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Sommario del 30/08/2014

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa telefona a sacerdote iracheno: sempre vicino a cristiani perseguitati

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Il Papa continua a seguire da vicino la drammatica situazione dei cristiani in Iraq. Nei giorni scorsi, ha telefonato a un sacerdote iracheno don Behnam Benoka, che lavora in un campo profughi ad Ankawa, nel nord del Paese. Ce ne parla Sergio Centofanti

Don Behnam aveva fatto pervenire al Papa una lettera raccontando la situazione tragica in cui vivono centinaia di migliaia di cristiani: "Santità – scrive il sacerdote, come riportato dall’Agenzia Zenit - la situazione delle tue pecorelle è miserabile, muoiono e hanno fame, i tuoi piccoli hanno paura e non ce la fanno più. Noi, sacerdoti, religiosi e religiose, siamo pochi e temiamo di non poter rispondere alle esigenze fisiche e psichiche dei tuoi e nostri figli".

Il sacerdote esprime la sua riconoscenza per i continui appelli del Papa per mettere fine alla sofferenza dei fratelli perseguitati in Iraq: "Vorrei ringraziarti tanto, anzi, tantissimo – afferma - perché ci porti sempre nel tuo cuore, mettici lì, sull'altare, dove celebri la Messa affinché Dio cancelli i nostri peccati e abbia misericordia di noi e magari tolga da noi questo calice".

Papa Francesco, profondamente commosso per la lettera, ha telefonato al sacerdote appena rientrato dal viaggio in Corea, ribadendo il suo pieno sostegno e la sua vicinanza ai cristiani perseguitati. Ricordiamo che il cardinale Fernando Filoni, suo inviato in Iraq, ha portato nei giorni scorsi un milione di dollari da parte del Pontefice ai rifugiati iracheni. Papa Francesco ha quindi promesso che continuerà a fare il suo meglio per dare sollievo alla loro sofferenza. Infine, ha impartito la sua benedizione apostolica chiedendo al Signore per loro il dono della perseveranza nella fede.

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Mons. Warduni: mondo stia attento a jihadisti o se li troverà a casa

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Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha lanciato un appello per una coalizione globale per fermare "il programma di genocidio" dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is). Da parte sua, intervenendo al Meeting di Rimini, il vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad, Shlemon Warduni, ha denunciato la paralisi della comunità internazionale di fronte all’offensiva estremista in Iraq. Luca Collodi lo ha intervistato: 

R. – Questo è il nostro sentimento, perché fin dall’inizio gli europei non si sono mossi, se non dopo un mese e più, quando abbiamo alzato la voce e abbiamo gridato: “Dove è la comunità internazionale? Dove è l’Europa? Dove è l’America?”. Fino a quel momento, hanno condannato l’atteggiamento dell’Is, ma questa condanna che risultato produce? Chi la ascolta? Noi vogliamo che l’Europa, l’America, tutti prendano la cosa sul serio. E’ una situazione che mette in pericolo tutto il mondo. Devono saperlo, questo, gli europei, l’America, l’Onu, che queste comunità così forti e integraliste vogliono solo fare il male, solo uccidere: tutti devono essere distrutti, eccetto loro. Ma chi sono questi? Da dove vengono, questi? Per quale ragione devono sradicare noi, che siamo iracheni fin dalle origini, perché siamo lì da 2000 anni, che siamo cristiani 400 anni prima che loro arrivassero … Da dove vengono? Cosa abbiamo fatto loro? Questo veramente ci fa male! Chi li sostiene? Questi che li sostengono sono peggiori di loro …

D. – Ci potete far capire che cosa sta realmente succedendo in Iraq?

R. – Non avremmo mai pensato che questo potesse succedere! Siamo preoccupati, siamo desolati, siamo tristi perché non comprendiamo perché questi fanno così. Abbiamo tra i musulmani cari amici: abbiamo vissuto centinaia di anni insieme! Questo fanatismo è irragionevole! La nostra gente, i nostri fedeli, ci chiedono di fare qualcosa - ma cosa possiamo fare? - “Chiedete agli occidentali: dove sono i cristiani?, dove è l’America?”. Ecco, noi abbiamo gridato e gridiamo per dire: dite al mondo che noi siamo in grande pericolo! Mosul, Ninive che è cristiana da duemila anni, sono ormai due mesi che non vi si sente alcuna preghiera cristiana, non c’è Santa Messa … Vogliono sradicarci e adesso ci cacciano dalle nostre case, dai nostri villaggi con la minaccia: se non ve ne andate, sarete ammazzati. Se non volete essere ammazzati, diventate musulmani, altrimenti pagate la jizya (tributo, ndr). E non è tutto: non solo li cacciano via, ma prendono tutto quello che apparteneva loro, saccheggiano tutto, anche le piccole cose dalle mani dei bambini: a un bambino gettato per terra hanno tolto di mano una medicina, hanno perfino tolto gli orecchini a una bimba di due anni … Una settimana fa, hanno rapito una bimba di tre anni! Sono disumani! Cosa sono stati capaci di fare agli yazidi! Molti bambini sono morti di sete, altri per malnutrizione, altri li hanno uccisi … Alcuni di loro li hanno sepolti vivi … E poi, una cosa terribile, sporca, immorale: prendere le ragazze, le donne e venderle al mercato!

D. – Le azioni di forza possono risolvere questo problema?

R. – Azioni di forza potrebbero risolvere il problema; però, ci sarebbero tante vittime. Ma noi abbiamo detto, e diciamo e diremo: prima di tutto, non vendete le armi! In ballo ci sono le armi, sono quelle che fanno il male, perché questa gente è forte perché ha le armi; altrimenti, cosa potrebbero fare contro l’esercito iracheno oppure contro l’esercito del Kurdistan?

D. – Come si esce, secondo voi, da questa situazione?

R. – Prima di tutto, tutto il mondo deve prendere in considerazione queste cose, perché questi vogliono arrivare in tutto il mondo e c’è chi li spinge, chi li sostiene: con le armi, con il denaro, con tante altre cose. Quindi, se tutta la comunità internazionale non sta attenta, penso che un giorno se li ritroverà davanti alle sue porte di casa e diranno: “Fuori!” …

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Tweet del Papa: il Signore ci perdona sempre, lasciamoci perdonare

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Papa Francesco ha pubblicato oggi un tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Il Signore sempre ci perdona e sempre ci accompagna. A noi spetta lasciarci perdonare e lasciarci accompagnare”.

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Castel Gandolfo. Messa del card. Comastri alla Madonna del Lago

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Con un’antica e sempre suggestiva processione sull’acqua, questa sera Castel Gandolfo festeggia la “Madonna del Lago”. La statua della Vergine verrà portata verso il porticciolo con i flambeaux e imbarcata su un battello che percorrerà un tragitto in lenta navigazione. Prima della processione, alle 19 verrà celebrata la Messa nella piccola Chiesa della Madonna del Lago, fatta costruire da Paolo VI. Un atto di benevolenza di un Papa molto legato alla cittadina, come ricorda al microfono di Alessandro De Carolis, il cardinale Angelo Comastri, che stasera presiederà la Messa: 

R. – Paolo VI amava molto Castel Gandolfo, come del resto anche Giovanni Paolo II. Paolo VI ci ha lasciato dei pensieri bellissimi nei confronti della Madonna. A me ha commosso una sua confidenza, quando lui ha detto, in occasione dell’Enciclica Marialis Cultu: “La prima intuizione mariana io l’ho avuta da bambino quando, andando a pregare con la mia mamma – raccontava lui – un giorno la mamma non mi fece dire l’Ave Maria, ma rimanemmo in silenzio. E io chiesi: ‘Mamma, ma non la diciamo l’Ave Maria?’. La mamma mi rispose: ‘Vedi, bambino mio, qualche volta si parla meglio non usando le parole’. E in quel momento capii che l’affetto, certe volte, non ha bisogno di parole: basta stare accanto. Stare vicino alla Madonna, stare accanto alla Madre è già un parlare”. E questo è un pensiero molto bello, raccolto dalla bocca di Paolo VI, che dice quanto fosse delicato il suo amore, la sua devozione verso la Madonna, appresa direttamente dalla mamma.

