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Sommario del 22/10/2013
Il Papa: Dio non ci salva per decreto, si immischia con noi per guarire le nostre ferite
◊ Contemplazione, vicinanza, abbondanza: sono le tre parole intorno alle quali Papa Francesco ha incentrato la sua omelia nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non si può capire Dio soltanto con l’intelligenza ed ha sottolineato che “la sfida di Dio” è “immischiarsi” nelle nostre vite per guarire le nostre piaghe, proprio come ha fatto Gesù. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Per entrare nel mistero di Dio non basta l’intelligenza, ma servono “contemplazione, vicinanza e abbondanza”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha preso spunto dalla Prima Lettura di oggi, un brano della Lettera di San Paolo ai Romani. La Chiesa, ha detto il Papa, “quando vuole dirci qualcosa” sul mistero di Dio, “soltanto usa una parola: meravigliosamente”. Questo mistero, ha proseguito, è “un mistero meraviglioso”:
“Contemplare il mistero, questo che Paolo ci dice qui, sulla nostra salvezza, sulla nostra redenzione, soltanto si capisce in ginocchio, nella contemplazione. Non soltanto con l’intelligenza. Quando l’intelligenza vuole spiegare un mistero, sempre – sempre! – diventa pazza! E così è accaduto nella Storia della Chiesa. La contemplazione: intelligenza, cuore, ginocchia, preghiera … tutto insieme, entrare nel mistero. Quella è la prima parola che forse ci aiuterà”.
La seconda parola che ci aiuterà ad entrare nel mistero, ha detto, è “vicinanza”. “Un uomo ha fatto il peccato - ha rammentato - un uomo ci ha salvato”. “E’ il Dio vicino!” E’, ha proseguito, “vicino a noi, alla nostra storia”. Dal primo momento, ha aggiunto, “quando ha scelto nostro Padre Abramo, ha camminato con il suo popolo”. E questo si vede anche con Gesù che fa “un lavoro di artigiano, di operaio”:
“A me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite ad una ad una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo. E’ un lavoro di Gesù, personale. Un uomo ha fatto il peccato, un uomo viene a guarirlo. Vicinanza. Dio non ci salva soltanto per un decreto, una legge; ci salva con tenerezza, ci salva con carezze, ci salva con la sua vita, per noi”.
La terza parola, ha ripreso il Papa, è “abbondanza”. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. “Ognuno di noi – ha osservato – sa le sue miserie, le conosce bene. E abbondano!” Ma, ha evidenziato, “la sfida di Dio è vincere questo, guarire le piaghe" come ha fatto Gesù. Anzi di più: “fare quel regalo sovrabbondante del suo amore, della sua grazia”. E così, ha avvertito Papa Francesco, “si capisce quella preferenza di Gesù per i peccatori”:
“Nel cuore di questa gente abbondava il peccato. Ma Lui andava da loro con quella sovrabbondanza di grazia e di amore. La grazia di Dio sempre vince, perché è Lui stesso che si dona, che si avvicina, che ci accarezza, che ci guarisce. E per questo ma, forse ad alcuni di noi non piace dire questo, ma quelli che sono più vicini al cuore di Gesù sono i più peccatori, perché Lui va a cercarli, chiama tutti: ‘Venite, venite!’. E quando gli chiedono una spiegazione, dice: ‘Ma, quelli che hanno buona salute non hanno bisogno del medico; io sono venuto per guarire, per salvare’”.
“Alcuni Santi – ha poi affermato – dicono che uno dei peccati più brutti sia la diffidenza: diffidare di Dio”. Ma, si chiede il Papa, “come possiamo diffidare di un Dio così vicino, così buono, che preferisce il nostro cuore peccatore?” Questo mistero, ha ribadito ancora, “non è facile capirlo, non si capisce bene, con l’intelligenza”. Soltanto, “forse, ci aiuteranno queste tre parole”: contemplazione, vicinanza e abbondanza. E’ un Dio, ha concluso il Papa, “che sempre vince con la sovrabbondanza della sua grazia, con la sua tenerezza”, “con la sua ricchezza di misericordia”.
Tweet del Papa: il crocifisso non ci parla di fallimento, ma di un Amore che sconfigge il male
◊ “Il crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; ci parla di un Amore che sconfigge il male e il peccato”. E’ il tweet lanciato oggi da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex, seguito da quasi 10 milioni di follower.
Memoria del Beato Wojtyla. Don Mirilli: Papa Francesco porta avanti il suo “Non abbiate paura”
◊ Ricorre oggi la memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo II, che quest’anno coincide con il 35.mo anniversario dell’inizio del suo Pontificato. Si tratta dell’ultima memoria da Beato: il 27 aprile prossimo, infatti, Papa Francesco canonizzerà Karol Wojtyla che diventerà dunque Santo. Per una testimonianza sulla memoria odierna, Alessandro Gisotti ha intervistato don Maurizio Mirilli, responsabile della pastorale giovanile di Roma e tra gli ultimi sacerdoti ad essere stati ordinati da Papa Wojtyla:
R. - Sono stato tra gli ultimi ad essere ordinato sacerdote proprio da Giovanni Paolo II, il 2 maggio del 2004. Ricordo quel giorno, ovviamente l’emozione della mia ordinazione: avere le mani in testa - durante l’ordinazione - da parte del Papa, che era malato, seduto e faceva fatica ormai a parlare… Ancora sento addosso quelle mani. Mi inginocchiai per dargli la pace, perché lui era seduto e non poteva alzarsi, faceva fatica a palare, e poggiai le mie mani sui braccioli della sedia e lui mise le sue mani sulle mie: mi diede una stretta forte, forte, forte. Mi guardò negli occhi, con quel suo sguardo penetrante, ed è come se mi avesse detto: “Adesso tocca a te! Forza, coraggio, non aver paura!”.
D. - Il 22 ottobre del 1978, quindi 35 anni fa, è legato proprio a questo grido in piazza San Pietro: “Non Abbiate paura! Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo”. Parole che hanno dato un po’ la cifra di tutto il suo Pontificato, di tutta la sua testimonianza, anche di sanità. Il coraggio che viene dall’essere con Gesù…
R. - Eh, si! Anche se non riusciva più a parlare, quelle mani strette erano la traduzione - come dire - attraverso il linguaggio dei gesti di quel “Non abbiate paura!”. Quel non aver paura che è rimasto sempre impresso - credo - in tutti, anche in me. Ed è un invito che viene portato avanti dall’attuale Papa Francesco e che è un incoraggiamento un po’ per tutti.
D. - Il 27 aprile dell’anno prossimo, Karol Wojtyla, insieme ad Angelo Roncalli, verrà canonizzato da Papa Francesco. In un qualche modo quel “Santo subito!” del popolo di Dio - l’8 aprile del 2005, ai suoi funerali - viene confermato. Davvero questo dà proprio il senso di come il popolo di Dio abbia sentito subito la santità dell’uomo…
R. - E’ proprio il caso di dire “Vox populi, vox Dei”. Veramente la voce del Popolo di Dio ha fatto sì che la prassi della caonizzazione fosse più veloce. Ancora oggi sentiamo tutti quella voce, quegli sguardi, quegli incoraggiamenti, quelle visite pastorali ovunque nel mondo, ma anche nelle nostre parrocchie qui a Roma. E’ un Papa che ha incontrato davvero tutti quanti e a tutti ha lasciato il segno.
D. - Papa Wojtyla verrà canonizzato nella Domenica della Divina Misericordia: possiamo sottolineare proprio questo richiamo frequente, da subito, di Papa Francesco alla Divina Misericordia. Quindi anche qui un legame forte con il suo predecessore, che peraltro lo creò cardinale…
R. - Sì, c’è questo legame fortissimo. E’ come se, in qualche maniera, il mandato lanciato da Papa Giovanni Paolo II, con la creazione di questa festa della Divina Misericordia, fosse stato raccolto nella prassi pastorale e operativa da parte di Papa Francesco, il quale ci sta invitando a tradurre nella concretezza del nostro essere sacerdoti, del nostro vivere la Chiesa, una festa che è stata voluta da Giovanni Paolo II. Festa che adesso viene in qualche maniera declinata nella pastorale da parte di Papa Francesco.
Chiara Amirante: la testimonianza di Giovanni Paolo II ci chiama tutti alla santità
◊ Quella di Karol Wojtyla è stata una testimonianza straordinaria che chiama tutti alla santità. Nell’odierna memoria del Beato Giovanni Paolo II, ascoltiamo la riflessione di Chiara Amirante, fondatrice della comunità “Nuovi Orizzonti”, intervistata da Alessandro Gisotti:
R. - Giovanni Paolo II, senz’altro, è stato un gigante di santità, è stato veramente un uomo straordinario; ha lasciato un segno nella storia, nel cuore di ciascuno di noi che abbiamo avuto, in qualche modo, la possibilità di vivere tanti momenti di grazia e di verità che lui ha saputo regalarci. Cosa mi dice questo giorno? Intanto mi ricorda che tutti siamo chiamati alla santità. A volte pensiamo: “Ecco, ci sono queste persone straordinarie: Giovanni Paolo II, San Francesco, Santa Teresina, Santa Teresa …” Loro erano persone straordinarie chiamate alla santità, e dimentichiamo invece quel “É volontà di Dio, la vostra santificazione” che ci rivela la Parola di Dio. Questa grandissima vocazione di ogni cristiano - che è la santità -, mi ricorda quella di Giovanni Paolo II.
