo Padre Giovanni Paolo II è tornato alla casa del Padre. Preghiamo per lui”.

    R. – L’emozione è stata grande, e adesso, alla luce di questa prossima Canonizzazione, avere annunciato proprio questo passaggio dalla terra alla Casa del Padre di un Santo, è per me ancora una doppia emozione: mi sento come indegno e lontano dal poter essere stato strumento, in quel momento, di uno che era stato proprio un evangelizzatore, un uomo di pace, un uomo di grande vita interiore come base di tutta la sua attività; di una persona che ha vissuto con grande austerità, con grande povertà tutto il suo ministero.

    D. – Lei che ricordi ha dei suoi incontri con Giovanni Paolo II?

    R. – Ho tanti, tanti ricordi. Soprattutto vedere Dio come ha dotato Karol Wojtyla di una ricchissima umanità. Tutta questa santità che noi poi abbiamo visto durante la sua vita sacerdotale, episcopale e pontificale era poggiata in una persona umana che aveva avuto tante sofferenze: la persecuzione, la morte della mamma quando era piccolo, l’ostruzionismo da parte del regime, il fatto di dover vivere in un ambiente ostile … tutto questo era vissuto da una persona straordinaria per simpatia, per presenza fisica, culturalmente molto profondo e ricco per gli studi che aveva fatto, anche della filosofia e in particolare della fenomenologia … E poi, per la grande, grande conoscenza che aveva delle persone, la capacità di mettersi in contatto con loro, la conoscenza delle lingue, la conoscenza del mondo che lui aveva vissuto anche quando era stato vescovo in Polonia … E quindi, questa umanità è stata elevata da Dio, attraverso una vita di duri confronti, attraverso una vita di sofferenze, di sacrificio, una vita anche di austerità perché ecco, una cosa che io ho potuto ammirare anche nell’ultimo giorno della sua vita, quando stava lì, nel letto di morte, era lo spoglio totale della persona, anche dal punto di vista materiale: non c’era nessun lusso che lo circondasse. Questa umanità è stata coronata da Dio con i doni dello Spirito Santo e quindi con tutto quello - a partire dalla fede, la speranza e la carità - che fanno di un essere umano comune, come tutti, un Santo.

    D. – Tutti ricordiamo che l’8 aprile, al funerale di Giovanni Paolo II, il Popolo di Dio lo chiamò già Santo. Cosa i fedeli hanno in più, adesso che il 27 aprile Karol Wojtyla viene proclamato Santo?

    R. – C’è il giudizio autorevole della Chiesa. Noi dobbiamo pensare che nella formula della Canonizzazione c’è come una specie di solennità quasi dogmatica di definizione: lui sta nel Cielo, e quindi noi fedeli che crediamo che lui era Santo fin da quando lo abbiamo conosciuto, oppure quelli che lo hanno proclamato “Santo subito” in Piazza San Pietro, adesso hanno la certezza dell’autorità della Chiesa che è l’autorità del Successore di Pietro che dice effettivamente: “Proclamo, definisco, annuncio che questo uomo è un Santo e sta quindi accanto a Dio” e vive già della visione di quello che noi tante volte vediamo soltanto attraverso un’ombra e non lo vediamo, Dio, faccia a faccia: lui già lo vede e questo ce lo garantisce anche il Supremo Pastore della Chiesa, che è Papa Francesco.

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    "Verbum Domini II". Mons. Pasini: la Bibbia parla ad ogni uomo di ogni tempo e luogo

    ◊   Duecento volumi e reperti, tra i quali splendidi codici miniati, che raccontano la storia della Bibbia dai manoscritti ai primi volumi a stampa, fino alla “Bibbia lunare” trasportata dall’Apollo 14 sul satellite della Terra nel 1971. E’ la mostra ‘Verbum Domini II’, allestita, da oggi fino al 22 giugno, al Braccio di Carlo Magno in Vaticano, per iniziativa del ‘Museum of the Bible’ e con la collaborazione dei Musei Vaticani e della Biblioteca Apostolica Vaticana. Fabio Colagrande ne ha parlato con mons. Cesare Pasini, prefetto proprio della Biblioteca del Papa.

    R. – Sono circa 200 pezzi, in tutto; ovviamente fanno più impressione i manoscritti, però ci sono anche reperti interessanti, per esempio, dai Musei Vaticani con frammenti di sarcofaghi: ce n’è uno interessante nel quale si vede, già nel IV secolo, raffigurata la barca di Cristo come soggetto, e questo è abbastanza normale, ma con i quattro evangelisti. E’ una delle prime attestazioni iconografiche della centralità dei quattro Vangeli e dei loro evangelisti.

    D. – Tra l’altro, una mostra che propone manoscritti che molto raramente escono dalle biblioteche …

    R. – Proprio così. Per la Biblioteca apostolica vaticana direi che mai escono, ma in questa occasione meritava che uscissero!

    D. – Voi esponete in prima assoluta un foglio del papiro Bodmer 1415: di che si tratta? Spieghiamolo ai non addetti ai lavori …

    R. – Si tratta di un papiro che è stato scritto intorno all’anno 200, quindi immaginiamoci cento anni dopo la morte di Giovanni Evangelista e qualche decennio in più dopo la morte degli altri evangelisti. Questo papiro contiene il Vangelo di Luca, il Vangelo di Giovanni e li contiene in sequenza, e in una pagina – proprio in quella che verrà esposta – si vede la fine del Vangelo secondo Luca e l’inizio di quello secondo Giovanni. E’ la prima testimonianza fisica, visibile che noi abbiamo di questa realtà – i quattro Vangeli in sequenza – che è attestata da fonti letterarie coeve a – per esempio – Ireneo di Lione. E’ bello anche dire: “Guardalo! E’ proprio quel pezzo lì di papiro che tu vedi che ha oramai trascorso 18 secoli di vita, ed è lì ancora a testimoniarti quell’uso antichissimo che ne facevano verosimilmente in una comunità cristiana dell’Egitto”.

    D. – Comè organizzata l’esposizione? Ci sono una decina di sezioni …

    R. – Si incomincia dall’epoca più antica, quindi dalle testimonianze dell’Antico Testamento – i papiri del Mar Morto – andando subito a vedere, poi, la divulgazione della Bibbia – il Nuovo Testamento, ma anche l’Antico Testamento tradotto in greco – della antica realtà europea. E poi, allargandoci all’Africa settentrionale, in Oriente, andando fin verso la Cina e poi tutto il mondo latino, quello medievale, salendo su fino alle isole britanniche. Ad un certo punto ci imbattiamo nella scoperta della stampa e quindi questa rivoluzione che permette di stampare le Bibbie in massa: sappiamo che il primo volume a stampa è proprio la Bibbia di Gutenberg. Ma non solo la Bibbia nella traduzione latina più diffusa in Europa, ma anche nelle altre traduzioni europee e delle lingue vernacolari che mano a mano si imponevano. Poi c’è una sezione dedicata all’Europa centrale e orientale, all’America settentrionale e si arriva ai giorni vicini all’oggi – al secolo scorso – quando le traduzioni della Bibbia diventano le più svariate e vanno a finire nelle lingue del mondo, anche le più lontane, anche dei popoli più sperduti. L’ultimo capitolo è dedicato al viaggio della Bibbia sulla luna, perché una versione speciale della traduzione inglese – la King James Bible – e allunata sul satellite della terra il 5 febbraio 1971.

    D. – E la missione era “Apollo 14” …

    R. – Esatto.

    D. – Vediamo un po’ davvero come la Bibbia continui oggi a parlarci …

    R. – Direi, chi va alla mostra si rende conto come abbia parlato e continuamente abbia trovato le modalità più adeguate per parlare ai vari popoli e nazioni e secoli … E adesso, questa Parola arriva e dice: “Parlo a te. Sono importante per te. Mi apro nella mia bellezza e nella mia particolarità di comunicazione”. Per davvero, penso che la persona che andrà a visitare la mostra sarà entusiasta di questo o di quel reperto, magari dell’antichità, magari della bellezza; che sia entusiasta anche di capire come la Parola di Dio abbia proprio avvolto secoli e nazioni …

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    Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali compie 50 anni. Mons. Celli: al servizio del Vangelo

    ◊   Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali compie oggi 50 anni. Fu Paolo VI, con il Motu Proprio “In fructibus multis” del 2 aprile 1964, ad istituire la allora Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali. Ma la storia era iniziata almeno 16 anni prima, come ci riferisce il presidente del dicastero, mons. Claudio Maria Celli, al microfono di Philippa Hitchen:

