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Sommario del 31/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco all’Angelus: dominare con forza del Vangelo i rischi di mondanità

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I rischi della mondanità si possono dominare con la forza del Vangelo: così il Papa stamane all’Angelus, invitando a discernere la volontà di Dio nella propria vita. Poi l’auspicio di Francesco a rispettare la natura, in occasione della Giornata per la custodia del creato, dedicata quest’anno alla salute dei nostri Paesi e delle nostre città, che sarà celebrata domani in Italia. Il servizio di Roberta Gisotti

Ispirato dal Vangelo domenicale, Francesco ha evidenziato il rimprovero di Gesù a Pietro quando non riesce ad attribuire al maestro una fine cosi ignobile, perché Pietro non pensa ‘secondo Dio, ma secondo gli uomini’ e senza accorgersene fa la parte di satana il tentatore”. Così anche l’apostolo Paolo – ha ricordato il Papa - scrive ai cristiani di Roma: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio”.

“In effetti, noi cristiani viviamo nel mondo, pienamente inseriti nella realtà sociale e culturale del nostro tempo, ed è giusto così; ma questo comporta il rischio che diventiamo 'mondani', il rischio che 'il sale perda il sapore', come direbbe Gesù, cioè che il cristiano si 'annacqui', perda la carica di novità che gli viene dal Signore e dallo Spirito Santo”.

Al contrario, se “la forza del Vangelo” “rimane viva” “può trasformare” giudizi, valori, interessi, pensieri, modelli di vita. Ma come fare in pratica? “Leggendo e meditando il Vangelo – ha suggerito il Papa - ogni giorno, così che la parola di Gesù sia sempre presente nella nostra vita”.

"Ricordatevi: vi aiuterà portare sempre il Vangelo con voi, un piccolo Vangelo, in tasca, nella borsa, e leggerne durante il giorno un passo. Ma sempre con il Vangelo, perché è portare la Parola di Gesù, e poterla leggere".

C’è inoltre la Messa domenicale, “dove – ha spiegato Francesco - incontriamo il Signore nella comunità, ascoltiamo la sua Parola e riceviamo l’Eucaristia che ci unisce a Lui e tra noi” e molto importanti sono anche “le giornate di ritiro e di esercizi spirituali”. Dunque “Vangelo, Eucaristia, preghiera”: grazie a questi doni del Signore possiamo conformarci – ha osservato il Papa - non al mondo, ma a Cristo, e seguirlo sulla sua via, la via del ‘perdere la propria vita’ per ritrovarla”

“'Perderla' nel senso di donarla, offrirla per amore e nell’amore – e questo comporta il sacrificio, la croce – per  riceverla nuovamente purificata, liberata dall’egoismo e dall’ipoteca della morte, piena di eternità".

Dopo la preghiera mariana, Francesco ha ricordato la Giornata per la custodia del creato:

“Auspico che si rafforzi l’impegno di tutti, istituzioni, associazioni e cittadini, affinché sia salvaguardata la vita e la salute delle persone anche rispettando l’ambiente e la natura”.

Un saluto particolare tra i pellegrini in piazza è andato ai partecipanti all’incontro dell’associazione benefica “Scholas Occurentes”, che beneficerà  del ricavato della Partita interreligiosa della Pace, che verrà disputata domani sera all’Olimpico di Roma, per finanziare il progetto “Un’alternativa di vita”.

“Continuate nel vostro impegno con i bambini e con i giovani, lavorando nell’educazione, nello sport e nella cultura. E vi auguro una buona partita, domani, allo Stadio Olimpico!”.

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Lettera del Papa alla gente di Beslan, a 10 anni dalla strage

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Sarà padre Paolo De Carli, - la notizia è riportata dal Giornale di Brescia - il latore di una lettera scritta dal Papa alla gente di Beslan, in vista del decimo anniversario della strage, avvenuta nella città dell’Ossezia del Nord, tra il primo e il 3 settembre del 2004, a seguito del sequestro in una scuola di circa 1200 persone da parte di separatisti islamici ceceni e l’irruzione delle forze speciali russe. Massacro costato la vita a 331 ostaggi, tra cui 186 bambini, oltre a fare 700 feriti. Padre De Carli, allora priore del Convento carmelitano della Lastre a Trento, ha ospitato per mesi un gruppo di 63 cittadini di Beslan. Per questo il Papa lo ha chiamato al telefono, affidandogli una lettera che il sacerdote carmelitano - oggi direttore dell’Istituto scolastico “Madonna della Neve” di Adro - porterà con sé nei prossimi giorni, quando visiterà la cittadina osseta, in occasione della commemorazione delle vittime della strage.

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Card. Sandri a Bucarest: dialogo sincero con greco cattolici e ortodossi

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“L’intercessione del beato Vladimir Ghika, di cui celebriamo il primo anniversario della beatificazione, aiuti soprattutto il cammino di comunione tra le Chiese cattoliche latina ed orientale con i fratelli ortodossi". Così questa mattina il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nell’omelia della Messa che ha presieduto nella cattedrale latina di san Giuseppe a Bucarest. Il porporato in questi giorni, è in visita  nella capitale rumena,  in occasione della solenne inaugurazione dell’Eparchia di San Basilio Magno in Bucarest e l’insediamento del primo vescovo, mons. Mihai Frăţilă.

