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Sommario del 30/10/2013

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: essere in comunione con Dio e tra noi ci aiuta a superare dubbi e insicurezze
  • Appello del Papa per la pace in Iraq. Il card. Tauran annuncia la nascita di un comitato interreligioso
  • Periferie esistenziali della società e famiglia al centro del messaggio del Papa al Consiglio Ecumenico delle Chiese
  • Mons. Chullikatt all’Onu: inclusione sociale per combattere la fame nel mondo
  • Padre Lombardi su presunte intercettazioni della Nsa: "Non ci risulta e non ci preoccupa"
  • Plenaria della Congregazione delle Chiese Orientali dal 19 al 22 novembre
  • Mons. Carballo: puntare sulla formazione permanente per affrontare le crisi vocazionali
  • Nomina episcopale di Papa Francesco in Malaysia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Duplice attentato in Iraq: oltre 20 morti. Il nunzio a Baghdad: disarmare i terroristi
  • Egitto: arrestato un altro leader dei Fratelli Musulmani
  • Incontro della Chiesa Cattolica in Amazzonia. Padre Ceppi: necessario dialogo per evitare devastazione
  • Il ministro Saccomanni alle Casse di risparmio: ripresa possibile ma no conflittualità
  • Amnesty International: le politiche abitative dell’Italia discriminano i Rom
  • Tore Usala: malati di Sla abbandonati dallo Stato, nella Sanità comandano le lobby
  • "Dove e come mi curo": un motore di ricerca per trovare l'ospedale migliore
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Il card. Filoni in Pakistan per l’ordinazione del vescovo di Faisalabad. Previsti 10mila fedeli
  • Siria. Il capo della sicurezza libanese: localizzati i due vescovi rapiti
  • Israele: liberati 26 detenuti palestinesi. Ma Israele approva un altro insediamento
  • Centrafrica: il Consiglio di sicurezza Onu approva l'invio di militari a Bangui
  • India: assolti 54 estremisti indù responsabili di violenze anticristiane in Orissa
  • Malaysia: "sequestro preventivo" del settimanale cattolico che non può usare la parola "Allah"
  • Vescovi europei: a Trieste un incontro su "Fede e carità"
  • Si è spento Alejandro Valladares, ex decano del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede
  • Messico: i vescovi chiedono misure contro la violenza nel Michoacán
  • Giordania. Le scuole cattoliche: impatto negativo delle “primavere arabe” sulla libertà di educazione
  • Mongolia: il vescovo ringrazia per l’impegno missionario della Chiesa coreana
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: essere in comunione con Dio e tra noi ci aiuta a superare dubbi e insicurezze

    ◊   “Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio”: è uno dei passaggi forti della catechesi di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, incentrata sulla comunione dei santi. Tutti, ha detto il Papa, abbiamo sperimentato limiti e insicurezze, anche dubbi nel cammino della fede. E tuttavia, ha ammonito, non dobbiamo spaventarci ma sempre confidare in Dio e nell’aiuto del prossimo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Noi non siamo soli, facciamo parte di “una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo”. Papa Francesco ha iniziato così la sua catechesi, dedicata al tema della “comunione dei santi”. Una realtà, ha detto, “tra le più consolanti della nostra fede” ed ha rammentato che “i primi cristiani erano chiamati anche i santi”. Ma in che cosa dunque si caratterizza questa comunione della Chiesa?

    “La Chiesa, nella sua verità più profonda, è comunione con Dio, familiarità con Dio, comunione di amore con Cristo e con il Padre nello Spirito Santo, che si prolunga in una comunione fraterna. Questa relazione tra Gesù e il Padre è la ‘matrice’ del legame tra noi cristiani”.

    Se siamo intimamente inseriti in questa “matrice”, ha proseguito, “allora possiamo diventare veramente “un cuore solo e un’anima sola tra di noi, perché l’amore di Dio brucia i nostri egoismi, i nostri pregiudizi”, “brucia anche i nostri peccati”. Del resto, ha proseguito, se c‘è questo radicamento nella “sorgente dell’Amore che è Dio, allora si verifica anche il movimento reciproco: dai fratelli a Dio”:

    “Essere uniti fra noi ci conduce ad essere uniti con Dio, a questo legame con Dio che è nostro Padre. La nostra fede ha bisogno del sostegno degli altri, specialmente nei momenti difficili. E se noi siamo uniti, la fede viene forte. Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri nell’avventura meravigliosa della fede!”.

    Dico questo, ha spiegato il Papa, “perché la tendenza a chiudersi nel privato ha influenzato anche l’ambito religioso” e così molte volte si “fa fatica a chiedere l’aiuto spirituale di quanti condividono con noi l’esperienza cristiana”:

    “Chi di noi – tutti, tutti! – chi di noi non ha sperimentato insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede? Tutti! Tutti abbiamo sperimentato questo: anche io. Tutti. E’ parte del cammino della fede, è parte della nostra vita. Tutto ciò non deve stupirci, perché siamo esseri umani, segnati da fragilità e limiti. Tutti siamo fragili, tutti abbiamo limiti: non spaventatevi. Tutti ne abbiamo!”.

    Tuttavia, “in questi momenti difficoltosi”, è stata la sua esortazione “è necessario confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale” e al tempo stesso, “è importante trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri per chiedere aiuto, per chiedere una mano”:

    “Dammi una mano, ho questo problema. Quante volte l’abbiamo fatto! E poi, siamo riusciti ad uscire dal problema e incontrare Dio un’altra volta. In questa comunione – comunione che vuol dire ‘comune unione’, tutti uniti, comune unione – in questa comunione siamo una grande famiglia, tutti noi, dove tutti i componenti si aiutano e si sostengono fra loro”.

    Il Papa si è quindi soffermato su un altro aspetto: la comunione che va “al di là della vita terrena, va oltre la morte e dura per sempre”. Questa unione fra noi, ha detto, “va al di là e continua nell’altra vita”. E’ un’unione, ha ribadito, che “non viene spezzata dalla morte” ma, grazie a Cristo risorto “è destinata a trovare la sua pienezza nella vita eterna”. La “memoria della fede”, ha soggiunto, “è una realtà nostra” che “ci fa fratelli, che ci accompagniamo nel cammino della vita”:

    “Andiamo su questo cammino con fiducia, con gioia. Un cristiano dev’essere gioioso, con la gioia di avere tanti fratelli battezzati che camminano con noi, e anche con l’aiuto dei fratelli e delle sorelle che fanno questa strada per andare al Cielo, e anche con l’aiuto dei fratelli e delle sorelle che sono in Cielo e pregano Gesù per noi. Avanti per questa strada, e con gioia!”.

    Al momento dei saluti ai pellegrini italiani, il Papa non ha quindi mancato di ricordare la Solennità di tutti i Santi, con un pensiero particolare a giovani, malati e nuovi sposi:

    “La loro testimonianza di fede rafforzi in ciascuno di voi, cari giovani, la certezza che Dio vi accompagna nel cammino della vita; sostenga voi, cari ammalati, alleviando la vostra quotidiana sofferenza; e sia di aiuto a voi, cari sposi novelli, nel costruire la vostra famiglia sulla fede in Dio”.

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    Appello del Papa per la pace in Iraq. Il card. Tauran annuncia la nascita di un comitato interreligioso

    ◊   Invito del Papa alla preghiera per l’Iraq, teatro di quotidiane azioni violente, cosi come ha sottolineato Francesco al termine dell’udienza generale, prima di salutare una delegazione di rappresentanti di diversi gruppi religiosi iracheni, presenti alla riunione organizzata a Roma dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso con le sovrintendenze sciita, sunnita, cristiana, yazida e sabea del Ministero iracheno per gli Affari religiosi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Siete “la ricchezza del Paese” ha detto Papa Francesco ai rappresentanti religiosi iracheni, accompagnati dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Dicastero vaticano per il dialogo interreligioso, che ha promosso questo primo incontro tra diversi credi in un Paese non ancora rappacificato ad oltre 10 anni dall’inizio della cosiddetta ‘seconda guerra del Golfo’, che ha causato tra i 100 e i 150 mila morti, un milione mezzo di rifugiati, la fuga di circa la metà dei cristiani, intorno ai 500 mila. Questo l'appello del Papa:

    “Vi invito a pregare per la cara nazione irachena purtroppo colpita quotidianamente da tragici episodi di violenza, perché trovi la strada della riconciliazione, della pace, dell’unità e della stabilità”.

    E, un saluto particolare il Papa ha voluto rivolgere anche ai pellegrini iracheni presenti in Piazza San Pietro:

    “Quando sperimentate insicurezze, smarrimenti e perfino dubbi nel cammino della fede cercate di confidare nell’aiuto di Dio, mediante la preghiera filiale, e, al tempo stesso, di trovare il coraggio e l’umiltà di aprirsi agli altri. Quanto è bello sostenerci gli uni gli altri nell’avventura meravigliosa della fede! Il Signore vi benedica”.

    Ma quali sono stati gli obiettivi e gli esiti della riunione di rappresentanti religiosi iracheni, che si è conclusa stamane con una dichiarazione comune? Lo abbiamo chiesto al cardinale Jean-Louis Tauran:

    R. - La riunione aveva come scopo principale la creazione di un ‘Comitato’ - il nome non è ancora deciso - per il dialogo interreligioso, una struttura che abbia degli appuntamenti regolari in modo da favorire questa armonia di cui il Paese ha tanto bisogno. Quindi è una cosa molto importante e pubblicheremo anche un comunicato, dove si parla della nascita di questa nuova struttura di dialogo, perché speriamo che così si capisca che il dialogo interreligioso è anche un bene per l’intera società, perché mettiamo insieme tutto ciò che abbiamo in comune, musulmani e cristiani, a disposizione della società. La religione non è da temere, la religione è una ricchezza!