    R. - Siamo al tempo di Pio XII, nel 1948. Pio XII prestò un’attenzione particolare a questo fenomeno sociale che era il cinema e quindi nella consapevolezza dell’influenza che poteva avere il cinema sul cammino dell’umanità, un’influenza che toccava anche l’aspetto religioso. Ecco, quindi, perché la prima Pontificia Commissione si interessava di cinematografia ma nei valori anche cristiani, religiosi, morali, e questa percezione è andata avanti per vari anni. Siamo nel ’52, poi nel ’54, dove si è sempre più delineata la responsabilità di questa Pontificia Commissione nel campo della cinematografia. E’ con Giovanni XXIII, siamo nel ’59, dove si prende consapevolezza che c’è la dimensione anche della radio, della televisione. Devo essere onesto, la stessa Commissione nel ’54 aveva già inglobato la tematica della radio e della televisione, che erano i punti fondamentali della comunicazione di quel momento; in quel momento gli unici strumenti fondamentali erano, appunto, radio, televisione e cinema. Però, è interessante perché nel ’59, Papa Giovanni XXIII vuole dare a questa Commissione un nuovo slancio e quindi dare nuove prospettive ma sempre in questo campo peculiare. C’è poi il Concilio Vaticano II. L’anno scorso ricordavamo e celebravamo il 4 dicembre del ’63 quando viene approvato il Decreto conciliare “Inter mirifica”. Sarà, di nuovo, Paolo VI, attento a questi sviluppi moderni della comunicazione e attento anche agli influssi profondi che i nuovi strumenti di comunicazione potevano avere sul cammino dell’umanità. Ecco, perché allora il 3 aprile del ’64 Paolo VI crea la Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali. In quel momento si apre un nuovo tassello, una nuova competenza, che è quella della stampa. Quindi, la Pontificia Commissione delle comunicazioni sociali presterà attenzione a stampa, radio, televisione, cinematografia.

    D. – Poi arrivano i nuovi sviluppi tecnologici …

    R. – Sarà Giovanni Paolo II che, di fronte alle nuove “scoperte”, vale a dire le nuove tecnologie nel campo della comunicazione, cioè internet, si porrà nuove questioni, nuove domande. E’ con Giovanni Paolo II, con la “Redemptoris missio”, e poi con la Lettera apostolica “Il rapido sviluppo”, l’ultimo documento da lui firmato nel 2005, che il magistero pontificio, e con lui la Chiesa, prende consapevolezza dell’influsso e delle opportunità create dalle nuove tecnologie comunicative. Poi, avremo un altro passaggio. Non si parla più solamente di internet e di cultura digitale ma si prende consapevolezza sempre di più che le nuove tecnologie danno origine a un ambiente di vita e noi varie volte abbiamo parlato di continente digitale, il che vuol dire un ambiente in cui le donne e gli uomini di oggi vivono e questo continente - ecco l’ultimo passaggio di Benedetto XVI -, questo continente è una rete. Ecco, perché oggi abbiamo parlato e parliamo tuttora di “reti sociali”. E’ in questa prospettiva che negli ultimi messaggi per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Papa Benedetto e Papa Francesco invitano i discepoli del Signore che abitano il continente digitale, che sono presenti nelle reti sociali, ad essere testimoni del Vangelo in questo contesto. Tanto è vero che Papa Francesco dice: non abbiate paura di entrare nelle reti sociali. Però, non è un entrare ingenuo, superficiale: è un entrare con la consapevolezza che siamo chiamati a dare testimonianza dei valori che ci caratterizzano, siamo chiamati a dare testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo che abbiamo accolto nella nostra vita.

    D. – Qual è l’esortazione di Papa Francesco ai fedeli?

    R. - Papa Francesco ci invita a far sì che la comunicazione oggi sia un momento per andare all’incontro dell’uomo e anzi ha avuto questa pennellata particolarmente significativa e ispiratrice di parlare di comunicazione come “prossimità” all’altro e ha fatto una lettura della parabola del Buon samaritano proprio in chiave comunicativa. Credo che non sia solamente un aspetto romantico. Credo che il Papa ci inviti tutti a far sì che il nostro servizio, la nostra presenza, la nostra corresponsabilità, siano sempre più ampie. E qui penso ai pastori, penso a tutti coloro che sono sul campo, quindi i parroci, gli educatori, i catechisti… Ma penso anche alle famiglie: come oggi un babbo e una mamma possono aiutare il proprio figlio a vivere questa presenza in internet? Perché va formata, va educata, va preparata, non si può solamente dire “Io accendo o spengo il computer”, non è solamente questo. Abbiamo bisogno di ritrovare un senso di una presenza e, per noi cristiani, una presenza che è anche annuncio del Vangelo di Gesù Cristo.

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    Il Papa nomina mons. Coppola nunzio in Ciad

    ◊   Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Ciad mons. Franco Coppola, arcivescovo titolare di Vinda, nunzio apostolico nella Repubblica Centroafricana.

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    Assenso del Papa ad elezioni del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina

    ◊   Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyč, con il consenso del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina e dopo aver consultato la Sede Apostolica, ha eretto a norma del can. 85 § 3 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, l’Esarcato Arcivescovile di Kharkiv (Ucraina), con territorio smembrato dall’attuale Esarcato Arcivescovile di Donetsk-Kharkiv.

    Il Santo Padre ha concesso il Suo assenso all’elezione canonicamente fatta dal medesimo Sinodo del Reverendo P. Vasyl Tuchapets, O.S.B.M., al presente Igumeno del monastero di San Basilio Magno a Kyiv, all’ufficio di primo Esarca Arcivescovile di Kharkiv, assegnandogli la sede titolare di Centuriones.

    Il Papa ha accolto l’elezione canonicamente fatta dal Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina di S.E. Mons. Taras Senkiv, O.M., a Vescovo eparchiale di Stryj degli Ucraini (Ucraina), ponendo termine all’ufficio di Amministratore Apostolico e trasferendolo dalla sede titolare di Siccenna alla medesima Eparchia.

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    Mons. Zimowski per la Giornata mondiale dell’autismo: la speranza viene dalla collaborazione e dalla fiducia

    ◊   "Esiste una reale difficoltà di integrazione e di comunicazione che passa dalla persona autistica a chi entra in contatto con lei”. E’ da questa dolorosa costatazione che parte il messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, mons. Zygmunt Zimowski, per l’odierna VII Giornata Mondiale sull’autismo. Da qui la domanda: come combattere questo stigma? La risposta è complessa e, secondo mons. Zimowski, si radica in “una etica della solidarietà, che tutti dovremmo riscoprire e alimentare”. “È necessario, scrive, intraprendere il cammino d’integrazione nella comunità, infrangendo l’isolamento e le barriere frapposte dalla patologia e dal pregiudizio, rinsaldando le relazioni interpersonali. Ciò può avvenire anche con il supporto dell’impegno sociale, con azioni sinergiche nell’ambito della cura, dell’informazione, della comunicazione e della formazione, favorendo il passaggio alla vera comprensione e all’accettazione della malattia, che mai nega o intacca la dignità di cui è rivestita ogni persona”. Per esprimere la forte attenzione concreta che la Chiesa intende prestare a questo impegno, scrive ancora mons. Zimowski, la XXIX Conferenza Internazionale, organizzata in Vaticano dal 20 al 22 novembre prossimo dal suo Dicastero, affronterà proprio il tema: “L’autismo, malattia dai molti volti: generare la Speranza” dove potranno confrontarsi ricercatori, esperti ed operatori sanitari di tutto il mondo. Il messaggio di mons. Zimowski si conclude con una citazione di Papa Francesco dall’ Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, "è indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente”. (A cura di Adriana Masotti)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Papa Francesco parla del matrimonio come icona dell’amore di Dio.

    Cintura sanitaria intorno alla Guinea: nel servizio internazionale, l'emergenza ebola nel Paese africano.

    Italia terra di disoccupati: mai così alto dal 1977 il numero delle persone senza occupazione.

    Stato confusionale: in cultura, Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e vice presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), sulla condizione politica del vecchio continente in vista delle imminenti elezioni del Parlamento di Strasburgo.

    Quell'occhio visionario: Sylvie Barnay sulla mostra di Gustave Doré al Museo d’Orsay.

    Non li abbiamo dimenticati: nel servizio religioso, il pellegrinaggio dei presuli statunitensi al confine messicano.