Ripercorrendo il passo domenicale del Vangelo, il cardinale Sandri ha spiegato che “Siamo di fronte anche in questa Eucarestia al dono della vita di Gesù alla sua determinazione e ferma decisione di fare la volontà del Padre. Ma siamo consapevoli del peccato di Pietro che è anche il nostro: pensare secondo la logica del mondo, cercando il rifugio nelle nostre false e fragili sicurezze. E vogliamo far nostro il grido del profeta Geremia, che nel lamento in realtà fa crescere una grande invocazione: esprime il desiderio della dolce e forte presenza di Dio nella sua vita e di quella del popolo dell'alleanza.”  Il porporato ha quindi ricordato che il primo segno della credibilità del discepolato deve essere l'armonia vissuta insieme alla Chiesa Greco-cattolica, l'apertura al dialogo franco e sincero con i fratelli della Chiesa Ortodossa di Romania, e la comune gara nel servizio della carità, particolarmente per i più poveri, i sofferenti e coloro che hanno smarrito la speranza per i drammi familiari, del lavoro e della solitudine.

“Corriamo col pensiero e con la preghiera – ha auspicato ancora il cardinale Sandri - anche ai nostri fratelli e sorelle dell'Iraq, della Siria, dell'Ucraina. A coloro che sono messi alla prova a motivo della loro fede, strappati dalle loro case marchiate con il nome del Nazareno, privati non di rado degli affetti più cari, violati nell'innocenza dei bambini e nella dimensione sponsale delle donne, sia dato di conoscere, il fuoco divorante dell'amore di Dio, che ci ha sedotto e ha conquistato il nostro cuore.”

Ricordando infine i continui richiami all'esercizio della speranza e della carità fraterna fatti da Francesco, il porporato ha concluso: “Nell'imminenza del primo anniversario del 'grande esorcismo' sulla violenza che si stava per scatenare in Siria,  ancora con lui - ha detto - preghiamo, digiuniamo, intercediamo.” (M.T.)

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Mons. Celli: la Chiesa se non comunica non è Chiesa

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Dal primo al 4 settembre si svolgerà a Cochabamba, in Bolivia, un Seminario sulle comunicazioni sociali per i vescovi di Bolivia, Ecuador e Perù. All’appuntamento interviene anche mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Sergio Centofanti lo ha intervistato: 

R. – Questo seminario vedrà l’apporto di esperti del settore, per aiutare i vescovi a capire che cosa sta avvenendo nel mondo della comunicazione, oggi, per aiutare i vescovi a riscoprire la missione comunicativa della Chiesa. La Chiesa se non comunica non è Chiesa, perché la missione vera e propria della Chiesa è quella di annunciare il Vangelo, di annunciare Gesù nel mondo di oggi. E la Chiesa lo deve fare utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione. Io amo sempre ricordare a questo proposito ciò che diceva Paolo VI nella sua esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi” - siamo nel 1975 – “la Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore, se non utilizzasse tutti i mezzi che la tecnologia mette a sua disposizione, per annunciare il Vangelo”.

D. - Quale cammino state facendo con i vescovi latino-americani?

R. - Con i vescovi latino-americani, stiamo facendo un cammino di questo genere: riscoprire questa necessità, questa missione forte che la Chiesa ha di annunciare il Vangelo. Lei ricorderà che i vescovi latino-americani, riuniti ad Aparecida, hanno scritto nel loro documento finale che ogni discepolo di Gesù deve essere missionario nel suo ambiente, e questo molto di più i vescovi, che svolgono la missione di pastori all’interno della comunità dei discepoli del Signore Gesù.

D. Qual è la grande sfida di oggi?

R. - Direi che questa sia la grande sfida di oggi, vale a dire riscoprire anche che non abbiamo più solamente dei mezzi di comunicazione a nostra disposizione, come una volta - al tempo del Concilio Vaticano II, i mezzi erano semplicissimi, c’era solamente la stampa, la radio, la televisione e il cinema - oggi le nuove tecnologie digitali hanno creato un ambiente, hanno dato vita ad un continente digitale. E la grande sfida per la Chiesa è vedere come annuncia il Vangelo, annuncia Gesù proprio in questo ambiente di vita, che noi oggi chiamiamo il “continente digitale”. Lei pensi oggi alle grandi reti sociali, reti sociali dove abitano – io amo molto utilizzare questo verbo, perché non è più solamente un’utilizzazione delle reti sociali, ma la gente vi passa ore ed ore, abita nella rete sociale – ecco, la grande sfida per la Chiesa è vedere come annunciare il Vangelo in questo contesto abitativo. E perché? Perché in questo contesto, in questo ambiente di vita, molti sono presenti e non avranno altro mezzo per ascoltare il messaggio del Vangelo se non attraverso qualcuno che abita lo stesso continente digitale. E in questo continente rivolge ancora una volta lo stesso annuncio, l’annuncio del Vangelo.

D. – In questi Paesi c’è tanta povertà. Come arrivare con i mass media alle persone più disagiate?

R. – In questo contesto abitativo, in questo ambiente, abbiamo gran parte di queste periferie esistenziali delle quali parla Papa Francesco, e qui direi che è verissimo, ed è per noi motivo di una riflessione profonda, l’invito che Papa Francesco ci ha rivolto con il suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni, cioè dobbiamo creare una cultura dell’incontro. E’ molto bello quello che dice Papa Francesco, che le porte delle chiese devono essere aperte, perché chi passa per strada possa entrare, ma anche perché i discepoli del Signore percepiscano che la loro missione è uscire, è andare all’incontro dell’uomo e della donna di oggi. Il Papa usa quest’espressione: “periferie esistenziali”. Direi che la cosa importante sia proprio questa: percepire che la Chiesa deve essere accanto, deve farsi prossima. Ecco perché il Papa quest’anno parlava di comunicazione come prossimità. Ecco, la comunicazione per noi vuole dire proprio questo: farsi prossimo all’uomo e alla donna di oggi che, nella fatica del vivere, percorrono le nostre strade; e dovremmo essere accanto non per giudicare, ma per condividere un cammino.

