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Sommario del 26/10/2013
◊ I libri su Gesù scritti da Benedetto XVI hanno permesso di scoprire o di rafforzare la fede in molte persone e hanno aperto una nuova stagione di studi sui Vangeli. È la considerazione centrale espressa stamattina da Papa Francesco, che ha insignito due teologi – un britannico e un tedesco – del “Premio Ratzinger”, giunto alla terza edizione e promosso dalla Fondazione vaticana "Joseph Ratzinger-Benedetto XVI". Il servizio di Alessandro De Carolis:
Hanno fatto del bene a tanti, questo è indubbio, che fossero studiosi o gente semplice, vicini o lontani da Cristo. Questo è il risultato prodotto dai tre libri su Gesù di Nazaret, scritti da Benedetto XVI tra il 2007 e il 2012, e in generale il bene operato dalla sua sapienza teologica, frutto di preghiera prima che di impegno intellettuale. Papa Francesco lo ha riconosciuto e celebrato pubblicamente nel giorno e nel contesto più appropriati, al cospetto dei due teologi – il britannico Richard Burridge e il tedesco Christian Schaller – che hanno ricevuto dalle mani di Papa Francesco il Premio intitolato al Papa emerito. Ma la consegna del cosiddetto “Nobel della teologia – come viene considerato il Premio Ratzinger dalla sua istituzione, nel 2010 – ha fornito a Papa Francesco soprattutto l’occasione per una riflessione personale sul valore della trilogia scritta da Benedetto XVI-Joseph Ratzinger. Ricordando lo stupore di alcuni di fronte a testi che non erano propri del magistero ordinario, Papa Francesco ha osservato:
"Certamente Papa Benedetto si era posto questo problema, ma anche in quel caso, come sempre, lui ha seguito la voce del Signore nella sua coscienza illuminata. Con quei libri lui non ha fatto magistero in senso proprio, e non ha fatto uno studio accademico. Lui ha fatto dono alla Chiesa e a tutti gli uomini di ciò che aveva di più prezioso: la sua conoscenza di Gesù, frutto di anni e anni di studio, di confronto teologico e di preghiera – perché Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio, e tutti lo sappiamo – e questa l’ha messa a disposizione nella forma più accessibile”.
“Nessuno può misurare quanto bene ha fatto con questo dono; solo il Signore lo sa”. E tuttavia, ha soggiunto Papa Francesco:
“Tutti noi ne abbiamo una certa percezione, per aver sentito tante persone che grazie ai libri su Gesù di Nazaret hanno nutrito la loro fede, l’hanno approfondita, o addirittura si sono accostati per la prima volta a Cristo in modo adulto, coniugando le esigenze della ragione con la ricerca del volto di Dio”.
E non solo il cuore alla ricerca o alla riscoperta di Gesù è stato toccato dalle parole del Papa emerito. Anche la mente di tanti studiosi – ha riconosciuto Papa Francesco – ha ricevuto nuova linfa:
“L’opera di Benedetto XVI ha stimolato una nuova stagione di studi sui Vangeli tra storia e cristologia, e in questo ambito si pone anche il vostro Simposio, di cui mi congratulo con gli organizzatori e i relatori”.
Con i vincitori del Premio Ratzinger 2013, Papa Francesco si è congratulato anche a nome di Benedetto XVI – con il quale ha detto di essersi incontrato "quattro giorni fa" – e li ha salutati con questo augurio: “Il Signore benedica sempre voi e il vostro lavoro al servizio del suo Regno”.
Un gruppo di ex alunni dei Gesuiti dell'Uruguay incontra il Papa
◊ Il Papa ha ricevuto in udienza questa mattina una trentina di ex alunni dei Gesuiti dell’Uruguay. Un incontro dai toni cordiali, alla presenza anche di molti bambini, “una promessa e una speranza” li ha definiti il Papa, soffermandosi sui ricordi che lo legano all’Uruguay. Poi il riferimento ad una futura visita: “Non so quando sarà in programma un viaggio nel vostro Paese – ha detto - ma prima del 2016 sicuramente no. Una cosa è certa – ha aggiunto - se visiterò l’Argentina, dovrò visitare anche il Cile e l’Uruguay, tutti e tre insieme. Così ci incontreremo lì”. Ha quindi chiesto di pregare per lui: “Qui la gente è buona, sono buoni i compagni e tutti lavorano insieme, ma il lavoro è tanto e non ce la si fa. Pregate per me, per i miei collaboratori, perché possiamo andare avanti. Molte grazie!”.
Le famiglie di tutto il mondo in Piazza San Pietro. Il Papa: siete il motore della storia
◊ L’Anno della Fede vive uno dei suoi momenti più belli e gioiosi: la Giornata della famiglia. Oggi pomeriggio e domani mattina migliaia di famiglie invadono Piazza San Pietro per incontrare Papa Francesco. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Le famiglie di tutto il mondo incontrano il Papa. Tema del pellegrinaggio odierno è: «Famiglia, vivi la gioia della Fede». Alle 14.00 sono stati aperti i varchi in Piazza San Pietro per accogliere le migliaia di persone che stanno affluendo in Vaticano. L’appuntamento di oggi prevede testimonianze sulle gioie e le difficoltà della vita familiare, si parla di crisi matrimoniali superate grazie alla fede e poi dialoghi tra nonni, genitori e figli, e momenti musicali: sono presenti, tra gli altri, il gruppo Gospel degli Hope Singer, il pianista Giovanni Allevi, il Piccolo Coro Antoniano e il Coro Hope fondato nel ’98 su iniziativa della Pastorale giovanile della Chiesa italiana, e ancora il cantante britannico Gospel Junior Robinson, il cantautore italiano Luca Barbarossa e l’americana Sarah Hart, cantante simbolo della musica cristiana degli Stati Uniti. Partecipano all'incontro anche i fratelli Taviani, due registi che hanno fatto conoscere la Sicilia al Papa con il loro film “Kaos”. In occasione di questo evento si chiede alle famiglie di tutto il mondo di aiutare con un sms solidale, al numero 45594, le famiglie siriane in difficoltà, grazie a un progetto promosso dalla Caritas italiana e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. Papa Francesco arriva sul sagrato alle 17.00 accolto da un gruppo di dieci bambini e dai loro nonni. Una bambina accompagnata dalla nonna lo saluta, seguita da alcune coppie di fidanzati e di sposi. Tra di essi anche una famiglia cristiana fuggita dalla Siria a causa della guerra, una famiglia di Lampedusa che ha aiutato e accolto gli immigrati sbarcati sull’isola e un profugo nigeriano che ha ritrovato la speranza grazie alla solidarietà ricevuta. Al termine delle testimonianze, il discorso del Papa e la professione di fede. Papa Francesco effettuerà quindi un giro in Piazza San Pietro con la jeep scoperta per salutare le famiglie che appena ieri ha definito come “il motore del mondo e della storia”. Domani mattina alle 10.30 il Papa presiederà in Piazza San Pietro la Santa Messa nella Giornata della Famiglia. Ma ascoltiamo alcune voci raccolte da Marina Tomarro:
R. - Essere famiglia oggi vuol dire essere uniti nonostante tutto, ma umanamente è difficile. Quindi con l’aiuto di Dio si può fare questo, ma senza di lui no è difficile. È una sfida. Sposarsi è un rischio … però la vita cosa sarebbe senza rischio?
R. - La famiglia è alla base di tutto. Noi abbiamo investito tutto nella famiglia. Abbiamo tre bimbi e ora siamo in attesa del quarto che ci verrà dato in affido. Per noi è fondamentale esserci! Siamo andati a Milano l’anno scorso e quest’anno dovevamo assolutamente esserci!
D. - Come si riesce ad andare oltre le difficoltà quotidiane?
R. - Con la preghiera, il dialogo, scegliere di amare con tenerezza … che non vuol dire tenerume, ma vuol dire proprio donarsi l’un l’altro questo amore che viene da Dio.
R. - Attraverso l’unione, l’unione fa la forza. Ognuno a suo modo, chi più piccolo, chi più grande può dare comunque il suo apporto … e poi lo stare insieme, la preghiera e guardare al bene.
D. - Questo incontro delle famiglie cosa vuol dire per lei?
R. - Per me è una gioia molto grande, perché vedere qui tutte queste famiglie vuol dire che ancora si crede nella famiglia.
R. - Il Papa ci ha invitato. Soprattutto noi che veniamo da Prato abbiamo tante difficoltà. Allora pensiamo di portarci nel cuore le famiglie di tutta la nostra città.
◊ Stamani, il Papa ha ricevuto il presidente della Repubblica del Panama, Ricardo Alberto Martinelli Berrocal, che poi ha incontrato mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - c’è stato uno scambio su alcuni temi attinenti all’attuale situazione nel Paese, in particolare sulle politiche sociali avviate dal Governo, ed i progetti di sviluppo per la Nazione. È stata poi evocata la lunga tradizione cristiana del Paese, e ci si è soffermati sugli storici legami bilaterali, con particolare interesse per le attuali relazioni tra la Chiesa e lo Stato. Al riguardo, è stata anche espressa gratitudine per il dono di una statua di Santa María La Antigua, Patrona della Nazione, offerta al Pontefice dal Capo dello Stato e collocata nei Giardini vaticani. Nel prosieguo delle conversazioni si è dato uno sguardo panoramico sulla situazione regionale”.