    D. - Quindi una sorta di ‘comitato di saggi’: qual è stato il clima di questa riunione?

    R. - Un clima di grande cordialità e di amicizia. Infatti non abbiamo avuto alcun problema per la redazione del comunicato finale. Direi che ciò lascia sperare bene.

    D. - I punti salienti di questo comunicato?

    R. - Sarà, prima di tutto, l’insistenza sui valori comuni che abbiamo - quindi la famiglia, la scuola, la giustizia, la pace - e poi anche la creazione di questa struttura di dialogo, che si incontrerà alternativamente un anno a Roma e un anno in Iraq.

    D. - Questo comitato avrà la possibilità anche poi di interfacciarsi e di dialogare con le autorità politiche e istituzionali?

    R. - No, questa è un’altra cosa: rimane una struttura di dialogo interreligioso e non politico.

    D. - Sappiamo che la comunità cristiana ha sofferto fortemente e che si è dimezzata in questi dieci anni. Si è parlato anche di questo?

    R. - Sì, abbiamo parlato di questo. Ma loro dicono che - e me lo ripeteva anche il capo della delegazione – che tutti questi attentati non sono fatti da iracheni, ma sono fatti da mercenari. Loro dicono: “Noi con i cristiani non abbiamo alcun problema; siamo sempre vissuti assieme”. Insistono molto sul fatto che la violenza non è fatta dagli iracheni, ma viene importata.

    D. - Quindi bisognerà lavorare proprio per la riconciliazione umana di questa popolazione…

    R. - Certo, certo! Se non c’è l’amicizia e il rispetto, cosa possiamo fare?

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    Periferie esistenziali della società e famiglia al centro del messaggio del Papa al Consiglio Ecumenico delle Chiese

    ◊   Attenzione ai “bisogni più urgenti del nostro tempo” e preghiera: è quanto raccomanda il Papa nel suo messaggio al Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra (Cec), che ha aperto oggi la sua decima Assemblea generale a Busan, nella Repubblica di Corea, fino all’8 novembre. Sul tema: ‘Dio della Vita, portaci alla giustizia e alla pace’. Il servizio di Fausta Speranza:

    Papa Francesco “volentieri ribadisce l’impegno della Chiesa cattolica a continuare la cooperazione di lunga data con il Consiglio”, chiedendo “a tutti coloro che seguono Cristo di intensificare la preghiera e la cooperazione a servizio del Vangelo”. Sottolinea che “il mondo globalizzato richiede ai cristiani di dare testimonianza del valore della dignità della persona che viene da Dio”, difendendo “un’educazione integrale dei giovani” e una promozione della persona che permetta agli individui e alle comunità di crescere nella libertà. Papa Francesco chiede “sostegno per le famiglie, cellula fondamentale della società” e “garanzia perché non sia ostacolato l'esercizio della libertà religiosa”. “In fedeltà al Vangelo – spiega il Papa – siamo chiamati a raggiungere tutti coloro che si trovano nelle periferie esistenziali della società e a portare particolare solidarietà ai fratelli e sorelle più vulnerabili”. E il Papa cita precisamente: “i poveri, i disabili, i nascituri e i malati, i migranti e i rifugiati, gli anziani e i giovani senza lavoro”. Papa Francesco assicura la sua preghiera affinché “l’Assemblea contribuisca a dare nuovo impulso vitale e nuova visione a tutti coloro che sono impegnati alla sacra causa dell’unità dei cristiani”.

    A portare il messaggio del Papa ai partecipanti all’Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, è stato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.

    L’Assemblea è convocata ogni sette anni. Vi prendono parte oltre 3.000 delegati ufficiali in rappresentanza delle 345 Chiese e Comunità ecclesiali affiliate all’organismo di Ginevra, delle Chiese non membro e di organizzazioni associate. La Chiesa cattolica, pur non essendo membro del Cec, collabora in vari modi con questo organismo e con la sua Commissione Fede e Costituzione, la cui funzione è quella di perseguire l’unità dei cristiani attraverso la riflessione comune su questioni che tuttora dividono i cristiani, tra cui, in particolare, l’ecclesiologia. Tra gli strumenti di collaborazione, il “Gruppo misto di lavoro”, istituito nel 1965, costituisce la principale struttura di coordinamento delle relazioni tra la Chiesa cattolica ed il Cec.

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    Mons. Chullikatt all’Onu: inclusione sociale per combattere la fame nel mondo

    ◊   Sconfiggere la fame nel mondo superando le esclusioni sociali, promuovendo giustizia e rispetto per ogni essere umano: è la raccomandazione dell’arcivescovo Francis Chullikatt, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, espressa ieri alla seconda commissione della 68.ma sessione dell’Assemblea Generale a New York. Il servizio di Fausta Speranza:

    “La fame come tutte le forme di povertà è causata dall’esclusione sociale”, spiega e denuncia mons. Chullikatt: “Gli attuali livelli di produzione sono sufficienti a sfamare tutti ma milioni di persone ancora soffrono la fame”: Quindi, commenta: “Questo è veramente scandaloso”. E poi aggiunge: “1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno” e, citando parole di Papa Francesco, sottolinea che “quando il cibo è buttato via è rubato dalla tavola dei poveri”. Sempre citando Papa Francesco, mons. Chullikatt chiede di “superare le tentazioni del potere, della ricchezza e dell’interesse personale per servire la famiglia umana”. Significa adoperarsi per “promuovere una vita dignitosa per tutti”. Significa “pensare a quanti sono ai margini della società – spiega – e al benessere delle generazioni presenti e future”. L’arcivescovo Chullikatt invita a mettere in relazione i temi della sicurezza alimentare con la non discriminazione e l’accesso al cibo per tutti. “Troppo spesso – denuncia – l’accesso al cibo diventa un’arma per controllare o soggiogare i popoli, piuttosto che uno strumento per costruire comunità pacifiche e prosperose”. Da qui alcuni principi guida per una effettiva distribuzione del cibo: innanzitutto, il principio della sussidiarietà che significa – spiega - concepire “le attività umane al livello più locale e diretto possibile per assicurare il massimo della partecipazione”. In questo, “le realtà più grandi hanno la responsabilità di supportare i più piccoli”, raccomanda. E poi evidenzia che sussidiarietà significa non solo dare cibo alle persone ma aiutarle ad essere autosufficienti. In definitiva, mons. Chullikatt sottolinea: “La fame è un problema umano che richiede soluzioni basate sulla comune umanità”.

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    Padre Lombardi su presunte intercettazioni della Nsa: "Non ci risulta e non ci preoccupa"

    ◊   “Non ci risulta nulla su questo tema e in ogni caso non abbiamo nessuna preoccupazione in merito": è quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, a proposito di un articolo di una rivista italiana su presunte intercettazioni compiute dalla Nsa, la National Security Agency, tra il 10 dicembre 2012 e l'8 gennaio 2013, anche sulle telefonate in entrata e in uscita dal Vaticano. La rivista lancia il sospetto che tra le 46 milioni di telefonate tracciate dagli Stati Uniti in Italia in quel periodo, ci sarebbero anche quelle vaticane e dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio quando risiedeva nella Domus Internationalis Paolo VI a Roma. Di qui, la dichiarazione di padre Lombardi in risposta alle domande dei giornalisti.

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    Plenaria della Congregazione delle Chiese Orientali dal 19 al 22 novembre

    ◊   La Congregazione per le Chiese Orientali riferisce che dal 19 al 22 novembre prossimi è convocata a Roma la Sessione Plenaria del Dicastero sul tema: “Le Chiese Orientali Cattoliche a 50 anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II”. Sono stati invitati, insieme ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori, venti Cardinali ed alcuni Arcivescovi e Vescovi quali Membri del Dicastero. “La Plenaria – sottolinea un comunicato del dicastero - consentirà di riflettere sulla preziosa eredità del Concilio Ecumenico Vaticano II circa l’Oriente cristiano, con particolare riferimento al decreto Orientalium Ecclesiarum, e la sua recezione nel Magistero successivo, con la promulgazione del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990), la Lettera Apostolica Orientale Lumen del Beato Giovanni Paolo II e l’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Ecclesia in Medio Oriente, firmata in Libano da Benedetto XVI nel 2012. Seguendo i dettati conciliari, si potrà così verificare la crescente sensibilità della Chiesa universale a favore degli Orientali cattolici, considerando, soprattutto, il fenomeno migratorio, che ci ha portati in ogni continente. Verrà presentata l’Attività del Dicastero, con attenzione a tre aspetti: la liturgia, la formazione delle diverse componenti della comunità ecclesiale, il sostegno alla missione pastorale, educativa ed assistenziale delle Chiese”.

    Giovedì 21 novembre, alle ore 8.00, nella Cappella del Coro della Papale Basilica di San Pietro in Vaticano, il Cardinale Prefetto Leonardo Sandri presiederà la Concelebrazione solenne con i Membri della Plenaria e vi prenderanno parte le rappresentanze dei Collegi e delle Istituzioni Orientali di Roma per invocare il dono della pace e della riconciliazione in Terra Santa, Siria, Iraq, Egitto e in tutto il Medio Oriente.