D. – La chiesa della Madonna del Lago è, per così dire, un tempio generato direttamente dalla fede del popolo di Dio, che portava la Vergine in processione sulle acque prima ancora di avere una chiesa. Che cosa le suggerisce questo aspetto?

R. – La devozione alla Madonna è una devozione che nasce spontanea nel cuore della gente. Usando le parole di Paolo VI, “la Madonna è un dono di Dio attraverso il quale ci fa sentire più vicina la sua misericordia”. Perché l’amore della Madre è quello che più ci parla di Dio e l’amore della Madre è l’amore di fronte al quale tutti si commuovono, anche i figli più duri. Ecco perché la devozione alla Madonna nasce spontaneamente in mezzo al popolo di Dio ed è nata anche lungo le rive del lago, perché quel lago che si trova sotto le finestre del Papa è un lago in qualche modo benedetto dalla presenza del Papa e quindi lì è nata spontanea la devozione nei confronti della Madonna. E Papa Paolo VI l’ha presa in mano e le ha dato un punto di riferimento, un punto di espressione.

D. – Parlando di questa chiesa semplice e ingegnosa insieme, la sua struttura rievoca una casa e una nave. Può essere una metafora della vita di fede, che ogni volta è insieme porto e approdo?

R. – Giustissimo. La fede è una casa e nello stesso tempo è una strada. E’ un porto e allo stesso tempo è una navigazione. Del resto, la parola che usano gli Atti degli Apostoli per definire l’esperienza cristiana è la parola “odòs”, cammino, viaggio. E  giustamente quell’idea della nave traduce giustamente l’idea del viaggio del cristiano, del cammino del cristiano, che da questo mondo va verso un altro porto, va verso un’altra meta. E Paolo VI, per certi aspetti, la meta l’ha raggiunta proprio lì: l’anno successivo all’inaugurazione della chiesa della Madonna del Lago, Paolo VI è andato in paradiso, proprio sulle rive del lago di Castel Gandolfo.

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Card. Parolin: politici cattolici sostengano valori autenticamente cristiani

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“Essere lievito nel mondo” per portare i valori autenticamente cristiani nella città terrena e realizzare la Città di Dio: questa la missione a cui sono chiamati i legislatori e i politici cattolici. Lo ha ricordato ieri il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin portando il saluto del Papa ai partecipanti alla quinta Conferenza annuale dell’International Catholic Legislators’ Network, organizzato a Frascati (28-30 agosto). Tre giorni di lavori in cui parlamentari cattolici da tutto il mondo hanno discusso del loro impegno politico e delle difficoltà a tradurre i valori del Vangelo in società sempre più secolarizzate.

L’International Catholic Legislators’ Network è stato fondato nel 2010 dal cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn e da David Alton, membro cattolico della Camera dei Lord, proprio per sostenere i legislatori cattolici nel loro difficile lavoro. Nel suo intervento, il cardinale Parolin ha voluto ribadire il sostegno della Chiesa a questa preziosa missione al servizio del bene comune, che - ha detto – è “una parte vitale dell’apostolato dei laici”.

“La Chiesa sa che il vostro lavoro è difficile. Capisce le numerose minacce alla famiglia costituite da politiche e leggi che permettono o addirittura accelerano la sua dissoluzione. Essa è anche pienamente consapevole dell’urgente necessità di alleviare la povertà e di promuovere lo sviluppo integrale dei membri più trascurati della società. Per questo – ha sottolineato il segretario di Stato - come  essa ha bisogno di voi, anche voi avete bisogno della Chiesa che mette a disposizione i suoi sacramenti, consigli e impegno in difesa delle verità morali della legge naturale”.

Il cardinale Parolin ha quindi concluso con l’incoraggiamento ad approfondire l’impegno personale dei politici cattolici “affinché la loro testimonianza e dialogo con il mondo possano portare frutti duraturi”. (A cura di Lisa Zengarini) 

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Il card. Sandri in Romania: compiere gesti di comunione con ortodossi

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Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, giunto ieri nella capitale rumena, ha celebrato la Divina Liturgia in occasione della solenne inaugurazione dell’Eparchia di San Basilio Magno in Bucarest e l’insediamento del primo vescovo, mons. Mihai Frăţilă.

“In umile e confidente abbandono alla volontà di Dio – ha affermato il porporato nell’omelia - siamo qui oggi a prendere coscienza del nostro essere Chiesa, inaugurando la nuova Eparchia: non abbiamo orgoglio o vanto umano, non siamo contro nessuno, soltanto facciamo risuonare la gioia che ci è data per aver ricevuto l’Evangelo di Cristo, e per la possibilità di annunciarlo con la parola e l’esempio della nostra vita. Sono testimoni di questo impegno i confratelli vescovi che rappresentano le Chiese Cattoliche Orientali in Ungheria, Grecia, Ucraina, oltre a numerosi altri Presuli latini della Romania e da altri Paesi”.

“Il popolo di Dio dell’Eparchia di San Basilio Magno – ha esortato il cardinale Sandri - sia capace di relazioni autentiche dentro le proprie famiglie, nei luoghi di lavoro, nel contesto sociale e civile. Come spesso ci ricorda Papa Francesco, l’accoglienza e l’azione pastorale sia rivolta soprattutto ai poveri”. In particolare, il porporato ha invitato “a rendere sempre luminosa la testimonianza della comunione ecclesiale. Anzitutto con i fratelli e sorelle della tradizione latina”, ma “anche con la Chiesa Ortodossa di Romania”. “Sforziamoci di praticare insieme la giustizia e la verità, compiamo ogni giorno gesti di riconciliazione, ripetiamo spesso le parole del Patriarca Giuseppe, venduto come schiavo in Egitto, ma che arriva ad affermare di coloro che l’hanno allontanato: ‘Cerco i miei fratelli’”. Il cardinale Sandri ha portato a tutti il saluto e l’incoraggiamento di Papa Francesco.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In Iraq è fuga continua: più di un milione e mezzo di sfollati a causa delle violenze.

Come perla nascosta: Il cardinale Sandri in Romania per l’inaugurazione dell’eparchia di San Basilio Magno

Un articolo di Felice Accrocca dal titolo "La fermezza di Celestino": dallo studio delle fonti nuova luce sulla figura di Pietro da Morrone.

Silvia Guidi su quell'incontro mancato tra Pasolini e Roncalli nel racconto del cardinale Loris Francesco Capovilla.

Timothy Verdon sulle catechesi per immagini nel mosaici del battistero di Firenze.

L'ultimo Matisse: Alessandro Scafi a proposito di una mostra alla Tate Modern di Londra che espone i collage realizzati tra il 1936 e il 1954.

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Oggi in Primo Piano



Jihad e propaganda. L'esperto: l'Is abile a manipolare i media

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Non si arresta la battaglia in Siria, Iraq e Libia contro i gruppi jihadisti del sedicente Stato Islamico. Senza sosta, in tutto il mondo, il reclutamento dei terroristi, mentre sui media continuano rimbalzare le immagini choc della propaganda jihadista. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Marco Lombardi, professore di Sociologia e comunicazione presso l’Università Cattolica e direttore del centro per lo studio del terrorismo dell’ateneo milanese: 

R. – Noi dobbiamo partire da un presupposto: il terrorismo è comunicazione, ma è molto chiaro. Se noi vogliamo fare paura, dobbiamo minacciare. E questo è un punto fondamentale che il terrorismo conosce bene e da sempre utilizza le strategie della comunicazione come strategie di guerra che si muovono su un campo diverso da quello di battaglia.