Mons. Aldo Giordano nominato nunzio in Venezuela
◊ Il Papa ha nominato nunzio apostolico nella Repubblica Bolivariana del Venezuela mons. Aldo Giordano, finora inviato speciale con funzioni di osservatore permanente presso il Consiglio d'Europa a Strasburgo, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Tamada, con dignità di arcivescovo. Mons. Giordano è nato il 20 agosto 1954 a Cuneo (Italia). Ordinato sacerdote il 28 luglio 1979 nella Diocesi di Cuneo, ha frequentato l'ultimo anno delle scuole elementari e le scuole medie e superiori (liceo classico) nel Seminario di Cuneo (1965 1973). Ha compiuto gli studi di filosofia e teologia presso lo Studio teologico interdiocesano di Fossano (CN), affiliato alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano, conseguendo il Baccellierato nel 1978.
Dal 1978 al 1982 è a Roma per la specializzazione in Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana, ottenendo la Licenza nel 1980. Per la ricerca di dottorato si dedica al pensiero di F. Nietzsche. Durante il periodo degli studi a Roma vive e collabora come vice parroco nella Parrocchia del SS. Sacramento sulla Prenestina. Dal 1982 al 1996 è professore di filosofia presso lo Studio teologico interdiocesano e la Scuola Superiore di Scienze religiose di Fossano (CN). A livello diocesano insegna per alcuni anni storia della filosofia nel liceo classico del seminario, tiene corsi di etica alla scuola di teologia per laici, collabora come vice parroco nella parrocchia di San Pio X in Cuneo e segue la pastorale diocesana per gli ambiti della politica, economia, medicina e cultura. Le ricerche e le pubblicazioni sono dedicate in particolare alla filosofia contemporanea, all'etica e al tema Cristianesimo ed Europa.
Il 15 maggio 1995 è eletto segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (CCEE) e si trasferisce nella sede del segretariato a St. Gallen (Svizzera). Svolge questo incarico a servizio della comunione e collaborazione dei vescovi europei per 13 anni (primo mandato di tre anni rieletto il 4 ottobre 1998 e il 3 ottobre 2003 per altri due mandati di cinque anni). Viene nominato cappellano di Sua Santità nel 2002 e prelato di Sua Santità nel 2006.
Il 7 giugno 2008 è nominato osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa di Strasburgo. Nel settembre 2013 pubblica il libro: "Un'altra Europa e possibile, Ideali cristiani e prospettive per il vecchio Continente", in cui raccoglie le esperienze e le riflessioni dei quasi 20 anni di servizio alla Chiesa in Europa. Oltre all’italiano, parla francese, inglese, tedesco e spagnolo.
Nomine di vescovi ausiliari in Ecuador
◊ Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel corso della mattinata, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.
In Ecuador, il Papa ha nominato ausiliari di Guayaquil i sacerdoti Giovanni Battista Piccioli, parroco di San Vicente nell’arcidiocesi di Portoviejo, e Bertram Víctor Wick Enzler, vicario episcopale e parroco di Santa Elena nell’arcidiocesi di Guayaquil.
Mons. Piccioli è nato il 10 luglio 1957, a Erbusco, diocesi di Brescia (Italia). Ha studiato filosofia e teologia nel Seminario Vescovile di Brescia. È stato ordinato sacerdote il 12 giugno 1982. Ha conseguito la Licenza in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna di Bologna. Nel 1995 è stato inviato come missionario fidei donum in Ecuador. Come sacerdote ha ricoperto i seguenti ministeri: Vicario Parrocchiale di due Parrocchie di Brescia e Parroco di San Vito di Bedizzole. Trasferito in Ecuador è stato Parroco di “Santa Ana” in Manabí e “Santísima Trinidad del Florón” a Portoviejo. Attualmente a Professore di Teologia nel Seminario Maggiore di Portoviejo e Parroco di “Santa Rosa de Lima” a San Vicente.
Mons. Wick Enzler è nato in Waldkirch, diocesi di Sankt Gallen (Svizzera), l’8 marzo 1955. Ha frequentato le scuole medie e superiori presso il Collegio dei Verbiti di Marienburg ed ha ottenuto il baccalaureato a Lucerna. Nel 1980 è entrato nel Seminario Maggiore di Innsbruck. Nel 1990 è stato inviato come missionario nell’arcidiocesi di Portoviejo, entrando nell’Istituto ecuadoriano “Santa Maria del fiat”. Ha ricevuto l’Ordinazione sacerdotale l’8 dicembre 1991, incardinandosi nell’arcidiocesi di Guayaquil. Per tre anni ha svolto l’incarico di Vicario parrocchiale e nel 1994 è stato nominato Parroco nella penisola di Santa Elena. Nel 2005 è stato trasferito a Guayaquil nella Parrocchia di “Gesù Buon Pastore”. Nel 2009 è stato Parroco nella parrocchia di “Santa Madre de la Iglesia” in Los Ceibos e successivamente di “Santa Elena”. Attualmente ricopre anche l’ufficio di Vicario Episcopale.
In Angola, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Luanda, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Anastácio Kahango, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Tweet del Papa: "Partecipiamo troppo spesso alla globalizzazione dell’indifferenza"
◊ Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: “Partecipiamo troppo spesso alla globalizzazione dell’indifferenza; - scrive - cerchiamo invece di vivere una solidarietà globale”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Benedetto XVI e il dono del Gesù di Nazaret: consegna del premio Ratzinger a Richard A. Burridge e a Christian Schaller. In cultura, la relazione di Burridge dedicata a una migliore comprensione dei Vangeli.
Una buona compagnia: il Papa agli ex alunni dei Gesuiti di Montevideo.
Centro della vita umana: in prima pagina, Lucetta Scaraffia sulla famiglia come antidoto ai mali della società.
Pierluigi Natalia sull'Argentina al voto di medio termine: per la prima volta al voto i giovani di 16 e di 17 anni.
Sulle presidenziali di domani, un articolo di Giuseppe M. Petrone dal titolo "In Georgia si conclude l'era di Saakashvili".
Un articolo di Eliana Versace dal titolo "Il fabbro che diventò maestro": per Paolo VI il beato Nunzio Sulprizio è un esempio per i giovani e i lavoratori.
Un vescovo accanto a Costantino: intervista a Javier Reyes su Osio di Cordova, al centro di un congresso che si apre domani in Spagna.
E in pochi anni nacque una perla: Antonio Paolucci sul neoclassico a Faenza.
Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "Socrate in Lega Pro": dalla squadra di calcio del Castel Rigone una lezione di sport.
Siria, villaggi cristiani e moschee obiettivi di attacchi. Mons. Hobeika: il Papa ci è vicino
◊ Non si ferma la violenza in Siria. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani, sono 115 mila i morti e 5 milioni gli sfollati dall’inizio del conflitto interno nel 2011. Sul fronte diplomatico, continuano gli incontri per la cosiddetta “Ginevra 2”, ovvero la Conferenza di pace prevista per il mese prossimo. Intanto, proseguono gli scontri anche Tripoli, nel nord del Libano, tra sostenitori e oppositori del regime di Bashar al-Assad. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
In Siria, si continua a combattere mentre gli attentati colpiscono chiese e moschee. Terroristi nelle ultime 24 ore hanno devastato uno dei sobborghi di Damasco. A Wadi Barada, zona controllata dai ribelli, un autobomba è esplosa davanti ad una moschea: 40 i morti. Assediati da cinque giorni, da fondamentalisti islamici, i villaggi cristiani di Sadad e Hofar, situati nella regione di Qalamoun. E gruppi armati curdi avrebbero conquistato oggi un posto di frontiera nella Siria orientale al confine con l'Iraq, controllato da jihadisti dell'opposizione. Intanto, la tv di Stato ha annunciato l'uccisione di Abu Mohammed al-Jawlani, leader del Fronte al-Nusra, organizzazione che combatte tra le fila dei ribelli ritenuta vicina ad al-Qaeda, notizia prontamente smentita dai rivoltosi. In questo scenario Unicef, Oms e altri partner, hanno avviato nel Paese una campagna di vaccinazioni su larga scala con l’obiettivo di proteggere il maggior numero possibile di bambini contro polio e altre malattie. Drammatica la condizione economica in Siria: secondo le Nazioni Unite, metà della popolazione vive in estrema povertà. Migliaia i profughi in fuga, molti sono diretti e ospitati in Libano, dove però, a nord a Tripoli, si registrano ancora scontri tra sostenitori e oppositori del regime siriano di Bashar al-Assad. Sul fronte diplomatico si continua comunque a lavorare al summit “Ginevra 2”. Oggi, è arrivato a Teheran l'inviato speciale di Lega Araba e Onu per la crisi siriana, Lakhdar Brahimi, per incontrare il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif. Al centro del faccia a faccia proprio la Conferenza di pace prevista per il mese prossimo.