D. - 35 anni fa iniziava il ministero petrino di Karol Wojtyla con quel Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! che è un po’ la cifra del suo memorabile Pontificato …
R. - Quel Non abbiate paura, lo ha incarnato prima di tutto con la sua vita, ha spalancato le porte a Cristo fino ad arrivare a poter ripetere con San Paolo "non sono più io, ma è Cristo che vive in me". In ogni incontro con lui, mi ha proprio colpito questa forte esperienza di incontrare l’uomo che sentivi in profonda comunione con Cristo crocifisso. E senz’altro per noi questo messaggio Non aver paura è stato fondamentale perché è un non aver paura che nasce proprio dall’amore a Cristo crocifisso. Quelle volte che io andavo in strada nelle "zone calde" anche molto pericolose, ecco un po’ di paura affiorava in me però era più forte questo amore verso i fratelli che in qualche modo incarnano una presenza particolare di Cristo crocifisso.
◊ Il matrimonio tra un uomo e una donna battezzati è un sacramento che tocca la realtà personale, sociale e storica dell’uomo: si apre così l’articolo di mons. Müller, pubblicato sull'Osservatore Romano, che, in modo dettagliato, richiama i principali documenti della Chiesa sull’argomento. A partire dai Vangeli di Marco, Matteo e Luca, si comprende come il patto che unisce intimamente e reciprocamente i due coniugi è istituito da Dio stesso, segno dell’alleanza di Cristo e della Chiesa, mediazione della grazia di tale patto. Anche i Padri della Chiesa e il Concilio di Trento hanno respinto il divorzio ed il secondo matrimonio, escludendo quindi l’ammissione ai sacramenti per i separati risposati. Non solo: i canonisti hanno sempre parlato di "prassi abusiva" in relazione alla pratica della Chiesa Orientale che permette il divorzio in base alla "clemenza pastorale" per i casi difficili, e apre quindi la strada a un secondo o terzo matrimonio. Si tratta, precisa mons. Müller, “di una questione ecumenica da non sottovalutare”. La Costituzione pastorale Gaudium et Spes, frutto del Concilio Vaticano II, ribadisce ulteriormente che il matrimonio “è un’istituzione stabile, fondata per diritto divino e non dipendente dall’arbitrio dell’uomo” ed è proprio attraverso il sacramento che la sua indissolubilità diventa “immagine dell’amore di Dio per il suo popolo e della fedeltà irrevocabile di Cristo alla sua Chiesa”.
In epoca più recente, basti citare le Esortazioni apostoliche Familiaris Consortio e Sacramentum Caritatis, siglate rispettivamente da Giovanni Paolo II nel 1981 e da Benedetto XVI nel 2007, così come la lettera pubblicata nel 1994 dalla stessa Congregazione, o il messaggio finale del Sinodo 2012 sulla nuova evangelizzazione. In tutti questi documenti, in sostanza, si ribadisce che i fedeli divorziati risposati non possono accostarsi all’Eucaristia perché la loro condizione di vita contraddice l’unione di amore tra Cristo e la Chiesa significata dall’atto eucaristico stesso. Altro punto che accomuna i documenti del magistero, spiega ancora mons. Müller, è l’esortazione all’accompagnamento pastorale dei divorziati risposati, affinché comprendano che nei loro confronti non viene attuata alcuna discriminazione, ma solo la fedeltà assoluta alla volontà di Cristo. Mons. Müller sottolinea, poi, l’importanza di verificare la validità del matrimonio in un’epoca come quella contemporanea che si pone in contrasto con la comprensione cristiana di tale sacramento. “Laddove non è possibile riscontrare una nullità del matrimonio – scrive il presule – è possibile l’assoluzione e la Comunione eucaristica se i coniugi vivono insieme come amici, come fratello e sorella”. Le benedizioni di legami irregolari sono quindi da evitare in ogni caso. D’altronde, scrive ancora il prefetto della Congregazione, una relazione stabile e duratura corrisponde alla natura spirituale e morale dell’uomo: il matrimonio indissolubile ha, quindi, un valore antropologico perché sottrae i coniugi all’arbitrio dei sentimenti, li aiuta ad affrontare le difficoltà personali, protegge soprattutto i figli. “L’amore è qualcosa di più del sentimento e dell’istinto – afferma mons. Müller – nella sua essenza è dedizione. Nell’amore coniugale due persone si dicono l’un l’altro consapevolmente e volontariamente ‘Solo te e, te per sempre’". Quindi, di fronte a coloro che giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici, “la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico”, perché il matrimonio dei battezzati “ha un carattere sacramentale e rappresenta, quindi, una realtà soprannaturale”.
Certo, si legge ancora nell’articolo, ci sono situazioni in cui “la convivenza matrimoniale diventa praticamente impossibile”, come nei casi di “violenza fisica o psicologica”. E in tali “dolorose situazioni la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme”, fermo restando che il vincolo matrimoniale “rimane stabile davanti a Dio” e “le singole parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio finché l’altro coniuge è in vita”. L’articolo di mons. Müller risponde poi a chi suggerisce alcune soluzioni discutibili, come il lasciare alla coscienza personale dei divorziati risposati la scelta di accostarsi o meno all’Eucaristia. Argomento non valido, spiega il presule, perché anche se i divorziati risposati sono convinti, in coscienza, della non validità del matrimonio precedente, ciò deve essere comunque dimostrato oggettivamente dall’autorità giudiziaria. Anche la dottrina della “epicheia” – ovvero dell’equità secondo la quale una legge vale in termini generali, ma non sempre l’azione umana può corrispondervi totalmente – non può essere applicata in questo caso perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino. E a chi si appella della misericordia di Dio, mons. Müller risponde mettendo in guardia dal “falso richiamo alla misericordia” che porta a banalizzare l’immagine stessa di Dio, “secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare”. “La misericordia di Dio non è una dispensa dai suoi comandamenti e dalle istruzioni della Chiesa”, spiega ancora il presule, perché al mistero di Dio appartengono anche santità e giustizia e tali attributi non devono essere nascosti.
Infine, mons. Müller insiste sulla cura pastorale dei divorziati risposati, specificando che essa non deve “ridursi alla questione della recezione dell’Eucaristia”, perché “oltre alla Comunione sacramentale ci sono diversi modi di entrare in comunione con Dio: nella fede, nella speranza e nella carità, nel pentimento e nella preghiera”. “Dio può donare la sua vicinanza e la sua salvezza alle persone attraverso diverse strade, anche se esse si trovano a vivere in situazioni contraddittorie – conclude il presule – Una cura pastorale fondata sulla verità e sull’amore troverà sempre le strade da percorrere e le forme più giuste”. (A cura di Isabella Piro)
◊ Ad “ogni bambino deve essere garantito in primo luogo il diritto di nascere”. E lo Stato ha il “dovere di adottare misure concrete per sostenere i genitori nel ruolo di crescere i loro figli”, “in condizioni di libertà e dignità”. Lo ha ribadito l’arcivescovo Francis Chullikatt, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, davanti al Comitato sulla promozione e protezione dei diritti dei bambini, riunito nell’ambito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Senza la vita, tutti gli altri diritti sono privi di significato”. Mons. Chullikatt punta il dito contro il Comitato, che ha travisato il testo della Convenzione Onu sui diritti del bambino, esprimendo di fatto propri pareri, che non hanno la forza della giurisprudenza.
Anzitutto, dichiara il rappresentante della Santa Sede, “il feto è un membro della nostra famiglia umana e non appartiene a nessuna sotto categoria di esseri umani”, cosi come indica il preambolo della stessa Convenzione riguardo i diritti del bambino “prima e dopo la nascita”. Ne consegue, che ad “ogni bambino deve essere garantito in primo luogo il diritto di nascere”, “senza discriminazione alcuna”, incluso “il sesso o la disabilità o politiche dettate dall’eugenetica”. Quindi la diagnosi prenatale “per decidere se al bambino sarà permesso di nascere è incompatibile con la Convenzione”.