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Diretta della Radio Vaticana per la Partita interreligiosa della Pace, all’Olimpico di Roma

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Lunedì 1 settembre, Programma speciale della Radio Vaticana, in occasione della Partita interreligiosa della Pace, che sarà disputata - domani nello Stadio Olimpico di Roma - dalle 20.40 alle 22.40. Tre cronisti della nostra emittente accompagneranno in diretta l’evento con ospiti in studio e voci dagli spalti.

A scendere in campo all’Olimpico, come è noto, saranno due squadre, ricche di campioni di varie nazionalità, non una contro l’altra, ma insieme per la pace. Il ricavato verrà destinato al progetto “Un’alternativa di vita”, promosso da “Scholas Occurentes”, ente educativo voluto da Papa Francesco e dall’Associazione “P.u.p.i. Onlus”, fondata dall’ex calciatore argentino Javier Zanetti e da sua moglie Paula. L’obiettivo è la costruzione di una rete di interscambio di progetti educativi e di valori per favorire la cultura dell’incontro e della pace. Per sostenere l’iniziativa “Un’alternativa di vita” si può inviare un sms solidale al numero 45593.

Il Programma Speciale della Radio Vaticana affronterà i temi dello sport, come occasione di incontro e di fraternità fra persone di Paesi, culture e fedi diverse; si parlerà dell’impegno per la pace e del ruolo dell’educazione e della formazione dei giovani, oggi più che mai necessari per contrastare i ‘cattivi maestri’ dello scontro e della violenza.

Inizio della trasmissione, lunedì 1 settembre, alle ore 20.40, sulla frequenza nazionale del DAB+ RadioVaticanaItalia, via Internet e sulle App della Radio Vaticana sul Canale Audio 5, o sulle frequenze radio: FM 105 MHz e l’OM 585 kHz per la zona di Roma.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: ultimatum Ue alla Russia. Tra sette giorni nuove sanzioni

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Ieri sera vertice straordinario dell’Unione Europea sui temi di politica estera e in particolare sulla crisi in Ucraina. Ribadite dai capi di Stato e di governo dei Paesi Ue possibili nuove misure contro la Russia. Il servizio di Marina Tomarro

L'Unione Europea ha dato alla Russia una settimana di tempo per cambiare la rotta della sua politica in Ucraina se non vuole incorrere in nuove sanzioni. Il presidente uscente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, al termine del vertice dei leader europei ha spiegato che ''la situazione in Ucraina è  peggiorata. Preoccupano molto gli intensi combattimenti e la presenza dell'esercito e di armamenti russi nel Paese”.

Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha ribadito che ''c’è l'accordo unanime che non ci può essere una soluzione militare alla crisi. Il conflitto deve essere risolto per via politica''. E gli Stati Uniti hanno approvato la decisione dei leader dell'Ue, sottolineando come venga apprezzato "il forte sostegno alla sovranità ed integrità territoriale dell'Ucraina".

Intanto sul fronte di guerra una buona notizia: infatti, i dieci paracadutisti russi che erano stati catturati da Kiev in territorio ucraino quasi una settimana fa,  sono riusciti a tornare a casa  grazie a uno scambio di soldati: questa mattina all'alba i militari sono stati consegnati alle autorità russe al valico di Nekhoteyevka e in cambio la Russia ha consegnato 63 soldati ucraini che erano penetrati nel suo territorio mercoledì scorso, in fuga dai combattimenti.

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Jihadisti dell'Is: 2 miliardi di dollari tra soldi, racket e traffici

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Le forze irachene hanno rotto l'assedio di Amerli, riuscendo ad entrare nella città scita turcomanna, assediata dal 18 giugno dallo Stato islamico (Is). Ad annunciarlo il ministro per la Gioventù del governo di Baghdad, Jassem Hamad, che ha precisato che l’operazione era stata  preparata da giorni,  anche perché la popolazione, che è di fede sciita - e quindi considerata eretica dagli jihadisti sunniti -  cominciava ad essere in grave difficoltà a causa dello scarseggiare di cibo ed acqua. 

Ci si interroga intanto sulla provenienza del budget di due miliardi di dollari a disposizione  del sedicente Stato Islamico (Is), il movimento estremista di Abu Bakar al Baghdadi, che ha instaurato il Califfato nelle regioni settentrionali dell'Iraq e in quelle orientali della Siria.  Giada Aquilino ha intervistato Stefano Maria Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto di Medio Oriente, Mediterraneo e Studi islamici: 

R. – Come molti di questi gruppi jihadisti che esistono non soltanto in Iraq e in Siria, ma anche nella fascia del Sahel e in Nord Africa, in Nigeria, in Somalia, le fonti di finanziamento sono di vario tipo. Da un lato, vi sono sicuramente delle donazioni: soldi che vengono trasferiti da donatori privati, quindi persone, a volte anche facoltose e ricche, che decidono di stanziare veri e propri finanziamenti per questo gruppo. E’ un po’ più controverso, invece, quanto si possa dire con certezza che l’Is, come alcuni sostengono, riceva fondi direttamente da attori statali. Si è parlato molto di un sospetto coinvolgimento diretto del Qatar, in parte - in passato - dell’Arabia Saudita, della Turchia: però non vi sono assolutamente prove. Dall’altro lato, come appunto accade per molti gruppi, vi sono quelle fonti di finanziamento che l’Is può trovare in loco, sfruttando il controllo del territorio in cui si trova. Per esempio, sappiamo che il gruppo jihadista di al Baghdadi ha messo in piedi una sorta di sistema di racket - che per alcuni è stato paragonato ad una specie di sistema mafioso - a Mosul e nelle aree circostanti che secondo alcune stime può arrivare a fare entrare nelle casse del movimento fino a 8 milioni di dollari al mese. Sappiamo inoltre che l’Is controlla ormai di fatto una buona parte della produzione petrolifera, soprattutto della Siria, e che probabilmente vende sul mercato nero a prezzi ovviamente molto inferiori a quelli di mercato anche il petrolio e questo potrebbe fruttare - sempre secondo alcune stime - almeno da un milione a un milione e mezzo di dollari al giorno. Poi ci sono tutte quelle attività di traffici illeciti: non solo traffico di droga, che in quell’area in realtà non è così sviluppato, ma per esempio si è parlato molto del traffico di reperti archeologici, che fruttano centinaia di migliaia di dollari al movimento. C’è anche la cosiddetta “industria” dei sequestri di persona: l’Is, come sappiamo tristemente dal caso del giornalista americano James Foley, opera sequestri di persona non soltanto per propaganda, ma anche per ottenere riscatti e rimpinguare ancora notevolmente le casse del movimento.