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    Oggi in Primo Piano



    "Atrocità deplorevoli" in Centrafrica: Ban Ki-moon invoca aiuti internazionali

    ◊   “Agire rapidamente per fornire supporto alla popolazione” del Centrafrica. Lo ha detto il segretario generale dell’Onu, Ban ki-moon, in occasione dell’odierno vertice Ue-Africa a Bruxelles. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha parlato a margine dell’incontro pre-vertice dedicato al Paese africano, sconvolto da un anno di violenze perpetrate prima dai ribelli Seleka e poi dalle milizie anti-Balaka. “Farò appello - ha assicurato - a tutti i Paesi per fornire ulteriori truppe, polizia e sostegno finanziario” alla Repubblica Centrafricana, dove - ha proseguito - ci sono “bisogni urgenti”: la situazione è “molto disastrosa” e “la gente sta soffrendo atrocità deplorevoli”. Ban Ki-moon ha quindi raccomandato di dispiegare una forza di almeno 10 mila soldati; ieri l’Unione Europea ha dato il via libera ad una propria missione militare nel Paese di mille uomini, che si aggiungono ai 2 mila francesi e ai 6 mila militari africani già presenti sul terreno. Al microfono di Giada Aquilino, ascoltiamo frà Antonino Serventini, frate cappuccino a Bimbo, zona aeroportuale di Bangui:

    R. – I militari francesi assicurano la liberazione e il buon funzionamento delle grandi arterie, come la Transafricana, perché è da lì che passano le ricchezze dell’Africa per l’Europa e per il mondo intero e le merci in entrata.

    D. – Quali sono ora le zone più critiche del Paese?

    R. - Bangui. Soprattutto la zona del centro commerciale “Kilomètre cinq”, cioè dove c’è tutta l’attività commerciale gestita dagli arabi: lì è il punto critico, dove ancora si sta combattendo e i quartieri sono ad alta tensione.

    D. - La stampa internazionale definisce quelle in corso ormai da un anno in Repubblica Centrafricana “violenze a sfondo religioso”. Eppure le testimonianze che arrivano dal Centrafrica dicono che non è così…

    R. – E’ vero. E’ tutta una menzogna, non sono a sfondo religioso, perché quelli che attaccano da una parte e dall’altra certamente non lo fanno per motivi religiosi, ma semplicemente per motivi di interesse e di parte, motivi economici: uranio, cotone, grandissimi giacimenti di petrolio e legname. Queste cose sono alla base del ‘litigio’ internazionale: non centrafricano ma internazionale!

    D. – La presidente di transizione Catherine Samba Panza ha detto che il Centrafrica è uno Stato che non esiste praticamente più: come si vive in queste ore?

    R. – Si vive nell’angoscia. Lo vedo nei bambini che sono qui da noi. Assistiamo 700 persone. C’è angoscia, precarietà. Sono senza scuola, senza acqua, senza possibilità di andare tranquillamente nei campi e ritornare, senza possibilità di andare a fare spese. E poi non possono abitare nei loro quartieri, ciò che interessa loro è salvare la famiglia. Quindi da chi possono andare? Allora si va dai carmelitani, in diecimila, si va in seminario, in seimila, si va dai cappuccini, in 700, si va all’aeroporto, in 100 mila... E poi in queste condizioni: adesso piove, si fanno tende, ma sono insufficienti. Si vive davvero nella miseria.

    D. – Lei ha parlato di 700 persone riparate da voi. Ovviamente accogliete tutti, senza distinzione…

    R. – Sì. La difficoltà è proprio quella di entrare nel cuore delle persone per poter ricucire i sentimenti di umanità, ma ci vorranno almeno 30 anni per togliere dal cuore dei bambini questa terribile realtà di lacerazione nazionale.

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    Siria, 150mila morti in tre anni di guerra. Mons. Audo: la gente non ce la fa più

    ◊   In Siria sono ripresi i combattimenti tra forze lealiste e ribelli a nord della capitale Damasco, in una zona dove in precedenza si era registrata una tregua. Intanto, rimbalzano le notizie sulle vittime in tre anni di guerra, fornite ieri dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani, vicino alle opposizione anti-regime. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    150 mila morti in tre anni di conflitto, di questi un terzo circa sono civili e almeno ottomila bambini. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani fornisce un bilancio di vittime non verificabile e non confrontabile con i dati delle organizzazioni internazionali che da mesi non danno cifre, ma il conteggio viene ritenuto verosimile da chi, come mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, questa guerra l’ha vissuta sin dall’inizio. Mons. Audo denuncia la povertà estrema nella quale ogni giorno di più si trovano i suoi concittadini:

    R. – Non c’è sicurezza, non c’è lavoro e la gente è molto stanca. Come presidente di Caritas, incontro tanta gente ogni giorno: le famiglie, le persone, la classe media è divenuta povera, non hanno denaro, tutto è rincarato, non possono comprare nulla. Una donna è venuta a dirmi che hanno venduto le fedi del loro matrimonio, lei e suo marito, per sopravvivere. Le famiglie cristiane vengono questo poco di oro che hanno per poter comprare cibo e viveri, da un giorno all’altro.

    D. – Le medicine, ci sono?

    R. – Mancano, mancano. Si possono trovare, ma bisogna chiedere e cercare e costano molto care. Quello che io vedo è che la gente è stanca: c’è una stanchezza, una fatica molto grande a livello psicologico e a livello fisico. Non si riesce più a sopportare come prima.

    D. – E la violenza continua ad Aleppo e nei dintorni ...

    R. – Da noi, questo è il grande problema e il grande pericolo, abbiamo bombe che arrivano da non so dove, sui quartieri, sulle chiese, sulle case … E’ una cosa terribile! Per esempio, la gente non cammina più come prima per la strada: fa attenzione, perché non si sa in quale momento possa cadere una bomba su di loro o accanto a loro. Per esempio, abbiamo una scuola nel nostro vescovado: 150 bambini vengono ogni giorno … Ogni tanto io penso e prego per questi bambini, perché se una bomba piombasse sul cortile dove giocano, sarebbe la catastrofe. E noi, viviamo così: da un giorno all’altro può succedere qualsiasi cosa. Nello stesso tempo, la vita continua: si deve vivere, sopravvivere. Ma non c’è un’altra soluzione.

    D. – Aleppo, oggi, che città è? Una città deserta, una città ferma o una città che ancora riesce a essere la casa dei suoi abitanti?

    R. – Non è una città deserta. La sera, sì: quando la notte arriva, generalmente non c’è elettricità; ognuno è nella sua casa. Una volta, Aleppo era famosa per le sue notti, feste, celebrazioni, ristoranti … Adesso, quando arriva la notte, nessuno esce di casa. Questa è la situazione dopo tre anni. Veramente, chiediamo preghiere per la pace per poter vivere con dignità. A volte sembra una vita normale: c’è gioia, c’è speranza. Altre volte, siamo stanchi …

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    Speranza di una ripresa economica in Grecia dopo il via libera ai nuovi aiuti europei

    ◊   Ottimismo in Grecia dopo il varo di una nuova tranche di aiuti di 8,3 miliardi di euro da parte dell’Eurogruppo ma, nel Paese, proseguono gli scioperi dei marittimi che da tre giorni stanno bloccando il traffico di merci e passeggeri per le isole. Ieri sera, poi, tafferugli si sono verificati ad Atene tra manifestanti di sinistra e polizia. Un malcontento che era già esploso nei giorni scorsi con il via libera ad un pacchetto di liberalizzazioni che hanno riguardato in particolare le farmacie ed i taxi. Ma come la Grecia proseguirà sulla strada del risanamento? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Simona Beretta, docente di economia internazionale, delle istituzioni e dello sviluppo all’università Cattolica di Milano:

    R. – Secondo me, bisogna distinguere due livelli. Un livello di risistemazione dell’assetto macro, e non c’è dubbio che in questo la Grecia, con enormi sacrifici, sia riuscita ad attestarsi come un Paese capace di iniziare un processo di riforma e per questo ha avuto grande apprezzamento. Ma questo livello è come se fosse appoggiato sulle spalle di ogni singolo cittadino della Grecia. Io penso che il bene di una nazione debba essere un bene realmente comune. Devono andar bene i conti macroeconomici, perché se non vanno bene la vita dei singoli viene messa in pericolo. Ma i conti macroeconomici non possono andare bene in un contesto in cui la vita dei singoli è oppressa a livelli insopportabili. E questi singoli, la cui vita è così problematica, non sono tutti.

    D. – Il percorso di Atene è, comunque, un segnale di ripresa, secondo lei, per l’economia europea?

    R. – Sicuramente è un buon segnale per la vicenda europea nel suo complesso. In fondo, infatti, non dobbiamo dimenticare che sia pure con grande fatica, con grande ritardo e con grandi resistenze, si è tornati ad un principio senza il quale l’Europa non esiste e cioè un principio di reale solidarietà, di reale condivisione. L’Europa, oggi, è una realtà economicamente e politicamente molto variegata. In nuce, però, quello che è successo alla Grecia è stato l’essere immessa in una realtà integrata, con grandi benefici immediati, che si sono – come dire - sfruttati fino alla crisi da eccesso di indebitamento. Se c’è qualcuno che emette troppo debito, in fondo, è perché qualcun altro ha concesso troppo credito, e questa relazione è una relazione che chiama in causa la solidarietà.