    Papa Francesco dedicherà la mattinata di giovedì 21 novembre all’incontro con i soli Patriarchi ed Arcivescovi Maggiori, come avvenne nel settembre 2009 con il Pontefice emerito Benedetto XVI. Ciascun Presule interverrà sul tema: “La situazione dei cristiani orientali”, con riferimento a tre aree: il Medio Oriente, l’Europa Orientale e l’India, e le rispettive comunità della diaspora. Il Papa riceverà a fine mattina tutti i Membri della Plenaria, rivolgendo loro un discorso e al termine accoglierà per il pranzo i Patriarchi e gli Arcivescovi Maggiori.

    Domenica 24 novembre, Solennità di Cristo Re e Signore dell’Universo, durante la Celebrazione Eucaristica conclusiva dell’Anno della Fede, i Capi e Padri delle Chiese Orientali Cattoliche si uniranno al Santo Padre nella Concelebrazione, come già avvenne lo scorso 19 marzo, in occasione dell’Inizio del Ministero di Pastore Universale. “Sarà un segno – prosegue il comunicato - della loro volontà di vivere in profonda comunione col Successore di Pietro la missione affidata dal Concilio alle loro Chiese: testimoniare con generosità la fede per favorire l’unità dei cristiani, specie orientali”.

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    Mons. Carballo: puntare sulla formazione permanente per affrontare le crisi vocazionali

    ◊   La cultura del provvisorio influisce anche sulle crisi vocazionali. Nel corso della giornata di studio sull’argomento, organizzata ieri dall’Istituto Francescano di Spiritualità, presso l’Università pontificia Antonianum di Roma, Elvira Ragosta ha chiesto a mons. José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, quali sono le cifre e le motivazioni sulle crisi spirituali dei religiosi:

    R. - Quando si parla della crisi nella vita consacrata e religiosa, di solito, si va immediatamente ai numeri di abbandoni e si dimentica che nella vita consacrata la stragrande maggioranza vive la fedeltà con molta radicalità. Io ne sono convinto e il lavoro, in questi mesi, nella Congregazione mi ha convinto ancora di più che nella vita consacrata oggi c’è molta “vita” e molta “consacrata”. Poi è vero che gli abbandoni sono preoccupanti; così com’è vero che io non accetto che siano normali gli abbandoni, perché dopo tanti anni di formazione non è normale che un giovane frate o una giovane suora dicano: “Non mi va più questo. Lascio!”. Qui stiamo vedendo che le cifre sono significative: stiamo parlando, più o meno, di tremila abbandoni all’anno. Questo è quello che passa dalla nostra Congregazione di vita consacrata e quello che va alla Congregazione del Clero.

    D. - Lei ha analizzato anche i motivi fondamentali di queste crisi che, poi, eventualmente portano all’abbandono?

    R. - Dalla documentazione che noi abbiamo risultano fondamentalmente tre motivi. Il primo è una crisi spirituale: direi anche crisi di fede in molti casi. Per questo mi sembra importantissimo che sia nella formazione permanente che in quella iniziale si rafforzi l’esperienza di fede e si rafforzi anche il Primato di Dio. La seconda causa è la mancanza di appartenenza affettiva - non giuridica - alla fraternità, alla provincia e all’istituto. Questo, pian piano, porta in alcuni casi a cercare fuori quello che - dicono - non si trova dentro e quindi anche all’abbandono. Il terzo motivo è affettivo: spesso noi pensiamo che questo sia il primo motivo. E’ vero che molte crisi vocazionali finiscono nel matrimonio, finiscono in altre scelte di vita, ma l’inizio della crisi è un altro.

    D. - Questa cultura della provvisorietà finisce anche per avere un peso in quelle che sono le vocazioni dei giovani. Come questo viene poi concretizzato nelle diverse aree del mondo?

    R. - L’influenza di questa cultura della provvisorietà è diversa a secondo dei continenti e quindi influisce anche nella perseveranza. Devo dire che, in base alla mia conoscenza, forse dove c’è più perseveranza è in Asia: forse perché in Asia, dove la Chiesa è minoranza, ha un senso profondamente religioso e quindi questo dà veramente un humus importante anche alla vita consacrata. In America Latina, in questo momento, c’è un po’ di difficoltà: le vocazioni diminuiscono e le uscite aumentano, lo stesso in Europa, mentre in Africa si mantengono i numeri: non cresce tanto come sarebbe da aspettarsi, ma è normale, perché la fede cristiana è recente in molti Paesi. Quindi, ancora non si pensa "in cristiano" sempre! Un altro dato che veramente meraviglia un po’ è che negli Stati Uniti, dove abbiamo una cultura molto secolarizzata e dove la Chiesa ha avuto una crisi forte, soprattutto dovuta agli scandali di abusi sessuali, le vocazioni stanno crescendo: si attende, infatti, che quest’anno vengano ordinati tanti sacerdoti, sia diocesani che religiosi. Quando parliamo di vocazioni, quindi, dobbiamo tener conto che questo non è opera dell’uomo e la fedeltà non è soltanto impegno dell’uomo: la fedeltà la dà Dio, l’uomo deve accoglierla. Ecco la grande responsabilità!

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    Nomina episcopale di Papa Francesco in Malaysia

    ◊   In Malaysia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Miri, presentata da mons. Anthony Lee Kok Hin, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Miri il rev.do Richard Ng, Rettore del Seminario Maggiore di Kuching.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Papa Francesco invita a pregare per la fine delle violenze in Iraq.

    Testimonianza comune in un mondo globalizzato: il messaggio del Papa per la decima assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo la Siria: si aggrava l'emergenza umanitaria.

    Un’esperienza di confronto: Jean-Pierre Denis, direttore di “La Vie”, illustra la quarta edizione degli Stati generali del cristianesimo, tenutasi quest'anno a Lione. Sul tema, inoltre, stralci dagli interventi di Lucetta Scaraffia e Jean-Marie Guénois nella tavola rotonda attorno alla domanda “Può un Papa da solo cambiare la Chiesa?”

    Oltre la crisi verso il rinnovamento: l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller sul sacramento dell’ordine negli studi di Joseph Ratzinger.

    La Chiesa nel cammino della storia: stralci dall’introduzione dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, al suo nuovo libro.

    Più forza all'identità europea: nell'informazione religiosa, il cardinale Marx presenta il rapporto annuale della Comece.

    L'iniziativa di un’associazione cattolica nelle Filippine per una celebrazione alternativa ad Halloween.

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    Oggi in Primo Piano



    Duplice attentato in Iraq: oltre 20 morti. Il nunzio a Baghdad: disarmare i terroristi

    ◊   La violenza in Iraq non ha pause. Oggi un duplice attentato kamikaze è stato sferrato contro i soldati iracheni e i membri delle milizie anti al-Qaeda a Tarmiyah, città a circa 50 chilometri a nord di Baghdad: i morti sono almeno 24. In questo clima, è stato accolto con gratitudine nel Paese l’appello di pace del Papa alla fine dell’udienza generale. Parole di speranza, ma che racchiudono anche tutto il dramma che sta vivendo l'Iraq, ancora alla ricerca di stabilità. Per un commento sull'appello del Papa, Salvatore Sabatino ha intervistato mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq e Giordania:

    R. – Bè, innanzitutto, un sentito ringraziamento al Santo Padre per questo appello che mi sembra più che mai opportuno. Infatti, statistiche non ufficiali parlano di circa 7.000 morti dall’inizio dell’anno a causa di attentati terroristici: quindi, c’è veramente bisogno di una maggiore riconciliazione, di pace, di stabilità. Credo che sia stato più che opportuno richiamare l’attenzione, invitare tutti alla preghiera perché non c’è molto che si possa fare se non, appunto, confidare nell’aiuto di Dio.

    D. – Qualche giorno fa, in occasione dell’apertura dell’anno accademico dello Studio teologico interdiocesano di Fossano, lei ha presentato un lungo rapporto in cui elenca tutti i pericoli che corre la minoranza cristiana in Iraq, ma invita anche alla speranza. Ecco: qual è il sentimento predominante tra i cristiani in Iraq, la sfiducia o proprio la speranza?

    R. – Direi che è difficile parlare proprio di speranza, quando si vede la realtà tragica che ci circonda. La speranza è una virtù, una virtù cristiana che a volte è forse nascosta nel cuore di ogni cristiano; ma mi pare di poter dire che c’è. C’è quando la si vede e quando la si sente nell’ottica della fede. Non c’è speranza se non c’è fede.

    D. – La storia contemporanea ci insegna che i cristiani in Iraq sono stati decimati dalle violenze, ma soprattutto dalla paura: moltissimi sono andati via dal Paese. Si può parlare, secondo lei, di persecuzione dei cristiani in Iraq?

    R. – In questo momento mi sembra esagerato parlare di persecuzione. Si può forse parlare di discriminazione, ma non è più come negli anni passati in cui erano specificamente oggetto di attentati terroristici: in questo momento stanno vivendo la tragica realtà di tutti i cittadini iracheni, in cui purtroppo non si riesce a porre fine a questi atti di violenza che spesso non sono neppure rivendicati e non si capisce bene quale ne sia la radice e la motivazione.

    D. – Quella della comunità cristiana in Iraq è una storia millenaria, risalente addirittura al primo secolo dopo Cristo. Proprio per questa loro presenza storica i cristiani, seppure suddivisi in una grande varietà di confessioni e di riti, sono sempre stati molti rispettati nel Paese. Oggi come vengono visti e che ruolo svolgono?

