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Sommario del 20/10/2013
◊ La necessità di pregare continuamente, “con insistenza”; l’odierna Giornata missionaria mondiale e il ricordo della missionaria laica italiana, Afra Martinelli, uccisa qualche giorno fa in Nigeria; la solidarietà alle popolazioni filippine colpite martedì da un forte terremoto. Sono alcuni dei temi affrontati da Papa Francesco, oggi all’Angelus in piazza San Pietro. Il servizio di Giada Aquilino:
Dio conosce tutto di noi, ma ci invita comunque a pregare “con insistenza”. Papa Francesco lo ha ricordato all’Angelus, prendendo spunto dalla parabola del Vangelo di oggi in cui Gesù parla della “necessità di pregare sempre, senza stancarsi”, come la vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce ad ottenere giustizia:
“Nel nostro cammino quotidiano, specialmente nelle difficoltà, nella lotta contro il male fuori e dentro di noi, il Signore non è lontano, è al nostro fianco; noi lottiamo con Lui accanto, e la nostra arma è proprio la preghiera, che ci fa sentire la sua presenza accanto a noi, la sua misericordia, anche il suo aiuto”.
La lotta contro il male, ha spiegato il Pontefice, è però “dura e lunga, richiede pazienza e resistenza”. In questa lotta “da portare avanti ogni giorno”, ha aggiunto, “Dio è il nostro alleato, la fede in Lui è la nostra forza, e la preghiera è l’espressione della fede”, perché “se si spegne la fede, si spegne la preghiera, e noi camminiamo nel buio, ci smarriamo nel cammino della vita”. La preghiera perseverante è quindi “espressione della fede in un Dio che ci chiama a combattere con Lui, ogni giorno, ogni momento, per vincere il male con il bene”. In questo impegno, il Santo Padre ha voluto menzionare le “tante donne che lottano per la propria famiglia, che pregano, che non si affaticano mai”:
“Un ricordo oggi, tutti noi, a queste donne che col loro atteggiamento ci danno una vera testimonianza di fede, di coraggio, un modello di preghiera. Un ricordo a loro”!
Dopo la preghiera mariana, Papa Francesco ha ricordato l’odierna Giornata Missionaria Mondiale, riflettendo sulla missione propria della Chiesa:
“Diffondere nel mondo la fiamma della fede, che Gesù ha acceso nel mondo: la fede in Dio che è Padre, Amore, Misericordia. Il metodo della missione cristiana non è il proselitismo, ma quello della fiamma condivisa che riscalda l’anima”.
Ringraziando tutti coloro che “con la preghiera e l’aiuto concreto sostengono l’opera missionaria, in particolare la sollecitudine del vescovo di Roma per la diffusione del Vangelo”, il pensiero del Santo Padre è andato a chi opera in ‘prima linea’ proclamando Cristo fino ai confini della Terra:
“In questa Giornata siamo vicini a tutti i missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno la vita. Come l’italiana Afra Martinelli, che ha operato per tanti anni in Nigeria: qualche giorno fa è stata uccisa, per rapina; tutti hanno pianto, cristiani e musulmani. Le volevano bene!”
Afra Martinelli - ha proseguito il Papa, lanciando un applauso in sua memoria - “ha annunciato il Vangelo con la vita, con l’opera che ha realizzato, un centro di istruzione”, e così ha diffuso “la fiamma della fede, ha combattuto la buona battaglia”. Come anche Stefano Sándor, il salesiano laico proclamato Beato ieri a Budapest, in Ungheria. “Quando il regime comunista chiuse tutte le opere cattoliche - ha ricordato il Santo Padre - affrontò le persecuzioni con coraggio, e fu ucciso a 39 anni”. Quindi il pensiero del Papa è corso all’attualità, al sisma di martedì scorso nelle Filippine:
“Desidero esprimere la mia vicinanza alle popolazioni delle Filippine colpite da un forte terremoto, e vi invito a pregare per quella cara Nazione, che di recente ha subito diverse calamità”.
Tra i pellegrini presenti in piazza San Pietro, Papa Francesco ha quindi salutato i ragazzi che hanno dato vita alla manifestazione “100 metri di corsa e di fede”, promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura: “ci ricordate - ha detto - che il credente è un atleta dello spirito”. Ed ha concluso con un pensiero speciale:
“Oggi in Argentina si celebra la ‘Festa della mamma’: rivolgo un affettuoso saluto alle mamme della mia terra”.
Mons. Parolin firma, a nome del Papa, il suo primo messaggio da segretario di Stato
◊ E’ dedicato ad esprimere, a nome di Papa Francesco, solidarietà e vicinanza alle popolazioni dell'Australia colpite da devastanti incendi, il primo messaggio pubblico di mons. Pietro Parolin, nuovo segretario di Stato. "Il Santo Padre - scrive l’arcivescovo Parolin nel messaggio alla Conferenza episcopale australiana - prega per coloro che hanno perso la vita, le loro case e il posto di lavoro" e per quanti "lottano e lavorano nello spegnimento di questi incendi". Il segretario di Stato trasmette quindi una speciale benedizione apostolica del Pontefice. La parte sud-orientale dell'Australia è stata interessata in questi giorni da vasti incendi che hanno distrutto decine di case nella regione delle Blue Mountains e nello Stato del Nuovo Galles del Sud, coprendo di fumo nero il cielo di Sydney.