    D. – Dalla Grecia, con la dichiarazione del leader della sinistra Tsipras, fino all’Italia con il premier Renzi, oggi si discute molto dell’efficacia delle politiche economiche europee. Sono, secondo lei, critiche giustificate?

    R. – L’Europa fa bene il suo dovere quando usa realmente il principio di sussidiarietà. La grande malattia di tutte le realtà burocratico-costituzionali si chiama tecnocrazia. Io penso che l’Europa abbia fatto tanto e bene ma che talvolta abbia esagerato in un approccio tecnocratico, che inevitabilmente è guidato dal potere e dagli interessi più forti. Un lavoro di semplificazione che dia più spazio alla sussidiarietà e meno alla tecnocrazia certamente fa parte delle cose di cui l’Europa dovrebbe farsi carico. Non c’è dubbio che l’Europa stia attraversando un momento di oggettiva fatica. Devo anche dire, naturalmente, che questa grande fatica la percepiscono di più i Paesi che erano abituati ad essere “sazi” e che adesso cominciano ad avere delle difficoltà. La sentono molto meno i Paesi che erano abituati a tirare la cinghia e in questo momento trovano in Europa lo spazio per poter esprimere le loro potenzialità. Un nome per tutti è la Polonia.

    D. – Abbiamo sempre parlato molto di Grecia, come appunto del "fanalino di coda" dell’Europa. Ci sono però altri Paesi che hanno vissuto delle difficoltà forti, come la Spagna, l’Italia e il Portogallo. Oggi, ci sono segnali di speranza da questi Paesi?

    R. – Mi sembra che tutti questi Paesi che lei ha elencato siano Paesi con gravi difficoltà e che hanno bisogno di fare un lavoro al proprio interno nel quale si riconosca la capacità dei popoli di generare il benessere. Non credo che ci siano ragioni per essere pessimisti e penso che ci sia un grande lavoro locale e regionale, a livello europeo, da fare, perché si vigili sempre affinché le politiche siano al servizio della realtà di base. Ecco, questo mi sembra il nodo fondamentale.

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    Pakistan: raccolta firme per salvare Sawan Masih condannato a morte per blasfemia

    ◊   “Salviamo Sawan Masih” è il titolo della Campagna di raccolta-firme per denunciare la recente condanna a morte del giovane cristiano pakistano di 26 anni, accusato di aver insultato Maometto, nel marzo del 2013. Ad organizzare stamani la conferenza stampa di presentazione della campagna, l’Associazione Pakistani Cristiani in Italia in collaborazione con alcuni parlamentari rappresentati da Paola Binetti. Per i dettagli della vicenda, Debora Donnini ha intervistato il fondatore dell’Associazione, Mobeen Shahid:

    R. - Sawan Masih era in casa insieme al suo amico Shahid Imran, stavano parlando ma ad un certo tra di loro è nata una discussione sulla religione e hanno cominciato a litigare. Il giorno dopo Shahid Imran ha sporto denuncia contro Sawan Masih per blasfemia contro Maometto. Ma la verità è un’altra: c’era un gruppo di commercianti che voleva prendere il quartiere Joseph Colony, dove abitano i cristiani visto che oggi quel territorio che si trova vicino alla stazione ferroviaria di Lahore, vale un milione di euro. E questo non è l’unico caso.

    D. - Dopo la denuncia contro il giovane, circa tremila persone si sono scagliate contro questo quartiere cristiano, incendiando 178 abitazioni, negozi e due chiese. Oltre 400 famiglie hanno perso la casa e gli 83 uomini ritenuti colpevoli dell’attacco sono stati rilasciati su cauzione. Masih, invece, è stato condannato a morte. Perché?

    R. - Teniamo presente che la folla ha attaccato il quartiere cristiano perché la polizia aveva rifiutato di registrare la denuncia. E’ la manifestazione della folla che ha costretto la registrazione della denuncia. E ora coloro che hanno distrutto le case dei cristiani e bruciato le Bibbie nella chiesa sono liberi su cauzione. Pensando alla protezione che si sarebbe potuta dare a Sawan Masih registrando la denuncia, è accaduto che Sawan Masih ora è condannato a morte!

    D. - Cosa chiedete con questa campagna di raccolta-firme?

    R. - Attraverso la Campagna firme che noi abbiamo lanciato, alla quale si può aderire dall’indirizzo di posta elettronica salviamosawammasih@yahoo.it, chiederemo al Presidente della Repubblica islamica del Pakistan giustizia per Sawan Masih, visto che presso la Prima Corte di Lahore è stato condannato senza prove. Oltre a questo chiederemo una maggiore protezione per le minoranze religiose che oggi sono vittima di questo abuso della legge sulla blasfemia.

    D. - Alcune volte si teme che denunciare questi fatti possa creare una situazione più pericolosa per i cristiani. Lei cosa pensa?

    R. - Nemmeno il silenzio è la soluzione per uscire fuori da questa situazione, per cui bisogna saper denunciare l’ingiustizia e poi affrontare il percorso della giustizia. Noi non scappiamo di fronte al caso e davanti al suo procedimento naturale presso il tribunale, ma nello stesso momento se rimaniamo in silenzio, in Pakistan si rischia l’estinzione della Chiesa.

    D. - Comunque lei vede che la situazione per i cristiani sta peggiorando?

    R. - In Pakistan la situazione dei cristiani dopo la morte di Shahbaz Bhatti è peggiorata. Prendiamo l’esempio solo dell’anno scorso: il 40% delle vittime dell’abuso della legge sulla blasfemia sono cristiani.

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    Il rettor maggiore dei Salesiani: stare nelle periferie, nostro carisma. Causa in Italia: confidiamo nella giustizia

    ◊   “Per don Bosco la porta si apre: è una buona password”: cosi il neoeletto rettor maggiore dei Salesiani, don Angel Fernandez Artime, incontrando stamane a Roma i giornalisti, dopo l’incontro con il Papa, lunedì scorso in Vaticano, insieme ai partecipanti al Capitolo generale della Congregazione, in corso fino al prossimo 12 aprile. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Come don Bosco – ha detto don Fernandez - vogliamo promuovere “buoni cristiani e onesti cittadini”, dialogare “con tutti credenti e non credenti, cattolici praticanti e cosiddetti lontani”, “anche in realtà istituzionali che non sempre consentono libertà di espressione e culto”. “Siamo una multinazionale dell’educazione”, ha aggiunto il neorettore maggiore dei Salesiani, presenti in 132 Paesi, religiosi, consacrati e laici, oltre 440 mila raccolti in 30 famiglie. Don Fernandez:

    "Sento che, come Salesiani, abbiamo molta speranza. Vedo molta vita e molta freschezza nella Congregazione, perché siamo in 132 Paesi. E’ vero, però, che dobbiamo affrontare tutta la realtà, che è diversa, e abbiamo sfide importanti nel mondo. Sfide come l’attenzione ai giovani e l’emarginazione sono grandi per noi, come anche quella dei tanti giovani che sono esclusi, di cui ha parlato il Papa. Questo ha colpito davvero il nostro cuore".

    Il Papa ha raccomandato ai Salesiani un vita essenziale e austera oltre che di trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni. E il pensiero è andato alle gravi difficoltà economiche in cui si trova la Direzione generale della Congregazione che, coinvolta in Italia in una causa di eredità con la famiglia Gerini, rischia a fine aprile di vedere messa all’asta la sede del Salesianum, se non interverrà un pronunciamento del Pubblico ministero sul ricorso presentato dai Salesiani. Don Fernandez:

    "Io non conosco tutto di questo tema problematico, molto conosciuto in Italia, ma soltanto in Italia. La Congregazione, infatti, si trova in 132 nazioni, dove le 92 province religiose sono autonome, in questo senso. Il Papa ci ha rivolto una richiesta, che noi abbiamo sentito piena di affetto: l’invito in primo luogo ad andare, come tutta la Chiesa, verso la 'periferia', cosa che per noi è carismatica. E allora la chiamata del Santo Padre l’abbiamo vista come un riferimento a quello che qui in Italia è stato un problema giuridico con la Direzione generale, che va detto – e per me questo è importante dirlo - non è un problema di tutta la Congregazione salesiana. Si sente dire frequentemente: “La Congregazione salesiana ha un vero problema”. Ma non abbiamo un vero problema finanziario. E’ vero che in questo caso aspettiamo che il processo in Italia possa avere davvero una buona soluzione per noi. Ma aspettiamo. Crediamo nella giustizia. Noi crediamo, ed io come rettore maggiore credo fermamente, in questa maniera di procedere, quella della trasparenza, dell’auditing in tutte le nostre presenze. E vi dico che, in tante Ispettorie, questa è la nostra maniera di fare".