Richiama ancora il presule gli Stati a “compiere passi concreti per sostenere i genitori nel ruolo di crescere i loro figli”, perché “ad ogni bambino - prescrive la Convenzione - siano date opportunità e mezzi” “per consentire loro di sviluppare fisicamente, moralmente e socialmente in modo sano e normale e in condizioni di libertà e dignità”. Un ruolo insostituibile quello della famiglia per proteggere i bambini, rivendica mons. Chullikatt, sottolineando come “povertà, disoccupazione, malattia, disabilità, difficoltà di accedere a servizi sociali a causa di discriminazioni ed esclusione” possano influenzare “la capacità dei genitori di prendersi cura dei propri figli” e così anche "disturbi mentali e di comportamento, conflitti, tossicodipendenze e violenze domestiche” possano indebolire “la capacità delle famiglie di fornire un ambiente armonioso e sicuro”. Difendere dunque la responsabilità della famiglia e l’autonomia dei genitori nella crescita dei figli per difendere i diritti dei bambini.
Contesta con fermezza, l’osservatore della Santa Sede, l’uso a sproposito da parte del Comitato di espressioni come “orientamento sessuale” e “identità di genere” e le raccomandazioni agli Stati di dare ai bambini un’educazione e indicazioni sulla “salute sessuale, sulla contraccezione e sul cosiddetto aborto sicuro”, senza il consenso dei genitori, di che ne fa le veci o tutori; di promuovere l’aborto come metodo di pianificazione familiare e di fornire informazioni o servizi di salute sessuale e riproduttiva senza tenere conto delle obiezioni di coscienza degli operatori. “Tali raccomandazioni – denuncia il presule – sono particolarmente riprovevoli. Nessun aborto è mai sicuro perché uccide la vita del bambino e danneggia la madre”. Da qui l’esortazione alla comunità internazionale di sostenere i chiari principi di una della Convenzioni più ratificate - eppure cosi travisata - sui diritti del bambino.
Siglato a Budapest, Accordo S.Sede-Ungheria
◊ E’ stato sottoscritto, ieri, nella sede del Parlamento ungherese a Budapest l’“Accordo tra la Santa Sede e l’Ungheria sulla modifica dell’Accordo, firmato il 20 giugno 1997, sul finanziamento delle attività di servizio pubblico e di altre prettamente religiose (‘della vita di fede’) svolte in Ungheria dalla Chiesa Cattolica, e su alcune questioni di natura patrimoniale”. Hanno firmato: per la Santa Sede mons. Alberto Bottari de Castello, arcivescovo titolare di Oderzo e nunzio apostolico in Ungheria, e per l’Ungheria il sig. Zsolt Semjén, vice primo ministro. L’Accordo, informa una nota della Sala Stampa vaticana, partendo da quello del 20 giugno 1997 tuttora in vigore, apporta ad esso alcune modifiche, che lo aggiornano nel contesto delle nuove normative collegate con la Legge Fondamentale dell’Ungheria, promulgata il 25 aprile 2011. In concreto, prosegue il comunicato, “vengono regolati alcuni aspetti finanziari concernenti l’insegnamento della religione nelle scuole, le istituzioni cattoliche dell’insegnamento superiore, il restauro e la salvaguardia del patrimonio religioso dei monumenti e delle opere d’arte in possesso di enti ecclesiastici, la destinazione di una parte delle imposte a favore della Chiesa Cattolica, il reddito degli ex-immobili ecclesiastici non elencati nell’Appendice dell’Accordo del 1997”. L’Accordo, che consiste di 7 Articoli e 3 Allegati, entrerà in vigore con lo scambio degli strumenti di ratifica.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il Papa in tasca: in prima pagina, Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, su comunicazione e dialogo nel continente digitale.
Intelligenza, cuore, contemplazione: messa del Papa a Santa Marta.
Il potere della grazia: in cultura, l'arcivescovo Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, riguardo all'indissolubilità del matrimonio e al dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti.
Ecumenismo alla scuola dei santi: nell'informazione religiosa, il cardinale Walter Kasper, prefetto emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità della fede, sulla spiritualità, fondamento della ricerca dell'unità tra i cristiani.
La speranza di pace si allontana dal Nord Kivu: nell'informazione internazionale, in rilievo i falliti negoziati tra Governo congolese e ribelli del Movimento del 23 marzo.
La Nato pronta ad assistere la Libia: inviata una squadra di consiglieri per la difesa interna.
Soddisfazione Usa per l'andamento dei colloqui israelo-palestinesi
◊ “Il negoziato israelo-palestinese procede e si intensifica”. Sono le parole del segretario di Stato americano John Kerry, che interpretano pienamente il favore della comunità internazionale per la ripresa dei colloqui. Lo stesso presidente palestinese, Mahmoud Abbas, dopo il recente incontro in Vaticano con Papa Francesco, ha parlato di concreti auspici di pace. Ma come stanno vivendo i cristiani di Terra Santa lo sblocco della situazione dopo che le trattative tra israeliani e palestinesi si erano interrotte nel settembre 2010? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a padre Pierbattista Pizzaballa, della Custodia francescana di Terra Santa:
R. - Una speranza deve essere sempre presente nell’animo di un cristiano, anche se le perplessità e le paure sono tante: perché è vero che la Comunità internazionale è molto positiva su questa ripresa dei colloqui, ma chi conosce il territorio sa molto bene che le persone coinvolte, certi gruppi e movimenti coinvolti sono molto radicali e poco inclini ad ogni forma di compromesso e di dialogo. Ma speriamo che riescano a sbloccare questa situazione, che pare comunque molto intricata.
D. - A fronte del dialogo che sta proseguendo, ci sono comunque - sia da parte israeliana sia palestinese – settori contrari al negoziato: c’è il rischio che possano far naufragare un’eventuale intesa?
R. - Chi è contrario c’è sempre, ma noi speriamo che la moderazione prevalga. Dopo tanti tentativi falliti, credo che sia normale un po’ di scetticismo. Tuttavia è importante che questi colloqui vadano avanti, proseguano con determinazione e portino a dei risultati concreti.
D. - Discutere e negoziare per la pace vuol dire anche speranza di stabilità. Come i cristiani guardano a questa stabilità, che manca ormai da un po’ di tempo, anche nella vita di tutti i giorni?
R. - I cristiani - come tutti - guardano con attesa, con sano realismo, però anche con il desiderio di vedere qualcosa di nuovo finalmente. I pellegrinaggi sono in leggera ripresa, ma è auspicabile che siano sempre più numerosi, perché il pellegrinaggio porta molto benessere e anche molta moderazione alle famiglie che vivono qui. Quindi speriamo che ci siano dei cambiamenti positivi.
Siria: Assad non esclude di ricandidarsi. Gli Usa: la guerra continuerà
◊ Il presidente siriano Bashar al-Assad non esclude di ricandidarsi alle presidenziali previste in Siria nel 2014 e attese alle fine di giugno. Lo ha dichiarato in un'intervista rilasciata alla tv libanese 'Al-Mayadeen'. Mentre a Londra oggi il gruppo 'Amici della Siria' - composto dai Paesi occidentali e arabi che appoggiano le forze di opposizione al regime di Damasco - cerca di trovare un'intesa generale in vista della Conferenza di pace ‘Ginevra 2’, in calendario per il prossimo 23 novembre, immediate sono state le reazioni internazionali a quanto dichiarato dal presidente siriano: gli Stati Uniti - col segretario di Stato, John Kerry - hanno già detto che "se Bashar al Assad sarà rieletto, la guerra in Siria continuerà". Ascoltiamo Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistata da Giada Aquilino:
R. – L’annuncio di Assad è un rinfocolare la guerra, perché dopo due mandati, dal 2000 e poi dal 2007, il volersi ripresentare – dice lui – perché è un suo desiderio e anche quello del popolo è un atto politico di grande orgoglio e manifestazione di forza. Rimane la curiosità non solo di vedere come questo influirà negativamente sul tentativo che si farà a Ginevra di provare ad iniziare a trovare una soluzione, ma soprattutto come pensa Assad di poter organizzare elezioni - anche “accomodate” - in una situazione di guerra civile in cui non solo non controlla più ampie aree del Paese, in particolare a Nord, nella regione di Aleppo, e ad Est, ma anche in cui ci sono stati milioni di profughi, alcuni all’estero ma altri interni. In pratica, il regime controlla la striscia occidentale, in particolare Latakia, sul mare, che è una roccaforte alawita dell’etnia a cui appartiene il presidente, e poi tenta in tutti i modi di controllare l’area di Damasco.
D. – Tra l’altro, Assad ha anche escluso che la conferenza di Ginevra possa tenersi già il 23 novembre, come riferito da più fonti ultimamente. Che ostacoli ci sono?
R. – Gli ostacoli sono che le forze in campo contro di lui sono estremamente divise, sia da un punto di vista religioso, sia da un punto di vista politico. L’unico grande vantaggio che ha Assad, sul campo e sul piano politico, è che la sua fazione è visibilmente unita. Quali tensioni ci siano all’interno non si sa, anche se alcune voci arrivano anche all’esterno.