Giornata Missionaria. Mons. Hon Tai-Fai: fondamentale testimoniare la fede come dono
◊ Come ricordato dal Papa all'Angelus, ricorre questa domenica l’87.ma Giornata Missionaria Mondiale. Nel messaggio per l’occasione - firmato il 19 maggio scorso, Solennità della Pentecoste - Papa Francesco ricorda che tutti i battezzati sono chiamati ad annunciare il Vangelo con coraggio in ogni realtà. Sul Messaggio e l’importanza di questa Giornata, Alessandro Gisotti ha intervistato il segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, mons. Savio Hon Tai-Fai:
R. – Nel messaggio del Santo Padre per quest’anno c’è un aspetto che parla della fede come dono, non solo un dono prezioso che è dato a qualche individuo, ma è anche un dono da comunicare a quelli che ricevono questo dono. Mi ricordo che anni fa, nella Ecclesia in Asia, si parlava del Vangelo di Cristo come dono. E’ un aspetto, questo del dono del Vangelo, che contiene ogni altro dono. E’, dunque, una dimensione molto inclusiva, universale: il dono della fede. Siamo chiamati a rispondere a questo dono e anche a comunicare questo dono della fede.
D. – In questo messaggio di Papa Francesco per la Giornata missionaria viene sottolineato anche che missionarietà è testimonianza, non proselitismo...
R. – Sì, Papa Francesco ovviamente ha dato una sintesi dell’importanza della testimonianza nella tradizione delle attività missionarie: non è quello che noi diciamo, ma quello che noi viviamo ad essere davvero importante. Questa è la testimonianza, che non è solamente una cosa astratta. Ovviamente si parla della nostra vita, si parla anche del nostro contributo, sia nella preghiera che nella nostra offerta.
D. – Secondo lei, quali sono in questo momento le sfide più forti per l’evangelizzazione, per la missionarietà nel grande continente asiatico?
R. – Credo che ci siano luci ed anche ombre. A distanza di 50 anni dal Concilio Vaticano II, c’è la tendenza a creare Chiese troppo localizzate. C’è, cioè, una certa tendenza a seguire l’etnicismo e c’è meno apertura verso le altre Chiese o la Chiesa universale. Unità nella pluralità è un valore, ma non a scapito della dottrina. Ci sono però delle luci anche molto evidenti. Abbiamo, infatti, visto l’aumento del numero delle diocesi in territorio missionario; l’aumento dei Battesimi degli adulti; una nuova testimonianza da parte dei fedeli in territorio missionario. Le luci, quindi, sono motivo di gioia e di speranza. Qui si vede proprio lo Spirito che opera.
“100 metri di corsa e di fede”. Il card. Ravasi: lo sport è come un esperanto dell'umanità
◊ Nell’Anno della fede, il Pontificio Consiglio per la Cultura promuove oggi la Giornata di Festa per lo Sport. Culmine dell’evento è l’iniziativa “100 metri di corsa e di fede” in via della Conciliazione, con la partecipazione di 5 mila ragazzi e personaggi del mondo dello sport, salutati dal Papa subito dopo l'Angelus in piazza San Pietro. Sul rapporto tra sport e fede, Luca Collodi ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero della Cultura:
R. – Lo sport è diventato come una sorta di esperanto della umanità: infatti, in tutti i Paesi, sia pure nelle forme diversissime, esistono dei giochi, e il gioco – d’altra parte – fa parte dell’essere uomini e donne, cioè è strutturale nella creatività della persona.
D. – Quanto conta, oggi, lo sport nella testimonianza della fede?
R. – Proprio perché lo sport è la rappresentazione della persona la quale non fa qualcosa solo per interesse, è molto vicino alla componente della fede, la quale, come espressione fondamentale, ha quella del gratuito. La fede non la si fa per ottenere qualcosa, anche se si implorano le grazie, ma prima di tutto è per aderire a Dio, quindi è un’esperienza d’amore. In questa luce possiamo dire che, allora, la fede potrebbe essere ininterrottamente in dialogo con lo sport.
D. – Oggi lo sport è anche veicolo, però, di disagio sociale: basta andare in una curva di uno stadio dove troviamo elementi che poco hanno a che fare con l’espressione culturale dello sport e con i valori dello sport. Perché?
R. – Proprio perché se lo sport è una componente, come il gioco, in genere, è una componente strutturale della persona, bene o male tutti hanno un piccolo spazio in cui si esercitano in qualche cosa di assolutamente libero; proprio per questo rappresenta anche l’umanità nella sua realtà, nel suo realismo. Per il credente, lo diceva anche Pascal, senza peccato originale, alla fine, non si spiega molto la persona nel suo limite fondamentale. Per chi è laico possiamo dire che è semplicemente l’espressione dell’egoismo, della brutalità, della brutalità gratuita ed è in questo senso che allora si spiega la curva che degenera, che impazzisce quando ormai tutta la forza libera, esplosiva che ha la creatura umana, la mente umana, la fantasia umana viene invece incendiata.
D. – Chi è, secondo lei, oggi il tifoso?
R. – Il tifoso autentico dovrebbe essere prima di tutto colui che anche nel piccolo, in qualche modo esercita lo sport, cioè che lo considera non semplicemente come spettacolo ma anche come parte della sua esperienza. Sia pure in piccolo. Ed è per questo che, sempre di più, si allargano le strutture sportive anche per i ragazzi, in tutte le espressioni, e qui si pone il grave problema dell’educatore sportivo che tante volte è assente.