Sugli scontri che si stanno verificando in Libano in relazione alla crisi siriana, Massimiliano Menichetti ha intervistato mons. Mansour Hobeika, vescovo di Zahleh dei Maroniti:
R. – Esiste il pericolo che gli scontri si estendano a tutto il Paese. Il fatto più pericoloso ancora è la presenza massiccia dei siriani in Libano, con Hezbollah, che è sciita ed è attivo in Siria. Questa situazione è forse presagio di scontri tra sunniti e sciiti in Libano.
D. – Molte persone scappano dalla Siria: quindi, ci sono persone che hanno bisogno di aiuto, ma ci sono anche persone che potrebbero creare problemi. Perché?
R. – Possono essere utilizzati come milizie, perché un gran numero di questi è addestrato a usare le armi – sono militari o ex-militari – e quindi il pericolo è reale.
D. – Qual è il pericolo maggiore che vede il Libano? Qual è la paura?
R. – Se dovesse scoppiare una guerra tra sciiti e sunniti in Libano, questo avrebbe una rilevanza sulle regioni cristiane e sulla pace del Paese. Il Paese è piccolo e se queste due grandi comunità musulmane litigassero tra loro, il pericolo riguarderebbe anche i cristiani.
D. – Voi cosa state facendo? La Chiesa, come è impegnata? E qual è il suo auspicio?
R. – L’impegno della Chiesa, adesso, è sollevare il morale dei cristiani, perché hanno perso la speranza nell’avvenire e cercano di lasciare il Libano. Dunque, dobbiamo risollevare un po’ il morale e ribadire che dobbiamo fare insieme. Anche oggi c’è una riunione alla quale prende parte il presidente della Repubblica, che è maronita, insieme a tutti i patriarchi e vescovi, i rappresentanti politici cristiani: tutti insieme, non solo libanesi, ma di tutto il Medio Oriente. Questa riunione ha lo scopo di ribadire che non lasceremo il Paese, anche se il pericolo è reale, e di ricordare che questo pericolo, ora, non è maggiore di quello che abbiamo finora conosciuto in Libano. Questo discorso vuole contribuire a rafforzare l’unità tra i cristiani e, appunto, a risollevare il loro morale.
D. – Cosa serve al Libano e alla Siria per avere la pace?
R. – Arrivare alla pace in Siria sarà una cosa difficile e lunga. Sarà possibile se i Paesi, i referenti internazionali, vorranno collaborare. Quello che in Libano ci pone in una situazione un po’ migliore passa anzitutto dal ritiro degli sciiti di Siria, dal fatto che le milizie di Hezbollah si ritirino dalla Siria: in questo modo il problema tra sciiti e sunniti in Libano diventerà meno bruciante. Il secondo punto è che il governo libanese deve istituire campi profughi per i profughi siriani che sono in Libano, per mantenere l’ordine.
D. – Molti sono stati gli appelli del Papa affinché cessi la violenza. Il Pontefice ha anche espresso direttamente la sua vicinanza alle situazioni di conflitto in Siria e nei Paesi vicini…
R. – Noi sappiamo che lui è preoccupato per la nostra situazione. Ha fatto e farà tutto quello che è possibile fare da parte della Chiesa. La sua figura risveglia molte speranze in Libano e in Siria, il suo impegno porterà frutti.
◊ Nel canale di Sicilia continuano le operazioni di soccorso di barconi con a bordo migranti. Oltre 200 le persone tratte in salvo nella notte, molte delle quali di nazionalità siriana. E proseguono anche le riflessioni sull’esito del Consiglio Europeo di Bruxelles, conclusosi ieri. I 28 hanno stabilito in linea teorica la condivisione delle responsabilità nella risposta agli arrivi di migranti. Alla soddisfazione di aver fatto divenire il tema “europeo”, risponde però lo scetticismo di chi è in prima linea nell’accoglienza, come padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli di Roma, la struttura dei Gesuiti che da oltre 30 anni assiste i rifugiati. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Registriamo ancora una volta la lentezza della politica rispetto alla velocità della realtà: il decidere in maniera unitaria e comunitaria sull’asilo politico viene rinviato addirittura al giugno 2014! Siamo soddisfatti del fatto che il nostro presidente del Consiglio, Enrico Letta, abbia preso coscienza dell’inadeguatezza – sono parole sue – riguardo alle politiche comunitarie sull’asilo politico e sulle migrazioni. Il potenziamento di Frontex può evitare i naufragi ma non risolve alla radice. Le persone, comunque, hanno dovuto pagare i trafficanti, sono dovute salire su dei barconi e questa è una cosa che va evitata a monte. Da questo punto di vista, c’è mancato ancora una volta il coraggio di fare un vero passo, si è fatto un mezzo passo! Impiegare un maggior numero di forze per evitare i naufragi è sì positivo, ma i naufragi vanno prevenuti. Noi continuiamo ad insistere affinché siano stabiliti da subito canali umanitari sicuri.
D. – Il punto è che, come è stato detto anche in sede comunitaria, la parola solidarietà a Bruxelles evidentemente ha assunto, e assume, significati diversi a seconda dei Paesi …
R. – Sì, è pur vero che il fatto che tutti siano coscienti e abbiano assunto questo valore, è qualcosa di positivo. Non può più essere che per noi italiani ‘solidarietà’ significhi una cosa, in Germania un’altra, in Norvegia e in Finlandia un’altra ancora. Quindi, è positivo aprire gli occhi, svegliare le coscienze. Ora però impegniamoci in tempo reale a declinare cosa significhi ‘solidarietà’. Noi ci consideriamo Paesi civili, e allora che i fatti, le nostre azioni, testimonino concretamente ciò che affermiamo a parole.
D. – Il tema dell’asilo è uno degli assi portanti di questo discorso. Il problema è che tutti i Paesi dovranno fare i conti con le forze interne populiste, ecco dunque che la questione asilo, fondamentalmente, non la vuole affrontare nessuno …
R. - … e soprattutto in un tempo in cui ci avviciniamo alle elezioni europee – io lo comprendo bene – questo è un tema impopolare che, per la povertà culturale che viviamo, toglie consensi ai politici che devono smetterla di preoccuparsi solo dei consensi, e preoccuparsi invece del bene di tutti, compresi i rifugiati. Anche noi popolazione, che con l’espressione del nostro voto diamo il consenso, dovremmo trasformare il nostro modo di pensare: fare un salto per essere tutti uniti nella preoccupazione per le persone, soprattutto per quelle esposte al pericolo della vita. In questo vorrei aggiungere che l’Italia ha fatto un grosso lavoro, accompagnando l’Unione Europea alla presa di coscienza di una inadeguatezza. Però, anche noi per avere maggiore autorevolezza e credibilità, siamo chiamati a fare i nostri passi sul nostro territorio. L’Unione Europea ci ha invitati, senza fare esplicito riferimento, alla revisione della legge sull’immigrazione che abbiamo, io aggiungo che siamo chiamati a dare maggiore dignità nelle risposte a queste persone che scappano dalle guerre: non possiamo più assistere, come accade, ad un’accoglienza che costringe le persone a dormire per terra. Siamo chiamati a fare un lavoro interno che ci dia maggiore credibilità e autorevolezza. Io leggo che il Viminale è disposto a fare accogliere nelle famiglie i profughi, questo sarebbe un bel segno se le persone potessero contare su una rete di operatori specializzati nell’accompagnare queste persone. Il parcheggio, offrendo 30 euro a chi ha una o più stanze nella propria abitazione, non mi sembra la soluzione più opportuna. Certo potrebbe essere una risposta – e lo dico in tono polemico – alle difficoltà che hanno le famiglie italiane. Ripeto: queste persone hanno già pagato un prezzo altissimo nella loro vita, meritano un’attenzione! Non possiamo accontentarci di vedere immagini vergognose, indegne di un Paese civile che accoglie su materassini di gommapiuma buttati per terra, sui quali le persone sono costrette a consumare il loro pasto.