    R. – Mi sembra di percepire un grande apprezzamento nei confronti dei cristiani, per quello che hanno fatto e per quello che sono. E' gente che lavora, gente onesta che ha contribuito e contribuisce al bene del Paese. Purtroppo, essendo un piccolo numero alcune volte un po’ emarginato e un po’ discriminato, è chiaro che si trovano a vivere una situazione difficile e non sempre si sentono apprezzati per quello che hanno fatto e per quello che sono.

    D. – Una delle maggiori difficoltà che vive il Paese in generale, quindi non solo la comunità cristiana, riguarda soprattutto la mancanza di sicurezza. Come si vive la quotidianità in un Paese in cui la protagonista assoluta è la violenza?

    R. – Alcuni giorni fa si è svolto ad Amman un convegno internazionale di donne cattoliche; partecipava anche una ex ministro irachena, il ministro del’Immigrazione, la dottoressa Pascale Warda. Lei diceva, in un modo molto drammatico, che ogni sera con suo marito ringrazia il Signore perché i figli sono tornati. Questa è la realtà che vivono le famiglie: una grande incertezza e una grande gratitudine a Dio quando vedono tornare i figli la sera.

    D. – Lei è convinto che per arrivare a questa tanto sperata normalizzazione si debba creare innanzitutto occupazione, puntare sulla cultura e sul benessere in generale. Il governo ha dimostrato sensibilità in questo senso, ma sicuramente si può fare di più. Cosa?

    R. – Senza dubbio, bisogna agire sul disarmo della popolazione, dei gruppi terroristici; avere quindi un maggior controllo del territorio, perché finché non si riesce ad assicurare la pace, ad evitare questi attentati terroristici, c’è poco che si possa fare.

    D. – Un’ultima domanda: come vede il futuro per la Chiesa irachena?

    R. – Il futuro dipende molto dalla situazione politica. Io ho detto più volte che ho speranza perché credo che il Signore abbia guardato, fin dall’inizio della storia della salvezza, a questo Paese e quindi credo che non se ne sia dimenticato. Quello che il popolo iracheno sta attraversando è una prova che potrà far maturare di più la comunità cristiana e farla ritornare ad una maggiore autenticità evangelica.

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    Egitto: arrestato un altro leader dei Fratelli Musulmani

    ◊   Situazione sempre più complicata in Egitto. È stato arrestato al Cairo Essam El-Erian, vicepresidente del braccio politico dei Fratelli Musulmani, il Partito per la Libertà e la Giustizia. Dal 3 luglio scorso, quando l’esercito - sotto la spinta delle proteste di piazza - ha deposto il presidente Mohamed Morsi, molti esponenti del movimento sono stati arrestati con l’accusa di incitamento alla violenza. Intanto, il 4 novembre prossimo è in programma il processo - sempre per incitamento alla violenza e all’omicidio - nei confronti del deposto presidente e di alcuni suoi fedelissimi: tre dei giudici incaricati hanno però deciso di auto-ricusarsi, rinunciando a processare la guida suprema della Fratellanza, Mohamed Badie, i suoi vice, Khairat el Shater e Rashad Bayoumi, e altri tre dirigenti. I magistrati hanno detto di essere “a disagio” nel proseguire l'esame del procedimento, probabilmente perché gli imputati non sono mai comparsi in aula. Nella capitale, infine, proseguono le proteste degli universitari contro la destituzione dello stesso Morsi: le forze di sicurezza hanno lanciato lacrimogeni e sparato munizioni a salve per disperdere i manifestanti. Il commento di Renzo Guolo, docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Padova, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - L’arresto di Essam el-Erian, il vice presidente del Partito per la Libertà e la Giustizia, emanazione della Fratellanza Musulmana, era già stato ordinato dopo i moti di quest’estate che hanno portato alla presa del potere da parte dei militari. È evidente, però, che in qualche modo si tratta dell’ultimo dirigente di un certo livello ancora in libertà. A questo punto l’organizzazione sia dal punto di vista politico sia da quello religioso - visto anche che la guida, Badie, era stata già arrestata - è completamente decapitata. La questione solleva grandissimi problemi perché si tratta di capire che, al di là dei provvedimenti che hanno messo fuori legge la Fratellanza, qualsiasi ipotesi di inclusione rispetto al sistema politico difficilmente può prescindere - come dicono gli Stati Uniti e l’Unione Europea - dall’inserimento di un partito di questo tipo nel gioco politico.

    D. - Nel frattempo i giudici del processo al presidente deposto Morsi e ai suoi fedelissimi si sono auto-ricusati nel procedimento ai vertici della Fratellanza Musulmana. A questo punto si complica tutto l’iter giudiziario?

    R. - Si complica sicuramente, perché ci sono delle questioni che riguardano proprio la legittimità dell’intervento. La struttura giudiziaria era stata sottoposta sostanzialmente ad una duplice pressione, prima da parte dei generali e dello Scaf (il Consiglio supremo delle Forze armate) fino all’avvento della presidenza Morsi; poi lo stesso Morsi aveva fatto una sorta di tentativo di mettere sotto controllo la magistratura da parte dell’esecutivo, che era stato comunque liberamente scelto dal popolo. Quindi è evidente che la magistratura si trova oggi di fronte alla necessità di garantire la legalità tenendo conto che il quadro politico in cui si muove è quello dell’emergenza. E da qui viene evidentemente l’imbarazzo dei giudici. Probabilmente adesso i giudici verranno sostituiti, ma la scelta dei militari non è pacifica nemmeno all’interno delle organizzazioni dello Stato: ciò genera sicuramente tensioni istituzionali.

    D. - Il quadro che ne esce è quello di un Paese spaccato in più anime. Tra l’altro al Cairo ci sono state ancora delle manifestazioni di universitari disperse con i lacrimogeni e le munizioni a salve. Il Paese, a questo punto, dove va?

    R. - Il Paese è fortemente diviso: è polarizzato tra i sostenitori del golpe di luglio - che di fatto ha riportato al potere il regime degli “Ufficiali liberi” che aveva avuto una sua interruzione dopo la caduta di Mubarak e che, in funzione anti islamista, aveva avuto l’appoggio di una parte rilevante della popolazione - e quanti invece ritengono che la situazione che si è determinata con questo intervento sconfini nell’illegalità e che sia praticamente impossibile tagliare fuori metà del Paese. Teniamo conto che, per quanto i Fratelli Musulmani siano vittime della loro stessa incapacità di governo, comunque hanno ancora un forte radicamento non solo nelle città, ma soprattutto nel medio e nell’alto Egitto. Quindi è evidente che la decapitazione di questa organizzazione può provocare un duplice processo all’interno della Fratellanza. Da un lato, c’è già una corrente di quadri più giovani che pensa che in ogni caso bisognerà fare i conti con questo fallimento politico e punta a modificare la cultura politica di governo. Dall’altro lato, comincia a comparire una corrente che ritiene che di fatto non sia possibile costruire né uno Stato religioso né uno Stato islamico all’interno di un processo democratico. Questo evidentemente può generare anche una fuoriuscita di alcune fazioni o alcuni settori verso un islam più radicale. Dobbiamo tenere presente che il Sinai è una zona fuori controllo, con gruppi jihadisti e qaedisti. Se il malcontento si diffondesse, ci potrebbe essere una saldatura anche con questo pezzo di mondo fino a provocare una sorta di corto circuito anche dal punto di vista della sicurezza.

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    Incontro della Chiesa Cattolica in Amazzonia. Padre Ceppi: necessario dialogo per evitare devastazione

    ◊   E' necessario il dialogo per evitare la distruzione dell’Amazzonia e in questo senso è fondamentale il ruolo dei laici della regione. Questo il messaggio lanciato da padre Luigi Ceppi, missionario italiano in Brasile ormai da lungo tempo, in occasione del primo incontro della Chiesa Cattolica dell'Amazzonia, in corso a Manaus. Cristiane Murray gli ha chiesto cosa si aspetti da questo importante appuntamento:

    R. - Questo incontro dovrebbe avere, per me, due livelli: dovrebbe fare un’analisi della situazione e dare poi un giudizio etico. Allo stesso tempo, però, non possiamo scordarci di come vivono le nostre popolazioni.

    D. - Che ruolo possono avere i laici e la popolazione dell'Amazzonia per uno sviluppo responsabile della loro terra?

    R. - Abbiamo laici che sono anche competenti per poter appoggiare iniziative che non distruggano il passato, ma dando continuità al passato, possano favorire una vita piena per tutti. Esistono, direi, due tipi di cittadinanza: c’è la cittadinanza passiva, che riduce le sue manifestazioni solo per avere l’identificazione; c’è poi l’importanza di avere una cittadinanza attiva che fa progetti e che poi i responsabili stanno portando avanti. Noi dobbiamo scegliere il cammino del nostro progresso, senza dover subire quello che pochi decidono in favore del grande capitale. I laici devono avere l’autonomia di proporre alternative a tutti i progetti: altrimenti rimarremmo sempre sperando o reagendo in maniera quasi manichea, come dice il Papa.