Siria: almeno 31 vittime per un'autobomba ad Hama. Il 23 novembre al via 'Ginevra 2'
◊ In Siria almeno 31 morti per un'autobomba esplosa stamattina nella citta di Hama, controllata dalle forze governative. Intanto, il segretario della Lega Araba, Nabil al-Arabi, ha ufficializzato che il prossimo 23 novembre si terrà la Conferenza internazionale di pace sulla Siria, la cosiddetta Ginevra2. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
L’annuncio è arrivato stamattina dal Cairo, dove il numero uno della Lega Araba ha incontrato l’emissario della comunità internazionale Lakhdar Brahimi il quale però ha avvertito che non ci sarà alcuna riunione di pace in assenza di un’opposizione siriana credibile. Ed è questa una delle difficoltà maggiori della fase preparatoria del vertice. A condurla è lo stesso Brahimi che nelle prossime ore si recherà prima in Qatar e Turchia, due Paesi che sostengono il fronte anti Assad, e successivamente in Iran, che appoggia il regime di Damasco. Poi andrà in Siria e infine a Ginevra per incontrare nuovamente i rappresentanti russi e americani. Il tutto mentre sul terreno le violenze proseguono senza sosta. In giornata decine di morti e feriti nella città di Hama all’indomani dei sanguinosi scontri in alcuni sobborghi della capitale, che i ribelli cercano di strappare al controllo dei soldati di Assad. Un assedio che a Damasco coinvolge da tantissimo tempo migliaia di civili, senza contare le drammatiche condizioni che la popolazione vive anche in altre città. Per questo l’Onu ha lanciato un nuovo appello per il cessate il fuoco e per l’apertura immediata di un corridoio umanitario.
Due anni fa la morte di Gheddafi: la Libia ancora alla ricerca di stabilità
◊ A due anni esatti dalla morte di Muhammar Gheddafi, la Libia è ancora alla ricerca di stabilità. Divisioni interne, strapotere dei "signori della guerra" e commercio di armi fanno di questo Paese uno dei più pericolosi al mondo. E nonostante l’indifferenza della comunità internazionale e del mondo mediatico la violenza è pressoché quotidiana, anzi in aumento dopo il blitz del 5 ottobre di un commando statunitense, che ha portato alla cattura di Abu Anas al-Libi, considerato il leader di Al Qaeda in Libia. Sulla situazione attuale in cui versa il Paese nordafricano, Salvatore Sabatino ha intervistato Riccardo Redaelli, esperto di Paesi arabi dell’Università Cattolica di Milano, appena rientrato da Tripoli:
R. - E’ una situazione in forte peggioramento sia dal punto di vista della sicurezza, sia dal punto di vista della polarizzazione politica. In questi due anni il governo libico non è riuscito a dare stabilità e soprattutto non è riuscito a coinvolgere tutte le parti del nuovo sistema - quindi le milizie, i partiti islamisti, i vari partiti post-Ghedaffi - a lavorare per una nuova Costituzione assieme e per stabilizzare questo Paese.
D. - Gheddafi - al potere, lo ricordiamo, per 42 anni - nonostante tutti i problemi, era riuscito a mantenere l’unità del Paese. Oggi ci sono, invece, tutte queste divisioni e queste tensioni. Ma, secondo lei, sono più legate a motivazioni economiche o politiche?
R. - Un mix di motivazioni. Va detto che Gheddafi aveva sì tenuto assieme il Paese, ma ne aveva annichilito la burocrazia e l’amministrazione: aveva reso molto deboli le proprie forze militari. Oggi il fallimento del post-Gheddafi è soprattutto nell’incapacità di prendere le tante milizie che sono nate e riunirle in un’unica organizzazione statuale. E le varie milizie si fronteggiano, spesso taglieggiano, non rispettano il governo, non rispettano le forze armate regolari. Tutto ciò sta portando il Paese verso un’anarchia, aggravata dal fatto che in Libia tutti sono armati: si stimano 60 milioni di armi per 6 milioni di abitanti.
D. - Una situazione, dunque, davvero drammatica. Molti osservatori parlano di una grande responsabilità della Comunità internazionale che, al momento dell’attacco, fu unita nel dire “cerchiamo di eliminare Gheddafi”, ma che poi ha abbandonato questo Paese. Anche lei è d’accordo con quest’analisi?
R. - Sostanzialmente sì. La Comunità internazionale - come dire - è entrata, spinta da Francia e Gran Bretagna nella guerra contro Gheddafi, senza un piano preciso. Non si sono volute inviare truppe di terra e il tipo di assistenza fornita si è rivelata insufficiente; ma certo anche i libici hanno contribuito a questo stato di cose, con una rissosità fra i vari partiti, con spinte autonomiste o quasi secessioniste in varie parti del Paese. Del resto va detto che la Libia - come dire - non era abituata a gestirsi in modo democratico e non aveva un’amministrazione efficiente.
D. - Bisogna anche sottolineare che la Libia, tra l’altro, rappresenta un grave rischio anche per i Paesi limitrofi, a causa del commercio di armi che sta facendo entrare nel Paese guerriglieri e combattenti appartenenti alla galassia di al-Qaeda. Come si possono definire attualmente i rapporti tra la Libia e i Paesi confinanti?
R. - E’ difficile dirlo in pochi secondi: preoccupanti con l’Egitto, instabili con la Tunisia. In realtà il vero problema sono tutte le frontiere meridionali, che sono frontiere lunghissime migliaia di chilometri, nel deserto e impossibili da controllare. Non è solo la Libia che è in difficoltà, è tutto il Maghreb, ma anche l’Egitto e tutta l’Africa sub-sahariana, che fatica a contenere le tendenze estremiste del terrorismo islamista, i gruppi tribali in lotta fra di loro. In generale possiamo dire che la Libia è inserita in una regione in enorme difficoltà.