Di passo importante, seppur agli inizi, parla mons. Giancarlo Perego, direttore di Fondazione Migrantes, l'organismo della Cei, al microfono di Francesca Sabatinelli:
R. – Credo che questo Consiglio d’Europa sul tema delle migrazioni sia un passo importante in ordine alla consapevolezza su un tema che deve diventare comune dell’Europa sociale; ma è solo un passo iniziale. Infatti, ci sono state discussioni anziché decisioni intorno ai temi importanti che sono: la riforma del diritto d’asilo in Europa, la circolazione delle persone in Europa, che possa essere più libera per far sì che si raggiungano, ad esempio, i propri familiari. Non si è discusso di cooperazione internazionale, che è un tema fondamentale a livello europeo per affrontare le crisi dei Paesi da cui provengono queste persone; non si è discusso di una diplomazia comune, di un’azione diplomatica comune in ordine alla Siria, alla Somalia e all’Eritrea, i Paesi da cui oggi provengono la maggior parte di rifugiati, che sono Paesi in guerra. Si è discusso, invece – e questo certamente è importante – di rafforzare il monitoraggio del Mediterraneo anche sulla scorta delle esperienze di questi anni, da Frontex a Mare Nostrum, facendo in modo che non si controllino solo i confini ma che ci sia un controllo per tutelare le persone. Quindi, credo che il Consiglio d’Europa sia stato un passo importante, ma solo iniziale. Vedremo a dicembre, e soprattutto a giugno, quali saranno concretamente le azioni che andranno effettivamente nella direzione di una gestione comune dei flussi migratori e di una gestione comune del diritto d’asilo nel contesto europeo.
D. – Mons. Perego, ricordiamo però anche che in Italia manca una legge organica sull’asilo …
R. – Certamente. Essere arrivati a questo Consiglio d’Europa senza ancora una puntuale legge sull’asilo, senza ancora un piano nazionale di asilo, e con ancora una gestione emergenziale di questo fenomeno, ci porta in Europa molto deboli, e naturalmente gli Stati che su questo lavoro del diritto d’asilo hanno invece una programmazione forte, come la Germania, la Francia e l’Inghilterra, chiaramente fanno capire che una condivisione di questo diritto d’asilo avviene nella misura in cui ci sia uno stesso impegno, e non dieci volte tanto per la Germania e in Italia, invece, il diritto d’asilo riconosciuto soltanto a 60 mila persone.
D. – Il premier Enrico Letta ha espresso soddisfazione per il risultato ottenuto a Bruxelles; il governo italiano, però, ora dovrà comunque fare i conti con una gran parte d’Italia che chiede la revisione della legge sull’immigrazione …
R. – Certamente, il Consiglio d’Europa è stato un richiamo forte anche all’Italia per una revisione sul piano non solo legislativo ma anche sul piano della prassi per quanto riguarda l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, e per quanto riguarda anche la gestione di una porta, qual è Lampedusa, che chiaramente in questi anni è stata gestita – questa accoglienza a Lampedusa – soltanto in una forma emergenziale. Infatti, credo che la visita e l’incontro stesso del sindaco di Lampedusa a Bruxelles sia stato un segnale importante per dire come questa porta d’Europa abbia bisogno di essere cambiata e debba diventare un modello di accoglienza. E questo chiede anzitutto un piano regolatore per quanto riguarda l’isola, che manca, e chiede una rinnovata attenzione alla gestione dell’accoglienza che non può essere fatta con gli strumenti che oggi esistono a Lampedusa.
D. – Il monito che la società civile dovrebbe rivolgere non solo alle istituzioni italiane, ma anche ai leader europei, qual è?
R. – Certamente di un coinvolgimento più ampio dell’Europa, ma dando un segnale forte di una riforma interna, anche, sul piano dell’immigrazione, della gestione dell’immigrazione e dei rifugiati in Italia. Chiaramente, se non ci saranno questi passi, quella situazione di vergogna che il Papa ha richiamato in questi mesi, non sarà che ripetuta e sarà certamente un segnale allarmante in ordine proprio alla tutela dei diritti delle persone che sono in cammino.
Nigeria: raid dell'esercito, uccisi oltre 90 presunti miliziani di Boko Haram
◊ Gravi episodi di violenza in Nigeria. Almeno 95 presunti combattenti della milizia islamico-radicale Boko Haram sono stati uccisi in un raid condotto dall'esercito nigeriano nello Stato settentrionale del Borno, in risposta a precedenti attacchi dei miliziani. Sulla situazione nel Paese africano, Giancarlo La Vella ha intervistato l’africanista Marco Massoni, segretario generale dell’Institute for Global Studies:
R. – In quest momento in Nigeria sta avvenendo una vera e propria militarizzazione delle regioni del Nord-Est dove si innesta la setta Boko Haram; questa militarizzazione probabilmente ha anche influenze esterne: da una parte abbiamo, appunto, le forze armate nigeriane, sostenute anche da influenza esterna, e dall’altra Boko Haram, la cui comprensione anche in termini di gerarchia interna risulta molto difficile da individuare, in termini di un unico referente con cui eventualmente negoziare.
D. – Il progetto di islamizzazione portato avanti da Boko Haram è il vero motivo delle loro azioni o c’è qualcos’altro?
R. – Sicuramente c’è qualcos’altro, nella misura in cui gli estremismi, gli attori non statali – un fenomeno, peraltro, che si sta diffondendo in tante aree del mondo e in particolare in Africa - sono fenomeni che preoccupano non solo in quanto utilizzano l’etichetta filo-religiosa dell’islam radicale, ma anche perché effettivamente sono zone che per decenni non sono state di fatto governate dal governo centrale. Attenzione a non illuderci che sia una forma di islamizzazione, perché in quelle regioni – per quanto siano sotto sharìa – anche lì la radicalizzazione di queste forme è un evento particolarmente nuovo: personalità dell’islam in queste zone sono state vittime di tentati attacchi terroristici da parte della sette Boko Haram.
D. – In Nigeria c’è una situazione che può giustificare un intervento della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione Africana?
R. – Ci sono sempre più i presupposti affinché un intervento regionale o continentale – quindi, o della Cdao, la Comunità economica regionale di riferimento dell’Africa occidentale, o più in generale da parte dell’Unione Africana, abbia luogo. In tutti e due i casi, non dobbiamo dimenticare una tendenza che spesso, da letture occidentali un po’ fuorvianti, si dà: in Africa esistono rapporti di forze tra Stati e tra gruppi di Stati per una leadership all’interno del Continente che, ovviamente, mettono in evidenza da una parte interessi interni a questi gruppi di Paesi, ma non solo. Infatti, da diversi anni a questa parte c’è una pletora di nuovi attori esterni che esercita la sua influenza in maniera sempre crescente. E quindi non parlo più di Paesi colonialisti, bensì di Paesi emergenti, vale a dire Brasile, India, Cina, Turchia, Qatar e così via.
◊ La drammatica realtà dell’immigrazione è stata al centro ieri del sit-in di centinaia di eritrei a Piazza Montecitorio a Roma, in commemorazione dei 369 morti nei recenti naufragi di Lampedusa. Tanti i manifestanti provenienti da diverse parti d'Italia, appartenenti a varie associazioni riunite nel coordinamento "Eritrea democratica". In piazza, rappresentanti religiosi cristiani e musulmani, che hanno recitato delle preghiere. Le voci di alcuni di loro, al microfono di Antonella Palermo:
R. - Sono venuta qua per proseguire i miei studi, però adesso che la situazione in Eritrea è cambiata io non me la sento di rientrare. Lì la gente non dico che muore di fame ma quasi. Vivono grazie alle rimesse dei loro parenti all’estero. Io stessa aiuto i miei familiari in Eritrea.
R. - Le persone che sono arrivate qua non sono venute alla ricerca dell’Eldorado ma di un posto di lavoro, di un pezzo di pane da condividere con gli italiani. Questa manifestazione non vuole ricordare solo gli eritrei, gli etiopi o i somali che sono morti in questa tragedia ma i “cadaveri del Mediterraneo”. Credo sia arrivato il momento di aprire non solo un canale umanitario, ma al diritto sacrosanto alle persone di spostarsi. Il reato di clandestinità è un reato che è stato inventato. Va aperto a livello internazionale un tavolo in cui si ridiscuta la situazione del Corno d’Africa.
R. - Sono qui anche a nome della mia associazione, per far sapere a tutti che comunque noi del popolo eritreo stiamo ancora aspettando risposte serie dallo Stato italiano. Vogliamo avere subito una risposta a proposito della questione sul rimpatrio delle salme. Le mamme in Eritrea stanno ancora aspettando.
Mozambico, gli ex ribelli della Renamo riaprono al dialogo negoziale
◊ La Renamo, Resistenza Nazionale del Mozambico, fa marcia indietro e afferma che continua a sentirsi "vincolata" agli accordi di Roma, firmati nel 1992. Lunedì scorso il portavoce del movimento, Mazanga, aveva detto che l'attacco dell'esercito mozambicano contro un campo-base della Renamo, attacco in cui ha perso la vita il deputato Armindo Milaco, aveva messo fine a quell’intesa di pace. La Comunità di Sant’Egidio, mediatrice degli accordi che portarono alla fine della guerra civile, ha espresso soddisfazione per la buona notizia. Elvira Ragosta ha raccolto la testimonianza del padre comboniano Leonello Bettini, che vive proprio nella regione di Sofàla, interessata dagli scontri dei giorni scorsi:
R. – Mi pare ci sia un ritorno a una specie di compromesso – possiamo dire – rispettando anche alcune richieste dell’opposizione.