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    Convegno Caritas diocesane. Giaccardi: la povertà ci spinga a trovare nuove alleanze basate sulla prossimità

    ◊   In corso a Quartu Sant’Elena, nella diocesi di Cagliari, il 37.mo Convegno nazionale delle Caritas diocesane sul tema "Con il Vangelo nelle periferie esistenziali”. 700 i delegati giunti da tutta Italia e impegnati nei lavori. Sul valore e l’attualità della povertà nella Chiesa e sulla distinzione tra povertà e miseria si è soffermata nel suo intervento Chiara Giaccardi, docente presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. Fabio Colagrande l’ha intervistata:

    R. - La povertà non è uno stato di diminuzione di umanità; è la miseria che diminuisce l’umanità. La povertà è uno stato di riconoscimento di un limite, di una pochezza. La Chiesa stessa ha bisogno dei poveri, si lascia toccare dai poveri, e questo tocco la trasforma in ciò che deve essere: un’istituzione che ha, prima di tutto, la capacità di accogliere e di abbracciare tutti i suoi figli, una Chiesa che deve uscire per andare ad incontrare i poveri, come ha detto Papa Francesco. La povertà è riconoscere questo legame, questo limite, quindi questa necessità di essere insieme, di essere legati ad altri ma soprattutto di essere legati al Padre.

    D. - Quando la povertà materiale diventa pesante la perdita di dignità è in agguato …

    R. - Assolutamente. Il Papa lo dice chiaramente, ma lo aveva detto anche Benedetto XVI che la disuguaglianza è fonte di disumanizzazione. Allora questo va affrontato. Credo che la contingenza di oggi, da una lato culturale ci dice che l’individualismo è un modello che non tiene. D’altro canto il ritorno di una logica - attraverso il web - di condivisione è un aspetto della nostra contemporaneità che ci può aiutare a pensare, anche in chiave un po’ diversa il tema dell’aiuto reciproco, che non è tanto elargire qualcosa, ma aiutarsi a vicenda. Penso che il ruolo della Chiesa sia quello di sollecitare i fratelli a prendersi cura dei loro fratelli, perché in realtà la miseria ci riguarda tutti. Recuperiamo il nostro saper fare, il nostro saper stare in relazione; questo è un modo per combattere la povertà materiale che poi porta alla miseria.

    D. - L’efficienza, cioè il taglio delle spese, riorganizzare le prestazioni … tutto questo non può essere l’unica via per combattere la povertà, la miseria. C’è una via “povera” - la povertà come metodo - come lei suggerisce che punta invece su altro …

    R. - La povertà come metodo è il riconoscimento di una pochezza, di un limite che chiama in causa la necessità di un’alleanza. Il Papa ha detto: “La Chiesa non è un’ong”, non ha come obbiettivo l’efficienza, ma ha come fine la realizzazione per tutti della pienezza della loro umanità. La povertà ci spinga a creare alleanze locali, basate sulla contiguità, sulla vicinanza. I poveri vanno toccati. Questo lo dice Gesù e lo dice anche Papa Francesco con una chiarezza cristallina. La modernità ha frammentato tutto in nome dell’efficienza; pensiamo ai “Tempi moderni” di Chaplin e a quella metafora della catena di montaggio. Oggi, invece, bisogna rilegare in nome dell’umanità, rimettere insieme, trovare nuove sintesi e alleanze perché l’umanità possa esprimersi.

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    Ritratti di Santi. Claudia Koll legge la vita di suor Lucia di Fatima

    ◊   Un invito ad entrare nel mondo dello spettacolo con la forza della fede. A pronunciarlo è l’attrice Claudia Koll, direttrice della Star Rose Academy: nell’accademia, fondata a Roma dalle Suore Orsoline della Sacra Famiglia, si è formata, tra gli altri, prima di prendere i voti, suor Cristina Scuccia, protagonista del talent show di Rai Due The Voice. Questa sera, all’interno della rassegna quaresimale “Ritratti di Santi” nella Chiesa romana di Santa Maria della Vittoria, Claudia Koll leggerà la vita di Lucia di Fatima, un personaggio alla quale è molto legata. Lo conferma in questa intervista di Paolo Ondarza:

    R. - Quando ero piccolina rimasi colpita da questi bambini – Francesco, Giacinta e Lucia – che ricevevano un compito così importante da parte della Madonna. Per la prima volta capii che Maria non era una statua, un’immaginetta, un santino ma era una donna che amava e che portava un messaggio importante. Da quel momento ho cominciato ad avere un’attenzione diversa verso Maria. Quindi, ho un debito nei confronti dei pastorelli di Fatima, perciò quando ho cominciato a leggere la storia di Lucia l’ho fatto con il cuore. L’attualità del messaggio di Fatima è quello della conversione: il Signore offre una grande misericordia, una grande apertura del cuore verso tutti gli uomini anche quelli più lontani, verso i peccatori ma chiede la conversione. Chiede a chi crede, preghiera e sacrificio proprio per portare la conversione nel mondo.

    D. – Lei non è nuova a queste letture dei Ritratti di Santi in Santa Maria della Vittoria. Che cosa le ha dato questa esperienza in questi anni?

    R. – Tantissimo, perché i Santi ci accompagnano nel cammino di conversione. La prima lettura che feci fu su Giovanni Paolo II e la feci con tanto amore perché è stato per me un riferimento, una guida spirituale, proprio come un padre spirituale, attraverso i suoi scritti, attraverso la sua testimonianza di vita. Non posso che gioire per la sua canonizzazione, il giorno della festa della Divina Misericordia. I santi mi accompagnano nella conversione perché prendo sempre qualche cosa dalla loro esperienza di vita ma anche dalla loro spiritualità per capire cosa mi manca e quindi cosa devo approfondire di più nel rapporto con il Signore.

    D. – La lettura dei Ritratti di Santi è un’esperienza particolare anche dal punto di vista professionale: l’accostarsi con la propria competenza alle tematiche della fede…

    R. – Un’artista quando si presta e si mette a servizio della fede riceve tantissimo. Come dice Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti: “C’è lo Spirito Santo che conduce l’artista”… Quella ispirazione che arriva quando non te l’aspetti e che ti conduce per mano. Quando io approccio un testo ho sempre rispetto di ciò che leggo e chiedo allo Spirito Santo di illuminarmi e di darmi la capacità poi di comunicarne il senso più profondo a chi ascolta.

    D. – L’arte può essere un veicolo privilegiato per comunicare la fede, la verità?

    R. – Certo. Giovanni Paolo II dice anche che “la Chiesa ha bisogno dell’arte per comunicare la bellezza del messaggio evangelico”. Noi abbiamo fatto questa scommessa con le Suore Orsoline della Sacra Famiglia: è stata fondata un’accademia ispirata proprio alla Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II. Cerchiamo di formare giovani talenti perché possano essere un segno nel mondo dello spettacolo, possano essere luce e sale.

    D. – Trattare tematiche di fede nella sua carriera è stata una scelta controcorrente: le è pesata questa scelta?

    R. – Sicuramente questa scelta l’ho pagata, però è la mia gioia! Quindi, vado avanti per questa strada. Anche quando insegno in accademia io insegno appoggiandomi alla Parola di Dio; i ragazzi imparano a leggere e a recitare attraverso i Salmi e i libri della Bibbia.

    D. – Sono recettivi? Raccolgono la sfida che lei lancia loro?

    R. – Sì, perché in fondo hanno sete di conoscenza di Dio e si accorgono che man mano che leggono imparano. Per esempio, ho notato che amano molto i Libri Sapienziali perché sono una guida ed i giovani hanno bisogno di trovare riferimenti forti ed importanti. Certo i ragazzi sono anche volubili quindi vanno sostenuti, hanno paura del confronto con il mondo dello spettacolo. Ecco perché credo che suor Cristina, nel momento in cui è apparsa in televisione, possa essere un esempio anche per loro, un incoraggiamento ad entrare nel mondo dello spettacolo con la forza dello Spirito Santo, con la fede, sapendo che c’è una possibilità anche per loro. Io spero tanto che si possa aprire un varco per gli artisti cristiani.