D. – Come avvengono i trasferimenti di denaro? Si è ipotizzato, tra l’altro, che si starebbe usando il metodo “hawala”…

R. – E’ probabile. Ma possiamo soltanto fare delle ipotesi: non abbiamo elementi che possano aiutarci a tracciare esattamente le modalità.

D. – Cos’è il metodo “hawala”?

R. – L’“hawala” è un metodo di trasferimento di denaro informale; non comporta il trasferimento fisico di denaro. Prevede che la persona che voglia donare una quantità di denaro a un’altra persona in un altro Paese, si accordi e quindi consegni questa somma di denaro a una specie di intermediario, potremmo definirlo un ‘broker’, che si trova nel posto in cui è la persona. Questo ‘broker’ si mette in contatto con un altro ‘broker’ che si trova nel luogo in cui il denaro dovrebbe arrivare. Non avviene, dunque un trasferimento fisico di denaro, ma i due ‘broker’ si scambiano una specie di codice di trasferimento. Tale codice viene dato anche alla persona a cui dovrebbe arrivare il denaro. Quando, dall’altra parte, l’altro broker e la persona che deve ricevere il denaro si incontrano e il codice di trasferimento risulta lo stesso, avviene materialmente il trasferimento di denaro. Il secondo ‘broker’ ha quindi una disponibilità di liquidità tale per cui può egli stesso garantire e fornire i soldi. Come si rifarà il ‘broker’ di destinazione? Si rifarà nella transazione successiva.

D. – Perché l’Is, come pare i pirati somali o i talebani, starebbe usando questi canali?

R. – Si tratta di ipotesi. In passato, comunque, è stato un metodo di trasferimento di denaro usato da gruppi terroristici e non solo: infatti, viene utilizzato spesso anche dai lavoratori emigrati all’estero per mandare a casa le proprie rimesse. Tra l’altro, sicuramente si può ipotizzare pure che il denaro venga poi anche trasferito materialmente tramite dei corrieri.

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Incontro sul dialogo a Baku. P. Mazas: situazione mondiale preoccupante

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“Il dialogo interculturale: interazione tra cultura e religione”. E’ questo il tema della settima edizione degli incontri dedicati al dialogo che il Consiglio d’Europa organizza ogni anno. Questa volta l’incontro si svolge l’1 e 2 settembre a Baku, in Azerbaijan. All’evento parteciperanno esponenti cristiani, musulmani, ebrei, buddisti e rappresentantanti di convinzioni non religiose. Per la Chiesa cattolica ci sarà padre Jean-Marie Laurent Mazas, del Pontificio Consiglio della Cultura. Fausta Speranza lo ha intervistato: 

R. – L’incontro vuole guardare alla dimensione religiosa per un dialogo interculturale; nelle società in Europa c’è una componente religiosa nel dialogo interculturale. É ovvio che la situazione mondiale attuale è molto preoccupante. L’altro giorno il Papa diceva: “Siamo in una Terza guerra mondiale”. Sono coinvolti tanti posti, tanti luoghi diversi, anche nelle nostre società. Secondo me è molto importante fare questo incontro, non soltanto tra i capi religiosi, ma anche tra questi e le autorità del Consiglio d’Europa.

D. - Che spazio trova la religione nel dialogo interreligioso?

R. – Io partecipo a questo incontro parlando a nome della Chiesa cattolica. Noi imploriamo Dio di dare il dono della pace a questo mondo. Lo scopo della religione è proprio quello di alzare il grido dell’uomo verso Dio perché ci dia il dono della pace. Tutta l’educazione cristiana è rivolta all’amore. La cosa che noi abbiamo sempre detto ai responsabili della vita della società è che il dialogo interreligioso è un dialogo che si fa tra i religiosi, spetta a noi entrare in dialogo con le altre religioni. Ma chi è responsabile della vita della società deve anche assicurare le condizioni del dialogo: se vivo in una società che nega i diritti dei fedeli della mia religione, come faccio ad entrare in dialogo con le altre confessioni religiose di questo Paese?  

D. - Da parte del mondo laico, c’è forse la riscoperta – dopo anni in cui si voleva quasi mettere da parte la religione - che non si può prescindere dal ruolo delle religioni per fare un dialogo interculturale…

R. - Non so se questo accade ovunque, ma noi lavoriamo proprio per questo.

D. - Che cosa auspicare, in particolare, da questo incontro?

R. - Si tratta di riflettere, prima di tutto, sulla dimensione delle persone e poi dopo sul lavoro dei media. L’educazione mi permette di accettare l’altro anche se ha una religione diversa dalla mia. E’ fondamentale una conoscenza dell’altro, perché se non conosco l’altro, se la conoscenza che mi hanno trasmesso di lui è falsa, è difficile instaurare un vero dialogo. Dunque sono molto importanti la questione di un’educazione che non veicoli stereotipi e la questione dei media che giocano un ruolo molto importante sulle coscienze dei popoli. Chiediamo che ci sia un vero rispetto delle religioni e una vera conoscenza, che si fa, ovviamente, attraverso un dialogo vero, una vera collaborazione tra i responsabili dell’educazione e quelli delle religioni.