    D. - Secondo lei, come si può concretizzare questo intervento dei laici?

    R. - Quando qualcuno mi chiede un consiglio dico: “Dialogo, dialogo, dialogo!”. Dialogare anche con un Dio che ci ama, ci protegge e soprattutto ci aiuta a costruire il Regno; ma anche un dialogo con l’umanità. Per esempio riceviamo anche molti aiuti: ma che tipo di aiuto? Alle volte io dico che la mancanza di rispetto è dovuta a progetti economici che noi riceviamo. Poi, in ultimo, - e questo è essenziale - il dialogo con la “pacha mama”, con la madre terra. Se riusciamo a dialogare e a vivere questa nuova fase, questa nuova epoca con questi tre dialoghi, riusciremo a sbarrare questo processo - che direi è distruttivo! - e dare inizio a uno spazio, che piano piano si costruisce, dove quello che vale è dialogare, convivere con le differenti civilizzazioni. In Brasile, per esempio, si dice: “Siamo brasiliani, ma rispettando le differenti culture, le differenti razze”. Questo è quello che sta avvenendo, per la mobilità umana, anche in Europa e negli Stati Uniti: quindi come convivere senza distruggersi e senza imporre determinati livelli di vita.

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    Il ministro Saccomanni alle Casse di risparmio: ripresa possibile ma no conflittualità

    ◊   Il presidente Napolitano rimarca l’apporto delle banche alla ripresa. In un messaggio per la Giornata mondiale del credito, il capo dello Stato ha detto che "serve rafforzare le azioni di sostegno all'economia, in uno sforzo generale al quale non può mancare l'apporto del sistema bancario e finanziario". Per il ministro dell’Economia, Saccomanni, l’Italia ha le carte in regola per agganciare la ripresa, ma serve stabilità. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    La ripresa sarà graduale. Nel 2014, dice il ministro Fabrizio Saccomanni, il Pil salirà dell’1,1% e nel 2017 anche del 2%. Inoltre, il sistema bancario è solido, perché non ha usufruito di aiuti da parte dello Stato e della Ue. Insomma, è possibile fare bene, sottolinea il ministro:

    "L’Italia ha le carte in regola per agganciare questa fase di impresa e trarne a pieno i vantaggi in termini di crescita e di occupazione. Dobbiamo tutti fare in modo che questa opportunità non vada perduta in un clima di perdurante instabilità politica".

    Poi Saccomanni difende l’impianto della Legge di stabilità, che prevede sgravi per 16.5 miliardi in tre anni. Una manovra prudente, visto che deve combinare rigore e sviluppo. Sulla necessità di continuare con le riforme avviate negli ultimi due anni concorda il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. E il risparmio è uno snodo cruciale:

    "Le banche italiane risentono di una crisi finanziaria e macroeconomica di cui non sono responsabili; soffrono però anche di ritardi e negligenze nell’adeguare operatività, efficienza, qualità dei servizi offerti ed assetti organizzativi all’evoluzione dei mercati".

    Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, fa notare comunque che le banche hanno fatto la loro parte per la ripresa. Difende le casse di risparmio Giuseppe Guzzetti, a capo dell’associazione che le raggruppa: sono soggetti sani che stanno sostenendo lo sviluppo.

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    Amnesty International: le politiche abitative dell’Italia discriminano i Rom

    ◊   Nei campi autorizzati di Roma sono oltre 4000. Sono considerati nomadi e sono esclusi dai programmi di edilizia residenziale pubblica. Solo un esiguo numero di famiglie vive nelle case popolari. Sono alcuni dei dati sulle condizioni abitative della popolazione Rom in Italia contenuti in una ricerca di Amnesty International, presentata a Roma. Nello studio si denunciano anche le carenze dei cosiddetti “campi attrezzati”. Su questa emergenza, Amedeo Lomonaco ha intervistato Elisa De Pieri ricercatrice sull'Italia del Programma Europa e Asia centrale dell’organizzazione umanitaria:

    R. – E’ un’offerta alloggiativa che è stata fatta ai rom in molte città italiane, ma la nostra ricerca si concentra su Roma. È un’offerta che è stata fatta soltanto ai rom, convenientemente etichettati come “nomadi”; in realtà, i rom che sono nomadi in Italia sono una piccolissima percentuale, circa il tre per cento. Quando tentano di accedere ad un alloggio - per loro la loro unica vera possibilità è la casa popolare in quanto, nella maggior parte dei casi, faticano molto a trovare un lavoro regolare che gli consenta di accede ad un affitto di mercato - la nostra analisi ha trovato degli ostacoli che li escludono attraverso forme di discriminazione indiretta.

    D. - E viene offerta una soluzione abitativa gravemente inadeguata …

    R. - Le condizioni abitative nei campi variano da campo a campo, ma in molti di questi c’è sicuramente tantissimo sovraffollamento che rende la vita delle famiglie molto difficile. Le condizioni abitative prevedono sempre container o roulotte molto piccole, le infrastrutture sono insufficienti. L’aspetto più marcatamente discriminatorio è la segregazione di questi campi che sono collocati al di fuori di zone residenziali, in molti casi con pochissimi trasporti pubblici. Quindi, le famiglie che ci vivono sono in una situazione di separazione senza una reale possibilità di inclusione sociale.

    D. - È innegabile che tutelare il diritto all’alloggio adeguato per tutti sia una sfida complessa. Tuttavia, non ci possono essere scuse: si devono rimuovere queste gravi forme di discriminazione e segregazione …

    R. - Assolutamente. Noi riconosciamo che il disagio abitativo in Italia è diffusissimo. Ci sono centinaia di migliaia di famiglie, non solo rom, ma anche italiane o straniere, che vivono questo momento di difficoltà economica in condizioni abitative precarie. Però, riteniamo ingiustificabile che all’ostacolo economico dovuto alle ristrettezze finanziarie del Paese, si aggiunga il pregiudizio. La discriminazione può e deve essere eliminata, come è obbligo dell’Italia in base ai trattati internazionali.

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    Tore Usala: malati di Sla abbandonati dallo Stato, nella Sanità comandano le lobby

    ◊   A una settimana dalla morte di Raffaele Pennacchio, il malato di Sla deceduto al termine di due giorni di presidio davanti al Ministero dell’Economia, il Comitato 16 Novembre, di cui era consigliere direttivo, chiede in una lettera al Governo di attuare in tempi rapidi gli accordi raggiunti nel novembre scorso per la tutela dei diritti dei disabili e dei disabili gravissimi. Sul significato che assume la morte di Raffaele Pennacchio, Fabio Colagrande ha intervistato Tore Usala, segretario del "Comitato 16 novembre", malato di Sla, residente a Monserrato, in Sardegna. Per parlare utilizza un computer:

    R. - Era un caro amico, un fratello, è morto da eroe, combattendo. In sua memoria continueremo la battaglia. Nell'incontro col governo ha detto piangente: "Fate presto, i malati terminali non hanno tempo!". Questo è il suo testamento, noi onoreremo il suo desiderio, sino alla morte.

    D. - Come descriverebbe quest’uomo che ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a lottare per i diritti di tutti i malati gravi come lui?

    R. - Raffaele era un medico e una persona eccezionale. Lavoratore instancabile, curava la posta ed il blog. Invidiavo la sua calma determinata, ci mancherà un prezioso consulente medico e politico, purtroppo era un ineludibile.

    D. - Quali erano le richieste che il vostro Comitato ha portato in Piazza a Roma davanti al Ministero e quali risposte concrete avete ottenuto?

    R. - Il Comitato 16 Novembre ha fatto un progetto completo, "Restare a Casa". Prevede il rientro al domicilio da strutture sanitarie con risparmi del 50% per il servizio sanitario. Abbiamo anche chiesto di portare a 600 milioni il fondo della non autosufficienza. Purtroppo nella Sanità comandano le lobby, non c'è verso di contrastarle, ma la battaglia è lunga, vedremo alla fine. Abbiamo ottenuto un impegno scritto, vediamo se mantengono la parola, altrimenti il 22 gennaio saremo a Roma.

    D. - Quali difficoltà incontrano oggi in Italia i malati di Sla e i loro familiari nel ricevere assistenza?

    R. - Tutti i malati gravissimi vivono uno stato di totale abbandono da parte delle istituzioni, le famiglie sono imprigionate in casa senza colpa. Solo in pochissime Regioni esiste un aiuto concreto. Abbiamo proposto il modello Sardegna, dove un tracheostomizzato ha un finanziamento sino a 47.000 €, ma il Governo è lontano anni luce dai problemi dei disabili, preferisce fare inconcludenti commissioni e tavoli tecnici.

    D. - Pensa che la morte di Raffaele smuoverà un po’ l’influenza della politica?

    R. - Non ci credo nemmeno un po', fra 10 giorni Raffaele sarà un morto come tanti, penseremo noi a ricordare tutti i morti con le nostre lotte. C'è un parallelo, i morti di Lampedusa, nessuno ne parla più, e non hanno fatto nulla.

    D. - Cosa pensa il Comitato 16 Novembre delle critiche che molti vi rivolgono per la forma estrema delle vostra protesta?

    R. - Sono puerili e banali, dette da associazioni che fanno solo chiacchiere e amano sedersi ai tavoli tecnici. Così facendo hanno assistito inermi a 2.500 milioni di tagli nel sociale. Noi siamo malati estremi, ogni giorno muore qualcuno, facciamo lotte spinte per la vita, altrimenti non ci considera nessuno, la nostra è una vera calamità naturale. La prossima volta saremo più determinati e cinici.