Dopo la Cina, anche il Giappone guarda con interesse all'Africa
◊ L’Africa sta assumendo sempre più importanza a livello geopolitico e i suoi tassi di crescita economica attirano investitori e governi di ogni parte del mondo. Tra questi c’è il Giappone, con un programma quinquennale di cooperazione del valore di 32 miliardi di dollari. Sull’interesse giapponese per l’Africa ascoltiamo, nell’intervista di Davide Maggiore, Riccardo Barlaam, giornalista del “Sole 24 ore”:
R. - Dopo la Cina anche il Giappone e la Corea del Sud hanno preso di mira l'Africa e le sue materie prime, visto che quest’ultimo è un potenziale mercato di sbocco. I giapponesi, come i cinesi, sono molto pragmatici: organizzano un incontro con questi leader africani dove, come "sistema-Paese", mettono insieme quello che possono offrire. Quindi da un lato, gli aiuti allo sviluppo e una serie di programmi di infrastrutture, e dall’altro per il Giappone rientrano commesse, lavoro per le proprie aziende …
D. - Quali sono le poste economiche ed anche geopolitiche in gioco per Tokyo?
R. - Il Giappone somiglia molto all’Italia, non ha materie prime, energia … Nel post terremoto di Fukushima, con l’uscita del nucleare, ha sempre più sete di energia e oltre a questo, contro la concorrenza cinese - che ha anche prodotti di alta tecnologia che è sempre stato il pane dell’industria giapponese - il Giappone cerca di allargare lo sguardo verso nuovi mercati che non siano quelli occidentali, ma quelli africani che hanno tutto da sviluppare e possono offrire molto.
D. - Sempre per quanto riguarda il rapporto con la Cina, si differenzia in qualche modo l’approccio di Tokyo da quello di Pechino?
R. - Il problema con i cinesi è stato più che altro legato alla manodopera locale, che in Cina non manca. Infatti, quando loro decidevano di fare un acquedotto, una strada, si spostavano con tutta la manodopera e si creava una serie di problemi con le maestranze locali. In realtà, lo scambio culturale e lo sviluppo umano, in qualche modo, è presente. L’ultimo programma quinquennale cinese prevedeva degli scambi culturali molto importanti tra Africa e Cina. Ci sono università cinesi dove sono presenti delle colonie vere e proprie di studenti africani che si trovano lì per studiare. In ogni caso l’atteggiamento giapponese è molto diverso. Il loro slogan è “mani nelle mani con un’Africa più dinamica”, come a dire andiamo avanti insieme in questo continente che ha la crescita più rapida rispetto al mondo occidentale alle prese con la crisi più grave dal Dopoguerra e anche altre aree in via di sviluppo.
D. - Quindi è un modello che può beneficare entrambi gli attori coinvolti, sia il Giappone che i vari Paesi del continente africano?
R. - Direi che è un modello complementare. I cinesi restano sempre il primo partner in tutta l’Africa. Il continente intero fa affari con un solo Paese. Un professore universitario di Tokyo ha detto che nelle relazioni con l’Africa, se i cinesi sono i pesi massimi, i giapponesi sono pesi medi. Quindi uno dei maggiori attori. Ricordo, ad esempio, che in una zona anglofona del Camerun c’era un programma legato ad uno di questi programmi quinquennali in cui i giapponesi avrebbero dovuto fare una struttura tecnologica legata alle telecomunicazioni in una zona della foresta equatoriale. Lo hanno fatto. Di fatto i loro piani, i loro programmi diventano cose concrete. E in tanti contesti, come le aree rurali dove si parte da zero, possono dare un buon contributo allo sviluppo.
Storie al femminile di coraggio e fede. Presentato ieri a Roma il libro "Tenacemente donne"
◊ Dodici storie di donne contemporanee che, attraverso il loro genio, l’inventiva, l’amore incondizionato e totale, testimoniano la bellezza generatrice della fede. E’ il libro “Tenacemente donne” delle giornaliste vaticaniste Alessandra Buzzetti e Cristiana Caricato, edito dalle Paoline, e presentato ieri a Roma nell’ambito dell’incontro sul tema “Il Vangelo delle donne – Testimonianze al femminile nella Chiesa di oggi”. L'evento è stato organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ma come nasce l’idea di raccontare queste figure femminili? Marina Tomarro lo ha chiesto a Cristiana Caricato:
R. - Il libro nasce dall’incontro con una donna: questa donna è Chiara Corbella Petrillo. Chiara è una donna di 28 anni, una giovane mamma, che ha dato la vita a suo figlio, non per suo figlio ma a suo figlio, e che ha interpretato la sua breve esistenza con una luminosità che non può non stupire chiunque entri in contatto con la sua storia. Da questo incontro, e insieme anche alla suggestione data da una delle catechesi di Benedetto XVI dedicata alla santità nascosta, è nata l’esigenza di parlare di persone che vivono nel quotidiano la loro fede, con intensità, autenticità e che - proprio per questo - fanno grande la Chiesa.
D. - Dodici donne, dodici storie differenti: c’è un filo rosso che le unisce?
R. - L’unico filo rosso che può unire delle donne è quello dell’amore. Come dice Maria Voce splendidamente, nella prefazione, è questa carità, la carità femminile, il filo rosso che unisce queste dodici storie, che ricordano un po’ quella dei dodici Apostoli.
Dalle pagine del testo, man mano, si disegnano immagini di donne che hanno dovuto spesso affrontare situazioni molto difficili, ma con una forza che solo la vera fede può donare. Ascoltiamo Alessandra Buzzetti:
R. - La tenacia delle donne che raccontiamo è soprattutto quella tenace letizia che non crolla neanche davanti a dei drammi tremendi - dalle violenze alle bambine del Pakistan, ai divorzi e anche alle esperienze degli aborti - che in maniera incredibile e misteriosa diventano in realtà terreno di incontro col cristianesimo e quindi una nuova e inaspettata fecondità. Sono donne che vivendo pienamente la loro vocazione diversa - spose, madri, missionarie… - si pongono e provocano: quindi provocano chi sta accanto, non rivendicano qualcosa perché sono donne realizzate.