D. – La comunicazione dello Stato Islamico, o Is, o Isis, o Isil – come è stato chiamato in questi mesi – è una comunicazione professionale. Questo sottintende un aiuto consistente dal punto di vista economico e dal punto di vista strettamente professionale, secondo lei? Oppure no?

D. – Distinguiamo. Indubbiamente hanno a disposizione, dal punto di vista professionale, grandi “scale”, grandi competenze. Però, in fin dei conti, non sono competenze costose, così come ormai non lo sono neanche le tecnologie della comunicazione costose. E sicuramente, come ci sono combattenti capaci sul campo, ci sono combattenti formati nelle nostre università – molto probabilmente – che si preoccupano di fare comunicazione in Is per Is. E questo è un aspetto. Quindi, non servono tanti soldi, ma comunque Is è l’organizzazione che ha più soldi in questo momento. E’ difficile stimare, ma ci sono stime che si attestano attorno ai 5-6-7 milioni di dollari al giorno, come entrate. Da dove? Bè, dal petrolio, primo aspetto: Is controlla buona parte di Siria e Iraq che ha grandi pozzi di petrolio. Oggi viene venduto sottocosto: 25-30 dollari a barile contro i 100. E la prima grande domanda che faccio a tutti è: ma se viene venduta sottocosto, chi lo compra? E questa è una grande domanda, perché non vorrei che quel petrolio girasse attorno a canali strani che poi lo portino comunque alle nostre pompe di benzina: perché staremmo finanziando Is. E questo è un aspetto. Poi, ha conquistato una parte di Iraq: dalla banca centrale di Mosul conquistata sono entrate diverse centinaia di milioni di dollari nelle tasche di Is. E infine, wahabiti arabi sono la testa del serpente da sempre. Soldi, da quelle parti ne arrivano! Ma anche le collocazioni strane di alcuni Paesi del Golfo, come il Qatar in particolar modo: il sostegno che questo Paese sta dando a tutti i movimenti, dal Nordafrica ai mediorientali, è altamente problematico. Sicuramente, ci sono connessioni poco pulite. Dipende da che punto di vista si guardano, ma diciamo molto interessate al finanziamento di Is da parte di istituti nazionali.

D. – Più volte lei ha ribadito che i media occidentali fanno come da cassa di risonanza a queste strategie di comunicazione dei jihadisti: in che senso?

R. – Assolutamente sì, perché il terrorismo “fa cassetta”, rende. Vuol dire che il terrorismo rende comunicativamente e l’esempio più chiaro torna indietro di un po’ di anni, a Osama bin Laden, quando ricordiamoci che spesso venivano annunciati suoi proclami con dei trailer – quindi, con delle “promozioni” – di 20 secondi… Queste promozioni di 20 secondi occupavano i giornali e i media per due giorni, e poi il vero discorso di Osama non compariva. Ma per due giorni, tutto il mondo occidentale era in allarme, in allerta, bloccato per quello che Osama avrebbe potuto dire. Bastava la minaccia, senza realizzare di per sé l’evento. Questo il terrorismo lo sa: lo sa molto bene. Is – oggi la più problematica e più pericolosa organizzazione terroristica che ci troviamo ad affrontare – usa la comunicazione in maniera perfetta per i suoi obiettivi.

D. – Come leggere l’orribile pratica delle decapitazioni che vengono riproiettate in ogni media, compresi i social network?

R. – Le decapitazioni – ricordiamo Berg, ricordiamo Pearl – non sono una novità ed entrano nella strategia comunicativa. Che cosa rappresentano? Una minaccia. E’ una minaccia che Is fa ai suoi nemici. Sono trasmesse con filmati molto semplici e brutali, proprio quelli che vanno a occupare il pubblico più vasto dei media. Ma accanto a questo, infatti, ci sono altri filoni di comunicazione. Abbiamo citato i social: nei social troviamo i profili dei combattenti. Questa è una comunicazione virale: guardatemi, come sono bravo, bello, con una K47, ad ammazzare la gente! Seguitemi! E’ una comunicazione che promuove imitatori per andare a combattere nell’Is. Accanto, c’è il terzo filone della comunicazione: Is, da un mese, ha incominciato a produrre brochure e volantini bellissimi per far vedere come sia bello andare a vivere nello Stato Islamico. Non ci sono fucili: ci sono campi di grano, fiumi che scorrono e panetterie che sfornano pani fumanti. Servono ad attrarre le famiglie. Sono tre linee comunicative in parallelo, strategicamente organizzate, che Is sta utilizzando per organizzare al meglio e stabilizzare al meglio il suo “califfato”.

D. – Lei ha ribadito: non è lecito pubblicare tutto, perché così si offre il fianco, si funge da casse di risonanza…

R. – La comunicazione ha sempre un effetto. Se partiamo da questo presupposto, oggi il mondo chiede responsabilità a tutti. E allora, non possiamo in nome di un principio secondo cui tutto può essere pubblicato e tutto può essere detto, non possiamo non assumerci come media la responsabilità degli effetti della nostra comunicazione. Torniamo all’esempio dei proclami e degli annunci di cose che non vengono fatte. Bene. Ci assumiamo la responsabilità di annunciare cose – cioè minacce – che non verranno fatte, degli effetti concreti che questi comunque hanno. I media fanno parte del gioco, vengono spesso utilizzati – i media occidentali – per le loro caratteristiche, dalle strategie mediatiche del terrorismo.

D. – Secondo lei, qual è un modo corretto per comunicare questa realtà, salvaguardando il diritto di cronaca o il dovere di cronaca nel raccontare situazioni limite, come decapitazioni e guerre?

R. – Bisogna da una parte rispolverare in maniera decisa l’etica professionale, che distingue il vero giornalista dal comunicatore e i media che fanno giornalismo. E dall’altra, avviare forme di collaborazione. I media sono istituzioni centrali di un qualunque Paese e di uno Stato. Le istituzioni di governo insieme con le istituzioni che comunicano ai media fanno parte dello stesso tavolo di governo, oggi, nel mondo globale. E insieme devono trovare soluzioni che tutelino sicurezza, cultura e vita del nostro Paese.

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Ucraina: Ue, allo studio nuove sanzioni contro la Russia

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In occasione del Consiglio straordinario per la nomina dei vertici delle istituzioni comunitarie, l’Unione Europea si riunisce oggi a Bruxelles per decidere una nuova linea sulla crisi ucraina. Allo studio, l’ipotesi di sanzioni supplementari alla Russia, così come invocato da Kiev e discusso stamani a Parigi in un summit dei leader socialisti e democratici europei voluto dal presidente francese, Francois Hollande. Il servizio di Giada Aquilino