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    "Dove e come mi curo": un motore di ricerca per trovare l'ospedale migliore

    ◊   Un portale online, accessibile a tutti i cittadini, che offre informazioni su dove e come curarsi, semplicemente inserendo i propri dati, la patologia di cui si soffre e la regione geografica di provenienza. E’ il progetto sviluppato in oltre due anni di lavoro da un gruppo di ricercatori, e che a partire da oggi, sarà consultabile in Rete all’indirizzo www.doveecomemicuro.it. Sui criteri di selezione delle 1233 strutture sanitarie proposte dal sito, che comprendono ospedali, cliniche e case di cura, Cecilia Sabelli ha intervistato il prof. Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università cattolica – Policlinico Gemelli di Roma e coordinatore del progetto:

    R. – Oggi noi con questo sito, mettiamo a disposizione in maniera comprensibile a tutti gli italiani tutti gli indicatori che già sono presenti in Italia, che però sono molto complessi da capire, perché comprendono tassi di mortalità, tassi di infezione … cose estremamente complesse che una persona non addetta ai lavori non capisce. Invece, noi le proponiamo in maniera semplice utilizzando i semafori: quindi, se l’ospedale ha un semaforo verde significa che è un ospedale eccellente, dove si consiglia di andare; se ha un semaforo rosso, i dati non sono altrettanto buoni.

    D. – Sulla base di quali criteri avete selezionato le strutture sanitarie proposte dal sito?

    R. – Noi abbiamo una serie di indicatori che vengono prodotti, normalmente, dal ministero della Salute, dall’agenzia nazionale per i servizi sanitari oppure anche da strutture private come la Fondazione Veronesi sui tumori. Fino a questo momento erano inutilizzati. Noi li abbiamo incrociati e aggregati con le strutture e quindi, come si fa con un motore di ricerca, con Google, per esempio, che si digita un problema e su Google appaiono tante stringhe, nel caso nostro si va a cliccare su un problema, che può essere un problema ad una determinata parte del corpo oppure ad una determinata malattia, o anche partorire – dove andare a partorire – e a quel punto la risposta arriva in due click è, se si cerca nella propria regione, il migliore ospedale nella propria regione; se si cerca invece in tutta Italia, le prime strutture in tutta Italia.

    D. – Non si rischia in questo modo di penalizzare alcune strutture e favorirne altre?

    R. – Non lo so se questo succederà; ma succederà soltanto perché i cittadini saranno più consapevoli di scegliere le strutture migliori. E come succede in tutte le democrazie trasparenti, la scelta dei cittadini va rispettata. Quando i cittadini andranno magari preferenzialmente negli ospedali migliori, i decisori evidentemente dovranno porsi il problema che gli ospedali “più in difficoltà” o vanno rafforzati o, probabilmente, quelle risorse vanno indirizzate in altro modo.

    Il progetto rappresenta anche un primo passo verso un sistema sanitario più trasparente. Proprio di trasparenza degli esiti ha parlato il prof. Ferruccio Fazio, già ministro della Salute, docente di Medicina Nucleare dell’università di Milano – Bicocca, al quale Cecilia Sabelli ha chiesto come è nata l’idea di questo progetto che investe nell’informatizzazione e che punta ad un aumento dell’efficienza del sistema sanitario in Italia:

    R. – Quando eravamo al governo, abbiamo fatto una serie di attività proprio in direzione della trasparenza, e quindi: rendere pubblici gli esiti delle varie patologie, rendere pubblici i risultati dell’analisi dell’appropriatezza, etc. Ora questo progetto, sull’esempio di quanto già avviene in altri Paesi, in particolare in Inghilterra, è proprio inteso a rendere fruibile ai cittadini questo tipo di informazione. Quindi, è una cosa diretta ai cittadini, che servirà ai cittadini per farsi curare meglio o per sapere quale tipo di aspettativa possano avere nelle diverse strutture sanitarie.

    D. – Esiste un passo successivo rispetto a questo che avete già compiuto, sempre in direzione di un aumento dell’efficienza del sistema sanitario?

    R. – In generale, vorrei dire una cosa: quando si va a vedere l’analisi della situazione che è fondamentale, quindi la verifica dello stato della sanità, esistono tre approcci fondamentali. Un approccio molto importante è quello della appropriatezza, l’altro è quello degli esiti e questi dati mettono a disposizione dei cittadini esiti e appropriatezza. Il passo successivo, cui però non abbiamo ancora pensato strutturalmente ma che credo sicuramente che sia importante, è quello della customer’s satisfaction, cioè di andare a verificare la soddisfazione dell’utente ex post, cioè dopo aver utilizzato le strutture sanitarie.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Il card. Filoni in Pakistan per l’ordinazione del vescovo di Faisalabad. Previsti 10mila fedeli

    ◊   Il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, è partito questa mattina alla volta del Pakistan, dove, nel corso di una visita pastorale, nel giorno della solennità di Tutti i Santi, venerdì 1° novembre, presiederà l’ordinazione episcopale del vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad. Durante il suo viaggio - riferisce l'agenzia Fides - il Prefetto del Dicastero Missionario incontrerà anche la comunità cattolica di Lahore: domani mattina presiederà la celebrazione eucaristica in cattedrale, a cui saranno presenti vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, seminaristi, catechisti e altri rappresentanti della comunità diocesana. Nel pomeriggio è prevista una riunione del card. Filoni con i vescovi del Pakistan. Il porporato rientrerà a Roma sabato prossimo. “Avere il nuovo vescovo – spiega alla Fides il vicario generale padre Khalid Rashid Asi – è come avere un Padre che si prende cura di noi. I fedeli sono entusiasti e sono grati al Santo Padre. Accoglieremo con grande amore e con grande onore il card. Filoni che porta nel nostro Paese la sollecitudine e l’affetto di Papa Francesco”. Nel colloquio con Fides, padre Khalid Rashid Asi prosegue: “Viviamo un clima pieno di speranza. La gente è entusiasta. Alla Santa Messa per l’Ordinazione episcopale saremo circa 10mila persone. Per ospitare tutti, la celebrazione si terrà al Collegio de La Salle, che dispone di una vasta area all’aperto. Vi parteciperanno il nunzio apostolico, tutti i vescovi del Pakistan, oltre 300 sacerdoti da tutto il Paese, centinaia di religiosi, tutti i bambini e ragazzi delle scuole cattoliche, gruppi e associazioni giovanili. Vi saranno anche sei ambasciatori, le autorità civili ed esponenti della società civile. Abbiamo invitato anche leader religiosi musulmani. Il governo ha disposto imponenti misure di sicurezza – dati i pericoli per i cristiani, acuiti dopo la recente strage di Peshawar – per un evento che sta avendo ampio rilievo sui mass-media”. Faisalabad ha una popolazione di circa tre milioni di abitanti, dei quali circa 175mila cattolici. Secondo dati forniti alla Fides dalla Chiesa locale, i sacerdoti diocesani sono 41 e i religiosi 17. Le suore sono 101 mentre 90 sono i catechisti, che operano in 22 parrocchie. La Chiesa gestisce 62 istituti educativi, in cui lavorano oltre 2.000 insegnanti. Molte suore pakistane dalla diocesi lavorano come missionarie in altri Paesi, tra cui l’Afghanistan. Nel territorio diocesano si trova il villaggio di Khushpur, uno tra gli insediamenti cattolici più antichi in Pakistan, dove è nato Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico per le minoranze ucciso dai terroristi due anni fa. (R.P.)

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    Siria. Il capo della sicurezza libanese: localizzati i due vescovi rapiti

    ◊   Il luogo in cui si trovano i due vescovi di Aleppo rapiti è stato individuato, e sono iniziati “contatti indiretti” con i sequestratori per ottenerne la liberazione. Lo ha dichiarato il generale Abbas Ibrahim, capo della Sicurezza Generale libanese, che ha anche confermato alcune sue precedenti dichiarazioni sulla complessità del caso riguardante i due vescovi sequestrati. Le nuove rivelazioni del Generale Ibrahim sono riportate in una nota diramata ieri dalla Sicurezza Generale libanese e riportata dall'Agenzia Fides. “Circa un mese fa” ha spiegato il generale “ho contattato una persona che mi ha detto dove erano detenuti i vescovi Boulos al-Yazigi e Yohanna Ibrahim, e su questa base ho iniziato i negoziati. Noi - ha aggiunto l'alto ufficiale degli apparati di sicurezza libanesi - siamo ora indirettamente in contatto con i rapitori, e questo è uno sviluppo rilevante che useremo come punto di partenza per ottenere i risultati da noi auspicati”. I due vescovi metropoliti di Aleppo – il greco ortodosso Boulos al-Yazigi e il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim – erano stati rapiti lo scorso 22 aprile nell'area compresa tra la metropoli siriana e il confine con la Turchia. Da allora, nessun gruppo aveva rivendicato il sequestro. La scorsa settimana, durante colloqui avuti a Doha con il patriarca maronita Bechara Boutros Rai e il generale Ibrahim, l'emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani aveva promesso di fare tutto il possibile per favorire il rilascio dei due vescovi. (R.P.)