D. – Cosa chiedono gli ex ribelli della Renamo?
R. – Sono richieste di giustizia nel comportamento del governo con l’opposizione, perché al governo si fa e si disfa, perché il potere è completamente in mano governativa. E quindi c’è la pace, ma gli manca la giustizia.
D. – La popolazione teme una nuova guerra?
R. – È una situazione che non impedisce la vita normale, solo che la gente soprattutto al nord, vive nel terrore di un ritorno alla guerra civile. A nord, hanno paura perché, se la Renamo vuole, incontra i militari qui, tre a 200 chilometri e tre a 200 chilometri dall’altra parte, fanno un attacco o simulano un attacco e la gente rimane nella paura. Ci sono piccole manifestazioni e poi tutti da tutte le parti la gente dice di volere la pace, che non sa nulla della guerra, che non vuole la guerra perché la guerra distrugge. Anche per dare una sicurezza a chi investe, per tutto questo tesoro che stanno scoprendo giorno dopo giorno perché adesso qui è un po’ il "Paese del Bengodi" e qui le multinazionali, imprese nazionali e straniere hanno interesse che ci sia la pace. Non hanno appoggio dei Paesi vicini. Lo Zimbabwe ha dichiarato chiaramente che non c’è possibilità, neanche il Sud Africa, nessuno. Tutti vogliono la calma.
D. – Questa escalation militare degli ex ribelli della Renamo nei confronti delle forze governative è un po’ il risultato di una serie di scontri e scaramucce che erano precedenti…
R. – Sì. Sempre, ogni volta che c’erano le elezioni presidenziali o municipali, veniva fuori il problema di Gorongosa, la base della Renamo con l’obiettivo di arrivare ai voti. La Renamo è una minaccia, crea problemi nel posto dove vive, per cui la Frelimo (forza al governo - ndr) usa la Renamo come oggetto di contesa per poter trovare più voti. Per cui, è una questione politica piuttosto che un malessere.
Argentina domani alle urne per il rinnovo parziale del parlamento
◊ L'Argentina vive la vigilia del voto che dovrà rinnovare in modo parziale l'attuale parlamento, in particolare metà della Camera e un terzo del Senato. Una tornata molto attesa, perché arriva dopo le primarie di agosto, che hanno mostrato una forte perdita di consensi per la coalizione di centrosinistra al governo, guidata dalla presidente Cristina Kirchner, e la contemporanea ascesa del principale leader dell’opposizione, il peronista leader del Frente Renovador Sergio Massa. Un voto che avrà sicuramente importanti conseguenze anche sulle presidenziali del 2015, come conferma Roberto Da Rin, giornalista esperto di America Latina del Sole 24 Ore, al microfono di Cecilia Seppia:
R. - Le elezioni di domani prefigurano già una prima svolta perché, dopo l’operazione medica che ha subito la presidente Cristina Kirchner 15 giorni fa al cranio, è molto probabile che non si ripresenti nella corsa alle presidenziali del 2015. Quindi, le elezioni di domani potrebbero già delineare i due sfidanti: Sergio Massa e Daniel Scioli. Massa è sindaco di Tigre, Comune della provincia di Buenos Aires, mentre Scioli è governatore della provincia di Buenos Aires.
D. - Sul voto di domani, quindi anche sulla campagna elettorale, sicuramente ha influito la condizione di salute del presidente Kirchner. Però, anche la disfatta che il suo partito ha avuto durante le primarie di agosto…
R. - Sì. Nelle primarie di agosto non è andata bene ma è anche vero che lei aveva saputo, in altri momenti, recuperare terreno a fronte di sconfitte in ambiti diversi, come quella celebre nei confronti degli agricoltori in cui aveva dovuto fare un passo in dietro sull’aumento delle tasse. Quindi, le battaglie del governo argentino si susseguono e mai nessuna battaglia si rivela poi unica e determinante.
D. - La coalizione della Kirchner alle primarie ha ottenuto sicuramente il suo peggior risultato di sempre, però è rimasta comunque la prima forza politica del Paese con il 29% dei voti. Cosa potrebbe succedere se invece non dovesse mantenere questi punti percentuali alle elezioni di domani: perderebbe il controllo del parlamento?
R. – Si, non è certo che lo mantenga. Quello che tecnicamente potrebbe succedere sarebbe anche un’elezione anticipata e quindi una caduta del governo. Oppure - per ragioni di salute - la presidente potrebbe decidere di abdicare e lasciare le redini al vicepresidente, Amado Boudou. Se però si scendesse molto al di sotto dei pronostici, si potrebbe arrivare tecnicamente ad una situazione di grave instabilità, o di ingovernabilità.
D. - Altra peculiarità di questo voto è che per la prima volta vi partecipano i sedicenni e i diciassettenni. Perché questa apertura e che risvolti potrebbero esserci?
R. - Questa è una mossa a cui ha pensato la presidente Cristina Kirchner perché, da alcuni sondaggi, ha rilevato che tra i giovani c’è un consenso al governo più marcato. In questo modo, quindi, pensa di poter arginare alle sue perdite chiamando a raccolta giovani che fino a questo momento non avevano partecipato alle elezioni. La città inoltre pullula di iniziative culturali: i giovani hanno avuto una serie di agevolazioni, vantaggi, incentivi e programmi sociali. La presidente, indubbiamente, io credo, beneficerà del volto dei giovani.
D. - Quali sono le sfide principali che la coalizione al governo si troverà ad affrontare nell’immediato? Penso alla situazione economica in cui versa il Paese…
R. - La situazione economica del Paese non è malvagia: con la svalutazione hanno saputo rilanciare alcune esportazioni ed il Prodotto interno lordo ha continuato a crescere a livelli accettabili. Il vero nodo è l’inflazione, che è vicina al 30% annuo, e tutti coloro che non hanno adeguamenti automatici ne risultano pesantemente penalizzati. Questo è il principale nodo. Poi, c’è l’insicurezza che è un po’ strumentale, perché è un’accusa che viene mossa dall’opposizione al governo ma in realtà l’insicurezza - soprattutto quella delle provincie delle zone più marginali della città - è sempre stata un nodo abbastanza difficile da sciogliere per chiunque al potere.
Partiti divisi e in crisi di identità. Il politologo Bonini: elettori sono disorientati
◊ Mondo politico in fibrillazione in Italia: ieri sera l’annuncio sulla chiusura dell’esperienza del Pdl e il ritorno a Forza Italia. Azzerati tutti gli incarichi, Silvio Berlusconi rompe con i filogovernativi del Popolo delle libertà evocando nuove elezioni. Ma non è solo il centrodestra a vivere forti tensioni. Divisioni e crisi coinvolgono in questo momento tutti i maggiori partiti. Adriana Masotti ne ha parlato con Francesco Bonini, professore ordinario di storia delle istituzioni politiche alla Lumsa di Roma, chiedendogli prima di tutto quale idea si sia fatta di ciò che sta succedendo all’interno del Pdl:
R. – E’ difficile farsi un’idea. Certamente, ci sono due opposte tendenze: la prima è quella di speculare su una pulsione dell’elettorato, in questo momento, alla polarizzazione e quindi scommettere sulla rottura. La seconda linea è quella di costruire un’aggregazione che sia in grado di competere per il governo. E questa linea sarebbe contraria alla rottura. Credo che di fronte alla difficoltà di articolare una proposta in positivo, Berlusconi stia scegliendo il ridotto della protesta e quindi di "corazzare" una pattuglia più piccola per cercare di intercettare quella diffusa protesta che esiste nell’elettorato italiano e che in questo momento ha nel Movimento 5 Stelle il punto di riferimento più significativo dal punto di vista dei numeri.
D. – Giorni fa, Mario Monti si è dimesso da presidente di Scelta Civica, che ora sembra spaccarsi in due movimenti ed è in bilico anche l’alleanza di Scelta Civica con l’Udc. Anche il Centro, dunque, è quanto mai traballante?
R. – Scelta Civica è stata un’iniziativa di rassemblement, cioè un’iniziativa tendente a unire, per un progetto di governo, anime diverse, storie diverse, che adesso sembrano rivendicare ciascuno la propria identità. Ma credo che il destino delle diverse componenti di Scelta Civica sarà poi determinato soprattutto dall’evoluzione complessiva del quadro politico e dalla tendenza o meno ad una polarizzazione degli schieramenti.
D. – Veniamo al Pd. In vista delle primarie, emergono le differenze tra i candidati e non c’è pace neppure tra Grillo e i suoi parlamentari. Insomma, il panorama politico italiano appare in grande fermento e molto frammentato. Come interpretare questo fatto?
R. – L’interpretazione più semplice è la sottolineatura della debolezza di tutti gli attori. E poi rispondere alla crisi è difficile, le risposte sono quasi obbligate e quindi la politica deve inventarsi forme nuove e, in qualche modo, artificiali di divisione e di dialettica. Quindi, io penso che nel breve periodo le dinamiche di frammentazione continueranno. Quello che nascerà, il nuovo cioè, dipenderà certamente molto dalle regole, in particolare dalle regole elettorali, ovvero dai quadri istituzionali che pure in qualche modo si dovranno decidere. Ecco, questo redde rationem, questa resa dei conti, si avvicina inesorabilmente.