Tra le donne raccontate in questo libro c’è Marcella, una madre single consacrata dell’Associazione Giovanni XXIII. Nel 1988, le è stato permesso di adottare bambini con handicap gravissimi, di li è partito nella sua vita un percorso d’amore, che va avanti ancora oggi. Ascoltiamo la sua testimonianza:
R. - Ho sempre cercato di trasmettere che il volersi bene non dipende da quello che uno fa o non fa, perché il Signore ci vuole bene a prescindere da quello che facciamo e che nessuno di noi merita niente, nel senso che non credo che sia una questione di merito, ma è una questione di voler bene e basta! Quindi io volevo bene a loro comunque, qualsiasi cosa facessero: potevano non piacermi le cose che facevano, ma non erano loro che venivano meno, era per quella cosa lì che, tra l’altro, faceva male a loro. Ho sempre cercato di far leggere la loro storia e di dire che da quella storia loro devono ripartire: con tutte quelle carenze, con tutte quelle fatiche, ma solo da quella storia lì avrebbero potuto ripartire per essere diversi. Non possiamo pensare di essere felici se non partiamo da quello che siamo, da quello che abbiamo vissuto nel bene e nel male.
All’incontro era presente anche l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione:
R. - Come dicono le pagine di questo libro, sono delle testimoni che con la loro audacia, con la loro forza diventano un segno concreto di quel ruolo che la donna ancora riesce a svolgere nella società di oggi, nonostante le tante situazioni di gratuita violenza e anche di emarginazione. Queste pagine dicono che il coraggio delle donne è paradigmatico per tanti che vogliono comprendere realmente in quale modo si può vivere la fede.
D. - Anche Papa Francesco sottolinea molto spesso l’importanza delle donne, pure nella Chiesa…
R. - Certamente. Le donne hanno una missione fondamentale nella Chiesa, che è quella di trasmettere il Vangelo. Probabilmente nessuno come le donne - soprattutto oggi - ha una capacità di comunicazione e di trasmissione della fede che è quella che noi vediamo quotidianamente nelle nostre parrocchie. Se non ci fossero loro, con il volontariato che svolgono nei tanti servizi: da quello dell’accoglienza alla catechesi per i bambini e alle tantissime altre espressioni. Là dove si manifesta il servizio della Chiesa, là le donne sono presenti.
L'esperienza di "Emergenza sorrisi" per i bambini in Cambogia
◊ Bambini che hanno difficoltà di accesso a cure mediche e per i quali anche una tonsillite può rivelarsi pericolosa. Questa è la situazione sanitaria infantile a Takèo in Cambogia, uno dei Paesi più poveri al mondo, dove è stata organizzata una missione di chirurghi, anestesisti e volontari che hanno operato e visitato i piccoli pazienti. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, Giovanni Carriere, chirurgo di “Emergenza Sorrisi” che ha partecipato alla spedizione:
R. – In Cambogia siamo stati in un ospedale gestito dal "Bambin Gesù" di Roma e abbiamo visitato circa 220 bambini, sottoponendo ad interventi chirurgici otorinolaringoiatrici 47 di questi.
D. – Qual è la condizione dell’infanzia in questo Paese?
R. – La Cambogia ha uno dei più alti tassi di mortalità infantile del mondo. I bambini hanno scarso tasso di scolarizzazione e, come succede in tutti questi Paesi in via di sviluppo, accade che possano sviluppare delle patologie che da noi sarebbe banale trattare, ma che purtroppo lì diventa difficile. Pur essendoci, infatti, delle strutture sanitarie pubbliche, la sanità comunque è una struttura a pagamento, che non tutti possono permettersi.
D. – E’ anche difficile raggiungere gli ospedali per i bambini...
R. – C’è questa difficoltà di trasferimento, anche perché gli ospedali cui possono far riferimento sono rari evidentemente, per chi non abita nei grossi centri urbani. Questo è un villaggio di circa 6 o 7 mila persone che, però, ha una provincia così grande, la provincia di Takèo conta circa 500 mila abitanti. Il lavoro che viene svolto lì di routine è proprio quello di aiutare nella crescita questi bambini, che presentano, un po’ per caratteristiche genetiche un po’ per malnutrizione, dei ritardi evidenti dell’accrescimento. Un’altra iniziativa molto particolare è quella dell’organizzazione da parte mia di una clinica mobile, itinerante, che ha girato per la provincia, innanzitutto raccontando alla gente che nel centro di Takèo c’era un ospedale pediatrico e poi per far fronte alle prime necessità sanitarie di questi bambini. C’è da dire poi che, così come tutte le zone sottoposte ai monsoni, lì si vivono due vite: la vita durante il nostro periodo invernale, che sarebbe la loro estate, in cui la stagione è secca, e adesso, nel nostro periodo estivo, la stagione dei monsoni, per cui tutto intorno a questa città, a questo villaggio, è un’enorme palude con fiumi che straripano. Le comunicazioni, quindi, per chi non ha una barca, sono ancora più complicate.
D. – Come vi ha accolto la popolazione locale?
R. – L’aspetto bello di tutte le missioni è trovare che la gente aspetta l’arrivo di qualcuno che può aiutarla. Inoltre, non abbiamo visto piangere quasi nessun bambino di tutti quelli visitati.
D. – Per chi volesse sapere di più su ciò che fate?
R. – L’egida di questa missione è di Emergenza Sorrisi, che ha un sito, che è www.emergenzasorrisi.it. Inoltre, c’è un sito del Bambin Gesù, dove si spiegano le missioni organizzate, che si occupano di un aspetto altrettanto importante. Fornisce l’hardware, che mette a disposizione di questi luoghi, costruisce strutture stabili, che servono a programmare, a sperare in un futuro migliore, al diritto alla salute.