D. – Quale ruolo potrebbe assumere il vertice vista la spaccatura che c’è sia tra le forze anti-Assad, sia sul terreno?
R. – Quello che prima o poi si farà, o con vertici o sul terreno, è una sorta di spartizione della Siria tra la parte che rimarrà legata al regime degli Assad, probabilmente quella occidentale, e altre parti, come la regione dei curdi che prima o poi guadagnerà più spazio e altre componenti sunnite. Quindi la Siria, de facto, sarà in qualche modo spartita.
D. – Un po’ quello che si era detto per l’Iraq…
R. – L’Iraq è teoricamente un Paese unito, ma in realtà ci sono tre ampie zone: curda, sciita e sunnita.
Mutilazioni genitali femminili: al via la Conferenza internazionale a Roma
◊ Oggi "sono 125 milioni in 29 Paesi le donne colpite dalle mutilazioni genitali. Una pratica mostruosa ampiamente diffusa in Asia, Africa e Medio Oriente. Si può e si deve fare di più: il consenso sta crescendo”. Così Babatunde Osotimehin, direttore dell’Unfpa, il Fondo Onu per la popolazione, aprendo oggi a Roma la Conferenza internazionale sulle mutilazioni genitali femminili voluta dalla Farnesina. “Si tratta di una battaglia per la difesa dei diritti umani che non ha frontiere”, ha detto il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, garantendo l’impegno economico, finanziario e politico del governo. Il servizio di Gabriella Ceraso:
L’impegno italiano per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili continuerà nonostante la crisi, perché quanto fatto finora offre segnali di speranza: così il ministro Bonino, confermando dinanzi ai rappresentanti dell’Onu che i programmi di prevenzione avviati dal 2008 in 12 su 15 Paesi nel mondo hanno ottenuto sia in alcuni casi l’introduzione di leggi specifiche, sia in 10 mila comunità – circa 8 milioni di persone in 15 Paesi – l’abbandono di tale pratica che ha gravi conseguenze nell’immediato ma anche nel lungo periodo, sulla salute e il benessere di donne e bambine. Dal 2011 inoltre, secondo quanto riferito dalla Bonino, quasi 300 strutture sanitarie hanno incluso programmi di prevenzione, quasi 20 mila sessioni di educazione sono state rivolte alle comunità interessate e più di 4 mila leader religiosi hanno informato i propri seguaci del fatto che, per esempio, l’islam non autorizza le mutilazioni.
Le stime di questa pratica aberrante, legata a tradizioni ancestrali, che uniscono motivazioni sociologiche, igieniche, estetiche e sanitarie, restano comunque spaventose, e ancora rimane da fare: secondo il direttore dell’Unfpa occorre passare dal tasso di abbattimento delle mutilazioni, che oggi si attesta all’1% annuo, fino al 10% "per porre fine a questa pratica già nel 2015". Ad oggi ci sono più di 125 milioni di bambine e donne vittime, in 29 Paesi in cui la pratica è diffusa: l’Africa sub sahariana è l’area più colpita; Somalia, Sudan, Gibuti e Guinea sono in testa insieme all’Egitto dove la stima è di una donna su 5; nei prossimi 10 anni – secondo le stime – sarebbero a rischio 30 milioni di bambine, per lo più tra 5 e 14 anni.
Situazione grave anche nei Paesi di emigrazione, dove non esistono purtroppo stime quantitative, Europa inclusa dove si pensa che almeno provvisoriamente ci sia un totale di 500 mila donne violate e 180 mila a rischio. Per loro, al lavoro spesso ci sono le associazioni territoriali come succede in Italia “Nos Otras”, associazione interculturale di donne, diretta dalla somala Laila Abi Ahmed:
“Cosa succede oggi? Il rischio è che nella diaspora si cerchi di mantenere, per non perdere la tradizione, alcune pratiche nefaste. Il nostro intervento consiste nello stimolare l’autocoscienza della comunità con una campagna di sensibilizzazione. Stiamo facendo anche un discorso di inclusione e di integrazione sociale, e nell’integrazione rientra anche il nostro corpo, il ruolo della donna nella società e l’attenzione a far sì che l’Occidente non ci consideri barbari”.
Gli ultimi dati forniti alla Conferenza di Roma indicano che il sostegno alla pratica delle mutilazioni genitali femminili in generale, nel mondo, è in declino; confermano inoltre che le legislazioni da sole non bastano ma occorre un lavoro globale, come spiega Daniela Colombo tra i promotori della Conferenza di Roma:
“Per aiutarle ad abbandonare la pratica, bisogna dare loro i diritti che hanno, che poi coincidono con la soddisfazione dei loro bisogni essenziali: quindi, il diritto alla salute, all’educazione, alla proprietà della terra, all’istruzione delle bambine, ad un lavoro, un lavoro indipendente e questo può essere fatto soltanto se si lavora nell’ambito di tutti i programmi e progetti di sviluppo”.
Leonarda resta in Kosovo: senza i miei genitori non tornerò in Francia
◊ Leonarda Dibrani e la sua famiglia restanto in Kosovo. La quindicenne kosovara di etnia rom, espulsa dalla Francia il 9 ottobre scorso mentre era in gita scolastioca e rispedita in Kosovo insieme alla sua famiglia, ha rifiutato l'offerta, riservata a lei sola, di rietrare in Francia. E domenica scorsa l'intera famiglia è stata oggetto di un'aggressione in strada. Il servizio di Elvira Ragosta:
Un delicato caso di diritto internazionale che ha scosso la politica francese con risvolti in tutta Europa. “Leonarda Dibrani - aveva affermato il presidente Holland - potrà rientrare in Francia, ma senza la sua famiglia”. Dopo la reazione negativa della 15enne kosovara, che non vuole separarsi dai genitori, l’intera famiglia è stata oggetto di aggressione nella città di Mitrovika, dove era stata rimpatriata. Qui i Dibrani hanno ricevuto la visita di un rappresentante della comunità rom a Mitrovica, che ha dichiarato: "Per lori qui non c'è futuro, perché dei quasi 2.900 rom che abitano in città solo 10 hanno un lavoro". Leonarda è nata in Italia, come i suoi 4 fratellini. Dal 2008 la famiglia si era trasferita in Francia dove invece è nata la sorellina minore. I Dibrani erano ospiti di un centro di accoglienza per richiedenti asilo nell’Est della Francia. Ma la richiesta, più volte presentata dal capofamiglia, era stata respinta dalle autorità francesi. Il commento di Giuseppe Cataldi, ordinario di Diritto Internazionale all’Università l’Orientale di Napoli:
R. - Dal punto di vista del diritto internazionale quello che è certo è che l’espulsione deve sempre avvenire nel pieno rispetto della dignità della persona stessa, quindi senza modalità oltraggiose, che vadano contro la sua dignità. E questo criterio è una esigenza ancora più avvertita nel caso di minori. La possibilità di ammettere soltanto la ragazzina mi sembra, però, che non vada nel senso sia delle Convenzioni in materia di diritti umani, ma sia anche dell’atteggiamento generale della cosiddetta "direttiva rimpatri", perché in questa direttiva sostanzialmente si lega la vicenda dei minori alla vicenda della famiglia.
D. - Esiste, secondo lei, la possibilità che il caso sia risolto in maniera diplomatica?
R. - Certo! Io penso che ci sia senz’altro questa possibilità. Anche perché poi stiamo parlando di un Paese che - come noto - è ancora uno Stato in cui si discute proprio la sovranità nazionale - l’esistenza di uno Stato kosovaro - in cui c’è ancora una presenza forte della Comunità internazionale proprio nelle istituzioni di governo. Quindi è anche lì una situazione rispetto alla quale bisognerebbe poi vedere se sono rispettati i parametri che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha elaborato negli anni.
A Roma, l'assemblea dei Frati minori d'Europa
◊ Cinquantotto ministri provinciali, in rappresentanza delle Conferenze linguistiche e territoriali dell’Ufme, l’Unione dei Frati minori d’Europa, sono a Roma da domenica scorsa per partecipare all’XI Assemblea generale dell’organizzazione. Stamane mons. José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ha presieduto una concelebrazione eucaristica per i partecipanti all’incontro nelle Grotte Vaticane. Al centro della settimana di lavori, che raggruppa 45 Paesi del Vecchio Continente, la riflessione sull’Instrumentum Laboris denominato “Progetto Europa”. Sul suo significato, sentiamo fr. Carlo Serri, provinciale d’Abruzzo e presidente dell'Unione Frati minori d’Europa, al microfono di Fabio Colagrande:
R. – Vuol dire innanzitutto gettare uno sguardo alle proprie origini per comprendere la natura della fede e dell’Europa; e poi, guardare verso il futuro per vedere in qual modo si possa crescere, non soltanto nella dimensione della fede, nella dimensione religiosa, ma più generalmente in una visione di umanesimo reale che sia liberante per le persone. Non dobbiamo dimenticare che la cosiddetta “avventura francescana” è fiorita in armonia con la genesi dell’Europa. Vivente ancora San Francesco, i frati partirono dall’Italia e raggiunsero i luoghi strategici, i nodi della civiltà europea: Francia, Parigi, Colonia… E quindi, si immersero profondamente, con la loro testimonianza di fede, nei luoghi che erano fucina di cultura, di sapienza e anche di costruzione della realtà politica.