D. – Ci troviamo di fronte anche ad una crisi della forma “partito”?
R. – Certamente la forma “partito”, che ancora molti hanno nell’immaginario, cioè quella novecentesca, il partito di massa, è morta alla fine del XX secolo. Adesso, esiste quello che nella scienza politica si chiama il “cartel party”, cioè un partito strutturato come federazione d’interessi intorno ad una leadership fortemente legittimata dal punto di vista della comunicazione. Tutti i partiti sono in qualche modo "presidenzializzati" e di volta in volta questo vertice aggrega spezzoni di classe politica, spezzoni di interessi. La forma “partito” quindi è in evoluzione e certamente questo duplice processo mette in discussione la forma “partito” e disorienta gli elettori, soprattutto rende difficile la partecipazione politica, accentuando quel senso di estraneità che molti oggi avvertono.
D. – Visto che il governo sembra traballare di nuovo, si fa sempre più urgente la riforma della legge elettorale e il presidente Napolitano ha fissato un termine, entro il 3 dicembre. Ce la faranno i partiti a trovare un accordo?
R. – E’ molto difficile, perché i partiti hanno interessi diversi e coloro che vogliono andare al voto, vogliono andarci con l’attuale legge elettorale. Certamente, però, se la Corte Costituzionale si pronuncerà in qualche modo, ecco che allora si seguirà l’indicazione della stessa Corte Costituzionale. Quindi la legge elettorale, per l’impossibilità da parte delle forze politiche di conciliare i loro interessi, sarà scritta ancora una volta sotto dettatura, così com’è accaduto 20 anni fa, quando la legge elettorale fu scritta sotto la dettatura dei referendum.
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
◊ Nella 30.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù racconta la parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio per pregare. Il fariseo vanta le sue opere buone davanti a Dio disprezzando il pubblicano che, invece, chiede perdono a Dio per i suoi peccati. Gesù afferma:
“Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
Il Vangelo oggi ci racconta una parabola, propria di Luca, in cui si opera un capovolgimento divino. Ma per coglierlo dobbiamo situare bene il contesto. Il fariseo non è una persona doppia o falsa: al contrario, è un uomo fedele e pio, che compie quanto prescritto dalla Legge ed anche qualcosa di più. È un uomo sinceramente religioso. Il pubblicano invece, per quanto ci possa essere simpatico, è di fatto un collaborazionista dei romani, un taglieggiatore del suo popolo che si incarica di riscuotere le tasse per i nemici, e perciò è odiato e disprezzato. Ambedue vanno al tempio: il fariseo, il religioso, si sente a casa sua, si pone là, davanti a tutti e in piedi – era la postura normale della preghiera, e come ragionando tra di sé – in questo è davvero una preghiera strana – fa un’esaltazione di se stesso, di tutto ciò che fa come uomo pio: lui non è come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e tanto meno come quel pubblicano, laggiù in fondo: probabilmente l’ha notato entrando nel tempio e ne è rimasto come infastidito, perché quella gente non dovrebbe nemmeno presentarsi davanti a Dio, dovrebbe vergognarsi! Un giudizio, quando non disprezzo, così comune anche tra di noi! Il pubblicano, invece, resta laggiù, a distanza, non osa neppure alzare gli occhi, si batte il petto e chiede pietà: è un peccatore e lo sa bene. Ed ecco il capovolgimento – lo stesso che il Signore vorrebbe operare in noi oggi, perché risuoni anche per noi quel divino ”Io vi dico” –: “Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.
India. Nello Stato del Karnataka 40 attacchi contro i cristiani dall’inizio del 2013
◊ Resta difficile la vita per i cristiani indiani che vivono nello Stato del Karnataka dove - secondo un Rapporto appena pubblicato dal Consiglio globale dei cristiani indiani e inviato anche all’agenzia Fides - dall’inizio del 2013 sono già 40 gli attacchi contro questa minoranza religiosa, 222 negli ultimi tre anni. Ciò, inoltre, avviene nella più completa impunità: a essere denunciato è anche un uso eccessivo della forza da parte della polizia, in occasione di manifestazioni autorizzate delle minoranze che protestano contro questo stato di cose, e la sua totale incapacità di proteggere la vita e i beni dei cristiani. Il Rapporto intende essere una segnalazione della situazione al Ministero degli interni del governo federale, affinché si prenda a cuore il problema della crescente intolleranza da parte degli estremisti indù verso i cristiani e gli altri gruppi religiosi minoritari. Tra le richieste avanzate, “controlli e restrizioni sull’azione di elementi antisociali che minacciano il tessuto di una società tollerante e libera” e la tutela della “sacralità della legge e della giustizia, in particolare nelle situazioni in cui comunità religiose di maggioranza mettono a rischio le garanzie costituzionali delle minoranze”. Secondo gli autori del testo, infine, la maggior parte degli attacchi si verifica nelle periferie urbane e nei villaggi più remoti, che sfuggono facilmente al controllo statale. (R.B.)
Siria. Governo libera 64 donne detenute nel famigerato carcere di Adra
◊ Grazie alle pressioni di Turchia, Qatar e Libano, il regime siriano ha deciso di rilasciare nei giorni scorsi un primo gruppo di donne che da oltre un anno e mezzo erano rinchiuse nel carcere di Adra, a nordest di Damasco. A darne notizia è AsiaNews, secondo cui la liberazione è frutto di un accordo raggiunto tra il governo di Assad e quelli dei tre Paesi citati, e precisa che un altro gruppo – per un totale di 64 – sarà scarcerato nel corso del fine settimana. Le prigioniere in questione sono per la maggior parte siriane e operatrici umanitarie, ma ci sono anche due palestinesi e una libanese. Tra le siriane, inoltre, vi sarebbe la parente di alcuni dissidenti e una vedova malata di cancro. In tutto, le donne detenute nel carcere di Adra sono 128. (R.B.)
Brunei: entra in vigore la "sharìa". La Chiesa locale: si applichi solo ai musulmani
◊ L’amputazione di un arto per punire il reato di furto, la fustigazione come pena per chi abortisce o anche semplicemente vende o consuma bevande alcoliche, la lapidazione per gli adulteri e gli apostati: sono solo alcune delle punizioni previste dalle ordinanze hudud menzionate nel Corano e nella Sunna di Maometto, contenute nel nuovo Codice penale che entrerà in vigore nel sultanato del Brunei entro sei mesi. Nei giorni scorsi, il sultano Hassanal Bolkiah – riferisce la Fides – ha approvato numerose disposizioni della sharìa, consentendo che venissero inserite nel nuovo testo, causando la preoccupazione delle minoranze presenti nel piccolo Paese, in primis quella cattolica, presente con un Vicariato apostolico guidato dall’arcivescovo, Cornelius Sim, e comprendente tre parrocchie e tre sacerdoti, per un totale di circa 20 mila fedeli. Tradizionalmente, la legge islamica non si applica ai non musulmani, ma può estendersi ad altri se questi vengono riconosciuti complici di un islamico che ha commesso uno di questi reati. “Non è ancora tutto chiaro", osserva padre Robert Leong, parroco della chiesa dell’Immacolata Concezione. "Finora – aggiunge – i tribunali islamici in Brunei si occupavano solo di diritto familiare, eredità e matrimoni”. La sua speranza è che "le disposizioni non intacchino la libertà religiosa di cui finora abbiamo goduto la libertà di culto, di preghiera e di svolgere le nostre liturgie senza problemi; il dialogo interreligioso, invece, dipende dai leader islamici con i quali ogni anno abbiamo un incontro”. In Brunei, il 70% della popolazione è islamico d’etnia malay, mentre il 15% è di etnia cinese e il 30% appartiene a minoranze non musulmane: i cristiani sono circa il 13%. (R.B.)
Sri Lanka. Testimonianza di un sacerdote tamil: servono riconciliazione e ricostruzione
◊ Riconciliazione e ricostruzione: sono le due questioni centrali che lo Sri Lanka deve affrontare dopo la fine della guerra civile, ma finora sono state completamente ignorate dalle autorità, che preferisce usare i fondi arrivati dall’estero per “erigere monumenti in memoria della vittoria piuttosto che le case degli sfollati”. Questa la testimonianza rilasciata all’agenzia Fides dal sacerdote tamil Emmanuel, presidente del Global Tamil Forum, che lancia un appello ai leader religiosi affinché abbiano un “ruolo profetico” in questo senso. Tra i problemi denunciati dal sacerdote, ci sono la militarizzazione delle regioni tamil e l’atteggiamento vendicativo dell’esercito regolare, mentre è necessario aprire i cuori e le menti a valori quali la verità, la giustizia, l’amore per il prossimo e la compassione. “Timidezza e passività sono i peggiori nemici dello Sri Lanka”, ha aggiunto padre Emmanuel, che indica come modello da seguire il vescovo Lakshman Wickremesinghe, grande promotore della convivenza pacifica e impegnato nel cambiamento della società contemporanea, morto nel 1983. “Le religioni hanno il compito di proclamare la verità riguardante l’uomo, la sua dignità, i suoi diritti – ha concluso – la coesistenza pacifica tra tutti i popoli in Sri Lanka sarà possibile solo quando i leader politici, ma anche religiosi, civili e sociali, adempiranno al loro ruolo di dire la verità al potere”. (R.B.)