Al quartiere Brancaccio di Palermo una chiesa dedicata al Beato Puglisi
◊ E’ stata posta oggi, nel quartiere Brancaccio di Palermo, la prima pietra per la costruzione di una chiesa dedicata al Beato Don Pino Puglisi. Sorgerà su un terreno confiscato alla mafia e fungerà anche da centro aggregativo per i giovani. Elvira Ragosta ha chiesto al parroco di San Gaetano, don Maurizio Francoforte, come la comunità di Brancaccio stia vivendo la realizzazione di quest’opera, tanto voluta da don Pino:
R. - Adesso iniziamo con la posa della prima pietra. Speriamo che al più presto possiamo iniziare il vero e proprio cantiere per il nuovo complesso parrocchiale che don Pino pensava come una dimensione familiare, dove ognuno potesse trovare il proprio posto e il proprio spazio: dall’anziano al piccolo, dall’indigente alla persona che viene a collaborare, ad aiutare, a sostenere chi si trova in difficoltà. È una realtà che prende a 360 gradi proprio la vita dell’uomo, la promuove, la porta verso Gesù Cristo, quella roccia, quella pietra a fondamento della vita di ogni uomo.
D. - L’opera sorgerà su un terreno di 11 mila metri quadrati confiscato alla mafia nel ’95 e assegnato in comodato d’uso proprio alla parrocchia di San Gaetano...
R. - Il terreno fu confiscato a Gianni Ienna, consultore in organico alla mafia, secondo quanto detto dalle sentenze. Questo terreno, ai tempi in cui fu individuato da padre Pino - perché è lui l’iniziatore di quest’opera - non era ancora confiscato.
D. - La prima pietra è un blocco di marmo rosso con incisa una sigla – tre “P”: padre Pino Puglisi – è una pietra che è stata benedetta anche da Papa Francesco. Quale e quanta è stata l’emozione?
R. - È riuscita a farmi rimanere senza parole. Di solito non sono il tipo che riesce a stare zitto, come mi ricorda qualcuno dei miei parrocchiani. Però è stato più che emozionante, anche perché spesso nella catechesi faceva riferimento a Cristo pietra e fondamento della costruzione di questo edificio che prima di tutto è formato da pietre vive, noi cristiani, che non dobbiamo rimanere chiusi nella sacrestia, ma essere missionari verso gli altri, e in particolare verso i più poveri. Questo mi ha emozionato tantissimo, perché questo era lo stile e il modo di vivere la Chiesa di don Pino, quello di essere realmente proteso verso gli ultimi e in difesa degli ultimi, difendendoli e cercando di liberarli da quelle che sono le miserie umane. Don Pino molto spesso viene circoscritto al “discorso mafia”; ma la sua attenzione va dai terremotati del ’68 del Belice, agli ultimi. Ha avuto sempre attenzione nel costruire una Chiesa fatta nella riconciliazione, nella pace, nell’accoglienza. Speriamo che lo stile di questo nuovo complesso sia caratterizzato da queste idee portanti di don Pino.
D. - E come vive la comunità della parrocchia di San Gaetano questa posa della prima pietra, questo progetto?
R. - Stiamo cercando di fare, innanzi tutto, una riflessione perché non rimanga soltanto un edificio, ma che diventi anche la ricostruzione di una comunità che per tanti anni è stata guardata e additata come la comunità che ha ucciso il proprio pastore e non come una comunità che ha ricevuto la testimonianza di un martire. Quindi bisogna ricostruire, innanzi tutto, questo punto di vista; poi ci stiamo preparando anche con la gioia di chi sa di avere tanta attenzione, ma non intesa come giudizio ma come curiosità. E questo è proprio bello; vedere soprattutto le nuove generazioni che stanno trovando in questa realtà uno stimolo per testimoniare soprattutto l’appartenenza alla Chiesa e a Gesù Cristo. E il gesto del Santo Padre, da questo punto di vista, non solo ci consola, ma soprattutto ci stimola a incarnare quello che lui ha detto mercoledì scorso durante l’udienza.
Un film sul perdono vince il Religion Today a Trento
◊ E’ il documentario “One day after peace” il vincitore del Gran Premio ”Nello spirito della fede” della XVI edizione del Religion Today Filmfestival. Ieri, in tarda serata, presso il Teatro San Marco di Trento sono stati consegnati i riconoscimenti ai vincitori. Il servizio di Mariangela Brunet:
Propone il perdono il film vincitore della XVI edizione di Religion Today. Ambientato in Israele, il documentario “One day after Peace" - "Un giorno dopo la pace" di Erez e Miri Laufer racconta del dialogo intessuto da una madre di origine sudafricana con il palestinese che ha ucciso il proprio figlio, riproponendo il modello di riconciliazione sudafricano come soluzione del conflitto israelo-palestinese. L’opera si è aggiudicata anche il Premio Signis assegnato dalla Giuria Signis (Word Catholic Association for Communication). Mentre menzioni speciali hanno ricevuto il film iraniano “Aspettando un miracolo”, del regista Rasoul Sadrameli, ed il cortometraggio tedesco “Existentia” sul tema della crisi di fede di David Clay.
Giudicato poi come miglior film il turco “Mar–serpente” di Caner Erzican, con i piccoli sogni dei suoi protagonisti. Ed ancora menzione speciale per il film iraniano “L’ape regina” di Mohammad Ali Basheh Ahangar, sull’orrore della guerra.