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Testimoni di libertà e speranze, in chiusura del Meeting 2014

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“Verso le periferie del mondo e dell’esistenza”. È stato questo il tema del Meeting di Rimini, conclusosi ieri pomeriggio con un incontro dedicato ai “Testimoni di libertà”. Il Papa, nel suo Messaggio dei giorni scorsi ai partecipanti, aveva invitato i cristiani a non perdere mai il contatto con la realtà. Il nostro inviato Luca Collodi ha chiesto un bilancio di questa edizione alla presidente della Fondazione Meeting per l'Amicizia tra i Popoli, Emilia Guarnieri

R. – Io sottolinerei il fatto che abbiamo avuto tanta gente agli incontri, che hanno affrontato temi di politica internazionale, ospitato grandi testimonianze dal mondo, trattato dell’economia reale, perché abbiamo avuto tantissimi imprenditori. Credo che questo significhi che la gente è interessata a questo: alla realtà della vita, più che al parlare sopra la vita.

D. – Al Meeting si è parlato molto dei cristiani che sono perseguitati, delle minoranze. Che cosa è venuto fuori che non si sapeva?

R. – Io credo che sia venuto fuori, da una parte, una realtà portata anche dal vescovo Warduni e dai protagonisti reali, cioè una realtà drammatica, su cui bisogna forse essere anche molto realisti; quindi, un grande realismo sulle cose; e, dall’altra parte, è venuta fuori però la testimonianza di comunità cristiane, e non solo cristiane, che vivono in questi luoghi e sono desiderose di restare in questi luoghi. Credo che anche questa sia una grande testimonianza.

D. – La sensazione è che da questo Meeting venga fuori anche una comunità internazionale priva di speranza, una comunità internazionale che vive alla giornata...

R. – Più che altro direi una comunità internazionale, forse, che non ha il coraggio di guardare in faccia quello che succede. Invece a noi pare proprio che siamo in un momento in cui l’uomo su questa Terra bisogna che si domandi: “Ma come si fa a vivere e per che cosa si può vivere?” Altrimenti siamo veramente destinati a morire.

D. – Guardando a questa edizione, come sta cambiando il Meeting di Rimini, anche in un cammino futuro?

R. – Ci sono tanti fattori su cui sicuramente dovremo riflettere. C’è un rapporto estremamente interessante, che si sta instaurando con i partner del Meeting, con tanti partner del Meeting; c’è una richiesta da parte del pubblico sempre più netta di cose vere, di cose reali. Anche la grandissima affluenza che c’è stata alle mostre, per esempio, dice di un interesse ad impattarsi con l’esperienza e con la realtà. Credo che dobbiamo sempre di più camminare in questa direzione. La gente ha voglia di esperienze vere, di pezzi di realtà con cui incontrarsi, da cui essere provocati, perché il cuore di ognuno possa crescere.

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Al via l'Assemblea generale dei Focolari: stabilirà gli orientamenti futuri

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Al via, questo lunedì primo settembre, l’Assemblea generale del Movimento dei Focolari, Opera di Maria, che segue quella tenutasi nel 2008 dopo la morte della fondatrice, Chiara Lubich. Al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, Roma, si sono dati appuntamento circa 500 delegati dei Focolari da tutto il mondo, con loro anche 49 invitati di cui 15 di chiese diverse da quella cattolica. L’Assemblea generale sarà chiamata ad eleggere la Presidente, il Copresidente e gli altri dirigenti del Movimento e a formulare gli indirizzi di vita e di azione per i prossimi sei anni. A conclusione dei lavori l’udienza in Vaticano con Papa Francesco. Sentiamo, al microfono di Adriana Masotti, Franco Pizzorno, focolarino sposato, uno dei due coordinatori della Commissione che ha preparato l’Assemblea: 

R. – Nel settembre 2013, la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, ha istituito questa Commissione composta da 20 persone di tutte le espressioni geografiche e culturali, e questa Commissione ha cercato soprattutto di raccogliere da tutte le espressioni del Movimento, in particolare anche dai giovani, le proposte, istanze, suggerimenti riguardanti le tematiche che sentivano più attinenti al momento di oggi dell’Opera. Questo ha portato come risultato a circa tremila istanze giunte nel corso dell’anno.

D. – Da tutto quello che è arrivato alla Commissione, si sono scelti poi alcuni temi: 12 sono quelli che, in particolare, verranno dibattuti dall’Assemblea …

R. – Sì, abbiamo potuto individuare una dozzina di tematiche fondamentali, delle quali tre in particolare sono risultate essere le più sentite e, direi, le più trasversali. Cioè: l’importanza dell’apertura verso il mondo esterno, l’importanza di mantenere ed approfondire l’unità dell’Opera e l’importanza della formazione. Possiamo riassumere queste cose dicendo: andare fuori, insieme, preparati. Su queste tre tematiche di fondo si innestano altre 8-9 tematiche specifiche: il problema della famiglia oggi, il rapporto con la Chiesa e le Chiese, l’apertura a tutte le altre religioni, eccetera.

D. – Anche solo dai titoli si avverte che il Movimento si sente fortemente interpellato ad uscire, a guardare ancora di più al mondo, e anche a un’immersione nell’attualità …

R. – Diciamo che è nel DNA del Movimento dei Focolari, questa apertura verso il mondo. Infatti, il nostro obiettivo è l’ “Ut unum sint” – Che tutti siano uno. Ma naturalmente, anche la lettura di ciò che avviene nel mondo, con le sue contraddizioni, le sue piaghe, le sue difficoltà, ci ha stimolato ancora di più ad aprire l’orizzonte dell’Opera in quella direzione. In particolare, poi, la parola e l’esempio di Papa Francesco, questa apertura verso le periferie… come movimento cattolico vogliamo anche rispondere a questa indicazione della Chiesa.