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    Giornata mondiale dell'autismo: necessario investire di più per diagnosi e cure

    ◊   Nella giornata dedicata all’acquisizione di una maggiore consapevolezza dell’autismo, in tutto il mondo si tengono convegni, eventi musicali e culturali, mentre i principali monumenti delle città vengono illuminati di blu. All’ospedale “Bambino Gesù” di Roma un Convegno promosso dalla struttura ospedaliera stessa, dall’associazione Fantasia in collaborazione con associazioni di genitori, manda un appello ai Parlamentari italiani per sollecitare normativi interventi specifici su questa patologia. Ma qual è oggi la situazione sul fronte della cura in Italia? Mara Miceli lo ha chiesto al prof. Giovanni Valeri, neuropsichiata infantile del Bambino Gesù:

    R. – Nell’autismo vi è un disturbo dell’organizzazione cerebrale e se noi sappiamo, come sappiamo, che la plasticità cerebrale è massima nei primi cinque o sei anni di vita, perdere del tempo in quel periodo è qualcosa che non possiamo proprio permetterci. Considerate che, attualmente, noi sappiamo che si possono fare diagnosi attendibili già tra i due e i tre anni, anzi, è doveroso fare diagnosi attendibili. Se voi pensate che ancora adesso in Italia, ma questo vale anche purtroppo per l’Europa e gli Stati Uniti, la diagnosi media è intorno ai quattro o cinque anni, noi perdiamo tre anni che, come ho detto, sono preziosissimi. Perché? Perché c’è un ritardo nella diagnosi precoce. Ma anche ammettendo che i genitori abbiano trovato un pediatra sensibile, siano stati inviati ad un centro di neuropsichiatria che ha aggiornato la diagnosi, il neuropsichiatra, l’equipe, dà delle indicazioni di trattamento che sono quelle che tutta la comunità scientifica ritiene scientificamente fondate ed efficaci, quelle che sono state riassunte benissimo nella Linea guida che l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato nel 2011. A questo punto cosa succede? Vanno nelle Asl e le Asl gli dicono: “Ma noi non abbiamo le risorse per fare questo”. Io vorrei fare un esempio. E’ come se avessi un figlio cui viene diagnosticato un tumore; sapendo che deve fare la chemioterapia, vado in ospedale o nelle Asl e mi dicono: “Guarda, purtroppo non ho i farmaci chemioterapici, però ho la tachipirina e ho un antibiotico”. Questa è la disperazione dei genitori.

    D. – In questa situazione davvero drammatica, cosa fanno i genitori?

    R. – Cercano privatamente. Io ho dei genitori che hanno dovuto fare il mutuo. L’altro ieri ho visto un genitore che mi ha detto: “Dottore, io guadagno 1500 euro al mese e ne spendo mille per la terapia privata di mio figlio. Come faccio?”. Questa è la realtà italiana. Abbiamo un’ottima Linea guida e abbiamo i servizi sanitari e anche educativi – la scuola potrebbe giocare pure un ruolo importante – che continuano a sprecare risorse, che potrebbero essere impiegate in modo diverso.

    D. – In termini medici, lei crede che a breve sarà possibile sconfiggere l’autismo?

    R. – Sicuramente la cura dell’autismo sarà una cura in cui la componente medica e biologica sarà fondamentale. Io non credo però che sarà mai esclusiva. Credo, cioè, che proprio perché l’autismo è un disturbo che coinvolge l’interazione sociale e la comunicazione, la capacità di immaginazione, il ruolo anche degli interventi terapeutici psicosociali insieme ad interventi di tipo medico, farmacologico, giocheranno sempre un ruolo importante. L’autismo è proprio una patologia dell’essere umano, non c’è nessun farmaco che da solo, secondo me, potrà mai curare quello che forse è più profondo nell’essere umano come l’interazione sociale reciproca e la complessità della comunicazione.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Medio Oriente: nuovi ostacoli al processo di pace. Salta la visita di Kerry

    ◊   Nuovi ostacoli in vista sul percorso, già in salita, del processo di pace in Medio Oriente. Il Segretario di Stato Usa John Kerry ha annullato la visita prevista per oggi a Ramallah e a Gerusalemme, dopo che il Presidente palestinese Mahmoud Abbas ha chiesto l’adesione della Palestina a 15 organismi Onu. Il Segretario di stato americano avrebbe dovuto dare la stretta finale ad un accordo che sembrava ormai pronto, dopo mesi di delicato ricamo diplomatico. Abu Mazen ha motivato la scelta – votata all’unanimità dall’Olp – come conseguenza della decisione di Israele di non aver rilasciato la quarta tranche di detenuti palestinesi in carcere, alla fine del mese di marzo.

    “Non facciamo questo contro gli Stati Uniti ma è nostro diritto. Non saremo mai d’accordo – ha detto il Presidente palestinese – nel rinunciare ai nostri diritti. Kerry ha fatto grandi sforzi ed io mi sono incontrato con lui 39 volte dall’inizio dei negoziati. Noi non stiamo lavorando contro nessuno, ma non abbiamo altra opzione”.

    Tra i punti dell’accordo in questione, come riferisce la stampa israeliana ci sarebbero stati: la liberazione della spia Jonathan Pollard dalle carceri americane entro la pasqua ebraica del 14 aprile; un’intesa per trattative lungo tutto il 2014 con l’impegno da parte dei palestinesi di non ricorrere alle Nazioni Unite; la liberazione da parte di Israele della quarta tranche di detenuti, compresi, come chiesto dai palestinesi, arabi-israeliani; infine, durante i prossimi negoziati, ci sarebbe stato un addizionale rilascio di 400 detenuti palestinesi scelti da Israele.

    Lo stato ebraico si sarebbe impegnato inoltre per un parziale congelamento di nuove abitazioni: no a nuove case in Cisgiordania, ad esclusione di quelle nei sobborghi ebraici di Gerusalemme est, oltre la Linea Verde del 1967. (R.P.)

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    Usa. 6mila emigranti morti in 15 anni: vescovi statunitensi celebrano una Messa sulla frontiera

    ◊   “Questa Messa è per i più di 6.000 morti alla sola frontiera di Nogales, 11 milioni di persone senza documenti in attesa di futuro, 30.000 bambini senza genitori che fuggono. Nel deserto qui vicino sono stati trovati più di 400 cadaveri di persone che volevano passare di qua…” Sono le dure parole pronunciate dal card. Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston durante la Messa. Il cardinale, insieme ad altri 8 vescovi, ha camminato e pregato ieri nel deserto di Nogales, in Arizona, ricordando migliaia di emigranti centroamericani morti durante il loro "viaggio doloroso" nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti. "Non li abbiamo dimenticati" ha detto il cardinale dopo aver percorso la linea di confine che separa l’Arizona dal Messico.

    Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, alla fine della marcia di preghiera, il vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Seattle, mons. Eusebio L. Elizondo Almaguer, che è anche il presidente della Commissione per i migranti della Conferenza episcopale degli Usa, ha affermato che "la frontiera fra Stati Uniti e Messico è la nostra Lampedusa; gli emigranti tentano di attraversarla in questo punto, ma spesso muoiono nel tentativo di farlo".

    All’inizio della celebrazione eucaristica ha preso la parola il vescovo di Tucson, mons. Gerald Frederick Kicanas, che ha detto: "Siamo una stessa cosa, sia a Nogales del Messico che a Nogales dell’Arizona" alludendo al fatto che la cittadina di Nogales è attraversata dalla frontiera tra i due Stati, che di fatto la divide in due. L’omelia del card. O’Malley ha ridato un po’ di serenità alla gente che partecipava alla Messa quando ha citato l’impegno di diffondere il Vangelo di un noto attore comico messicano, quindi ha evidenziato che nel dna degli Stati Uniti è scritto che si tratta di una nazione di migranti, e ha ricordato che le esperienze degli antenati provenienti dall’Irlanda, i cui sacrifici, come quelli di tanti altri immigrati, "sono stati il segreto del successo degli Stati Uniti". (R.P.)

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    Vertice Ue-Africa: al centro economia e sicurezza

    ◊   È un’Africa “con un atteggiamento più deciso” quella che si presenta al quarto summit Unione Europea-Africa di Bruxelles, in programma oggi e domani, ma “il cambio di mentalità non si è ancora tradotto in pratica”. A sostenerlo, parlando con l'agenzia Misna, è Geert Laporte, vicedirettore del think tank European Centre for Development Policy Management (Ecpdm): dai documenti preparatori, dice, “sono emersi più input da parte africana rispetto al passato, quando gli europei presentavano testi, per così dire, precotti”. Restano però sbilanciati i dati economici, presupposto ineliminabile del vertice, il cui tema è “Investire nelle persone, nella prosperità e nella pace”: l’Europa è ancora il primo partner per l’Africa sia negli investimenti diretti (221 miliardi di euro) che negli aiuti allo sviluppo (18,5 miliardi nel 2012, il 45% del totale).

    La delegazione Ue sarà guidata dal presidente della Commissione José Manuel Barroso e dal presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, che saranno affiancati dalle loro controparti dell’Unione Africana: Nkosazana Dlamini-Zuma e il presidente di turno dell’Ua, Mohamed Ould Abdel Aziz. A segnare la vigilia del vertice anche due importanti defezioni: il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, invitato nonostante le sanzioni europee contro di lui, non sarà presente dopo il rifiuto delle autorità di concedere un visto anche alla moglie Grace, mentre il sudafricano Jacob Zuma ha rinunciato a guidare la delegazione del suo Paese. Ci sarà invece il capo di Stato nigeriano, Goodluck Jonathan, il cui Paese nei giorni scorsi ha spinto il blocco regionale dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) a rinviare l’adesione agli accordi di partenariato economico (Ape/Epa) con Bruxelles, visti come poco convenienti per l’Africa. Il tema potrebbe essere discusso a margine dei lavori, che si concentreranno sull’educazione, sugli incentivi agli investimenti e alla crescita e sulle politiche di sicurezza.