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    Israele: liberati 26 detenuti palestinesi. Ma Israele approva un altro insediamento

    ◊   Sono state avviate alla mezzanotte di ieri le procedure per il rilascio di 26 prigionieri politici palestinesi, approvato domenica dal governo israeliano. Si tratta del secondo scaglione dei 104 palestinesi che il premier Benjamin Netanyahu si è impegnato a scarcerare nell’ambito del negoziato bilaterale israelo-palestinesi mediati da Washington. Secondo l’agenzia palestinese Maan ripresa dalla Misna, 21 dei prigionieri sono stati rilasciati in Cisgiordania e cinque nella Striscia di Gaza. Quelli residenti in Cisgiordania sono stati trasportati, per una cerimonia ufficiale, alla Muqata – il quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese a Ramallah – dove ad accoglierli c’era il presidente Mahmoud Abbas, i familiari e centinaia di persone. È possibile che anche il governo di Hamas organizzi dei festeggiamenti a Gaza poiché quattro dei 26 detenuti fanno parte del movimento islamico che di fatto governa il territorio. Anche questo secondo gruppo di prigionieri come il primo, altre 26 persone liberate il 14 agosto, era composto da gente in carcere da prima o subito dopo la firma degli Accordi di Oslo nel 1993. Hanno scontato fra 19 e 28 anni e le famiglie premevano per il loro rilascio. Sul fronte palestinese la gioia della liberazione è stata stemperata dalla notizia che Israele ha approvato altre 1500 unità abitative a Gerusalemme est. Le nuove abitazioni sorgeranno nell'insediamento di Ramat Shlomo. Per i funzionari del governo i nuovi insediamenti sono frutto di un accordo stipulato con Usa e Autorità palestinese, ma Ramallah nega. Già nell'agosto scorso Israele aveva annunciato la costruzione di 2mila abitazioni, pochi giorni dopo il rilascio degli altri 26 detenuti palestinesi. (R.P.)

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    Centrafrica: il Consiglio di sicurezza Onu approva l'invio di militari a Bangui

    ◊   “Abbiamo dimenticato questa crisi da molto tempo e il crollo dell’ordine pubblico e l’arrivo al potere dei gruppi armati ha reso la situazione nel Paese molto caotica”: così John Ging, direttore delle operazioni dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per gli affari umanitari, ha parlato al Consiglio di sicurezza che ha infine approvato l’invio di militari in Repubblica Centrafricana, come proposto dal segretario generale Ban Ki-moon. “Oltre la metà della popolazione del Paese ha bisogno di aiuti umanitari” ha insistito Ging, sottolineando allo stesso tempo che “il problema prioritario” è la protezione della popolazione civile, che ha sopportato “atrocità indescrittibili” dopo il rovesciamento, a marzo, del presidente François Bozizé, per mano dei ribelli Séléka, oggi al potere con un governo che non riesce a ristabilire la sicurezza a Bangui e in altre regioni, in particolare quelle più instabili del nord-ovest. Ban Ki-Moon aveva proposto la settimana scorsa il dispiegamento rapido di un contingente incaricato di riportare l’ordine. In base alla risoluzione, 250 soldati, che non saranno ‘cashi blu’, saranno dispiegati a Bangui; questa unità, che potrà essere rafforzata fino a 560 soldati è già prevista in un’altra risoluzione del Consiglio di sicurezza approvata l’8 ottobre, in merito alla quale l’organo esecutivo dell’Onu attendeva le raccomandazioni di Ban. All’inizio del mese il Consiglio aveva deciso di rafforzare la Misca, la Missione internazionale per la stabilizzazione del Centrafrica (Misca) dell’Unione Africana (Ua), con la prospettiva di trasformarla, eventualmente, in missione di mantenimento della pace. Costituita per ora da soli 1.400 uomini, la MIisca dovrebbe a pieno regime dispiegare 3.600 uomini ma l’invio di nuove truppe è ostacolato dalla carenza di mezzi finanziari e militari. (R.P.)

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    India: assolti 54 estremisti indù responsabili di violenze anticristiane in Orissa

    ◊   Assolti per mancanza di prove: con questa motivazione un tribunale dell’Orissa ha prosciolto dalle accuse 54 estremisti indù responsabili di saccheggi e violenze anticristiane compiute nel Natale 2007 nel distretto di Kandhamal, nello Stato indiano dell’Orissa. Come riferito all'agenzia Fides, fra le distruzione compiute vi era anche la devastazione di una chiesa cristiana Battista nel villaggio di Barakhama e l’incendio di numerose case di fedeli cristiani. Le violenze del Natale 2007 furono un triste presagio e una “prova generale” dei massacri di cristiani compiuti nello stesso distretto nell’agosto del 2008. Anche per questi ultimi attacchi, la maggior parte dei colpevoli resta impunita. Durante il processi, in diversi casi i testimoni oculari hanno ritrattato e sono decadute le accuse più gravi, come omicidio, stupro, incendio doloso. Secondo il “Consiglio Globale dei Cristiani Indiani” (Gcic) “le prove nel processo dei 54 uomini erano evidenti e incontrovertibili”. Per questo, in una nota inviata a Fides, il Consiglio invita la Commissione nazionale per i Diritti umani a “prendere atto degli abusi su larga scala subiti dai cristiani e intraprendere nuove indagini”. Il Gcic nota “il totale fallimento nell’amministrazione della giustizia”, ricordando che, secondo ricostruzioni già accertate all’epoca dei fatti, la violenza del Natale 2007 era stata “perfettamente organizzata e programmata”. Nell’ottobre del 2012 anche la Corte Suprema dell’India ha sollevato il dubbio sulle “assoluzioni facili” nei casi di violenza religiosa in Orissa, che hanno “guastato la percezione di un giusto processo”. Paradossalmente, un mese fa, sette cristiani sono stati invece condannati da un tribunale di primo grado in Orissa, per il presunto omicidio, nell’estate 2008, di un leader indù fu ucciso da gruppi maoisti. Quell’episodio venne usato come pretesto dagli estremisti indù per scatenare la violenza contro i cristiani in Orissa, che fece 100 morti e oltre 50mila sfollati. (R.P.)

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    Malaysia: "sequestro preventivo" del settimanale cattolico che non può usare la parola "Allah"

    ◊   In Malaysia emergono i primi effetti della controversa sentenza della Corte di appello, che impedisce al settimanale cattolico The Herald di usare la parola "Allah" per definire il Dio cristiano. Il 25 ottobre alcuni funzionari del ministero degli Interni hanno bloccato 2mila copie della rivista dell'arcidiocesi di Kuala Lumpur all'aeroporto di Kota Kinabalu, nello Stato di Sabah. Il sequestro, hanno poi spiegato i membri del dipartimento - riporta l'agenzia AsiaNews - si è reso necessario basandosi proprio sugli effetti del verdetto dei giudici; difatti, era necessario verificare se la pubblicazione "era conforme" al dispositivo emesso dai magistrati e "non vi era un uso illegittimo della parola Allah". In una nota ufficiale diffusa sulla propria pagina Facebook, il ministero malaysiano degli Interni ha confermato il sequestro preventivo, sottolineando che "dopo l'ispezione è stato accertato che non vi sono usi illegittimi nella pubblicazione". Per questo essa ha poi ricevuto "la luce verde" per la successiva distribuzione "il 27 ottobre 2013". Interpellato sulla vicenda, il direttore di Herald Malaysia padre Lawrence Andrew dichiara di non aver ricevuto alcuna "spiegazione ufficiale" dal ministero degli Interni; il sacerdote aggiunge che l'operazione effettuata all'aeroporto di Kota Kinabalu, per quanto "temporaneo", ha di fatto "impedito la regolare distribuzione" del giornale nelle chiese di Sabah. E i fedeli "non hanno potuto ricevere in tempo" le copie per le messe domenicali del 27 ottobre nelle parrocchie. Al contempo, padre Lawrence sottolinea che il dissequestro è avvenuto solo "dopo che è intervenuto l'arcivescovado di Kuala Lumpur" nella persona di mons. Murphy Pakiam; l'opera del prelato presso un deputato cattolico di Sabah (Wilfred Madius Tangau, membro del partito di governo Barisan Nasional) ha favorito lo sblocco delle pubblicazioni. Da sottolineare che a Sabah (dove è avvenuto il sequestro delle copie) ed a Sarawak, due Stati della Federazione malaysiana situati sull'isola del Borneo, il fatto ha creato enorme scalpore, perchè due terzi della popolazione cristiana del Paese vivono nella zona, che presenta enormi differenze rispetto alla penisola continentale. Qui le polemiche sull'uso di "Allah" non ve ne sono, i cristiani usano senza problemi la parola e vi è una sostanziale armonia e vicinanza fra membri di religioni diverse, anche e soprattutto all'interno delle famiglie. Sulla vicenda è intervenuto anche Jagir Singh, presidente del Consiglio consultivo malaysiano per il buddismo, il cristianesimo, induismo, sikh e taoismo (Mccbchst), che accusa il ministero degli Interni di "arrogarsi il diritto di regolare le libertà fondamentali, fra cui la libertà religiosa". Il Consiglio delle chiese della Malaysia parla infine di "violazioni ai diritti delle Chiese cristiane". (R.P.)