D. – Guardando sia alla fase di preparazione, sia all’Assemblea stessa, spicca la ricchezza dello scambio tra culture, etnie, nazionalità diverse. Come si riesce a mettere insieme un popolo così variegato e a tener conto delle diverse esigenze?

R. – Certamente, la sfida non è semplice però, come anche la piccola esperienza che abbiamo fatto come Commissione preparatoria, persone di differenti provenienze geografiche, culturali e vocazionali, siamo riusciti a creare una grande unità tra di noi e quindi a mediare anche, a cercare di raccogliere le diverse istanze, così io sono fiducioso che all’interno dell’Opera, dove in fondo è continuo questo esercizio di farsi uno tra di noi e di ascoltare fino in fondo gli altri, questo sarà sicuramente lo strumento valido per arrivare a formulare indirizzi concreti. Anche perché l’unità tra di noi, che vogliamo tenacemente perseguire, porterà la luce dello Spirito Santo per discernere correttamente le vie da percorrere.

D. – In un mondo in cui sembra di nuovo prevalere il conflitto, il carisma del Movimento spicca attualissimo e forte …

R. – Certamente. Direi più che mai, laddove proprio le ferite della società e dell’umanità sono così evidenti e drammatiche, per non dire tragiche, proprio lì ci sentiamo di essere chiamati come cristiani e come membri di questo Movimento a cercare di portare in queste spaccature il contributo dell’unità, che poi è l’unica vera possibile medicina e soluzione per tutti questi traumi. Il carisma di Chiara Lubich è stato proprio questo: il carisma dell’unità di per sé chiama ciascuno di noi a essere portatore di questa unità ovunque siamo, a cominciare dal nostro quotidiano, a cominciare dalle istituzioni nelle quali viviamo, a cominciare dalla Chiesa, a cominciare anche dalle istituzioni internazionali.

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Cinema Venezia: in mostra un'Italia a tinte nere

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I primi film italiani alla Mostra del Cinema di Venezia descrivono in modo inquietante sistemi di microcriminalità diffusi e corruzione delle famiglie e degli adolescenti: situazioni e realtà che pur in un contesto narrativo di finzione registi particolarmente sensibili raccontano senza sconti e con grande intensità drammatica. Il servizio di Luca Pellegrini

Crepe nelle anime che sono grigie e nere; estorsioni come fonte di guadagno sicura, crediti illeciti riscossi senza pietà attraverso un sistema criminale diffuso; violenze covate sotto la cenere in famiglie perbene e borghesi che trasformano i cuori di tutti, genitori e figli, aprendo alla più feroce intolleranza e alla vendetta gratuita. E’ un’Italia brutale, pericolosa, senza futuro, quella che emerge in alcuni film presenti alla Mostra veneziana. Il cinema è un radar acuto, registi sensibili non mancano di captarne i segnali: se questo accade, significa che una parte delle storie narrate sul grande schermo hanno una loro ragione di essere e un legame alla nostra realtà. Francesco Munzi nel bellissimo “Anime nere”, in concorso, applaudito lungamente dal pubblico e unanimemente elogiato dalla critica, sposta sulle brulle sommità dell’Aspromonte, in una famiglia di tre fratelli calabresi, le dinamiche di una tragedia shakespeariana, in cui la fedeltà alle regole della ‘drangheta diventano le leggi della vita e della morte; Michele Alahique per la sua opera prima presentata in Orizzonti, “Senza nessuna pietà”, segue da vicino la storia di Mimmo, interpretato da Pierfrancesco Favino, assoldato per riscuotere i crediti dello zio - e almeno un rigurgito di coscienza alla fine lo dimostra, grazie a un incontro improvviso -; “I nostri ragazzi” di Ivano De Matteo, alle Giornate degli Autori, liberamente tratto dal romanzo di successo “La cena” di Herman Koch, entra direttamente nella quotidianità di due famiglie legate da parentela, in cui i due cugini dimostrano di non avere problema alcuno nell’essersi resi complici di un omicidio immotivato, scatenando nei genitori reazioni imprevedibili e cattive. Insomma, la Penisola non è immune dal clima torbido del mondo e il cinema non fa sconti nel descriverlo. Ovunque. Per ora.

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Nella Chiesa e nel mondo



Domani nona giornata nazionale per la Custodia del creato promossa dalla Cei

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«Educare alla custodia del creato, per la salute dei nostri Paesi e delle nostre città»: è il tema della nona Giornata per la custodia del Creato promossa dalla Conferenza episcopale italiana,  che si celebra domani  in tutta Italia. Nel messaggio diffuso dalla Cei si dà voce al grido di dolore di quanti hanno avuto l’esistenza spezzata a causa dei disastri ecologici, dei mutamenti climatici, della terra desertificata, dei tumori causati dall’inquinamento. Appassionato è l’invito a farsi servi della Parola che illumina e dà vita, e a metterla in pratica curando con amore le ferite dell’umanità e dell’ambiente.

“Oggi - si legge nel testo - la coscienza ecologica è in consolante crescita, ovunque, anche con dolorose contrapposizioni tra ambiente e lavoro, specie nelle città industriali. Certo, proprio questa accresciuta consapevolezza del dono ricevuto da Dio ci spinge a garantire un ambiente sostenibile, per noi e per i nostri figli, nella gioia di godere della bellezza del giardino. Con una parola chiave: custodire".