Repubblica Dominicana. La Chiesa preoccupata per la sentenza contro i migranti haitiani
◊ Il 23 ottobre scorso, il governo della Repubblica Dominicana ha comunicato ufficialmente l’intenzione di rispettare la sentenza della Corte costituzionale dominicana, che revoca la cittadinanza agli haitiani figli di irregolari, escludendo di fatto da questo diritto coloro che sono nati in territorio dominicano dal 1929 e i cui genitori, al momento della nascita, si trovavano in una situazione di irregolarità. La decisione ha causato un vero e proprio conflitto interno in cui è intervenuta anche la Chiesa locale: il vescovo della diocesi meridionale di Barahona, mons. Rafael Leónidas Felipe y Núñez, ha parlato alla stampa esprimendo piena solidarietà verso i migranti provenienti dalla confinante Haiti e verso le loro famiglie, che ormai sono completamente dominicane: “Sono nati ad Haiti, è vero, ma è qui che hanno formato le loro famiglie – ha detto alla Fides – alcuni risiedono nel Paese da 30 o 40 anni, hanno due generazioni, tra figli e nipoti, che sono nati qui”. La sentenza della Suprema corte coinvolge circa 200 mila persone, mentre nel Paese risiedono oltre 500 mila migranti, di cui oltre 450 mila sono haitiani. (R.B.)
Pakistan. Vescovo di Islamabad: nonostante le promesse, ancora poca tutela per i cristiani
◊ Non si placano i timori di nuovi attentati di matrice islamica tra i membri delle comunità cristiane e delle altre minoranze religiose presenti in Pakistan, dove le promesse di un rafforzamento delle misure di sicurezza a chiese e altri luoghi di culto - annunciate dal governo provinciale di Khyber Pakhtunkhwa dopo la strage dello scorso 22 settembre a Peshawar - continuano a rimanere insolute. È "triste" vedere che a dispetto delle ripetute minacce alle chiese "le misure di sicurezza non siano ancora soddisfacenti", ha commentato mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, raggiunto da AsiaNews. La polizia afferma il contrario, ma di tutto questo, aggiunge il presule, "non v'è traccia visibile". "Chiediamo alle autorità competenti - conclude - di prendere le misure necessarie per assicurarsi che questi episodi non si ripetano più". Le nuove azioni per sconfiggere le condizioni di isolamento e insicurezza in cui quotidianamente vivono i cristiani pakistani sono state annunciate dal governo della provincia a nord del Paese, dopo che lo scorso mese, presso la All Saints Church di Peshawar, 140 persone erano morte e altre 161 rimaste ferite in un attentato organizzato da due kamikaze che si sono fatti esplodere presso l’edificio. Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, in particolare a danno dei cristiani, da tempo obiettivo dei fondamentalisti islamici. (C.S.)
Iran. Scontri al confine con il Pakistan ed esecuzioni nel carcere di Zahedan
◊ Sedici ribelli “vicini a gruppi ostili della Repubblica islamica dell’Iran” sono stati impiccati questa mattina nel carcere di Zahedan, capoluogo della provincia sudorientale iraniana del Sistan-Beluchistan, nella regione di Saravan, che confina con il Belucistan pakistano. Le uccisioni, confermate dal procuratore generale della provincia, sono una risposta agli scontri armati avvenuti stanotte nell’area, in cui hanno perso la vita ben 17 guardie di frontiera e inizialmente attribuiti a banditi. Su entrambi i lati del confine, infatti, oltre a guerriglieri separatisti e miliziani jihadisti, sono attivi anche narcotrafficanti e comuni predoni. (R.B.)
Sei milioni di italiani disoccupati o scoraggiati
◊ Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono oltre 6 milioni, se ai 3,07 milioni di disoccupati si sommano i 2,99 milioni di persone che non cercano ma sono disponibili a lavorare (gli scoraggiati sono tra questi), oppure cercano lavoro ma non sono subito disponibili. Lo si legge nelle tabelle Istat sul II trimestre 2013. Nel secondo trimestre 2013 - secondo la tabella sulle 'forze lavoro potenziali' - c'erano 2.899.000 persone tra i 15 e i 74 anni che pur non cercando attivamente lavoro sarebbero state disponibili a lavorare (con una percentuale dell'11,4% più che tripla rispetto alla media europea pari al 3,6% nel secondo trimestre 2013). A queste si aggiungono circa 99.000 persone che pur cercando non erano disponibili immediatamente a lavorare. Nel primo gruppo, ovvero gli inattivi che non cercano pur essendo disponibili a lavorare, ci sono quasi 1,3 milioni di persone 'scoraggiate', ovvero che non si sono attivate nella ricerca di un lavoro pensando di non poter trovare impiego. Trovare un lavoro resta una chimera soprattutto al Sud e tra i giovani: su 3.075.000 disoccupati segnati nel secondo trimestre 2013 quasi la metà sono al Sud (1.458.000) mentre oltre la metà sono giovani (1.538.000 tra i 15 e i 34 anni, 935.000 se si considera la fascia 25-34 anni). Se si guarda alle forze lavoro potenziali il Sud fa la parte del leone con 1.888.000 persone sui 2.998.000 inattivi potenzialmente occupabili. Se si guarda alla fascia dei più giovani sono potenzialmente occupabili nel complesso (ma inattivi) 538.000 persone tra i 15 e i 24 anni e 720.000 tra i 25 e i 34 anni con una grandissima prevalenza di coloro che non cercano pur essendo disponibili a lavorare. L'Istat infine individua nell'area della ''sotto-occupazione'' nel secondo trimestre 2013 circa 650.000 persone, mentre oltre 2,5 milioni di persone sono occupati con un 'part time involontario', in crescita di oltre 200.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2012.
Azione Cattolica e Rinnovamento nello Spirito a Roma per il pellegrinaggio delle famiglie
◊ Anche l’Azione Cattolica (Ac) e Rinnovamento nello Spirito (RnS) partecipano, oggi e domani, al pellegrinaggio delle famiglie sulla tomba dell’Apostolo Pietro in Vaticano, promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia in occasione dell’Anno della Fede, che volge ormai al termine, sul tema “Famiglia, vivi la gioia della fede!”. Famiglie di Ac stanno convergendo in queste ore da tutte le diocesi d’Italia a Roma, dove intendono testimoniare “la bellezza del camminare insieme e come la fede renda forte e consolidi l’amore della famiglia cristiana”. Partecipare a questo evento, dunque, significa anche raccogliere l’invito di Papa Francesco a custodire la vita e ad avere cura l’uno dell’altro, specialmente delle generazioni future. “Sappiamo bene, come ci ricorda il Santo Padre, che oggi per costruire una famiglia ci vuole coraggio – scrive Ac in un comunicato – per questo si rendono necessarie una maggiore collaborazione e solidarietà anche attraverso le realtà parrocchiali, attente alle tante situazioni di difficoltà della porta accanto”. Infine, Ac vuole ribadire “la centralità della famiglia nell’orizzonte educativo” e quanto è necessario che questa interagisca con le altre agenzie educative quali la scuola. “Senza la famiglia – conclude – non c’è civiltà né futuro. Essa ha bisogno, quindi, di un impegno politico che ne agevoli l’esistenza attraverso adeguate politiche fiscali, economiche, abitative e di welfare”. Anche il Rinnovamento nello Spirito, che è stato coinvolto nell’organizzazione del pellegrinaggio, è a Roma con una presenza di circa diecimila aderenti che seguiranno tutti i momenti della due giorni, dall’accoglienza questo pomeriggio in Piazza San Pietro fino all’incontro con il Papa, per finire con la celebrazione eucaristica e l’Angelus di domani mattina. “In tanti modi occorre oggi aiutare la famiglie a ‘vincere’ il male che la assedia, ma nessuna formula tecnica, economica, giuridica o politica potrà mai bastare senza la fede", afferma il presidente, Salvatore Martinez, che è anche consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia. "Ci prepariamo a incontrare ancora una volta Papa Francesco con l’attesa fervida di vedere la famiglia cristiana ancora più decisamente protagonista della Nuova Evangelizzazione”. (A cura di Roberta Barbi)
Brasile: la Chiesa si interroga sulle nuove sfide sociali legate alla Coppa del Mondo 2014
◊ Mentre il Brasile si prepara a ospitare la Coppa del Mondo di calcio 2014, i rappresentanti delle città brasiliane che ospiteranno le partite del campionato si sono riuniti, lo scorso 16 e 17 ottobre, nella sede delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) a Brasilia, per riflettere sulla presenza della Chiesa in questo evento internazionale. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale brasiliana, durante la riunione - presieduta dall'arcivescovo di Maringá e presidente della Pastorale per il Turismo, mons. Anuar Battisti - sono state prese in considerazione le sfide sociali legate ai Mondiali 2014, come gli sfratti, lo sfruttamento sessuale, le pulizie delle città e gli aspetti religiosi. Si è quindi creato un gruppo di lavoro nazionale per coordinare i comitati diocesani, che ha deciso di stilare un calendario comune di attività, redigere un testo sulle sfide e le prospettive che coinvolgono la Chiesa per questo evento e preparare gli operatori pastorali per accogliere i turisti. “Un evento di tale ampiezza influenza la vita dei Paesi che lo ospitano - ha commentato proprio in questi giorni, da Brasilia, mons. Battisti - la Chiesa non può tacere di fronte agli sgomberi, dobbiamo essere vicini agli sfrattati”, ha detto ricordando i fenomeni indotti dell’evento, che non possono non interrogare la Chiesa: “Aumenta il rischio della prostituzione, che interessa giovani ma anche bambini e bambine adolescenti, cosa peraltro che è già una realtà nel nostro Paese”. Secondo i dati divulgati da Amnesty International, sono 19.200 le famiglie sfrattate con la forza a Rio de Janeiro dal 2009, quando il governo iniziò ad aprire i cantieri per infrastrutture, strade, parcheggi e altre opere considerate necessarie per la Coppa del Mondo e le prossime Olimpiadi.(C.S.)