D. – Quindi, il rapporto tra i Frati minori francescani e l’Europa è un rapporto che ha radici storiche molto lontane…
R. – Radici antichissime e, a mio avviso, sempre attuali. Perché, così come l’Europa medievale era esposta al pericolo del nazionalismo, del frazionamento culturale, della contrapposizione, della dittatura dell’economia, delle banche che in quel periodo incominciavano a diffondersi dappertutto, così adesso vediamo che l’Europa è in una situazione pericolosa, a rischio… C’è qualcuno che pensa ancora all’Europa come unità culturale, quella che una volta era la Christianitas medievale. Ecco, questo oggi non c’è, perché assistiamo a una frammentazione del pensiero: non c’è più un progetto unitario che voglia interpretare la società e la civiltà. Non si può neanche parlare ingenuamente di una unità politica istituzionale, perché assistiamo ancora oggi a un diffuso euroscetticismo, per cui molti Paesi fanno riemergere l’individualismo e l’egoismo, e non vorrei che rimanesse soltanto l’Europa finanziaria, l’Europa dell’euro, l’Europa delle banche. E anche qui vediamo che la gente si sente smarrita dinanzi alle istituzioni, non si sente rappresentata da coloro che gestiscono l’amministrazione: c’è quasi una spaccatura fra il vivere delle famiglie, delle persone, e poi le grandi istituzioni europee che dovrebbero mediare ma molto spesso non raggiungono il popolo. E allora, c’è un vuoto che dobbiamo riempire, un vuoto di spirito, un vuoto di verità della persona.
D. – Tenendo presenti anche le recenti parole del Papa ad Assisi – “la pace francescana non è un sentimento sdolcinato” – quale dev’essere oggi la visione francescana del continente europeo, con tutte le sue contraddizioni e le sue difficoltà?
R. – Veda, la pace di cui parlava il Papa è la pace di Gesù Cristo è lo shalom che dice Gesù ai suoi Apostoli dopo la risurrezione mostrando le sue piaghe: vuol dire che è una pace che costa il sacrificio della propria vita. Allora, noi dobbiamo creare un’Europa solidale in cui le persone capiscano che l’unità implica il sacrificio, la rinuncia: io non posso aiutare nessuno senza rinunciare a qualcosa di mio. Quindi, si tratta di ri-tradurre il vecchio egoismo statalistico ed economico in capacità di solidarietà. Dobbiamo diventare un’unica vera casa europea. E lo saremo nel momento in cui siamo capaci di armonizzare il nostro bene con quello degli altri …
America Latina: al via incontro delle organizzazioni sociali vicine al Movimento dei Focolari
◊ “La fraternità in atto: fondamento della coesione sociale per il XXI secolo”. E’ il titolo del primo appuntamento dei rappresentanti delle organizzazioni sociali ispirate dal carisma di unità dei Focolari dell’America Latina. L’incontro è iniziato ieri mattina alla Mariapoli Ginetta, il centro nazionale brasiliano dei Focolari che sorge a Vargem Grande Paulista, nei pressi di San Paolo. Partecipano i rappresentanti di 25 organizzazioni sociali giunti dalle varie regioni del Brasile. Oggi arriveranno i membri di altre 12 opere provenienti da altrettanti Paesi dell’America Latina. Da Vargem Grande, il servizio di Carla Cotignoli:
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, nel Continente latinoamericano perdura il grave divario tra ricchi e poveri e preoccupano sia la profonda frammentazione sociale, sia l dilagare di violenza, prostituzione, droga. E’ per rispondere al grido delle molte piaghe sociali - riconoscendovi il volto del Crocefisso vivo - che, a partire dagli anni ’60, poco dopo l’arrivo dei primi focolarini in Brasile e poi negli altri Paesi dell’America Latina, sono nate numerose organizzazioni sociali. L’attuale contesto socio-politico del Continente e il continuo richiamo di Papa Francesco a privilegiare le periferie esistenziali fanno sorgere nuove domande: sono state messe a frutto tutte le potenzialità di trasformazione sociale racchiuse nel carisma dell’unità? Quali le vie per incidere maggiormente nel cambiamento e rispondere alle sfide di oggi?
Per darvi risposta, è stato promosso questo primo incontro dei rappresentanti delle organizzazioni sociali latinoamericane, dopo una preparazione di oltre due anni. Due le piste delineate: “rimettere a fuoco lo specifico dell’impegno sociale alla luce del carisma dell’unità e creare una rete tra le diverse organizzazioni sociali, per uno scambio di esperienze, progetti e difficoltà”.
Alcuni pensieri di Chiara Lubich, letti in apertura, hanno riportato alla radice di questo impegno: l’amore evangelico, perché il sociale non si trasformi in sterile attivismo o in puro assistenzialismo, ma apra la prospettiva di un “umanesimo dove l'uomo guarda l'uomo e il popolo l'altro popolo, attraverso la lente trasfigurante della persona del Cristo”.
E’ seguita una carrellata delle diverse opere, nate spesso da storie toccanti, come quel “E lei non fa niente per noi?” di un adolescente il cui nome era nella lista di vittime programmate dai trafficanti di droga. Il giorno prima ne erano stati uccisi 36. Nasce così “La casa do menor”. Oggi ampio spazio al dialogo. Questa sera l’inizio della fase congiunta tra Brasile e altri Paesi latinoamericani.
10.mo di canonizzazione di Daniele Comboni: il Santo che voleva “salvare l’Africa con l’Africa”
◊ "Il coraggio della speranza nell’Africa di ieri e di oggi". Questo il tema scelto dalla comunità di suore e sacerdoti comboniani per la tavola rotonda che ha avuto luogo, ieri sera, presso l'auditorium del Palazzo della Gran Guardia di Verona, organizzata per ricordare i dieci anni dalla canonizzazione di San Daniele Comboni. Religioso dalla spiritualità complessa e affascinante, Comboni fu protagonista di una strategia missionaria nuova, che non lasciava indietro né gli uomini né le donne africani di cui si prese cura per tutta la sua vita. Consapevole del ruolo centrale delle donne, fondò l’ordine delle Pie Madri della Nigrizia e aiutò le donne africane vittime della tratta, riscattandole e permettendo loro di formarsi come istitutrici presso l’istituto Don Mazza di Verona. Per ricordare il Santo missionario, Cecilia Sabelli ha intervistato suor Elisa Kidanè, religiosa eritrea comboniana della rivista "Nigrizia", fondata dallo stesso Comboni:
D.- Suor Elisa, il cuore di Comboni non batteva che per l’Africa e la sua ‘rigenerazione’; nelle sue missioni in Africa Centrale, cercò di coinvolgere nelle attività missionarie gli stessi africani, perché divenissero apostoli tra i loro connazionali. Qual’era dunque il significato del motto, caro al Santo, “salvare l’Africa con l’Africa”?
R. – Non era solo un motto, era proprio una metodologia lungimirante. Ancora oggi fatichiamo a credere a questa ipotesi di lasciare che proprio l’Africa possa camminare con le proprie gambe; possa essere colei che diventa protagonista della propria salvezza. Lui stesso ha realizzato in pieno questa sua idea, questa sua volontà. Noi siamo veramente grate a questo uomo che ha creduto veramente nei popoli dell’Africa.
D. – Il "Piano di rigenerazione dell’Africa", concepito nel 1864 dal Santo, che racchiude le sue intuizioni, può rappresentare un punto di riferimento per proseguire il cammino e illuminare le scelte pastorali e missionarie per il continente africano?
R. – Può, assolutamente può e deve, non solo può, ed è possibile. Chi lo può fare? Innanzitutto, noi missionari e missionarie dobbiamo veramente con molta semplicità, con molta serenità riprendere in mano il piano, il suo programma di evangelizzazione, una metodologia di avanguardia, riprenderlo, svuotarlo e tirar via tutte quelle cose che sono dell’epoca e prenderne veramente il cuore. Comboni diceva: “Dopo quattro, cinque, sei o dieci anni, quando vedete che la Chiesa cammina con le sue gambe, via, andate da un’altra parte”. Questo decimo anniversario non è solamente dire: “Che bello, abbiamo un fondatore Santo!” No, è proprio il momento opportuno per dire: “Adesso però dobbiamo dare una svolta anche al nostro tran tran, come ha fatto Comboni, con coraggio”.
D. – In questi giorni il Papa ha ricordato i missionari e le missionarie “che lavorano tanto, senza far rumore, e danno la vita”. Come ha accolto queste parole la comunità comboniana? Si è sentita confortata in qualche modo?