I leader europei arrivano a Bruxelles con l’obiettivo di definire una linea comune sull’escalation di violenza nell’est dell’Ucraina. Secondo il francese Francois Hollande, le sanzioni contro la Russia saranno “indubbiamente aumentate”. Per il vicecancelliere tedesco, Sigmar Gabriel, sarebbe pronto un accordo per preparare un “prossimo livello di sanzioni” contro Mosca. In Ucraina, si rischia di raggiungere un “punto di non ritorno”, ma non è troppo tardi per arrivare a una soluzione politica della crisi nell'est del Paese, ha detto il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, dopo l'incontro a Bruxelles con il presidente ucraino, Petro Poroshenko. L’Alto rappresentante uscente per la politica estera Ue, Catherine Ashton, al termine di un vertice informale dei capi delle diplomazie europee a Milano, ha rinnovato l’appello alla Russia a fermare la “recente aggressione” contro l’Ucraina e assicurato che i 28 decideranno stasera come reagire “agli ultimi sviluppi” della crisi. Ci vorranno tempi più lunghi invece, secondo il primo ministro finlandese, Alexander Stubb. Le incursioni di Mosca in territorio ucraino sono state comunque già condannate dalla Nato, che ha parlato di “azioni militari illegali”. Nell’est del Paese, secondo fonti britanniche, sarebbero presenti 4-5 mila soldati russi. I separatisti hanno intanto annunciato di controllare oltre il 50% delle regioni di Donetsk et Luhansk, puntando al porto di Mariupol. Per un’analisi della situazione, ascoltiamo Arduino Paniccia, direttore della Scuola di competizione economica e internazionale di Venezia:

R. – Ci troviamo in una situazione nella quale appare ormai chiaro il fiancheggiamento se non l’intervento della Russia, che quindi non ha abbandonato i separatisti al loro destino. Mi sembra che comunque non li abbandonerà fino a quando non raggiungerà un risultato politico. Credo che potrebbe essere occupata Mariupol e che quindi sostanzialmente venga "chiuso" il Mare di Azov, dopo la Crimea. Si tratterebbe di un’altra occupazione territoriale tesa poi a essere messa su un eventuale tavolo delle trattative e comunque, diciamo, militarmente ancora a supporto dei separatisti. L’inasprimento delle sanzioni è una mossa che – come si è già dimostrato negli ultimi mesi e in tanti altri casi nel passato – a mio parere potrebbe portare a un peggioramento della situazione e a un ulteriore scontro militare sul campo.

D. – Dopo le condanne dell’operato russo in Ucraina da parte della Nato, dell’Onu, dell’Unione Europea, Putin ha annunciato che Mosca sta rafforzando le forze di deterrenza nucleare: “non per minacciare qualcuno”, ha detto, ma per “sentirci sicuri”…

R. – È una minaccia. Significa appunto che la Federazione russa non ha nessuna intenzione di abbandonare i separatisti e punta, forse, anche a un'escalation militare, se ci sarà un’escalation delle sanzioni e del tentativo di isolamento.

D. – Di fronte alle sanzioni da una parte e all’escalation militare dall’altra, quale linea andrebbe seguita a questo punto?

R. – La linea è sicuramente l’alternativa al conflitto, che è sempre disastroso e pessimo. La trattativa, che naturalmente è una cosa molto difficile. D’altra parte, deve prevalere una linea di mediazione che cerchi di portare al tavolo negoziale i diretti interessati. L’obiettivo è difficile, ma raggiungibile: sicuramente uno Stato più federale.

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Caritas Giordania in aiuto dei profughi, 400 mila sono siriani

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Situazione difficile in Giordania dovuta all’imponente il flusso di migranti che vi arrivano da Siria ed Iraq. Circa il 40% del totale della popolazione è rappresentato da profughi. A questo complesso quadro, si aggiungono le preoccupazioni per gli scontri tra le forze giordane e milizie armate nel nord del Paese. La Giordania, nel complesso scacchiere mediorientale, è l'unico Stato al momento non interessato da conflitti. Antonio Elia Migliozzi ne ha parlato con Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania. 

R. - Dall’Iraq stanno arrivando i nostri cristiani che qui, in Giordania, non sono ancora registrati come profughi. Forse, la settimana prossima l’Onu comincerà a registrarli come profughi. Caritas Giordania e la Chiesa cattolica in Giordania stanno lavorando insieme per trovare loro posti per dormire, dar loro da mangiare e cercare di esser loro d’aiuto il più possibile. Certo, molti di loro hanno tanti problemi: alcuni hanno problemi fisici, perché hanno vissuto momenti molto difficili, hanno vissuto una tragedia, adesso stanno un po' meglio... In Giordania, il 40% della popolazione totale è compsta di profughi: ci sono un milione 400 mila siriani, oltre due milioni di palestinesi e circa 500 mila iracheni, arrivati in Giordania negli ultimi 20 anni.

D. - Sentite vicino l’impegno del Santo Padre e della comunità internazionale a sostegno dei profughi siriani e iracheni in fuga dalle zone di guerra?

R. - Noi sentiamo molto che il Santo Padre è vicino, perché per noi è l’unica voce che sta parlando al mondo di tutti i profughi del Medio Oriente. C’è solo questa voce: la voce del Santo Padre. E per i siriani, certo, c’è anche la comunità internazionale: sono vicini, stanno cercando di aiutarci per quanto sia possibile e di darci una mano. Io dico che la comunità cristiana nel mondo deve fare un po’ di più per i cristiani dell’Iraq e soprattutto per quelli che sono a Erbil, che hanno lasciato le loro case e tutto quello che avevano l’hanno perso per la loro fede. Per noi tutti, è molto importante che ci sia ancora gente pronta a perdere tutto ma non la fede, perché la fede è una cosa essenziale. Ci sono oltre 150 mila persone che hanno dovuto abbandonare tutto per salvare la fede. Noi ci sentiamo un po’ abbandonati e io posso parlare anche a nome loro, perché loro lo dicono ogni giorno: abbandonati dalla comunità cristiana nel mondo perché non c’è alcuna reazione. C’è solo la voce del Santo Padre che continua a chiedere, ogni giorno, di aiutarci, di sostenerci, di incoraggiarci.

D. - Destano preoccupazione le infiltrazioni di bande armate nel nord della Giordania?

R. - Non c’è preoccupazione, è normale: siamo in mezzo al “fuoco”. Penso anche che la Giordania sappia come trattare con questi gruppi e questa volta ci sentiamo tranquilli: non c’è pericolo. L’esercito giordano è forte e controlla bene i confini: per questo non c’è preoccupazione. Neanche il popolo giordano è preoccupato, noi in Giordania siamo tranquilli.

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Mozambico: parrocchia locale e una di Roma legate dalla solidarietà

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E’ una storia di amicizia, quella nata 23 anni fa tra due parrocchie geograficamente lontanissime, ma vicine in un comune obiettivo: far conoscere la bellezza del Vangelo a tutti. Entrambe dedicate a San Frumenzio, ma una dislocata a Roma, l’altra a Mafuiane - a 50 km da Maputo, la capitale del Mozambico - hanno iniziato la collaborazione con l’invio dall’Italia di indumenti e medicine, fino a quando alcuni parrocchiani romani hanno deciso di recarsi nel Paese africano per un periodo. Da allora, sono stati costruiti molti alloggi e una scuola materna. Marina Tomarro ha intervistato Domenico Porcelli, missionario laico e coordinatore dei gruppi di volontari che partono da Roma per dare una mano alla missione: 

R. – La missione, dopo un primo periodo in cui ha aiutato la costruzione, ha capito che uno dei problemi era l’evoluzione formativa delle persone di Mafuiane. Quindi, sono state aperte delle scuole. Abbiamo una serie di piccoli progetti, che sono progetti di salute per i bambini, borse di studio e assistenza agli anziani. E’ stato costruito sul terreno della comunità un Centro anziani, che noi sosteniamo completamente. Ci sono molte piccole cose che normalmente si fanno. Ad esempio, il centro sanitario qui non ha mezzi di trasporto. Siamo chiamati quindi noi a trasportare i casi più gravi negli ospedali a qualsiasi ora della notte. D’altronde, noi lo facciamo tutti i giorni per i bambini che vengono alle nostre scuole: andiamo a prenderli la mattina e li riportiamo alle loro case.