Per la giuria internazionale miglior cortometraggio con il tema della perdita dell’innocenza, risulta il belga “La caduta” di Kristof Hoornaert. Mentre miglior memoria filmata dei tatuati di Auschwitz è il documentario israeliano “Numerati” di Uriel Sinai e Dana Doron. Infine menzione speciale per la radicalità della scelta religiosa proposta al film marocchino “Nel nome del fratello” di Youssef Ait Mansour.
Con le sue vicende di credenze e di dubbi, di fedi e di testimonianze, il Filmfestival 2013 toccherà il 21 e 22 ottobre prossimi altre importanti città italiane. Previsti, oltre ai laboratori di convivenza, agli eventi ed alle attività per le scuole, un seminario in tema presso la Università Pontificia Salesiana ed una conferenza di approfondimento all’Università La Sapienza di Roma.
La Comunità "Cenacolo" compie 30 anni e festeggia con il musical "Credo"
◊ La Comunità "Cenacolo" di Saluzzo, provincia di Cuneo, compie 30 anni. Per l’occasione, i ragazzi ospitati hanno portato in tournée il musical “Credo”, con gran finale in questi giorni alla Fiera di Milano. La comunità, fondata da madre Elvira Petrozzi, ospita un centinaio di persone e conta 61 strutture in Italia e nel mondo. Al microfono di Elisa Sartarelli, don Stefano Aragno, primo sacerdote ordinato della Comunità "Cenacolo":
R. – Presto volentieri la voce e il cuore a madre Elvira, la fondatrice della nostra comunità. Madre Elvira sta vivendo un momento particolare della sua vita, con la sofferenza di non riuscire a volte a parlare, a dire con la bocca quello che ha nel cuore; ma lo dice attraverso gli occhi, gli abbracci, l’entusiasmo che la sua vita spesa per Dio e per tutti continua ad annunciare. L’opera della Comunità "Cenacolo" è iniziata nel grembo di madre Elvira, una suora che apparteneva a un ordine religioso, le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida. Dopo tanti anni di servizio in questa congregazione ha sentito dentro nascere come “un fuoco” - dice lei - una spinta a dedicarsi ai giovani che in quegli anni vedeva disperati, soli, tristi, delusi, scontenti, drogati, persi. Sentiva che Dio le indicava quella strada. Il 16 ottobre 1983 è salita sulla collina di Saluzzo in una casa diroccata e abbandonata e da lì ha cominciato l’opera della Comunità "Cenacolo". Lei ci ha raccontato tante volte che quando ha visto la casa distrutta e abbandonata ha sentito però nel cuore la bellezza di ciò che sarebbe avvenuto. L’aveva già vista com’è oggi: una casa luminosa, ricostruita, piena di giovani, piena di vita.
D. - Chi sono le persone che chiedono di entrare nella vostra comunità?
R. - Per la maggior parte sono giovani ma anche adulti che hanno una vita segnata da tante ferite: ferite provocate dal mondo delle dipendenze, dal mondo della droga, dell’alcolismo, ferite del cuore, di solitudine, di tristezza. Sono persone che stanno cercando un vero senso nella vita. Chiedono e bussano alle porte della comunità spesso con la disperazione nel cuore ma anche con il desiderio di intraprendere un cammino serio, disciplinato, esigente, fondato sulla preghiera, sul lavoro, sul sacrificio, sull’amicizia vera, sulla vita fraterna. Questo cammino di vita cristiana è un cammino di redenzione, che ha permesso in questi 30 anni a tante persone di trovare il vero senso della vita, che è l’amore di Dio per noi e il sentirci figli amati per diventare persone capaci di servire e di amare.
D. - E poi ci sono le missioni …
R. - Sì, negli anni il raggio d’azione della comunità della casa madre di Saluzzo si è esteso in tante terre e in tanti luoghi. Quando suor Elvira ha aperto la comunità pensava di aprire una casa, di accogliere una quarantina di ragazzi ed era convinta che quelli che uscivano sarebbero stati "rimpiazzati" da altri accolti. Ma i conti umani con Dio non funzionano! Il cuore di Dio è molto più grande dei nostri calcoli e così è stato. Prima sono nate tante comunità in Italia, poi in Europa e poi nel mondo. Noi chiamiamo missioni - in senso geografico - le tante missioni che abbiamo in America Latina che si dedicano in modo particolare all’accoglienza dei bambini di strada. In quelle case ci sono suore della comunità, persone consacrate, volontari, giovani che desiderano vivere due anni di servizio missionario e dedicano la loro vita e questo tempo all’accoglienza, alla condivisione e alla rieducazione dei bambini abbandonati o di strada che ci vengono affidati dalle strutture sociali del posto.
Algeria: inaugurata la Basilica di Sant’Agostino di Ippona dopo oltre due anni di restauro
◊ Inaugurata ieri la Basilica di Sant’Agostino ad Annaba, l’antica città di Ippona, in Algeria occidentale, dopo oltre due anni e mezzo di restauro costato quasi 5 milioni di euro. Tra i finanziatori dell’opera, oltre alle autorità locali e ad aziende private di Algeria e Francia, anche Benedetto XVI, il quale ha effettuato una donazione personale contribuendo al recupero della struttura danneggiata dalle infiltrazioni di acqua piovana a partire dai primi anni del 2000. Alla cerimonia di inaugurazione, alla presenza di funzionari governativi francesi e algerini e di diplomatici di diversi Paesi, c’era anche il vescovo di Constantine, mons. Paul Desfarges, il quale ha ribadito che la Basilica rappresenta “un simbolo di legame tra le religioni” precisando che deve restare al “servizio del dialogo tra le due sponde del Mediteraneo”. Completata nel 1909 durante la colonizzazione francese, prima del restauro, la Basilica è stata visitata mediamente da quasi un migliaio di pellegrini cristiani all’anno e da almeno 18 mila tra turisti e studiosi. (E. B.)