R. – Questo ricordarci da parte del Papa ci ha fatto senz’altro piacere, ma soprattutto speriamo che possa avere suscitato nei giovani il pensiero che valga la pena dare la vita per sempre, per una missione che è ancora di grandissima attualità.
Congo: la delusione del vescovo di Goma dopo la sospensione dei colloqui di pace
◊ “La popolazione che sopravvive nel dolore e nella miseria, che seppellisce ogni giorno i suoi morti è molto delusa e frustrata. Per lei, che vuole solo la pace, i colloqui di Kampala tra il governo e i ribelli rappresentavano l’unico spiraglio di speranza. E ora non ha più nemmeno questo” dice all'agenzia Misna con un tono affranto ma deciso mons. Théophile Kaboy Ruboneka, vescovo di Goma, il capoluogo della provincia del Nord Kivu, all’indomani dall’annuncio della sospensione dei colloqui in Uganda. “In realtà per molti questa notizia non è una sorpresa. Si guardava a Kampala anche con grande scetticismo dopo così tanti rinvii, così tante chiacchiere e promesse a vuoto. Solo di una cosa il Nord Kivu ha bisogno: la firma e l’attuazione di un accordo di pace” aggiunge il vescovo. Poi arriva lo sfogo di mons. Ruboneka: “E’ vero non ci sono più gli intensi scontri dello scorso anno ma qui la gente continua a morire come mosche, soprattutto nei campi sfollati, a causa della criminalità aumentata in modo esponenziale, della fame e delle malattie”. Sulle possibili soluzioni all’annosa crisi nell’est del Congo, confinante con Rwanda e Uganda, il vescovo di Goma non ha dubbi sul fatto che bisogna cambiare registro. “Qui vediamo sfilze di ministri, deputati, ambasciatori, inviati Onu che denunciano e condannano. Vediamo elicotteri sorvolare il territorio e basta. Nulla è cambiato. Ora tocca agire concretamente per salvare vite umane” dice ancora alla Misna il presule congolese. “Da mesi ci sono prove tangibili a carico di Paesi vicini coinvolti nella ribellione del Movimento 23 marzo. Come mai nessuna sanzione è stata approvata?” si interroga il vescovo. La comunità internazionale e le autorità congolesi hanno ribadito la propria determinazione a “sradicare in modo definitivo e irreversibile i gruppi armati e tutte le forze negative fino alla pacificazione totale del Nord e del Sud Kivu”, chiedendo all’M23 il suo “immediato scioglimento”. Dei 13 articoli contenuti nell’accordo di pace di Kampala, i più problematici sono quelli relativi all’amnistia e all’inserimento nelle forze armate regolari. (R.P.)
Filippine: molti degli organismi cattolici in aiuto dei terremotati
◊ Continuano i soccorsi a Bohol e in alcune zone della regione centrale dell’arcipelago filippino delle Visayas. Nell’ultimo aggiornamento inviato all’agenzia Fides dalla Camillian Task Force Filippine, padre Dan Vicente Cancino, riporta che a Cebu e Bohol sono stati registrati 13 smottamenti e 1.391 scosse di assestamento con un fuggi fuggi generale verso il Barbara Sports Complex di Toledo City, e l’Auditorium di Pinamungahan a Cebu. Nel resoconto di padre Dan le morti riportate sono 171, i feriti 375 e 21 i dispersi nelle province di Cebu, Bohol e Siquijor. Il National Disaster Risk Reduction and Management Council ha registrato 1.285 piccoli villaggi dei 52 municipi seriamente danneggiati e un totale di circa 3.426.718 persone colpite. Tra queste, 20.034 famiglie vivono in 85 Centri di evaquazione, costrette ad abbandonare circa 19.300 abitazioni, delle quali 2.938 andate completamente distrutte e 16.371 parzialmente danneggiate. Strade, servizi pubblici, ospedali, scuole e siti storici sono crollati o parzialmente danneggiati. Tuttavia, i principali porti e aeroporti hanno ripreso a funzionare nonostante i gravi danni subiti, mentre 21 ponti e 4 strade restano impraticabili. Molti comuni, soprattutto a Bohol, sono ancora privi di energia elettrica e acqua potabile. Iniziano a scarseggiare anche le riserve alimentari e molti market non sono più agibili. Secondo fr. Yking de la Pena e padre Warli Salise, della diocesi di Tagbilaran, le aree di interesse principali degli interventi rimangono Maribojoc e Loon con le rispettive 4.526 e 4.420 famiglie colpite dal sisma. Ulteriori valutazioni si stanno facendo dei danni subiti dall’arcidiocesi di Cebu. Ad oggi, le autorità governative non hanno ancora fatto alcuna richiesta di intervento alla comunità internazionale. Insieme alla Conferenza episcopale locale, alla Camillian Task Force, sono coinvolte negli aiuti anche altre agenzie cattoliche, come la Caritas della Nuova Zelanda, il Catholic Agency For Overseas Development (Cafod) di Inghilterra e Galles e il Catholic Relief Services. (R.P.)
Vietnam: concluse le celebrazioni dell’Anno della Fede
◊ "Più sono forti le persecuzioni fisiche e spirituali, maggiore sarà la nostra fede in Dio e nella Vergine". Con questo spirito, i cattolici vietnamiti hanno partecipato sabato scorso alla Messa di chiusura dell'Anno della Fede, che si è celebrata nella cattedrale di Ho Chi Minh City. A celebrare la funzione - riferisce l'agenzia AsiaNews - il neo vescovo coadiutore di Saigon, mons. Paul Bùi Văn Đọc, che ha presieduto il rito assieme al card J.B. Phạm Minh Mẫn, al rappresentante pontificio non residente mons. Leopoldo Girelli, al vescovo ausiliare, al vescovo di Long Xuyên mons. Trần Xuân Tiếu e al vescovo di Vinh mons. Paul Nguyễn Thái Hợp. Almeno 5mila i fedeli che hanno preso parte alla messa, che è stata anche occasione per una "presentazione ufficiale" alla comunità cristiana del nuovo vescovo coadiutore. Partecipando alla Messa, i cattolici vietnamiti hanno voluto "ringraziare" Papa Francesco, per la grazia riservata alla Chiesa locale con la nomina di nuovi vescovi. In molti hanno voluto sottolineare che "il volto e lo spirito di Benedetto XVI e Francesco" sono sempre "nei cuori dei cattolici vietnamiti". Un pensiero speciale è rivolto anche al card Phạm Minh Mẫn che anche in questo momento di difficoltà dovuta alla malattia è sempre testimone vero e autentico di Cristo e della Chiesa. Negli anni la sua opera ha prodotto migliaia di catechisti e battezzato oltre 22mila persone. Prima della funzione alla cattedrale di Nostra Signora, il cardinale, gli arcivescovi, i vescovi, sacerdoti e fedeli hanno pregato davanti alla statua della Madonna della Pace, nell'omonima piazza di Hòa Binh, al centro di Ho Chi Minh City. Mons. Girelli ha inviato un ringraziamento speciale a nome di Papa Francesco a tutti i presenti, con un pensiero particolare al cardinale il cui "berretto rosso" è segno vivente e continuo di "sacrificio". Un testimone profondo e valoroso della fede in Vietnam, che ha incontrato nella sua vita il Beato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, ricevendo da tutti attestati di stima e valore. Infine l'invito a "continuare a pregare per il vescovo coadiutore", al quale è affidato il cammino futuro dell'arcidiocesi di Saigon. (R.P.)
Nepal: ‘fuoricasta’ indù trovano conforto in Papa Francesco e nella Bibbia
◊ La lettura della Bibbia e il messaggio di papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale celebrata domenica scorsa, sono "una spinta fortissima per combattere la disuguaglianza sociale e l'ingiustizia" in Nepal. Ne è la prova, notano all'agenzia AsiaNews alcuni sacerdoti locali, l'aumento del numero di non cattolici che decidono di partecipare alla Messa domenicale e i giovani che intraprendono il catecumenato, perché attratti dal messaggio di uguaglianza e dignità dell'essere umano proclamato dalla Chiesa cattolica. Il 20 ottobre scorso oltre 500 persone hanno partecipato alla Messa nella cattedrale dell'Assunzione a Kathamandu. Il parroco padre Robin Rai ha letto il messaggio del Santo Padre, chiedendo a tutti i presenti - cattolici e non - di proclamare la Parola di Dio ai membri delle rispettive comunità. I laici presenti alla liturgia hanno trovato le parole del Papa per la Giornata missionaria mondiale "perfettamente adatte" ai bisogni del Nepal, dove molte persone subiscono discriminazioni e oppressioni quotidiane. Inoltre, hanno promesso di stampare e diffondere il Messaggio nei loro luoghi di lavoro. Rita Adhikari, un membro della casta più bassa della società nepalese, racconta ad AsiaNews: "Mi sono convertita al cattolicesimo otto anni fa, perché ho scoperto che in questa religione non esiste discriminazione. Tutti gli esseri umani sono uguali e vengono trattati allo stesso modo, senza distinzioni di casta, colore della pelle o classe sociale". La donna è madre di tre figli. Per sfuggire alla discriminazione spiega di aver dovuto addirittura cambiare cognome: "Il mio vero cognome è Biswakarma, che per gli indù nepalesi indica persone della casta più bassa. Per loro siamo 'intoccabili'. Per sfuggire alla persecuzione ci siamo prima trasferiti a Kathamandu, la capitale, credendo che le cose sarebbero state diverse. Ma anche qui abbiamo avuto problemi: non potevamo usare l'acqua potabile pubblica, né affittare una stanza. I compagni indù di mia figlia la evitavano. Alla fine abbiamo cambiato nome in Adhikari, così le persone non possono identificarci con facilità". (R.P.)