D. – Qual è la situazione della popolazione locale?

R. – La comunità di Mafuiane vive essenzialmente la mancanza dell’acqua potabile. Ci sono quindi grossi problemi di malattie trasmettibili per i bambini. E un’agricoltura molto rudimentale, con grossi problemi quindi di produzione, di trasporto, di trasformazione, di contenimento dei prodotti. Questa è essenzialmente la realtà.

D. – Un altro problema è l’Aids: il 35% della popolazione è sieropositiva...

R. – Mafuiane è in una condizione particolare, dove l’Aids è vissuta ancora oggi come un marchio di qualcosa di tremendo. Fanno fatica quindi a dirlo. Noi sappiamo, lavorando nei centri sanitari, che anche i bambini a 14 anni hanno l’Aids. E’ vero che lo Stato oggi dà un’assistenza molto forte con i farmaci retrovirali e quindi abbiamo un aiuto.

D. – Quali sono i prossimi passi di questa missione?

R. – Abbiamo constatato che è necessario puntare molto sulla formazione dei giovani, essenzialmente, e della popolazione locale. Quindi, con la costruzione di una scuola agraria secondaria e con la fattoria, che abbiamo a disposizione nell’arcivescovato, vogliamo fare in modo che ci sia un miglioramento, sia da un punto di vista di qualità dell’istruzione, ma anche da un punto di vista della qualità della crescita della coltivazione.

Ma quanto sono importanti le opere di queste missioni? Ascoltiamo il commento dell’arcivescovo della diocesi di Maputo, mons. Francisco Chimoio:

R. – Di solito, in passato, c’era l’idea che chi viene da fuori sia l’unica persona che deve dare, ma questo è sbagliato. La fede è qualcosa di reciproco e molte volte chi viene da fuori, se non s’inserisce nella mentalità, negli usi e costumi dei locali, difficilmente riesce a trasmettere la Parola di Dio. Ecco perché chi viene la prima cosa che deve fare è capire dove si trova, capire la mentalità della popolazione. Di fatto, chi converte è il Signore, ma converte tramite la collaborazione degli uomini.

D. – Tra pochi mesi ci saranno le elezioni in Mozambico, lei cosa spera per il suo popolo?

R. – Spero veramente che siano coerenti, siano responsabili, cerchino di scegliere colui che potrà guidare il popolo mozambicano nella maggiore rettitudine possibile.

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Adozione per coppia gay. Giuristi cattolici: sentenza ideologica

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Una "sentenza di tipo ideologico”. Così il prof. Francesco D'Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, ha commentato, al Sir, la decisione del Tribunale per i minorenni di Roma, che ha permesso l'adozione di una bambina di cinque anni da parte della compagna della madre biologica. E mentre la politica italiana su divide, mons. Sigalini “parla di precedente pericoloso”. Massimiliano Menichetti: 

"Si sta confermando con evidenza che le più grandi decisioni di carattere etico e bioetico in Italia le prendono i giudici anziché il legislatore". Non usa mezzi termini il presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, Francesco D'Agostino, che parla di violazione del diritto. Il caso che scuote le coscienze è quello di una coppia di lesbiche, una delle quali è ricorsa alla fecondazione eterologa all’estero e quindi madre naturale: alla compagna i giudici del tribunale dei minori di Roma, ieri, hanno riconosciuto la potestà sulla piccola. I magistrati hanno stabilito che l’adozione rientra ''nel superiore e preminente interesse della bambina”, ma secondo D’Agostino siamo davanti a una palese violazione del diritto e ad un “meccanismo che tende a creare di fatto vincoli familiari in contesti ignorati dalla legge”. Un fatto grave in punto di etica e diritto che si scontra anche con la legge italiana sulla fecondazione artificiale, la quale prevede “il ricorso a tali tecniche solo a coppie eterosessuali e solo a seguito di sterilità”. E mentre la politica si divide, mons. Domenico Sigalini,  vescovo di Palestrina, definisce tale decisione “un precedente pericoloso”. “Snaturiamo il corso della vita", ribadisce. "Occorre mettere in chiaro che affidare un figlio ad una coppia omosessuale non è corretto nemmeno da un punto di vista pedagogico”.

Per un commento alla sentenza abbiamo sentito il prof. Alberto Gambino, direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma: 

R. - Il mio parere è che sia una forzatura. Si basa su un certo articolo della legge sull’adozione – l’articolo 44 - dove si dice che in caso di impossibilità di affidamento pre-adottivo, si può ricorrere a forme di adozione speciale. Ovviamente, questa norma si applica soltanto nel caso di assenza dei genitori, mentre in questo caso c’è una madre quindi non si sarebbe dovuta applicare la norma. Qui credo che qualsiasi professore di diritto civile insegnerebbe ai propri studenti che è un errore macroscopico.

D. - Molti parlano, comunque, di sentenza ideologica…

R. - E’ una sentenza che mira a suscitare un dibattito, e probabilmente anche un dibattito in sede parlamentare perché si arrivi a una legge che apra anche ai matrimoni tra omosessuali, ed eventualmente alle adozioni. Certamente, ci può essere questo intento in una sentenza di tal fatta. E’ una sentenza ideologica e, comunque, creativa. Adesso io non mi metto a giudicare l’intento del giudice. Certamente è una sentenza che squarcia una normativa - quella sull’adozione - che invece si basa sul fatto che i genitori siano sposati e, solo in questo caso, possano adottare dei figli; e essere sposati in Italia significa essere di sesso diverso.

D. - In questo caso viene mossa spesso l’opposizione che, all’interno della Costituzione, non è prevista la dicitura “uomo-donna” in riferimento al matrimonio…

R. - L’articolo 29 nasce dopo il Codice Civile: il Codice Civile è del 1942, la Carta Costituzionale è del 1948 e la Carta Costituzionale fa riferimento al Codice Civile dove, invece, è espressamente previsto che per contrarre matrimonio bisogna essere maschio e femmina.

D. - Da più parti si sottolinea anche un altro aspetto: cioè, che i giudici si stanno sostituendo al legislatore…

R. - I giudici si sostituiscono al legislatore quando intravedono buchi normativi. Qui, in realtà, il buco normativo non c’è per niente, perché la legge sull’adozione è chiarissima: parla di coppie coniugate uomo-donna. Quindi, da questo punto di vista, quando decidono in modo totalmente distante dalla legge creano una forzatura, in qualche modo si sostituiscono al Parlamento, anche se dobbiamo ricordare che sono sentenze su casi singoli e che poi saranno altri giudici a dover vagliare ed eventualmente ribaltare, come credo sia abbastanza pacifico in questo caso.

D. - Quindi, presumibilmente, ci sarà un ricorso a questa sentenza?

R. - Direi senz’altro di sì. Qui ci sono altri gradi di giudizio. Consideri che il pubblico ministero era contrario a questa decisione del giudice, e quindi probabilmente sarà lo stesso pubblico ministero che impugnerà davanti alla Corte d’Appello.

D. - I magistrati italiani e la giurisprudenza italiana dove stanno andando?

R. - Alcuni giudici, non la giurisprudenza in quanto tale - che è ancora abbastanza stabile e fedele alla legge - stanno intravedendo nei diritti individuali un grimaldello per superare alcune forme comunitarie di diritto: come la famiglia, o come il caso della nascita dei figli. Diritti individuali portati, talvolta, all’esasperazione tant’è che alcuni bisogni e interessi - per primo l’interesse ad avere un figlio - diventa, appunto, un diritto quando non c’è scritto in alcuna legge e in alcuna parte della nostra Carta Costituzionale. È qualcosa di molto simile a ciò che succede nei Paesi di stampo anglosassone dove desideri e bisogni si tramutano, talvolta, in pretese giuridiche, cioè in diritti.