Compie 70 anni di attività la "Catholic Health Association of India"
◊ La "Catholic Health Association of India", la più grande organizzazione sanitaria no profit del grande Paese asiatico, festeggia in questi giorni i suoi 70 anni di attività. L’Associazione, fondata nel 1943 da una religiosa australiana, suor Mary Glowry, conta oggi più di 3.400 istituzioni, tra cui oltre 2.200 centri sanitari che assistono ogni anno circa 21 milioni di persone. Momento centrale della celebrazione dell’anniversario, alla quale partecipano un migliaio di operatori sanitari cattolici da tutto il Paese, sarà la presentazione della relazione sui futuri progetti dell’associazione nel campo dalla salute mentale, dell’assistenza geriatrica, delle cure palliative e delle malattie non trasmissibili come il cancro o le malattie degenerative. Nel programma – riferisce un comunicato dell’Associazione – anche un omaggio alla fondatrice, della quale è stato avviato il processo di Beatificazione. È inoltre previsto il lancio di due nuovi associazioni affiliate: il "Children’s Health Club", dedicato alla salute dell’infanzia, e la "Social Workers’ Association of India", che riunisce gli assistenti sociali cattolici indiani. (L.Z.)
Arabia Saudita. Rinviata la protesta delle donne contro il divieto di guidare
◊ Le donne saudite hanno rinunciato a mettersi al volante in massa, oggi, data simbolica scelta per la protesta nazionale contro il divieto di guida in vigore dal 1990, in seguito alle minacce delle autorità di punire chiunque avesse aderito con sanzioni molto alte: fino a cinque anni di carcere per coloro che sostenevano la manifestazione su Internet. Nonostante questo, proprio sul web, due donne – una a Riad e l’altra a Gedda – coperte da velo e occhiali scuri hanno sfidato il divieto postando le immagini sui social network. Non sono state fissate date specifiche per il proseguimento della campagna che chiede al governo ultraconservatore saudita di abolire il divieto, che è dunque diventata “aperta” come ha spiegato l’attivista Najla al-Hariri. L’Arabia Saudita è l’unico Paese al mondo in cui alle donne è impedito di guidare e in cui hanno bisogno del permesso di un tutore maschio – padre, marito o fratello a seconda dei casi – anche solo per viaggiare, lavorare e sposarsi. Il divieto di guida, tuttavia, non è contenuto in alcuna legge, ma è stato un decreto del Ministero degli interni a formalizzare quella che era già una consuetudine 23 anni fa. Nel settembre scorso, inoltre, un leader religioso locale aveva emesso una fatwa in cui sosteneva che guidare fosse pericoloso per la salute delle donne e per quella dei loro futuri figli. La protesta femminile chiede ora alle autorità di fornire “motivazioni valide e legittime” al divieto invece di fare appello alla “volontà del popolo”. (R.B.)
Cina. A Pechino seminario sull’impegno delle ong per i bambini disabili e abbandonati
◊ “L’adozione di bambini disabili e abbandonati della società civile cinese” è il tema del seminario organizzato da "Jinde Charity", l’ente caritativo cattolico dell’He Bei, e dalla Fondazione della Carità, organismo protestante. L'incontro di studio si terrà oggi e domani a Pechino e ha l’obiettivo di presentare le esperienze delle ong legate alle comunità religiose nel campo dell’assistenza e dell’adozione dei bambini disabili e abbandonati. Secondo quanto reso noto dall’agenzia Fides, il tema, che interessa da vicino la società cinese, verrà dibattuto da esperti, rappresentanti degli enti governativi cinesi e internazionali e operatori dei media, al fine di trovare soluzioni migliori alle sfide e le difficoltà che derivano da questa delicata situazione. Secondo le statistiche fornite da Jinde Charity, sono 878 gli enti che al momento si occupano di questa fascia più debole della società cinese, accogliendo 9.394 bambini disabili o abbandonati. Tra questi, 134 sono enti privati, mentre 583 appartengono alle comunità religiose, soprattutto alla comunità cattolica. Nella Cina continentale, quasi tutte diocesi e le Congregazioni religiose si occupano in qualche modo dei bambini orfani disabili e abbandonati e il loro contributo è ormai riconosciuto e apprezzato dalle autorità civili, dalla società cinese in generale e anche dalle altre religioni. Nei giorni scorsi, la monaca Chang Hui - presidente della Fondazione di Filantropia buddista della provincia dell’He Bei e vicepresidente dell’Associazione buddista dell’He Bei . ha incontrato le suore cattoliche della Casa di accoglienza per i bambini disabili e abbondati, alle quali ha detto: “Dal vostro servizio abbiamo visto lo spirito di sacrificio e altruismo di Gesù che noi tutti dobbiamo sempre imparare e che è grande anche per noi buddisti”. La monaca ha quindi lasciato un’offerta all’orfanotrofio invitando i buddisti a dare il proprio contributo al lavoro delle suore. (C.S.)
Madagascar. Concluso senza incidenti il primo turno delle presidenziali
◊ Si è concluso nel pomeriggio di ieri senza episodi di violenza, il primo turno delle elezioni presidenziali del Madagascar. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da don Luca Treglia, direttore di Radio don Bosco ad Antananarivo, le elezioni si sono svolte senza “problemi particolari”, nonostante vi siano state “alcune inefficienze, come la mancanza di materiali elettorali in qualche seggio, o il mancato inserimento nelle liste elettorali di alcuni elettori”, i quali, nonostante avessero avuto un anno di tempo per registrarsi, “si sono presentati comunque ai seggi pretendendo di votare”. “Il clima è sereno – ha sottolineato il sacerdote – la gente vuole uscire dalla lunga crisi politica che dura da anni. Anche se una persona è stata uccisa nel sud del Paese si pensa che si sia trattato di un regolamento di conti e non di un fatto legato alle elezioni”. “Non abbiamo ancora i dati sull’affluenza al voto ma si stima che almeno il 60% degli elettori abbia votato. Lo spoglio sta avvenendo lentamente, se continua così ci vorrà tempo per sapere i risultati definitivi”, ha concluso don Luca. Visto l’interesse della consultazione, la radio cattolica si è prodigata nell’offrire ai propri ascoltatori una copertura continua dell’evento. “Radio don Bosco ha seguito le elezioni con una diretta iniziata alle otto della mattina di ieri e che termina oggi alla mezza – racconta il suo direttore – abbiamo mobilitato sei giornalisti che andavano per i seggi di Antananarivo, più altri 23 sparsi in tutta l’isola. Abbiamo inoltre stabilito una nostra postazione nel centro di raccolta dei dati provenienti da tutti i seggi del Paese”. Tutta la rete delle radio cattoliche del Madagascar si è mobilitata per seguire le elezioni trasmettendo lo stesso palinsesto di Radio don Bosco. “La nostra radio, infatti, è stata una delle poche emittenti autorizzate dalla Commissione Elettorale Indipendente a seguire in diretta lo svolgimento delle elezioni. Le altre erano la Radio Nazionale e la Televisione Nazionale”. (C.S.)
Domenica termina l’ora legale e si torna all’ora solare
◊ Questa notte, alle 3.00, torna in vigore l’ora solare, dopo sette mesi di ora legale, ossia dal 31 marzo. Le lancette degli orologi dovranno essere spostate indietro di 60 minuti.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 299