Hong Kong: le Chiese asiatiche riunite per riflettere sulla liturgia nel continente
◊ Si è aperto ieri a Hong Kong, con una messa solenne presieduta dal card.John Tong Hon, il 17mo Forum della liturgia in Asia. L'incontro annuale - riferisce l'agenzia AsiaNews - riunisce i rappresentanti delle Chiese asiatiche per riflettere insieme e studiare la vita e il senso della liturgia nel contesto culturale asiatico. Si tratta di un'occasione anche per celebrare i 50 anni della pubblicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II e l'inizio della preparazione per la liturgia in lingua cantonese. Il direttore della Commissione liturgica diocesana, padre Thomas Law Kwok-fai, spiega: "Si tratta di un evento molto importante per la diocesi del Territorio, dato che la Chiesa che ospita l'incontro riceve molti commenti sulla propria situazione particolare. È inoltre l'incontro più grande mai organizzato: abbiamo 80 partecipanti da 16 nazioni asiatiche fra cui lo Sri Lanka, Macao e il Myanmar. Si tratta di persone che non hanno potuto partecipare ai Forum precedenti a causa di restrizioni nel visto o situazioni politiche particolari nei Paesi d'origine". Secondo padre Law l'incontro ha un carattere "più pastorale che teologico. Vogliamo davvero riflettere sulle nostre liturgie nel contesto del ruolo pastorale che giocano sia nella fede che nella vita quotidiana delle nostre comunità. Per questo ci concentriamo sulla formazione liturgica del popolo, in particolare dei ministri della Chiesa, e sull'aspetto sacramentale della liturgia dal punto di vista della partecipazione dei fedeli". (R.P.)
Myanmar: Giornata missionaria nel segno di Papa Francesco e Madre Teresa
◊ “Uno dei grandi evangelizzatori della storia cristiana è l'attuale Papa Francesco: le sue parole e azioni hanno restituito entusiasmo ai cristiani e al mondo. Egli è diventato il parroco del villaggio globale. Il suo approccio di evangelizzazione centrato sulla misericordia e sulla compassione sta inspirando molti”: con queste parole l’arcivescovo di Yangon, mons. Charles Maung Bo ha rilanciato un appello all’evangelizzazione ricordando che “essere missionaria è la vocazione della Chiesa”. In un discorso diramato in occasione della Giornata missionari mondiale, e inviato dall’arcivescovo all’agenzia Fides, mons. Bo rimarca: “Ogni seguace di Cristo è un missionario. Oggi abbiamo bisogno di più missionari. Missionario oggi è colui che è pronto a incontrare e scoprire le tracce di Dio negli altri”. La dinamica dell’evangelizzazione è cambiata nei secoli, nota il testo: “Secoli fa, l'Europa è andata a evangelizzare altri popoli”; mentre oggi il vecchio continente è divenuto “terra di missione”, popolata da centinaia si sacerdoti provenenti da tutto il mondo. “L'incontro fra diverse culture ha generato nuovo vigore alle chiese europee. Lo Spirito opera in tutti gli apostoli delle giovani chiese – asiatici, africani e latino-americani. Sono le giovani Chiese di Africa, Asia e Sud America a stabilire oggi il trend dell’evangelizzazione”. L'arcivescovo, ricordando il passo del Vangelo che recita “siate misericordiosi, come il nostro Padre celeste è misericordioso”, afferma che l’evangelizzazione cristiana è basata sulla suprema qualità umana: la compassione. La compassione è valorizzata nella tradizione religiosa buddista, che si vive in Myanmar, ha avuto una testimone di eccezione nell’età modera: Madre Teresa di Calcutta. “Ritrovando le tracce di Dio nella vita dei poveri e dei malati, Madre Teresa, con la sola virtù della compassione, ha portato il messaggio di Cristo a milioni di persone”, afferma l’arcivescovo. Mons. Bo nota che Papa Francesco ha rimesso al centro dell’evangelizzazione “l’antico messaggio della misericordia e della compassione, un approccio e metodo di evangelizzazione che sta ispirando molti”. (R.P.)
Colombia. Allarme terrorismo a Tumaco: il vescovo cerca il dialogo con le Farc
◊ Sono tremende per la popolazione di Tumaco le conseguenze degli ultimi attacchi terroristici compiuti dalle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) alle linee elettriche della città. Per questo motivo, gruppi organizzati della società civile hanno proposto la creazione di una Commissione che si rechi a L'Avana, dove si svolgono i colloqui di pace tra governo colombiano e Farc, per cercare il dialogo diretto con queste ultime. La nota inviata all’agenzia Fides informa che la Commissione sarà presieduta dal vescovo della diocesi di Tumaco, mons. Gustavo Girón Higuita, e formata da rappresentanti sindacali, che intendono dare visibilità alla situazione drammatica che sta soffrendo la popolazione, in modo particolare i più poveri. Proprio in questi giorni, informa la nota, si stanno facendo le pratiche necessarie al ministero degli interni, al fine di poter arrivare al tavolo dei negoziati e porre fine alle ostilità contro questa comunità. Nel comune di Tumaco, dipartimento di Nariño, in meno di 20 giorni le Farc hanno fatto esplodere 10 torri portanti i cavi di energia elettrica, così la città è rimasta al buio e senza elettricità per diversi giorni. Ancora oggi l’energia elettrica manca in diverse zone e anche nel porto, causando perdite incalcolabili perché i pescatori non riescono a congelare quanto pescato. Il vescovo di Tumaco ha riferito alla stampa: “Non abbiamo nemmeno l'acqua, perché non funzionano le pompe. Scoppiano incendi nelle case perché la gente usa le candele e i pompieri non riescono a pompare l'acqua perché non c'è la corrente". Mons. Girón ha denunciato che è anche aumentata la delinquenza per la mancanza della luce nelle strade: “Da gennaio a settembre sono state assassinate 178 persone. La nostra città conta 102 mila abitanti, di cui 55 mila giovani studenti, che adesso non possono andare a scuola perché queste sono chiuse per la mancanza di elettricità ". (R.P.)
El Salvador: la Chiesa difende gli archivi dell'ufficio dei diritti umani
◊ La Chiesa cattolica del Salvador non consentirà “a nessuno” di appropriarsi dell’archivio del suo ormai smantellato ufficio per i diritti umani – Tutela Legal del Arzobispado de San Salvador – contenente oltre 50.000 denunce di violazioni in larga parte commesse durante la guerra civile (1980-1992): lo ha detto l’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, in un pronunciamento pubblico al termine della messa domenicale. “L’archivio è della Chiesa e non permetteremo a nessuno di sottrarlo né di sottrarre alcune delle sue parti, poiché è nostro dovere custodirlo e porlo al servizio della giustizia in favore delle vittime” ha detto il presule. Venerdì scorso, ricorda il quotidiano ‘La Pagina’, la Procura generale della Repubblica ha disposto la perquisizione dei locali di Tutela Legal, la cui chiusura era stata decisa il 30 settembre adducendo diverse motivazioni, dalla necessità di modernizzarlo, alla scoperta di non meglio precisate “irregolarità” amministrative. Contro la chiusura di Tutela Legal - riferisce l'agenzia Misna - si sono espresse personalità di spicco e organizzazioni a difesa dei diritti umani, dal presidente della Repubblica Mauricio Funes, all’Ufficio di Washington per l’America Latina (Wola), al Center for Justice and Accountability (Cja), con sede in California, al Center for Justice and International Law (Cejil), collegato all’Organizzazione degli Stati americani (Osa). Mons. Escobar Alas ha detto di essere stato sorpreso dalla perquisizione, motivata – riporta la stampa – dal fatto che ci sono inchieste aperte su alcuni casi di violazioni dei diritti umani durante il conflitto, ma di aver negoziato con i funzionari della Procura che hanno infine accettato di limitarsi a un’ispezione generale, senza vedere dettagli dei documenti conservati nell’archivio. “Abbiamo detto loro che avremmo collaborato. Abbiamo comunicato che l’archivio in questione è proprietà della Chiesa e non possiamo permettere che esca dai locali del nostro arcivescovado. Ci interessa il tema della trasparenza – ha aggiunto il presule – non abbiamo nulla da nascondere. Ma difenderemo l’archivio. Siamo impegnati a mantenere la completa confidenzialità sulle vittime”. In merito alle “irregolarità” che hanno preceduto la chiusura di Tutela Legal, mons. Escobar Alas non ha escluso il ricorso alla magistratura: “Non scartiamo di presentare il caso alla giustizia, ma stiamo ancora raccogliendo prove. C’è un gruppo di avvocati impegnato in questa vicenda, quando avremo novità le faremo sapere”. Il presule ha concluso aggiungendo che l’arcivescovado ha chiesto alla Procura generale di poter proseguire l’inventario dell’archivio “per poi darlo in mano alla giustizia”. Istituito nel 1982 da mons. Arturo Rivera Damas per assistere le vittime di abusi nel contesto della guerra, Tutela Legal continuò il lavoro che aveva intrapreso nel 1977 mons. Óscar Arnulfo Romero, assassinato il 24 marzo 1980, con il Socorro Jurídico del Arzobispado per fornire un’efficace assistenza legale ai poveri. (R.P.)