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La Diocesi di Milano ricorda il Beato Schuster a 60 anni dalla morte

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60 anni fa, il 30 settembre 1954, si spegneva il Beato Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano. Alla vigilia dell'anniversario, la Chiesa ambrosiana lo ha ricordato con una Messa presieduta nel Duomo dal vicario generale, mons. Mario Delpini, a cui è seguita la proiezione del filmato intitolato “Card. Schuster: pastore della Chiesa Ambrosiana”. Questa domenica, inoltre, il Beato sarà ancora ricordato dal cardinale arcivescovo Angelo Scola durante la Messa per il secondo anniversario dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini. Paolo Giacosa ha intervistato mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, per tratteggiare un ricordo del Beato: 

R. - Schuster ha segnato in modo molto forte la Diocesi di Milano, in modo anche molto simbolico: è morto nel suo seminario di Venegono, seminario che lui aveva voluto prima come visitatore apostolico, poi come arcivescovo e, non a caso, anche lì ci sarà una celebrazione quando sarà partito l’anno seminaristico, il 4 ottobre. Schuster è rimasto un grande pastore che ha segnato molto la vita della gente anche per l’attenzione che ha avuto di girare molto per la diocesi, amministrando il sacramento della Confermazione: mi è capitato, quando ero giovane, di sentire molti anziani che raccontavano con commozione il fatto di aver ricevuto la Cresima proprio dal loro arcivescovo, il Beato cardinal Schuster.

D. - Qual è l’eredità del cardinal Schuster per i credenti di oggi?

R. - Potremmo dire che le eredità che ci lascia sono di tre tipi. La prima, innanzitutto, è questa forte sottolineatura del primato di Dio nella nostra vita, che lui esprimeva attraverso la cura attenta e la priorità data alla celebrazione liturgica: tutti si ricordano il cardinal Schuster in ginocchio, in preghiera, tutto concentrato nel celebrare e nel dire le orazioni. Il cardinale questo l’ha spiegato ai preti sottolineando il fatto che in un momento di forte trasformazione - come quello che hanno vissuto: la guerra, poi anche il primo boom economico - il cambiamento culturale aveva bisogno di un radicamento in Dio, perché la gente non perdesse questo legame con Dio. Il secondo elemento è l’attenzione ai poveri, l’attenzione ai semplici e ai deboli: è sempre stato molto attento nelle visite pastorali a chiedere cosa si facesse, a vedere che la Chiesa fosse attenta. Il terzo era la volontà di far dialogare tutti: durante il Fascismo - e anche subito dopo - ha voluto sottolineare questo richiamo ad una sorta di grande riconciliazione universale di cui abbiamo bisogno; anche in questi giorni è di forte attualità.

D. - Il Beato fu profondamente legato al suo popolo, lo ha incontrato spesso nelle visite pastorali, non lo ha mai abbandonato nemmeno durante i bombardamenti…

R. - Quello che tutti ricordano del cardinal Schuster è proprio questo attaccamento alla gente. È rimasto con la sua Milano anche durante la guerra, durante i bombardamenti e in lui la gente ha rivisto, per tanti versi, un novello San Carlo che, a differenza degli spagnoli - che fuggirono per la peste -, rimase invece in mezzo alla sua gente; e tutti se lo ricordano proprio perché è stato da loro, non sono stati loro ad andare da lui. I preti, in particolare, l’hanno sentito vicino perché lui ha reintrodotto l’idea di San Carlo dei Sinodi minori, ovvero un Sinodo all’anno in cui convocava tutto il suo clero a riflettere su un tema. A lui dobbiamo anche una rivisitazione del nostro rito del Messale, proprio con l’attenzione ad una celebrazione che aiutasse la gente a pregare.

D. - Il cardinale pronunciò una famosa omelia contro il razzismo. Quanto è importante ricordare ancora oggi valori come la fraternità e la solidarietà tra i popoli?

R. - La cosa che stupì e che stupisce ancora oggi del Beato cardinal Schuster è che alla fragilità della persona - perché era un uomo minuto - si accompagnava, invece una forza dei contenuti incredibile, come questa omelia che viene ricordata. Non ebbe paura di sfidare il pensiero dominante, lui diceva che il Vangelo doveva rompere i luoghi comuni e far vedere che è possibile amare. E lui lo faceva.

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Venezia. "Dialoghi con Dio", 9 registi si confrontano con le religioni

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Non un film spirituale, ma uno sguardo sincero sul rapporto con Dio. Con “Words with Gods – Dialoghi con Dio” nove registi provenienti da tutto il mondo - tra questi Warwick Thornton, Héctor Babenco, Mira Nair, Amos Gitai, Emir Kusturica e Hideo Nakata - si impegnano a raccontarlo nelle loro religioni. Giunti a Venezia per aiutare, con la loro riflessione collettiva, il dialogo interreligioso e ricordare il valore della tolleranza e della condivisione. Il servizio di Luca Pellegrini

Mettendosi dinanzi al proprio Dio, nove registi sono stati chiamati a parlare di Lui, a raccontarlo sullo schermo a modo loro, in totale autonomia, senza preconcetti. “Words with Gods - Dialoghi con Dio”, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, nelle parole di uno dei produttori, Lucas Akoskin, “è un invito a considerare il valore di esperienze religiose universali diverse e a condividere, attraverso il potere di storie bellissime e dei personaggi che vi sono coinvolti, la nostra umanità”. Il film è un progetto nato da un’idea dello scrittore e regista messicano Guillermo Arriaga, che così lo descrive:

R. – Me parece que es un tema muy importante...
Mi sembra che sia un tema molto importante per noi, la discussione sulla religione, e credo si debba cominciare un dialogo perché tutto il mondo ne parli in maniera rispettosa, in maniera integra, in maniera umanistica. Credo che la religione debba avvicinarci e non separarci. E io ho pensato a registi che comunicassero tutta la pluralità del mondo: volevo che si parlasse di tutte le religioni, ecumenicamente, perché questa discussione avesse un senso, avesse sostanza.

R. – Lei si è riservato l’episodio conclusivo sull’ateismo. Perché e che cosa voleva raccontare?
Io sono ateo, sposato con una cattolica, quindi per me la religione è importante. E anche se sono ateo, credo si debba prendere una posizione su cosa sia la religione, anche per chi che non è religioso come me.  

A fianco della spiritualità aborigena, del culto umbanda, di induismo, buddismo, ebraismo e ortodossia, Alex de la Iglesia ha diretto l’episodio, abbastanza provocatorio, intitolato “La confessione”, dedicato al cattolicesimo:

R. – El humor es la mejor manera...
Io sono profondamente cattolico, quindi ho cominciato a pensare a una storia che raccontasse quello che più mi interessava, quello che mi piaceva di più della religione cattolica. E senza dubbio quello che più mi piace della religione cattolica è il perdono dei peccati: se tu sei una buona persona, rispettabile, onesta, che vive una vita corretta, e sei caro a tutti e amato da tutti, chiaramente vieni premiato. Ma se sei una persona perversa, crudele, che commette tantissimi peccati, insuperbito dal vizio e dalla corruzione, e alla fine della tua vita ti rendi conto che questo cammino è sbagliato, difettoso, e scopri i tuoi problemi, i tuoi errori e le tue contraddizioni, tu sei più amato da Dio di quello di cui dicevamo prima. Dà una prospettiva assolutamente differente della religione cattolica: ti dà, prima cosa, speranza e, secondo, ridefinisce l’uomo. Noi siamo un’altra cosa che esseri nel peccato. L’uomo non è uomo perché pecca, l’uomo è quello che si sbaglia. Ecco cos’è l’uomo. Questo mi riempie di felicità e soprattutto di speranza.  

“A volte alza lo sguardo” è il titolo, invece, che Bahman Ghobadi ha scelto per l’islam. Come ha pensato di raccontarlo, considerando anche la delicatezza di una sua rappresentazione cinematografica e la tragicità dei tempi che stiamo vivendo?