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    Vescovi europei: a Trieste un incontro su "Fede e carità"

    ◊   “La risposta della Chiesa cattolica in Europa alle sfide dell’attuale crisi economica”, sul piano “educativo, formativo e d’impegno sociale”. Vuole essere questo, nelle intenzioni degli organizzatori, l’incontro di vescovi europei organizzato dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), con sede a San Gallo, in Svizzera, in occasione della conclusione dell’Anno della fede indetto da Benedetto XVI. Ad ospitarlo, dal 4 al 6 novembre - riferisce l'agenzia Sir - sarà la diocesi di Trieste: sono attesi circa 50 fra cardinali, vescovi e laici, esperti. L’iniziativa, spiegano gli organizzatori, si presenta come “un appuntamento di alta divulgazione, volto a suscitare nelle Conferenze episcopali e nelle singole diocesi d’Europa una rinnovata sollecitudine per l’impegno ecclesiale nelle attività caritative quale espressione autentica della fede”. Il programma dell’incontro, dal titolo: “Testimoniare la fede attraverso la carità”, prevede l’approfondimento degli aspetti essenziali, teologici e giuridici, del Motu proprio di Benedetto XVI “Intima Ecclesiae natura”, sul servizio della carità nella Chiesa cattolica. “Questo incontro sarà un momento di grande rilievo per la Chiesa cattolica in Europa e in Italia, che avrà un significato del tutto particolare per le comunità ecclesiali di Trieste e della regione Friuli Venezia Giulia”, si legge in una nota della diocesi di Trieste. I lavori si apriranno il 4 novembre, alle ore 16, con i saluti del card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, e di mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente della Commissione Affari Sociali “Caritas in Veritate” del Ccee. Alle 16.30, la relazione del card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, vice-presidente del Ccee e presidente della Cei, sul tema: “La fede cresce quando è vissuta come un’esperienza di amore ricevuto: il rapporto tra fede e carità”. Alle 17.35, il card. Sarah terrà una relazione sul Motu proprio di Benedetto XVI (“Intima Ecclesiae natura”). Il 5 novembre, alle 9.30, mons. Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, parlerà del “servizio della carità nella Chiesa cattolica”, mentre Helmuth Pree, dell’Università di Monaco, si soffermerà sugli “obblighi del servizio ecclesiale di carità”. Dopo il dibattito e il pranzo, la testimonianza di don Roberto Pasetti, direttore di Caritas Trieste. Nel pomeriggio, interverrà Heinrich Pompey, dell’Università di Olomouc, cui seguiranno alcune testimonianze, il dibattito e le conclusioni a cura di mons. Crepaldi. (R.P.)

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    Si è spento Alejandro Valladares, ex decano del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede

    ◊   Si è spento ieri in un ospedale della città honduregna di Valle de Angeles, l'ex ambasciatore dell’Honduras presso la Santa Sede ed ex decano del Corpo Diplomatico, Alejandro Valladares. Il diplomatico si trovava nel suo Paese dallo scorso agosto. Stamattina si è tenuta a Roma una Messa di suffragio nella Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli. Alejandro Valladares è stato anche ambasciatore presso il Sovrano Ordine di Malta e dal 1997 è stato decano della Grula, Gruppo di ambasciatori Latinoamericani. Dal 2000 è stato decano del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede e presso il Sovrano Militare Ordine di Malta. Tra le onorificenze ricevute: Gran Nomina Cavaliere nell'Arte, ricevuta dall’Accademia Internazionale dei Diuscuri; Gran Croce dell'Ordine "Pro Merito Melitensi” assegnato dal Principe e Gran Maestro dell'Ordine di Malta nel 1993; Gran Croce dell'Ordine di Pio IX concessa da Sua Santità Giovanni Paolo II nel 1993 e una medaglia particolare concessa da Papa Giovanni Paolo II come un ringraziamento speciale a ciascuno degli otto ambasciatori che lo accompagnarono nel difficile viaggio a Sarajevo. Stamattina nella celebrazione eucaristica c’erano, oltre all’attuale ambasciatore del Paese presso la Santa Sede e la console del Honduras presso Italia, il Corpo Diplomatico rappresentato da 50 Paesi e l’attuale decano del Corpo Diplomatico nonché ambasciatore del Principato di Monaco, Jean-Claude Michele, il quale – ai microfoni della Radio Vaticana – ha definito Alejandro Valladares “un uomo di fede, di fede profonda. Quando ho saputo che era malato, mi ha detto che era nelle mani del Signore. Quando è partito qualche mese fa, nel mese di agosto, ci siamo salutati per l’ultima volta e gli ho detto: ‘Guarda che ci vediamo’. Mi ha guardato con un sorriso e molto disteso mi ha detto: ‘No, penso di no! Non ritornerò più a Roma!’. Si vede che sentiva che la sua fine era vicina. Ormai è in cielo e sono sicuro che Dio lo ha preso nelle sue braccia”.

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    Messico: i vescovi chiedono misure contro la violenza nel Michoacán

    ◊   I vescovi del Messico hanno chiesto alle autorità federali, statali e comunali un'azione urgente, rapida ed efficace contro rapimenti, sequestri, omicidi e tangenti che colpiscono la dignità e le proprietà di tante persone nelle comunità del Michoacán. Attraverso un comunicato, pervenuto all’agenzia Fides, la Conferenza episcopale messicana (Cem), nella persona del suo presidente, l'arcivescovo di Guadalajara, il card. Francisco Robles Ortega, e del segretario generale, il vescovo ausiliare di Puebla, mons. Eugenio Lira Rugarcía, ha espresso il suo sostegno alla dichiarazione fatta da mons. Miguel Patiño Velazquez, vescovo di Apatzingán, che ha denunciato pochi giorni fa la situazione in cui vivono le comunità e la popolazione nello Stato di Michoacan e, specificamente, nella vale di Apatzingán. La zona del Michoacan è infatti una delle più violente del Messico, più volte si è parlato di un Piano Strategico di Sicurezza ma la situazione non è cambiata, anzi sembra peggiorare di giorno in giorno. Il documento della Conferenza episcopale messicana denuncia la situazione di violenza in cui vive la popolazione e gli ostacoli posti all’azione pastorale della Chiesa dalle minacce del crimine organizzato. Quindi i vescovi lanciano un appello per una azione rapida ed efficace da parte della autorità, invitano tutti a fermare la violenza proponendo una cultura del rispetto dello stato di diritto e di pace. La Chiesa infine si impegna per la ricostruzione del tessuto sociale e a dare assistenza alle vittime della violenza. (R.P.)

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    Giordania. Le scuole cattoliche: impatto negativo delle “primavere arabe” sulla libertà di educazione

    ◊   Le cosiddette “Primavere arabe” hanno finora avuto in molti Paesi del nord Africa e in Medio Oriente un impatto negativo sulla libertà di educazione, che ha penalizzato la tradizionale opera educativa condotta in quelle regioni dalle scuole cristiane. Il quadro non rassicurante della situazione è emerso nell'incontro annuale dei segretari nazionali delle scuole cattoliche in Medio Oriente e Africa del nord, svoltosi nei giorni scorsi ad Amman. In generale, in nessun Paese la messa in discussione o il rovesciamento di precedenti equilibri di potere ha aperto nuovi orizzonti sul terreno della libertà di educazione e della revisione dei modelli d'istruzione. “Anche nelle situazioni più favorevoli, come quella che viviamo in Giordania” spiega all'agenzia Fides padre Hanna Kildani, responsabile delle scuole cristiane nel Regno Hascemita – si parla da tempo con i responsabili del Ministero dell'istruzione intorno alla necessità di rivedere i libri scolastici valorizzando i criteri della libertà di coscienza, del rispetto reciproco, del dialogo tra le comunità religiose, e inserendo nei programmi anche i riferimenti alla storia del cristianesimo. Ma finora non abbiamo registrato nessun cambiamento concreto”. In altri contesti – come hanno documentato i diversi responsabili nazionali nelle loro relazioni – i segnali sono ben più gravi. Nei Paesi che hanno visto prevalere partiti e gruppi di carattere islamista, come la Tunisia o la Striscia di Gaza, si avverte la pressione crescente a far penetrare l'ideologia islamista nei programmi scolastici. “In Egitto, poi” riferisce padre Kildani “le scuole cristiane insieme alle chiese sono diventate il bersaglio prescelto degli attacchi e degli attentati realizzati dalle bande islamiste per terrorizzare i copti: così adesso la gente ha paura di mandare i propri figli a studiare nelle scuole cristiane”.

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    Mongolia: il vescovo ringrazia per l’impegno missionario della Chiesa coreana

    ◊   L’aiuto e la cooperazione missionaria garantiti dalla Chiesa coreana sono stati e sono tuttora decisivi per la crescita e la maturazione della piccola Chiesa in Mongolia: lo ha affermato il vescovo Wenceslao Padilla, prefetto apostolico di Ulaanbataar, visitando l'arcidiocesi di Seul. Come riferito all'agenzia Fides dall’ufficio comunicazioni della Chiesa locale, il vescovo ha sensibilizzato parrocchie e associazioni coreane, lanciando una raccolta fondi per sostenere le scuole cattoliche in Mongolia. Mons. Padilla, che ha iniziato il lavoro missionario in Mongolia nel 1992, ha raccontato: “Quando sono arrivato in Mongolia, 21 anni fa, non c'era nessuna chiesa e nessun cattolico. Abbiamo affrontato molte sfide, a partire dai problemi finanziari, fino alle differenze culturali e alle difficoltà linguistiche. Eravamo in un contesto in cui la religione cristiana era totalmente nuova e il credo più diffuso era il buddismo tibetano”. In un ventennio la Chiesa è cresciuta e si è radicata, la Chiesa mongola è piccola ma vivace e dinamica: “Vi è oggi grande speranza per la fioritura della fede cristiana in Mongolia: grazie alla collaborazione della popolazione locale ma anche dall’opera dei missionari e delle Chiese sorelle”, come la Chiesa coreana, che ha inviato costantemente negli anni, ha ricordato il vescovo, “sostegno finanziario e missionari”. Dal 2004, la Chiesa in Mongolia riceve sostegno finanziario da associazioni ecclesiali coreane come il “One Body One Spirit Movement”, da una Fondazione missionaria e dal “Catholic Medical Center” dell'arcidiocesi di Seul. I settori di cooperazione sono soprattutto l’istruzione e la sanità. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 303

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