Ciad-Centrafrica: i 75 anni della presenza dei Frati Minori Cappuccini
◊ I Frati Minori Cappuccini hanno celebrato domenica scorsa i 75 anni di presenza in Ciad e nella Repubblica Centrafricana, con una Messa nella cattedrale di Moundou (nel sud del Ciad).
Secondo una nota inviata all’agenzia Fides, la Messa è stata presieduta dall’Ordinario del luogo, mons. Joachim Kouraleyo Tarounga, affiancato da mons. Rosario Ramolo, vescovo di Goré e cappuccino. Alla concelebrazione hanno preso parte 40 sacerdoti. L’evento è stato preceduto da una settimana di preghiere, adorazioni eucaristiche e conferenze. Padre Michel Guimbaud, giunto in Ciad nel 1957 e che ha ora 82 anni, è uno dei pochi cappuccini ancora in vita che ha conosciuto alcuni dei fondatori della missione cappuccina in Centrafrica-Ciad. Padre Michel ha quindi tracciato a grandi linee la storia della presenza dei Frati Minori Cappuccini nei due Paesi. L’evangelizzazione del Ciad è molto recente perché risale al 1929 ad opera dei Padri Spiritani provenienti da Bangui (Centrafrica) e poi dai Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) arrivati da Foumban in Camerun. Nel maggio 1938, i Cappuccini della Provincia di Tolosa hanno preso il posto dei Padri Spiritani a Berberati e Bozoum in Centrafrica e a Doba in Ciad. Nel 1941 è la volta dei Dehoniani farsi sostituire a Kelo dai Cappuccini di Tolosa. Da Doba i Cappuccini estendono la loro attività missionaria alla regione del Moyen Chari, dei due Logones e a Tandjilé. Un ruolo importante è quello ricoperto da padre Arthur Delepine, giovane sacerdote cappuccino di 25 anni, che ha fondato la missione di Moundou nella Pasqua del 1941. L’attuale cattedrale della città è essenzialmente opera sua. Morirà nel 1945 a Bouar in Centrafrica a soli 29 anni, sfiancato dalle fatiche. Ma ben 324 cappuccini provenienti da Francia, Italia, Svizzera, Canada, Argentina, Peru, Slovenia e Polonia hanno seguito le sue orme per animare la missione nei due Paesi africani. Dal loro sacrificio in 75 anni sono nate 8 diocesi: Berberati, Bossangoa, Bouar (Centrafrica); Moundou, Sarh, Doba, Lai, Goré. (R.P.)
Chiese orientali: mons. Vasil chiede di abbracciare "lo spirito d'amore"
◊ Il significato della vita umana è stato al centro dell’omelia che mons. Cyril Vasil, segretario della Congregazione per le Chiese orientali, ha pronunciato durante la divina liturgia a Michalovce (Slovacchia) che ha chiuso l’incontro annuale dei vescovi delle Chiese orientali d’Europa. Nel discorso, preparato in vista della prossima festa di Ognissanti, il prelato si è soffermato su come si è chiamati ad affrontare la morte. “Per un cristiano la morte è la fine della vita terrena”, ha dichiarato l’arcivescovo Vasil, aggiungendo che il messaggio di Cristo sulla vita umana e sulla morte è molto semplice e si fonda “sulla fiducia nella risurrezione”. Secondo il prelato - riferisce l'agenzia Sir - “credere nell’immortalità e credere nel suo Creatore che è Dio sono due cose strettamente connesse, e la fede in Dio è associata all’accettazione di norme comportamentali che trascendono l’uomo e non dipendono da lui”. Alcune persone negano l’esistenza di Dio pensando che senza di Lui tutto è lecito. “Ma senza Dio che ne sarebbe della nostra coscienza e della nostra responsabilità per il male e per i reati?”, ha chiesto mons. Vasil invitando tutti ad abbracciare lo “Spirito di amore”. “È attraverso la nostra vita, attraverso le nostre scelte quotidiane e infine attraverso l’ultima decisione della nostra vita - presa in punto di morte - che decidiamo liberamente quale direzione prendere per la nostra vita eterna”, ha concluso il segretario della Congregazione per le Chiese orientali. (R.P.)
23 anni dopo, Aung San Suu Kyi riceverà il Premio Sakharov
◊ Aung San Suu Kyi, da 25 anni simbolo della ricerca di una via democratica per l’ex Birmania, riceve nella sede di Parlamento Europeo a Strasburgo il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, 23 anni dopo l’assegnazione. Allora, la Premio Nobel per la Pace era in stato di detenzione e ancor più convinta che una sua partenza le avrebbe chiuso definitivamente le porte del ritorno nel suo Paese dove aveva deciso di restare per contribuire alla fine del regime militare. Arrivata sabato scorso sul vecchio continente - riferisce l'agenzia Misna - la Suu Kyi ha avuto incontri con i ministri degli Esteri dei Paesi membri dell’Unione Europea in Lussemburgo, chiedendo alla comunità internazionale di “continuare ad esercitare pressioni” sul suo governo affinché completi il percorso democratico avviato due anni fa. Come comunicato alla stampa nell’occasione, la leader birmana ha sottolineato che il futuro della democrazia in Myanmar dipende da una rapida e decisiva riforma della Costituzione approvata nel maggio 2008 dai generali al potere prima di lasciare il Paese nelle mani di istituzioni elette in parte dai cittadini ma in parte nominate dai militari o da essi ancor controllate. “Le riforme sono arrivate a un punto che non possono proseguire senza modificare la Costituzione”, ha detto la leader carismatica dell’opposizione birmana che da oltre un anno siede in parlamento e che, se fossero modificate le norme costituzionali che le impediscono di candidarsi, avrebbe ampie possibilità di affermarsi come prossimo Presidente del Paese alle elezioni del 2015. Una situazione e una volontà che aveva espresso sabato scorso al presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso incontrato a Bruxelles. (R.P.)
◊ Percorrere le vie della cultura dell’unità nell’oggi della storia. E’ la vocazione dell’Istituto Universitario Sophia, che ieri ha inaugurato il sesto anno accademico all’auditorium di Loppiano, con la partecipazione del Gran Cancelliere, l’arcivescovo di Firenze card. Giuseppe Betori, di Maria Voce, vice Gran Cancelliere e presidente dei Focolari, del vescovo di Fiesole, mons. Mario Meini e del rabbino capo delle comunità ebraiche di Firenze e Siena, Rav Yosef Levi. Illustrando il progetto formativo dell’Istituto il preside, mons. Piero Coda, ha spiegato che Sophia, “vuole armonicamente accordare vita e studio”. Anche il card. Betori ha sottolineato il ruolo dell’Istituto come spazio esistenziale d’incontro: “L’impegno personale a vivere la prossimità e la reciprocità nei vari momenti della giornata, in tante attività culturali, ha detto, fa di questo il luogo in cui ‘sophia’ divina e ricerca umana del sapere divengono una cosa sola”. Maria Voce ha affermato che “Sophia si caratterizza sempre di più come luogo privilegiato per raccogliere le sfide che a livello planetario interpellano il nostro tempo e alle quali non possiamo che dare una risposta corale che può nascere solo dalla reale e quotidiana condivisione di pensiero e di vita”. A nome dei circa 100 studenti che frequentano i corsi, l’ungherese Annamaria Fejes ha spiegato che motivazioni comuni a tanti di loro nel scegliere Sophia è “trovare vie alternative alle guerre e ai conflitti che insanguinano il pianeta”. Abbiamo desiderio di incontrare persone, associazioni e organizzazioni, ha continuato, per costruire con loro un mondo più fraterno oltrepassando ogni barriera. 23 i protocolli d’intesa siglati da Sophia con Università italiane, di altri Paesi europei e continentali, oltre ai numerosi corsi animati come la Summer school in Argentina. (A cura di Adriana Masotti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 295