R. – In the origin, Islam is not a really hard religion: it was not!...
In origine, l’islam non era una religione così dura: no! L’uomo l’ha reso così! Le stesse persone che hanno il potere, giocano con la religione. Guardiamo alla questione dell’Iraq, dove gli sciiti e sunniti si uccidono a vicenda: ma questo lo fanno le persone, uomini spregevoli che vogliono fare soldi, che vogliono fare affari con la religione… Voglio guardare alla religione in modo decisamente più semplice come ho fatto nel mio film; voglio giocare con questo aspetto. Qual è la differenza tra me e te? Abbiamo gli stessi occhi, gli stessi sentimenti, le stesse mani, le stesse dita… Potrei dare la vita magari per un piccolo bacio dall’Africa, dall’Australia, perché siamo in un mondo così piccolo! Questo è il modo giusto per combattere contro questa visione, affinché tutto possa essere più positivo e adeguato.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 22.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Pietro rimprovera Gesù perché ha rivelato ai discepoli che dovrà essere ucciso. Il Signore allora dice:

«Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma: 

Pietro ha dichiarato la sua fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, ma pensa a un Dio di successo, che ha una risposta per tutto. Ora Gesù incomincia ad introdurre i suoi discepoli, di ieri e di oggi, al mistero di Dio: non un mistero di successo, ma di donazione, di amore. Dio è questa capacità infinita di donarsi, fino a lasciarsi inchiodare su una croce di fallimento totale: Gesù annuncia che egli “deve” andare a Gerusalemme e soffrire molto. La risposta di Pietro è coerente con la sua idea di Dio: “A te questo non può, non deve accadere”. Dio non può avere una simile volontà per te! Gesù lo allontana, come aveva allontanato il demonio della tentazione: “Tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai”. Gli dice Gesù: “Vattene, Satana!” (Mt 4, 9-10). Gesù dice ora a Pietro: “Va’ via! Passa dietro me e trovati un’altra strada”. “Tu mi sei pietra d’inciampo, mi sei di scandalo”. E ai discepoli comincia a svelare questo cuore divino che è “totale donazione”, amore gratuito che conquista attirando a sé, per cui chi vuole difendere la propria vita, di fatto, la perde, ma chi perde la sua vita, questi davvero la salva: è l’amore che salva. Seguire Gesù significa camminare sulle orme che ci ha lasciato Lui: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Questo è Dio. “La Chiesa non fa proselitismo, come ci ripete Papa Francesco. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”: come Cristo “attira tutti a sé” con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce” (Benedetto XVI, Omelia, 13 maggio 2007; cfr. Papa Francesco,  Evangelii Gaudium, 14).

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: attaccato contingente filippino nel Golan. Fra loro anche un prete

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I ribelli siriani della Brigata al-Nusra hanno lanciato un attacco diretto contro il contingente di 75 peacekeeper filippini, bloccati dal gruppo islamico nell'altura del Golan sotto il controllo di Damasco. Lo ha annunciato Voltaire Gazmin, ministro della Difesa di Manila, che però non ha dato conto di eventuali vittime. Nel contingente vi è anche un sacerdote cattolico, cappellano militare.

L'attacco - riporta l'agenzia AsiaNews - sarebbe iniziato alcune ore fa. Oltre ai militari filippini - che sono nell'area all'interno di un mandato Onu, e quindi senza la possibilità di aprire il fuoco se non sotto minaccia diretta - i ribelli siriani hanno preso in ostaggio un gruppo di 44 soldati delle Fiji, anche loro "caschi blu" delle Nazioni Unite.

Secondo mons. Leopoldo S. Tumulak, vescovo e Ordinario militare delle Filippine, fra le truppe sotto attacco vi è anche un sacerdote, inviato nell'area per prendersi cura delle necessità spirituali dei peacekeeper. Il presule non ha voluto rivelare il nome del religioso, probabilmente per evitare possibili ritorsioni immediate contro un sacerdote cattolico qualora questi cada nelle mani dei ribelli islamici.

In un messaggio inviato al sito della Conferenza episcopale filippina, mons. Tumulak ha invitato tutti i filippini a "pregare per la salvezza di questi nostri fratelli, operatori di pace". (R.P.) 

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Bangladesh: per le alluvioni milioni di persone a rischio

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Le terribili alluvioni che stanno colpendo in questi giorni il Bangladesh hanno devastato 19 dei 64 distretti nazionali: milioni di persone vivono da almeno due settimane con poco cibo, niente acqua potabile e limitato accesso alle cure mediche. Iniziano le prime patologie legate alla mancanza di idratazione, e gli aiuti inviati dal governo non sono adeguati, riferisce l'agenzia AsiaNews. Anamul Islam, residente a Bagora, dice: "Stiamo vivendo senza niente da mangiare. Gli aiuti non bastano".

La situazione abitativa è disastrosa: circa 20mila case, sparse su 62mila ettari di terreno nei distretti centrali, sono del tutto ricoperte dalle acque. Oltre 100 scuole pubbliche sono state chiuse dalle autorità, dato che è impossibile tenerle in sicurezza. Il rischio è che l'erosione idrica diventi talmente grave da costringere all'abbattimento degli edifici.

Secondo i funzionari del governo, inoltre, la situazione non migliorerà almeno fino alla fine della prossima settimana: i fiumi Brahmaputra e Teesta continuano a esondare, rendendo le strade inaccessibili e devastando ogni tentativo di ricostruzione. Abdul Wazed, direttore generale del Dipartimento per la gestione dei disastri, ammette: "Stiamo distribuendo generi di prima necessità, ma le persone colpite sono tantissime. Abbiamo davvero bisogno di un programma a lungo termine".

A rischio inondazione persino la capitale Dhaka, dove alcuni distretti sono già sotto l'acqua. Fra questi, le aree di Nandipara, Vatara, Badda, Dakkhinkhan, Uttarkhan e Demra. (R.P.)

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India: arrestati 11 militanti per la Chiesa trasformata in tempio indù

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Dopo le proteste e le denunce alle autorità civili, 11 militanti appartenenti a gruppi estremisti indù violenti sono stati arrestati in Uttar Pradesh per il sequestro di una chiesa cristiana, la sua profanazione e conversione in tempio indù. Secondo quanto riferisce all'agenzia Fides l’Evangelical Fellowship of India (Efi), i militanti fanno parte di formazioni estremiste note come “Rashtriya Swayamsevak Sangh”, “Bajrang Dal” e “Vishwa Hindu Parishad”.

Come comunicato da Fides, la chiesa appartiene ai cristiani Avventisti del Settimo giorno ed è situata ad a Asroi, vicino a Aligarh, in Uttar Pradesh. Nell’edificio sacro si è tenuto un rito indù di purificazione col fuoco, le croci sono state rimosse e gli altra arredi sacri distrutti, sostituiti da immagini del dio Shiva. La chiesa è stata ora restituita ai cristiani che hanno annunciato che la terranno chiusa per qualche tempo.

L’Efi ha condannato la patente violazione della libertà religiosa e lanciato un appello al governo federale perchè fermi il disegno degli estremisti indù di polarizzare la società indiana su base religiosa, terrorizzando le minoranze. I cristiani in Uttar Pradesh hanno subito di recente un'ondata di violenza con aggressivo fisiche e attacchi alle chiese. “Chiediamo azioni forti ed esemplari che assicurino i criminali alla giustizia e restituiscano sicurezza e fiducia delle minoranze”, nota l’Efi. Secondo l’organizzazione, “questa conversione all'induismo sembra essere parte di una strategia più ampia, di cospirazione religiosa nei confronti delle minoranze”. (R.P.)