Tante le iniziative in occasione di questa ricorrenza. Tra le altre, ad Assisi la sesta edizione de “Il Sentiero di Francesco”, pellegrinaggio a piedi di tre giorni da Assisi a Gubbio che ripercorre l’itinerario compiuto dal Santo assisano nell’inverno tra il 1206 e il 1207, dopo la rinuncia all’autorità paterna e alle ricchezze di famiglia. (M.T.)

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Trent'anni fa la consacrazione di padre Dall'Oglio, rapito in Siria

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Oggi ricorrono i trent'anni dalla consacrazione al sacerdozio, avvenuta in Siria, di padre Paolo Dall'Oglio, il gesuita romano rapito nel Paese mediorientale il 29 luglio 2013 - si ipotizza - da estremisti islamici vicini ad al Qaida. Per l’occasione, la sua famiglia ha deciso di rendere pubblica una lettera  scritta da lui l'autunno precedente, nei giorni della  sua ordinazione diaconale, dove racconta la sua scelta.

“Noi sappiamo che ogni uomo ha una vocazione - scrive il padre gesuita nella missiva - ma ci pare che una persona che si occupa di stare in rapporto con Dio per aiutare i fratelli a trovarlo e che continua a spezzare per loro il Pane di Vita sulla scia di Gesù e degli Apostoli, debba essere chiamato in un modo molto chiaro.” Padre Dall’ Oglio continua quindi, spiegando ai suoi cari la chiamata alla missione: “Una certa volta, in un posto e ad un'ora precisi, ho avuto la chiara coscienza che il Signore mi voleva con lui a tempo pieno e con tutto me stesso, per essere una persona a sua disposizione da mandare secondo i bisogni del Regno; il tutto accompagnato da molta gioia …”.

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Arcivescovo di Saigon: Papa in Corea, fonte di gioia per la missione

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"Quello che più mi ha colpito" del recente viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea del Sud, dal 13 al 18 agosto, per partecipare alla Giornata asiatica della gioventù (Ayd), è "la gioia" che il Pontefice manifestava in ogni occasione. Una persona pronta "al dialogo, disponibile, dalla mentalità aperta e curiosa, in particolare per quanto concerne il Vietnam", nazione e Chiesa che Bergoglio osserva con attenzione, ne conosce i risvolti e le problematiche. Così mons. Paul Bui Van Doc, arcivescovo di Ho Chi Minh City e presidente della Conferenza episcopale vietnamita, racconta in un'intervista a Radio Free Asia (Rfa) - ripresa dall'agenzia AsiaNews - il recente incontro con Papa Francesco. Il prelato ha partecipato al recente viaggio apostolico in Corea del Sud del Pontefice argentino, in qualità di rappresentante e delegato della Chiesa vietnamita. "Per tutto il tempo della nostra conversazione - sottolinea - si è mostrato a proprio agio e disteso".

In merito alle giornate della gioventù e agli eventi che hanno caratterizzato il viaggio apostolico di Francesco, il presidente della Conferenza episcopale vietnamita afferma che "la Chiesa della Corea del Sud è una Chiesa viva, molto dinamica, impegnata nell'annuncio della Buona Novella". E il clero e la gerarchia ecclesiastica "mostrano una grande efficienza, nell'organizzazione ecclesiale come in tutto il resto".

Un secondo elemento forte emerso dalle giornate trascorse a Seoul è il "dinamismo" dei laici coreani, che "supera" di gran lunga quello dei vietnamiti; il loro ruolo "è molto importante" all'interno della Chiesa e dell'intera comunità ecclesiastica. "Vi sono moltissimi giovani entusiasti - aggiunge mons. Paul - che si sono offerti come volontari nell'organizzazione delle cerimonie". Per questo egli invita i laici del Vietnam a partecipare "con rinnovato entusiasmo e dinamismo" alle attività ecclesiali, in particolare per quanto concerne "l'annuncio del Vangelo".

Condannando il clericalismo che ancora resiste in una parte del mondo ecclesiale vietnamita, il presidente dei vescovi esorta "i preti ad abbandonare questo atteggiamento" e i fedeli, soprattutto i giovani, a "collaborare sempre più" alla vita della Chiesa. Dei giovani vietnamiti presenti alle giornate asiatiche con Papa Francesco l'arcivescovo ricorda e sottolinea "il grande entusiasmo", anche se "la loro partecipazione sotto certi aspetti è stata meno intensa" e "non si è fatta molto notare". (R.P.)

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Ebola: impegno dei Salesiani in Nigeria, Liberia e Sierra Leone

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L' ebola continua a fare vittime in molti Paesi dell’Africa. “Le statistiche dimostrano che la situazione si sta deteriorando rapidamente in Liberia (dei 1.386 casi segnalati 754 sono morti) e in Sierra Leone (1050 casi e 392 morti). In Nigeria, l’epidemia sembra essere sotto controllo (16 casi, 12 confermati e 5 morti). Il Ghana è l’unico Paese nella nostra provincia, che è stato dichiarato per il momento ‘libero dall’Ebola’. La Oms ha riferito che potrebbero giungere a 20.000 le persone colpite dal virus. Una situazione preoccupante è che 240 operatori sanitari che combattono l’epidemia hanno contratto la malattia e più di 120 sono morti”. Lo afferma padre Jorge Crisafuli, ispettore dell’Africa occidentale per i Salesiani, all’agenzia info salesiana ripresa dal Sir.

“Noi crediamo che i numeri sono sottostimati e poco realistici - evidenzia il salesiano -: il numero delle persone infette e dei decessi è decisamente superiore. Molte persone non denunciano i casi e così possono seppellire i corpi; ciò è estremamente pericoloso. Le famiglie non denunciano nuovi casi per paura della discriminazione associata al virus. Molti muoiono nel paese a causa della mancanza di cure, spesso a causa di altre malattie non correlate all’ebola”. L’epidemia “non è solo una sfida sanitaria; sta causando profonde e gravi conseguenze sociali, economiche e politiche”. 