    “Non mi aspetto accordi di sostanza” dice a questo proposito Laporte, secondo cui “è molto importante come si deciderà di affrontare gli argomenti: esistono ancora fattori d’irritazione che vanno rimossi”. In generale, per il vice-direttore dell’Ecpdm, “serve un cambio di mentalità”: l’Europa “deve fare chiarezza sulle sue intenzioni e i suoi interessi” mentre l’Africa sarebbe più credibile “se potesse mobilitare risorse finanziarie proprie nelle questioni chiave”. (R.P.)

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    Iran: un cristiano in carcere inizia lo sciopero della fame

    ◊   Vahid Hakkani, cristiano convertito dall’islam, in prigione da circa un anno perché “frequentatore di una chiesa domestica”, ha iniziato lo sciopero della fame, nonostante le sue precarie condizioni di salute, per protestare contro il rigetto del suo ricorso per la libertà su cauzione. Hakkani, originario della cittadina di Shiraz, è stato arrestato a giugno del 2013 con altri tre uomini, tutti condannati dal Tribunale della Rivoluzione. La pena inflitta ai quattro è di tre anni e otto mesi di carcere “per aver frequentato riunioni in una chiesa domestica, contattando ministri cristiani stranieri, attentando alla sicurezza nazionale”.

    Hakkani ha iniziato lo sciopero della fame il 20 marzo scorso, anche se soffre di un disturbo intestinale piuttosto grave e ha già subito un intervento chirurgico. Come riferisce una nota inviata all'agenzia Fides da “Mohabat News”, la sua salute si sta deteriorando ogni giorno e esiste la possibilità che le autorità carcerarie lo trasferiscano in isolamento perché si rifiuta di porre fine allo sciopero della fame.

    Con l'elezione di Hassan Rouhani come Presidente iraniano, erano nate nuove speranze per il miglioramento della libertà religiosa per le fedi non islamiche nel Paese. Ahmed Shaheed, Osservatore speciale del “Consiglio Onu per i diritti umani”, ha pubblicato il 22 marzo un Rapporto che descrive la difficile situazione che tuttora vivono le minoranze religiose nel Paese. Secondo il Rapporto, alla data del 3 gennaio 2014, almeno 307 membri delle minoranze religiose erano in carcere in Iran per motivi di culto. Fra questi 136 baha’i, 90 musulmani sunniti, 50 cristiani, 19 dervisci e due zoroastriani. (R.P.)

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    Egitto: il premier Mahlab ringrazia la Chiesa cattolica per il suo ruolo educativo nel Paese

    ◊   Il collegio de La Salle di Daher, in Egitto, una scuola cattolica che si colloca nel solco della tradizione educativa lasalliana, ha accolto un suo ex studente, Ibrahim Mahlab, primo ministro egiziano e qui diplomatosi nel 1967. Alla presenza di tutta la comunità scolastica, guidata dal suo direttore padre Medhat Nassif, e di Mahmoud Aboul-Nasr, ministro dell’educazione, il premier egiziano ha ricordato gli anni della sua formazione, esprimendo la propria gratitudine ai Fratelli delle Scuole Cristiane – fondati nel XVII secolo da Giovanni Battista de La Salle – evidenziandone la qualità e la serietà raggiunte nel campo dell’insegnamento e della cultura. Inoltre, Mahlab – sottolineando quanto la sua carriera politica sia legata alla formazione ricevuta dai lasalliani – ha manifestato il proprio ringraziamento alle istituzioni educative cattoliche, per il loro impegno in favore diffusione del sapere nella gioventù egiziana. (G.P.)

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    Zimbabwe: migliaia di sfollati per il cedimento di una diga. L’appello della Chiesa

    ◊   La diocesi di Masvingo, nel sud-ovest dello Zimbabwe, ha lanciato un appello per soccorrere migliaia di persone che hanno perso case, terreni e bestiame dopo il parziale cedimento della diga Tokwe-Mukosi, causato dalle incessanti piogge, lo scorso febbraio. Una parte dei senza tetto è stata trasportata dagli elicotteri delle forze aeree dello Zimbabwe e della Namibia, gli altri sono stati accolti nel campo di Chingwizi. “Le condizioni nel campo di fortuna di Chingwizi sono sub-umane” ha riferito al quotidiano “New Zimbabwe” padre Peter Chimombe, responsabile delle comunicazioni sociali della diocesi di Masvingo. “Le persone accolte nel campo sembrano dei rifugiati in una situazione di guerra” ha aggiunto.

    “Il principale problema che queste persone devono affrontare è psicologico. Mentre le vittime dell’inondazione aspettano di essere trasferite in altri luoghi, tutto quello che possono fare è non far niente ed aspettare” afferma il sacerdote che sottolinea come la lunga attesa stia seminando rabbia e frustrazione. “Predicare a queste persone serve poco a calmare la loro rabbia, che sta raggiungendo il punto di ebollizione al punto che se la prendono anche con Dio che ha permesso al disastro di accadere”. La disperazione degli sfollati è aggravata infine dalle pessime condizioni igieniche del campo (mancano acqua potabile e latrine, e si teme il diffondersi di epidemie) oltre che dagli sciacalli che hanno depredato i pochi beni loro rimasti. (R.P.)

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    Card. Tagle: il boom economico esclude il popolo filippino

    ◊   A dispetto della tanto sbandierata crescita economica, in ampie sacche del Paese povertà e disoccupazione crescono a un ritmo allarmante. È il paradosso denunciato dall'arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, secondo cui il governo filippino continua a fregiarsi di uno sviluppo economico-commerciale, che non trova affatto riscontro nella situazione reale per gran parte della popolazione. Il porporato sottolinea che è doveroso evidenziare i progressi compiuti dall'esecutivo e dal settore degli affari ma, aggiunge, è "allarmante osservare che il tasso di povertà non è affatto diminuito".

    Intervistato nel corso della trasmissione Everyday Faith Live, programma trasmesso dal network cattolico newyorkese Tele Care, il card. Tagle ha affrontato il tema degli squilibri nell'economia del Paese asiatico. Il porporato - riferisce l'agenzia AsiaNews - nota che, lo scorso anno, a dispetto del più alto tasso di crescita del Pil registrato dalle Filippine fra le nazioni del Sud-est asiatico, non si capisce "dove sia finita" questa ricchezza. E come sia possibile che "il popolo, la gente comune resti povera".

    L'autorità nazionale di statistica (Psa) ha pubblicato di recente un rapporto, che conferma la crescita del livello di disoccupazione nelle Filippine, a dispetto degli obiettivi di crescita conseguiti con largo margine. A gennaio il tasso ha toccato il 7,5%, rispetto al 7,1% dello scorso anno; il tutto a fronte di una crescita del Prodotto interno lordo (Pil) del 7,2%, seconda economia in Asia dopo la Cina (+7,7%). Sono almeno 2,96 milioni le famiglie senza un impiego all'inizio del 2014, a fronte dei 2,78 milioni dei 2013. Sono inoltre cresciuti i nuclei familiari che vivono al di sotto degli standard di povertà (55%) e che non hanno a disposizione cibo a sufficienza (41%).

    Il richiamo del cardinale Tagle conferma l'attenzione della Chiesa verso i poveri, come già avvenuto nel recente passato con il duro monito dell'ausiliare di Manila contro gli abusi e le discriminazioni delle istituzioni nei confronti della frangia più debole della popolazione. Mons. Broderick Pabillo ha ricordato come la politica economica del governo contribuisca "in maniera decisiva all'allargamento della forbice" fra ricchi e poveri. (R.P.)

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    Il card. Scola: "Dal Calvario nessun uomo che muore è solo"

    ◊   “Nelle quattro stazioni di questa sera abbiamo percorso le ultime tappe del cammino doloroso di Gesù, fino alle terribili ore della sua agonia sulla Croce. Ciascuno di noi, almeno dei più anziani come me, ha ben in mente l’agonia di qualcuno dei propri cari. Lo strazio di essere lì, accanto a loro, ma incapaci di risparmiargli anche solo un istante di quella lotta durissima e solitaria. L’impotenza, nonostante l’amorevole vicinanza, a liberarli da quella tremenda solitudine e dallo spavento del proprio male e della morte”. Lo ha detto ieri sera il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nella terza Via Crucis, che sta guidando nei martedì di Quaresima nel duomo di Milano.