Filippine: sospese ricerche dei superstiti del terremoto, almeno 180 morti
◊ Il Papa oggi all'Angelus ha pregato per le Filippine, dove martedì scorso un violento terremoto di magnitudo 7,2 ha devastato le isole di Bohol, Cebu e Siquijor, ambite mete turistiche nel centro dell'arcipelago. I vertici della Protezione Civile di Manila hanno comunicato la sospensione delle ricerche dei sopravvissuti precisando che adesso si passa al recupero dei cadaveri. I morti accertati sono almeno 180, i feriti 487, mentre 13 persone mancano ancora all’appello. Nel bilancio anche circa 400 mila sfollati a fronte di 34 mila abitazioni distrutte o gravemente lesionate dal sisma che ha inoltre provocato ingenti danni a 17 chiese storiche, considerate uno dei principali vanti della regione. Intanto ieri una violenta scossa di terremoto di magnitudo 6,8 ha colpito il golfo del Messico, verso la California, senza tuttavia provocare vittime o danni. (E. B.)
Roma: scontri e feriti al corteo contro le politiche di austerità
◊ Alcune migliaia di persone hanno manifestato ieri a Roma per la seconda giornata di protesta contro le misure di austerità. Il bilancio è di una decina di poliziotti feriti e di 15 dimostranti fermati, tra cui alcuni minorenni. Durante i cortei ci sono stati scontri con le forze dell’ordine davanti al ministero dell’Economia. Altri momenti di tensione nei pressi della sede dell’organizzazione di destra Casapound, mentre gli artificieri hanno disinnescato tre bombe carta. Intanto, a livello politico, il premier Letta ha incontrato il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, che aveva minacciato le dimissioni a causa dei contenuti e del metodo di discussione della legge di stabilità. Secondo fonti di Palazzo Chigi, sarà lo stesso viceministro a seguire l’iter parlamentare del provvedimento e anche il confronto con le parti sociali. (E.B.)
Portogallo: in piazza contro i tagli annunciati dal governo
◊ Proteste in Portogallo contro le misure di austerità varate dal governo. Ieri in migliaia sono scesi in piazza nella capitale Lisbona e a Porto, la seconda città più grande del Paese. Nel mirino dei dimostranti il recente progetto di bilancio 2014 che prevede ulteriori tagli alla spesa per soddisfare l'obiettivo di riduzione del deficit di bilancio fissato dai creditori internazionali. Tra le misure più controverse, i tagli annunciati agli stipendi e alle pensioni dei dipendenti pubblici che saranno applicati su redditi che superano i 600 euro mensili. (E. B.)
Il vescovo di Latakia: sui conflitti in Medio Oriente i cristiani occidentali sono poco informati
◊ Riguardo alle vicende del Medio Oriente e in particolare alla tragedia della Siria “l’Occidente, comprese le sue Chiese, è per molti aspetti scarsamente informato, nonostante le buone intenzioni”. Così il vescovo Elias Sleiman, a capo dell'eparchia maronita di Latakia, in un’intervista rilanciata dalla sezione statunitense di ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’. A darne notizia è l’Agenzia Fides, la quale sottolinea che il vescovo ha puntato i riflettori sul deficit informativo riguardo ai processi in atto nell'area mediorientale che a suo giudizio rischia di pesare negativamente anche sulle mosse della comunità internazionale in merito al conflitto siriano. “Il problema di tanti media - ha specificato il vescovo siriano - è che essi non colgono davvero il quadro reale della situazione. La primavera araba è stata dipinta come una spinta decisa verso la libertà e la democrazia, ma i risultati effettivi in Libia, Egitto e Yemen, per esempio, hanno dimostrato altrimenti”. La regione di Latakia, nel nord della Siria, è stata finora sostanzialmente risparmiata dal conflitto. Nel territorio i cristiani continuano a convivere pacificamente con gli alawiti. Secondo il vescovo Sleiman, l’unica strada per uscire dal conflitto è aumentare le pressioni internazionali per arrivare “a un dialogo tra il regime e gli elementi moderati dell'opposizione”. I grandi attori internazionali - conclude - devono spingere le diverse parti “a sedersi al tavolo dei negoziati”. (E. B.)
Iraq: ancora in azione i kamikaze
◊ Nuova giornata di violenza in Iraq. Almeno sei persone sono morte nell'attacco di otto kamikaze contro le forze di sicurezza e un edificio governativo a nordovest di Baghdad. Lo riferiscono responsabili locali, precisando che a perdere la vita sono stati tre poliziotti e tre membri del consiglio locale della regione di Rawa, nella provincia di Al Anbar. (E. B.)
Guinea: il partito al potere vince le elezioni ma l’opposizione protesta
◊ In Guinea il partito al potere, il Raggruppamento del Popolo della Guinea, ha vinto le elezioni legislative dello scorso 28 settembre. Tuttavia, l’opposizione ha fatto sapere che non riconosce il risultato comunicato in queste ore dalla commissione elettorale. Un portavoce ha precisato che la formazione chiederà l'annullamento della tornata per vie legali, scartando per il momento l'ipotesi di manifestazioni di piazza. In particolare la coalizione di maggioranza, guidata dal presidente Alpha Condè, ha ottenuto 60 dei 114 seggi dell’Assemblea nazionale: si tratta di 53 deputati conquistati direttamente a cui vanno sommati i 7 eletti nelle fila delle formazioni alleate. I partiti dell'opposizione, invece, hanno conquistato complessivamente 53 deputati, mentre a un piccolo partito 'centrista' va un solo deputato. (E. B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 293