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Terra Santa: revocato sciopero delle scuole cattoliche

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Gli ultimi due anni sono stati difficili per le scuole cattoliche in Israele, soprattutto dal punto di vista piano finanziario: il Ministero dell’educazione israeliano ha ridotto sempre più le sovvenzioni, limitando i contributi alle famiglie. Questo ha generato, lo scorso anno, un forte deficit in diverse scuole.

Secondo le autorità israeliane, le scuole cattoliche dovrebbero diventare “pubbliche”: così potrebbero certo sopravvivere, ma al caro prezzo di perdere la loro specificità e identità. Posizione, questa, considerata discriminatoria e inaccettabile per la Chiesa cattolica in Terra Santa.

Come comunicato all'agenzia Fides dal patriarcato latino di Gerusalemme, l'Ufficio delle scuole cattoliche ha tentato di organizzare una serie di incontri a vari livelli per trovare soluzioni. L'assemblea dei vescovi cattolici della Terra Santa ha inviato diverse lettere al Ministro israeliano della pubblica istruzione per chiedere un incontro, ma negli ultimi due anni non ha ricevuto alcuna risposta.

Da qui l’annuncio di uno sciopero da tenersi il 1° settembre, primo giorno di scuola: lo aveva deciso all’unanimità il collegio dei presidi delle scuole, denominato “G14”, presieduto dal direttore, padre Abdelmassih Fahim, in presenza del vescovo Boulos Marcuzzo. I cattolici intendevano stigmatizzare il silenzio del governo israeliano, sordo a qualsiasi sollecitazione per affrontare la situazione di disagio e difficoltà in cui versano gli istituti cattolici di Terra Santa.

All’annuncio dello sciopero, il Ministero dell’istruzione ha risposto immediatamente, fissando una data per un incontro in cui esaminare i problemi e proporre nuove soluzioni. Dato questo cambiamento positivo di atteggiamento, il G14 ha mostrato la sua disponibilità all’ascolto e ha revocato lo sciopero. La situazione per gli istituti cattolici resta molto precaria e molti sono a rischio chiusura. (R.P.) 

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Senegal: nota Chiesa di Dakar sulla diffusione di Ebola

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La Chiesa di Dakar invita i senegalesi a vigilare e ad essere prudenti di fronte ai casi di ebola. Dopo il caso di infezione di cui ha dato notizia il ministero della Salute e dell’Azione Sociale, l’arcidiocesi della capitale senegalese ha fatto partire una nota pastorale indirizzata a sacerdoti, religiosi e laici impegnati in movimenti, associazioni e gruppi di apostolato perché collaborino con medici e personale sanitario e informino e sensibilizzino i fedeli sui pericoli, i sintomi e il trattamento dell’ebola.

L’invito è anche a far conoscere le raccomandazioni del ministero della Salute e dell’Azione Sociale e a diffonderle con tutti i mezzi possibili. Firmata dal vicario generale dell’arcidiocesi, padre Alphonse Seck, la nota esorta anche a divulgarle nelle varie lingue nazionali e locali, al fine di assicurare una corretta informazione ed evitare così il diffondersi di errate convinzioni.

“Siamo vigilanti insieme e non cediamo al panico” si legge nel documento che raccomanda inoltre di scaricare e affiggere ovunque le raccomandazioni del ministero della Salute e dell’Azione Sociale e dal sito istituzionale o da quello dell’arcidiocesi di Dakar www.seneglise.sn. In 6 punti queste le indicazioni fondamentali: evitare le zone colpite dal virus, lavarsi le mani frequentemente, evitare di mangiare selvaggina, evitare il contatto con persone infette, evitare il contatto con persone decedute a causa del virus dell’ebola, rispettare le misure di protezione per il personale sanitario. Infine la nota esorta a pregare e a chiedere l’intercessione della Vergine di Popenguine, soprattutto per i Paesi colpiti dall’epidemia. (T.C.)

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Sudafrica: Tv statale cancella la Messa di Natale del Papa

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La cancellazione della diretta televisiva della Messa di Natale di Papa Francesco da parte della tv pubblica sudafricana “dimostra un’inaccettabile ostilità nei confronti della Chiesa cattolica da parte di un organo dello Stato finanziato con denaro pubblico”. Lo afferma un editoriale di “The Southern Cross”, l’organo di informazione del Sacbc, che riunisce i vescovi di Sudafrica, Botswana e Swaziland, che critica la decisione della Sabc (South African Broadcasting Corporation) di cancellare dalla sua programmazione, la trasmissione della Messa di Natale dalla Basilica di San Pietro.

“Pur non essendo il problema più urgente che la Chiesa in Sudafrica deve affrontare” chiosa l’editoriale, questa decisione indica un clima “di ostilità nei confronti della nostra Chiesa”. Si ricorda che la cancellazione della Messa del Papa dalla programmazione dell’emittente “contraddice la sua stessa politica di trasmissione, che intende assicurare una giusta ed equa rappresentanza delle comunità religiose sudafricane”.

Secondo “The Southern Cross” - riferisce l'agenzia Fides - l’episodio va inserito nel contesto di una “strisciante marginalizzazione” della Chiesa cattolica, la cui voce è esclusa dalla rete televisiva a pagamento Dstv, che si è rifiutata di inserire nella sua offerta la tv cattolica Ewtn, “con il banale pretesto che la sua gamma di canali evangelici copre adeguatamente le esigenze dei cristiani”. In questo caso, afferma l’editoriale, i cattolici possono esprimere la loro protesta cancellando il loro abbonamento all’emittente, cosa che non è però possibile con la tv pubblica, il cui canone è obbligatorio per tutti i possessori di un televisore.

“In cambio, la Sabc ha l’obbligo di offrire un servizio a tutti i cittadini del Sudafrica, incluso il 7% della popolazione che appartiene alla fede cattolica” afferma l’editoriale, che conclude minacciando di boicottare i prodotti reclamizzati dalla Tv di Stato. (R.P.)

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Radio Vaticana: diretta per la Partita interreligiosa per la pace

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Programma Speciale della Radio Vaticana in occasione  della Partita interreligiosa per la Pace, lunedì 1 settembre, dalle 20.40 alle 22.40. In diretta dallo Stadio Olimpico di Roma, tre cronisti della Radio Vaticana accompagneranno le due ore circa della partita con ospiti, collegamenti e voci dagli spalti.

A scendere in campo all’Olimpico, come è noto, saranno due squadre ricche di campioni di varie nazionalità, non una contro l’altra, ma insieme per la pace. Il ricavato verrà destinato al progetto “Un’alternativa di vita”, promosso da “Scholas Occurentes”, ente educativo fortemente voluto da Papa Francesco e dall’Associazione “P.u.p.i. Onlus” fondata dall’ex calciatore argentino Javier Zanetti e da sua moglie Paula. L’obiettivo è la costruzione di una rete di interscambio di progetti educativi e di valori per favorire la cultura dell’incontro e la cultura della pace.

Per sostenere l’iniziativa “Un’alternativa di vita” si può inviare un sms solidale al numero 45593

Il Programma Speciale della Radio Vaticana affronterà i temi dello sport, come occasione di incontro e di fraternità fra persone di Paesi, culture e fedi diverse; si parlerà dell’impegno per la pace e del ruolo dell’educazione e della formazione dei giovani, oggi più che mai necessari per contrastare i ‘cattivi maestri’ dello scontro e della violenza.

Inizio della trasmissione, lunedì 1 settembre, alle ore 20.40, sulla frequenza nazionale del DAB+ di RadioVaticana Italia, via Internet e sulle App della Radio Vaticana sul Canale Audio 5, o sulle frequenze radio FM 105 MHz e l’OM 585 kHz per la zona di Roma e Lazio. (L.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVIII no. 242

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.