    “Da quel drammatico pomeriggio sul Calvario di duemila anni fa - ha osservato il porporato -, nessun uomo che muore è solo. Gesù è con tutti gli uomini che muoiono. Condivide ogni spasimo della loro agonia e si dona loro. Di più, li perdona (per-dono: nel dono è stato inserito un moltiplicatore infinito). ‘Padre, perdona loro’”. Il cardinale - riferisce l'agenzia Sir - ha evidenziato poi che “la vita è una cosa seria, ma noi, per la nostra costitutiva fragilità e forse per il contesto in cui siamo immersi, siamo portati a banalizzarla, a mettere il silenziatore sulla responsabilità delle nostre azioni o a scaricarla su persone e circostanze fuori di noi”.

    “Cristo, il nuovo Adamo, ha preso su di sé e in sé tutta la debolezza e la mortalità della carne del vecchio Adamo. In Adamo ed Eva la nudità del corpo da trasparente segno della natura comunionale della persona diventa, dopo il peccato, oggetto di vergogna”, ha affermato il card. Scola. Ma “la com-passione totale di Cristo che si lascia spogliare di ogni suo diritto divino, restituisce al nostro corpo la sua dignità originaria e lo destina alla resurrezione. Quante decisive conseguenze della spoliazione del Redentore!”.

    Il porporato riprende quindi una frase di Gesù sulla croce: “Padre perdona loro”. Si tratta di “una delle ultime, preziose parole di Gesù sulla croce”, che “è spesa per ribadire, ancora una volta, la misericordia”. Per l’arcivescovo di Milano, “a questa esperienza così indispensabile per la vita dell’uomo, della famiglia oltre che per la vita buona della società e del mondo, deve corrispondere l’assenso pieno e grato della nostra libertà: ‘Egli ti ama, ti guarda e ti ha riscattato, cammina con lui e vivi per lui. Ammira, ringrazia, ama, loda e adora’”, come scriveva san Bonaventura. (R.P.)

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    Brasile. “Per un futuro in libertà e democrazia”: messaggio dei vescovi a 50 anni dal golpe militare

    ◊   Il Consiglio episcopale della pastorale (Consep) dei vescovi del Brasile ha approvato una dichiarazione sul 50.mo anniversario del golpe civile-militare, intitolata "Per tempi nuovi, con libertà e democrazia". Il testo, inviato all’agenzia Fides, è firmato dalla presidenza della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), e sollecita le "generazioni post-dittatura a rimanere attive nella difesa dello Stato democratico di diritto". I vescovi ricordano "i 21 anni che hanno reso il Brasile un Paese di dolore e di lacrime" e hanno anche ribadito "l'impegno della Chiesa per la difesa della democrazia partecipativa e con giustizia sociale per tutti". (R.P.)

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    A Rio si gioca il Mondiale dei ragazzi di strada

    ◊   A Rio de Janeiro vincono i ragazzi di strada. La Coppa del mondo sarà loro, vincano i padroni di casa, il Burundi, la Liberia o il Pakistan. “Le squadre africane sono le più numerose” dice all'agenzia Misna Ruth Peacock, portavoce di un torneo che forse vale di più del Mundial “vero” che si terrà a Brasile a giugno e luglio.

    Ieri, alla Street Child World Cup, gli ultimi colpi li hanno fatti il Burundi e il Pakistan. Che hanno battuto rispettivamente le Filippine, 4-0, e l’India, 13-0. La selezione africana è allenata da Dieudonné Nahimana, ex ragazzo di strada fondatore dell’associazione caritativa New Generation. “In squadra e in panchina – ha detto ai giornalisti – abbiamo sia hutu che tutsi: vogliamo mostrare che si può vivere insieme, in pace, superando i conflitti e l’odio del passato”.
    Anche nel Pakistan giocano ragazzi aiutati da ong impegnate nel sociale. Come Raziq Mushtaq, 15 anni, autore di otto gol all’India, arrivato in Brasile grazie alla Fondazione Azad. Ora sogna di superare il girone eliminatorio e giocare la finale, in programma la settimana prossima. Le nazionali sono 19, sia maschili che femminili. I giocatori 230, tutti di età compresa tra i 14 e i 17 anni.

    “La Coppa – sottolinea Peacock – è organizzata con il sostegno di Save the Children e affianca Criança Não é da Rua, una campagna brasiliana che mira a contrastare il fenomeno dei bambini di strada”. Niente di strano, allora, che a fare il tifo sia anche la Chiesa. Venerdì scorso alla cerimonia di apertura della Coppa ha assistito l’arcivescovo di Rio, il card. Orani Tempesta, che ha portato la benedizione e l’incoraggiamento di Papa Francesco, primo pontefice latinoamericano della storia ma soprattutto appassionato di calcio. (R.P.)

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    Canada: il 2 aprile proclamato in Ontario Giornata di Papa Giovanni Paolo II

    ◊   L’Assemblea legislativa della provincia canadese dell’Ontario ha proclamato il 2 aprile di ogni anno “Giornata di Papa Giovanni Paolo II”. Il progetto di legge, presentato dalla deputata liberale Dipika Damerla, è stato approvato all’unanimità nelle scorse settimane ed entrerà in vigore da oggi, giorno dell’anniversario della morte di Papa Wojtyla, che sarà canonizzato il prossimo 27 aprile da Papa Francesco insieme al Beato Giovanni XXIII.

    Giovanni Paolo II “è stato uno dei grandi leader spirituali della nostra epoca”, così motiva la decisione il preambolo della Legge 72 che ricorda il grande contributo del Papa polacco alla caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est e non solo. Con il suo impegno “per la comprensione internazionale, la pace e la difesa dell’uguaglianza e dei diritti della persona”, si legge nel testo, ha lasciato un patrimonio “particolarmente rilevante per tradizioni e l’esperienza interconfessionale e multiculturale del Canada”. Il preambolo ricorda inoltre il grande l’entusiasmo con cui fu accolto dalle comunità dell’Ontario in occasione delle sue due visite nella provincia, nel 1984 e nel 2002. (L.Z.)

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    Canada: Messaggio dei vescovi per la campagna "Quaresima di condivisione"

    ◊   “Morire di fame nel nostro mondo dell’abbondanza è uno scandalo”: è quanto scrive mons. Paul-André Durocher, presidente della Conferenza episcopale canadese, nel suo messaggio per la Campagna di Quaresima. Richiamando l’iniziativa mondiale di Caritas Internationalis “Una sola famiglia umana, cibo per tutti”, lanciata nei mesi scorsi con l’adesione di Papa Francesco, mons. Durocher sottolinea che oggi “morire di fame è la negazione di uno dei più fondamentali tra i diritti umani: quello all’alimentazione”. Di qui, l’esortazione ai fedeli affinché contribuiscano alla campagna di Quaresima, “condividendo l’abbondanza della creazione di Dio con tutti i fratelli e le sorelle del mondo, così da porre fine all’ingiustizia della fame”.

    Il presule sottolinea, poi, come i cattolici del Canada aiutino, tramite la Caritas locale, più di 100 progetti di sviluppo in 20 Paesi del mondo. “Il denaro raccolto in Quaresima – spiega il presidente dei vescovi di Ottawa – servirà anche ad educare le popolazioni riguardo alle cause profonde della povertà e dell’ingiustizia, al fine di mobilitarle alla ricerca di un cambiamento”. L’auspicio conclusivo del presule è che si prosegua nel “cammino di sensibilizzazione alla sovranità alimentare del popoli” e si giunga “all’eliminazione della fame nel mondo”. (A cura di Isabella Piro)

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    Comunione e Liberazione: don Carron rieletto presidente per i prossimi 6 anni

    ◊   Don Julián Carrón, indicato nel 2004 da don Luigi Giussani come suo successore alla guida di Comunione e liberazione, a conclusione del suo mandato è stato rieletto all’unanimità, con una sola scheda bianca, per i prossimi sei anni. A dare notizia dell’avvenuta rielezione, lo scorso 29 marzo, è stato lo stesso don Carrón con una lettera a tutto il movimento.

    “Nessuno doveva sentirsi in debito nei miei confronti, neanche chi era stato indicato da me per partecipare alla diaconia”, spiega don Carrón, affermando che “nel cercare la persona più adeguata per la guida, l’unica preoccupazione doveva essere il bene del movimento” obbedendo “al Mistero nell’identificare la persona ritenuta più adatta per portare avanti la nostra storia, affinché possiamo rispondere in modo sempre meno inadeguato alla richiesta di papa Francesco di essere testimoni dell’essenziale in ogni periferia esistenziale”. L’invito, infine, “a rinnovare il desidero di camminare insieme verso il destino, Cristo che ci ha conquistati, per diventare sempre più figli di don Giussani”. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 92

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.