“Molti mercati e negozi hanno chiuso - prosegue padre Crisafuli -. Tutti i prezzi sono aumentati, in particolare quelli relativi al cibo e ai disinfettanti che sono insufficienti. I confini sono chiusi e le Compagnie aeree hanno sospeso i voli da e verso i Paesi colpiti. Le grandi aziende hanno cessato l’attività e ritirano il personale per motivi di sicurezza. Anche alcuni politici, tra cui alcuni ministri, sono fuggiti dal loro Paese per paura. La criminalità è in aumento e il coprifuoco è stato imposto per mantenere l’ordine e la sicurezza”. Anche “diversi ospedali e cliniche sono chiusi. Medici e infermieri sono riluttanti a presentarsi al lavoro per paura del contagio. Il senso di isolamento è in aumento”.

Ma “i Salesiani non hanno lasciato le opere, e rimangono vicini alla popolazione. Si è coordinato il lavoro attraverso gruppi che a livello ispettoriale e nazionale collegano i soccorsi. Gli interventi si concentrano principalmente nei settori dell’istruzione, della prevenzione e di altre azioni specifiche”. 

In Nigeria, prosegue padre Crisafuli, “i Salesiani sono focalizzati nell’informazione, e soprattutto nel sensibilizzare ed educare le persone della regione per prevenire la diffusione della malattia”. In Liberia, “la situazione sta peggiorando. Le restrizioni agli incontri e alla circolazione delle persone stanno ostacolando le operazioni di soccorso. Tuttavia, le persone hanno grande bisogno di cibo e dei materiale sanitario.

I Salesiani stanno organizzando un programma per sfamare più di 500 famiglie, fornendo scorte mediche necessarie (cloro, disinfettanti, dispositivi di protezione…)”. Anche in Sierra Leone “la situazione sta peggiorando. Il Governo ha chiesto ai Salesiani di farsi carico di un numero crescente di orfani. Sono avanzati i preparativi per implementare un centro di assistenza per ricevere 120 bambini colpiti dalla epidemia dell’ebola. (R.P.)

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Congo: ex ostaggi della guerriglia abbandonati nella foresta

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Da diversi giorni nel territorio di Beni, circa 350 km a nord di Goma nel Nord Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), almeno 160 ex ostaggi dell’Alleanza delle Forze Democratiche (Adf), un gruppo armato di origine ugandese, vivono in una terribile situazione umanitaria. Lo afferma una nota inviata all’agenzia Fides dalla Rete “Pace per il Congo”. La società civile di Beni indica che, dal loro ritorno, queste persone non usufruiscono di alcuna assistenza da parte delle autorità o delle organizzazioni umanitarie.

L’amministratore del territorio di Beni, Kalonda Amisi, ha detto di non avere alcun mezzo per aiutarli. Molti di questi ex ostaggi sono malati, mostrano segni di grave malnutrizione e soffrono di traumi psicologici per le atrocità subite, ha affermato l’Ong Convenzione per il rispetto dei diritti umani (Crdh), aggiungendo che le donne e le ragazze sfuggite dalle mani dei ribelli ugandesi sono state utilizzate come schiave sessuali e la maggior parte di loro sono ricoverate all’ospedale di Oicha. “Abbiamo accolto quattro donne che sono arrivate in stato di gravidanza.

La maggior parte delle donne e delle bambine sono state violentate. Nella foresta hanno vissuto situazioni terribili. Gli ex ostaggi hanno affermato che alcuni membri delle loro famiglie sono stati uccisi alla loro presenza e che i loro corpi sono stati decapitati e usati come cibo. Sono quindi stati obbligati a mangiare carne umana” ha dichiarato Jean-Paul Paluku Ngongondi, presidene di Crdh.

Questi ex ostaggi sono riusciti a fuggire durante la distruzione delle basi dell’Adf da parte delle Forze Armate congolesi, attraverso l’operazione "Sokola" (Pulizia), lanciata in collaborazione con le forze della Missione Onu nella Rdc (Monusco). Ma centinaia di altri rimangono ancora ostaggi. Da parte sua, la Monusco si è già mobilitata per cercare queste persone abbandonate dall’Adf nella foresta di Beni, che vagano senza alcuna assistenza. (R.P.)

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Sud Sudan: resta chiusa la radio cattolica Bakhita

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“La radio è chiusa da quasi due settimane e non possiamo trasmettere: abbiamo parlato con il governo del Sud Sudan alcuni giorni fa, ma ancora aspettiamo che ci richiamino”. Così, da Juba, Albino Tokwaro, direttore di Radio Bakhita, sintetizza la vicenda dell’emittente cattolica chiusa dalle autorità dopo aver trasmesso un servizio sulla guerra civile in corso nel Paese.

Il caporedattore Ocen David Nicholas - arrestato con l’accusa di “collaborare” con i ribelli - è stato rilasciato, ma il governo chiede uno stop alle trasmissioni politiche prima di autorizzare la riapertura. Critiche per l’accaduto sono arrivate dall’Ong statunitense per la libertà di stampa Committee to Protect Journalists (Cpj).

La decisione delle autorità - riferisce l'agenzia Sir - è stata stigmatizzata anche dall’Unione Europea, i cui rappresentanti in Sud Sudan hanno spiegato di guardare “con particolare preoccupazione alla chiusura di Radio Bakhita e all’arresto” di Nicholas. Anche Toby Lanzer, capo della missione Onu in Sud Sudan (Unmiss), ha scritto su Twitter di essere “preoccupato” per quanto avvenuto all’emittente cattolica nell’ambito di quello che ha definito “a prima vista un peggioramento della situazione per i media in Sud Sudan”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 243

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.